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0) Viscosità
Si definisce “viscosità di un fluido” la difficoltà che strati diversi del fluido hanno nello
scorrere gli uni rispetto agli altri. Più è grande la difficoltà di scorrimento di un fluido,
maggiore è la viscosità dello stesso. Prendiamo ad esempio due superfici piane e parallele
di area A, poste a distanza h, e applichiamo una forza parallela alla superficie in modo da
mantenere un movimento stazionario (a velocità costante). Sperimentalmente scopriamo
che la forza F necessaria per farle scorrere è proporzionale all’area A e al gradiente di
velocità dv/dx. Il rapporto tra forza e superficie F/A non rappresenta una pressione in quanto
la forza è parallela alla superficie e non perpendicolare, ma tuttavia ha la stessa unità di
misura, ovvero Pascal (Pa). La costante di proporzionalità eta si chiama coefficiente di
viscosità e ha come unità di misura i Pascal per secondo nel SI, mentre nel sistema CGS è il
poise (che vale un decimo del Pa x s). La viscosità dipende dalla temperatura (con
l’aumentare della temperatura l’acqua diventa più fluida) e dalle dimensioni dell'oggetto.
Infatti ad una data temperatura costante, maggiore è la dimensione dell'oggetto minore è la
viscosità e viceversa, questo perché se la superficie è maggiore il fluido deve esercitare su
di essa una forza maggiore.
Il numero di Reynolds rappresenta il rapporto tra le forze di tipo inerziale e le forze di tipo
viscoso che agiscono su un corpo; le prime tengono conto della massa dell’oggetto (grosso
modo come se fosse la forza necessaria a fermare un oggetto con una certa massa e
velocità), le seconde sono le forze che si oppongono al movimento a causa della viscosità.
La grandezza di questa forza dipende da come il fluido fluisce attorno all’oggetto che a sua
volta dipende dal numero di Reynolds: Re = (rho x L x v) / eta . In questa formula rho è la
densità del fluido (nel caso dell’acqua 1kg/L), L è la lunghezza caratteristica dell’oggetto
lungo la direzione del moto, v è la velocità dell’oggetto e eta è il coefficiente di viscosità
dell'acqua. Per bassi numeri di Reynolds (Re<1), le forze viscose sono più importanti delle
forze inerziali e la forza F è proporzionale alla velocità, secondo la formula F = −gamma x v
(dove gamma è il coefficiente di resistenza viscosa).
In condizioni particolari, per un oggetto sferico che si muove in un fluido, gamma si può
calcolare ed è pari a: gamma = 6 eta x rho x pigreco. Di conseguenza la forza che si oppone
al moto vale: F = − gamma x v = - 6 pigreco x eta x rv che rappresenta la legge di Stokes.
Questa legge vale solo se l’oggetto trascina con sé il primo strato di fluido (cosa che accade
quasi sempre).
DIFFUSIONE
La diffusione è la migrazione casuale di molecole o particelle che nasce dal moto indotto
dall’energia termica. È un movimento estremamente efficace su distanze minime ma
completamente insufficiente per lo spostamento su distanze maggiori. La forza che muove il
soluto è il gradiente di concentrazione (definito come dC/dx), che tende ad abbassare la
differenza di concentrazione dei due compartimenti. Tale forza è infatti direttamente
proporzionale alla differenza di concentrazione e inversamente proporzionale alla distanza
fra i due compartimenti. In ogni momento, casualmente, il soluto diffusibile urta la membrana
e passa all’altro compartimento, si tratta quindi di un fenomeno passivo (non utilizza ATP).
Siccome nel compartimento a minor concentrazione avremo un numero minore di soluti,
sarà anche minore la probabilità che un soluto passi nel compartimento più concentrato.
Avremo quindi un flusso netto di soluto dalla zona più concentrata a quella meno
concentrata. Col tempo raggiungeremo una situazione di equilibrio dinamico, ovvero la
diffusione verso un compartimento o l’altro è la stessa. Per studiare la diffusione è utile
analizzare la legge di Fick (vedi sotto).
Vero, infatti l’equazione del flusso è: J = P (Co - Ci) dove P = costante di permeabilità, Co =
concentrazione extracellulare, Ci = concentrazione intracellulare.
Questa vale soltanto per sostanze non cariche o per sostanze cariche ma che attraversano
una membrana priva di campo elettrico (senza potenziale di membrana). In caso contrario,
basta moltiplicare per Fe = forza elettrica
Per esplicitare meglio i flussi unidirezionali possiamo riscrivere il tutto come: J = PCo - PCi,
rispettivamente diretti verso l’interno e verso l’esterno della cellula. Quindi J = 0 non significa
che i singoli flussi unidirezionali siano nulli, ma che semplicemente si equivalgono in una
situazione di equilibrio dinamico. Va da sé che allora il flusso netto è direttamente
proporzionale a differenza di concentrazione e coefficiente di diffusione, mentre è
inversamente proporzionale allo spessore della membrana.
Con l’equazione del flusso spieghiamo la diffusione semplice, ma non la diffusione facilitata
che segue altri principi.
4) Una sostanza non ionica è in equilibrio ai lati della membrana solo se i flussi
unidirezionali sono nulli. Vero o falso? Perché?
Falso. J = 0 non significa che i singoli flussi unidirezionali siano nulli, ma che semplicemente
si equivalgono in una situazione di equilibrio dinamico. Infatti l’equazione del flusso è: J = P
(Co - Ci) dove P = costante di permeabilità, Co = concentrazione extracellulare, Ci =
concentrazione intracellulare.
Questa vale soltanto per sostanze non cariche o per sostanze cariche ma che attraversano
una membrana priva di campo elettrico (senza potenziale di membrana). In caso contrario,
basta moltiplicare per Fe = forza elettrica. Per esplicitare meglio i flussi unidirezionali
possiamo riscrivere il tutto come: J = PCo - PCi, rispettivamente diretti verso l’interno e verso
l’esterno della cellula. Va da sé che allora il flusso netto è direttamente proporzionale a
differenza di concentrazione e coefficiente di diffusione, mentre è inversamente
proporzionale allo spessore della membrana.
Innanzitutto la diffusione è la migrazione casuale di molecole o particelle che nasce dal moto
indotto dall’energia termica. Questo fenomeno è determinato dalla permeabilità dei soluti
rispetto alla membrana, pertanto distinguiamo due tipi di diffusione: la diffusione semplice e
la diffusione facilitata. Nonostante entrambe seguano la forza passiva del gradiente di
concentrazione, la diffusione facilitata riguarda quei soluti che non sono in grado di
permeare la membrana liberamente. In questo caso sarà necessaria una proteina
transmembrana detta “carrier”, la quale si lega al substrato e subisce un cambiamento
conformazionale in seguito a cui rilascia la sostanza sull’altro lato della membrana. Per
calcolare il flusso della diffusione facilitata attraverso una proteina carrier utilizzeremo: J =
P[C]T/2 x ([S]o/[S]o+KM - [S]i/[S]i+KM), tale che P è la permeabilità generalizzata, [C]T è la
concentrazione totale del carrier, [S] la concentrazione dentro e fuori del substrato e KM la
costante di dissociazione (ovvero la concentrazione alla quale i recettori sono per metà
saturati, ci fa capire l’affinità del trasportatore per il substrato).
Quando il substrato è molto più concentrato all’esterno rispetto all’interno, i carrier possono
andare incontro a saturazione (dato il numero finito presente sulla membrana), e saremo in
grado di individuare un valore asintotico corrispondente alla velocità massima del flusso, tale
che JMAX = P[C]T/2. Infine, nel caso in cui [S]i sia sempre zero (come nel caso del glucosio,
che una volta entrato subisce subito una fosforilazione) ottengo un'equazione che segue la
cinetica di Michaelis-Menten.
OSMOSI
11) Una soluzione per esercitare una pressione osmotica deve essere elettrolitica?
Definire ipertonicità e iperosmolarità di una soluzione.
No, non è necessario che la soluzione sia elettrolitica per esercitare una pressione
osmotica. Le sostanze elettrolitiche, che in soluzione si dissociano in ioni, a parità di
concentrazione eserciteranno una pressione osmotica maggiore rispetto alle sostanze
non elettrolitiche, poiché, sapendo che l’equazione della pressione osmotica è π = icRT,
il loro coefficiente di van’t Hoff (i) sarà maggiore di 1. Se ad esempio io considerassi una
soluzione di KCl ad una data concentrazione, questa eserciterà una pressione osmotica
doppia rispetto ad una soluzione di glucosio che, nonostante abbia la stessa
concentrazione, avrà coefficiente i pari a 1 anziché 2.
Una soluzione extracellulare viene definita iperosmotica nel caso in cui presenti una
osmolarità maggiore rispetto alla soluzione intracellulare. L’osmolarità di una soluzione è la
sua concentrazione di particelle osmoticamente attive e si calcola moltiplicando il numero di
moli (in questo caso coincide con la molarità in quanto siamo in 1 L di soluzione) per il
coefficiente di van't Hoff, ovvero il numero di particelle in cui il soluto si dissocia (OsM = n i).
A differenza della osmolarità, la tonicità non è un parametro standard, bensì un termine
comparativo calcolato sperimentalmente. Dunque, se la tonicità è la capacità di una
soluzione di alterare il volume di una cellula posta al suo interno, una soluzione ipertonica
porta ad un raggrinzimento della cellula.
In conclusione una soluzione ipertonica deve necessariamente essere iperosmotica, ma non
è vero il contrario poiché dobbiamo tenere conto della permeabilità di membrana del soluto.
Ad esempio una soluzione iperosmolare contenente un soluto impermeabile (come lo
xilitolo) sarà anche ipertonica, viceversa una soluzione iperosmolare contenente un soluto
altamente permeabile (come etanolo) non sarà ipertonica. Vi sono poi vie di mezzo come ad
esempio il glicerolo.
Dipende dalla permeabilità di membrana per il soluto contenuto nella soluzione in questione.
Abbiamo fondamentalmente 3 casi diversi: il primo caso riguarda molecole che non
permeano in alcun modo la membrana (come ad esempio lo xilitolo); il secondo caso
riguarda molecole che sono in grado di permeare la membrana con molta facilità (come
l’etanolo); infine possiamo trovare molecole con caratteristiche intermedie e cinetiche di
permeabilità variabili (come il glicerolo).
Nel caso di una soluzione iperosmotica di xilitolo, l’acqua uscirà per osmosi cercando di
equilibrare il sistema, quindi la cellula subirà una diminuzione del suo volume andando a
raggrinzirsi, si tratta quindi di una soluzione che risulta essere ANCHE ipertonica.
Nel caso di una soluzione iperosmotica di etanolo, tale soluto permea la membrana più
velocemente dell’acqua ristabilendo da solo l’equilibrio osmotico senza la necessità di
variare il volume cellulare, di conseguenza la soluzione NON è ipertonica.
In una soluzione iperosmotica di glicerolo, infine, poiché il soluto permea ma più lentamente
dell’acqua, avremo inizialmente una rapida uscita di acqua dalla cellula associata in
contemporanea ad una lenta entrata di glicerolo. Quest’ultimo però, entrando, aumenta via
via l’osmolarità intracellulare, il che richiama acqua dall’esterno facendo gradualmente
aumentare il volume cellulare fino a ritornare al suo valore iniziale. Riportando
successivamente la cellula in una soluzione di Ringer (dunque fisiologica) vedremo che la
cellula si trova a osmolarità doppia (perché ha al suo interno il glicerolo), avremo come
risposta immediata un ingresso di acqua associato anche questa volta ad una più lenta
fuoriuscita di glicerolo, il quale via via che esce determina una graduale fuoriuscita di acqua
fino al raggiungimento delle condizioni normali di volume.
14) Una cellula immersa in una soluzione extracellulare con osmolarità doppia rispetto al
liquido intracellulare non cambia volume. Perché?
Se una cellula inserita in una soluzione avente osmolarità doppia rispetto a quella
intracellulare non cambia volume, significa che la soluzione extracellulare contiene un
soluto (come ad esempio l’etanolo) che è in grado di permeare la membrana plasmatica più
velocemente dell’acqua. Di conseguenza questo è in grado di ristabilire da solo l’equilibrio
osmotico senza la necessità di variare il volume cellulare, la soluzione è iperosmotica ma
NON ipertonica.
Possiamo dunque dire che una soluzione ipertonica deve necessariamente essere
iperosmotica, ma non è vero il contrario (poiché dobbiamo tenere conto della permeabilità di
membrana del soluto).
Questo perché la tonicità è per definizione la capacità di una soluzione di alterare il volume
di una cellula posta al suo interno, vale a dire che non si tratta di un parametro standard ma
un semplice termine comparativo.
Mentre l’osmolarità di una soluzione è la sua concentrazione di particelle osmoticamente
attive e si calcola moltiplicando il numero di moli (in questo caso coincide con la molarità in
quanto siamo in 1 L di soluzione) per il coefficiente di van't Hoff, ovvero il numero di
particelle in cui il soluto si dissocia (OsM = n i).
MEMBRANA
15) Descrivere il modello a mosaico fluido, in particolare l’esperimento che ne ha provato
la validità.
Il modello a mosaico fluido, teorizzato da Singer e Nicholson nel 1972, prevede che tutte le
membrane biologiche siano costituite da un doppio strato di fosfolipidi all’interno del quale
sono adese diverse proteine (integrali, se immesse direttamente nello spessore o
periferiche, nel caso si rapportino con legami più blandi ai fosfolipidi). I fosfolipidi sono
molecole anfipatiche: questo significa che possiedono una parte polare (la testa) e una parte
idrofoba (le code), per questo motivo in soluzione esse tendono a disporsi con le code
idrofobe verso l’interno e le teste polari verso l’acqua che li circonda, delimitando una
membrana di spessore 7-8nm. Inoltre i fosfolipidi possono anche spostarsi lateralmente,
ruotare o galleggiare su e giù (per questo il mosaico che si viene a formare, ovvero la
disposizione ordinata di fosfolipidi e proteine in superficie, è detto fluido). Attraverso l’azione
di particolari enzimi si possono anche catalizzare spostamenti di un fosfolipide dal foglietto
esterno a quello interno e viceversa (si parla di flip-flop). Il modello fu confermato
sperimentalmente tramite l’utilizzo di cellule marcate selettivamente con anticorpi
fluorescenti. Inducendo una fusione di due cellule marcate differentemente, una di natura
umana e una murina, col tempo si osservava che i due tipi di anticorpi fluorescenti si
distribuivano equamente su tutta la superficie della cellula ibrida, confermando dunque che
la membrana è una struttura molto dinamica.
La membrana può essere schematizzata con un circuito elettrico equivalente: esso avrà un
condensatore e diversi rami posti in parallelo, ciascuno con un proprio generatore e una
propria resistenza. Il condensatore sarà la membrana stessa, che mantiene separate le
cariche tra un versante e l’altro con capacità di 1 microFarad/cm2. I generatori
rappresentano la forza del gradiente elettrochimico che spinge le cariche a muoversi, infatti
in un circuito li possiamo indicare con la lettera E che sta a rappresentare il potenziale di
equilibrio dello ione. La rispettiva corrente potrà dunque essere entrante (come per esempio
il sodio e il cloro) o uscente (come il potassio). Le resistenze invece rappresentano la
permeabilità, ovvero la difficoltà con cui le cariche scorrono attraverso il circuito. Nel caso di
molecole cariche è più comodo parlare di conduttanza, la quale rappresenta l’inverso della
resistenza (G = 1/R) e si misura in Siemens. Quindi tale circuito potrà essere studiato con la
legge di Ohm: I = V/R, che nel nostro caso diventa, per un generico ione x, IX = GX (VM - EX),
dove IX è la corrente dello ione, GX la sua conduttanza, VM il potenziale di membrana a
riposo e EX il suo potenziale di equilibrio.
La membrana può essere schematizzata con un circuito elettrico equivalente: esso avrà un
condensatore e diversi rami posti in parallelo, ciascuno con un proprio generatore e una
propria resistenza. Il condensatore sarà la membrana stessa, che mantiene separate le
cariche tra un versante e l’altro con capacità di 1 microFarad/cm2. I generatori
rappresentano la forza del gradiente elettrochimico che spinge le cariche a muoversi, infatti
in un circuito li possiamo indicare con la lettera E che sta a rappresentare il potenziale di
equilibrio dello ione. La rispettiva corrente potrà dunque essere entrante (come per esempio
il sodio e il cloro) o uscente (come il potassio). Le resistenze invece rappresentano la
permeabilità, ovvero la difficoltà con cui le cariche scorrono attraverso il circuito. Nel caso di
molecole cariche è più comodo parlare di conduttanza, la quale rappresenta l’inverso della
resistenza (G = 1/R) e si misura in Siemens. Quindi tale circuito potrà essere studiato con la
legge di Ohm: I = V/R, che nel nostro caso diventa, per un generico ione x, IX = GX (VM - EX),
dove IX è la corrente dello ione, GX la sua conduttanza, VM il potenziale di membrana a
riposo e EX il suo potenziale di equilibrio.
No, questo perché si può parlare di conduttanza solo nel caso di specie cariche, cosa che il
glicerolo non è. Difatti la conduttanza si definisce come l’inverso della resistenza G = 1/R;
maggiore sarà la conduttanza, maggiore sarà la facilità di questo ione ad attraversare la
membrana. Capiamo dunque che il concetto di conduttanza è strettamente connesso a
quello di permeabilità, tuttavia se consideriamo il glicerolo che non è dotato di carica
dovremo esprimere la sua capacità di diffondere attraverso la membrana in termini di
permeabilità e non di conduttanza. La permeabilità di una determinata sostanza attraverso la
membrana è espressa dal coefficiente di riflessione, il quale indica il livello di permeabilità
della membrana per i soluti (è un valore compreso tra 0, quando completamente permeabile,
e 1, totalmente impermeabile) e dipende sia dalle caratteristiche della membrana che da
quelle della sostanza stessa.
L’equazione di Nernst vale nel caso in cui la membrana sia permeabile ad un singolo ione, e
ci indica le condizioni di equilibrio in cui il flusso netto si arresta. L’equazione si può scrivere
come (V1 - V2) = -RT/zF ln ([c]1/[c]2), tale che (V1- V2) sia la differenza di potenziale
necessaria a raggiungere l’equilibrio ionico bilanciando il gradiente di concentrazione
chimico, R è la costante universale dei gas, T la temperatura assoluta (espressa in Kelvin), z
è la valenza del composto, F la costante di Faraday. Nel caso in cui ci troviamo a 25 gradi
Celsius, vale la seguente approssimazione deltaV = 59mV x log([c]o/[c]i).
Grazie all’equazione di Nernst possiamo ad esempio calcolare il potenziale di equilibrio di
uno ione in condizioni fisiologiche, ovvero quel potenziale al quale non si registra nessuna
corrente del dato ione attraverso la membrana.
20) Cos’è il potenziale di equilibrio di uno ione? Perché il flusso di uno ione si blocca
quando Em = Eione?
Il potenziale di equilibrio di uno ione in condizioni fisiologiche, è quel potenziale al quale non
si registra nessuna corrente del dato ione attraverso la membrana, né in uscita né in entrata.
A quel dato potenziale, lo ione si trova in equilibrio tra l’interno e l’esterno della cellula, sia
per quanto riguarda la forza di concentrazione che la forza elettrica. Il potenziale di
equilibrio di uno ione si calcola con l’equazione di Nernst.
Al potenziale di membrana −90mV: lo ione potassio tende ad uscire dalla cellula,
provocando un’iperpolarizzazione, in modo che Em si avvicini a EK = -100 mV; lo ione cloro
tende ad entrare, provocando un’iperpolarizzazione, per far avvicinare Em ad ECl = -100 mV;
infine lo ione sodio tende ad entrare, provocando una depolarizzazione, in modo che Em
si avvicini a ENa = +60 mV.
Tuttavia, quando invece il potenziale di membrana equivale ad uno dei potenziali di equilibrio
degli ioni sopra citati, non ci sarà più bisogno per gli ioni di spostarsi tra versante interno ed
esterno di membrana perché, giunti al loro potenziale, il loro flusso netto risulterà nullo.
In condizioni fisiologiche [Na+]i = 10 mM, [Na+]e = 120 mM; [K+]i = 140 mM, [K+]e = 2,5
mM; [Cl−]i = 3,5 mM, [Cl−]e = 120 mM.
L’alterazione delle concentrazioni extracellulari di questi ioni disturba l’omeostasi cellulare,
non a caso la cellula avrà dei meccanismi volti al ripristino dell’equilibrio, al fine di preservare
la propria vitalità. Possiamo inoltre sfruttare queste concentrazioni per calcolare il potenziale
di equilibrio dei singoli ioni attraverso la membrana, cioè quel potenziale al quale non si
registra nessuna corrente del dato ione attraverso la membrana, né in uscita né in entrata. A
quel dato potenziale, lo ione si trova in equilibrio tra l’interno e l’esterno della cellula, sia per
quanto riguarda la forza di concentrazione che la forza elettrica.
Per calcolarlo utilizzeremo l’equazione di Nernst: (V1 - V2) = -RT/zF ln ([c]1/[c]2). Così
facendo ricaviamo che EK è -100mV, ECl = −100mV, ENa = +60mV.
Supponiamo di avere due celle separate da una membrana permeabile sia al cloro che al
potassio, e di avere da una parte l’elettrolita KCl e dall’altra un generico KA (dove A indica
un anione non permeabile alla membrana). Inizialmente il K+ è all’equilibrio e non si
sposterà, viceversa il cloro passerà dalla cella “in” (quella con KCl) a quella “out” secondo
gradiente di concentrazione. Lo spostamento del cloro causa però un accumulo di cariche
negative nella cellula “out” e una conseguente differenza di potenziale che spingerà il
potassio, che ha carica positiva, verso la cella “out” (il cloro viceversa, essendo negativo,
sarà spinto verso “in”). Una volta raggiunto l’equilibrio gli ioni avranno concentrazioni diverse
ma le rispettive equazioni di Nernst saranno uguali, e quindi: VM = RT/zF ln ([Cl]o/[Cl]i) =
RT/zF ln ([K]o/[K]i). Conoscendo le z (ma facendo attenzioni agli ioni bivalenti) trovo
l’equilibrio di Donnan: [K]i x [Cl]i = [K]o x [Cl]o . Nella cellula questo equilibrio non potrebbe
funzionare perché si andrebbe incontro a problemi di osmolarità , per ovviare a questi si
potrebbe aggiungere del sodio extracellulare (assumendo che, grazie anche alla pompa
sodio-potassio, questo sia indiffusibile) in modo da annullare il flusso di acqua dovuto
all’osmosi, in questo caso si parla di doppio equilibrio di Donnan. Nella realtà, nonostante ci
sia il ruolo della pompa sodio-potassio, lo ione sodio riesce comunque a permeare la
membrana e influenza il potenziale di equilibrio della membrana, dovrò dunque usare
l’equazione di Goldman (in cui comprendo anche Na).
26) Se attraverso una membrana esiste un potenziale, deve esistere una carica netta. Vero
o falso? Se è vero, è possibile calcolarne l’entità?
È vero. Infatti il potenziale è generato proprio da una separazione netta tra cariche
positive e negative. Questo è possibile perché in un circuito equivalente la membrana si
comporta come un condensatore, cioè è in grado di separare ed accumulare cariche.
La carica elettrica è calcolabile attraverso la formula: Q = C x V, dove: Q = carica elettrica (in
Coulomb), C = capacità elettrica (che di base è misurata in microF ma poi viene solitamente
normalizzata per la superficie e quindi viene misurata in microF/cm2), V = potenziale (in
mV). Sapendo quindi l’entità della differenza di potenziale, possiamo calcolarci la quantità di
carica moltiplicandola per la capacità di membrana (1 microFarad/cm2).
Il risultato di una stimolazione con un’onda quadra dipende dalla direzione della
corrente con cui la membrana viene stimolata. Se stimolo con una corrente in entrata
(dall’elettrodo alla cellula), otterrò una iperpolarizzazione. Al contrario, se stimolo con
una corrente in uscita (dalla cellula all’elettrodo), avrò una depolarizzazione. La corrente di
stimolazione Is, passando attraverso la resistenza di membrana Rm, crea una differenza di
potenziale VRm = Is x Rm. Nel caso di una corrente in entrata, VRm si sommerà a Vm,
quindi il potenziale di membrana risulterà iperpolarizzato. Al contrario, se la corrente di
stimolazione è uscente, VRm andrà sottratto a Vm, quindi il potenziale di membrana risulterà
depolarizzato. La curva che indica la variazione del potenziale di membrana in seguito ad
una stimolazione ad onda quadra ha una forma particolare, dovuta al fatto che la
membrana plasmatica si comporta come un condensatore. Finché è applicata la corrente
entrante, la curva del potenziale ha un andamento descrivibile con la legge di scarica di un
condensatore: Vt = Vo x (exp(−t/tau)); mentre quando la corrente cessa, la membrana si
ricarica, seguendo la legge di carica di un condensatore, ovvero: Vt = Vo x (1 − exp (−t/tau)).
Dove: Vt = potenziale al tempo t, Vo = potenziale al tempo zero, tau = costante di tempo =
Rm x Cm. La costante di tempo indica il tempo necessario affinché Vt sia variato (in questo
specifico caso che sia diminuito) del 63%.
28) Perché la pompa sodio-potassio può essere considerata elettrogenica? Che effetto
ha sul potenziale transmembranale a riposo?
La pompa sodio potassio è un meccanismo attivo che garantisce alla cellula di mantenere il
proprio potenziale di membrana. Questo è determinato principalmente dal fatto che
all’interno della cellula ci sono diversi proteinati organici con carica negativa che, essendo
incapaci di permeare la membrana, sbilanciano la concentrazione degli ioni diffusibili
(potassio e cloro) generando la differenza di potenziale. Tuttavia avremo comunque una
concentrazione di soluti maggiore all’interno, il che porterebbe a lisi osmotica. Per bilanciare
questa componente anionica, nel liquido extracellulare è presente il catione sodio, che in
maniera limitata è anche in grado di permeare la membrana. Poiché il potenziale di equilibrio
del sodio è +60mV e il potenziale di riposo intorno a -90mV, il sodio tenderà ad entrare sia
per gradiente chimico che per gradiente elettrico. Per contrastare il flusso del sodio
all’interno e quello del potassio all'esterno, la pompa sodio-potassio, ad ogni suo ciclo,
causa la fuoriuscita di tre ioni sodio e l’ingresso di due ioni potassio. Così facendo abbiamo
una depolarizzazione della membrana dovuta ad una corrente uscente (in quanto il flusso
netto è di uno ione positivo fuori ad ogni ciclo). Questa azione elettrogenica comporta un
trasporto contro gradiente, dovrà quindi trattarsi un trasporto attivo che quindi necessita di
energia, in questo caso sottoforma di ATP.
29) Descrivere la pompa Na+−K+. Cosa succede se la pompa Na+−K+ smette di funzionare?
L’energia della pompa Na+−K+ è dovuta a due fattori. Quali? Descrivi gli esperimenti che lo
dimostrano.
La pompa sodio potassio è un meccanismo attivo che garantisce alla cellula di mantenere il
proprio potenziale di membrana. Questo è determinato principalmente dal fatto che
all’interno della cellula ci sono diversi proteinati organici con carica negativa che, essendo
incapaci di permeare la membrana, sbilanciano la concentrazione degli ioni diffusibili
(potassio e cloro) generando la differenza di potenziale. Tuttavia avremo comunque una
concentrazione di soluti maggiore all’interno, il che porterebbe a lisi osmotica. Per bilanciare
questa componente anionica, nel liquido extracellulare è presente il catione sodio, che in
maniera limitata è anche in grado di permeare la membrana. Poiché il potenziale di equilibrio
del sodio è +60mV e il potenziale di riposo intorno a -90mV, il sodio tenderà ad entrare sia
per gradiente chimico che per gradiente elettrico. Per contrastare il flusso del sodio
all’interno e quello del potassio all'esterno, la pompa sodio-potassio, ad ogni suo ciclo,
causa la fuoriuscita di tre ioni sodio e l’ingresso di due ioni potassio. Dunque se la pompa
sodio-potassio non funzionasse, le differenze di concentrazione di Na+ e K+ tra
l’interno e l’esterno della cellula si estinguerebbero. Come conseguenza, si altererebbe
il potenziale di membrana e si avrebbe il progressivo ingresso di acqua nella cellula
dovuto alla maggior concentrazione di soluti nell’ambiente intracellulare rispetto a quello
extracellulare, che a lungo andare porterebbe alla morte cellulare per lisi osmotica.
Per ottenere questo trasporto contro gradiente avremo bisogno di ATP. Per dimostrare
questa dipendenza facciamo un semplice esperimento, possiamo utilizzare dinitrofenolo
(DNP) il quale è un bloccante della catena respiratoria, impedendo la sintesi di ATP. In
queste condizioni avremo un crollo dell’attività della pompa, che poi riprende non appena
viene rimosso il DNP dall’ambiente. Allo stesso modo, la pompa dipende dalla
concentrazione sia di ioni sodio intracellulari che di ioni potassio extracellulari, in particolare:
maggiori saranno, maggiore sarà l'attività della pompa (se [Na]i o [K]o sono assenti, la
pompa smette di funzionare). Infine anche la temperatura influenza l’attività della pompa.
30) Dalla misurazione del blocco del voltaggio si può calcolare l’andamento delle
conduttanze ai vari ioni. Come si fa?
Tramite la tecnica del Voltage-Clamp si può misurare l’andamento delle conduttanze ai vari
ioni. Il blocco del voltaggio avviene in un tempo di circa 100 microsecondi, e dato che
l’apertura dei canali è un processo che richiede circa 1 ms, possiamo sostanzialmente
“congelare” il loro cambiamento conformazionale. Inoltre si può calcolare il valore della
conduttanza ad uno ione grazie alla formula G = I / V (legge di Ohm), dato che conosciamo
sia la differenza di potenziale (scelta da noi) sia la corrente dello specifico ione. Se operando
il blocco del voltaggio si porta il potenziale di membrana al valore di E(K), si bloccano i flussi
del K+ e si registra la corrente di Na+ a quel valore di potenziale, possiamo di conseguenza
calcolarci la conduttanza al Na+ (GNa). Lo stesso vale per il potassio con un processo
inverso.
Il patch-clamp è il blocco di una piccola regione di membrana, grazie ad una micropipetta dai
bordi arrotondati in modo da evitare di danneggiare la membrana, per studiarne le correnti.
Tramite una leggera suzione della pipetta stabiliamo un contatto stretto con una porzione di
membrana così piccola da contenere un solo canale ionico, permettendoci di studiarne le
caratteristiche e le correnti microscopiche che lo attraversano. Ci sono tre tecniche che
consentono diversi tipi di misura: la prima è la “whole-cell configuration” in cui facciamo una
forte suzione rompendo la membrana, in modo da mettere in continuità pipetta e citoplasma
(misuriamo in questo modo le correnti macroscopiche); la seconda è la “inside-out
recording” in cui facciamo una leggera suzione e poi applichiamo una forte trazione per
rompere la membrana, che rimane adesa alla pipetta col singolo canale (portando la pipetta
in diverse soluzioni studieremo le diverse correnti microscopiche); infine la terza è la
“outside-out configuration” in cui facciamo una forte suzione e poi una forte trazione per
strappare la membrana, in seguito la zona rotta dalla trazione all’esterno della pipetta si
risalda così da avere la porzione extracellulare del canale all’esterno e quella intracellulare,
a contatto con diverse soluzioni, verso la pipetta (anche in questo caso misuriamo le correnti
microscopiche).
32) Cosa si misura con il voltage clamp e il patch clamp? Quali sono le loro differenze?
Descrivi entrambe le tecniche.
Il voltage clamp e il patch clamp sono due tecniche diverse per misurare le correnti che
attraversano la cellula quando il potenziale di membrana della cellula stessa è bloccato
ad un valore stabilito dallo sperimentatore. Il voltage clamp si esegue inserendo due
elettrodi all’interno della cellula, mentre per il patch clamp si avvicina alla
membrana plasmatica una micropipetta, i cui bordi sono stati levigati per evitare
danneggiamenti della cellula, e si esercita una piccola suzione, in modo da minimizzare
la perdita di correnti. Con la suzione, infatti, la resistenza verso le cariche che fuggono
lateralmente diventa molto maggiore rispetto alla resistenza di membrana.
Il voltage clamp, registrando le correnti attraverso l’intera cellula, registra l’attività di
milioni di canali contemporaneamente. Al contrario il patch clamp, dal momento che
il diametro della punta del microelettrodo è di circa 0,5 μm, registra le correnti che
attraversano un singolo canale. La corrente registrata attraverso il patch clamp sarà dunque
estremamente piccola (0,2 pA) e non molto precisa, presenterà infatti una serie di
oscillazioni, i cosiddetti rumori. Al contrario, la corrente registrata con il voltage clamp risulta
pulita, questo è dovuto al fatto che, registrando l’attività di milioni di canali, la corrente
registrata (dell’ordine dei mA) è molto più grande rispetto ai rumori.
Infine, mentre con il voltage clamp la forma della corrente registrata è “a campana”
(essendo il risultato dell’attività di milioni di canali, di cui alcuni sono aperti e altri
chiusi), la forma della corrente registrata con il patch clamp sarà un'onda quadra (poiché
indica lo stato di apertura o chiusura di un singolo canale).
33) Correlazione tra corrente di un singolo canale in patch clamp e corrente totale
attraverso la membrana.
Il patch-clamp è il blocco di una piccola regione di membrana, grazie ad una micropipetta dai
bordi arrotondati in modo da evitare di danneggiare la membrana, per studiarne le correnti.
Tramite una leggera suzione della pipetta stabiliamo un contatto stretto con una porzione di
membrana così piccola da contenere un solo canale ionico, permettendoci di studiarne le
caratteristiche e le correnti microscopiche che lo attraversano. E’ grazie alla tecnica del
patch-clamp che abbiamo dimostrato che la somma di molte correnti registrate dal singolo
canale (ottenute nelle stesse condizioni sperimentali) è equivalente a quella ottenibile
simultaneamente e in contemporanea da molti canali. Questo perché l’apertura del singolo
canale è probabilistica, può essere aperto o chiuso, ma portando la depolarizzazione verso i
valori di soglia, la probabilità di apertura del canale aumenta; poiché molti canali ionici sono
voltaggio-dipendenti. La probabilità di apertura del canale aumenta in modo sigmoidale
all’aumentare del potenziale di membrana.
La corrente registrata attraverso il patch clamp sarà dunque estremamente piccola (0,2 pA)
e non molto precisa, presenterà infatti una serie di oscillazioni, i cosiddetti rumori. La
corrente totale attraverso la membrana, invece, risulta più pulita in quanto registrando
l’attività di milioni di canali la corrente registrata (dell’ordine dei mA) è molto più grande
rispetto ai rumori. Infine, mentre la corrente totale è “a campana”, la forma della corrente
registrata con il patch clamp sarà un'onda quadra (poiché indica lo stato di apertura o
chiusura di un singolo canale).
POTENZIALE D’AZIONE
36) Cos'è e quali sono le caratteristiche di un potenziale graduato formato per un gradino
di corrente. Che forma ha se viene somministrato un impulso ad onda quadra sotto soglia?
La costante di tempo tau è utilizzabile se una grandezza varia in maniera esponenziale. Tau
indica il tempo dopo il quale la grandezza considerata è aumentata o diminuita del 63%, il
fatto che questa cresca o si riduca dipende dalla natura del fenomeno considerato. Con
significato analogo abbiamo definito la costante di spazio in relazione al fenomeno di
depolarizzazione/iperpolarizzazione di membrana, che decresce in maniera esponenziale
con la distanza; la costante di spazio infatti si indica con lambda e rappresenta quella
distanza dopo la quale la depolarizzazione è diminuita del 63 % (e quindi la
depolarizzazione ha raggiunto il 37% del suo valore iniziale). Queste due costanti possono
essere calcolate sia in base all’unità di lunghezza sia in base all’unità di superficie. In
particolare utilizzando l’unità di lunghezza avremo: Tau= rm × cm mentre Lambda = radice di
rm / rin + rout (dove rm è la resistenza di membrana, cm è la capacità di membrana, rin è la
resistenza intracellulare e infine rout è la resistenza extracellulare). Invece utilizzando l’unità
di superficie troveremo che: Tau = Rm × Cm e Lambda = (a × Rm) / 2 Ri tutto sotto radice (in
questo caso a = raggio, Rm = rm x 2 a pigreco, Cm = cm / 2 a pigreco, Ri = ri x pigreco a^2).
Queste due costanti ci permettono di definire la velocità di propagazione del segnale
secondo la formula v = lambda / tau. Da questa formula capiamo la dipendenza della
velocità di propagazione dalle proprietà geometriche dell’assone: maggiore è il raggio,
maggiore è lambda, e dunque sarà maggiore anche la velocità di propagazione e la distanza
percorsa. Seguendo lo stesso principio aumentano Rm la velocità di propagazione aumenta.
Tanto è vero che uno dei metodi evolutivi utilizzati per aumentare la velocità di conduzione
degli stimoli nervosi è quello di avvolgere la fibra nervosa con una guaina isolante (a base
lipidica) che ha ruolo sia di aumentare il diametro complessivo della fibra che aumentare
Rm, così facendo lambda sarà nettamente maggiore rispetto ad una fibra non mielinica.
38) Quali sono i parametri che influiscono sulla velocità di conduzione del segnale in una
fibra amielinica?
La velocità di propagazione del segnale segue la formula v = lambda / tau, vale a dire
costante di spazio fratto costante di tempo. La costante di spazio lambda indica quella
distanza dopo la quale la depolarizzazione è diminuita del 63 % (e quindi la
depolarizzazione ha raggiunto il 37% del suo valore iniziale), il fatto che questa cresca o si
riduca dipende dalla natura del fenomeno considerato. Con significato analogo abbiamo
definito la costante di tempo tau, che indica il tempo dopo il quale la grandezza considerata
è aumentata o diminuita del 63%. Queste due costanti possono essere calcolate sia in base
all’unità di lunghezza sia in base all’unità di superficie. In particolare utilizzando l’unità di
lunghezza avremo: Tau= rm × cm mentre Lambda = radice di rm / rin + rout (dove rm è la
resistenza di membrana, cm è la capacità di membrana, rin è la resistenza intracellulare e
infine rout è la resistenza extracellulare). Invece utilizzando l’unità di superficie troveremo
che: Tau = Rm × Cm e Lambda = (a × Rm) / 2 Ri tutto sotto radice (in questo caso a =
raggio, Rm = rm x 2 a pigreco, Cm = cm / 2 a pigreco, Ri = ri x pigreco a^2). Nelle fibre
mieliniche avremo una guaina di natura lipidica che serve sia ad aumentare la resistenza di
membrana (in quanto isolante) sia ad aumentare il diametro stesso della fibra; nelle fibre
amieliniche questo non vale e avremo di conseguenza una propagazione che, seppur attiva
con autorigenerazione del PdA, avrà una velocità inferiore. Fanno eccezione le fibre con
diametro inferiore ad 1 micrometro, laddove invece saranno quelle amieliniche a trasmettere
con maggiore velocità rispetto alle fibre mieliniche, questo perché a dimensioni così ridotte
l’assone ha un diametro piccolissimo, quindi una ri molto grande, in accordo con la seconda
legge di Ohm (R = rho x l/A).
La costante di spazio (o di lunghezza) è definita come la distanza alla quale l’intensità dello
stimolo depolarizzante si è ridotta fino al 37% (ovvero ha subito una variazione del 63%) del
potenziale Vo; la sua unità di misura sarà una lunghezza (mm, cm, m...). La costante di
spazio può essere calcolata sia sulla base dell’unità di lunghezza che sulla base dell’unità di
superficie. Nel primo caso avremo lamba = radice quadrata di rm / ri + re, dove: rm =
resistenza di membrana (misurata in ohm x cm), ri = resistenza intracellulare (ohm / cm) e re
= resistenza extracellulare (ohm / cm). Invece nel secondo caso lambda = a x Rm / 2Ri, tutto
sotto radice quadra, dove: a = raggio, Rm = rm x 2a pigreco, Ri = ri x a^2 pigreco. Il
vantaggio di esprimere lambda in base all’unità di superficie è che così risulta esplicitato il
raggio, e quindi capiamo la dipendenza della costante di spazio dalle proprietà geometriche
dell’assone, oltre che ai valori della resistenza interna e di membrana (che sono proprietà
intrinseche dell’assone). Maggiore è il raggio, maggiore è lambda, e dunque sarà maggiore
anche la velocità di propagazione e la distanza percorsa. Nelle fibre mieliniche avremo delle
cellule di supporto (oligodendrociti nel SNC e cellule di Schwann nel SNP) che,
avvolgendosi intorno alle fibre nervose, formano un rivestimento di natura lipidica che
prende il nome di guaina mielinica. Così facendo avremo un aumento della resistenza di
membrana (in quanto la guaina è isolante) ma anche un aumento del diametro stesso della
fibra. Ovviamente, pur essendo la guaina un buon isolante, la depolarizzazione subirà
comunque attenuazione, per questo motivo avremo interruzioni della guaina ogni 1-2mm
necessarie a consentire la autorigenerazione del potenziale d’azione. Tali zone nude
prendono il nome di nodi di Ranvier, pertanto le sezioni di fibra avvolte da guaina tra un
nodo di Ranvier e l’altro verranno anche chiamate internodi.
Immaginando di avere un grafico rappresentante sulle ascisse il diametro della fibra (in
micrometri) e sulle ordinate la velocità (questa dipende da costante di spazio fratto costante
di tempo). Vedremo che per le fibre amieliniche abbiamo una parabola rovesciata (dato che
la velocità segue la radice del raggio, poiché è uno dei parametri che determina lambda),
mentre nelle fibre mieliniche abbiamo una retta. Per diametri superiori a 1 micrometro, la
velocità di conduzione delle fibre mieliniche supera di gran lunga quella delle fibre
amieliniche per via della sua tipica conduzione saltatoria, in cui il potenziale d’azione
viene riprodotto solo a livello dei nodi di Ranvier grazie all’isolamento della guaina mielinica
(data dall’avvolgimento degli oligodendrociti nel SNC e delle cellule di Schwann nel SNP).
Mentre per diametri inferiori a 1 micrometro, le fibre amieliniche presentano una velocità di
conduzione maggiore rispetto a quelle mieliniche, poiché il diametro della fibra mielinica
comprende sia l’assone che la mielina situata intorno, e quindi a questi valori l’assoplasma
avrà un diametro piccolissimo, e di conseguenza una resistenza intracellulare molto grande,
in accordo con la seconda legge di Ohm (R = rho x l/A). Nonostante la presenza della
mielina aumenti la costante di spazio, dal canto suo una resistenza interna molto grande la
diminuisce.
Per evocare un potenziale d’azione, bisogna stimolare la cellula con una corrente
uscente che provochi una depolarizzazione della membrana plasmatica sufficiente a
superare il valore soglia. La depolarizzazione provocata dalla corrente ha una forma
descrivibile tramite le leggi di carica e scarica di un condensatore (che in questo caso è la
membrana), e si propaga passivamente a meno che non si raggiunga un certo valore, detto
appunto valore soglia. Una volta superata la soglia la risposta diviene attiva e da lì in poi
avremo generazione del cosiddetto potenziale d’azione, che deriva dall’apertura dei canali
voltaggio-dipendenti. In particolare vedremo un aumento del potenziale di membrana che
schizzerà dai valori di riposo (tra i -90 e i -60 mV) fino a valori positivi intorno ai +30 mV. Tale
depolarizzazione è provocata dall’apertura dei canali al sodio voltaggio-dipendenti, i quali in
condizioni di riposo risultano chiusi rendendo la permeabilità allo ione molto bassa In seguito
al raggiungimento della soglia la depolarizzazione è sufficiente ad aprire questi canali,
permettendo una entrata massiva di sodio nella cellula (il quale è spinto sia dal gradiente di
concentrazione, poiché maggiormente concentrato all’esterno, sia per gradiente elettrico).
La depolarizzazione, però, anche in seguito all’apertura dei canali del Na+ non raggiunge
mai il potenziale di equilibrio di questo ione per due motivi. Il primo è che l’aumento della
permeabilità di membrana al Na+ è transitorio: i canali del Na+ restano aperti solo per un
breve lasso tempo, quando la porta di attivazione è aperta e quella di inattivazione non si è
ancora chiusa. Il secondo motivo è che, in contemporanea all’apertura dei canali del sodio,
abbiamo anche l’apertura dei canali al potassio voltaggio-dipendenti con una cinetica più
lenta. Il progressivo aumento di permeabilità al K+ consentirà allo ione la fuoriuscita
(secondo il suo gradiente di concentrazione) determinando una corrente iperpolarizzante
che serve a ripolarizzare la membrana (questa non si fermerà al raggiungimento dell’iniziale
potenziale di riposo, bensì proseguirà anche oltre determinando il fenomeno della
iperpolarizzazione postuma). La durata del potenziale d’azione è di circa 1 ms, dopodiché il
potenziale di membrana si riassesta finalmente sul valore di riposo. Il PdA è un fenomeno
del tipo “tutto o nulla”, poiché a prescindere dall’entità della depolarizzazione, basterà
raggiungere la soglia per aprire i canali del sodio e avere la risposta precedentemente
descritta. Inoltre è anche stereotipo, perché dal momento in cui questo parte, presenterà
sempre la stessa ampiezza indipendentemente dall’intensità dello stimolo che lo ha
provocato.
43) Perché la punta del potenziale d’azione non raggiunge il potenziale di equilibrio del
sodio? Perché ci si potrebbe aspettare che lo raggiungesse?
44) Da quali meccanismi a feedback sono regolati i canali di sodio e potassio a seguito del
raggiungimento di un potenziale sopra soglia?
Studiando le basi ioniche del potenziale d’azione notiamo che gli ioni responsabili sono il
sodio e il potassio. Le ipotesi di Hodgkin rappresentano il principale modello di spiegazione
per questi fenomeni, formulando una teoria (accreditata da diversi esperimenti) secondo un
feedback positivo o negativo. In particolare per quanto riguarda i canali per il Na
voltaggio-dipendenti, una volta attivati questi sono responsabili della fase di intensa
depolarizzazione del potenziale d’azione, e quindi avremo feedback positivo: una
depolarizzazione sopra soglia causa l’apertura di un canale per il Na+ voltaggio-dipendente,
che, una volta aperto, aumenterà enormemente la conduttanza di membrana per lo ione. A
questo punto, il sodio entra in massa all’interno della cellula, generando un’ulteriore
depolarizzazione che nuovamente può tornare a scatenare una risposta attiva lungo altri
canali per il sodio. Viceversa, per quanto riguarda i canali per il K+ voltaggio-dipendenti, una
volta attivati questi hanno la funzione di riportare il potenziale di membrana a valori di riposo,
previa una piccola iperpolarizzazione dovuta al graduale (e più lento) aumento di
conduttanza verso tale ione. In questo caso si parla di feedback negativo: con l’aumento
della conduttanza per tale ione, la depolarizzazione sarà smorzata e avremo il ripristino della
situazione di partenza.
47) Cosa succede se si modifica la concentrazione del sodio extracellulare con destrosio
al potenziale di azione e perché.
I canali al sodio voltaggio-dipendenti hanno una struttura tetramerica dove ognuna delle
quattro subunità è costituita da diverse anse transmembrana di natura idrofobica. Queste
subunità delimitano un poro acquoso dal quale passa solo sodio, questo è reso possibile
grazie ad un filtro di selettività. Nel canale avremo delle anse proteiche che funzionano
come porte: avremo esternamente una porta di attivazione, e più internamente una porta di
inattivazione. In condizioni di riposo la prima è chiusa e la seconda è aperta. La porta di
attivazione presenta una porzione carica positivamente che prende il nome di sensore e che
difatti è responsabile della voltaggio-dipendenza poiché queste cariche positive subiscono la
spinta del campo elettrico (che le spinge verso il basso) e si trascinano dietro la porta come
a formare un tappo. Mentre la porta di inattivazione avrà un modello ball and chain, in cui
abbiamo una porzione flessibile (chain) e una particella inattivante (ball). Quando arriva il
PdA, il potenziale di membrana diminuisce e quindi la spinta del campo elettrico diminuisce
a sua volta tanto che il sensore si sposta verso l’alto (perché è spinto di meno) aprendo la
porta di attivazione. Con una cinetica più lenta la porta di inattivazione sente la variazione
del campo elettrico e si chiude, tuttavia esiste un breve periodo in cui le due porte sono
entrambe aperte e passa il sodio. Dopo l’apertura le porte di inattivazione hanno bisogno di
un lasso di tempo per tornare allo stato attivo e riaprire quindi il canale, questa è la
principale causa del fenomeno di refrattarietà assoluta, ovvero che due potenziali d’azione
non possono essere direttamente contigui (ed è per questo che il PdA si propaga solo in
senso ortodromico).
50) Descrivere il fenomeno del periodo refrattario assoluto e relativo, la loro relazione
con i canali voltaggio dipendenti e come si collegano con la relazione corrente-voltaggio.
Le correnti di porta (gating currents) sono correnti causate dall’attivazione della particella
sensore presente a livello di vari canali, come per esempio il canale Na
voltaggio-dipendente. Questo sensore comunica al resto della struttura l’arrivo di un
potenziale d’azione in quanto, contenendo cariche positive, la depolarizzazione della
membrana causa una diminuzione della forza elettrica che teneva il sensore in posizione (e
dunque con la porta di attivazione chiusa) che salendo apre il canale. Lo spostamento di
queste cariche positive induce correnti piccolissime, che se vogliamo registrare in mezzo
alle nettamente superiori correnti di sodio, dobbiamo per prima cosa isolare un singolo
canale tramite patch clamp (che sfrutta la suzione di una piccola porzione di membrana
grazie ad una micropipetta con microelettrodo levigato). A questo punto si fornisce una
depolarizzazione sopra soglia in modo da attivare il canale Na voltaggio-dipendente e
registrare la corrente totale che lo attraversa. Successivamente si dà un’iperpolarizzazione
della stessa entità e osserveremo stavolta solo la corrente capacitiva (che è presente sia per
la depolarizzazione che per l’iperpolarizzazione, al contrario delle correnti di porta presenti
solo con la depolarizzazione). Sottraendo le due correnti capacitive rimaniamo solo con la
corrente di porta che avrà un’ampiezza di circa 2 pA.
53) Descrivere, anche graficamente, le varie fasi del potenziale d’azione e le variazioni di
conduttanza ai vari ioni.
Nelle fibre mieliniche avremo delle cellule di supporto (oligodendrociti nel SNC e cellule di
Schwann nel SNP) che, avvolgendosi intorno alle fibre nervose, formano un rivestimento di
natura lipidica che prende il nome di guaina mielinica. Ovviamente, pur essendo la guaina
un buon isolante, la depolarizzazione subirà comunque attenuazione, per questo motivo
avremo interruzioni della guaina ogni 1-2mm necessarie a consentire la autorigenerazione
del potenziale d’azione. Tali zone nude prendono il nome di nodi di Ranvier, pertanto le
sezioni di fibra avvolte da guaina tra un nodo di Ranvier e l’altro verranno anche chiamate
internodi. Lungo gli internodi il potenziale d’azione si propaga sotto forma di potenziale
elettrotonico, come se questi fossero delle zone anestetizzate in cui il potenziale d’azione
non riesce a rigenerarsi. L’attenuazione è minima proprio grazie alla guaina mielinica che
determina sia un aumento della resistenza di membrana (in quanto la guaina è isolante) sia
un aumento del diametro stesso della fibra, entrambi parametri che consentono un aumento
del valore della costante di spazio. Quest’ultima prende il nome di lambda e rappresenta la
distanza dopo la quale la depolarizzazione è diminuita del 63%, può essere calcolata come
lambda = a x Rm / 2Ri, tutto sotto radice quadra (dove a = raggio, Rm = resistenza di
membrana per unità di superficie, Ri = resistenza intracellulare per unità di superficie).
Proprio per evitare che il PdA a lungo andare si esaurisca, nei nodi di Ranvier troviamo una
alta densità di canali voltaggio-dipendenti che rigenerano lo stimolo (la distanza di 1-2mm è
a dire il vero una distanza di sicurezza affinché non si corra il rischio di rimanere sotto
soglia), si parla quindi di conduzione saltatoria. Questo meccanismo, in cui letteralmente si
salta da un nodo all’altro, consente una maggiore velocità di propagazione (nonché un
vantaggio energetico) anche perché il PdA si rigenera un minor numero di volte rispetto alla
fibra amielinica.
56) Quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle registrazioni intracellulari ed extracellulari
del potenziale d’azione?
TRASMISSIONE SINAPTICA
Vediamo ora come la mutazione di alcune connessine è alla base per molte e diverse
patologie umane su base genetica. Queste patologie riflettono, nella loro estrema diversità,
la vastità di distribuzione dei connessoni e delle connessine nei tessuti, per cui mutazioni
genetiche delle connessine possono dare inizio a patologie che sono sia dermatologiche che
neurologiche o patologie oculari. In particolare, andiamo a vedere due patologie abbastanza
famose. La prima è la sindrome da cheratite-ittiosi-sordità (KID), si tratta di una cheratite
ittiosi associata a sordità che è dovuta a una mutazione di un gene che codifica per la
connessina 26, il gene GJB2. Questa connessina è responsabile per la formazione di gap
junction che si trovano a livello dell’epitelio cutaneo, sia a livello degli epiteli specializzati
come quelli dell’organo del corti, sia a livello delle particolari dell’occhio, che infiammandosi
danno origine a cheratite. Quando è presente in forma mutata, il connessone che si forma
perde ioni verso l’ambiente extracellulare, il che determina delle risposte di natura
infiammatoria nel tessuto che danno origine agli aspetti tipici della patologia dei vari distretti
in cui questa connessina viene espressa. Un’altra patologia molto famosa è la sindrome di
Charcot-Marie-Tooth, è una malattia demielinizzante dei nervi periferici e dà origine ad una
neuropatia sensorimotoria. In realtà può avere varie cause, una di queste è la mutazione di
un gene associato al cromosoma X che codifica per la connessina 32. La connessina 32 è
espressa nelle cellule della glia, in particolare nelle cellule di Schwann, le cellule che
formano la mielina. La funzione dei connessoni nelle cellule di Schwann sono principalmente
quelle dell’accoppiamento metabolico, dato che come sappiamo la cellula di Schwann si
avvolge attorno agli assoni formando la guaina mielinica e il nucleo si trova molto lontano dal
più estremo dei lembi cellulari avvolti intorno all’assone. Questo significa che per il
mantenimento delle funzioni cellulari ovviamente bisogna avere uno scambio di informazioni
chimiche e di nutrienti attraverso tutti gli strati, sistema garantito dai connessoni che
connettono la regione esterna perinucleare con gli strati mielici interni. Quando la
connessina 32 è mutata, questa connessione metabolico si realizza in modo imperfetto e la
mielina viene scarsamente mantenuta, perde di densità, questo si assocerà ad un difetto di
conduzione del potenziale d’azione e quindi insorgeranno dei sintomi, comuni a tutte le
malattie demielinizzanti. In realtà la connessina 32 è espressa nelle fibre mieliniche sia
centrali che periferiche, vediamo la sua localizzazione nelle cellule di schwann ma la
troviamo anche a livello degli oligodendrociti, che sono le cellule della glia che costituiscono
la guaina mielinica nel sistema nervoso centrale.
60) Come si determina il punto di inversione di una sinapsi e che informazioni dà? Cos’è
il punto di inversione e come posso trovarlo sperimentalmente?
) Sinapsi chimiche
Le sinapsi sono regioni anatomico-funzionali che rappresentano una soluzione di continuità
tra le cellule eccitabili permettendo il trasferimento di segnali. Le sinapsi si dividono in base
al meccanismo di trasmissione in chimiche ed elettriche.
Nelle sinapsi chimiche, all’arrivo del potenziale d’azione nel terminale presinaptico vengono
liberate vescicole di neurotrasmettitore, che trovano i propri recettori (ionotropici o
metabotropici) sulla membrana del post-sinaptico, inducendo direttamente o indirettamente
la variazione della conduttanza per uno o più ioni. Si aumenta o si diminuisce così la
probabilità di genesi di un nuovo potenziale d’azione sul secondo neurone. Il principale
vantaggio fornito dalle sinapsi chimiche è dato dal fatto che queste, grazie all’interazione che
avviene tra il NT e il recettore, permettono di modulare l’eccitabilità di membrana. Le sinapsi
chimiche possono anche modificare il segnale di input in vari modi: amplificazione del
segnale; inversione; prolungamento temporale; oppure possono addirittura andare incontro
a plasticità sinaptica. A dimostrare l’esistenza delle sinapsi chimiche fu Otto Loewi, e
successivamente Harry Dale elaborò i suoi cinque criteri per dimostrare che in una sinapsi
chimica sarà una certa molecola a funzionare da NT.
Nelle cellule le correnti sono rappresentate da flussi di ioni, i quali essendo dotati di carica
causano con il loro movimento. Gli ioni, proprio perché dotati di carica, non possono
attraversare liberamente la membrana cellulare; per farlo si servono dei canali ionici, ovvero
proteine transmembrana dotate di una certa selettività che quindi lasceranno passare solo
un tipo di ione. A canale chiuso abbiamo conduttanza per lo ione nulla, ma quando si apre si
genererà un flusso che segue il gradiente elettrochimico dello ione il quale vorrà raggiungere
il suo potenziale di equilibrio (quando avrà flusso netto pari a zero). Per uno ione di carica
positiva avremo corrente depolarizzante quando questo si muove dall’esterno all’interno
della cellula, e corrente iperpolarizzante quando questo si muove dall’interno all’esterno; lo
stesso al contrario avverrà per gli ioni negativi.
I canali ionici possono essere di due tipi: voltaggio-dipendenti e ligando-dipendenti. I canali
voltaggio-dipendenti si aprono in seguito alla depolarizzazione della membrana, tra questi
abbiamo ad esempio i canali al sodio voltaggio-dipendenti la cui apertura è responsabile
dell’aumento di conduttanza al Na+ nella fase iniziale del potenziale d’azione.
La depolarizzazione della membrana cellulare, se sufficientemente ampia, porta all’apertura
della porta M (porta di attivazione) di questo canale, ciò è permesso da una componente del
canale che prende il nome di sensore. Questo sensore è di fatti il rilevatore della
voltaggio-dipendenza in quanto, contenendo al suo interno cariche positive, una
depolarizzazione della membrana causa una diminuzione della forza elettrica che spingeva
queste cariche verso l’interno e teneva il sensore in posizione (con la porta di attivazione
chiusa), quindi il sensore è spinto meno, sale e apre il canale. L’apertura del canale
determina l’ingresso di Na+ nella cellula, il che determina un’ulteriore depolarizzazione della
membrana fino al valore di +30 mV (picco del potenziale d’azione). Si noti che +30mV non
coincide con il potenziale di equilibrio del sodio (+55V) perché i canali si richiudono prima
che ciò possa avvenire (inoltre ci sarà anche una componente iperpolarizzante dovuta
all’apertura di canali voltaggio-dipendenti per il potassio).
Al contrario i canali ligando-dipendenti si aprono in seguito al legame con un dato
neurotrasmettitore, quindi possiamo considerarli piuttosto come dei recettori che una volta
legato NT in un sito specifico subiscono una modificazione conformazionale e si trasformano
essi stessi in un canale di membrana che media passaggio di ioni. Quando poi
il mediatore si staccherà o verrà degradato via dal proprio sito di legame, il recettore-canale
ritornerà alla conformazione di riposo cessando la corrente ionica. Tra gli esempi più classici
abbiamo i recettori nicotinici, questi legano all'interno delle loro due subunità alfa altrettante
molecole di acetilcolina, riconoscendole grazie alla carica positiva del loro azoto quaternario.
A questo punto studiando il grafico corrente voltaggio dei due tipi di canale, vedremo che i
primi sono detti voltaggio-dipendenti in quanto la loro conduttanza cambia in base al
voltaggio di membrana, mentre i secondi sono detti canali ohmici poiché la conduttanza è
lineare e non dipende dal voltaggio di membrana. Tuttavia in entrambi i casi la corrente sarà
nulla al raggiungimento del potenziale di equilibrio del rispettivo ione (se si tratta di una
corrente multionica sarà zero alla media dei potenziali di equilibrio degli ioni).
GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE
La GNM è disposta in periferia ed è data dal contatto sinaptico del terminale assonico dei
motoneuroni (che hanno il soma nel midollo e alla terminazione perdono la guaina) con le
fibre muscolari scheletriche. Ogni fibra muscolare possiede una sola sinapsi col terminale
assonico, e ogni motoneurone prende contatto con poche fibre, le quali nel complesso,
prendono il nome di unità motoria. Nel terminale presinaptico avremo molti mitocondri
(elevata attività metabolica) e vescicole di NT. Nel terminale postsinaptico avremo dei
ripiegamenti di membrana (per aumentare la superficie di contatto), nelle zone apicali
avremo recettori per il NT ma non canali sodio-potassio per il PdA, nelle profondità il
contrario. Quindi dove arriva il NT ci sono fenomeni elettrotonici di natura passiva che si
chiamano EPSP (se eccitatori) o IPSP (se inibitori). Se a seguito di questa propagazione
elettrotonica si arriva alla profondità delle pieghe sopra soglia si genererà PdA. Nella GNM
non si genera mai IPSP (presente solo nelle sinapsi interneuroniche) è sempre eccitatoria e
l’EPSP prende il nome di EPP (potenziale di placca motrice).
63) Qual è l’utilità di misurare una corrente di placca e quali sono le differenze con la
registrazione del potenziale di placca?
64) Come si fa a stabilire il possibile ruolo dei vari ioni nella produzione del potenziale di
placca?
Con corrente di placca ci si riferisce in modo specifico al flusso di ioni che, passando
attraverso i recettori del NT (in questo caso i recettori ionotropici dell’Ach, detti nicotinici, che
mediano passaggio di sodio e potassio), è responsabile del potenziale di placca.
Il potenziale di placca, invece, si riferisce alla depolarizzazione della membrana
post-sinaptica conseguente all’arrivo di neurotrasmettitore, che interagendo con i suoi
recettori specifici determinerà una corrente depolarizzante. Il potenziale di placca e la
corrente di placca in particolare si trovano esclusivamente nella giunzione neuromuscolare,
la quale essendo una sinapsi obbligata vedrà il rilascio di una grande quantità di NT con
conseguente generazione di una depolarizzazione postsinaptica sempre sopra soglia
(ovvero causa sempre PdA). Studiando la relazione intensità-voltaggio della corrente di
placca notiamo che nel grafico si individuerà una retta che interseca l’asse delle ascisse al
valore di -15mV. Questo valore rappresenta il suo punto di inversione, ovvero quel punto a
cui la corrente assume intensità zero (non ho flusso netto di ioni attraverso il canale) e a cui
tende il potenziale della membrana post-sinaptica in seguito alla liberazione di NT. Da
questo valore capiamo che la corrente deve necessariamente essere multi-ionica, poiché
non esiste nessun ione con quel potenziale di equilibrio. Per dimostrare di quali ioni si tratta,
andiamo a modificare le concentrazioni extracellulari dei diversi ioni, e osserviamo se ciò
influenza o meno il punto di inversione. Così facendo capiamo che sono coinvolti solo
potassio e sodio, infatti -15mV è un valore intermedio tra il potenziale di equilibrio del sodio
(+60mV) e quello del potassio (-100mV). Per lo stesso principio, modificando la
concentrazione di cloro non noteremo alcun cambiamento del punto di inversione della
corrente in quanto questo ione non è coinvolto nella sua generazione.
EVENTI SINAPTICI
66) Descrivi il blocco della trasmissione. Come si crea il blocco pre-sinaptico ed il blocco
post-sinaptico?
I potenziali miniatura (MEPP) sono piccoli potenziali depolarizzanti di frequenza casuale che
si vengono a generare in seguito al rilascio di uno o pochi quanti di neurotrasmettitore dal
pre-sinaptico. Sono stati per la prima volta osservati a livello della giunzione
neuromuscolare: con la rimozione della fibra proveniente dal motoneurone, i MEPP
scomparivano. L’ampiezza dei potenziali in miniatura è variabile, di media 0,5mV, e dipende
da eventi post-sinaptici. Il blocco dei recettori nicotinici mediante curaro è in grado di
abbassarla, mentre inibitori dell’acetilcolinesterasi (come l’eserina) potenziano l’azione del
neurotrasmettitore, amplificando l’ampiezza di queste piccole depolarizzazioni. L’ampiezza
di ogni singolo MEPP segue una distribuzione di tipo gaussiano/unimodale, può infatti
assumere tutti i valori compresi fra 0 e circa 2mV. La frequenza dei MEPP dipende invece da
eventi pre-sinaptici. Depolarizzando il pre-sinaptico, la frequenza di rilascio aumenta,
viceversa, con un’iperpolarizzazione decresce nettamente. Questo perché la
depolarizzazione innesca l’apertura di un numero sempre maggiore di canali per il calcio
voltaggio-dipendenti, innescando una via che porta all’esocitosi della vescicola di
neurotrasmettitore. L’osservazione di questo fenomeno ha permesso a Katz e collaboratori
di formulare la teoria dell’ipotesi quantale, ovvero che i neurotrasmettitori possano essere
liberati in pacchetti discreti, e che i potenziali generati a livello del post-sinaptico abbiano
un’ampiezza corrispondente ad un multiplo dell’unità di base (il quanto). Ponendosi infatti in
una condizione di blocco parziale della giunzione (bassa [Ca2+] e alta [Mg2+ ]) e stimolando
il nervo, si osservava che l’EPP assumeva valori multipli del quanto, corrispondente ad una
vescicola di acetilcolina: si tratta di una distribuzione graduata. L’ipotesi è stata ulteriormente
confermata su basi statistiche: valutando il valore di contenuto quantale medio (il numero
medio di quanti rilasciati in seguito a depolarizzazione del pre-sinaptico) sia su base
sperimentale che su base statistica, i valori coincidevano.
68) Come si fa a ridurre il potenziale di placca e il potenziale in miniatura?
69) Quale effetto ha una depolarizzazione della membrana pre-sinaptica sul potenziale in
miniatura?
I potenziali miniatura (MEPP) sono piccoli potenziali depolarizzanti di frequenza casuale che
si vengono a generare in seguito al rilascio di uno o pochi quanti di neurotrasmettitore dal
pre-sinaptico. Sono stati per la prima volta osservati a livello della giunzione
neuromuscolare: con la rimozione della fibra proveniente dal motoneurone, i MEPP
scomparivano. L’ampiezza di ogni singolo MEPP segue una distribuzione di tipo
gaussiano/unimodale, può infatti assumere tutti i valori compresi fra 0 e circa 2mV. La
frequenza dei MEPP dipende invece da eventi pre-sinaptici. Depolarizzando il pre-sinaptico,
la frequenza di rilascio aumenta, viceversa, con un’iperpolarizzazione decresce nettamente.
Questo perché la depolarizzazione innesca l’apertura di un numero sempre maggiore di
canali per il calcio voltaggio-dipendenti, innescando una via che porta all’esocitosi della
vescicola di neurotrasmettitore. La concentrazione extracellulare di Ca2+ è circa 1,8 mM,
mentre quella intracellulare è sub-micromolare. Di conseguenza, quando i canali si aprono, il
Ca2+ tende ad entrare nella cellula, spinto dal forte gradiente di concentrazione. Una volta
entrato nella cellula, il Ca2+ si lega ad una proteina, detta sinaptotagmina. La
sinaptotagmina, una volta legato il calcio, favorisce la formazione del complesso SNARE,
ovvero l’unione tra la sinaptobrevina (proteina situata sulla membrana delle vescicole) e altre
due proteine, la sintaxina e la SNAP-25 (situate invece sulla membrana plasmatica). La
formazione del complesso SNARE determina la fusione della vescicola alla membrana
plasmatica e la sua diffusione nello spazio intersinaptico.
I potenziali miniatura (MEPP) sono piccoli potenziali depolarizzanti di frequenza casuale che
si vengono a generare in seguito al rilascio di uno o pochi quanti di neurotrasmettitore dal
pre-sinaptico. La frequenza dei MEPP dipende invece da eventi pre-sinaptici.
Depolarizzando il pre-sinaptico, la frequenza di rilascio aumenta, viceversa, con
un’iperpolarizzazione decresce nettamente. Questo perché la depolarizzazione innesca
l’apertura di un numero sempre maggiore di canali per il calcio voltaggio-dipendenti,
innescando una via che porta all’esocitosi della vescicola di neurotrasmettitore.
I MEPP sono stati per la prima volta osservati a livello della giunzione neuromuscolare e
permisero a Katz di elaborare l’ipotesi quantale. Essa prevede che il neurotrasmettitore,
all’arrivo del potenziale d’azione sul terminale pre-sinaptico, sia rilasciato in pacchetti
discreti, chiamati quanti. Un quanto corrisponde ad una vescicola di acetilcolina, che è in
grado di suscitare una risposta elettrica a livello del post-sinaptico omogenea in ampiezza
(circa 0,5mV, l’ampiezza media dei MEPP). Il rilascio dei quanti è un evento di natura
probabilistica, la cui frequenza dipende dal grado di depolarizzazione a livello del
pre-sinaptico: maggiore depolarizzazione significa infatti maggiore ingresso di Ca2+
mediante i canali voltaggio-dipendenti, e quindi esocitosi di un maggior numero di vescicole
di neurotrasmettitore. La probabilità di rilascio di un certo numero di quanti in seguito alla
depolarizzazione del pre-sinaptico può essere calcolata su base statistica grazie ad una
distribuzione binomiale che può essere semplificata nella cosiddetta distribuzione di
Poisson, in condizioni tali che “n” (numero di vescicole totali) tenda a infinito e “p”
(probabilità di rilascio) tenda a zero, questo perché siamo sperimentalmente ad una bassa
[Ca2+] extracellulare. La distribuzione di Poisson sarà quindi: Px= e^(-m) m^(x) / x! dove: Px
= probabilità che vengano rilasciate x vescicole, m = contenuto quantale medio (si calcola
come m= n p), e x = vescicole rilasciate). Per facilitarci i conti ci poniamo nella condizione
del fallimento in cui non siano rilasciati quanti (x=0), la formula si riduce a Po = e^(-m).
Applicando la formula inversa m = ln 1/Po, ovvero il logaritmo naturale del rapporto fra gli
stimoli totali e il numero di fallimenti. Confrontando questo valore di m, calcolato su base
statistica, col valore di m calcolato su base sperimentale (dividendo l’ampiezza media
dell’EPP per l’ampiezza media del MEPP), vediamo che i valori coincidono. È quindi
confermata l’ipotesi quantale.
I potenziali miniatura (MEPP) sono piccoli potenziali depolarizzanti di frequenza casuale che
si vengono a generare in seguito al rilascio di uno o pochi quanti di neurotrasmettitore dal
pre-sinaptico. La frequenza dei MEPP dipende invece da eventi pre-sinaptici.
Depolarizzando il pre-sinaptico, la frequenza di rilascio aumenta, viceversa, con
un’iperpolarizzazione decresce nettamente. Questo perché la depolarizzazione innesca
l’apertura di un numero sempre maggiore di canali per il calcio voltaggio-dipendenti,
innescando una via che porta all’esocitosi della vescicola di neurotrasmettitore.
I MEPP sono stati per la prima volta osservati a livello della giunzione neuromuscolare e
permisero a Katz di elaborare l’ipotesi quantale. Essa prevede che il neurotrasmettitore,
all’arrivo del potenziale d’azione sul terminale pre-sinaptico, sia rilasciato in pacchetti
discreti, chiamati quanti. Un quanto corrisponde ad una vescicola di acetilcolina, che è in
grado di suscitare una risposta elettrica a livello del post-sinaptico omogenea in ampiezza
(circa 0,5mV, l’ampiezza media dei MEPP). Il rilascio dei quanti è un evento di natura
probabilistica, la cui frequenza dipende dal grado di depolarizzazione a livello del
pre-sinaptico: maggiore depolarizzazione significa infatti maggiore ingresso di Ca2+
mediante i canali voltaggio-dipendenti, e quindi esocitosi di un maggior numero di vescicole
di neurotrasmettitore. La probabilità di rilascio di un certo numero di quanti in seguito alla
depolarizzazione del pre-sinaptico può essere calcolata su base statistica grazie ad una
distribuzione binomiale che può essere semplificata nella cosiddetta distribuzione di
Poisson, in condizioni tali che “n” (numero di vescicole totali) tenda a infinito e “p”
(probabilità di rilascio) tenda a zero, questo perché siamo sperimentalmente ad una bassa
[Ca2+] extracellulare. La distribuzione di Poisson sarà quindi: Px= e^(-m) m^(x) / x! dove: Px
= probabilità che vengano rilasciate x vescicole, m = contenuto quantale medio (si calcola
come m= n p), e x = vescicole rilasciate). Per facilitarci i conti ci poniamo nella condizione
del fallimento in cui non siano rilasciati quanti (x=0), la formula si riduce a Po = e^(-m).
Applicando la formula inversa m = ln 1/Po, ovvero il logaritmo naturale del rapporto fra gli
stimoli totali e il numero di fallimenti. Confrontando questo valore di m, calcolato su base
statistica, col valore di m calcolato su base sperimentale (dividendo l’ampiezza media
dell’EPP per l’ampiezza media del MEPP), vediamo che i valori coincidono. È quindi
confermata l’ipotesi quantale.
72) Descrivi la cascata segnalatoria del Ca2+ che causa il rilascio del neurotrasmettitore. /
Prove che dimostrano la connessione di calcio al fenomeno di liberazione del
neurotrasmettitore da parte delle vescicole. Descrivine la cascata segnalatoria.
) Myasthenia gravis
👍
volta innesca il complesso con MuSK. Da qui abbiamo poi l’associarsi dei primi 8 recettori e
infine la formazione delle pieghe postsinaptiche.
I recettori NMDA sono dei canali ionotropici permeabili al calcio e con cinetica lenta (sia in
apertura che chiusura). La loro apertura dipende sia dal legame col ligando specifico, ovvero
il glutammato, sia dal voltaggio, ovvero una depolarizzazione di membrana. Infatti in
condizioni di potenziale a riposo si trovano in uno stato chiuso a causa della presenza di
magnesio dentro al canale. Questo ione, per valori di potenziale negativi, rimane legato al
canale e lo chiude come un tappo, che si aprirà solo in seguito a depolarizzazione di
membrana che induce la rimozione del magnesio e rende il canale permeabile. E’ per
questo motivo che i canali NMDA sono utilizzati come rilevatori di coincidenze, in quanto per
la loro attivazione è necessario sia avere il mediatore legato al canale sia una membrana
sufficientemente depolarizzata (la sua apertura è dovuta anche ad altri cofattori come la
glicina extracellulare). Una volta aperti possiamo studiare il grafico intensità-voltaggio della
sua corrente, che sarà dovuta agli ioni sodio e potassio e avrà punto di inversione pari a
0mV. Inoltre vediamo che al potenziale di membrana a riposo, se è presente magnesio
extracellulare (come avviene fisiologicamente), la corrente attraverso il canale NMDA è
praticamente nulla. Via via che salgo con i valori del voltaggio di membrana avrò un numero
maggiore di canali aperti e dunque la corrente comincia a salire gradualmente fino a
quando, superato un certo valore, è addirittura assimilabile ad una corrente del tutto
ligando-dipendente. L'iniziale corrente necessaria per raggiungere questi valori depolarizzati
sarà fornita invece dai canali non-NMDA, i quali sono assimilabili del tutto a dei canali
ligando-dipendenti. Si deve notare anche che attraverso i canali NMDA osserviamo anche
una corrente di calcio in ingresso (consentita dall’asparagina presente all’interno del loro sito
Q/R) che avrà un ruolo essenziale nei fenomeni di plasticità sinaptica (long-term potentiation
e long-term depression). Infine, il recettore NMDA è modulato dalla glicina; infatti la glicina
aumenta la probabilità di apertura del canale e quindi in sua presenza di glicina la risposta
NMDA aumenta di ampiezza.
78) Circuito nervoso implicato nella produzione dell’IPSP, indicando anche i microelettrodi di
registrazione e di stimolazione. Qual è la sua ampiezza minima? E la massima?
L’integrazione è un processo fondamentale svolto dai neuroni per valutare in ogni momento
se generare o non generare un potenziale d’azione. Il compartimento di input del neurone
subisce centinaia di afferenze, fra cui alcune eccitatorie ed altre inibitorie e, sulla base della
sommatoria di questi stimoli elettrotonici, nel compartimento di processazione del neurone
(ovvero il colletto assonico) verrà svolta la decision making task (ovvero il “to fire” or "not to
fire”). Se la somma dei vari EPSP che arrivano sul compartimento di input di un neurone,
sottratta a quella degli IPSP, darà un valore di corrente sopra soglia, scatterà il PdA e
avremo la conversione del fenomeno analogico in fenomeno digitale (tutto o nulla). Un
malfunzionamento di questa conversione può causare diverse patologie come paralisi o
generazione di spasmi incontrollati. Il fenomeno di integrazione dipende da diversi
parametri: natura e ampiezza del segnale; localizzazione dello stimolo (da una sinapsi più
vicina al colletto avremo uno stimolo che si attenua meno) e frequenza; potenziale di
membrana del post-sinaptico a riposo e la sua conduttanza; anche dalla storia della sinapsi
(processi di plasticità). A livello del compartimento di input gli EPSP possono essere
sommati fra loro sia con sommazione di tipo spaziale che di tipo temporale. La sommazione
spaziale prevede che il neurone sia stimolato nello stesso momento da due sinapsi che si
trovano in prossimità fra loro. Gli EPSP potranno infatti sommarsi aumentando la probabilità
di evocare un potenziale d’azione una volta giunti a livello del colletto assonico. In questo
caso, la sommazione spaziale sarà tanto più efficace tanto sarà maggiore la costante di
spazio lambda, che indica la lunghezza entro la quale l’ampiezza del fenomeno di
propagazione è decrementata del 63%. Viceversa, nel caso della sommazione temporale,
una stessa sinapsi va ad essere stimolata a breve intervallo di tempo: in questo caso, prima
che il fenomeno si attenui, gli EPSP prodotti dalla stessa sinapsi (che hanno durata media di
10ms) possono sempre sommarsi per poi essere valutati a livello del colletto assonico. Qui
entra in gioco la costante di tempo tau, che favorirà il fenomeno nel caso abbia un valore
elevato: in questo caso rappresenta il lasso di tempo entro il quale l’intensità del fenomeno è
decrementata sempre del 63%. Una volta sommati fra di loro e sottratti ad eventuali IPSP (la
somma non è lineare perché dipende appunto da tanti fattori) gli EPSP giungono a livello del
colletto assonico, dove è presente un’alta concentrazione di canali Na e K
voltaggio-dipendenti. Se si raggiunge il valore di soglia, molto bassa in questo
compartimento, si potrà generare il potenziale d’azione.
82) Dove e come si sommano gli impulsi di più sinapsi eccitatorie e inibitorie convergenti
su un motoneurone?
Gli impulsi si sommano attraverso un fenomeno che prende il nome di integrazione; ciò vale
solo per le sinapsi interneuroniche in quanto, nelle sinapsi neuroeffettrici, il calcolo viene già
fatto negli interneuroni che le precedono. L’integrazione è un processo fondamentale svolto
dai neuroni per valutare in ogni momento se generare o non generare un potenziale
d’azione. Il compartimento di input del neurone subisce centinaia di afferenze, fra cui alcune
eccitatorie ed altre inibitorie e, sulla base della sommatoria di questi stimoli elettrotonici, nel
compartimento di processazione del neurone (ovvero il colletto assonico) verrà svolta la
decision making task (ovvero il “to fire” or "not to fire”). Se la somma dei vari EPSP che
arrivano sul compartimento di input di un neurone, sottratta a quella degli IPSP, darà un
valore di corrente sopra soglia, scatterà il PdA e avremo la conversione del fenomeno
analogico in fenomeno digitale (tutto o nulla). Un malfunzionamento di questa conversione
può causare diverse patologie come paralisi o generazione di spasmi incontrollati. Il
fenomeno di integrazione dipende da diversi parametri: natura e ampiezza del segnale;
localizzazione dello stimolo (da una sinapsi più vicina al colletto avremo uno stimolo che si
attenua meno) e frequenza; potenziale di membrana del post-sinaptico a riposo e la sua
conduttanza; anche dalla storia della sinapsi (processi di plasticità). A livello del
compartimento di input gli EPSP possono essere sommati fra loro sia con sommazione di
tipo spaziale che di tipo temporale. La sommazione spaziale prevede che il neurone sia
stimolato nello stesso momento da due sinapsi che si trovano in prossimità fra loro. Gli
EPSP potranno infatti sommarsi aumentando la probabilità di evocare un potenziale
d’azione una volta giunti a livello del colletto assonico. In questo caso, la sommazione
spaziale sarà tanto più efficace tanto sarà maggiore la costante di spazio lambda, che indica
la lunghezza entro la quale l’ampiezza del fenomeno di propagazione è decrementata del
63%. Viceversa, nel caso della sommazione temporale, una stessa sinapsi va ad essere
stimolata a breve intervallo di tempo: in questo caso, prima che il fenomeno si attenui, gli
EPSP prodotti dalla stessa sinapsi (che hanno durata media di 10ms) possono sempre
sommarsi per poi essere valutati a livello del colletto assonico. Qui entra in gioco la costante
di tempo tau, che favorirà il fenomeno nel caso abbia un valore elevato: in questo caso
rappresenta il lasso di tempo entro il quale l’intensità del fenomeno è decrementata sempre
del 63%. Una volta sommati fra di loro e sottratti ad eventuali IPSP (la somma non è lineare
perché dipende appunto da tanti fattori) gli EPSP giungono a livello del colletto assonico,
dove è presente un’alta concentrazione di canali Na e K voltaggio-dipendenti. Se si
raggiunge il valore di soglia, molto bassa in questo compartimento, si potrà generare il
potenziale d’azione. Nel caso specifico del motoneurone il calcolo viene fatto prima del
colletto assonico e, se la sommatoria risulta sopra soglia, partirà un PdA che genera sempre
una riposta a livello della giunzione neuromuscolare, che quindi non ha bisogno di
integrazione (la sinapsi si dice infatti obbligata).
83) Come è possibile sommare gli effetti di più sinapsi eccitatorie convergenti su un
motoneurone? È possibile dire che se ci sono 20 sinapsi attive ottengo un EPSP di 10mV?
Gli impulsi si sommano attraverso un fenomeno che prende il nome di integrazione; ciò vale
solo per le sinapsi interneuroniche in quanto, nelle sinapsi neuroeffettrici, il calcolo viene già
fatto negli interneuroni che le precedono. L’integrazione è un processo fondamentale svolto
dai neuroni per valutare in ogni momento se generare o non generare un potenziale
d’azione. Il compartimento di input del neurone subisce centinaia di afferenze, fra cui alcune
eccitatorie ed altre inibitorie e, sulla base della sommatoria di questi stimoli elettrotonici, nel
compartimento di processazione del neurone (ovvero il colletto assonico) verrà svolta la
decision making task (ovvero il “to fire” or "not to fire”). Se la somma dei vari EPSP che
arrivano sul compartimento di input di un neurone, sottratta a quella degli IPSP, darà un
valore di corrente sopra soglia, scatterà il PdA e avremo la conversione del fenomeno
analogico in fenomeno digitale (tutto o nulla). Un malfunzionamento di questa conversione
può causare diverse patologie come paralisi o generazione di spasmi incontrollati. A livello
del compartimento di input gli EPSP possono essere sommati fra loro sia con sommazione
di tipo spaziale (due EPSP provenienti da sinapsi vicine tra loro si sommano, questa
dipende dalla costante di spazio lambda) che di tipo temporale (due EPSP avvengono a
frequenza ravvicinata in una stessa sinapsi, questa dipende dalla costante di tempo tau).
EPSP ha un’ampiezza di 0,5 mV e una durata di 10 ms, quindi, se prima che questo si
esaurisca totalmente (ovvero entro i 10 ms) ne arriva un secondo, i due EPSP si
sommeranno. Potremmo quindi essere portati a dire che 20 sinapsi eccitatorie attive sullo
stesso motoneurone portino ad un EPSP totale di 10 mV, MA questo non è vero perché
dobbiamo tenere di conto che tale sommazione NON è lineare; infatti il fenomeno di
integrazione dipende da diversi parametri: natura e ampiezza del segnale; localizzazione
dello stimolo (da una sinapsi più vicina al colletto avremo uno stimolo che si attenua meno) e
frequenza; potenziale di membrana del post-sinaptico a riposo e la sua conduttanza; anche
dalla storia della sinapsi (processi di plasticità).
84) Trasmissione sinaptica lenta e differenze con la trasmissione sinaptica veloce, con
particolare riferimento a fast e slow EPSP dei recettori colinergici.
85) Differenze tra i recettori nicotinici e muscarinici dell’Ach. Differenze tra gli EPSP
generati.
86) Descrivere il meccanismo dei late EPSP in termini di neurotrasmettitori, canali e correnti
ioniche.
In alcuni gangli del sistema nervoso autonomo che utilizzano l’acetilcolina come
neurotrasmettitore, si possono osservare stimoli diversi sul post-sinaptico i quali derivano
dall’attivazione di diversi recettori: possiamo avere un Fast-EPSP (quando Ach si lega ai
recettori nicotinici); uno Slow-EPSP (quando si lega invece ai muscarinici di tipo M1); uno
Slow-IPSP (con i recettori muscarinici di tipo M2) e infine un Late-Slow EPSP. Sebbene i
primi tre dipendano dall’attivazione di recettori colinergici rispettivamente ionotropici e
metabotropici, l’ultimo ha una natura molto complessa. Il Late-Slow EPSP è infatti uno
stimolo di natura depolarizzante che viene generato in seguito al legame di un fattore
proteico chiamato LHRH-like peptide, in quanto presenta una struttura primaria e secondaria
simile all’ormone di rilascio di LH (detto appunto LHRH). Questo fattore proteico agisce su
un particolare recettore metabotropico peptidergico, che induce una cascata segnalatoria
che termina con l’apertura dei canali voltaggio-dipendenti per i cationi sodio e calcio; in
contemporanea avremo anche la chiusura di alcuni canali voltaggio-dipendenti per il
potassio, così facendo si induce una depolarizzazione efficace ma molto sfasata nel tempo.
PLASTICITA’ SINAPTICA
Santiago Ramon y Cajal definì la plastica sinaptica come quella proprietà in virtù della quale
modificazioni funzionali durature si verificano in particolari sistemi di neuroni in seguito
all’applicazione di stimoli appropriati o alla combinazione di stimoli diversi. In altre parole si
tratta di modificare la forza sinaptica sulla base della storia della sinapsi stessa. Possiamo
distinguere questi fenomeni in due categorie: fenomeni di plasticità sinaptica a breve termine
e a lungo termine. In particolare i fenomeni di plasticità a breve termine hanno una durata
che parte dalle centinaia di ms fino alle decine di minuti, a seguito di uno stimolo adeguato
(ovvero una intensa attività sinaptica). Come effetto hanno un aumento o una diminuzione
dell'efficacia sinaptica e si possono ulteriormente suddividere in due meccanismi diversi: la
facilitazione/depressione e il potenziamento post-tetanico, entrambi hanno sempre effetto
sull’elemento presinaptico. Facilitazione e depressione si aggirano su tempi di circa 100 ms
poiché è su questa base di tempo che possiamo modificare la quantità di NT rilasciato. Nello
specifico i fenomeni di facilitazione si ottengono grazie ad un progressivo aumento del
transiente di calcio, che quindi aumenta la probabilità di rilascio del NT; lo stimolo efficace è
in questo caso uno stimolo di breve durata ma di elevata frequenza (50Hz). Nei fenomeni di
depressione, invece, si ha una deplezione del pool vescicolare così da diminuire l’efficacia
sinaptica; lo stimolo efficace è stavolta uno stimolo prolungato nel tempo ma a bassa
frequenza (15Hz), infatti a lungo andare, su una scarica di diversi PdA, il numero di
vescicole diminuisce considerevolmente.
Studiando la post-tetanic potentiation vedremo che essa si aggira su tempi intorno ai 10
minuti e che, in seguito ad una scossa tetanica (ovvero ad elevata frequenza), stimolando
nuovamente l’elemento presinaptico registreremo sul postsinaptico una risposta di molto
aumentata e che permane anche per tempi molto lunghi. La base molecolare di questo
fenomeno risiede nel fatto che l’ingresso massivo di calcio ottenuto con lo stimolo tetanico
causa delle cascate di segnalazione che terminano con la fosforilazione della sinapsina (una
proteina coinvolta nell’accoppiamento eccitazione/secrezione), la quale una volta attivata
rende maggiormente efficace il rilascio di vescicole di NT.
Santiago Ramon y Cajal definì la plastica sinaptica come quella proprietà in virtù della quale
modificazioni funzionali durature si verificano in particolari sistemi di neuroni in seguito
all’applicazione di stimoli appropriati o alla combinazione di stimoli diversi. In altre parole si
tratta di modificare la forza sinaptica sulla base della storia della sinapsi stessa. Possiamo
distinguere questi fenomeni in due categorie: fenomeni di plasticità sinaptica a breve termine
e a lungo termine. A sua volta la plasticità a lungo termine si divide in: Long Term
Potentiation (LTP) e Long Term Depression (LTD). La prima provocherà un aumento
dell’ampiezza di EPSP registrato sul postsinaptico, mentre la seconda ne determinerà una
diminuzione. Nello specifico lo stimo efficace per indurre LTP è dato da stimolazioni ad alta
frequenza per tempi brevi, mentre per indurre LTD saranno stimoli a bassa frequenza (1 Hz)
ma molto prolungati nel tempo (10-15 minuti).
Per studiare LTP ci spostiamo nell’ippocampo, il quale presenta una corteccia a 3 strati detta
Allocortex, in cui al centro si trovano i neuroni piramidali. Le regioni che ci interessano sono
il Giro Dentato e le varie porzioni del corno di Ammone (CA1, CA2, CA3). L’ingresso
dell’ippocampo è dato da una via perforante che prende contatto con le cellule granulari
(poste nel GD), queste a loro volta sinaptano con le cellule piramidali CA3 tramite le fibre
muscoidi. A loro volta le cellule piramidali CA3 prendono contatto con le CA1 tramite i
collaterali di Schaffer. Il meccanismo molecolare di LTP è incentrato sul recettore NMDA, il
media una corrente in ingresso di calcio, il quale agendo da secondo messaggero
determinerà un cascata segnalatoria che termina con un inserimento in membrana di nuovi
recettori AMPA che ipersensibilizzano la sinapsi per il glutammato. Le proprietà di LTP sono
specificità (prendendo due collaterali di Schaffer e inducendo LTP su uno solo dei due l’altro
non ne sarà influenzato) e associatività (se invece stimolo leggermente anche il secondo
collaterale insieme al primo avrò una piccola LTP anche su questo).
Parlando di LTD questa può avere meccanismi diversi a seconda che ci si trovi
nell’ippocampo o nel cervelletto. Nell’ippocampo avremo un transiente di calcio a bassa
intensità e per un tempo prolungato dovuto all’apertura del recettore-canale glutammatergico
NMDA, questo innesca una cascata di segnalazione che termina con l’internalizzazione dei
recettori AMPA di membrana. Avremo in questo caso una perdita di sensibilità al
glutammato. Nella LTD del cervelletto invece useremo il circuito cerebellare dato da una
corteccia a 3 strati, dove quello centrale è composto dai neuroni del Purkinje.
L’arborizzazione dendritica di questi neuroni riceve due tipi diversi di contatti eccitatori
glutammatergici: uno dalle fibre parallele (che sono tante e la attraversano a 90 gradi
facendo poche sinapsi ciascuna), l’altro dalle fibre rampicanti (una per ogni neurone del
Purkinje, questa però fa tante sinapsi). La LTD si realizza quando i segnali che arrivano dalle
diverse fibre coincidono. Con l’attivazione delle fibre parallele avremo la componente
ionotropica (data da AMPA) e poi quella metabotropica (che causa cascate di segnalazione).
Tale cascata di segnalazione fa aumentare i livelli dei secondi messaggeri diacilglicerolo
(DAG) e inositolo-trifosfato (IP3) che quindi prenderanno il ruolo di rilevatore di coincidenze
al posto di NMDA e causeranno, a fine di questa cascata, l’endocitosi clatrina-dipendente
dei canali AMPA. Anche qui avremo una perdita di sensibilità al glutammato.
89) Quali NT e recettori sono coinvolti nell'induzione di LTD nei circuiti neuronali
dell'ippocampo?
Santiago Ramon y Cajal definì la plastica sinaptica come quella proprietà in virtù della quale
modificazioni funzionali durature si verificano in particolari sistemi di neuroni in seguito
all’applicazione di stimoli appropriati o alla combinazione di stimoli diversi. In altre parole si
tratta di modificare la forza sinaptica sulla base della storia della sinapsi stessa. Possiamo
distinguere questi fenomeni in due categorie: fenomeni di plasticità sinaptica a breve termine
e a lungo termine. A sua volta la plasticità a lungo termine si divide in: Long Term
Potentiation (LTP) e Long Term Depression (LTD). Nello specifico lo stimo efficace per
indurre LTD è dato da stimolazioni a bassa frequenza (1 Hz) ma molto prolungate nel tempo
(10-15 minuti), questo tipo di stimolo provocherà una diminuzione dell’ampiezza di EPSP
registrato sul postsinaptico. La stessa LTD assume forme diverse a seconda che ci si trovi
nell’ippocampo o nel cervelletto (perché qui manca NMDA e dovremo usare altri rilevatori di
coincidenze come DAG e IP3). Approfondendo il circuito ippocampale, questo presenta una
corteccia a 3 strati detta Allocortex, in cui al centro si trovano i neuroni piramidali. Le regioni
che ci interessano sono il Giro Dentato e le varie porzioni del corno di Ammone (CA1, CA2,
CA3). L’ingresso dell’ippocampo è dato da una via perforante che prende contatto con le
cellule granulari (poste nel GD), queste a loro volta sinaptano con le cellule piramidali CA3
tramite le fibre muscoidi. A loro volta le cellule piramidali CA3 prendono contatto con le CA1
tramite i collaterali di Schaffer. Il meccanismo in questo caso, a seguito dello stimolo
efficace, avremo un transiente di calcio a bassa intensità e per un tempo prolungato dovuto
all’apertura del recettore-canale glutammatergico NMDA attiva due fosfatasi, ovvero
calcineurina e PP1. Queste fosfatasi causano una internalizzazione dei recettori AMPA. Un
meccanismo che causa questa internalizzazione è quello che prevede l’attivazione di un
sensore del calcio chiamato Hippocalcina, una proteina che presenta un gruppo miristoil,
ovvero un gruppo acido-grasso che rende la proteina in grado di interagire col doppio strato
fosfolipidico. Di norma il gruppo sta dentro la proteina, ma quando si lega il calcio viene
esposto. Contemporaneamente viene anche favorita l’interazione dell’Hippocalcina con
un’altra proteina citoplasmatica di adattamento chiamata AP2, la quale riconosce AMPA e
media il legame sulla membrana dell’Hippocalcina proprio nelle zone dove sono presenti
questi recettori. Con questa interazione viene innescata l’associazione della clatrina e si ha il
segnale trigger che causa l’internalizzazione clatrina-dipendente del complesso
Hippocalcina-AP2-AMPA. In conclusione, la diminuzione del numero di recettori AMPA
presenti sull’elemento post-sinaptico causa una perdita di sensibilità al glutammato.
90) Recettori e neurotrasmettitori nell'induzione di LTD nel circuito neurale del cervelletto.
Santiago Ramon y Cajal definì la plastica sinaptica come quella proprietà in virtù della quale
modificazioni funzionali durature si verificano in particolari sistemi di neuroni in seguito
all’applicazione di stimoli appropriati o alla combinazione di stimoli diversi. In altre parole si
tratta di modificare la forza sinaptica sulla base della storia della sinapsi stessa. Possiamo
distinguere questi fenomeni in due categorie: fenomeni di plasticità sinaptica a breve termine
e a lungo termine. A sua volta la plasticità a lungo termine si divide in: Long Term
Potentiation (LTP) e Long Term Depression (LTD). Nello specifico lo stimo efficace per
indurre LTD è dato da stimolazioni a bassa frequenza (1 Hz) ma molto prolungate nel tempo
(10-15 minuti), questo tipo di stimolo provocherà una diminuzione dell’ampiezza di EPSP
registrato sul postsinaptico. La stessa LTD assume forme diverse a seconda che ci si trovi
nell’ippocampo o nel cervelletto. Nel primo il rilevatore di coincidenze è dato dal
canale-recettore glutammatergico NMDA, mentre nel secondo caso (essendo quest’ultimo
assente) avremo dei secondi messaggeri che ne fanno le veci, ovvero DAG e IP3.
Approfondendo il circuito cerebellare vediamo che esso ha una corteccia a 3 strati, dove
quello centrale è composto dai neuroni del Purkinje. L’arborizzazione dendritica di questi
neuroni riceve due tipi diversi di contatti eccitatori glutammatergici: uno dalle fibre parallele
(che sono tante e la attraversano a 90 gradi facendo poche sinapsi ciascuna), l’altro dalle
fibre rampicanti (una per ogni neurone del Purkinje, questa però fa tante sinapsi). La LTD si
realizza quando i segnali che arrivano dalle diverse fibre coincidono. Con l’attivazione delle
fibre parallele avremo la componente ionotropica (data da AMPA) e poi quella metabotropica
(che causa cascate di segnalazione). Tale cascata di segnalazione fa aumentare i livelli dei
secondi messaggeri diacilglicerolo (DAG) e inositolo-trifosfato (IP3) che quindi prenderanno
il ruolo di rilevatore di coincidenze al posto di NMDA. Questi, insieme al calcio, instaurano un
meccanismo di feedback positivo reciproco (alti livelli di secondi messaggeri innescano
ulteriore rilascio di calcio dal REL). L’alto livello di calcio, DAG e IP3 inoltre attiva la
protein-chinasi C (PKC) che fosforila i recettori AMPA causandone l’endocitosi
clatrina-dipendente; diminuendo il numero di recettori si ha una perdita di sensibilità al
glutammato. Alle fibre parallele, infine, si associa anche la produzione di ossido nitrico (NO)
che, essendo un NT di natura gassosa, permea dall’elemento presinaptico a quello
postsinaptico, dove attiva una cascata di segnalazione che coinvolge proteine G e cGMP,
che attivano la protein-chinasi G. Questa serve a inibire (tramite fosforilazione) la fosfatasi
che andrebbe a rimuovere la fosforilazione dai canali AMPA (dunque fa sì che questa
rimanga permanente).
Santiago Ramon y Cajal definì la plastica sinaptica come quella proprietà in virtù della quale
modificazioni funzionali durature si verificano in particolari sistemi di neuroni in seguito
all’applicazione di stimoli appropriati o alla combinazione di stimoli diversi. In altre parole si
tratta di modificare la forza sinaptica sulla base della storia della sinapsi stessa. Possiamo
distinguere questi fenomeni in due categorie: fenomeni di plasticità sinaptica a breve termine
e a lungo termine. A sua volta la plasticità a lungo termine si divide in: Long Term
Potentiation (LTP) e Long Term Depression (LTD). Nello specifico lo stimo efficace per
indurre LTD è dato da stimolazioni a bassa frequenza (1 Hz) ma molto prolungate nel tempo
(10-15 minuti), questo tipo di stimolo provocherà una diminuzione dell’ampiezza di EPSP
registrato sul postsinaptico. La stessa LTD assume forme diverse a seconda che ci si trovi
nell’ippocampo o nel cervelletto. Nel primo il rilevatore di coincidenze è dato dal
canale-recettore glutammatergico NMDA, mentre nel secondo caso (essendo quest’ultimo
assente) avremo dei secondi messaggeri che ne fanno le veci, ovvero DAG e IP3.
Approfondendo il circuito cerebellare vediamo che esso ha una corteccia a 3 strati, dove
quello centrale è composto dai neuroni del Purkinje. L’arborizzazione dendritica di questi
neuroni riceve due tipi diversi di contatti eccitatori glutammatergici: uno dalle fibre parallele
(che sono tante e la attraversano a 90 gradi facendo poche sinapsi ciascuna), l’altro dalle
fibre rampicanti (una per ogni neurone del Purkinje, questa però fa tante sinapsi). La LTD si
realizza quando i segnali che arrivano dalle diverse fibre coincidono. Con l’attivazione delle
fibre parallele avremo la componente ionotropica (data da AMPA) e poi quella metabotropica
(che causa cascate di segnalazione). Tale cascata di segnalazione fa aumentare i livelli dei
secondi messaggeri diacilglicerolo (DAG) e inositolo-trifosfato (IP3) che quindi prenderanno
il ruolo di rilevatore di coincidenze al posto di NMDA. Questi, insieme al calcio, instaurano un
meccanismo di feedback positivo reciproco (alti livelli di secondi messaggeri innescano
ulteriore rilascio di calcio dal REL). L’alto livello di calcio, DAG e IP3 inoltre attiva la
protein-chinasi C (PKC) che fosforila i recettori AMPA causandone l’endocitosi
clatrina-dipendente; diminuendo il numero di recettori si ha una perdita di sensibilità al
glutammato. Alle fibre parallele, infine, si associa anche la produzione di ossido nitrico (NO)
che, essendo un NT di natura gassosa, permea dall’elemento presinaptico a quello
postsinaptico, dove attiva una cascata di segnalazione che coinvolge proteine G e cGMP,
che attivano la protein-chinasi G. Questa serve a inibire (tramite fosforilazione) la fosfatasi
che andrebbe a rimuovere la fosforilazione dai canali AMPA (dunque fa sì che questa
rimanga permanente).
FISIOLOGIA MUSCOLARE
Per accoppiare l’arrivo del potenziale d’azione, innescato dal motoneurone, alla contrazione
della fibra muscolare, è necessario un fine sistema di controllo. In vivo, l’actina è
accompagnata per tutta la sua lunghezza da proteine regolatorie, rappresentate dalla
troponina e dalla tropomiosina. La troponina è una proteina globulare composta da 3
subunità: la troponina C (che lega il calcio), la troponina T (che prende rapporto con la
tropomiosina), e la troponina I (che inibisce la formazione dei cross-bridges). La
tropomiosina è invece una proteina filamentosa che si intromette nel solco che si viene a
formare nella struttura coiled-coil dell’F-actina, che costituisce i miofilamenti sottili. All’arrivo
del potenziale d’azione innescato dall’EPP sopra soglia, vengono stimolati particolari
recettori voltaggio-dipendenti presenti a livello dei tubuli T, i recettori diidropiridinici.
I tubuli trasversali, o tubuli T, sono invaginazioni del sarcolemma in stretto contatto
con le cisterne terminali, le quali invece sono strutture del reticolo sarcoplasmatico formate
da tubuli longitudinali. I tubuli longitudinali rappresentano i siti di immagazzinamento del
calcio intracellulare (che fisiologicamente è sub-micromolare, mentre il calcio libero
all’interno del reticolo sarcoplasmatico invece risulta essere circa 10−3 M). Essendo
invaginazioni del sarcolemma, i tubuli T costituiscono una via di conduzione privilegiata
attraverso la quale il potenziale d’azione di superficie può essere condotto in profondità, fino
alle cisterne terminali. Le membrane dei tubuli T, a livello delle triadi, contengono i recettori
per la diidropiridina (DHP), ovvero dei canali calcio voltaggio-dipendenti. La funzione di
questi canali, più che l’ingresso di calcio extracellulare, è quella di trasdurre il segnale del
PdA al reticolo sarcoplasmatico. Quando arriva la depolarizzazione questi subiscono una
modificazione conformazionale che viene percepita dal reticolo sarcoplasmatico grazie ai
recettori per la rianodina (RYR), posti nella regione del piede (in concomitanza con la
tetrade). Il cambio conformazionale dei DHP induce meccanicamente l’apertura dei RYR
che, essendo anch’essi dei canali al calcio, inducono un transiente dal reticolo
sarcoplasmatico al mioplasma (secondo gradiente di concentrazione). A questo punto, il
calcio può legarsi alla troponina C, inducendo un cambiamento conformazionale mediato
dalle altre due subunità che permette la rotazione della tropomiosina, che staccandosi
dall’actina le permette di esporre i suoi siti di legame per le teste miosiniche. A questo punto,
può avvenire il ciclo del crossbridge. Alla fine della stimolazione, il calcio si distacca dalla
troponina C e la formazione dei cross-bridges torna ad essere inibita dal sistema
tropomiosina-troponina. Lo ione calcio staccato viene nuovamente ripompato contro
gradiente nel REL grazie alle pompe SERCA (con consumo di ATP) e una volta dentro viene
mantenuto stabile dalla calsequestrina.
Il sarcomero è l’unità morfofunzionale del muscolo striato. I sarcomeri sono elementi lunghi
2,2 micrometri (a riposo) e posti in serie all’interno delle miofibrille (poste invece in parallelo),
quindi l’accorciamento del muscolo sarà dato dalla somma dell’accorciamento dei singoli
sarcomeri mentre la forza del muscolo corrisponderà alla forza sviluppata dal singolo
sarcomero. Tramite microscopia elettronica possiamo distinguere una striatura molto
evidente: avremo un’alternanza di bande chiare (dette I) e di bande scure (dette A). La
banda I (isotropa) è composta esclusivamente da filamenti sottili e al suo centro si trova la
linea Z (una linea più scura che serve per l'ancoraggio di filamenti sottili e proteine
strutturali). La banda A (anisotropa) invece comprende entrambi i filamenti, più nel dettaglio
troviamo al centro la zona H, leggermente più chiara in quanto presenta esclusivamente
filamenti spessi ancorati alla linea M (linea scura al centro della zona H costituita dalla
proteina miomesina), mentre ai suoi lati abbiamo porzioni più scure che corrispondono alla
sovrapposizione di entrambi i filamenti. Il sarcomero dunque è quella porzione compresa tra
due linee Z, che comprende due emibande I e una banda A tra loro interposta. Durante la
contrazione si avrà un accorciamento del sarcomero, ma senza che i filamenti cambino
lunghezza (questo sta alla base della teoria dello scorrimento dei filamenti), osserveremo
quindi una riduzione netta della banda I, perché i miofilamenti sottili scorrono verso l’interno,
fino ad invadere anche la zona H (che quindi si accorcia). Solo la banda A non varierà
complessivamente di lunghezza. Entrando nello specifico dei miofilamenti, i filamenti sottili
sono composti in prevalenza da una doppia elica di G-actine polimerizzate tra loro, nel cui
solco sono disposte ulteriori proteine regolatorie (troponina e tropomiosina). I filamenti
spessi invece sono costituiti dalla polimerizzazione della miosina, una proteina molto grande
e esamerica che possiede due catene pesanti e quattro leggere. Le catene pesanti
presentano una lunga coda (regione coiled-coil) e una testa globulare che fuoriesce dalla
regione del collo. Le catene pesanti sono dette MHC e la loro testa comprende due siti
fondamentali: un sito attivo che lega ATP e un sito allosterico per l’actina. La banda H è
dovuta appunto alla struttura della miosina, in quando le code sono agganciate alla linea M e
presenteranno una prima parte priva di teste, detta zona nuda. Studiando la disposizione dei
miofilamenti con tecniche di diffrazione a raggi X osserviamo che questa è estremamente
simmetrica: ogni filamento sottile ha intorno a sé un triangolo di filamenti spessi, mentre ogni
filamento spesso è circondato da sei filamenti sottili.
Oltre ai filamenti nel sarcomero sono presenti altre proteine di cui le più importanti sono titina
(responsabile delle caratteristiche passive del muscolo) e nebulina (che ancora i filamenti
sottili alla linea Z).
) Isoforme MHC
Nell’uomo adulto esistono tre isoforme di motori molecolari (MHC) che sono diverse
soprattutto nella sequenza aminoacidica della porzione della testa, la porzione globulare
(porzione motore); piccole differenze ci sono anche nella regione delle code ma non hanno
un interesse funzionale o, se ce l’hanno, è sconosciuto. Quindi le differenze tra i diversi tipi
di motore sono dovute a differenze di sequenze della testa. Le tre isoforme principali sono
dovute a espressione di geni diversi, i quali daranno il nome alle corrispondenti fibre
muscolari di cui saranno il tipo costitutivo o dominante: nelle fibre di tipo I troviamo
l’espressione della MHC-1, nelle fibre di tipo IIa troveremo MHC-IIa, nelle fibre di tipo IIx,
invece, troveremo la MHC-IIx. Le fibre di tipo I sono quelle lente mentre quelle di tipo II sono
quelle veloci; in particolare, quelle più veloci di tutte sono quelle di tipo IIx. Molte delle
proprietà dei diversi tipi di fibre muscolari e quindi anche dei muscoli delle quali fanno parte,
dipenderanno dalle proprietà delle diverse isoforme di MHC presenti. Nell’uomo però non
esistono soltanto questi tre geni per la MHC, ne esistono molti di più. Innanzitutto, questi
geni sono disposti sul cromosoma 17 e sul cromosoma 14. Il gene per la MHC-I è sul
cromosoma 14 mentre quelli per le MHC di tipo II sono sul cromosoma 17. Ci sono anche
altri geni, vediamo in particolare quello per la MHC-alfa (quella espressa dal miocardio
atriale, dal momento in cui nel miocardio ventricolare è espressa la MHC I, nota anche come
MHC-beta) Ci sono poi delle isoforme tipiche della vita embrionale e neonatale
(rispettivamente MHC-embrional e MHC-neonata) i cui geni non sono espressi nell’individuo
adulto; sono però degli indici molto importanti per il neurologo o comunque per chi si occupa
di patologie muscolari in quanto la riespressione di questi geni e la conseguente
riindividuazione di queste isoforme nel muscolo adulto sono indice, molto spesso, di
patologie associate ad atrofia muscolare. Un altro segno importante che si associa a
patologie di tipo muscolare è la tendenza dei nuclei delle fibre muscolari scheletriche, che di
solito si trovano tutti in periferia, di centralizzarsi. Questa riespressione di questi geni, oltre a
essere riassociata a patologie, è anche associata all’atrofia muscolare che consegue
all’invecchiamento.
Esistono anche altre tipologie di geni che non sono mai espressi nella specie umana;
parliamo della MHC-IIb e MHC-m, sono miosine estremamente rapide.
96) Descrivi la struttura delle proteine strutturali del sarcomero e del costamero.
Il sarcomero è l’unità morfofunzionale del muscolo striato. I sarcomeri sono elementi lunghi
2,2 micrometri (a riposo) e posti in serie all’interno delle miofibrille (poste invece in parallelo),
quindi l’accorciamento del muscolo sarà dato dalla somma dell’accorciamento dei singoli
sarcomeri mentre la forza del muscolo corrisponderà alla forza sviluppata dal singolo
sarcomero. Tramite microscopia elettronica possiamo distinguere una striatura molto
evidente: avremo un’alternanza di bande chiare (dette I) e di bande scure (dette A). La
banda I (isotropa) è composta esclusivamente da filamenti sottili e al suo centro si trova la
linea Z (una linea più scura che serve per l'ancoraggio di filamenti sottili e proteine
strutturali). La banda A (anisotropa) invece comprende entrambi i filamenti, più nel dettaglio
troviamo al centro la zona H, leggermente più chiara in quanto presenta esclusivamente
filamenti spessi ancorati alla linea M (linea scura al centro della zona H costituita dalla
proteina miomesina), mentre ai suoi lati abbiamo porzioni più scure che corrispondono alla
sovrapposizione di entrambi i filamenti. All’interno del sarcomero, oltre ai miofilamenti, ci
sono poi altre proteine strutturali di cui le più importanti sono titina e nebulina. La prima è
una proteina gigante responsabile delle caratteristiche passive del muscolo e dunque della
resistenza elastica. E’ responsabile anche della stabilità del sarcomero in quanto tiene in
posizione i filamenti. Questa proteina ha origine dalle linee Z e lungo la banda I ha un
dominio elastico che risponde alle variazione di lunghezza seguendo la legge di Hooke (F =
k deltax), questo dominio prende il nome di IG-like, (perché ricorda le immunoglobuline)
oppure PEVK. Ha poi una porzione non distendibile associata ai filamenti spessi della banda
A. La nebulina è una proteina filamentosa e serve ad ancorare i filamenti sottili alla linea Z
(oltre ad avere, probabilmente, funzioni regolatrici). Nel muscolo cardiaco al posto della
nebulina abbiamo una forma più corta, la nebulette. Inoltre, per associare il sarcomero al
sarcolemma e consentire l'accoppiamento tra contrazione delle singole miofibrille e
contrazione dell’intero muscolo, abbiamo un complesso proteico che prende il nome di
costamero. All’interno del costamero abbiamo ad esempio, la desmina che si connette ai
filamenti sottili e prende contatto, grazie a vinculina, talina e integrina, con il sarcolemma per
accoppiare i due. Abbiamo inoltre la distrofina, ovvero una proteina filamentosa che prende
contatto con gli elementi contrattili e si connette ad un complesso glicoproteico
transmembrana, i distroglicani, che si associano alle componenti connettivali. Mutazioni del
gene della distrofina sono alla base di alcune patologie muscolari note come distrofie (per
esempio la distrofia di Duchenne e di Becker).
Il sarcomero è l’unità morfofunzionale del muscolo striato. I sarcomeri sono elementi lunghi
2,2 micrometri (a riposo) e posti in serie all’interno delle miofibrille (poste invece in parallelo),
quindi l’accorciamento del muscolo sarà dato dalla somma dell’accorciamento dei singoli
sarcomeri mentre la forza del muscolo corrisponderà alla forza sviluppata dal singolo
sarcomero. Tramite microscopia elettronica possiamo distinguere una striatura molto
evidente: avremo un’alternanza di bande chiare (dette I) e di bande scure (dette A). La
banda I (isotropa) è composta esclusivamente da filamenti sottili e al suo centro si trova la
linea Z (una linea più scura che serve per l'ancoraggio di filamenti sottili e proteine
strutturali). La banda A (anisotropa) invece comprende entrambi i filamenti, più nel dettaglio
troviamo al centro la zona H, leggermente più chiara in quanto presenta esclusivamente
filamenti spessi ancorati alla linea M (linea scura al centro della zona H costituita dalla
proteina miomesina), mentre ai suoi lati abbiamo porzioni più scure che corrispondono alla
sovrapposizione di entrambi i filamenti. Il sarcomero dunque è quella porzione compresa tra
due linee Z, che comprende due emibande I e una banda A tra loro interposta. Durante la
contrazione si avrà un accorciamento del sarcomero, ma senza che i filamenti cambino
lunghezza, questo sta alla base della teoria dello scorrimento dei filamenti. La teoria dello
scorrimento dei filamenti risale al 1954 grazie a due gruppi di ricerca indipendenti, quello di
Sir Andrew Huxley e quello di Hugh Huxley. Il primo studiò l'accorciamento delle bande in
fibre isolate, il secondo idem ma in miofibrille isolate, notarono entrambi che l’accorciamento
avveniva completamente a carico della banda I e della zona H, lasciando invariata la banda
A e dimostrando che erano i filamenti sottili a scorrere sopra ai filamenti spessi, senza però
avere accorciamento degli stessi.
Il ciclo dei crossbridge rappresenta il ciclo di attacco e distacco della miosina dall’actina
responsabile della contrazione muscolare. La miosina presenta una struttura esamerica con
quattro subunità leggere e due pesanti. Nelle due pesanti abbiamo una coda e due teste,
ciascuna delle quali presenterà un sito allosterico (che lega l’actina) e un sito attivo (per
l’ATP). Infatti la miosina è un enzima della classe ATP-asi che presenta nel suo sito attivo
alta affinità per l’ATP, il quale una volta legato andrà incontro ad idrolisi in ADP + Pi, che
essendo meno affini al sito si distaccheranno. Su questo principio ha la sua base molecolare
il ciclo dei cross-bridges. Per descrivere questo ciclo partiamo dalla fase in cui la miosina ha
legato l’ATP e l’actina si trova ancora staccata [siamo nel complesso M-ATP].
Successivamente l’actina presente nel sito allosterico velocizza il processo di idrolisi
dell’ATP presente nel sito attivo, che quindi si scinde in ADP + Pi [M-ADP-Pi]. La scissione di
ATP permette un legame debole tra actina e miosina. Con l’arrivo di calcio (liberato dalla
stimolazione del muscolo) questo si lega alla troponina C e di conseguenza annulla
l'inibizione della tropomiosina, esponendo i siti attivi. Viene a questo punto rilasciato il Pi e si
forma il legame forte tra miosina e actina causando il power-stroke [A-M-ADP]. Segue una
ulteriore perdita di affinità per i prodotti del sito attivo, che quindi rilascia anche l’ADP [A-M].
A questo punto il sito attivo della miosina è libero e può legare nuovamente l’ATP, che in
questo caso porterà ad una perdita di affinità tra il sito allosterico della miosina e l’actina,
determinandone un rilascio [M-ATP], in questo modo il ciclo si è chiuso e può iniziare
nuovamente.
IN PIU’ (extra)
Il grafico forza-tempo per la condizione isometrica mostra come la tensione sviluppata
dal muscolo aumenti fino al raggiungimento del plateau isometrico, oltre il quale la
tensione non può più aumentare, in quanto rappresenta la massima forza sviluppabile.
In seguito all’interruzione della stimolazione o all’intervento della fatica muscolare, la
forza si annulla.
Nel grafico velocità-tempo notiamo come la velocità sia nulla, essendo nullo
l’accorciamento, dato che ci troviamo in condizioni isometriche, in cui, per definizione,
la lunghezza rimane costante.
Il sarcomero è l’unità morfofunzionale del muscolo striato. I sarcomeri sono elementi lunghi
2,2 micrometri (a riposo) e posti in serie all’interno delle miofibrille (poste invece in parallelo),
quindi l’accorciamento del muscolo sarà dato dalla somma dell’accorciamento dei singoli
sarcomeri mentre la forza del muscolo corrisponderà alla forza sviluppata dal singolo
sarcomero. Tramite microscopia elettronica possiamo distinguere una striatura molto
evidente: avremo un’alternanza di bande chiare (dette I) e di bande scure (dette A). La
banda I (isotropa) è composta esclusivamente da filamenti sottili e al suo centro si trova la
linea Z (una linea più scura che serve per l'ancoraggio di filamenti sottili e proteine
strutturali). La banda A (anisotropa) invece comprende entrambi i filamenti, più nel dettaglio
troviamo al centro la zona H, leggermente più chiara in quanto presenta esclusivamente
filamenti spessi ancorati alla linea M (linea scura al centro della zona H costituita dalla
proteina miomesina), mentre ai suoi lati abbiamo porzioni più scure che corrispondono alla
sovrapposizione di entrambi i filamenti. Il sarcomero dunque è quella porzione compresa tra
due linee Z, che comprende due emibande I e una banda A tra loro interposta. Durante la
contrazione si avrà un accorciamento del sarcomero, ma senza che i filamenti cambino
lunghezza (questo sta alla base della teoria dello scorrimento dei filamenti), osserveremo
quindi una riduzione netta della banda I, perché i miofilamenti sottili scorrono verso l’interno,
fino ad invadere anche la zona H (che quindi si accorcia). Solo la banda A non varierà
complessivamente di lunghezza. Per studiare in che modo la disposizione dei miofilamenti
su lunghezze variabili del sarcomero influenza la forza sviluppabile ci poniamo in condizioni
isometriche e seguiamo il grafico della relazione tensione-lunghezza.
Con una lunghezza del sarcomero compresa fra 2 e 2,25 micrometri, avremo la massima
tensione attiva che si può sviluppare: questo perché i due tipi di miofilamenti sono disposti
ordinatamente in modo cui si abbia la massima formazione di cross bridges. Aumentando la
lunghezza dei sarcomeri, avremo un graduale decremento della tensione attiva, perché
sempre meno teste miosiniche riusciranno ad interagire con i miofilamenti sottili. La tensione
raggiunge lo 0 con valori di lunghezza pari a 3,65 micrometri: in questo caso avremo che la
formazione di cross bridges è impossibile, e il sarcomero acquista una lunghezza pari alla
somma lineare delle due linee Z, dei miofilamenti spessi e sottili. Viceversa, con valori di
lunghezza sarcomerica inferiori a 2 micrometri assisteremo nuovamente a un graduale
decremento della tensione, fino all’arrivo dello zero con una lunghezza di 1,05. In questo
caso, i miofilamenti sottili si sovrappongono fra loro a livello della linea M e impediscono un
fisiologico ciclo di crossbridge, annullando nuovamente la tensione sviluppata.
101) Descrivi la relazione forza-velocità e tratta le differenze che ci sono tra muscolo
scheletrico e muscolo liscio.
Per studiare la relazione forza-velocità nel muscolo, è necessario creare una condizione
sperimentale in cui il carico venga mantenuto costante a livello del muscolo, osservando
come varia la velocità di contrazione in base al primo parametro. Ci troviamo dunque in una
condizione isotonica, che rende il muscolo capace di produrre lavoro (L=Fxs), a differenza
della condizione isometrica, in cui non essendoci un accorciamento il lavoro prodotto è nullo.
Ogni fase isotonica è preceduta da una fase isometrica in cui il muscolo non si accorcia, ma
comincia a sviluppare forza. Questa forza continua ad incrementare finché non eguaglia il
carico: a questo punto, sotto stimolo elettrico, il muscolo può procedere con la contrazione,
accorciandosi. Con l’aumento del carico, avremo un aumento della durata della fase
isometrica, una diminuzione della velocità e una diminuzione dell’accorciamento finale. I dati
possono essere schematizzati su un grafico che assume la forma di un’iperbole. L’iperbole
interseca l’asse delle ordinate (rappresentato dalla velocità) in un punto definito come la
velocità massima di contrazione. Si tratta di un parametro estremamente variabile che
risente della sommazione dei sarcomeri disposti in serie: dipende quindi da vari fattori fra cui
la lunghezza del muscolo e l’isoforma della miosina (I, IIa o IIx). Per questo si normalizza in
base alla lunghezza a riposo: solitamente la Vmax corrisponde a circa 6 Lo/s. L’iperbole
intercetta l’asse delle ascisse (tensione, la forza sviluppata) in P0, ovvero la massima
tensione sviluppabile. Con carichi superiori a P0, il muscolo non si contrae, comincia invece
una fase di allungamento progressivo. Con valori poi addirittura superiori a 2Po, si ha il
cedimento: l’allungamento cresce a picco e porta a lesioni evidenti del tessuto.
102) In condizioni isotoniche, l’accorciamento dipende dal carico. Vero o falso? Se vero,
perché?
103) Che cosa si intende per potenza muscolare e qual è la sua unità di misura?
La potenza è lavoro su unità di tempo e si ottiene dal prodotto tra forza e velocità di
accorciamento del muscolo, dunque per avere un grafico della potenza si prendono tutti i
punti del grafico tensione-velocità (ottenuto in condizione isometrica bloccando ad una
determinata lunghezza e registrando la tensione sviluppata) e si moltiplicano tra loro. Il
grafico avrà dunque forma a campana con due valori allo zero, ovvero quando ho Vmax
(perché la velocità massima di accorciamento si registra quando non ho pesi posti in serie e
quindi la la tensione è zero), e quando ho Tmax (perché la tensione massima si registra
quando ho un peso troppo grande per avere accorciamento e sono in condizioni
isometriche, la velocità quindi è zero). La relazione ha un picco che corrisponde circa ad un
terzo del grafico forza-velocità. Quando il muscolo si accorcia parliamo di contrazione
concentrica, invece quando si lavora in allungamento si parla di contrazione eccentrica (la
otteniamo quando in condizioni isotoniche applichiamo un peso 2 volte superiore alla
massima tensione sviluppabile, dopo il quale poi il muscolo cede). Essendo dipendente dal
grafico forza-velocità, anche la potenza è influenzata dalla temperatura (che però nell’uomo
gioca un ruolo scarso poiché siamo animali omeotermi) e dal tipo di fibra muscolare. In
particolare studiando i grafici di fibre di tipo I, fibre di tipo IIa e fibre di tipo IIx vediamo che il
tipo I è molto lento e ha un basso turnover, il tipo IIx invece è molto rapido, mentre il tipo IIa
è intermedio. Quindi le IIx arrivano a Vmax molto elevate, mentre le Fmax, quando vengono
normalizzate per il diametro (dunque Tmax) diventano quasi identiche. Le IIx saranno allora
fibre di potenza per eccellenza, mentre le I saranno invece di resistenza. Si tenga comunque
presente che ogni muscolo dell’uomo è misto, ovvero contiene diversi tipi di fibre.