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VISCOSITA’

0) Viscosità

Si definisce “viscosità di un fluido” la difficoltà che strati diversi del fluido hanno nello
scorrere gli uni rispetto agli altri. Più è grande la difficoltà di scorrimento di un fluido,
maggiore è la viscosità dello stesso. Prendiamo ad esempio due superfici piane e parallele
di area A, poste a distanza h, e applichiamo una forza parallela alla superficie in modo da
mantenere un movimento stazionario (a velocità costante). Sperimentalmente scopriamo
che la forza F necessaria per farle scorrere è proporzionale all’area A e al gradiente di
velocità dv/dx. Il rapporto tra forza e superficie F/A non rappresenta una pressione in quanto
la forza è parallela alla superficie e non perpendicolare, ma tuttavia ha la stessa unità di
misura, ovvero Pascal (Pa). La costante di proporzionalità eta si chiama coefficiente di
viscosità e ha come unità di misura i Pascal per secondo nel SI, mentre nel sistema CGS è il
poise (che vale un decimo del Pa x s). La viscosità dipende dalla temperatura (con
l’aumentare della temperatura l’acqua diventa più fluida) e dalle dimensioni dell'oggetto.
Infatti ad una data temperatura costante, maggiore è la dimensione dell'oggetto minore è la
viscosità e viceversa, questo perché se la superficie è maggiore il fluido deve esercitare su
di essa una forza maggiore.
Il numero di Reynolds rappresenta il rapporto tra le forze di tipo inerziale e le forze di tipo
viscoso che agiscono su un corpo; le prime tengono conto della massa dell’oggetto (grosso
modo come se fosse la forza necessaria a fermare un oggetto con una certa massa e
velocità), le seconde sono le forze che si oppongono al movimento a causa della viscosità.
La grandezza di questa forza dipende da come il fluido fluisce attorno all’oggetto che a sua
volta dipende dal numero di Reynolds: Re = (rho x L x v) / eta . In questa formula rho è la
densità del fluido (nel caso dell’acqua 1kg/L), L è la lunghezza caratteristica dell’oggetto
lungo la direzione del moto, v è la velocità dell’oggetto e eta è il coefficiente di viscosità
dell'acqua. Per bassi numeri di Reynolds (Re<1), le forze viscose sono più importanti delle
forze inerziali e la forza F è proporzionale alla velocità, secondo la formula F = −gamma x v
(dove gamma è il coefficiente di resistenza viscosa).
In condizioni particolari, per un oggetto sferico che si muove in un fluido, gamma si può
calcolare ed è pari a: gamma = 6 eta x rho x pigreco. Di conseguenza la forza che si oppone
al moto vale: F = − gamma x v = - 6 pigreco x eta x rv che rappresenta la legge di Stokes.
Questa legge vale solo se l’oggetto trascina con sé il primo strato di fluido (cosa che accade
quasi sempre).

DIFFUSIONE

1) Cos’è la diffusione? Come si studia?

La diffusione è la migrazione casuale di molecole o particelle che nasce dal moto indotto
dall’energia termica. È un movimento estremamente efficace su distanze minime ma
completamente insufficiente per lo spostamento su distanze maggiori. La forza che muove il
soluto è il gradiente di concentrazione (definito come dC/dx), che tende ad abbassare la
differenza di concentrazione dei due compartimenti. Tale forza è infatti direttamente
proporzionale alla differenza di concentrazione e inversamente proporzionale alla distanza
fra i due compartimenti. In ogni momento, casualmente, il soluto diffusibile urta la membrana
e passa all’altro compartimento, si tratta quindi di un fenomeno passivo (non utilizza ATP).
Siccome nel compartimento a minor concentrazione avremo un numero minore di soluti,
sarà anche minore la probabilità che un soluto passi nel compartimento più concentrato.
Avremo quindi un flusso netto di soluto dalla zona più concentrata a quella meno
concentrata. Col tempo raggiungeremo una situazione di equilibrio dinamico, ovvero la
diffusione verso un compartimento o l’altro è la stessa. Per studiare la diffusione è utile
analizzare la legge di Fick (vedi sotto).

2) Scrivere la Legge di Fick e spiegarne gli elementi.

La legge di Fick si usa per studiare la diffusione. Ha formula: dS/dt=-DA(dC/dx). dS/dt


rappresenta il numero di moli che diffondono nel tempo, D è il coefficiente di diffusione
(calcolato su basi sperimentali, indica il quadrato del libero cammino medio della particella
tra un urto e l’altro diviso due volte il tempo che passa tra i due urti), A è l’area e dC/dx il
gradiente di concentrazione. Nel caso in cui la diffusione avvenga attraverso la membrana
plasmatica, tramite una serie di passaggi l’equazione può essere riscritta come
dS/dtA=Db(Co - Ci)/a. Il termine a sinistra rappresenta il flusso J (il numero di moli che
passano per una certa area nell’unità di tempo), b rappresenta invece il coefficiente di
ripartizione, ovvero il rapporto della solubilità nella fase oleosa e acquosa (dà informazioni
su quanto sia lipofila/idrofila la sostanza, se b>1 è lipofila mentre se 0<b<1 è idrofila), a è lo
spessore della membrana. D, b e a possono essere riunite in un’unica costante P
(coefficiente di permeabilità)= Db/a, ha le misure di una velocità e informa su quale sia la
velocità media di diffusione. A questo punto, il flusso netto è calcolabile quindi come
J=P(Co-Ci).

3) Il flusso netto è dato dalla moltiplicazione tra permeabilità e differenza di concentrazione.


Vero o falso? In quali condizioni vale l’equazione del flusso?

Vero, infatti l’equazione del flusso è: J = P (Co - Ci) dove P = costante di permeabilità, Co =
concentrazione extracellulare, Ci = concentrazione intracellulare.
Questa vale soltanto per sostanze non cariche o per sostanze cariche ma che attraversano
una membrana priva di campo elettrico (senza potenziale di membrana). In caso contrario,
basta moltiplicare per Fe = forza elettrica
Per esplicitare meglio i flussi unidirezionali possiamo riscrivere il tutto come: J = PCo - PCi,
rispettivamente diretti verso l’interno e verso l’esterno della cellula. Quindi J = 0 non significa
che i singoli flussi unidirezionali siano nulli, ma che semplicemente si equivalgono in una
situazione di equilibrio dinamico. Va da sé che allora il flusso netto è direttamente
proporzionale a differenza di concentrazione e coefficiente di diffusione, mentre è
inversamente proporzionale allo spessore della membrana.
Con l’equazione del flusso spieghiamo la diffusione semplice, ma non la diffusione facilitata
che segue altri principi.

4) Una sostanza non ionica è in equilibrio ai lati della membrana solo se i flussi
unidirezionali sono nulli. Vero o falso? Perché?

Falso. J = 0 non significa che i singoli flussi unidirezionali siano nulli, ma che semplicemente
si equivalgono in una situazione di equilibrio dinamico. Infatti l’equazione del flusso è: J = P
(Co - Ci) dove P = costante di permeabilità, Co = concentrazione extracellulare, Ci =
concentrazione intracellulare.
Questa vale soltanto per sostanze non cariche o per sostanze cariche ma che attraversano
una membrana priva di campo elettrico (senza potenziale di membrana). In caso contrario,
basta moltiplicare per Fe = forza elettrica. Per esplicitare meglio i flussi unidirezionali
possiamo riscrivere il tutto come: J = PCo - PCi, rispettivamente diretti verso l’interno e verso
l’esterno della cellula. Va da sé che allora il flusso netto è direttamente proporzionale a
differenza di concentrazione e coefficiente di diffusione, mentre è inversamente
proporzionale allo spessore della membrana.

5) La membrana cellulare è semipermeabile? Perché?

No, la membrana cellulare è selettivamente permeabile. Al contrario della membrana


semipermeabile, che lascia passare solamente l’acqua, invece la membrana cellulare si
lascia attraversare anche da alcuni soluti. La capacità di un soluto di attraversare la
membrana è rappresentata dalla sua costante di permeabilità (P) tale che P = Db / a dove D
= coefficiente di diffusione (costante calcolata sperimentalmente, che dipende dal
tipo di soluto e dal tipo di membrana attraverso cui questo diffonde), b = coefficiente di
ripartizione (costante sperimentale, diversa per ogni sostanza, che indica la differente
solubilità della sostanza all’interno della membrana rispetto all’ambiente intracellulare ed
extracellulare), a = spessore della membrana.
Maggiore è il valore di P, maggiore sarà la capacità del soluto di attraversare la membrana.
I soluti che riescono autonomamente ad attraversare la membrana cellulare entrano
ed escono dalla cellula per diffusione semplice. Questo fenomeno è descritto dalla legge
del flusso (J = P(Co − Ci)).
Esistono, però, soluti che non riescono ad attraversare autonomamente la membrana.
Per farlo, devono servirsi di trasportatori, cui si legano, formando un complesso in
grado di diffondere attraverso la membrana. Si parla in questo caso di diffusione
facilitata.

6) Quali tipi di sostanze possono attraversare direttamente il doppio strato fosfolipidico? Da


quali parametri dipende il coefficiente di permeabilità?

Le sostanze che possono diffondere liberamente attraverso la membrana sono le molecole


lipofile (acidi grassi, ormoni steroidei, CO2, O2 etc) e piccole molecole polari (H2O, etanolo,
glicerolo, etc). L’ingresso è completamente negato a grandi molecole polari (amminoacidi,
glucosio, nucleotidi) e a specie cariche (tutti gli ioni). Ad esprimere la facilità con cui un
soluto attraversa la membrana abbiamo il coefficiente di permeabilità P = Db/a . Si tratta di
un parametro che ha le dimensioni di una velocità, che racchiude in sé tre costanti: D
rappresenta il coefficiente di diffusione, è un dato calcolato sperimentalmente ed esprime lo
spostamento medio delle particelle in una soluzione; b è il coefficiente di ripartizione e
rappresenta il rapporto di solubilità della sostanza fra la fase oleosa e la fase acquosa (con
un b>1, la sostanza sarà lipofila, con 0<b<1, la sostanza sarà idrofila); a rappresenta lo
spessore della membrana, che è un valore costante e si aggira intorno ai 7,5nm. Quindi la
permeabilità della membrana per un soluto è direttamente proporzionale al coefficiente di
diffusione e inversamente proporzionale allo spessore della membrana; inoltre, se si tratta di
una sostanza lipofila diffonderà con molta più facilità.

7) Differenze e cose in comune tra diffusione semplice e diffusione facilitata.


Innanzitutto la diffusione è la migrazione casuale di molecole o particelle che nasce dal moto
indotto dall’energia termica. Questo fenomeno è determinato dalla permeabilità dei soluti
rispetto alla membrana, pertanto distinguiamo due tipi di diffusione: la diffusione semplice e
la diffusione facilitata.
Tra le somiglianze abbiamo che le molecole trasportate si muovono in entrambi i casi
secondo gradiente di concentrazione, ovvero in maniera passiva (SENZA l’utilizzo di ATP);
inoltre il movimento particellare netto si ferma quando la differenza di concentrazione è
equivalente a zero, cioè quando la concentrazione della sostanza in questione nell’ambiente
extra-cellulare è equivalente alla sua concentrazione intra-cellulare.
Tra le differenze invece abbiamo che la diffusione semplice sfrutta esclusivamente la
capacità dei soluti di permeare la membrana, viceversa la diffusione facilitata coinvolge delle
proteine di membrana dette Carrier, queste sono necessarie perché permettono il transito di
quelle sostanze che, date le loro dimensioni o la loro polarità, non possono attraversare
liberamente il doppio strato fosfolipidico per diffusione semplice; per questo motivo abbiamo
una elevata selettività, data dalla precisa componente amminoacidica della proteina carrier,
per la specifica molecola in questione che deve transitare. Un’ulteriore differenza consiste
nella saturabilità della diffusione facilitata, poiché ad elevata concentrazione della sostanza
transitante le proteine carrier possono andare incontro a saturazione dato il numero finito
presente sulla membrana, mentre la diffusione semplice non ha questo tipo di problema. In
un grafico riportante la velocità di ingresso e la concentrazione esterna di substrato vediamo
che la diffusione facilitata ha un andamento inizialmente molto ripido che poi trova un valore
asintotico quando si raggiunge la saturazione (qui il flusso è massimo), mentre la diffusione
semplice ha un andamento lineare che, anche se più lento, non ha asintoti.

8) Nella diffusione facilitata da quali parametri dipende la velocità di diffusione e perché la


velocità tende a un valore limitato.

Innanzitutto la diffusione è la migrazione casuale di molecole o particelle che nasce dal moto
indotto dall’energia termica. Questo fenomeno è determinato dalla permeabilità dei soluti
rispetto alla membrana, pertanto distinguiamo due tipi di diffusione: la diffusione semplice e
la diffusione facilitata. Nonostante entrambe seguano la forza passiva del gradiente di
concentrazione, la diffusione facilitata riguarda quei soluti che non sono in grado di
permeare la membrana liberamente. In questo caso sarà necessaria una proteina
transmembrana detta “carrier”, la quale si lega al substrato e subisce un cambiamento
conformazionale in seguito a cui rilascia la sostanza sull’altro lato della membrana. Per
calcolare il flusso della diffusione facilitata attraverso una proteina carrier utilizzeremo: J =
P[C]T/2 x ([S]o/[S]o+KM - [S]i/[S]i+KM), tale che P è la permeabilità generalizzata, [C]T è la
concentrazione totale del carrier, [S] la concentrazione dentro e fuori del substrato e KM la
costante di dissociazione (ovvero la concentrazione alla quale i recettori sono per metà
saturati, ci fa capire l’affinità del trasportatore per il substrato).
Quando il substrato è molto più concentrato all’esterno rispetto all’interno, i carrier possono
andare incontro a saturazione (dato il numero finito presente sulla membrana), e saremo in
grado di individuare un valore asintotico corrispondente alla velocità massima del flusso, tale
che JMAX = P[C]T/2. Infine, nel caso in cui [S]i sia sempre zero (come nel caso del glucosio,
che una volta entrato subisce subito una fosforilazione) ottengo un'equazione che segue la
cinetica di Michaelis-Menten.
OSMOSI

9) Cos’è l’osmosi? Perché avviene?

Con osmosi si intende la libera diffusione di acqua da un compartimento meno concentrato


ad uno più concentrato separati da una membrana semipermeabile, che lascia passare il
solvente bloccando la diffusione del soluto. Avremo un flusso netto d’acqua spostato verso il
compartimento a maggior concentrazione di soluti per cercare di equilibrare l’energia dai due
lati (in realtà avremo sia un flusso verso destra che verso sinistra, ma il flusso d'acqua verso
il compartimento contenente i soluti sarà molto maggiore). Questo perché casualmente le
molecole urtano la membrana e passano dall’altro lato, ma gli urti saranno molto minori nel
compartimento contenente i soluti perché saranno ostacolati dalla presenza degli ioni
disciolti in soluzione. Dunque anche l’acqua segue la legge di Fick, ovvero muovendosi
secondo il SUO gradiente di concentrazione, che è opposto a quello dei soluti; per questo
motivo il flusso dell’acqua potrà essere calcolato come: JW = DW d[C]s/dx, tale che JW è il
flusso dell’acqua, DW è il coefficiente di diffusione dell’acqua, d[C]s è l’osmolarità (ovvero la
differenza di concentrazione totale dei soluti), e dx lo spostamento. Nel caso in cui ci si trovi
in una membrana semipermeabile avremo JW = PW ([Cs]o - [Cs]i) con PW coefficiente di
permeabilità della membrana all’acqua.
Questo processo teoricamente dovrebbe fermarsi solo quando tutta l’acqua è passata nel
compartimento contenente i soluti, ma in realtà col raggiungimento di un dislivello di acqua si
esercita una pressione idrostatica tale da bloccare la pressione osmotica dovuta al flusso
netto di acqua. Quindi all’equilibrio, il coefficiente di permeabilità dell’acqua è uguale alla
pressione osmotica.

10) Scrivere la formula della pressione osmotica e spiegarne i parametri.

La pressione osmotica è la pressione esercitata a livello della membrana semipermeabile


dal flusso di molecole di acqua verso il compartimento con maggiore concentrazione di
soluto. La pressione osmotica (anche espressa con la lettera pi greco) = icRT, tale che i =
coefficiente di van’t Hoff (esprime la quantità di particelle o ioni che si producono dalla
dissoluzione di una mole di soluto in un solvente), c = concentrazione della soluzione (mol/l),
R = costante dei gas e T = temperatura assoluta (in K)
Nel caso di due soluzioni aventi diverse concentrazioni, si avrà: delta pigreco = RT i (CI− Co).
Possiamo a questo punto inserire delta pigreco nell’equazione del flusso, ricordandoci di
moltiplicare anche per il coefficiente di riflessione, il quale indica il livello di permeabilità della
membrana per i soluti (è un valore compreso tra 0, quando completamente permeabile, e 1,
totalmente impermeabile).
All’equilibrio la pressione osmotica è pari alla pressione idrostatica esercitata dalla colonna
di acqua maggiore, tuttavia se la pressione idrostatica dovesse superare quella osmotica si
assisterebbe ad un’ultrafiltrazione, ovvero al passaggio di molecole d'acqua dal
compartimento più concentrato a quello meno concentrato, fenomeno che prende il nome di
osmosi inversa.

11) Una soluzione per esercitare una pressione osmotica deve essere elettrolitica?
Definire ipertonicità e iperosmolarità di una soluzione.

No, non è necessario che la soluzione sia elettrolitica per esercitare una pressione
osmotica. Le sostanze elettrolitiche, che in soluzione si dissociano in ioni, a parità di
concentrazione eserciteranno una pressione osmotica maggiore rispetto alle sostanze
non elettrolitiche, poiché, sapendo che l’equazione della pressione osmotica è π = icRT,
il loro coefficiente di van’t Hoff (i) sarà maggiore di 1. Se ad esempio io considerassi una
soluzione di KCl ad una data concentrazione, questa eserciterà una pressione osmotica
doppia rispetto ad una soluzione di glucosio che, nonostante abbia la stessa
concentrazione, avrà coefficiente i pari a 1 anziché 2.
Una soluzione extracellulare viene definita iperosmotica nel caso in cui presenti una
osmolarità maggiore rispetto alla soluzione intracellulare. L’osmolarità di una soluzione è la
sua concentrazione di particelle osmoticamente attive e si calcola moltiplicando il numero di
moli (in questo caso coincide con la molarità in quanto siamo in 1 L di soluzione) per il
coefficiente di van't Hoff, ovvero il numero di particelle in cui il soluto si dissocia (OsM = n i).
A differenza della osmolarità, la tonicità non è un parametro standard, bensì un termine
comparativo calcolato sperimentalmente. Dunque, se la tonicità è la capacità di una
soluzione di alterare il volume di una cellula posta al suo interno, una soluzione ipertonica
porta ad un raggrinzimento della cellula.
In conclusione una soluzione ipertonica deve necessariamente essere iperosmotica, ma non
è vero il contrario poiché dobbiamo tenere conto della permeabilità di membrana del soluto.
Ad esempio una soluzione iperosmolare contenente un soluto impermeabile (come lo
xilitolo) sarà anche ipertonica, viceversa una soluzione iperosmolare contenente un soluto
altamente permeabile (come etanolo) non sarà ipertonica. Vi sono poi vie di mezzo come ad
esempio il glicerolo.

12) Differenze tra osmolarità e tonicità, riguardo a permeabilità della membrana e


aumento/decremento del volume cellulare.

L’osmolarità di una soluzione è la sua concentrazione di particelle osmoticamente attive e si


calcola moltiplicando il numero di moli (in questo caso coincide con la molarità in quanto
siamo in 1 L di soluzione) per il coefficiente di van't Hoff, ovvero il numero di particelle in cui
il soluto si dissocia (OsM = n i). Quindi una soluzione elettrolitica, a parità di concentrazione
con una soluzione NON elettrolitica, eserciterà una pressione osmotica doppia.
Sulla base della propria osmolarità possiamo definire tre tipi di soluzioni: isotoniche, se
contengono lo stesso numero di particelle della soluzione di riferimento; iperosmotiche, se
contengono un numero maggiore di particelle; iposmotiche, se contengono un numero
minore di particelle.
Invece la tonicità è la capacità di una soluzione di alterare il volume di una cellula posta al
suo interno. Questo non è un parametro standard ma un semplice termine comparativo.
Identificheremo in questo caso: soluzioni isotoniche, che non provocano cambiamenti
volumetrici nella cellula; ipertoniche, causano una diminuzione del volume (la cellula si
raggrinzisce); ipotoniche, causano aumento del volume (fino alla lisi cellulare).
La differenza sta quindi nel fatto che una soluzione ipertonica deve necessariamente essere
iperosmotica, ma non è vero il contrario poiché dobbiamo tenere conto della permeabilità di
membrana del soluto. Ad esempio una soluzione iperosmolare contenente un soluto
impermeabile (come lo xilitolo) sarà anche ipertonica, viceversa una soluzione iperosmolare
contenente un soluto altamente permeabile (come etanolo) non sarà ipertonica. Vi sono poi
vie di mezzo come ad esempio il glicerolo.
13) Il volume di una cellula si riduce se questa viene posta in una soluzione con pressione
osmotica doppia rispetto a quella intracellulare?

Dipende dalla permeabilità di membrana per il soluto contenuto nella soluzione in questione.
Abbiamo fondamentalmente 3 casi diversi: il primo caso riguarda molecole che non
permeano in alcun modo la membrana (come ad esempio lo xilitolo); il secondo caso
riguarda molecole che sono in grado di permeare la membrana con molta facilità (come
l’etanolo); infine possiamo trovare molecole con caratteristiche intermedie e cinetiche di
permeabilità variabili (come il glicerolo).
Nel caso di una soluzione iperosmotica di xilitolo, l’acqua uscirà per osmosi cercando di
equilibrare il sistema, quindi la cellula subirà una diminuzione del suo volume andando a
raggrinzirsi, si tratta quindi di una soluzione che risulta essere ANCHE ipertonica.
Nel caso di una soluzione iperosmotica di etanolo, tale soluto permea la membrana più
velocemente dell’acqua ristabilendo da solo l’equilibrio osmotico senza la necessità di
variare il volume cellulare, di conseguenza la soluzione NON è ipertonica.
In una soluzione iperosmotica di glicerolo, infine, poiché il soluto permea ma più lentamente
dell’acqua, avremo inizialmente una rapida uscita di acqua dalla cellula associata in
contemporanea ad una lenta entrata di glicerolo. Quest’ultimo però, entrando, aumenta via
via l’osmolarità intracellulare, il che richiama acqua dall’esterno facendo gradualmente
aumentare il volume cellulare fino a ritornare al suo valore iniziale. Riportando
successivamente la cellula in una soluzione di Ringer (dunque fisiologica) vedremo che la
cellula si trova a osmolarità doppia (perché ha al suo interno il glicerolo), avremo come
risposta immediata un ingresso di acqua associato anche questa volta ad una più lenta
fuoriuscita di glicerolo, il quale via via che esce determina una graduale fuoriuscita di acqua
fino al raggiungimento delle condizioni normali di volume.

14) Una cellula immersa in una soluzione extracellulare con osmolarità doppia rispetto al
liquido intracellulare non cambia volume. Perché?

Se una cellula inserita in una soluzione avente osmolarità doppia rispetto a quella
intracellulare non cambia volume, significa che la soluzione extracellulare contiene un
soluto (come ad esempio l’etanolo) che è in grado di permeare la membrana plasmatica più
velocemente dell’acqua. Di conseguenza questo è in grado di ristabilire da solo l’equilibrio
osmotico senza la necessità di variare il volume cellulare, la soluzione è iperosmotica ma
NON ipertonica.
Possiamo dunque dire che una soluzione ipertonica deve necessariamente essere
iperosmotica, ma non è vero il contrario (poiché dobbiamo tenere conto della permeabilità di
membrana del soluto).
Questo perché la tonicità è per definizione la capacità di una soluzione di alterare il volume
di una cellula posta al suo interno, vale a dire che non si tratta di un parametro standard ma
un semplice termine comparativo.
Mentre l’osmolarità di una soluzione è la sua concentrazione di particelle osmoticamente
attive e si calcola moltiplicando il numero di moli (in questo caso coincide con la molarità in
quanto siamo in 1 L di soluzione) per il coefficiente di van't Hoff, ovvero il numero di
particelle in cui il soluto si dissocia (OsM = n i).

MEMBRANA
15) Descrivere il modello a mosaico fluido, in particolare l’esperimento che ne ha provato
la validità.

Il modello a mosaico fluido, teorizzato da Singer e Nicholson nel 1972, prevede che tutte le
membrane biologiche siano costituite da un doppio strato di fosfolipidi all’interno del quale
sono adese diverse proteine (integrali, se immesse direttamente nello spessore o
periferiche, nel caso si rapportino con legami più blandi ai fosfolipidi). I fosfolipidi sono
molecole anfipatiche: questo significa che possiedono una parte polare (la testa) e una parte
idrofoba (le code), per questo motivo in soluzione esse tendono a disporsi con le code
idrofobe verso l’interno e le teste polari verso l’acqua che li circonda, delimitando una
membrana di spessore 7-8nm. Inoltre i fosfolipidi possono anche spostarsi lateralmente,
ruotare o galleggiare su e giù (per questo il mosaico che si viene a formare, ovvero la
disposizione ordinata di fosfolipidi e proteine in superficie, è detto fluido). Attraverso l’azione
di particolari enzimi si possono anche catalizzare spostamenti di un fosfolipide dal foglietto
esterno a quello interno e viceversa (si parla di flip-flop). Il modello fu confermato
sperimentalmente tramite l’utilizzo di cellule marcate selettivamente con anticorpi
fluorescenti. Inducendo una fusione di due cellule marcate differentemente, una di natura
umana e una murina, col tempo si osservava che i due tipi di anticorpi fluorescenti si
distribuivano equamente su tutta la superficie della cellula ibrida, confermando dunque che
la membrana è una struttura molto dinamica.

16) Descrivere il circuito equivalente di membrana.

La membrana può essere schematizzata con un circuito elettrico equivalente: esso avrà un
condensatore e diversi rami posti in parallelo, ciascuno con un proprio generatore e una
propria resistenza. Il condensatore sarà la membrana stessa, che mantiene separate le
cariche tra un versante e l’altro con capacità di 1 microFarad/cm2. I generatori
rappresentano la forza del gradiente elettrochimico che spinge le cariche a muoversi, infatti
in un circuito li possiamo indicare con la lettera E che sta a rappresentare il potenziale di
equilibrio dello ione. La rispettiva corrente potrà dunque essere entrante (come per esempio
il sodio e il cloro) o uscente (come il potassio). Le resistenze invece rappresentano la
permeabilità, ovvero la difficoltà con cui le cariche scorrono attraverso il circuito. Nel caso di
molecole cariche è più comodo parlare di conduttanza, la quale rappresenta l’inverso della
resistenza (G = 1/R) e si misura in Siemens. Quindi tale circuito potrà essere studiato con la
legge di Ohm: I = V/R, che nel nostro caso diventa, per un generico ione x, IX = GX (VM - EX),
dove IX è la corrente dello ione, GX la sua conduttanza, VM il potenziale di membrana a
riposo e EX il suo potenziale di equilibrio.

17) Nell'equivalente elettrico della membrana (circuito), come si rappresentano la


permeabilità di uno ione e il suo potenziale di equilibrio?

La membrana può essere schematizzata con un circuito elettrico equivalente: esso avrà un
condensatore e diversi rami posti in parallelo, ciascuno con un proprio generatore e una
propria resistenza. Il condensatore sarà la membrana stessa, che mantiene separate le
cariche tra un versante e l’altro con capacità di 1 microFarad/cm2. I generatori
rappresentano la forza del gradiente elettrochimico che spinge le cariche a muoversi, infatti
in un circuito li possiamo indicare con la lettera E che sta a rappresentare il potenziale di
equilibrio dello ione. La rispettiva corrente potrà dunque essere entrante (come per esempio
il sodio e il cloro) o uscente (come il potassio). Le resistenze invece rappresentano la
permeabilità, ovvero la difficoltà con cui le cariche scorrono attraverso il circuito. Nel caso di
molecole cariche è più comodo parlare di conduttanza, la quale rappresenta l’inverso della
resistenza (G = 1/R) e si misura in Siemens. Quindi tale circuito potrà essere studiato con la
legge di Ohm: I = V/R, che nel nostro caso diventa, per un generico ione x, IX = GX (VM - EX),
dove IX è la corrente dello ione, GX la sua conduttanza, VM il potenziale di membrana a
riposo e EX il suo potenziale di equilibrio.

18) Esiste una conduttanza al glicerolo? Come si misura?

No, questo perché si può parlare di conduttanza solo nel caso di specie cariche, cosa che il
glicerolo non è. Difatti la conduttanza si definisce come l’inverso della resistenza G = 1/R;
maggiore sarà la conduttanza, maggiore sarà la facilità di questo ione ad attraversare la
membrana. Capiamo dunque che il concetto di conduttanza è strettamente connesso a
quello di permeabilità, tuttavia se consideriamo il glicerolo che non è dotato di carica
dovremo esprimere la sua capacità di diffondere attraverso la membrana in termini di
permeabilità e non di conduttanza. La permeabilità di una determinata sostanza attraverso la
membrana è espressa dal coefficiente di riflessione, il quale indica il livello di permeabilità
della membrana per i soluti (è un valore compreso tra 0, quando completamente permeabile,
e 1, totalmente impermeabile) e dipende sia dalle caratteristiche della membrana che da
quelle della sostanza stessa.

19) Scrivere e spiegare l’Equazione di Nernst.

L’equazione di Nernst vale nel caso in cui la membrana sia permeabile ad un singolo ione, e
ci indica le condizioni di equilibrio in cui il flusso netto si arresta. L’equazione si può scrivere
come (V1 - V2) = -RT/zF ln ([c]1/[c]2), tale che (V1- V2) sia la differenza di potenziale
necessaria a raggiungere l’equilibrio ionico bilanciando il gradiente di concentrazione
chimico, R è la costante universale dei gas, T la temperatura assoluta (espressa in Kelvin), z
è la valenza del composto, F la costante di Faraday. Nel caso in cui ci troviamo a 25 gradi
Celsius, vale la seguente approssimazione deltaV = 59mV x log([c]o/[c]i).
Grazie all’equazione di Nernst possiamo ad esempio calcolare il potenziale di equilibrio di
uno ione in condizioni fisiologiche, ovvero quel potenziale al quale non si registra nessuna
corrente del dato ione attraverso la membrana.

20) Cos’è il potenziale di equilibrio di uno ione? Perché il flusso di uno ione si blocca
quando Em = Eione?

Il potenziale di equilibrio di uno ione in condizioni fisiologiche, è quel potenziale al quale non
si registra nessuna corrente del dato ione attraverso la membrana, né in uscita né in entrata.
A quel dato potenziale, lo ione si trova in equilibrio tra l’interno e l’esterno della cellula, sia
per quanto riguarda la forza di concentrazione che la forza elettrica. Il potenziale di
equilibrio di uno ione si calcola con l’equazione di Nernst.
Al potenziale di membrana −90mV: lo ione potassio tende ad uscire dalla cellula,
provocando un’iperpolarizzazione, in modo che Em si avvicini a EK = -100 mV; lo ione cloro
tende ad entrare, provocando un’iperpolarizzazione, per far avvicinare Em ad ECl = -100 mV;
infine lo ione sodio tende ad entrare, provocando una depolarizzazione, in modo che Em
si avvicini a ENa = +60 mV.
Tuttavia, quando invece il potenziale di membrana equivale ad uno dei potenziali di equilibrio
degli ioni sopra citati, non ci sarà più bisogno per gli ioni di spostarsi tra versante interno ed
esterno di membrana perché, giunti al loro potenziale, il loro flusso netto risulterà nullo.

21) Scrivere le concentrazioni intracellulari ed extracellulari di Na+, Cl- e K+.

In condizioni fisiologiche [Na+]i = 10 mM, [Na+]e = 120 mM; [K+]i = 140 mM, [K+]e = 2,5
mM; [Cl−]i = 3,5 mM, [Cl−]e = 120 mM.
L’alterazione delle concentrazioni extracellulari di questi ioni disturba l’omeostasi cellulare,
non a caso la cellula avrà dei meccanismi volti al ripristino dell’equilibrio, al fine di preservare
la propria vitalità. Possiamo inoltre sfruttare queste concentrazioni per calcolare il potenziale
di equilibrio dei singoli ioni attraverso la membrana, cioè quel potenziale al quale non si
registra nessuna corrente del dato ione attraverso la membrana, né in uscita né in entrata. A
quel dato potenziale, lo ione si trova in equilibrio tra l’interno e l’esterno della cellula, sia per
quanto riguarda la forza di concentrazione che la forza elettrica.
Per calcolarlo utilizzeremo l’equazione di Nernst: (V1 - V2) = -RT/zF ln ([c]1/[c]2). Così
facendo ricaviamo che EK è -100mV, ECl = −100mV, ENa = +60mV.

22) Scrivere la formula dell’Equilibrio di Donnan e spiegarne la derivazione.

Supponiamo di avere due celle separate da una membrana permeabile sia al cloro che al
potassio, e di avere da una parte l’elettrolita KCl e dall’altra un generico KA (dove A indica
un anione non permeabile alla membrana). Inizialmente il K+ è all’equilibrio e non si
sposterà, viceversa il cloro passerà dalla cella “in” (quella con KCl) a quella “out” secondo
gradiente di concentrazione. Lo spostamento del cloro causa però un accumulo di cariche
negative nella cellula “out” e una conseguente differenza di potenziale che spingerà il
potassio, che ha carica positiva, verso la cella “out” (il cloro viceversa, essendo negativo,
sarà spinto verso “in”). Una volta raggiunto l’equilibrio gli ioni avranno concentrazioni diverse
ma le rispettive equazioni di Nernst saranno uguali, e quindi: VM = RT/zF ln ([Cl]o/[Cl]i) =
RT/zF ln ([K]o/[K]i). Conoscendo le z (ma facendo attenzioni agli ioni bivalenti) trovo
l’equilibrio di Donnan: [K]i x [Cl]i = [K]o x [Cl]o . Nella cellula questo equilibrio non potrebbe
funzionare perché si andrebbe incontro a problemi di osmolarità , per ovviare a questi si
potrebbe aggiungere del sodio extracellulare (assumendo che, grazie anche alla pompa
sodio-potassio, questo sia indiffusibile) in modo da annullare il flusso di acqua dovuto
all’osmosi, in questo caso si parla di doppio equilibrio di Donnan. Nella realtà, nonostante ci
sia il ruolo della pompa sodio-potassio, lo ione sodio riesce comunque a permeare la
membrana e influenza il potenziale di equilibrio della membrana, dovrò dunque usare
l’equazione di Goldman (in cui comprendo anche Na).

23) Spiegare l’Equazione di Goldman.

Attraverso l’Equazione di Goldman si può determinare il potenziale della membrana a


riposo, in quanto non possiamo utilizzare né l’equazione di Nernst (perché prende in
considerazione solo uno ione per volta), né Donnan (che tratta l’equilibrio di due ioni).
L’influenza di ogni ione nella determinazione del potenziale di membrana dipende dalla sua
singola permeabilità, l’equazione di Goldman sarà dunque: Em = RT/F x ln (PK[K+]e +
PNa[Na+]e + PCl[Cl−]e / PK[K+]i + PNa[Na+]i + PCl[Cl−]i).
In realtà possiamo fare una approssimazione, ovvero considerare nulla la permeabilità del
cloro in quanto quest’ultimo si aggiusta ad una concentrazione per la quale il potenziale di
equilibrio corrisponde al potenziale di riposo. Di conseguenza avrà flusso netto pari a zero e
non risulta dunque influente nell’equazione di Goldman, quindi avremo: Em = RT/F x ln
([K+]e + alfa[Na+]e / [K+]i + alfa[Na+]i, tale che con alfa sia il rapporto tra le permeabilità di
sodio e potassio. In definitiva, per alti valori di potassio, il potenziale di membrana è
approssimabile al suo potenziale di equilibrio (segue dunque la sua equazione di Nernst),
per bassi valori invece comincia ad essere influente il potenziale di equilibrio del sodio e il
potenziale di membrana seguirà l’equazione di Goldman.

24) Cos’ è il potenziale di riposo di membrana e da cosa è determinato?

Il potenziale di riposo è il potenziale di membrana assunto dalla cellula in normali condizioni


di riposo, ovvero quando essa non è stimolata. Ha sempre un valore negativo, il quale può
variare notevolmente (ad esempio essere -65mV nel neurone o -90mV nella fibra
muscolare). Questo dipende dall’alta concentrazione di ioni indiffusibili intracellulari presenti
a livello citosolico, e dalla differente distribuzione degli ioni (come il potassio, che ha
maggiore concentrazione intracellulare, o il sodio e il cloro che hanno una maggiore
concentrazione extracellulare); il cloro, a dire il vero, essendo scarsamente concentrato a
livello intracellulare non ha un ruolo attivo nel determinare il potenziale di membrana,
piuttosto si equilibra passivamente sul potenziale di membrana, il quale è sostanzialmente
stabilito dallo ione potassio. Allora per calcolare il potenziale di membrana si deve utilizzare
l’equazione di Goldman (Em = RT/F x ln (PK[K+]e + PNa[Na+]e + PCl[Cl−]e / PK[K+]i +
PNa[Na+]i + PCl[Cl−]i); ma poi da questa equazione rimuoviamo il cloro, ottenendo così Em
= RT/F x ln ([K+]e + alfa[Na+]e / [K+]i + alfa[Na+]i, dove alfa è il rapporto tra le permeabilità
di sodio e potassio. A questo punto notiamo che per alti valori di potassio extracellulare
l’equazione di Goldman è assimilabile all’equazione di Nernst per il potassio (e dunque Vm
segue Ek). Viceversa, per valori bassi di potassio extracellulare la componente dello ione
sodio diventa più influente e noi noteremo che il potenziale di membrana si discosta da
Nernst del potassio seguendo a tutti gli effetti Goldman.

25) Descrivere graficamente e spiegare la relazione tra la concentrazione extracellulare di


K+ e il potenziale di membrana.

Nel determinare il potenziale di membrana ha un ruolo fondamentale lo ione potassio, così


come dimostrano diversi esperimenti. Svolgendo un cambiamento a gradino della
concentrazione di potassio esterna, aumentandola quindi dal valore iniziale di 2,5mM,
diminuiamo il gradiente di concentrazione e il potenziale di equilibrio dello ione diventerà di
conseguenza più positivo, così come quello della membrana in quanto il K+ ne è il principale
responsabile.Infatti notiamo che per alti valori di potassio extracellulare l’equazione di
Goldman è assimilabile alla sua equazione di Nernst: Vm = RT/zF ln ([K]o/[K]i), e dunque
Vm segue Ek. Viceversa, per valori bassi di potassio extracellulare la componente dello ione
sodio diventa più influente e noi noteremo che il potenziale di membrana si discosta da
Nernst del potassio seguendo a tutti gli effetti l’equazione di Goldman, ovvero Em = RT/F x
ln ([K+]e + alfa[Na+]e / [K+]i + alfa[Na+]i, dove alfa è il rapporto tra le permeabilità di sodio e
potassio. Escludiamo il cloro dall’equazione di Goldman poiché essendo scarsamente
concentrato a livello intracellulare non ha un ruolo attivo nel determinare il potenziale di
membrana e piuttosto si equilibra passivamente sul potenziale di membrana stesso.

26) Se attraverso una membrana esiste un potenziale, deve esistere una carica netta. Vero
o falso? Se è vero, è possibile calcolarne l’entità?

È vero. Infatti il potenziale è generato proprio da una separazione netta tra cariche
positive e negative. Questo è possibile perché in un circuito equivalente la membrana si
comporta come un condensatore, cioè è in grado di separare ed accumulare cariche.
La carica elettrica è calcolabile attraverso la formula: Q = C x V, dove: Q = carica elettrica (in
Coulomb), C = capacità elettrica (che di base è misurata in microF ma poi viene solitamente
normalizzata per la superficie e quindi viene misurata in microF/cm2), V = potenziale (in
mV). Sapendo quindi l’entità della differenza di potenziale, possiamo calcolarci la quantità di
carica moltiplicandola per la capacità di membrana (1 microFarad/cm2).

27) Se stimolo con un’onda quadra, che risposta ho e perché?

Il risultato di una stimolazione con un’onda quadra dipende dalla direzione della
corrente con cui la membrana viene stimolata. Se stimolo con una corrente in entrata
(dall’elettrodo alla cellula), otterrò una iperpolarizzazione. Al contrario, se stimolo con
una corrente in uscita (dalla cellula all’elettrodo), avrò una depolarizzazione. La corrente di
stimolazione Is, passando attraverso la resistenza di membrana Rm, crea una differenza di
potenziale VRm = Is x Rm. Nel caso di una corrente in entrata, VRm si sommerà a Vm,
quindi il potenziale di membrana risulterà iperpolarizzato. Al contrario, se la corrente di
stimolazione è uscente, VRm andrà sottratto a Vm, quindi il potenziale di membrana risulterà
depolarizzato. La curva che indica la variazione del potenziale di membrana in seguito ad
una stimolazione ad onda quadra ha una forma particolare, dovuta al fatto che la
membrana plasmatica si comporta come un condensatore. Finché è applicata la corrente
entrante, la curva del potenziale ha un andamento descrivibile con la legge di scarica di un
condensatore: Vt = Vo x (exp(−t/tau)); mentre quando la corrente cessa, la membrana si
ricarica, seguendo la legge di carica di un condensatore, ovvero: Vt = Vo x (1 − exp (−t/tau)).
Dove: Vt = potenziale al tempo t, Vo = potenziale al tempo zero, tau = costante di tempo =
Rm x Cm. La costante di tempo indica il tempo necessario affinché Vt sia variato (in questo
specifico caso che sia diminuito) del 63%.

28) Perché la pompa sodio-potassio può essere considerata elettrogenica? Che effetto
ha sul potenziale transmembranale a riposo?

La pompa sodio potassio è un meccanismo attivo che garantisce alla cellula di mantenere il
proprio potenziale di membrana. Questo è determinato principalmente dal fatto che
all’interno della cellula ci sono diversi proteinati organici con carica negativa che, essendo
incapaci di permeare la membrana, sbilanciano la concentrazione degli ioni diffusibili
(potassio e cloro) generando la differenza di potenziale. Tuttavia avremo comunque una
concentrazione di soluti maggiore all’interno, il che porterebbe a lisi osmotica. Per bilanciare
questa componente anionica, nel liquido extracellulare è presente il catione sodio, che in
maniera limitata è anche in grado di permeare la membrana. Poiché il potenziale di equilibrio
del sodio è +60mV e il potenziale di riposo intorno a -90mV, il sodio tenderà ad entrare sia
per gradiente chimico che per gradiente elettrico. Per contrastare il flusso del sodio
all’interno e quello del potassio all'esterno, la pompa sodio-potassio, ad ogni suo ciclo,
causa la fuoriuscita di tre ioni sodio e l’ingresso di due ioni potassio. Così facendo abbiamo
una depolarizzazione della membrana dovuta ad una corrente uscente (in quanto il flusso
netto è di uno ione positivo fuori ad ogni ciclo). Questa azione elettrogenica comporta un
trasporto contro gradiente, dovrà quindi trattarsi un trasporto attivo che quindi necessita di
energia, in questo caso sottoforma di ATP.

29) Descrivere la pompa Na+−K+. Cosa succede se la pompa Na+−K+ smette di funzionare?
L’energia della pompa Na+−K+ è dovuta a due fattori. Quali? Descrivi gli esperimenti che lo
dimostrano.

La pompa sodio potassio è un meccanismo attivo che garantisce alla cellula di mantenere il
proprio potenziale di membrana. Questo è determinato principalmente dal fatto che
all’interno della cellula ci sono diversi proteinati organici con carica negativa che, essendo
incapaci di permeare la membrana, sbilanciano la concentrazione degli ioni diffusibili
(potassio e cloro) generando la differenza di potenziale. Tuttavia avremo comunque una
concentrazione di soluti maggiore all’interno, il che porterebbe a lisi osmotica. Per bilanciare
questa componente anionica, nel liquido extracellulare è presente il catione sodio, che in
maniera limitata è anche in grado di permeare la membrana. Poiché il potenziale di equilibrio
del sodio è +60mV e il potenziale di riposo intorno a -90mV, il sodio tenderà ad entrare sia
per gradiente chimico che per gradiente elettrico. Per contrastare il flusso del sodio
all’interno e quello del potassio all'esterno, la pompa sodio-potassio, ad ogni suo ciclo,
causa la fuoriuscita di tre ioni sodio e l’ingresso di due ioni potassio. Dunque se la pompa
sodio-potassio non funzionasse, le differenze di concentrazione di Na+ e K+ tra
l’interno e l’esterno della cellula si estinguerebbero. Come conseguenza, si altererebbe
il potenziale di membrana e si avrebbe il progressivo ingresso di acqua nella cellula
dovuto alla maggior concentrazione di soluti nell’ambiente intracellulare rispetto a quello
extracellulare, che a lungo andare porterebbe alla morte cellulare per lisi osmotica.
Per ottenere questo trasporto contro gradiente avremo bisogno di ATP. Per dimostrare
questa dipendenza facciamo un semplice esperimento, possiamo utilizzare dinitrofenolo
(DNP) il quale è un bloccante della catena respiratoria, impedendo la sintesi di ATP. In
queste condizioni avremo un crollo dell’attività della pompa, che poi riprende non appena
viene rimosso il DNP dall’ambiente. Allo stesso modo, la pompa dipende dalla
concentrazione sia di ioni sodio intracellulari che di ioni potassio extracellulari, in particolare:
maggiori saranno, maggiore sarà l'attività della pompa (se [Na]i o [K]o sono assenti, la
pompa smette di funzionare). Infine anche la temperatura influenza l’attività della pompa.

30) Dalla misurazione del blocco del voltaggio si può calcolare l’andamento delle
conduttanze ai vari ioni. Come si fa?

Tramite la tecnica del Voltage-Clamp si può misurare l’andamento delle conduttanze ai vari
ioni. Il blocco del voltaggio avviene in un tempo di circa 100 microsecondi, e dato che
l’apertura dei canali è un processo che richiede circa 1 ms, possiamo sostanzialmente
“congelare” il loro cambiamento conformazionale. Inoltre si può calcolare il valore della
conduttanza ad uno ione grazie alla formula G = I / V (legge di Ohm), dato che conosciamo
sia la differenza di potenziale (scelta da noi) sia la corrente dello specifico ione. Se operando
il blocco del voltaggio si porta il potenziale di membrana al valore di E(K), si bloccano i flussi
del K+ e si registra la corrente di Na+ a quel valore di potenziale, possiamo di conseguenza
calcolarci la conduttanza al Na+ (GNa). Lo stesso vale per il potassio con un processo
inverso.

31) Passaggio da corrente microscopica a macroscopica tramite patch-clamp.

Il patch-clamp è il blocco di una piccola regione di membrana, grazie ad una micropipetta dai
bordi arrotondati in modo da evitare di danneggiare la membrana, per studiarne le correnti.
Tramite una leggera suzione della pipetta stabiliamo un contatto stretto con una porzione di
membrana così piccola da contenere un solo canale ionico, permettendoci di studiarne le
caratteristiche e le correnti microscopiche che lo attraversano. Ci sono tre tecniche che
consentono diversi tipi di misura: la prima è la “whole-cell configuration” in cui facciamo una
forte suzione rompendo la membrana, in modo da mettere in continuità pipetta e citoplasma
(misuriamo in questo modo le correnti macroscopiche); la seconda è la “inside-out
recording” in cui facciamo una leggera suzione e poi applichiamo una forte trazione per
rompere la membrana, che rimane adesa alla pipetta col singolo canale (portando la pipetta
in diverse soluzioni studieremo le diverse correnti microscopiche); infine la terza è la
“outside-out configuration” in cui facciamo una forte suzione e poi una forte trazione per
strappare la membrana, in seguito la zona rotta dalla trazione all’esterno della pipetta si
risalda così da avere la porzione extracellulare del canale all’esterno e quella intracellulare,
a contatto con diverse soluzioni, verso la pipetta (anche in questo caso misuriamo le correnti
microscopiche).

32) Cosa si misura con il voltage clamp e il patch clamp? Quali sono le loro differenze?
Descrivi entrambe le tecniche.

Il voltage clamp e il patch clamp sono due tecniche diverse per misurare le correnti che
attraversano la cellula quando il potenziale di membrana della cellula stessa è bloccato
ad un valore stabilito dallo sperimentatore. Il voltage clamp si esegue inserendo due
elettrodi all’interno della cellula, mentre per il patch clamp si avvicina alla
membrana plasmatica una micropipetta, i cui bordi sono stati levigati per evitare
danneggiamenti della cellula, e si esercita una piccola suzione, in modo da minimizzare
la perdita di correnti. Con la suzione, infatti, la resistenza verso le cariche che fuggono
lateralmente diventa molto maggiore rispetto alla resistenza di membrana.
Il voltage clamp, registrando le correnti attraverso l’intera cellula, registra l’attività di
milioni di canali contemporaneamente. Al contrario il patch clamp, dal momento che
il diametro della punta del microelettrodo è di circa 0,5 μm, registra le correnti che
attraversano un singolo canale. La corrente registrata attraverso il patch clamp sarà dunque
estremamente piccola (0,2 pA) e non molto precisa, presenterà infatti una serie di
oscillazioni, i cosiddetti rumori. Al contrario, la corrente registrata con il voltage clamp risulta
pulita, questo è dovuto al fatto che, registrando l’attività di milioni di canali, la corrente
registrata (dell’ordine dei mA) è molto più grande rispetto ai rumori.
Infine, mentre con il voltage clamp la forma della corrente registrata è “a campana”
(essendo il risultato dell’attività di milioni di canali, di cui alcuni sono aperti e altri
chiusi), la forma della corrente registrata con il patch clamp sarà un'onda quadra (poiché
indica lo stato di apertura o chiusura di un singolo canale).
33) Correlazione tra corrente di un singolo canale in patch clamp e corrente totale
attraverso la membrana.

Il patch-clamp è il blocco di una piccola regione di membrana, grazie ad una micropipetta dai
bordi arrotondati in modo da evitare di danneggiare la membrana, per studiarne le correnti.
Tramite una leggera suzione della pipetta stabiliamo un contatto stretto con una porzione di
membrana così piccola da contenere un solo canale ionico, permettendoci di studiarne le
caratteristiche e le correnti microscopiche che lo attraversano. E’ grazie alla tecnica del
patch-clamp che abbiamo dimostrato che la somma di molte correnti registrate dal singolo
canale (ottenute nelle stesse condizioni sperimentali) è equivalente a quella ottenibile
simultaneamente e in contemporanea da molti canali. Questo perché l’apertura del singolo
canale è probabilistica, può essere aperto o chiuso, ma portando la depolarizzazione verso i
valori di soglia, la probabilità di apertura del canale aumenta; poiché molti canali ionici sono
voltaggio-dipendenti. La probabilità di apertura del canale aumenta in modo sigmoidale
all’aumentare del potenziale di membrana.
La corrente registrata attraverso il patch clamp sarà dunque estremamente piccola (0,2 pA)
e non molto precisa, presenterà infatti una serie di oscillazioni, i cosiddetti rumori. La
corrente totale attraverso la membrana, invece, risulta più pulita in quanto registrando
l’attività di milioni di canali la corrente registrata (dell’ordine dei mA) è molto più grande
rispetto ai rumori. Infine, mentre la corrente totale è “a campana”, la forma della corrente
registrata con il patch clamp sarà un'onda quadra (poiché indica lo stato di apertura o
chiusura di un singolo canale).

POTENZIALE D’AZIONE

34) Cos’è il fenomeno dell’attenuazione.

L’attenuazione consiste nella diminuzione dell’ampiezza dei potenziali elettrotonici durante la


loro propagazione lungo l’assone. Possiamo rappresentare l’attenuazione di questo
potenziale in relazione alla distanza dal punto di origine tramite l’equazione del cavo, poiché
l’assone può essere approssimato a un conduttore cilindrico detto assoplasma, circondato
da una guaina isolante, la membrana (come un cavo telegrafico sottomarino, infatti si
sfruttano le equazioni elaborate per quel dispositivo). Allo stato stazionario possiamo
approssimare l’equazione del cavo a Vx = Vo exp(-x/lambda), dove: Vx= potenziale alla
distanza x, Vo = potenziale a distanza xo (cioè il punto in cui viene applicato lo stimolo, vale
a dire il punto dove il potenziale è ad ampiezza massima), x = distanza da xo, lambda =
costante di spazio. La costante di spazio è definita come la distanza alla quale il potenziale
elettrotonico si è ridotto fino al 37% (ovvero ha subito una variazione del 63%) del potenziale
Vo. La costante di spazio può essere calcolata sia sulla base dell’unità di lunghezza che
sulla base dell’unità di superficie. Nel primo caso avremo lamba = radice quadrata di rm / ri +
re, dove: rm = resistenza di membrana (misurata in ohm x cm), ri = resistenza intracellulare
(ohm / cm) e re = resistenza extracellulare (ohm / cm). Invece nel secondo caso lambda = a
x Rm / 2Ri, tutto sotto radice quadra, dove: a = raggio, Rm = rm x 2a pigreco, Ri = ri x a^2
pigreco. Il vantaggio di esprimere lambda in base all’unità di superficie è che così risulta
esplicitato il raggio, e quindi capiamo la dipendenza della costante di spazio dalle proprietà
geometriche dell’assone, oltre che ai valori della resistenza interna e di membrana (che
sono proprietà intrinseche dell’assone). Maggiore è il raggio, maggiore è lambda, e dunque
sarà maggiore anche la velocità di propagazione e la distanza percorsa.
35) Definire la costante di spazio, con anche l’unità di misura e la tecnica per misurarla.

Secondo la teoria dei circuiti locali, delle variazioni di membrana (depolarizzanti o


iperpolarizzanti) si propagano dal punto in cui viene applicato lo stimolo, andando ad
alterare le regioni adiacenti della membrana cellulare. L’intensità di queste correnti però,
trattandosi di un processo passivo, tenderà a diminuire man mano che ci si allontana dal
punto di stimolazione secondo la costante di spazio. La costante di spazio è definita come la
distanza alla quale il potenziale elettrotonico si è ridotto fino al 37% (ovvero ha subito una
variazione del 63%) del potenziale Vo; la sua unità di misura sarà una lunghezza (mm, cm,
m...). La costante di spazio può essere calcolata sia sulla base dell’unità di lunghezza che
sulla base dell’unità di superficie. Nel primo caso avremo lamba = radice quadrata di rm / ri +
re, dove: rm = resistenza di membrana (misurata in ohm x cm), ri = resistenza intracellulare
(ohm / cm) e re = resistenza extracellulare (ohm / cm). Invece nel secondo caso lambda = a
x Rm / 2Ri, tutto sotto radice quadra, dove: a = raggio, Rm = rm x 2a pigreco, Ri = ri x a^2
pigreco. Il vantaggio di esprimere lambda in base all’unità di superficie è che così risulta
esplicitato il raggio, e quindi capiamo la dipendenza della costante di spazio dalle proprietà
geometriche dell’assone, oltre che ai valori della resistenza interna e di membrana (che
sono proprietà intrinseche dell’assone). Maggiore è il raggio, maggiore è lambda, e dunque
sarà maggiore anche la velocità di propagazione e la distanza percorsa.
Per misurarla potremo andare ad anestetizzare un assone in modo da bloccare la sua
propagazione attiva facendo sì che il fenomeno elettrico si propaghi solo passivamente.
Studiando poi l’attenuazione dopo un determinato spazio x noi saremo in grado di risalire
alla costante di spazio per la relativa fibra assonica.

36) Equazione e parametri della propagazione passiva (elettrotonica) del potenziale in


una fibra nervosa. Perché la velocità di conduzione di una fibra nervosa aumenta
all’aumentare del diametro?

Nella propagazione passiva (o elettrotonica) le diverse correnti iperpolarizzanti o


depolarizzanti sfruttano le caratteristiche della membrana plasmatica stessa per propagarsi
da una zona a quella adiacente, subendo tuttavia un decremento nella loro intensità (si parla
di fenomeno dell’attenuazione). Possiamo rappresentare l’attenuazione di un potenziale in
relazione alla distanza dal punto di origine grazie all’equazione del cavo, poiché l’assone
può essere approssimato a un conduttore cilindrico detto assoplasma, circondato da una
guaina isolante, la membrana (come un cavo telegrafico sottomarino, infatti si sfruttano le
equazioni elaborate per quel dispositivo). Allo stato stazionario possiamo approssimare
l’equazione del cavo a Vx = Vo exp(-x/lambda), dove: Vx= potenziale alla distanza x, Vo =
potenziale a distanza xo (cioè il punto in cui viene applicato lo stimolo, vale a dire il punto
dove il potenziale è ad ampiezza massima), x = distanza da xo, lambda = costante di spazio.
La costante di spazio è definita come la distanza alla quale il potenziale elettrotonico si è
ridotto fino al 37% (ovvero ha subito una variazione del 63%) del potenziale Vo. La costante
di spazio può essere calcolata come lambda = a x Rm / 2Ri, tutto sotto radice quadra, dove:
a = raggio, Rm = resistenza di membrana in base all’unità di superficie, Ri = resistenza
intracellulare in base all’unità di superficie. Da questa formula capiamo la dipendenza della
costante di spazio dalle proprietà geometriche dell’assone, oltre che ai valori della resistenza
interna e di membrana (che sono proprietà intrinseche dell’assone). Maggiore è il raggio,
maggiore è lambda, e dunque sarà maggiore anche la velocità di propagazione e la distanza
percorsa. Tanto è vero che uno dei metodi evolutivi utilizzati per aumentare la velocità di
conduzione degli stimoli nervosi è quello di avvolgere la fibra nervosa con una guaina
isolante (a base lipidica) che ha ruolo sia di aumentare il diametro complessivo della fibra
che aumentare Rm, così facendo lambda sarà nettamente maggiore rispetto ad una fibra
non mielinica. L’aumento di lambda determina anche, in maniera direttamente proporzionale,
un aumento della velocità poiché v = lambda / tau, dove tau è la costante di tempo (ovvero il
tempo dopo cui il potenziale graduato è diminuito del 63%) calcolata come tau = Rm x Cm.

36) Cos'è e quali sono le caratteristiche di un potenziale graduato formato per un gradino
di corrente. Che forma ha se viene somministrato un impulso ad onda quadra sotto soglia?

I potenziali graduati (o elettrotonici) sono fenomeni di depolarizzazione o di


iperpolarizzazione che si propagano passivamente lungo la membrana. Essendo fenomeni
sotto soglia, non inducono una risposta attiva da parte della cellula, non riuscendo ad aprire i
canali voltaggio-dipendenti: in questo caso si tratta di fenomeni che vanno in contro ad un
decremento, in quanto il potenziale non può essere costantemente rigenerato. Si chiamano
potenziali graduati perché non seguono la legge del tutto o nulla, possono assumere diversi
valori e si propagano potenzialmente sia in senso ortodromico che antidromico secondo le
leggi dell’elettrologia. Il fenomeno di propagazione dei potenziali elettrotonici segue la
cosiddetta legge del cavo: V=Vo exp(-x/lambda), dove: Vx= potenziale alla distanza x, Vo =
potenziale a distanza xo (cioè il punto in cui viene applicato lo stimolo, vale a dire il punto
dove il potenziale è ad ampiezza massima), x = distanza da xo, lambda = costante di spazio.
La costante di spazio è definita come la distanza alla quale il potenziale elettrotonico si è
ridotto fino al 37% (ovvero ha subito una variazione del 63%) del potenziale Vo. Se
somministriamo un impulso ad onda quadra iperpolarizzante o depolarizzante sotto soglia
osserveremo una variazione del potenziale di membrana non uniforme alla corrente
somministrata. In questo caso entrerà in gioco il valore di capacità della membrana.
Comportandosi come un condensatore, la membrana si deve prima scaricare delle cariche
accumulate tramite le cosiddette correnti capacitive, e solo successivamente risentirà dello
stimolo. Avremo quindi una variazione prevedibile con le formule di scarica e di carica del
condensatore, che dipende dalla costante di tempo tau (essa indica il lasso di tempo dopo il
quale il fenomeno si è attenuato del 63%).

37) Cosa sono la costante di tempo e di spazio.

La costante di tempo tau è utilizzabile se una grandezza varia in maniera esponenziale. Tau
indica il tempo dopo il quale la grandezza considerata è aumentata o diminuita del 63%, il
fatto che questa cresca o si riduca dipende dalla natura del fenomeno considerato. Con
significato analogo abbiamo definito la costante di spazio in relazione al fenomeno di
depolarizzazione/iperpolarizzazione di membrana, che decresce in maniera esponenziale
con la distanza; la costante di spazio infatti si indica con lambda e rappresenta quella
distanza dopo la quale la depolarizzazione è diminuita del 63 % (e quindi la
depolarizzazione ha raggiunto il 37% del suo valore iniziale). Queste due costanti possono
essere calcolate sia in base all’unità di lunghezza sia in base all’unità di superficie. In
particolare utilizzando l’unità di lunghezza avremo: Tau= rm × cm mentre Lambda = radice di
rm / rin + rout (dove rm è la resistenza di membrana, cm è la capacità di membrana, rin è la
resistenza intracellulare e infine rout è la resistenza extracellulare). Invece utilizzando l’unità
di superficie troveremo che: Tau = Rm × Cm e Lambda = (a × Rm) / 2 Ri tutto sotto radice (in
questo caso a = raggio, Rm = rm x 2 a pigreco, Cm = cm / 2 a pigreco, Ri = ri x pigreco a^2).
Queste due costanti ci permettono di definire la velocità di propagazione del segnale
secondo la formula v = lambda / tau. Da questa formula capiamo la dipendenza della
velocità di propagazione dalle proprietà geometriche dell’assone: maggiore è il raggio,
maggiore è lambda, e dunque sarà maggiore anche la velocità di propagazione e la distanza
percorsa. Seguendo lo stesso principio aumentano Rm la velocità di propagazione aumenta.
Tanto è vero che uno dei metodi evolutivi utilizzati per aumentare la velocità di conduzione
degli stimoli nervosi è quello di avvolgere la fibra nervosa con una guaina isolante (a base
lipidica) che ha ruolo sia di aumentare il diametro complessivo della fibra che aumentare
Rm, così facendo lambda sarà nettamente maggiore rispetto ad una fibra non mielinica.

38) Quali sono i parametri che influiscono sulla velocità di conduzione del segnale in una
fibra amielinica?

La velocità di propagazione del segnale segue la formula v = lambda / tau, vale a dire
costante di spazio fratto costante di tempo. La costante di spazio lambda indica quella
distanza dopo la quale la depolarizzazione è diminuita del 63 % (e quindi la
depolarizzazione ha raggiunto il 37% del suo valore iniziale), il fatto che questa cresca o si
riduca dipende dalla natura del fenomeno considerato. Con significato analogo abbiamo
definito la costante di tempo tau, che indica il tempo dopo il quale la grandezza considerata
è aumentata o diminuita del 63%. Queste due costanti possono essere calcolate sia in base
all’unità di lunghezza sia in base all’unità di superficie. In particolare utilizzando l’unità di
lunghezza avremo: Tau= rm × cm mentre Lambda = radice di rm / rin + rout (dove rm è la
resistenza di membrana, cm è la capacità di membrana, rin è la resistenza intracellulare e
infine rout è la resistenza extracellulare). Invece utilizzando l’unità di superficie troveremo
che: Tau = Rm × Cm e Lambda = (a × Rm) / 2 Ri tutto sotto radice (in questo caso a =
raggio, Rm = rm x 2 a pigreco, Cm = cm / 2 a pigreco, Ri = ri x pigreco a^2). Nelle fibre
mieliniche avremo una guaina di natura lipidica che serve sia ad aumentare la resistenza di
membrana (in quanto isolante) sia ad aumentare il diametro stesso della fibra; nelle fibre
amieliniche questo non vale e avremo di conseguenza una propagazione che, seppur attiva
con autorigenerazione del PdA, avrà una velocità inferiore. Fanno eccezione le fibre con
diametro inferiore ad 1 micrometro, laddove invece saranno quelle amieliniche a trasmettere
con maggiore velocità rispetto alle fibre mieliniche, questo perché a dimensioni così ridotte
l’assone ha un diametro piccolissimo, quindi una ri molto grande, in accordo con la seconda
legge di Ohm (R = rho x l/A).

39) Come e perché varia la costante di lunghezza delle fibre mieliniche.

La costante di spazio (o di lunghezza) è definita come la distanza alla quale l’intensità dello
stimolo depolarizzante si è ridotta fino al 37% (ovvero ha subito una variazione del 63%) del
potenziale Vo; la sua unità di misura sarà una lunghezza (mm, cm, m...). La costante di
spazio può essere calcolata sia sulla base dell’unità di lunghezza che sulla base dell’unità di
superficie. Nel primo caso avremo lamba = radice quadrata di rm / ri + re, dove: rm =
resistenza di membrana (misurata in ohm x cm), ri = resistenza intracellulare (ohm / cm) e re
= resistenza extracellulare (ohm / cm). Invece nel secondo caso lambda = a x Rm / 2Ri, tutto
sotto radice quadra, dove: a = raggio, Rm = rm x 2a pigreco, Ri = ri x a^2 pigreco. Il
vantaggio di esprimere lambda in base all’unità di superficie è che così risulta esplicitato il
raggio, e quindi capiamo la dipendenza della costante di spazio dalle proprietà geometriche
dell’assone, oltre che ai valori della resistenza interna e di membrana (che sono proprietà
intrinseche dell’assone). Maggiore è il raggio, maggiore è lambda, e dunque sarà maggiore
anche la velocità di propagazione e la distanza percorsa. Nelle fibre mieliniche avremo delle
cellule di supporto (oligodendrociti nel SNC e cellule di Schwann nel SNP) che,
avvolgendosi intorno alle fibre nervose, formano un rivestimento di natura lipidica che
prende il nome di guaina mielinica. Così facendo avremo un aumento della resistenza di
membrana (in quanto la guaina è isolante) ma anche un aumento del diametro stesso della
fibra. Ovviamente, pur essendo la guaina un buon isolante, la depolarizzazione subirà
comunque attenuazione, per questo motivo avremo interruzioni della guaina ogni 1-2mm
necessarie a consentire la autorigenerazione del potenziale d’azione. Tali zone nude
prendono il nome di nodi di Ranvier, pertanto le sezioni di fibra avvolte da guaina tra un
nodo di Ranvier e l’altro verranno anche chiamate internodi.

40) Grafico diametro-velocità delle fibre mieliniche e amieliniche.

Immaginando di avere un grafico rappresentante sulle ascisse il diametro della fibra (in
micrometri) e sulle ordinate la velocità (questa dipende da costante di spazio fratto costante
di tempo). Vedremo che per le fibre amieliniche abbiamo una parabola rovesciata (dato che
la velocità segue la radice del raggio, poiché è uno dei parametri che determina lambda),
mentre nelle fibre mieliniche abbiamo una retta. Per diametri superiori a 1 micrometro, la
velocità di conduzione delle fibre mieliniche supera di gran lunga quella delle fibre
amieliniche per via della sua tipica conduzione saltatoria, in cui il potenziale d’azione
viene riprodotto solo a livello dei nodi di Ranvier grazie all’isolamento della guaina mielinica
(data dall’avvolgimento degli oligodendrociti nel SNC e delle cellule di Schwann nel SNP).
Mentre per diametri inferiori a 1 micrometro, le fibre amieliniche presentano una velocità di
conduzione maggiore rispetto a quelle mieliniche, poiché il diametro della fibra mielinica
comprende sia l’assone che la mielina situata intorno, e quindi a questi valori l’assoplasma
avrà un diametro piccolissimo, e di conseguenza una resistenza intracellulare molto grande,
in accordo con la seconda legge di Ohm (R = rho x l/A). Nonostante la presenza della
mielina aumenti la costante di spazio, dal canto suo una resistenza interna molto grande la
diminuisce.

41) Cosa si deve fare per evocare un potenziale d’azione?

Per evocare un potenziale d’azione, bisogna stimolare la cellula con una corrente
uscente che provochi una depolarizzazione della membrana plasmatica sufficiente a
superare il valore soglia. La depolarizzazione provocata dalla corrente ha una forma
descrivibile tramite le leggi di carica e scarica di un condensatore (che in questo caso è la
membrana), e si propaga passivamente a meno che non si raggiunga un certo valore, detto
appunto valore soglia. Una volta superata la soglia la risposta diviene attiva e da lì in poi
avremo generazione del cosiddetto potenziale d’azione, che deriva dall’apertura dei canali
voltaggio-dipendenti. In particolare vedremo un aumento del potenziale di membrana che
schizzerà dai valori di riposo (tra i -90 e i -60 mV) fino a valori positivi intorno ai +30 mV. Tale
depolarizzazione è provocata dall’apertura dei canali al sodio voltaggio-dipendenti, i quali in
condizioni di riposo risultano chiusi rendendo la permeabilità allo ione molto bassa In seguito
al raggiungimento della soglia la depolarizzazione è sufficiente ad aprire questi canali,
permettendo una entrata massiva di sodio nella cellula (il quale è spinto sia dal gradiente di
concentrazione, poiché maggiormente concentrato all’esterno, sia per gradiente elettrico).
La depolarizzazione, però, anche in seguito all’apertura dei canali del Na+ non raggiunge
mai il potenziale di equilibrio di questo ione per due motivi. Il primo è che l’aumento della
permeabilità di membrana al Na+ è transitorio: i canali del Na+ restano aperti solo per un
breve lasso tempo, quando la porta di attivazione è aperta e quella di inattivazione non si è
ancora chiusa. Il secondo motivo è che, in contemporanea all’apertura dei canali del sodio,
abbiamo anche l’apertura dei canali al potassio voltaggio-dipendenti con una cinetica più
lenta. Il progressivo aumento di permeabilità al K+ consentirà allo ione la fuoriuscita
(secondo il suo gradiente di concentrazione) determinando una corrente iperpolarizzante
che serve a ripolarizzare la membrana (questa non si fermerà al raggiungimento dell’iniziale
potenziale di riposo, bensì proseguirà anche oltre determinando il fenomeno della
iperpolarizzazione postuma). La durata del potenziale d’azione è di circa 1 ms, dopodiché il
potenziale di membrana si riassesta finalmente sul valore di riposo. Il PdA è un fenomeno
del tipo “tutto o nulla”, poiché a prescindere dall’entità della depolarizzazione, basterà
raggiungere la soglia per aprire i canali del sodio e avere la risposta precedentemente
descritta. Inoltre è anche stereotipo, perché dal momento in cui questo parte, presenterà
sempre la stessa ampiezza indipendentemente dall’intensità dello stimolo che lo ha
provocato.

42) Cosa indica la relazione intensità-durata di uno stimolo? E come è la costante di


tempo in base all’intensità?
Il potenziale d’azione per innescarsi necessita uno stimolo di corrente che superi un valore
di depolarizzazione detto “valore soglia”, seguendo il principio tutto o nulla. La risposta della
depolarizzazione alla corrente ha un andamento temporale che è dato dalla costante di
tempo tau, definibile come il tempo dopo cui il potenziale graduato è diminuito del 63%. La
costante di tempo è la stessa a prescindere dallo stimolo, poiché è uguale al prodotto di due
caratteristiche intrinseche della membrana (e dunque indipendenti dallo stimolo): la
resistenza per la capacità. Possiamo ricavare una curva intensità-durata dello stimolo grazie
alla formula di carica di un condensatore (Vt = Vo x (1 − exp (−t/tau)). Da questa relazione
ricavo la corrente in funzione del tempo necessaria a raggiungere una determinata
differenza di potenziale (che noi stabiliremo come valore fisso rappresentata dalla soglia). In
altre parole la curva che ottengo permette di trovare la durata minima che lo stimolo deve
avere per raggiungere il valore soglia. Si nota dunque che per valori di intensità di corrente
maggiore il tempo necessario a raggiungere la soglia è minore; questo perché gli stimoli
avendo la stessa costante di tempo raggiungono una determinata percentuale di
depolarizzazione nello stesso tempo, ma se pongo valori di corrente più ampi (essendo
deltaV direttamente proporzionale alla corrente secondo la legge di Ohm deltaV = R x I),
raggiungo valori di differenza di potenziale maggiori in un tempo minore.

43) Perché la punta del potenziale d’azione non raggiunge il potenziale di equilibrio del
sodio? Perché ci si potrebbe aspettare che lo raggiungesse?

Il potenziale d’azione è quella risposta attiva che si innesca in seguito ad una


depolarizzazione sopra-soglia della membrana plasmatica. Una volta superata la soglia
avremo l’apertura dei canali voltaggio-dipendenti. In particolare vedremo un aumento del
potenziale di membrana che schizzerà dai valori di riposo (tra i -90 e i -60 mV) fino a valori
positivi intorno ai +30 mV. Tale depolarizzazione è provocata dall’apertura dei canali al sodio
voltaggio-dipendenti, i quali in condizioni di riposo risultano chiusi rendendo la permeabilità
allo ione molto bassa In seguito al raggiungimento della soglia la depolarizzazione è
sufficiente ad aprire questi canali, permettendo una entrata massiva di sodio nella cellula, il
quale cerca di raggiungere il proprio potenziale di equilibrio (circa +60 mV). La
depolarizzazione, però, anche in seguito all’apertura dei canali del Na+ non raggiunge mai il
potenziale di equilibrio di questo ione per due motivi. Il primo è che l’aumento della
permeabilità di membrana al Na+ è transitorio: i canali del Na+ restano aperti solo per un
breve lasso tempo, quando la porta di attivazione è aperta e quella di inattivazione non si è
ancora chiusa. Il secondo motivo è che, in contemporanea all’apertura dei canali del sodio,
abbiamo anche l’apertura dei canali al potassio voltaggio-dipendenti con una cinetica più
lenta, che consentiranno al potassio di fuoriuscire (secondo il suo gradiente di
concentrazione) determinando una corrente iperpolarizzante che serve a ripolarizzare la
membrana (questa non si fermerà al raggiungimento dell’iniziale potenziale di riposo, bensì
proseguirà anche oltre determinando il fenomeno della iperpolarizzazione postuma).

44) Da quali meccanismi a feedback sono regolati i canali di sodio e potassio a seguito del
raggiungimento di un potenziale sopra soglia?

Studiando le basi ioniche del potenziale d’azione notiamo che gli ioni responsabili sono il
sodio e il potassio. Le ipotesi di Hodgkin rappresentano il principale modello di spiegazione
per questi fenomeni, formulando una teoria (accreditata da diversi esperimenti) secondo un
feedback positivo o negativo. In particolare per quanto riguarda i canali per il Na
voltaggio-dipendenti, una volta attivati questi sono responsabili della fase di intensa
depolarizzazione del potenziale d’azione, e quindi avremo feedback positivo: una
depolarizzazione sopra soglia causa l’apertura di un canale per il Na+ voltaggio-dipendente,
che, una volta aperto, aumenterà enormemente la conduttanza di membrana per lo ione. A
questo punto, il sodio entra in massa all’interno della cellula, generando un’ulteriore
depolarizzazione che nuovamente può tornare a scatenare una risposta attiva lungo altri
canali per il sodio. Viceversa, per quanto riguarda i canali per il K+ voltaggio-dipendenti, una
volta attivati questi hanno la funzione di riportare il potenziale di membrana a valori di riposo,
previa una piccola iperpolarizzazione dovuta al graduale (e più lento) aumento di
conduttanza verso tale ione. In questo caso si parla di feedback negativo: con l’aumento
della conduttanza per tale ione, la depolarizzazione sarà smorzata e avremo il ripristino della
situazione di partenza.

45) Durante il potenziale d’azione abbiamo un passaggio di ioni attraverso la membrana.


Come si può misurare e quantificare questo passaggio?

Durante il potenziale d’azione abbiamo un passaggio di ioni attraverso la membrana, questi


ioni, come dimostrato in diversi esperimenti, sono il Na+ e il K+. Se attraverso una
membrana esiste un potenziale, deve esistere una carica netta, infatti il potenziale è
generato proprio da una separazione netta tra cariche positive e negative. Questo è
possibile perché in un circuito equivalente la membrana si comporta come un condensatore,
cioè è in grado di separare ed accumulare cariche.
La carica elettrica è calcolabile attraverso la formula: Q = C x V, dove: Q = carica elettrica (in
Coulomb), C = capacità elettrica (che di base è misurata in microF ma poi viene solitamente
normalizzata per la superficie e quindi viene misurata in microF/cm2, nella cellula vale 1
microFarad/cm2), V = potenziale (in mV). Sapendo quindi che la variazione di potenziale
durante un PdA è circa 100 mV (poiché il potenziale di membrana a riposo è circa −70 mV e
il picco del potenziale d’azione +30 mV), possiamo inserire tali valori nella formula
precedente: Q = 10^−6 microFarad/cm2 x 0,1 V = 10^−7 C. Una volta trovata la carica, è
possibile trovare la quantità di sostanza (moli) degli ioni che hanno attraversato la
membrana, sapendo che il Faraday (F) è la quantità di carica di 1 mole di uno ione
monovalente e che corrisponde a circa 96.500 Coulomb. Per scoprire a quante moli di ione
monovalente corrispondono 10−7 C, possiamo fare una proporzione basandoci sulla
definizione della costante di Faraday che per semplicità viene approssimata a 10^5.
Possiamo calcolare che 10^−7 C : x = 10^5 C : 1 mol, dunque x = 10^−12 moli.
In conclusione, durante il potenziale d’azione, la quantità di ioni che attraversa la
membrana è minima, circa 10−12 moli. Tuttavia, questa piccola quantità è comunque
sufficiente a provocare un cambiamento radicale nel potenziale di membrana, che
passa in brevissimo tempo (1 ms) da −70 mV a +30 mV.

46) Come si possono misurare le correnti ioniche durante un potenziale d’azione?

Durante il potenziale d’azione abbiamo un passaggio di ioni attraverso la membrana, questi


ioni, come dimostrato in diversi esperimenti, sono il Na+ e il K+. Per calcolare le correnti
ioniche inizialmente si usavano esperimenti con isotopi radioattivi, in cui si misurava la
concentrazione intracellulare di Na+ radioattivo a riposo e successivamente durante e dopo
la stimolazione; ma questa tecnica risultava molto lenta. Con l'utilizzo della tecnica di
voltage-clamp tuttavia risulta più facile studiare i flussi di sodio e potassio. Per questo
esperimento si utilizza l’assone gigante di calamaro, il quale ha un potenziale di riposo pari a
-60mV, e tramite voltage-clamp blocchiamo il suo potenziale di membrana ad un valore Vm
= 0mV. Il sistema è in grado di registrare le correnti che manda la cellula, tuttavia non è in
grado di scindere quale corrente corrisponde a quale ione, per fare ciò abbiamo due metodi.
Il primo metodo impone Vm = 0mV e a questo punto si diminuisce il sodio extracellulare fino
a quando questo non diventa uguale al sodio intracellulare (per farlo devo però aggiungere
all’esterno destrosio come agente osmoticamente attivo), così facendo abbiamo annullato
del tutto la corrente del sodio; possiamo a questo punto sottrarre alla corrente totale (Ik +
INa) che avevamo registrato all’inizio, la corrente di potassio, così facendo rimarrà solo la
corrente di sodio. Il secondo metodo consiste nell’avvelenare i canali, ovvero inattivarli con
agenti farmacologici come la tetrodotossina (TTX) che inibisce i canali al sodio e ci consente
di studiare esclusivamente la corrente di potassio; oppure il tetraetilammonio (TEA) che
blocca la corrente di potassio.

47) Cosa succede se si modifica la concentrazione del sodio extracellulare con destrosio
al potenziale di azione e perché.

Durante il potenziale d’azione abbiamo un passaggio di ioni attraverso la membrana, questi


ioni, come dimostrato in diversi esperimenti, sono il Na+ e il K+. Modificazioni della
concentrazione extracellulare di questi ioni determineranno variazioni nella curva del
potenziale d’azione, facendo tuttavia attenzione quando abbassiamo la concentrazione del
sodio in quanto questo ha un fondamentale ruolo nel regolare l’equilibrio osmotico. Infatti,
poiché all’interno della cellula ci sono diversi proteinati organici con carica negativa che sono
incapaci di permeare la membrana, si avrà uno sbilanciamento nella concentrazione di soluti
che viene contrastato dalla pressoché totale impermeabilità del sodio (anche grazie alla
pompa sodio-potassio). Ecco perché dovremo sostituire al sodio una molecola altrettanto
impermeabile e osmoticamente attiva come il destrosio. Per quanto riguarda il PdA notiamo
che una diminuzione progressiva del sodio extracellulare determina una progressiva
diminuzione del picco osservato in condizioni normali, questo perché il gradiente
elettrochimico del sodio diminuisce di conseguenza. Arrivati ad un valore di sodio
extracellulare uguale a quello intracellulare noteremo che, nonostante l’apertura dei canali al
sodio voltaggio-dipendenti sia la stessa, non avremo flusso netto di ioni che causano la
corrente depolarizzante. Infine, scendendo ulteriormente, la corrente diventerà uscente
(poiché il sodio esce per gradiente di concentrazione) e dunque osserveremo, al
raggiungimento della soglia, una iperpolarizzazione.

48) Qual è la struttura e la cinetica dei canali voltaggio-dipendenti per il Na?

I canali al sodio voltaggio-dipendenti hanno una struttura tetramerica dove ognuna delle
quattro subunità è costituita da diverse anse transmembrana di natura idrofobica. Queste
subunità delimitano un poro acquoso dal quale passa solo sodio, questo è reso possibile
grazie ad un filtro di selettività. Nel canale avremo delle anse proteiche che funzionano
come porte: avremo esternamente una porta di attivazione, e più internamente una porta di
inattivazione. In condizioni di riposo la prima è chiusa e la seconda è aperta. La porta di
attivazione presenta una porzione carica positivamente che prende il nome di sensore e che
difatti è responsabile della voltaggio-dipendenza poiché queste cariche positive subiscono la
spinta del campo elettrico (che le spinge verso il basso) e si trascinano dietro la porta come
a formare un tappo. Mentre la porta di inattivazione avrà un modello ball and chain, in cui
abbiamo una porzione flessibile (chain) e una particella inattivante (ball). Quando arriva il
PdA, il potenziale di membrana diminuisce e quindi la spinta del campo elettrico diminuisce
a sua volta tanto che il sensore si sposta verso l’alto (perché è spinto di meno) aprendo la
porta di attivazione. Con una cinetica più lenta la porta di inattivazione sente la variazione
del campo elettrico e si chiude, tuttavia esiste un breve periodo in cui le due porte sono
entrambe aperte e passa il sodio. Dopo l’apertura le porte di inattivazione hanno bisogno di
un lasso di tempo per tornare allo stato attivo e riaprire quindi il canale, questa è la
principale causa del fenomeno di refrattarietà assoluta, ovvero che due potenziali d’azione
non possono essere direttamente contigui (ed è per questo che il PdA si propaga solo in
senso ortodromico).

49) Cos’è un sensore di un canale voltaggio-dipendente? Qual è la sua funzione.

Il sensore di un canale voltaggio-dipendente è una struttura, situata all’interno del


canale o nelle sue immediate vicinanze, sensibile al voltaggio e in grado di alterare,
mediante modifiche conformazionali, lo stato del canale (aperto/chiuso) in relazione al
potenziale di membrana. Il sensore può essere dotato di carica positiva (come nel caso del
canale Na voltaggio-dipendente), sul quale agisce una forza elettrica che spinge il sensore
dal lato intracellulare. In condizioni di riposo, la forza elettrica è tale che la spinta sul sensore
determina la chiusura della porta del canale. Quando la membrana viene depolarizzata, la
forza elettrica diminuisce e di conseguenza il sensore si sposta (“sale verso l’esterno”) e il
canale si apre. L’apertura di un canale, pertanto, è preceduta da un passaggio di corrente
molto piccola dovuta allo spostamento del sensore, che prende il nome di corrente di porta o
gating current. Per registrarla in mezzo alle nettamente superiori correnti di sodio bisogna
per prima cosa fornire una depolarizzazione sopra soglia in modo da attivare il canale Na
voltaggio-dipendente e registrare la corrente totale che lo attraversa. Successivamente si dà
un’iperpolarizzazione della stessa entità e osserveremo stavolta solo la corrente capacitiva
(che è presente sia per la depolarizzazione che per l’iperpolarizzazione, al contrario delle
correnti di porta presenti solo con la depolarizzazione). Sottraendo le due correnti capacitive
rimaniamo solo con la corrente di porta che avrà un’ampiezza di circa 2 pA.

50) Descrivere il fenomeno del periodo refrattario assoluto e relativo, la loro relazione
con i canali voltaggio dipendenti e come si collegano con la relazione corrente-voltaggio.

Durante il potenziale d’azione abbiamo un passaggio di ioni attraverso la membrana, questi


ioni, come dimostrato in diversi esperimenti, sono il Na+ e il K+. Al raggiungimento del
potenziale di soglia, si apriranno i canali voltaggio-dipendenti per entrambi gli ioni, tuttavia lo
faranno con cinetiche differenti. In particolare i canali per il sodio avranno una cinetica molto
rapida sia ad attivarsi che a inattivarsi, e saranno i principali responsabili della fase
depolarizzante del PdA fino al raggiungimento del picco (che tuttavia non arriverà mai al
potenziale di equilibrio dello ione sodio, si fermerà un po’ prima). E’ dovuto alla cinetica dei
canali del sodio anche il periodo refrattario assoluto, questo perché nella struttura di questi
canali troviamo una porta di attivazione (più esterna) e una porta di inattivazione (più
interna). La prima si aprirà immediatamente subito dopo aver raggiunto la soglia grazie ad
un sensore, la seconda invece percepirà la depolarizzazione più lentamente e si chiuderà in
un periodo di tempo maggiore. Allo stesso modo avrà poi anche una cinetica lenta nel
riaprirsi, esisterà quindi un periodo di tempo in cui questa porta rimane chiusa a prescindere
dall'intensità dello stimolo (e dunque sarà impossibile generare un nuovo PdA, ecco il motivo
del periodo refrattario assoluto). Invece i canali per il potassio avranno una cinetica più lenta
sia nell’aprirsi che nel chiudersi, per questo motivo in seguito al picco del PdA osserviamo
una ripolarizzazione lenta ma costante, che non si fermerà al potenziale di riposo iniziale
della membrana, ma bensì andrà oltre provocando una iperpolarizzazione postuma. Sarà
quest’ultima a determinare il periodo di refrattarietà relativa, durante il quale per raggiungere
nuovamente la soglia ed innescare un nuovo potenziale d’azione sarà necessario uno
stimolo depolarizzante di intensità maggiore.

51) Cosa sono le correnti di porta? Come sono state osservate?

Le correnti di porta (gating currents) sono correnti causate dall’attivazione della particella
sensore presente a livello di vari canali, come per esempio il canale Na
voltaggio-dipendente. Questo sensore comunica al resto della struttura l’arrivo di un
potenziale d’azione in quanto, contenendo cariche positive, la depolarizzazione della
membrana causa una diminuzione della forza elettrica che teneva il sensore in posizione (e
dunque con la porta di attivazione chiusa) che salendo apre il canale. Lo spostamento di
queste cariche positive induce correnti piccolissime, che se vogliamo registrare in mezzo
alle nettamente superiori correnti di sodio, dobbiamo per prima cosa isolare un singolo
canale tramite patch clamp (che sfrutta la suzione di una piccola porzione di membrana
grazie ad una micropipetta con microelettrodo levigato). A questo punto si fornisce una
depolarizzazione sopra soglia in modo da attivare il canale Na voltaggio-dipendente e
registrare la corrente totale che lo attraversa. Successivamente si dà un’iperpolarizzazione
della stessa entità e osserveremo stavolta solo la corrente capacitiva (che è presente sia per
la depolarizzazione che per l’iperpolarizzazione, al contrario delle correnti di porta presenti
solo con la depolarizzazione). Sottraendo le due correnti capacitive rimaniamo solo con la
corrente di porta che avrà un’ampiezza di circa 2 pA.

52) Cos’è l’accomodazione e qual è la sua importanza fisiologica.


L’accomodazione è un fenomeno in cui il valore di soglia (necessario per innescare
un’apertura dei canali voltaggio-dipendenti e un conseguente potenziale d’azione) si assesta
su valori diversi dalla norma a seconda degli stimoli percepiti; ne deduciamo quindi che il
valore soglia non è una costante assoluta ma dipende dalla cosiddetta storia precedente.
Fisiologicamente l’accomodazione è necessaria perché, se per qualche motivo le
concentrazioni ioniche dell’organismo cambiano per via di alterazioni temporanee, è
possibile cambiare il valore del potenziale di riposo in modo da evitare di andare in contro
alla genesi di un potenziale d’azione non intenzionale o, viceversa, la mancata generazione
della risposta attiva del neurone.
Questo fenomeno si può avere in più casi: in primo luogo quando si dà uno stimolo
depolarizzante sotto-soglia per un tempo sufficientemente lungo vedremo che il valore di
soglia si alza finché non cessa la depolarizzazione continuata e poi, una volta cessata, esso
torna così al valore normale; in secondo luogo quando si fornisce una corrente
iperpolarizzante in modo prolungato vedremo che il valore di soglia si abbassa finché non
cessa lo stimolo, una volta cessato torna al valore normale; in terzo luogo quando si fornisce
uno stimolo iperpolarizzante molto intenso, il valore di soglia può addirittura scendere sotto il
valore di riposo e quindi, una volta terminata tale iperpolarizzazione, quando torneremo al
valore di riposo, si può innescare potenziale d’azione; infine quando forniamo una
depolarizzazione lenta e graduale, il valore di soglia ha il tempo di accomodarsi di
conseguenza crescendo anch’esso in maniera lenta e graduale, in questo caso stimolo
depolarizzante e valore soglia non si incontreranno mai impedendo la generazione del pdA.

53) Descrivere, anche graficamente, le varie fasi del potenziale d’azione e le variazioni di
conduttanza ai vari ioni.

Il potenziale d’azione è la risposta attiva di una cellula ad una stimolazione soprasoglia.


Una depolarizzazione della membrana cellulare genera un potenziale d’azione quando
ha un’ampiezza sufficiente al raggiungimento della soglia oltre la quale scatta il potenziale
d’azione. La soglia è data dal fatto che, in condizioni di riposo, la permeabilità di membrana
al Na+ (dunque la sua conduttanza GNa) è molto bassa perché i suoi canali sono chiusi.
Con l’arrivo di una depolarizzazione, se questa è sufficiente al raggiungimento della soglia,
si aprono i canali voltaggio-dipendenti al sodio e al potassio, così da far scattare il PdA. I
primi ad aprirsi, con una cinetica molto più veloce, sono i canali del sodio (la cui conduttanza
passa da essere quasi zero ad essere molto elevata), il che determina un ingresso massivo
di sodio (che entra sia per gradiente di concentrazione che per gradiente elettrico) e, dato
che una corrente entrante depolarizza la membrana, il potenziale di membrana schizza su
valori positivi, senza però raggiungere mai il potenziale di equilibrio del sodio. A questo
punto i canali al sodio si richiudono (la conduttanza al sodio ritorna vicino allo zero) ma
intanto si stanno aprendo, con cinetica più lenta, tutti i canali al potassio voltaggio-dipendenti
cosicché il potassio esce (per gradiente di concentrazione) determinando una
iperpolarizzazione che riporta il potenziale di membrana verso valori negativi. La lenta
cinetica di apertura va di pari passo con la lenta cinetica di chiusura del canale stesso, e
dunque la permeabilità al potassio rimane alta anche dopo aver raggiunto il potenziale di
riposo, per questo motivo il potassio continuerà ad uscire causando il fenomeno
dell’iperpolarizzazione postuma (responsabile del periodo refrattario relativo).
54) Cosa sono i circuiti locali e qual è la prova della loro esistenza?

I circuiti locali rappresentano la modalità di propagazione del potenziale d’azione


lungo una fibra nervosa amielinica. Nella zona dove si è sviluppato il potenziale d’azione, la
polarità della membrana cellulare si è invertita (l’ambiente intracellulare è diventato positivo,
mentre quello extracellulare negativo) mentre nelle regioni adiacenti ci troviamo al potenziale
di riposo (l’interno è negativo e l’esterno positivo). Dalla zona positiva partiranno delle
correnti dirette verso le zone negative adiacenti, queste sono delle correnti depolarizzanti
che, se sufficientemente intense, possono risultare sufficiente per causare uno stimolo
soprasoglia e far scattare un nuovo potenziale d’azione nella regione adiacente (quella a
riposo). L’intensità delle correnti diminuisce man mano che ci si allontana dal punto dove è
sorto il potenziale d’azione, dunque il segnale è elettrotonico e si propaga con decremento,
ma siccome è sempre soprasoglia il PdA si autorigenera.
Per dimostrare l’esistenza dei circuiti locali posso fare un esperimento, ovvero andare a
trattare la fibra nervosa con un anestetico che inibisca la risposta attiva dei canali. Se io do
un PdA nella zona non anestetizzata questo si propaga autorigenerandosi, ma appena
arriva nella zona anestetizzata, dato che i canali sono inibiti, non avrò più
l’autorigenerazione ed osserverò esclusivamente un potenziale elettrotonico passivo. Alla
fine del tratto anestetizzato, se il potenziale è ancora in grado di generare uno stimolo
soprasoglia, osserveremo una ripresa della propagazione attiva del PdA.
La velocità con cui si propaga il PdA avrà formula v = lambda / tau, vale a dire costante di
spazio (quella distanza dopo la quale la depolarizzazione è diminuita del 63% ) fratto
costante di tempo (il tempo dopo il quale la grandezza considerata è aumentata o diminuita
del 63%). Con una lambda grande riuscirò ad arrivare alla fine della fibra con un numero
minore di potenziali d’azione generati, quindi più velocemente. La velocità di propagazione,
infatti, dipende dal numero di volte in cui è necessario ripetere il potenziale d’azione.

55) Spiegare come si propaga l’impulso nelle fibre mieliniche.

Nelle fibre mieliniche avremo delle cellule di supporto (oligodendrociti nel SNC e cellule di
Schwann nel SNP) che, avvolgendosi intorno alle fibre nervose, formano un rivestimento di
natura lipidica che prende il nome di guaina mielinica. Ovviamente, pur essendo la guaina
un buon isolante, la depolarizzazione subirà comunque attenuazione, per questo motivo
avremo interruzioni della guaina ogni 1-2mm necessarie a consentire la autorigenerazione
del potenziale d’azione. Tali zone nude prendono il nome di nodi di Ranvier, pertanto le
sezioni di fibra avvolte da guaina tra un nodo di Ranvier e l’altro verranno anche chiamate
internodi. Lungo gli internodi il potenziale d’azione si propaga sotto forma di potenziale
elettrotonico, come se questi fossero delle zone anestetizzate in cui il potenziale d’azione
non riesce a rigenerarsi. L’attenuazione è minima proprio grazie alla guaina mielinica che
determina sia un aumento della resistenza di membrana (in quanto la guaina è isolante) sia
un aumento del diametro stesso della fibra, entrambi parametri che consentono un aumento
del valore della costante di spazio. Quest’ultima prende il nome di lambda e rappresenta la
distanza dopo la quale la depolarizzazione è diminuita del 63%, può essere calcolata come
lambda = a x Rm / 2Ri, tutto sotto radice quadra (dove a = raggio, Rm = resistenza di
membrana per unità di superficie, Ri = resistenza intracellulare per unità di superficie).
Proprio per evitare che il PdA a lungo andare si esaurisca, nei nodi di Ranvier troviamo una
alta densità di canali voltaggio-dipendenti che rigenerano lo stimolo (la distanza di 1-2mm è
a dire il vero una distanza di sicurezza affinché non si corra il rischio di rimanere sotto
soglia), si parla quindi di conduzione saltatoria. Questo meccanismo, in cui letteralmente si
salta da un nodo all’altro, consente una maggiore velocità di propagazione (nonché un
vantaggio energetico) anche perché il PdA si rigenera un minor numero di volte rispetto alla
fibra amielinica.

56) Quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle registrazioni intracellulari ed extracellulari
del potenziale d’azione?

La registrazione intracellulare viene effettuata inserendo un microelettrodo all’interno


di una fibra, per questo motivo ha come svantaggio il fatto che durante l’inserimento del
microelettrodo si rischia di lesionare la cellula. Tuttavia, la registrazione intracellulare
permette di effettuare registrazioni precise su un’unica fibra e di rilevare direttamente
il potenziale d’azione.
La registrazione extracellulare, invece, viene effettuata appoggiando un elettrodo
esternamente alla fibra nervosa. L’elettrodo si trova convenzionalmente a potenziale zero,
ovvero al potenziale del liquido extracellulare, e dunque allo scattare del potenziale d’azione,
(quando l’interno della fibra diventa positivo) l’elettrodo si viene a trovare in una zona
negativa. Il potenziale registrato extracellularmente quindi sarà invertito rispetto a quello
registrato intracellularmente, oltre a presentare un’ampiezza molto inferiore (perché registra
solo l’eccedenza). Alla facilità di esecuzione, nel caso della registrazione extracellulare, si
contrappone il fatto che la registrazione sarà indubbiamente meno precisa di quella
intracellulare, e fornirà solamente un’idea approssimativa di ciò che sta accadendo
all’interno della cellula. Un altro vantaggio della registrazione extracellulare, però, è che può
essere utilizzata per registrare l’attività di un intero nervo contenente molte fibre nervose,
applicando l’elettrodo sul nervo o, addirittura, sopra i tegumenti (non a caso è utilizzato
principalmente per effettuare l’elettrocardiogramma o l’elettroencefalogramma).

TRASMISSIONE SINAPTICA

) Mutazioni connessine → PARACADUTE

Vediamo ora come la mutazione di alcune connessine è alla base per molte e diverse
patologie umane su base genetica. Queste patologie riflettono, nella loro estrema diversità,
la vastità di distribuzione dei connessoni e delle connessine nei tessuti, per cui mutazioni
genetiche delle connessine possono dare inizio a patologie che sono sia dermatologiche che
neurologiche o patologie oculari. In particolare, andiamo a vedere due patologie abbastanza
famose. La prima è la sindrome da cheratite-ittiosi-sordità (KID), si tratta di una cheratite
ittiosi associata a sordità che è dovuta a una mutazione di un gene che codifica per la
connessina 26, il gene GJB2. Questa connessina è responsabile per la formazione di gap
junction che si trovano a livello dell’epitelio cutaneo, sia a livello degli epiteli specializzati
come quelli dell’organo del corti, sia a livello delle particolari dell’occhio, che infiammandosi
danno origine a cheratite. Quando è presente in forma mutata, il connessone che si forma
perde ioni verso l’ambiente extracellulare, il che determina delle risposte di natura
infiammatoria nel tessuto che danno origine agli aspetti tipici della patologia dei vari distretti
in cui questa connessina viene espressa. Un’altra patologia molto famosa è la sindrome di
Charcot-Marie-Tooth, è una malattia demielinizzante dei nervi periferici e dà origine ad una
neuropatia sensorimotoria. In realtà può avere varie cause, una di queste è la mutazione di
un gene associato al cromosoma X che codifica per la connessina 32. La connessina 32 è
espressa nelle cellule della glia, in particolare nelle cellule di Schwann, le cellule che
formano la mielina. La funzione dei connessoni nelle cellule di Schwann sono principalmente
quelle dell’accoppiamento metabolico, dato che come sappiamo la cellula di Schwann si
avvolge attorno agli assoni formando la guaina mielinica e il nucleo si trova molto lontano dal
più estremo dei lembi cellulari avvolti intorno all’assone. Questo significa che per il
mantenimento delle funzioni cellulari ovviamente bisogna avere uno scambio di informazioni
chimiche e di nutrienti attraverso tutti gli strati, sistema garantito dai connessoni che
connettono la regione esterna perinucleare con gli strati mielici interni. Quando la
connessina 32 è mutata, questa connessione metabolico si realizza in modo imperfetto e la
mielina viene scarsamente mantenuta, perde di densità, questo si assocerà ad un difetto di
conduzione del potenziale d’azione e quindi insorgeranno dei sintomi, comuni a tutte le
malattie demielinizzanti. In realtà la connessina 32 è espressa nelle fibre mieliniche sia
centrali che periferiche, vediamo la sua localizzazione nelle cellule di schwann ma la
troviamo anche a livello degli oligodendrociti, che sono le cellule della glia che costituiscono
la guaina mielinica nel sistema nervoso centrale.

57) Differenze tra sinapsi elettriche e sinapsi chimiche.

Le sinapsi sono regioni anatomico-funzionali che rappresentano una soluzione di continuità


tra le cellule eccitabili permettendo il trasferimento di segnali. Le sinapsi si dividono in base
al meccanismo di trasmissione in chimiche ed elettriche. Le sinapsi elettriche, sebbene
siano molto più veloci ed efficienti, sono state quasi del tutto sostituite nell’evoluzione dalle
sinapsi chimiche, che permettono un alto grado di controllo. Nelle sinapsi elettriche, le
cariche fluiscono in una via a bassa resistenza assicurata da strutture note come gap
junctions, che connettono elettricamente e metabolicamente due cellule contigue. Viceversa,
nelle sinapsi chimiche, all’arrivo del potenziale d’azione nel terminale presinaptico vengono
liberate vescicole di neurotrasmettitore, che trovano i propri recettori (ionotropici o
metabotropici) sulla membrana del post-sinaptico, inducendo direttamente o indirettamente
la variazione della conduttanza per uno o più ioni. Si aumenta o si diminuisce così la
probabilità di genesi di un nuovo potenziale d’azione sul secondo neurone. La differenza più
lampante è sicuramente il ritardo sinaptico. Nelle sinapsi elettriche, per via della loro
struttura, sarà praticamente inesistente. Viceversa, può assumere un valore importante nelle
sinapsi chimiche (da 0,3 fino a 5ms). Nelle sinapsi elettriche, lo spazio intersinaptico è molto
ristretto, 3-4nm, per assicurare una via di continuità a bassa resistenza fra le membrane.
Viceversa, nelle sinapsi chimiche è molto più ampio, 30-40nm, per assicurare una corretta
diffusione del neurotrasmettitore. Nelle sinapsi elettriche si propagano sia il potenziale
d’azione che potenziali elettrotonici, sia depolarizzanti che iperpolarizzanti. La trasmissione
è potenzialmente bidirezionale. Viceversa, nelle sinapsi chimiche solo il potenziale d’azione
è in grado di innescare il rilascio delle vescicole di neurotrasmettitore, e la trasmissione
avviene sempre e solo in via ortodromica. Infine, le sinapsi elettriche non permettono nessun
meccanismo di inversione del segnale. Nelle sinapsi chimiche, invece, i neurotrasmettitori
possono interagire con dei recettori che causeranno a valle la genesi di un potenziale
elettrotonico di natura iperpolarizzante.

58) Ruolo delle sinapsi elettriche nelle reti neuronali.

Le sinapsi sono regioni anatomico-funzionali che rappresentano una soluzione di continuità


tra le cellule eccitabili permettendo il trasferimento di segnali. Le sinapsi si dividono in base
al meccanismo di trasmissione in chimiche ed elettriche. Le sinapsi elettriche hanno una
struttura di base che permette il passaggio di corrente elettrotonica dall'elemento pre al post.
La struttura in questione si basa sull’alta presenza di Gap Junctions ed ognuna di esse è
costituita da due grandi canali (detti connessoni) che si fronteggiano mettendo in
comunicazione i due citoplasmi e garantendo il passaggio di ioni, con una scarsa selettività,
ed anche a molecole di piccolo calibro. Capiamo dunque che queste giunzioni generano
quindi un accoppiamento elettrico e metabolico. Questi connessoni sono formati ciascuno da
sei subunità di connessine, le quali definiscono l'apertura o la chiusura del connessone
grazie ad una regolazione basata su vari segnali biochimici come ad esempio il pH (se si
abbassa il canale si chiude) o la concentrazione di calcio. Sebbene un tempo si credesse
che le sinapsi fossero tutte di tipo elettrico, fu dimostrato che si preferisce di norma la
sinapsi di tipo chimico per i suoi numerosi vantaggi (primo su tutti la modulabilità). Tuttavia,
quelle elettriche rimangono ancora preponderanti negli invertebrati o nei sistemi di risposta
rapida ai pericoli di alcuni vertebrati. Nell’uomo, invece, queste sono utilizzate
principalmente nei distretti che si occupano di dirigere una scarica di impulsi coordinata,
come: nei centri respiratori (per generare un’attività ritmica e sincrona); nel cervelletto (per lo
stesso motivo al fine di garantire il senso del tempo necessario alla programmazione
motoria); nell’ipotalamo (il clock serve per regolare la secrezione di ormoni); infine nella
corteccia cerebrale (in particolare tra interneuroni inibitori che utilizzano GABA come
neurotrasmettitore, i cosiddetti interneuroni gabaergici fast-spiking).

59) Cosa sono le sinapsi elettriche? Possono trasmettere il segnale in senso


antidromico?

Le sinapsi sono regioni anatomico-funzionali che rappresentano una soluzione di continuità


tra le cellule eccitabili permettendo il trasferimento di segnali. Le sinapsi si dividono in base
al meccanismo di trasmissione in chimiche ed elettriche. Le sinapsi elettriche hanno una
struttura di base che permette il passaggio di corrente elettrotonica dall'elemento pre al post.
La struttura in questione si basa sull’alta presenza di Gap Junctions ed ognuna di esse è
costituita da due grandi canali (detti connessoni) che si fronteggiano mettendo in
comunicazione i due citoplasmi e garantendo il passaggio di ioni, con una scarsa selettività,
ed anche a molecole di piccolo calibro. Capiamo dunque che queste giunzioni generano un
accoppiamento elettrico e metabolico. Questi connessoni sono formati ciascuno da sei
subunità di connessine, le quali definiscono l'apertura o la chiusura del connessone grazie
ad una regolazione basata su vari segnali biochimici come ad esempio il pH (se si abbassa il
canale si chiude) o la concentrazione di calcio.
A livello del tessuto nervoso, le sinapsi elettriche sono poco rappresentate e sono
concentrate prevalentemente nelle zone più primordiali del nostro SNC, particolarmente in
quei distretti che si occupano di dirigere una scarica di impulsi coordinata e immediata
(sfruttando il fatto che non avremo nessun ritardo sinaptico). Oltre a non avere ritardo
sinaptico, un’altra caratteristica delle sinapsi elettriche consiste nel poter trasmettere
qualsiasi tipo di impulso (sopra o sotto soglia, nonché depolarizzante o iperpolarizzante).
Teoricamente, la trasmissione degli impulsi sotto soglia potrebbe avvenire anche in senso
antidromico perché segue semplicemente le leggi dell’elettrologia, quindi non
necessariamente dal pre- al post-sinaptico, ma anche viceversa. Tuttavia, per evitare ciò e
rendere la trasmissione solo unidirezionale, molto spesso l’elemento pre-sinaptico è di
dimensioni nettamente maggiori rispetto al post-sinaptico, di conseguenza l’elemento pre
avrà resistenza maggiore e rappresenterà una sorgente di corrente molto più grande
favorendo la trasmissione esclusivamente dal pre al post e non viceversa.

60) Come si determina il punto di inversione di una sinapsi e che informazioni dà? Cos’è
il punto di inversione e come posso trovarlo sperimentalmente?

Le sinapsi sono regioni anatomico-funzionali che rappresentano una soluzione di continuità


tra le cellule eccitabili permettendo il trasferimento di segnali. Le sinapsi si dividono in base
al meccanismo di trasmissione in chimiche ed elettriche, per studiare il punto di inversione
dovremo analizzare esclusivamente quelle di tipo chimico (nelle sinapsi elettriche non esiste
un punto di inversione perché non c’è liberazione di NT). Si definisce punto di inversione il
valore cui tende il potenziale della membrana post-sinaptica in seguito alla liberazione di NT.
Il punto di inversione è stato osservato tramite un esperimento in cui si registrava la
risposta della membrana post-sinaptica in seguito alla liberazione del NT, dopo aver alterato
artificialmente il suo potenziale. A −90 mV, ovvero il potenziale di membrana a riposo
di una fibra muscolare, la liberazione di Ach provocava una depolarizzazione di una
certa ampiezza. Via via che aumentavamo il potenziale di membrana verso più positivi, la
depolarizzazione era sempre minore, finché risultava nulla quando il potenziale di
membrana veniva portato a −15 mV. A questo valore di potenziale, la liberazione di Ach non
scatenava alcuna risposta sul potenziale della membrana post-sinaptica, e anzi, portando il
potenziale a valori più positivi di −15 mV, provocava un’iperpolarizzazione. Capiamo quindi
che il NT non causa a prescindere una depolarizzazione, bensì altera le conduttanze al fine
di portare il potenziale della membrana post-sinaptica verso un punto di equilibrio, detto
punto di inversione. In condizioni fisiologiche, questa alterazione delle conduttanze ha come
conseguenza una depolarizzazione.

61) Perché nelle sinapsi elettriche non esiste un punto di inversione?

Le sinapsi sono regioni anatomico-funzionali che rappresentano una soluzione di continuità


tra le cellule eccitabili permettendo il trasferimento di segnali. Le sinapsi si dividono in base
al meccanismo di trasmissione in chimiche ed elettriche, per studiare il punto di inversione
dovremo analizzare esclusivamente quelle di tipo chimico. Questo perché il punto di
inversione è il valore cui tende il potenziale della membrana post-sinaptica in seguito alla
liberazione di mediatore, ma ciò non avviene nella sinapsi elettrica. Anziché utilizzare il
neurotrasmettitore le sinapsi elettriche hanno una struttura di base che permette il passaggio
di corrente dall'elemento pre al post. La struttura in questione si basa sull’alta presenza di
gap junctions, ciascuna costituita da due grandi canali (detti connessoni) che si fronteggiano
mettendo in comunicazione i due citoplasmi e garantendo il passaggio di ioni. Ciascun
connessone è formato a sua volta da sei subunità di connessine, le quali definiscono
l'apertura o la chiusura del connessone grazie ad una regolazione basata su vari segnali
biochimici come ad esempio il pH (se si abbassa il canale si chiude) o la concentrazione di
calcio. Quindi, al posto del rilascio di NT, nella sinapsi elettrica l’arrivo del PdA sulla
membrana pre-sinaptica crea anelli di corrente che raggiungono la membrana post-sinaptica
inducendo una depolarizzazione che segue la legge di Ohm (deltaV = i x Rm).

) Sinapsi chimiche
Le sinapsi sono regioni anatomico-funzionali che rappresentano una soluzione di continuità
tra le cellule eccitabili permettendo il trasferimento di segnali. Le sinapsi si dividono in base
al meccanismo di trasmissione in chimiche ed elettriche.
Nelle sinapsi chimiche, all’arrivo del potenziale d’azione nel terminale presinaptico vengono
liberate vescicole di neurotrasmettitore, che trovano i propri recettori (ionotropici o
metabotropici) sulla membrana del post-sinaptico, inducendo direttamente o indirettamente
la variazione della conduttanza per uno o più ioni. Si aumenta o si diminuisce così la
probabilità di genesi di un nuovo potenziale d’azione sul secondo neurone. Il principale
vantaggio fornito dalle sinapsi chimiche è dato dal fatto che queste, grazie all’interazione che
avviene tra il NT e il recettore, permettono di modulare l’eccitabilità di membrana. Le sinapsi
chimiche possono anche modificare il segnale di input in vari modi: amplificazione del
segnale; inversione; prolungamento temporale; oppure possono addirittura andare incontro
a plasticità sinaptica. A dimostrare l’esistenza delle sinapsi chimiche fu Otto Loewi, e
successivamente Harry Dale elaborò i suoi cinque criteri per dimostrare che in una sinapsi
chimica sarà una certa molecola a funzionare da NT.

) Qual è la differenza tra correnti voltaggio-dipendenti e ligando-dipendenti?

Nelle cellule le correnti sono rappresentate da flussi di ioni, i quali essendo dotati di carica
causano con il loro movimento. Gli ioni, proprio perché dotati di carica, non possono
attraversare liberamente la membrana cellulare; per farlo si servono dei canali ionici, ovvero
proteine transmembrana dotate di una certa selettività che quindi lasceranno passare solo
un tipo di ione. A canale chiuso abbiamo conduttanza per lo ione nulla, ma quando si apre si
genererà un flusso che segue il gradiente elettrochimico dello ione il quale vorrà raggiungere
il suo potenziale di equilibrio (quando avrà flusso netto pari a zero). Per uno ione di carica
positiva avremo corrente depolarizzante quando questo si muove dall’esterno all’interno
della cellula, e corrente iperpolarizzante quando questo si muove dall’interno all’esterno; lo
stesso al contrario avverrà per gli ioni negativi.
I canali ionici possono essere di due tipi: voltaggio-dipendenti e ligando-dipendenti. I canali
voltaggio-dipendenti si aprono in seguito alla depolarizzazione della membrana, tra questi
abbiamo ad esempio i canali al sodio voltaggio-dipendenti la cui apertura è responsabile
dell’aumento di conduttanza al Na+ nella fase iniziale del potenziale d’azione.
La depolarizzazione della membrana cellulare, se sufficientemente ampia, porta all’apertura
della porta M (porta di attivazione) di questo canale, ciò è permesso da una componente del
canale che prende il nome di sensore. Questo sensore è di fatti il rilevatore della
voltaggio-dipendenza in quanto, contenendo al suo interno cariche positive, una
depolarizzazione della membrana causa una diminuzione della forza elettrica che spingeva
queste cariche verso l’interno e teneva il sensore in posizione (con la porta di attivazione
chiusa), quindi il sensore è spinto meno, sale e apre il canale. L’apertura del canale
determina l’ingresso di Na+ nella cellula, il che determina un’ulteriore depolarizzazione della
membrana fino al valore di +30 mV (picco del potenziale d’azione). Si noti che +30mV non
coincide con il potenziale di equilibrio del sodio (+55V) perché i canali si richiudono prima
che ciò possa avvenire (inoltre ci sarà anche una componente iperpolarizzante dovuta
all’apertura di canali voltaggio-dipendenti per il potassio).
Al contrario i canali ligando-dipendenti si aprono in seguito al legame con un dato
neurotrasmettitore, quindi possiamo considerarli piuttosto come dei recettori che una volta
legato NT in un sito specifico subiscono una modificazione conformazionale e si trasformano
essi stessi in un canale di membrana che media passaggio di ioni. Quando poi
il mediatore si staccherà o verrà degradato via dal proprio sito di legame, il recettore-canale
ritornerà alla conformazione di riposo cessando la corrente ionica. Tra gli esempi più classici
abbiamo i recettori nicotinici, questi legano all'interno delle loro due subunità alfa altrettante
molecole di acetilcolina, riconoscendole grazie alla carica positiva del loro azoto quaternario.
A questo punto studiando il grafico corrente voltaggio dei due tipi di canale, vedremo che i
primi sono detti voltaggio-dipendenti in quanto la loro conduttanza cambia in base al
voltaggio di membrana, mentre i secondi sono detti canali ohmici poiché la conduttanza è
lineare e non dipende dal voltaggio di membrana. Tuttavia in entrambi i casi la corrente sarà
nulla al raggiungimento del potenziale di equilibrio del rispettivo ione (se si tratta di una
corrente multionica sarà zero alla media dei potenziali di equilibrio degli ioni).

GIUNZIONE NEUROMUSCOLARE

) Giunzione neuromuscolare e unità motoria

La GNM è disposta in periferia ed è data dal contatto sinaptico del terminale assonico dei
motoneuroni (che hanno il soma nel midollo e alla terminazione perdono la guaina) con le
fibre muscolari scheletriche. Ogni fibra muscolare possiede una sola sinapsi col terminale
assonico, e ogni motoneurone prende contatto con poche fibre, le quali nel complesso,
prendono il nome di unità motoria. Nel terminale presinaptico avremo molti mitocondri
(elevata attività metabolica) e vescicole di NT. Nel terminale postsinaptico avremo dei
ripiegamenti di membrana (per aumentare la superficie di contatto), nelle zone apicali
avremo recettori per il NT ma non canali sodio-potassio per il PdA, nelle profondità il
contrario. Quindi dove arriva il NT ci sono fenomeni elettrotonici di natura passiva che si
chiamano EPSP (se eccitatori) o IPSP (se inibitori). Se a seguito di questa propagazione
elettrotonica si arriva alla profondità delle pieghe sopra soglia si genererà PdA. Nella GNM
non si genera mai IPSP (presente solo nelle sinapsi interneuroniche) è sempre eccitatoria e
l’EPSP prende il nome di EPP (potenziale di placca motrice).

62) Si può misurare un potenziale di placca con un elettrodo? Se sì, come?

Per potenziale di placca si intende la depolarizzazione della membrana post-sinaptica


conseguente all’arrivo di neurotrasmettitore, che interagendo con i suoi recettori specifici
determinerà una corrente depolarizzante. Il potenziale di placca in particolare si trova
esclusivamente nella giunzione neuromuscolare, la quale essendo una sinapsi obbligata
vedrà il rilascio di una grande quantità di NT con conseguente generazione di una
depolarizzazione postsinaptica sempre sopra soglia (ovvero causa sempre PdA).
Per misurare il potenziale di placca posso inserire un microelettrodo (registrazione
intracellulare) all’interno della placca neuromuscolare di una fibra muscolare
scheletrica oppure poggiare su di essa un elettrodo (registrazione extracellulare).
Dato che il potenziale di placca (EPP) è sempre sopra soglia, induce sempre come risposta
la generazione di un potenziale d’azione con conseguente contrazione del muscolo e
fuoriuscita del microelettrodo (ciò renderebbe impossibile la misurazione).
Di conseguenza, per registrare il potenziale di placca, è necessario bloccare la generazione
del potenziale d’azione portando l’EPP a valori sotto soglia. Sapendo che nella giunzione
neuromuscolare (GNM) si libera talmente tanto NT che il potenziale prodotto è sempre sopra
soglia, dovremo andare ad inibire alcuni recettori per il NT stesso, in questo caso il
neurotrasmettitore è l’Ach e i recettori sono i nicotinici. L’inibitore competitivo di questi canali
è il curaro, il quale possiede due azoti quaternari con carica positiva che si legano nel canale
ai due siti per l’Ach (nelle subunità alfa del canale). Un altro metodo potrebbe essere quello
di somministrare tetrodotossina (TTX), una sostanza che blocca i canali del sodio
voltaggio-dipendenti necessari per generare il PdA. In questo modo, anziché andare ad
interagire con EPP, blocchiamo direttamente la possibilità di generare il PdA.

63) Qual è l’utilità di misurare una corrente di placca e quali sono le differenze con la
registrazione del potenziale di placca?

Per potenziale di placca si intende la depolarizzazione della membrana post-sinaptica


conseguente all’arrivo di neurotrasmettitore, che interagendo con i suoi recettori specifici
determinerà una corrente depolarizzante. Il potenziale di placca in particolare si trova
esclusivamente nella giunzione neuromuscolare, la quale essendo una sinapsi obbligata
vedrà il rilascio di una grande quantità di NT con conseguente generazione di una
depolarizzazione postsinaptica sempre sopra soglia (ovvero causa sempre PdA).
Con corrente di placca, invece, ci si riferisce in modo più specifico al flusso di ioni che,
passando attraverso i recettori del NT (in questo caso i recettori ionotropici dell’Ach, detti
nicotinici, che mediano passaggio di sodio e potassio), è responsabile del potenziale di
placca stesso. Misurandola, si ha un’idea di ciò che accade a livello del singolo canale in
seguito alla liberazione del mediatore. Si può controllare l’attività del canale a dati valori di
potenziale, utilizzando la tecnica del voltage-clamp. A potenziali negativi si registra una
corrente entrante che diminuisce man mano che si passa a potenziali più positivi, questo
perché il flusso di Na+ in entrata è preponderante rispetto a quello di K+ in uscita. Quando il
potenziale è 0 mV, non si registra corrente. Questo non vuol dire che il canale rimane
chiuso, ma che i flussi opposti di Na+ e K+ si equivalgono, quindi si annullano. Capiamo
dunque che 0 mV è il punto di inversione di questa corrente. A valori di potenziale superiori
si registra una corrente in uscita che aumenta di intensità all’aumentare del potenziale. Il
flusso di K+ in uscita è ora preponderante rispetto a quello di Na+ in entrata.
L’intensità della corrente dipende anche dalla quantità di NT rilasciato dall’elemento
presinaptico, il quale aumentando determina una probabilità maggiore di apertura dei suoi
canali. Di conseguenza, quando l’azione del NT cessa, la corrente scende rapidamente a
zero in quanto i canali si richiudono. In conclusione, l’utilità di misurare la corrente di placca
è che si può utilizzare per studiare l’azione del mediatore e le variazioni di conduttanza che
esso determina, dato che il potenziale di placca è deformato dalle proprietà della membrana.

64) Come si fa a stabilire il possibile ruolo dei vari ioni nella produzione del potenziale di
placca?

Per potenziale di placca si intende la depolarizzazione della membrana post-sinaptica


conseguente all’arrivo di neurotrasmettitore, che interagendo con i suoi recettori specifici
determinerà una corrente depolarizzante. Il potenziale di placca in particolare si trova
esclusivamente nella giunzione neuromuscolare, la quale essendo una sinapsi obbligata
vedrà il rilascio di una grande quantità di NT con conseguente generazione di una
depolarizzazione postsinaptica sempre sopra soglia (ovvero causa sempre PdA).
Con corrente di placca, invece, ci si riferisce in modo più specifico al flusso di ioni che,
passando attraverso i recettori del NT (in questo caso i recettori ionotropici dell’Ach, detti
nicotinici, che mediano passaggio di sodio e potassio), è responsabile del potenziale di
placca stesso. Studiando la relazione intensità-voltaggio di questa corrente notiamo che nel
grafico si individuerà una retta che interseca l’asse delle ascisse al valore di -15mV. Questo
valore rappresenta il suo punto di inversione, ovvero quel punto a cui la corrente assume
intensità zero (non ho flusso netto di ioni attraverso il canale) e a cui tende il potenziale della
membrana post-sinaptica in seguito alla liberazione di NT. Da questo valore capiamo che la
corrente deve necessariamente essere multi-ionica, poiché non esiste nessun ione con quel
potenziale di equilibrio. Per dimostrare di quali ioni si tratta, andiamo a modificare le
concentrazioni extracellulari dei diversi ioni, e osserviamo se ciò influenza o meno il punto di
inversione. Così facendo capiamo che sono coinvolti solo potassio e sodio, infatti -15mV è
un valore intermedio tra il potenziale di equilibrio del sodio (+60mV) e quello del potassio
(-100mV). Per lo stesso principio, modificando la concentrazione di cloro non noteremo
alcun cambiamento del punto di inversione della corrente in quanto questo ione non è
coinvolto nella sua generazione.

65) Quali sono gli ioni implicati nella corrente di placca?

Con corrente di placca ci si riferisce in modo specifico al flusso di ioni che, passando
attraverso i recettori del NT (in questo caso i recettori ionotropici dell’Ach, detti nicotinici, che
mediano passaggio di sodio e potassio), è responsabile del potenziale di placca.
Il potenziale di placca, invece, si riferisce alla depolarizzazione della membrana
post-sinaptica conseguente all’arrivo di neurotrasmettitore, che interagendo con i suoi
recettori specifici determinerà una corrente depolarizzante. Il potenziale di placca e la
corrente di placca in particolare si trovano esclusivamente nella giunzione neuromuscolare,
la quale essendo una sinapsi obbligata vedrà il rilascio di una grande quantità di NT con
conseguente generazione di una depolarizzazione postsinaptica sempre sopra soglia
(ovvero causa sempre PdA). Studiando la relazione intensità-voltaggio della corrente di
placca notiamo che nel grafico si individuerà una retta che interseca l’asse delle ascisse al
valore di -15mV. Questo valore rappresenta il suo punto di inversione, ovvero quel punto a
cui la corrente assume intensità zero (non ho flusso netto di ioni attraverso il canale) e a cui
tende il potenziale della membrana post-sinaptica in seguito alla liberazione di NT. Da
questo valore capiamo che la corrente deve necessariamente essere multi-ionica, poiché
non esiste nessun ione con quel potenziale di equilibrio. Per dimostrare di quali ioni si tratta,
andiamo a modificare le concentrazioni extracellulari dei diversi ioni, e osserviamo se ciò
influenza o meno il punto di inversione. Così facendo capiamo che sono coinvolti solo
potassio e sodio, infatti -15mV è un valore intermedio tra il potenziale di equilibrio del sodio
(+60mV) e quello del potassio (-100mV). Per lo stesso principio, modificando la
concentrazione di cloro non noteremo alcun cambiamento del punto di inversione della
corrente in quanto questo ione non è coinvolto nella sua generazione.

EVENTI SINAPTICI

66) Descrivi il blocco della trasmissione. Come si crea il blocco pre-sinaptico ed il blocco
post-sinaptico?

Il blocco della trasmissione sinaptica, neuromuscolare o di tutte le altre sinapsi eccitatorie,


può essere ottenuto in due modi: con un blocco postsinaptico o con un blocco presinaptico.
Il primo metodo consiste nel bloccare direttamente i recettori presenti nella giunzione
neuromuscolare, come i recettori canale nicotinici dell’acetilcolina. Questo può essere
ottenuto ad esempio con il curaro che è un antagonista specifico del recettore, realizzando
in questo modo un blocco postsinaptico. Ciò avviene perché, bloccando i canali con un
antagonista, all’arrivo del NT avremo un minor numero di canali disponibili all’apertura e una
conseguente riduzione drastica nella corrente relativa. Per dimostrare che il curaro è un
bloccante postsinaptico stimoliamo inizialmente il motoneurone della GNM e osserviamo il
relativo potenziale di placca. Successivamente applichiamo curaro in prossimità della
giunzione, e andando a stimolare nuovamente il motoneurone osserveremo un potenziale di
placca estremamente ridotto o addirittura nullo. Infine, la prova definitiva per dimostrare che
si tratta di un bloccante postsinaptico, consiste nell’applicare neurotrasmettitore esogeno
alla GNM già bloccata da curaro, vedremo che anche in questo caso non si osserverà
potenziale di placca. Per effettuare un blocco presinaptico invece dovremo abbassare la
concentrazione del calcio extracellulare e contemporaneamente aumentare quella del
magnesio (sempre extracellulare) che compete con il calcio. Si stimola quindi il neurone in
condizioni dette “calcium free”, senza il calcio extracellulare, e si osserva di nuovo il blocco
della trasmissione. Questo perché il calcio gioca un ruolo fondamentale nel fenomeno di
accoppiamento tra eccitazione e secrezione del neurotrasmettitore, infatti con l’arrivo della
depolarizzazione presinaptica si aprono dei canali al calcio voltaggio-dipendenti che
determinano l’ingresso dello ione. Dunque in assenza di calcio extracellulare non avremo
rilascio di vescicole dal terminale presinaptico e non osserveremo alcun potenziale di placca
sul postsinaptico. Questo tipo di blocco si conferma presinaptico perché con l’aggiunta di
neurotrasmettitore esogeno ricompare il potenziale di placca.

67) Descrivere i potenziali miniatura, elementi che ne regolano l’ampiezza e la frequenza.

I potenziali miniatura (MEPP) sono piccoli potenziali depolarizzanti di frequenza casuale che
si vengono a generare in seguito al rilascio di uno o pochi quanti di neurotrasmettitore dal
pre-sinaptico. Sono stati per la prima volta osservati a livello della giunzione
neuromuscolare: con la rimozione della fibra proveniente dal motoneurone, i MEPP
scomparivano. L’ampiezza dei potenziali in miniatura è variabile, di media 0,5mV, e dipende
da eventi post-sinaptici. Il blocco dei recettori nicotinici mediante curaro è in grado di
abbassarla, mentre inibitori dell’acetilcolinesterasi (come l’eserina) potenziano l’azione del
neurotrasmettitore, amplificando l’ampiezza di queste piccole depolarizzazioni. L’ampiezza
di ogni singolo MEPP segue una distribuzione di tipo gaussiano/unimodale, può infatti
assumere tutti i valori compresi fra 0 e circa 2mV. La frequenza dei MEPP dipende invece da
eventi pre-sinaptici. Depolarizzando il pre-sinaptico, la frequenza di rilascio aumenta,
viceversa, con un’iperpolarizzazione decresce nettamente. Questo perché la
depolarizzazione innesca l’apertura di un numero sempre maggiore di canali per il calcio
voltaggio-dipendenti, innescando una via che porta all’esocitosi della vescicola di
neurotrasmettitore. L’osservazione di questo fenomeno ha permesso a Katz e collaboratori
di formulare la teoria dell’ipotesi quantale, ovvero che i neurotrasmettitori possano essere
liberati in pacchetti discreti, e che i potenziali generati a livello del post-sinaptico abbiano
un’ampiezza corrispondente ad un multiplo dell’unità di base (il quanto). Ponendosi infatti in
una condizione di blocco parziale della giunzione (bassa [Ca2+] e alta [Mg2+ ]) e stimolando
il nervo, si osservava che l’EPP assumeva valori multipli del quanto, corrispondente ad una
vescicola di acetilcolina: si tratta di una distribuzione graduata. L’ipotesi è stata ulteriormente
confermata su basi statistiche: valutando il valore di contenuto quantale medio (il numero
medio di quanti rilasciati in seguito a depolarizzazione del pre-sinaptico) sia su base
sperimentale che su base statistica, i valori coincidevano.
68) Come si fa a ridurre il potenziale di placca e il potenziale in miniatura?

Per potenziale di placca si intende la depolarizzazione della membrana post-sinaptica


conseguente all’arrivo di neurotrasmettitore, che interagendo con i suoi recettori specifici
determinerà una corrente depolarizzante. Il potenziale di placca in particolare si trova
esclusivamente nella giunzione neuromuscolare, la quale essendo una sinapsi obbligata
vedrà il rilascio di una grande quantità di NT con conseguente generazione di una
depolarizzazione postsinaptica sempre sopra soglia (ovvero causa sempre PdA). I potenziali
miniatura (MEPP), invece, sono piccoli potenziali depolarizzanti di frequenza casuale che si
vengono a generare in seguito al rilascio di uno o pochi quanti di neurotrasmettitore dal
pre-sinaptico. Sono stati per la prima volta osservati a livello della giunzione
neuromuscolare: con la rimozione della fibra proveniente dal motoneurone, i MEPP
scomparivano. Per ridurre l’ampiezza dei potenziali in miniatura e, di conseguenza, del
potenziale di placca, posso utilizzare curaro. Il curaro, infatti, è un competitore dell’Ach con
affinità maggiore per i recettori nicotinici (vale a dire i recettori ionotropici per l’Ach). In
presenza di concentrazioni crescenti di curaro, saranno sempre meno i recettori disponibili
cui l’Ach può legarsi. Un altro metodo per ridurre l’ampiezza del potenziale di placca è quello
di diminuire la depolarizzazione della membrana pre-sinaptica. In questo modo, i canali del
Ca2+ rimarranno aperti per un tempo minore, quindi una minore quantità di Ca2+ riuscirà ad
entrare nella cellula. Di conseguenza, un minor numero di vescicole si fonderà con la
membrana post-sinaptica, liberando il proprio contenuto nello spazio intersinaptico. In
questa situazione non varia l’ampiezza del singolo potenziale in miniatura, perché
questa dipende dal contenuto della singola vescicola, il quale non viene ridotto. Ciò che
cambia è il numero di vescicole liberate, quindi il numero di potenziali in miniatura
rilevabili sulla membrana post-sinaptica (vale a dire la frequenza di MEPP). L’effetto, però, è
sempre un calo di ampiezza del potenziale di placca, poiché saranno meno i potenziali in
miniatura che si sommano per determinarlo.

69) Quale effetto ha una depolarizzazione della membrana pre-sinaptica sul potenziale in
miniatura?

I potenziali miniatura (MEPP) sono piccoli potenziali depolarizzanti di frequenza casuale che
si vengono a generare in seguito al rilascio di uno o pochi quanti di neurotrasmettitore dal
pre-sinaptico. Sono stati per la prima volta osservati a livello della giunzione
neuromuscolare: con la rimozione della fibra proveniente dal motoneurone, i MEPP
scomparivano. L’ampiezza di ogni singolo MEPP segue una distribuzione di tipo
gaussiano/unimodale, può infatti assumere tutti i valori compresi fra 0 e circa 2mV. La
frequenza dei MEPP dipende invece da eventi pre-sinaptici. Depolarizzando il pre-sinaptico,
la frequenza di rilascio aumenta, viceversa, con un’iperpolarizzazione decresce nettamente.
Questo perché la depolarizzazione innesca l’apertura di un numero sempre maggiore di
canali per il calcio voltaggio-dipendenti, innescando una via che porta all’esocitosi della
vescicola di neurotrasmettitore. La concentrazione extracellulare di Ca2+ è circa 1,8 mM,
mentre quella intracellulare è sub-micromolare. Di conseguenza, quando i canali si aprono, il
Ca2+ tende ad entrare nella cellula, spinto dal forte gradiente di concentrazione. Una volta
entrato nella cellula, il Ca2+ si lega ad una proteina, detta sinaptotagmina. La
sinaptotagmina, una volta legato il calcio, favorisce la formazione del complesso SNARE,
ovvero l’unione tra la sinaptobrevina (proteina situata sulla membrana delle vescicole) e altre
due proteine, la sintaxina e la SNAP-25 (situate invece sulla membrana plasmatica). La
formazione del complesso SNARE determina la fusione della vescicola alla membrana
plasmatica e la sua diffusione nello spazio intersinaptico.

70) Descrivi l’ipotesi quantale e come è stata confermata.

I potenziali miniatura (MEPP) sono piccoli potenziali depolarizzanti di frequenza casuale che
si vengono a generare in seguito al rilascio di uno o pochi quanti di neurotrasmettitore dal
pre-sinaptico. La frequenza dei MEPP dipende invece da eventi pre-sinaptici.
Depolarizzando il pre-sinaptico, la frequenza di rilascio aumenta, viceversa, con
un’iperpolarizzazione decresce nettamente. Questo perché la depolarizzazione innesca
l’apertura di un numero sempre maggiore di canali per il calcio voltaggio-dipendenti,
innescando una via che porta all’esocitosi della vescicola di neurotrasmettitore.
I MEPP sono stati per la prima volta osservati a livello della giunzione neuromuscolare e
permisero a Katz di elaborare l’ipotesi quantale. Essa prevede che il neurotrasmettitore,
all’arrivo del potenziale d’azione sul terminale pre-sinaptico, sia rilasciato in pacchetti
discreti, chiamati quanti. Un quanto corrisponde ad una vescicola di acetilcolina, che è in
grado di suscitare una risposta elettrica a livello del post-sinaptico omogenea in ampiezza
(circa 0,5mV, l’ampiezza media dei MEPP). Il rilascio dei quanti è un evento di natura
probabilistica, la cui frequenza dipende dal grado di depolarizzazione a livello del
pre-sinaptico: maggiore depolarizzazione significa infatti maggiore ingresso di Ca2+
mediante i canali voltaggio-dipendenti, e quindi esocitosi di un maggior numero di vescicole
di neurotrasmettitore. La probabilità di rilascio di un certo numero di quanti in seguito alla
depolarizzazione del pre-sinaptico può essere calcolata su base statistica grazie ad una
distribuzione binomiale che può essere semplificata nella cosiddetta distribuzione di
Poisson, in condizioni tali che “n” (numero di vescicole totali) tenda a infinito e “p”
(probabilità di rilascio) tenda a zero, questo perché siamo sperimentalmente ad una bassa
[Ca2+] extracellulare. La distribuzione di Poisson sarà quindi: Px= e^(-m) m^(x) / x! dove: Px
= probabilità che vengano rilasciate x vescicole, m = contenuto quantale medio (si calcola
come m= n p), e x = vescicole rilasciate). Per facilitarci i conti ci poniamo nella condizione
del fallimento in cui non siano rilasciati quanti (x=0), la formula si riduce a Po = e^(-m).
Applicando la formula inversa m = ln 1/Po, ovvero il logaritmo naturale del rapporto fra gli
stimoli totali e il numero di fallimenti. Confrontando questo valore di m, calcolato su base
statistica, col valore di m calcolato su base sperimentale (dividendo l’ampiezza media
dell’EPP per l’ampiezza media del MEPP), vediamo che i valori coincidono. È quindi
confermata l’ipotesi quantale.

71) Nella GNM il rilascio del mediatore è un evento probabilistico. Come si fa a


dimostrarlo?

I potenziali miniatura (MEPP) sono piccoli potenziali depolarizzanti di frequenza casuale che
si vengono a generare in seguito al rilascio di uno o pochi quanti di neurotrasmettitore dal
pre-sinaptico. La frequenza dei MEPP dipende invece da eventi pre-sinaptici.
Depolarizzando il pre-sinaptico, la frequenza di rilascio aumenta, viceversa, con
un’iperpolarizzazione decresce nettamente. Questo perché la depolarizzazione innesca
l’apertura di un numero sempre maggiore di canali per il calcio voltaggio-dipendenti,
innescando una via che porta all’esocitosi della vescicola di neurotrasmettitore.
I MEPP sono stati per la prima volta osservati a livello della giunzione neuromuscolare e
permisero a Katz di elaborare l’ipotesi quantale. Essa prevede che il neurotrasmettitore,
all’arrivo del potenziale d’azione sul terminale pre-sinaptico, sia rilasciato in pacchetti
discreti, chiamati quanti. Un quanto corrisponde ad una vescicola di acetilcolina, che è in
grado di suscitare una risposta elettrica a livello del post-sinaptico omogenea in ampiezza
(circa 0,5mV, l’ampiezza media dei MEPP). Il rilascio dei quanti è un evento di natura
probabilistica, la cui frequenza dipende dal grado di depolarizzazione a livello del
pre-sinaptico: maggiore depolarizzazione significa infatti maggiore ingresso di Ca2+
mediante i canali voltaggio-dipendenti, e quindi esocitosi di un maggior numero di vescicole
di neurotrasmettitore. La probabilità di rilascio di un certo numero di quanti in seguito alla
depolarizzazione del pre-sinaptico può essere calcolata su base statistica grazie ad una
distribuzione binomiale che può essere semplificata nella cosiddetta distribuzione di
Poisson, in condizioni tali che “n” (numero di vescicole totali) tenda a infinito e “p”
(probabilità di rilascio) tenda a zero, questo perché siamo sperimentalmente ad una bassa
[Ca2+] extracellulare. La distribuzione di Poisson sarà quindi: Px= e^(-m) m^(x) / x! dove: Px
= probabilità che vengano rilasciate x vescicole, m = contenuto quantale medio (si calcola
come m= n p), e x = vescicole rilasciate). Per facilitarci i conti ci poniamo nella condizione
del fallimento in cui non siano rilasciati quanti (x=0), la formula si riduce a Po = e^(-m).
Applicando la formula inversa m = ln 1/Po, ovvero il logaritmo naturale del rapporto fra gli
stimoli totali e il numero di fallimenti. Confrontando questo valore di m, calcolato su base
statistica, col valore di m calcolato su base sperimentale (dividendo l’ampiezza media
dell’EPP per l’ampiezza media del MEPP), vediamo che i valori coincidono. È quindi
confermata l’ipotesi quantale.

72) Descrivi la cascata segnalatoria del Ca2+ che causa il rilascio del neurotrasmettitore. /
Prove che dimostrano la connessione di calcio al fenomeno di liberazione del
neurotrasmettitore da parte delle vescicole. Descrivine la cascata segnalatoria.

La cascata segnalatoria del calcio ha inizio con la depolarizzazione della membrana


pre-sinaptica. Aumentando il suo potenziale di membrana, infatti, la frequenza di rilascio del
NT aumenta (viceversa con un’iperpolarizzazione decrescerebbe). Questo perché la
depolarizzazione innesca l’apertura di un numero sempre maggiore di canali per il calcio
voltaggio-dipendenti, i quali aprendosi consentono un ingresso di calcio sia per gradiente di
concentrazione (in quanto la concentrazione extracellulare di Ca2+ è circa 1,8 mM, mentre
quella intracellulare è sub-micromolare) che per gradiente elettrico. L’ingresso di questo
secondo messaggero darà inizio alla cascata segnalatoria che terminerà appunto con il
rilascio delle vescicole. Una volta entrato nella cellula, il Ca2+ si lega ad una proteina, detta
sinaptotagmina, la quale legando il calcio favorisce la formazione del complesso SNARE,
ovvero un complesso sovramolecolare formato dall’unione tra la sinaptobrevina (proteina
situata sulla membrana delle vescicole) e altre due proteine, la sintaxina e la SNAP-25
(situate invece sulla membrana plasmatica). Questo complesso SNARE, con le sue regioni
coiled-coil, determina la fusione della vescicola alla membrana plasmatica e la sua
diffusione nello spazio intersinaptico.
Il ruolo del calcio è dimostrato anche grazie a indicatori fluorescenti, che evidenziano il
flusso dello ione in condizioni di blocco degli altri canali voltaggio-dipendenti (con TTX e
TEA). Inoltre, chelando il calcio intracellulare oppure riducendo a zero la concentrazione
esterna (sfruttando anche alte concentrazioni extracellulari di magnesio) si osserva mancata
risposta sul post-sinaptico, parliamo di condizioni di blocco presinaptico. Infine possiamo
ottenere blocco presinaptico anche utilizzando agenti farmacologici che agiscono bloccando
i canali del calcio (come omega-conotossina, cadmio o metalli pesanti) oppure avvelenando
il complesso SNARE (come il caso della tossina botulinica o di quella tetanica).

) Myasthenia gravis

La myasthenia gravis è una patologia neurologica della GNM ed è associata al recettore


nicotinico. Può avere natura autoimmune (si formano anticorpi contro il recettori) o natura
genetica (mutazioni di proteine del canale o proteina associate alla sua organizzazione di
membrana). Di solito interessa i muscoli cranici o degli arti e i soggetti presentano spesso
ptosi. I sintomi sono contrastati da farmaci anticolinesterasici e possono essere identificati
con studi di elettromiografica. Nella versione autoimmune sembrano implicati anticorpi
contro la proteina MuSK, una proteina postsinaptica che serve da impalcatura e per
l’organizzazione spaziale dei recettori. E’ coinvolta anche nella formazione della sinapsi in
quanto il terminale presinaptico libera segnali biochimici, come la proteina Agrin, che
innesca cascate di segnalazione in cui è coinvolta anche la proteina Irp4, la quale a sua

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volta innesca il complesso con MuSK. Da qui abbiamo poi l’associarsi dei primi 8 recettori e
infine la formazione delle pieghe postsinaptiche.

SINAPSI INTERNEURONICHE RAPIDE

73) Fare un confronto tra un EPSP in un motoneurone e un potenziale di placca.

Per EPSP (Excitatory Post-Synaptic Potential) si intende la depolarizzazione della


membrana post-sinaptica di una sinapsi interneuronica eccitatoria conseguente all’arrivo di
neurotrasmettitore, che interagendo con i suoi recettori specifici determinerà una corrente
depolarizzante. L’ampiezza dell’EPSP dipenderà dalla quantità di NT rilasciato dall’elemento
presinaptico (e dunque dalla depolarizzazione presinaptica). Il potenziale di placca (EPP) è
un EPSP particolare in quanto è tipico della GNM, una sinapsi obbligata in cui l’arrivo di una
depolarizzazione presinaptica causa sempre il rilascio di tantissimo NT e dunque un EPSP,
in questo caso EPP, sempre sopra soglia che da inizio al potenziale d’azione.
Tuttavia EPSP e EPP presentano importanti differenze. Innanzitutto, l’EPSP si verifica a
livello di una sinapsi interneuronica, che non è obbligata come la GNM, e dunque genererà
un EPSP di ampiezza minore (circa 0,5mV a confronto con i 50-60mV dell’EPP). Di
conseguenza, come accennato prima, EPP è sempre sufficiente al raggiungimento della
soglia oltre la quale scatta il potenziale d’azione, mentre l’EPSP non lo è mai. È necessario
sommare più EPSP per far scattare un potenziale d’azione, e questa somma può essere sia
spaziale che temporale. La sommatoria spaziale consiste nel sommarsi degli EPSP che
giungono contemporaneamente al neurone post-sinaptico da diversi neuroni pre-sinaptici.
La sommatoria temporale, invece, consiste nel sommarsi di EPSP consecutivi che
giungono al neurone post-sinaptico dallo stesso neurone pre-sinaptico, in tempi molto
ravvicinati. Dal momento che un EPSP ha una durata di circa 10 ms, se, prima che
questo si esaurisca totalmente, ne arriva un secondo, i due EPSP si sommeranno. Infine,
mentre nella GNM avremo sempre un trasmissione rapida mediata da acetilcolina (il NT si
lega ai recettori-canale nicotinici), nelle sinapsi interneuroniche l’EPSP potrà essere mediato
da diversi NT e dare origine a Fast-EPSP (quando interagisce con recettori ionotropici) o
Slow-EPSP (con recettori metabotropici).
) Disegnare un circuito in cui si genera un EPSP in un motoneurone, con anche la
posizione degli elettrodi.

Per EPSP (Excitatory Post-Synaptic Potential) si intende la depolarizzazione della


membrana post-sinaptica di una sinapsi interneuronica eccitatoria conseguente all’arrivo di
neurotrasmettitore, che interagendo con i suoi recettori specifici determinerà una corrente
depolarizzante. L’ampiezza dell’EPSP dipenderà dalla quantità di NT rilasciato dall’elemento
presinaptico (e dunque dalla depolarizzazione presinaptica). In generale un EPSP ha
ampiezza media di 0,5 mV e durata di 10 ms, quindi, nonostante non sia in grado
singolarmente di causare una depolarizzazione tale da superare il valore soglia, ha una
durata sufficiente per consentirgli di essere sommato ad altri EPSP. Per fare ciò possiamo
andare incontro a due tipi di somma: spaziale e temporale. La sommatoria spaziale consiste
nel sommarsi degli EPSP che giungono contemporaneamente al neurone post-sinaptico da
diversi neuroni pre-sinaptici. La sommatoria temporale, invece, consiste nel sommarsi di
EPSP consecutivi che giungono al neurone post-sinaptico dallo stesso neurone
pre-sinaptico, in tempi molto ravvicinati. Il ruolo degli EPSP è quello di avvicinare, mediante
depolarizzazione, il potenziale di membrana dell’elemento post-sinaptico al valore soglia e
facilitare la generazione di un PdA. Questo può essere osservato tramite un esperimento in
cui, inserendo un microelettrodo di stimolazione a livello del motoneurone, si trova l’intensità
di corrente minima a far scattare il potenziale d’azione. Dopodiché si stimola il neurone
pre-sinaptico, in modo che si abbia la produzione di un EPSP a livello del motoneurone. Ciò
che si osserva è che l’intensità di corrente minima a far scattare il potenziale d’azione è
diminuita: grazie all’EPSP, dunque il motoneurone genererà PdA più facilmente.

74) Differenze tra i recettori ionotropici NMDA e nonNMDA e le loro correnti.

I recettori ionotropici glutammatergici si dividono in due categorie: NMDA e non-NMDA


(comprendenti i recettori AMPA e quelli kainato). La struttura di questi canali è abbastanza
simile, infatti studiandoli con tecniche di Cryo-EM (microscopia crioelettronica) si vede che
entrambi sono tetrameri asimmetrici (con la porzione extracellulare più ampia). Le 4 subunità
del tetramero possono avere diverse isoforme: gli NMDA possiedono NR1, NR2 o NR3; gli
AMPA hanno GluR da 1 a 4; i kainato hanno GluR 5,6,7 e KA1,2. Si nota anche che
ciascuna subunità possiede nella sua ansa transmembrana 2 un filtro di selettività chiamato
filtro Q/R. In generale il gene per il filtro Q/R prevede sempre una glutammina, ma tramite
meccanismi di editing di RNA viene poi sostituita con arginina e asparagine ove necessario.
Infatti per i canali NMDA questo sito presenta sempre al suo interno una asparagina che
consente il passaggio di calcio; nei canali AMPA e Kainato invece di norma abbiamo una
glutammina, che consente anch’essa il passaggio di calcio, OPPURE nel caso dell’isoforma
GluR2 di AMPA avremo una arginina, la quale non consente il passaggio di calcio per via
della sua carica positiva. La differenza principale tra i recettori NMDA e i non-NMDA è però
la sensibilità al voltaggio dei primi. Infatti, nonostante siano entrambi sensibili al glutammato
(il loro ligando), gli NMDA in condizioni di potenziale a riposo si trovano in uno stato chiuso
per via della presenza di magnesio dentro al canale. Questo ione, per valori di potenziale
negativi, rimane legato e chiude il canale come un tappo che si aprirà solo in seguito ad una
depolarizzazione. E’ per questo motivo che i canali NMDA sono utilizzati come rilevatori di
coincidenze, in quanto per la loro attivazione è necessario sia avere il mediatore legato al
canale sia una membrana sufficientemente depolarizzata (la sua apertura è dovuta anche
ad altri cofattori come la glicina extracellulare). I recettori non-NMDA viceversa si
comportano come normali canali ligando-dipendenti. Possiamo dunque individuare nella
corrente totale che genera EPSP due diverse componenti (dovute ai rispettivi canali) che ci
conviene studiare singolarmente. Per fare ciò possiamo bloccare alternativamente i canali
NMDA (utilizzando acido fosfovalerico APV) o i non-NMDA (utilizzando CNQX) per studiare
le correnti degli uni o degli altri. Notiamo che entrambe sono correnti dovute agli ioni sodio e
potassio e con un punto di inversione pari a 0mV, tuttavia analizzando la relazione intensità
voltaggio vediamo che la corrente dei canali non-NMDA avrà andamento lineare (perché
ligando-dipendente) mentre quella dei canali NMDA si attiverà solo dopo un certo valore di
potenziale di membrana seguendo la cinetica dei canali voltaggio-dipendenti (avrà anche
una cinetica più lenta). L'iniziale corrente necessaria per raggiungere questi valori
depolarizzati sarà fornita invece dai canali non-NMDA, i quali sono assimilabili del tutto a dei
canali ligando-dipendenti. Si ricorda che oltre all’ingresso di sodio e potassio avremo anche
un ingresso di calcio finemente regolato in base all’isoforma del filtro Q/R.

) Spiegare la relazione corrente-voltaggio tra i recettori AMPA e NMDA nelle sinapsi


glutammatergiche.

I recettori ionotropici glutammatergici si dividono in due categorie: NMDA e non-NMDA


(comprendenti i recettori AMPA e quelli kainato). La struttura di questi canali è abbastanza
simile, infatti studiandoli con tecniche di Cryo-EM (microscopia crioelettronica) si vede che
entrambi sono tetrameri asimmetrici (con la porzione extracellulare più ampia). Le 4 subunità
del tetramero possono avere diverse isoforme di cui ciascuna possiede nella sua ansa
transmembrana 2 un filtro di selettività chiamato filtro Q/R, questo in generale consente il
passaggio agli ioni sodio, potassio, e una componente anche di calcio. Questa componente
di calcio tuttavia è esclusa in presenza della subunità GluR2 di particolari AMPA, la quale,
poiché presenta al suo interno una arginina con carica positiva (al contrario della
glutammina in tutti gli altri AMPA o della asparagina negli NMDA), respinge Ca2+.
La differenza principale tra i recettori NMDA e i non-NMDA è però la sensibilità al voltaggio
dei primi. Infatti, nonostante siano entrambi sensibili al glutammato (il loro ligando), gli
NMDA in condizioni di potenziale a riposo si trovano in uno stato chiuso per via della
presenza di magnesio dentro al canale. Questo ione, per valori di potenziale negativi, rimane
legato e chiude il canale come un tappo che si aprirà solo in seguito ad una
depolarizzazione. E’ per questo motivo che i canali NMDA sono utilizzati come rilevatori di
coincidenze, in quanto per la loro attivazione è necessario sia avere il mediatore legato al
canale sia una membrana sufficientemente depolarizzata (la sua apertura è dovuta anche
ad altri cofattori come la glicina extracellulare). I recettori non-NMDA viceversa si
comportano come normali canali ligando-dipendenti. Possiamo dunque individuare nella
corrente totale che genera EPSP due diverse componenti (dovute ai rispettivi canali) che ci
conviene studiare singolarmente. Per fare ciò possiamo bloccare alternativamente i canali
NMDA (utilizzando acido fosfovalerico APV) o i non-NMDA (utilizzando CNQX) per studiare
le correnti degli uni o degli altri. Notiamo che entrambe sono correnti dovute agli ioni sodio e
potassio e con un punto di inversione pari a 0mV, tuttavia analizzando la relazione intensità
voltaggio vediamo che la corrente dei canali non-NMDA avrà andamento lineare (perché
ligando-dipendente) mentre quella dei canali NMDA si attiverà solo dopo un certo valore di
potenziale di membrana seguendo la cinetica dei canali voltaggio-dipendenti (avrà anche
una cinetica più lenta). L'iniziale corrente necessaria per raggiungere questi valori
depolarizzati sarà fornita invece dai canali non-NMDA, i quali sono assimilabili del tutto a dei
canali ligando-dipendenti.
75) Caratteristiche delle correnti attraverso i recettori ionotropici NMDA.

I recettori NMDA sono dei canali ionotropici permeabili al calcio e con cinetica lenta (sia in
apertura che chiusura). La loro apertura dipende sia dal legame col ligando specifico, ovvero
il glutammato, sia dal voltaggio, ovvero una depolarizzazione di membrana. Infatti in
condizioni di potenziale a riposo si trovano in uno stato chiuso a causa della presenza di
magnesio dentro al canale. Questo ione, per valori di potenziale negativi, rimane legato al
canale e lo chiude come un tappo, che si aprirà solo in seguito a depolarizzazione di
membrana che induce la rimozione del magnesio e rende il canale permeabile. E’ per
questo motivo che i canali NMDA sono utilizzati come rilevatori di coincidenze, in quanto per
la loro attivazione è necessario sia avere il mediatore legato al canale sia una membrana
sufficientemente depolarizzata (la sua apertura è dovuta anche ad altri cofattori come la
glicina extracellulare). Una volta aperti possiamo studiare il grafico intensità-voltaggio della
sua corrente, che sarà dovuta agli ioni sodio e potassio e avrà punto di inversione pari a
0mV. Inoltre vediamo che al potenziale di membrana a riposo, se è presente magnesio
extracellulare (come avviene fisiologicamente), la corrente attraverso il canale NMDA è
praticamente nulla. Via via che salgo con i valori del voltaggio di membrana avrò un numero
maggiore di canali aperti e dunque la corrente comincia a salire gradualmente fino a
quando, superato un certo valore, è addirittura assimilabile ad una corrente del tutto
ligando-dipendente. L'iniziale corrente necessaria per raggiungere questi valori depolarizzati
sarà fornita invece dai canali non-NMDA, i quali sono assimilabili del tutto a dei canali
ligando-dipendenti. Si deve notare anche che attraverso i canali NMDA osserviamo anche
una corrente di calcio in ingresso (consentita dall’asparagina presente all’interno del loro sito
Q/R) che avrà un ruolo essenziale nei fenomeni di plasticità sinaptica (long-term potentiation
e long-term depression). Infine, il recettore NMDA è modulato dalla glicina; infatti la glicina
aumenta la probabilità di apertura del canale e quindi in sua presenza di glicina la risposta
NMDA aumenta di ampiezza.

76) Correnti IPSP - caratteristiche delle correnti e neurotrasmettitori.

La corrente IPSP (Inhibitory PostSynaptic Potentials) è una corrente iperpolarizzante della


membrana post-sinaptica conseguente all’arrivo di neurotrasmettitore, che interagendo con i
suoi recettori specifici determinerà un flusso entrante di anioni cloro (Cl-) o uscente di cationi
potassio (K+). L’ampiezza dell’IPSP dipenderà dalla quantità di NT rilasciato dall’elemento
presinaptico (e dunque dalla depolarizzazione presinaptica). Più in generale gli IPSP
possono trovarsi solo nelle sinapsi interneuroniche in quanto, essendo il loro scopo quello di
abbassare la probabilità di genesi del potenziale d’azione, per prendere parte al fenomeno
dell’integrazione devono per forza agire prima del colletto assonico (compartimento di
calcolo dove si sviluppa il PdA). Anche gli IPSP, essendo fenomeni elettrotonici come gli
EPSP, sono passibili di sommazione spaziale e temporale. Inoltre gli IPSP possono essere
Fast-IPSP (con i recettori ionotropici) o Slow-IPSP (metabotropici). Studiando la corrente dei
primi vedremo nella relazione intensità-voltaggio un punto di inversione di circa -80mV,
questo perché tali fenomeni sono dovuti a canali gabaergici (GABA a) che mediano un
ingresso di cloro (con potenziale di equilibrio appunto -80mV). Se ci troviamo in condizioni
normali di riposo un neurone avrà potenziale di membrana di -65mV, dunque l’effetto sarà
sempre iperpolarizzante. I secondi invece hanno un punto di inversione a circa -88 mV,
questo perché stavolta verrà utilizzato il recettore muscarinico M2, un recettore
metabotropico per il NT Ach; quest’ultimo, dopo il legame col NT, modifica la sua
conformazione causando una cascata di segnalazione che termina con l’apertura dei canali
potassio Ach-dipendenti. A questo punto avremo una corrente uscente (iperpolarizzante) di
ioni potassio, ecco spiegato perché il punto di inversione dello slow-IPSP coincide con il
potenziale d’equilibrio del potassio.

77) Perché si usa KCl 3M per un microelettrodo?

In un microelettrodo inseriamo una soluzione KCl 3M perché è una soluzione salina ad


alta concentrazione. In questo modo, il microelettrodo sarà un buon conduttore.
Questa concentrazione salina, tra l’altro, fu usata da Coombs per dimostrare che il
Fast-IPSP utilizza una corrente di cloro. Quest’ultimo sfruttò il fatto che i microelettrodi del
tempo, essendo ancora strumenti grezzi, perdevano ioni dalla punta modificando le
concentrazioni intracellulari. In particolare i microelettrodi utilizzati da Coombs erano detti
“leaky” e contenevano proprio KCl a 3M, il quale, dopo la fuoriuscita dalla punta del
microelettrodo, si dissociava nell’ambiente intracellulare in K+ e Cl-. Il primo, avendo una
concentrazione intracellulare molto alta, non veniva influenzato da quel piccolo aumento,
mentre il secondo, avendo una concentrazione intracellulare molto piccola, veniva
drasticamente influenzato nel suo potenziale di equilibrio. Si dimostrò così che la corrente
degli IPSP era strettamente connessa al cloro, in quanto una tale modificazione comportava
un cambiamento congruo del punto di inversione del fenomeno. Tanto è vero che, dopo un
po’ di tempo, il potenziale del cloro si spostava su valori meno negativi fino a superare il
potenziale di membrana, causando all’arrivo di IPSP una depolarizzazione (in quanto IPSP
fa tendere sempre il potenziale di membrana verso il potenziale di equilibrio del cloro).

78) Circuito nervoso implicato nella produzione dell’IPSP, indicando anche i microelettrodi di
registrazione e di stimolazione. Qual è la sua ampiezza minima? E la massima?

La corrente IPSP (Inhibitory PostSynaptic Potentials) è una corrente iperpolarizzante della


membrana post-sinaptica conseguente all’arrivo di neurotrasmettitore, che interagendo con i
suoi recettori specifici determinerà un flusso entrante di anioni cloro (Cl-) o uscente di cationi
potassio (K+). L’ampiezza dell’IPSP dipenderà dalla quantità di NT rilasciato dall’elemento
presinaptico (e dunque dalla depolarizzazione presinaptica). Più in generale gli IPSP
possono trovarsi solo nelle sinapsi interneuroniche in quanto, essendo il loro scopo quello di
abbassare la probabilità di genesi del potenziale d’azione, per prendere parte al fenomeno
dell’integrazione devono per forza agire prima del colletto assonico (compartimento di
calcolo dove si sviluppa il PdA). Anche gli IPSP, essendo fenomeni elettrotonici come gli
EPSP, sono passibili di sommazione spaziale e temporale. La sommatoria spaziale consiste
nel sommarsi degli IPSP che giungono contemporaneamente al neurone post-sinaptico da
diversi neuroni pre-sinaptici. La sommatoria temporale, invece, consiste nel sommarsi di
IPSP consecutivi che giungono al neurone post-sinaptico dallo stesso neurone pre-sinaptico,
in tempi molto ravvicinati. Dal momento che un IPSP ha una durata di circa 10 ms, se prima
che questo si esaurisca totalmente ne arriva un secondo, i due IPSP si sommeranno.
IPSP ha un’ampiezza media di 0,5 mV, un'ampiezza minima che corrisponderà alla
liberazione di un solo quanto di NT, e un’ampiezza massima che potrebbe potenzialmente
corrispondere alla liberazione di tutte le vescicole di NT contenute nell’elemento
presinaptico.
79) Disegnare il circuito elettrico e il meccanismo di inibizione post-sinaptica.

Nel fenomeno della inibizione post-sinaptica, la liberazione del NT da parte dell’interneurone


inibitore provoca sulla membrana post-sinaptica una piccola iperpolarizzazione di 0,5 mV,
denominata IPSP (Inhibitory Post-Synaptic Potential). L’IPSP riduce l’eccitabilità del neurone
post-sinaptico sia perché ha iperpolarizzato la membrana (servirà una depolarizzazione più
grande per raggiungere la soglia), ma soprattutto perché aumenta la conduttanza allo ione
cloro (infatti il punto di inversione del fenomeno coincide con il potenziale di equilibrio di
questo ione, ovvero -80mV). Quindi, in accordo con la legge di Ohm, sappiamo che deltaV =
I x Rm, e dunque se aumenta la conduttanza per il cloro si aprono dei canali e Rm
diminuisce, di conseguenza a parità di corrente la variazione di potenziale è minore.
Per dimostrare che la perdita di eccitabilità non è giustificata solo dall’IPSP, ma
prevalentemente dall’aumento di conduttanza al Cl−, possiamo eseguire un esperimento
come il seguente. S1 è uno stimolatore situato sulla via eccitatoria (che chiameremo stimolo
test), mentre S2 sulla via inibitoria (che chiameremo stimolo condizionante). Affinché
l’inibizione post-sinaptica abbia effetto, è necessario che S2 venga stimolato 1 ms prima
rispetto ad S1. Questo perché, sulla via inibitoria, avremo un passaggio in più, dato dal fatto
che le sinapsi sono due: prima quella tra il neurone sensitivo e l’interneurone e poi quella tra
l’interneurone e il motoneurone (il ritardo sinaptico totale è di 2 ms). La via eccitatoria,
invece, è monosinaptica, quindi il ritardo sinaptico è solo di 1 ms.
Possiamo registrare la risposta del potenziale eccitatorio ed esprimerla come percentuale
della risposta di base (quando EPSP è al 100%, ovvero se il ritardo tra i due stimoli è nullo e
l’inibizione è troppo lenta per avere effetto). Facendo ‘partire lo stimolo test con un ritardo di
1 ms rispetto al condizionante, vediamo che l’inibizione è massima e notiamo che questo
punto non coincide con il picco dell’IPSP (che invece si trova a 2 ms); da ciò stabiliamo che
non è tanto l’iperpolarizzazione quanto l’aumento di conduttanza di membrana a
determinare l’inibizione. Questa perdita di eccitabilità dovuta all’aumento della conduttanza
di membrana viene definita effetto shunt.

80) Meccanismi di inibizione presinaptica.

L’inibizione presinaptica consiste in un’alterazione di un terminale presinaptico che porta ad


un diminuito rilascio di neurotrasmettitore (modifiche a livello dell’accoppiamento
eccitazione-secrezione) e dunque una diminuita ampiezza degli EPSP a livello
post-sinaptico. Questo fenomeno si realizza tramite la presenza di un ulteriore sinapsi
asso-assonica che si porta a livello del terminale presinaptico, il metodo con cui esso agisce
è stato largamente dibattuto e in particolare esistono due teorie. La prima (quella al
momento più accreditata) prevede che, attraverso il rilascio di GABA nello spazio
intersinaptico questo si vada a legare ai suoi recettori metabotropici (GABA b) causando una
cascata di segnalazione che diminuisce la probabilità di apertura dei canali per il calcio
voltaggio-dipendenti, diminuendo così l’intensità del transiente del calcio che è determinante
nel rilascio delle vescicole di neurotrasmettitore.
La seconda prevede che i contatti presinaptici in realtà siano di natura eccitatoria, i quali
fornirebbero piccole depolarizzazioni sottosoglia portando all’inattivazione di alcuni canali al
sodio voltaggio-dipendenti con conseguente accomodazione della soglia; all’arrivo del PdA
questo ha meno canali sodio disponibili e causa una depolarizzazione ridotta che come
conseguenza ha un minor ingresso di calcio e quindi una minor quantità di NT rilasciato.
81) Cos’è il fenomeno dell’integrazione?

L’integrazione è un processo fondamentale svolto dai neuroni per valutare in ogni momento
se generare o non generare un potenziale d’azione. Il compartimento di input del neurone
subisce centinaia di afferenze, fra cui alcune eccitatorie ed altre inibitorie e, sulla base della
sommatoria di questi stimoli elettrotonici, nel compartimento di processazione del neurone
(ovvero il colletto assonico) verrà svolta la decision making task (ovvero il “to fire” or "not to
fire”). Se la somma dei vari EPSP che arrivano sul compartimento di input di un neurone,
sottratta a quella degli IPSP, darà un valore di corrente sopra soglia, scatterà il PdA e
avremo la conversione del fenomeno analogico in fenomeno digitale (tutto o nulla). Un
malfunzionamento di questa conversione può causare diverse patologie come paralisi o
generazione di spasmi incontrollati. Il fenomeno di integrazione dipende da diversi
parametri: natura e ampiezza del segnale; localizzazione dello stimolo (da una sinapsi più
vicina al colletto avremo uno stimolo che si attenua meno) e frequenza; potenziale di
membrana del post-sinaptico a riposo e la sua conduttanza; anche dalla storia della sinapsi
(processi di plasticità). A livello del compartimento di input gli EPSP possono essere
sommati fra loro sia con sommazione di tipo spaziale che di tipo temporale. La sommazione
spaziale prevede che il neurone sia stimolato nello stesso momento da due sinapsi che si
trovano in prossimità fra loro. Gli EPSP potranno infatti sommarsi aumentando la probabilità
di evocare un potenziale d’azione una volta giunti a livello del colletto assonico. In questo
caso, la sommazione spaziale sarà tanto più efficace tanto sarà maggiore la costante di
spazio lambda, che indica la lunghezza entro la quale l’ampiezza del fenomeno di
propagazione è decrementata del 63%. Viceversa, nel caso della sommazione temporale,
una stessa sinapsi va ad essere stimolata a breve intervallo di tempo: in questo caso, prima
che il fenomeno si attenui, gli EPSP prodotti dalla stessa sinapsi (che hanno durata media di
10ms) possono sempre sommarsi per poi essere valutati a livello del colletto assonico. Qui
entra in gioco la costante di tempo tau, che favorirà il fenomeno nel caso abbia un valore
elevato: in questo caso rappresenta il lasso di tempo entro il quale l’intensità del fenomeno è
decrementata sempre del 63%. Una volta sommati fra di loro e sottratti ad eventuali IPSP (la
somma non è lineare perché dipende appunto da tanti fattori) gli EPSP giungono a livello del
colletto assonico, dove è presente un’alta concentrazione di canali Na e K
voltaggio-dipendenti. Se si raggiunge il valore di soglia, molto bassa in questo
compartimento, si potrà generare il potenziale d’azione.

82) Dove e come si sommano gli impulsi di più sinapsi eccitatorie e inibitorie convergenti
su un motoneurone?

Gli impulsi si sommano attraverso un fenomeno che prende il nome di integrazione; ciò vale
solo per le sinapsi interneuroniche in quanto, nelle sinapsi neuroeffettrici, il calcolo viene già
fatto negli interneuroni che le precedono. L’integrazione è un processo fondamentale svolto
dai neuroni per valutare in ogni momento se generare o non generare un potenziale
d’azione. Il compartimento di input del neurone subisce centinaia di afferenze, fra cui alcune
eccitatorie ed altre inibitorie e, sulla base della sommatoria di questi stimoli elettrotonici, nel
compartimento di processazione del neurone (ovvero il colletto assonico) verrà svolta la
decision making task (ovvero il “to fire” or "not to fire”). Se la somma dei vari EPSP che
arrivano sul compartimento di input di un neurone, sottratta a quella degli IPSP, darà un
valore di corrente sopra soglia, scatterà il PdA e avremo la conversione del fenomeno
analogico in fenomeno digitale (tutto o nulla). Un malfunzionamento di questa conversione
può causare diverse patologie come paralisi o generazione di spasmi incontrollati. Il
fenomeno di integrazione dipende da diversi parametri: natura e ampiezza del segnale;
localizzazione dello stimolo (da una sinapsi più vicina al colletto avremo uno stimolo che si
attenua meno) e frequenza; potenziale di membrana del post-sinaptico a riposo e la sua
conduttanza; anche dalla storia della sinapsi (processi di plasticità). A livello del
compartimento di input gli EPSP possono essere sommati fra loro sia con sommazione di
tipo spaziale che di tipo temporale. La sommazione spaziale prevede che il neurone sia
stimolato nello stesso momento da due sinapsi che si trovano in prossimità fra loro. Gli
EPSP potranno infatti sommarsi aumentando la probabilità di evocare un potenziale
d’azione una volta giunti a livello del colletto assonico. In questo caso, la sommazione
spaziale sarà tanto più efficace tanto sarà maggiore la costante di spazio lambda, che indica
la lunghezza entro la quale l’ampiezza del fenomeno di propagazione è decrementata del
63%. Viceversa, nel caso della sommazione temporale, una stessa sinapsi va ad essere
stimolata a breve intervallo di tempo: in questo caso, prima che il fenomeno si attenui, gli
EPSP prodotti dalla stessa sinapsi (che hanno durata media di 10ms) possono sempre
sommarsi per poi essere valutati a livello del colletto assonico. Qui entra in gioco la costante
di tempo tau, che favorirà il fenomeno nel caso abbia un valore elevato: in questo caso
rappresenta il lasso di tempo entro il quale l’intensità del fenomeno è decrementata sempre
del 63%. Una volta sommati fra di loro e sottratti ad eventuali IPSP (la somma non è lineare
perché dipende appunto da tanti fattori) gli EPSP giungono a livello del colletto assonico,
dove è presente un’alta concentrazione di canali Na e K voltaggio-dipendenti. Se si
raggiunge il valore di soglia, molto bassa in questo compartimento, si potrà generare il
potenziale d’azione. Nel caso specifico del motoneurone il calcolo viene fatto prima del
colletto assonico e, se la sommatoria risulta sopra soglia, partirà un PdA che genera sempre
una riposta a livello della giunzione neuromuscolare, che quindi non ha bisogno di
integrazione (la sinapsi si dice infatti obbligata).

83) Come è possibile sommare gli effetti di più sinapsi eccitatorie convergenti su un
motoneurone? È possibile dire che se ci sono 20 sinapsi attive ottengo un EPSP di 10mV?

Gli impulsi si sommano attraverso un fenomeno che prende il nome di integrazione; ciò vale
solo per le sinapsi interneuroniche in quanto, nelle sinapsi neuroeffettrici, il calcolo viene già
fatto negli interneuroni che le precedono. L’integrazione è un processo fondamentale svolto
dai neuroni per valutare in ogni momento se generare o non generare un potenziale
d’azione. Il compartimento di input del neurone subisce centinaia di afferenze, fra cui alcune
eccitatorie ed altre inibitorie e, sulla base della sommatoria di questi stimoli elettrotonici, nel
compartimento di processazione del neurone (ovvero il colletto assonico) verrà svolta la
decision making task (ovvero il “to fire” or "not to fire”). Se la somma dei vari EPSP che
arrivano sul compartimento di input di un neurone, sottratta a quella degli IPSP, darà un
valore di corrente sopra soglia, scatterà il PdA e avremo la conversione del fenomeno
analogico in fenomeno digitale (tutto o nulla). Un malfunzionamento di questa conversione
può causare diverse patologie come paralisi o generazione di spasmi incontrollati. A livello
del compartimento di input gli EPSP possono essere sommati fra loro sia con sommazione
di tipo spaziale (due EPSP provenienti da sinapsi vicine tra loro si sommano, questa
dipende dalla costante di spazio lambda) che di tipo temporale (due EPSP avvengono a
frequenza ravvicinata in una stessa sinapsi, questa dipende dalla costante di tempo tau).
EPSP ha un’ampiezza di 0,5 mV e una durata di 10 ms, quindi, se prima che questo si
esaurisca totalmente (ovvero entro i 10 ms) ne arriva un secondo, i due EPSP si
sommeranno. Potremmo quindi essere portati a dire che 20 sinapsi eccitatorie attive sullo
stesso motoneurone portino ad un EPSP totale di 10 mV, MA questo non è vero perché
dobbiamo tenere di conto che tale sommazione NON è lineare; infatti il fenomeno di
integrazione dipende da diversi parametri: natura e ampiezza del segnale; localizzazione
dello stimolo (da una sinapsi più vicina al colletto avremo uno stimolo che si attenua meno) e
frequenza; potenziale di membrana del post-sinaptico a riposo e la sua conduttanza; anche
dalla storia della sinapsi (processi di plasticità).

) Struttura canali calcio voltaggio-dipendenti e potenziali d’azione calcio-dipendenti


Il canale calcio voltaggio-dipendente ha 1 subunità principale e 4 subunità ausiliare. Le
subunità ausiliare sono alfa2, beta, gamma e delta; quella principale è alfa1, la quale forma il
poro ed è fatta da 4 sottodomini (in S4 è situato il sensore di voltaggio) ciascuno dei quali a
sua volta possiede 6 anse transmembrana.
Ci sono svariati potenziali d'azione calcio-dipendenti, nel tessuto di conduzione cardiaco il
potenziale d'azione si realizza solo con questi canali, ma ne esiste anche uno che viene
detto potenziale d'azione complesso calcio-dipendente del neurone del Purkinje cerebellare,
che è un potenziale d’azione dendritico. I PdA calcio-dipendenti possono: avere un ruolo di
amplificazione degli EPSP; facilitare la propagazione retrograda (aiutano questi fenomeni
che si attenuerebbero nello spazio ad arrivare fino al processo più lontano); dare un grande
reset di eccitabilità; collaborare al processo di integrazione neuronale (anche se tuttora è
abbastanza sconosciuto come questo avvenga). Vediamo infine che questi potenziali
d'azione sono un po’ più strani e permangono anche con blocco da tetrodotossina (TTX),
così si dimostra che non sono PdA sodio/potassio-dipendenti. Scompaiono però con i
bloccanti del canale del calcio (come il cobalto).

SINAPSI INTERNEURONICHE LENTE

84) Trasmissione sinaptica lenta e differenze con la trasmissione sinaptica veloce, con
particolare riferimento a fast e slow EPSP dei recettori colinergici.

Le sinapsi chimiche si possono suddividere in due categorie: sinapsi veloci e sinapsi


lente. In entrambe le tipologie le molecole di NT vengono liberate grazie a delle vescicole
che si fondono con la membrana pre-sinaptica e, dopo aver attraversato per diffusione lo
spazio intersinaptico, si legano ai propri recettori sulla membrana post-sinaptica.
Nelle sinapsi lente, a differenza di quelle veloci, il recettore è di natura metabotropica e
quindi anziché subire una modifica conformazionale e diventare esso stesso un canale
(come accade con i recettori-canale ionotropici delle sinapsi rapide), il legame col NT
determinerà una cascata di segnalazione che avrà conseguenze su canali ionici posti a
distanza. La sinapsi lenta può inoltre sia aumentare che diminuire la conduttanza di
membrana, laddove invece la sinapsi rapida può solamente aumentarla. Infine la sinapsi
lenta è generalmente attiva ad elevati livelli di attività sinaptica, mentre quella rapida per
qualunque livello. Entrando nello specifico delle sinapsi che utilizzano recettori colinergici (e
dunque acetilcolina come NT), avremo nelle sinapsi rapide i recettori nicotinici e in quelle
lente i recettori muscarinici. I primi sono quindi ionotropici, infatti all’arrivo di Ach questi si
aprono e consentono passaggio di ioni sodio e potassio generando un Fast-EPSP con punto
di inversione pari a -15 mV. I secondi invece si dividono in due classi: i recettori muscarinici
di tipo M1 e quelli di tipo M2. Gli M1 sono coinvolti nel fenomeno di Slow-EPSP, mentre gli
M2 in quello dello Slow-IPSP. Analizzando lo Slow-EPSP vediamo che, dopo il legame di
Ach con il recettore muscarinico M1, avremo come primo passaggio della cascata
segnalatoria una traslocazione della subunità alfa della proteina G associata, la quale attiva
a sua volta l’adenilato-ciclasi di membrana. Questa fa aumentare i livelli di AMP-ciclico che
attivano la protein-chinasi A (PKA), la quale fosforila i canali di tipo M del potassio (che si
trovano di norma aperti) facendoli chiudere. Questa chiusura diminuisce la permeabilità del
potassio, e quindi il suo potenziale di equilibrio avrà meno effetto sul potenziale di
membrana che, in accordo con l’equazione di Goldman, si sposterà maggiormente verso il
potenziale di equilibrio del sodio causando una depolarizzazione (ENa = +60mV). Oltre alla
depolarizzazione avrà un effetto che favorisce l’eccitazione anche la chiusura stessa dei
canali e l’aumento della resistenza di membrana.

) EPSP lenti, neurotrasmettitori, recettori e correnti.

Le sinapsi chimiche si possono suddividere in due categorie: sinapsi veloci e sinapsi


lente. In entrambe le tipologie le molecole di NT vengono liberate grazie a delle vescicole
che si fondono con la membrana pre-sinaptica e, dopo aver attraversato per diffusione lo
spazio intersinaptico, si legano ai propri recettori sulla membrana post-sinaptica.
Nelle sinapsi lente, a differenza di quelle veloci, il recettore è di natura metabotropica e
quindi anziché subire una modifica conformazionale e diventare esso stesso un canale
(come accade con i recettori-canale ionotropici delle sinapsi rapide), il legame col NT
determinerà una cascata di segnalazione che avrà conseguenze su canali ionici posti a
distanza. La sinapsi lenta può inoltre sia aumentare che diminuire la conduttanza di
membrana, laddove invece la sinapsi rapida può solamente aumentarla. Infine la sinapsi
lenta è generalmente attiva ad elevati livelli di attività sinaptica, mentre quella rapida per
qualunque livello. Tra le modalità con cui possiamo ottenere slow-EPSP abbiamo quella che
sfrutta come NT l’acetilcolina e come recettori i muscarinici di tipo M1. I recettori muscarinici
infatti si dividono in due classi: gli M1 sono coinvolti nel fenomeno di Slow-EPSP, mentre gli
M2 in quello dello Slow-IPSP. Analizzando lo Slow-EPSP vediamo che, dopo il legame di
Ach con il recettore muscarinico M1, avremo come primo passaggio della cascata
segnalatoria una traslocazione della subunità alfa della proteina G associata, la quale attiva
a sua volta l’adenilato-ciclasi di membrana. Questa fa aumentare i livelli di AMP-ciclico che
attivano la protein-chinasi A (PKA), la quale fosforila i canali di tipo M del potassio (che si
trovano di norma aperti) facendoli chiudere. Questa chiusura diminuisce la permeabilità del
potassio, e quindi il suo potenziale di equilibrio avrà meno effetto sul potenziale di
membrana che, in accordo con l’equazione di Goldman, si sposterà maggiormente verso il
potenziale di equilibrio del sodio causando una depolarizzazione (ENa = +60mV). Oltre alla
depolarizzazione avrà un effetto che favorisce l’eccitazione anche la chiusura stessa dei
canali e l’aumento della resistenza di membrana.

85) Differenze tra i recettori nicotinici e muscarinici dell’Ach. Differenze tra gli EPSP
generati.

Le sinapsi chimiche si possono suddividere in due categorie: sinapsi veloci e sinapsi


lente. Le prime utilizzano recettori-canale ionotropici mentre le seconde utilizzano recettori
metabotropici che avranno come effetto una cascata di segnalazione, la quale influenza poi
dei canali ionici posti a distanza. Entrando nello specifico delle sinapsi che utilizzano
recettori colinergici (e dunque acetilcolina come NT), avremo nelle sinapsi rapide i recettori
nicotinici e in quelle lente i recettori muscarinici. I primi sono quindi ionotropici, infatti
all’arrivo di Ach questi si aprono e consentono passaggio di ioni sodio e potassio generando
un Fast-EPSP con punto di inversione pari a -15 mV. I recettori nicotinici hanno struttura
pentamerica, ovvero sono costituiti da 5 subunità: avremo due subunità alfa, una beta, una
epsilon e una delta. Questo canale ha una regione centrale che lo chiude, ovvero un filtro di
selettività, che lascia passare esclusivamente lo ione sodio e lo ione potassio; ha anche un
cancello di chiusura e di apertura che viene modulato dalla presenza del legame del
neurotrasmettitore ai siti specifici situati nelle subunità alfa. Sono queste che presentano i
siti di legame per Ach, infatti sono necessarie due molecole di Ach per aprire il canale. Per
riconoscere la molecola le subunità alfa sfruttano la carica positiva presente sull’azoto
quaternario dell'acetilcolina (infatti il curaro, antagonista del canale, possiede anch’esso due
azoti quaternari). Per quanto riguarda i recettori muscarinici, invece, questi sono composti
da un unico polipeptide formato da 7 segmenti transmembrana idrofobici (tipico dei
metabotropici) e si dividono in due classi: i recettori muscarinici di tipo M1 e quelli di tipo M2.
Gli M1 sono coinvolti nel fenomeno di Slow-EPSP, mentre gli M2 in quello dello Slow-IPSP.
Analizzando lo Slow-EPSP vediamo che, dopo il legame di Ach con il recettore muscarinico
M1, avremo come primo passaggio della cascata segnalatoria una traslocazione della
subunità alfa della proteina G associata, la quale attiva a sua volta l’adenilato-ciclasi di
membrana. Questa fa aumentare i livelli di AMP-ciclico che attivano la protein-chinasi A
(PKA), la quale fosforila i canali di tipo M del potassio (che si trovano di norma aperti)
facendoli chiudere. Questa chiusura diminuisce la permeabilità del potassio, e quindi il suo
potenziale di equilibrio avrà meno effetto sul potenziale di membrana che, in accordo con
l’equazione di Goldman, si sposterà maggiormente verso il potenziale di equilibrio del sodio
causando una depolarizzazione (ENa = +60mV). Oltre alla depolarizzazione avrà un effetto
che favorisce l’eccitazione anche la chiusura stessa dei canali e l’aumento della resistenza
di membrana.

86) Descrivere il meccanismo dei late EPSP in termini di neurotrasmettitori, canali e correnti
ioniche.

In alcuni gangli del sistema nervoso autonomo che utilizzano l’acetilcolina come
neurotrasmettitore, si possono osservare stimoli diversi sul post-sinaptico i quali derivano
dall’attivazione di diversi recettori: possiamo avere un Fast-EPSP (quando Ach si lega ai
recettori nicotinici); uno Slow-EPSP (quando si lega invece ai muscarinici di tipo M1); uno
Slow-IPSP (con i recettori muscarinici di tipo M2) e infine un Late-Slow EPSP. Sebbene i
primi tre dipendano dall’attivazione di recettori colinergici rispettivamente ionotropici e
metabotropici, l’ultimo ha una natura molto complessa. Il Late-Slow EPSP è infatti uno
stimolo di natura depolarizzante che viene generato in seguito al legame di un fattore
proteico chiamato LHRH-like peptide, in quanto presenta una struttura primaria e secondaria
simile all’ormone di rilascio di LH (detto appunto LHRH). Questo fattore proteico agisce su
un particolare recettore metabotropico peptidergico, che induce una cascata segnalatoria
che termina con l’apertura dei canali voltaggio-dipendenti per i cationi sodio e calcio; in
contemporanea avremo anche la chiusura di alcuni canali voltaggio-dipendenti per il
potassio, così facendo si induce una depolarizzazione efficace ma molto sfasata nel tempo.
PLASTICITA’ SINAPTICA

87) Spiega i meccanismi di plasticità a breve termine.

Santiago Ramon y Cajal definì la plastica sinaptica come quella proprietà in virtù della quale
modificazioni funzionali durature si verificano in particolari sistemi di neuroni in seguito
all’applicazione di stimoli appropriati o alla combinazione di stimoli diversi. In altre parole si
tratta di modificare la forza sinaptica sulla base della storia della sinapsi stessa. Possiamo
distinguere questi fenomeni in due categorie: fenomeni di plasticità sinaptica a breve termine
e a lungo termine. In particolare i fenomeni di plasticità a breve termine hanno una durata
che parte dalle centinaia di ms fino alle decine di minuti, a seguito di uno stimolo adeguato
(ovvero una intensa attività sinaptica). Come effetto hanno un aumento o una diminuzione
dell'efficacia sinaptica e si possono ulteriormente suddividere in due meccanismi diversi: la
facilitazione/depressione e il potenziamento post-tetanico, entrambi hanno sempre effetto
sull’elemento presinaptico. Facilitazione e depressione si aggirano su tempi di circa 100 ms
poiché è su questa base di tempo che possiamo modificare la quantità di NT rilasciato. Nello
specifico i fenomeni di facilitazione si ottengono grazie ad un progressivo aumento del
transiente di calcio, che quindi aumenta la probabilità di rilascio del NT; lo stimolo efficace è
in questo caso uno stimolo di breve durata ma di elevata frequenza (50Hz). Nei fenomeni di
depressione, invece, si ha una deplezione del pool vescicolare così da diminuire l’efficacia
sinaptica; lo stimolo efficace è stavolta uno stimolo prolungato nel tempo ma a bassa
frequenza (15Hz), infatti a lungo andare, su una scarica di diversi PdA, il numero di
vescicole diminuisce considerevolmente.
Studiando la post-tetanic potentiation vedremo che essa si aggira su tempi intorno ai 10
minuti e che, in seguito ad una scossa tetanica (ovvero ad elevata frequenza), stimolando
nuovamente l’elemento presinaptico registreremo sul postsinaptico una risposta di molto
aumentata e che permane anche per tempi molto lunghi. La base molecolare di questo
fenomeno risiede nel fatto che l’ingresso massivo di calcio ottenuto con lo stimolo tetanico
causa delle cascate di segnalazione che terminano con la fosforilazione della sinapsina (una
proteina coinvolta nell’accoppiamento eccitazione/secrezione), la quale una volta attivata
rende maggiormente efficace il rilascio di vescicole di NT.

88) Plasticità sinaptica a lungo termine (long-term potentiation e long-term depression).

Santiago Ramon y Cajal definì la plastica sinaptica come quella proprietà in virtù della quale
modificazioni funzionali durature si verificano in particolari sistemi di neuroni in seguito
all’applicazione di stimoli appropriati o alla combinazione di stimoli diversi. In altre parole si
tratta di modificare la forza sinaptica sulla base della storia della sinapsi stessa. Possiamo
distinguere questi fenomeni in due categorie: fenomeni di plasticità sinaptica a breve termine
e a lungo termine. A sua volta la plasticità a lungo termine si divide in: Long Term
Potentiation (LTP) e Long Term Depression (LTD). La prima provocherà un aumento
dell’ampiezza di EPSP registrato sul postsinaptico, mentre la seconda ne determinerà una
diminuzione. Nello specifico lo stimo efficace per indurre LTP è dato da stimolazioni ad alta
frequenza per tempi brevi, mentre per indurre LTD saranno stimoli a bassa frequenza (1 Hz)
ma molto prolungati nel tempo (10-15 minuti).
Per studiare LTP ci spostiamo nell’ippocampo, il quale presenta una corteccia a 3 strati detta
Allocortex, in cui al centro si trovano i neuroni piramidali. Le regioni che ci interessano sono
il Giro Dentato e le varie porzioni del corno di Ammone (CA1, CA2, CA3). L’ingresso
dell’ippocampo è dato da una via perforante che prende contatto con le cellule granulari
(poste nel GD), queste a loro volta sinaptano con le cellule piramidali CA3 tramite le fibre
muscoidi. A loro volta le cellule piramidali CA3 prendono contatto con le CA1 tramite i
collaterali di Schaffer. Il meccanismo molecolare di LTP è incentrato sul recettore NMDA, il
media una corrente in ingresso di calcio, il quale agendo da secondo messaggero
determinerà un cascata segnalatoria che termina con un inserimento in membrana di nuovi
recettori AMPA che ipersensibilizzano la sinapsi per il glutammato. Le proprietà di LTP sono
specificità (prendendo due collaterali di Schaffer e inducendo LTP su uno solo dei due l’altro
non ne sarà influenzato) e associatività (se invece stimolo leggermente anche il secondo
collaterale insieme al primo avrò una piccola LTP anche su questo).
Parlando di LTD questa può avere meccanismi diversi a seconda che ci si trovi
nell’ippocampo o nel cervelletto. Nell’ippocampo avremo un transiente di calcio a bassa
intensità e per un tempo prolungato dovuto all’apertura del recettore-canale glutammatergico
NMDA, questo innesca una cascata di segnalazione che termina con l’internalizzazione dei
recettori AMPA di membrana. Avremo in questo caso una perdita di sensibilità al
glutammato. Nella LTD del cervelletto invece useremo il circuito cerebellare dato da una
corteccia a 3 strati, dove quello centrale è composto dai neuroni del Purkinje.
L’arborizzazione dendritica di questi neuroni riceve due tipi diversi di contatti eccitatori
glutammatergici: uno dalle fibre parallele (che sono tante e la attraversano a 90 gradi
facendo poche sinapsi ciascuna), l’altro dalle fibre rampicanti (una per ogni neurone del
Purkinje, questa però fa tante sinapsi). La LTD si realizza quando i segnali che arrivano dalle
diverse fibre coincidono. Con l’attivazione delle fibre parallele avremo la componente
ionotropica (data da AMPA) e poi quella metabotropica (che causa cascate di segnalazione).
Tale cascata di segnalazione fa aumentare i livelli dei secondi messaggeri diacilglicerolo
(DAG) e inositolo-trifosfato (IP3) che quindi prenderanno il ruolo di rilevatore di coincidenze
al posto di NMDA e causeranno, a fine di questa cascata, l’endocitosi clatrina-dipendente
dei canali AMPA. Anche qui avremo una perdita di sensibilità al glutammato.

EFFETTI PRESINAPTICI (extra)


Esistono fenomeni esclusivamente presinaptici che possono dare luogo a LTP e LTD, questi
possono essere sia in modalità omosinaptica (coinvolgono la stessa sinapsi) che
eterosinaptica (coinvolgono sinapsi adiacenti). Avremo LTP quando in presenza di una
attività presinaptica ripetitiva ad elevata frequenza ci sà un ingresso di calcio che induce una
cascata di segnalazione incentrata sulla produzione di cAMP e la conseguente attivazione
della protein-chinasi A (PKA) che va a fosforilare proteine di classe RAB e RIM. Dalla
fosforilazione di questi due si ottiene un aumento persistente della probabilità di rilascio di
NT. Avremo LTD quando invece l’attività presinaptica a bassa frequenza induce segnali
retrogradi da parte degli endocannabinoidi. Questi sono sintetizzati nel terminale
postsinaptico per azione del recettore glutammatergico metabotropico, che con l’ingresso di
calcio determina una cascata di segnalazione che termina appunto con la sintesi degli
endocannabinoidi. Queste molecole liposolubili attraversano la membrana e raggiungono
recettori specifici nel presinaptico, determinando una diminuzione della probabilità di rilascio
del NT.

89) Quali NT e recettori sono coinvolti nell'induzione di LTD nei circuiti neuronali
dell'ippocampo?
Santiago Ramon y Cajal definì la plastica sinaptica come quella proprietà in virtù della quale
modificazioni funzionali durature si verificano in particolari sistemi di neuroni in seguito
all’applicazione di stimoli appropriati o alla combinazione di stimoli diversi. In altre parole si
tratta di modificare la forza sinaptica sulla base della storia della sinapsi stessa. Possiamo
distinguere questi fenomeni in due categorie: fenomeni di plasticità sinaptica a breve termine
e a lungo termine. A sua volta la plasticità a lungo termine si divide in: Long Term
Potentiation (LTP) e Long Term Depression (LTD). Nello specifico lo stimo efficace per
indurre LTD è dato da stimolazioni a bassa frequenza (1 Hz) ma molto prolungate nel tempo
(10-15 minuti), questo tipo di stimolo provocherà una diminuzione dell’ampiezza di EPSP
registrato sul postsinaptico. La stessa LTD assume forme diverse a seconda che ci si trovi
nell’ippocampo o nel cervelletto (perché qui manca NMDA e dovremo usare altri rilevatori di
coincidenze come DAG e IP3). Approfondendo il circuito ippocampale, questo presenta una
corteccia a 3 strati detta Allocortex, in cui al centro si trovano i neuroni piramidali. Le regioni
che ci interessano sono il Giro Dentato e le varie porzioni del corno di Ammone (CA1, CA2,
CA3). L’ingresso dell’ippocampo è dato da una via perforante che prende contatto con le
cellule granulari (poste nel GD), queste a loro volta sinaptano con le cellule piramidali CA3
tramite le fibre muscoidi. A loro volta le cellule piramidali CA3 prendono contatto con le CA1
tramite i collaterali di Schaffer. Il meccanismo in questo caso, a seguito dello stimolo
efficace, avremo un transiente di calcio a bassa intensità e per un tempo prolungato dovuto
all’apertura del recettore-canale glutammatergico NMDA attiva due fosfatasi, ovvero
calcineurina e PP1. Queste fosfatasi causano una internalizzazione dei recettori AMPA. Un
meccanismo che causa questa internalizzazione è quello che prevede l’attivazione di un
sensore del calcio chiamato Hippocalcina, una proteina che presenta un gruppo miristoil,
ovvero un gruppo acido-grasso che rende la proteina in grado di interagire col doppio strato
fosfolipidico. Di norma il gruppo sta dentro la proteina, ma quando si lega il calcio viene
esposto. Contemporaneamente viene anche favorita l’interazione dell’Hippocalcina con
un’altra proteina citoplasmatica di adattamento chiamata AP2, la quale riconosce AMPA e
media il legame sulla membrana dell’Hippocalcina proprio nelle zone dove sono presenti
questi recettori. Con questa interazione viene innescata l’associazione della clatrina e si ha il
segnale trigger che causa l’internalizzazione clatrina-dipendente del complesso
Hippocalcina-AP2-AMPA. In conclusione, la diminuzione del numero di recettori AMPA
presenti sull’elemento post-sinaptico causa una perdita di sensibilità al glutammato.

90) Recettori e neurotrasmettitori nell'induzione di LTD nel circuito neurale del cervelletto.

Santiago Ramon y Cajal definì la plastica sinaptica come quella proprietà in virtù della quale
modificazioni funzionali durature si verificano in particolari sistemi di neuroni in seguito
all’applicazione di stimoli appropriati o alla combinazione di stimoli diversi. In altre parole si
tratta di modificare la forza sinaptica sulla base della storia della sinapsi stessa. Possiamo
distinguere questi fenomeni in due categorie: fenomeni di plasticità sinaptica a breve termine
e a lungo termine. A sua volta la plasticità a lungo termine si divide in: Long Term
Potentiation (LTP) e Long Term Depression (LTD). Nello specifico lo stimo efficace per
indurre LTD è dato da stimolazioni a bassa frequenza (1 Hz) ma molto prolungate nel tempo
(10-15 minuti), questo tipo di stimolo provocherà una diminuzione dell’ampiezza di EPSP
registrato sul postsinaptico. La stessa LTD assume forme diverse a seconda che ci si trovi
nell’ippocampo o nel cervelletto. Nel primo il rilevatore di coincidenze è dato dal
canale-recettore glutammatergico NMDA, mentre nel secondo caso (essendo quest’ultimo
assente) avremo dei secondi messaggeri che ne fanno le veci, ovvero DAG e IP3.
Approfondendo il circuito cerebellare vediamo che esso ha una corteccia a 3 strati, dove
quello centrale è composto dai neuroni del Purkinje. L’arborizzazione dendritica di questi
neuroni riceve due tipi diversi di contatti eccitatori glutammatergici: uno dalle fibre parallele
(che sono tante e la attraversano a 90 gradi facendo poche sinapsi ciascuna), l’altro dalle
fibre rampicanti (una per ogni neurone del Purkinje, questa però fa tante sinapsi). La LTD si
realizza quando i segnali che arrivano dalle diverse fibre coincidono. Con l’attivazione delle
fibre parallele avremo la componente ionotropica (data da AMPA) e poi quella metabotropica
(che causa cascate di segnalazione). Tale cascata di segnalazione fa aumentare i livelli dei
secondi messaggeri diacilglicerolo (DAG) e inositolo-trifosfato (IP3) che quindi prenderanno
il ruolo di rilevatore di coincidenze al posto di NMDA. Questi, insieme al calcio, instaurano un
meccanismo di feedback positivo reciproco (alti livelli di secondi messaggeri innescano
ulteriore rilascio di calcio dal REL). L’alto livello di calcio, DAG e IP3 inoltre attiva la
protein-chinasi C (PKC) che fosforila i recettori AMPA causandone l’endocitosi
clatrina-dipendente; diminuendo il numero di recettori si ha una perdita di sensibilità al
glutammato. Alle fibre parallele, infine, si associa anche la produzione di ossido nitrico (NO)
che, essendo un NT di natura gassosa, permea dall’elemento presinaptico a quello
postsinaptico, dove attiva una cascata di segnalazione che coinvolge proteine G e cGMP,
che attivano la protein-chinasi G. Questa serve a inibire (tramite fosforilazione) la fosfatasi
che andrebbe a rimuovere la fosforilazione dai canali AMPA (dunque fa sì che questa
rimanga permanente).

91) Recettori e neurotrasmettitori nel cervelletto.

Santiago Ramon y Cajal definì la plastica sinaptica come quella proprietà in virtù della quale
modificazioni funzionali durature si verificano in particolari sistemi di neuroni in seguito
all’applicazione di stimoli appropriati o alla combinazione di stimoli diversi. In altre parole si
tratta di modificare la forza sinaptica sulla base della storia della sinapsi stessa. Possiamo
distinguere questi fenomeni in due categorie: fenomeni di plasticità sinaptica a breve termine
e a lungo termine. A sua volta la plasticità a lungo termine si divide in: Long Term
Potentiation (LTP) e Long Term Depression (LTD). Nello specifico lo stimo efficace per
indurre LTD è dato da stimolazioni a bassa frequenza (1 Hz) ma molto prolungate nel tempo
(10-15 minuti), questo tipo di stimolo provocherà una diminuzione dell’ampiezza di EPSP
registrato sul postsinaptico. La stessa LTD assume forme diverse a seconda che ci si trovi
nell’ippocampo o nel cervelletto. Nel primo il rilevatore di coincidenze è dato dal
canale-recettore glutammatergico NMDA, mentre nel secondo caso (essendo quest’ultimo
assente) avremo dei secondi messaggeri che ne fanno le veci, ovvero DAG e IP3.
Approfondendo il circuito cerebellare vediamo che esso ha una corteccia a 3 strati, dove
quello centrale è composto dai neuroni del Purkinje. L’arborizzazione dendritica di questi
neuroni riceve due tipi diversi di contatti eccitatori glutammatergici: uno dalle fibre parallele
(che sono tante e la attraversano a 90 gradi facendo poche sinapsi ciascuna), l’altro dalle
fibre rampicanti (una per ogni neurone del Purkinje, questa però fa tante sinapsi). La LTD si
realizza quando i segnali che arrivano dalle diverse fibre coincidono. Con l’attivazione delle
fibre parallele avremo la componente ionotropica (data da AMPA) e poi quella metabotropica
(che causa cascate di segnalazione). Tale cascata di segnalazione fa aumentare i livelli dei
secondi messaggeri diacilglicerolo (DAG) e inositolo-trifosfato (IP3) che quindi prenderanno
il ruolo di rilevatore di coincidenze al posto di NMDA. Questi, insieme al calcio, instaurano un
meccanismo di feedback positivo reciproco (alti livelli di secondi messaggeri innescano
ulteriore rilascio di calcio dal REL). L’alto livello di calcio, DAG e IP3 inoltre attiva la
protein-chinasi C (PKC) che fosforila i recettori AMPA causandone l’endocitosi
clatrina-dipendente; diminuendo il numero di recettori si ha una perdita di sensibilità al
glutammato. Alle fibre parallele, infine, si associa anche la produzione di ossido nitrico (NO)
che, essendo un NT di natura gassosa, permea dall’elemento presinaptico a quello
postsinaptico, dove attiva una cascata di segnalazione che coinvolge proteine G e cGMP,
che attivano la protein-chinasi G. Questa serve a inibire (tramite fosforilazione) la fosfatasi
che andrebbe a rimuovere la fosforilazione dai canali AMPA (dunque fa sì che questa
rimanga permanente).

FISIOLOGIA MUSCOLARE

92) Qual è la funzione dei tubuli T? Si può dimostrare sperimentalmente?

I tubuli trasversali, o tubuli T, sono invaginazioni del sarcolemma in stretto contatto


con le cisterne terminali, le quali invece sono strutture del reticolo sarcoplasmatico formate
da tubuli longitudinali al confine tra banda A e banda I dei sarcomeri. Due cisterne terminali
adiacenti separate da un tubulo T formano un complesso detto triade. I tubuli longitudinali
rappresentano i siti di immagazzinamento del calcio intracellulare, la cui concentrazione
libera nel mioplasma per essere a norma deve essere molto bassa (sub-micromolare,
10^-7M). La concentrazione di calcio libero all’interno del reticolo sarcoplasmatico invece
risulta essere circa 10−3 M, questo perché grazie ad una proteina detta calsequestrina si
può immagazzinare più calcio rispetto all’estero poiché si abbatte il problema del gradiente
di concentrazione. La membrana del reticolo sarcoplasmatico è dotata di pompe
Ca2+-ATPasi, come la pompa SERCA, necessarie per far rientrare nuovamente contro
gradiente di concentrazione il calcio all’interno dei tubuli longitudinali a seguito ad una
contrazione. Essendo invaginazioni del sarcolemma, i tubuli T costituiscono una via di
conduzione privilegiata attraverso la quale il potenziale d’azione di superficie può essere
condotto in profondità, fino alle cisterne terminali. Le membrane dei tubuli T, a livello delle
triadi, contengono gruppi di quattro particelle, dette tetradi, costituite da recettori per la
diidropiridina (DHP), ovvero dei canali calcio voltaggio-dipendenti. La funzione di questi
canali, più che l’ingresso di calcio extracellulare, è quella di trasdurre il segnale del PdA al
reticolo sarcoplasmatico (sono canali del calcio di tipo L). Quando arriva la depolarizzazione
questi subiscono una modificazione conformazionale che viene percepita dal reticolo
sarcoplasmatico grazie ai recettori per la rianodina (RYR), posti nella regione del piede (in
concomitanza con la tetrade). Il cambio conformazionale dei DHP induce meccanicamente
l’apertura dei RYR che, essendo anch’essi dei canali al calcio, inducono un transiente dal
reticolo sarcoplasmatico al mioplasma (secondo gradiente di concentrazione).
A questo punto, il calcio può legarsi alla troponina annullando l’azione inibitoria esercitata
dalla tropomiosina sull’interazione actina-miosina e dando quindi inizio al ciclo dei
crossbridge.

93) Regolazione della contrazione di un muscolo scheletrico.

Per accoppiare l’arrivo del potenziale d’azione, innescato dal motoneurone, alla contrazione
della fibra muscolare, è necessario un fine sistema di controllo. In vivo, l’actina è
accompagnata per tutta la sua lunghezza da proteine regolatorie, rappresentate dalla
troponina e dalla tropomiosina. La troponina è una proteina globulare composta da 3
subunità: la troponina C (che lega il calcio), la troponina T (che prende rapporto con la
tropomiosina), e la troponina I (che inibisce la formazione dei cross-bridges). La
tropomiosina è invece una proteina filamentosa che si intromette nel solco che si viene a
formare nella struttura coiled-coil dell’F-actina, che costituisce i miofilamenti sottili. All’arrivo
del potenziale d’azione innescato dall’EPP sopra soglia, vengono stimolati particolari
recettori voltaggio-dipendenti presenti a livello dei tubuli T, i recettori diidropiridinici.
I tubuli trasversali, o tubuli T, sono invaginazioni del sarcolemma in stretto contatto
con le cisterne terminali, le quali invece sono strutture del reticolo sarcoplasmatico formate
da tubuli longitudinali. I tubuli longitudinali rappresentano i siti di immagazzinamento del
calcio intracellulare (che fisiologicamente è sub-micromolare, mentre il calcio libero
all’interno del reticolo sarcoplasmatico invece risulta essere circa 10−3 M). Essendo
invaginazioni del sarcolemma, i tubuli T costituiscono una via di conduzione privilegiata
attraverso la quale il potenziale d’azione di superficie può essere condotto in profondità, fino
alle cisterne terminali. Le membrane dei tubuli T, a livello delle triadi, contengono i recettori
per la diidropiridina (DHP), ovvero dei canali calcio voltaggio-dipendenti. La funzione di
questi canali, più che l’ingresso di calcio extracellulare, è quella di trasdurre il segnale del
PdA al reticolo sarcoplasmatico. Quando arriva la depolarizzazione questi subiscono una
modificazione conformazionale che viene percepita dal reticolo sarcoplasmatico grazie ai
recettori per la rianodina (RYR), posti nella regione del piede (in concomitanza con la
tetrade). Il cambio conformazionale dei DHP induce meccanicamente l’apertura dei RYR
che, essendo anch’essi dei canali al calcio, inducono un transiente dal reticolo
sarcoplasmatico al mioplasma (secondo gradiente di concentrazione). A questo punto, il
calcio può legarsi alla troponina C, inducendo un cambiamento conformazionale mediato
dalle altre due subunità che permette la rotazione della tropomiosina, che staccandosi
dall’actina le permette di esporre i suoi siti di legame per le teste miosiniche. A questo punto,
può avvenire il ciclo del crossbridge. Alla fine della stimolazione, il calcio si distacca dalla
troponina C e la formazione dei cross-bridges torna ad essere inibita dal sistema
tropomiosina-troponina. Lo ione calcio staccato viene nuovamente ripompato contro
gradiente nel REL grazie alle pompe SERCA (con consumo di ATP) e una volta dentro viene
mantenuto stabile dalla calsequestrina.

94) Accoppiamento eccitazione-contrazione nel muscolo scheletrico.

Si definisce accoppiamento eccitazione-contrazione l’insieme dei processi attraverso i


quali il potenziale d’azione che si verifica sulla superficie della fibra muscolare conduce
all’attivazione dell’apparato contrattile. Per accoppiare l’arrivo del potenziale d’azione,
innescato dal motoneurone, alla contrazione della fibra muscolare, è necessario un fine
sistema di controllo. In vivo, l’actina è accompagnata per tutta la sua lunghezza da proteine
regolatorie, rappresentate dalla troponina e dalla tropomiosina. La troponina è una proteina
globulare composta da 3 subunità: la troponina C (che lega il calcio), la troponina T (che
prende rapporto con la tropomiosina), e la troponina I (che inibisce la formazione dei
cross-bridges). La tropomiosina è invece una proteina filamentosa che si intromette nel
solco che si viene a formare nella struttura coiled-coil dell’F-actina, che costituisce i
miofilamenti sottili. All’arrivo del potenziale d’azione innescato dall’EPP sopra soglia,
vengono stimolati particolari recettori voltaggio-dipendenti presenti a livello dei tubuli T, i
recettori diidropiridinici. I tubuli trasversali, o tubuli T, sono invaginazioni del sarcolemma in
stretto contatto con le cisterne terminali, le quali invece sono strutture del reticolo
sarcoplasmatico formate da tubuli longitudinali. I tubuli longitudinali rappresentano i siti di
immagazzinamento del calcio intracellulare (che fisiologicamente è sub-micromolare, mentre
il calcio libero all’interno del reticolo sarcoplasmatico invece risulta essere circa 10−3 M).
Essendo invaginazioni del sarcolemma, i tubuli T costituiscono una via di conduzione
privilegiata attraverso la quale il potenziale d’azione di superficie può essere condotto in
profondità, fino alle cisterne terminali. Le membrane dei tubuli T, a livello delle triadi,
contengono i recettori per la diidropiridina (DHP), ovvero dei canali calcio
voltaggio-dipendenti. La funzione di questi canali, più che l’ingresso di calcio extracellulare,
è quella di trasdurre il segnale del PdA al reticolo sarcoplasmatico. Quando arriva la
depolarizzazione questi subiscono una modificazione conformazionale che viene percepita
dal reticolo sarcoplasmatico grazie ai recettori per la rianodina (RYR), posti nella regione del
piede (in concomitanza con la tetrade). Il cambio conformazionale dei DHP induce
meccanicamente l’apertura dei RYR che, essendo anch’essi dei canali al calcio, inducono
un transiente dal reticolo sarcoplasmatico al mioplasma (secondo gradiente di
concentrazione). A questo punto, il calcio può legarsi alla troponina C, inducendo un
cambiamento conformazionale mediato dalle altre due subunità che permette la rotazione
della tropomiosina, che staccandosi dall’actina le permette di esporre i suoi siti di legame per
le teste miosiniche. A questo punto, può avvenire il ciclo del crossbridge. Alla fine della
stimolazione, il calcio si distacca dalla troponina C e la formazione dei cross-bridges torna
ad essere inibita dal sistema tropomiosina-troponina. Lo ione calcio staccato viene
nuovamente ripompato contro gradiente nel REL grazie alle pompe SERCA (con consumo
di ATP) e una volta dentro viene mantenuto stabile dalla calsequestrina.

95) Descrivi la struttura del sarcomero.

Il sarcomero è l’unità morfofunzionale del muscolo striato. I sarcomeri sono elementi lunghi
2,2 micrometri (a riposo) e posti in serie all’interno delle miofibrille (poste invece in parallelo),
quindi l’accorciamento del muscolo sarà dato dalla somma dell’accorciamento dei singoli
sarcomeri mentre la forza del muscolo corrisponderà alla forza sviluppata dal singolo
sarcomero. Tramite microscopia elettronica possiamo distinguere una striatura molto
evidente: avremo un’alternanza di bande chiare (dette I) e di bande scure (dette A). La
banda I (isotropa) è composta esclusivamente da filamenti sottili e al suo centro si trova la
linea Z (una linea più scura che serve per l'ancoraggio di filamenti sottili e proteine
strutturali). La banda A (anisotropa) invece comprende entrambi i filamenti, più nel dettaglio
troviamo al centro la zona H, leggermente più chiara in quanto presenta esclusivamente
filamenti spessi ancorati alla linea M (linea scura al centro della zona H costituita dalla
proteina miomesina), mentre ai suoi lati abbiamo porzioni più scure che corrispondono alla
sovrapposizione di entrambi i filamenti. Il sarcomero dunque è quella porzione compresa tra
due linee Z, che comprende due emibande I e una banda A tra loro interposta. Durante la
contrazione si avrà un accorciamento del sarcomero, ma senza che i filamenti cambino
lunghezza (questo sta alla base della teoria dello scorrimento dei filamenti), osserveremo
quindi una riduzione netta della banda I, perché i miofilamenti sottili scorrono verso l’interno,
fino ad invadere anche la zona H (che quindi si accorcia). Solo la banda A non varierà
complessivamente di lunghezza. Entrando nello specifico dei miofilamenti, i filamenti sottili
sono composti in prevalenza da una doppia elica di G-actine polimerizzate tra loro, nel cui
solco sono disposte ulteriori proteine regolatorie (troponina e tropomiosina). I filamenti
spessi invece sono costituiti dalla polimerizzazione della miosina, una proteina molto grande
e esamerica che possiede due catene pesanti e quattro leggere. Le catene pesanti
presentano una lunga coda (regione coiled-coil) e una testa globulare che fuoriesce dalla
regione del collo. Le catene pesanti sono dette MHC e la loro testa comprende due siti
fondamentali: un sito attivo che lega ATP e un sito allosterico per l’actina. La banda H è
dovuta appunto alla struttura della miosina, in quando le code sono agganciate alla linea M e
presenteranno una prima parte priva di teste, detta zona nuda. Studiando la disposizione dei
miofilamenti con tecniche di diffrazione a raggi X osserviamo che questa è estremamente
simmetrica: ogni filamento sottile ha intorno a sé un triangolo di filamenti spessi, mentre ogni
filamento spesso è circondato da sei filamenti sottili.
Oltre ai filamenti nel sarcomero sono presenti altre proteine di cui le più importanti sono titina
(responsabile delle caratteristiche passive del muscolo) e nebulina (che ancora i filamenti
sottili alla linea Z).

) Isoforme MHC

Nell’uomo adulto esistono tre isoforme di motori molecolari (MHC) che sono diverse
soprattutto nella sequenza aminoacidica della porzione della testa, la porzione globulare
(porzione motore); piccole differenze ci sono anche nella regione delle code ma non hanno
un interesse funzionale o, se ce l’hanno, è sconosciuto. Quindi le differenze tra i diversi tipi
di motore sono dovute a differenze di sequenze della testa. Le tre isoforme principali sono
dovute a espressione di geni diversi, i quali daranno il nome alle corrispondenti fibre
muscolari di cui saranno il tipo costitutivo o dominante: nelle fibre di tipo I troviamo
l’espressione della MHC-1, nelle fibre di tipo IIa troveremo MHC-IIa, nelle fibre di tipo IIx,
invece, troveremo la MHC-IIx. Le fibre di tipo I sono quelle lente mentre quelle di tipo II sono
quelle veloci; in particolare, quelle più veloci di tutte sono quelle di tipo IIx. Molte delle
proprietà dei diversi tipi di fibre muscolari e quindi anche dei muscoli delle quali fanno parte,
dipenderanno dalle proprietà delle diverse isoforme di MHC presenti. Nell’uomo però non
esistono soltanto questi tre geni per la MHC, ne esistono molti di più. Innanzitutto, questi
geni sono disposti sul cromosoma 17 e sul cromosoma 14. Il gene per la MHC-I è sul
cromosoma 14 mentre quelli per le MHC di tipo II sono sul cromosoma 17. Ci sono anche
altri geni, vediamo in particolare quello per la MHC-alfa (quella espressa dal miocardio
atriale, dal momento in cui nel miocardio ventricolare è espressa la MHC I, nota anche come
MHC-beta) Ci sono poi delle isoforme tipiche della vita embrionale e neonatale
(rispettivamente MHC-embrional e MHC-neonata) i cui geni non sono espressi nell’individuo
adulto; sono però degli indici molto importanti per il neurologo o comunque per chi si occupa
di patologie muscolari in quanto la riespressione di questi geni e la conseguente
riindividuazione di queste isoforme nel muscolo adulto sono indice, molto spesso, di
patologie associate ad atrofia muscolare. Un altro segno importante che si associa a
patologie di tipo muscolare è la tendenza dei nuclei delle fibre muscolari scheletriche, che di
solito si trovano tutti in periferia, di centralizzarsi. Questa riespressione di questi geni, oltre a
essere riassociata a patologie, è anche associata all’atrofia muscolare che consegue
all’invecchiamento.
Esistono anche altre tipologie di geni che non sono mai espressi nella specie umana;
parliamo della MHC-IIb e MHC-m, sono miosine estremamente rapide.

96) Descrivi la struttura delle proteine strutturali del sarcomero e del costamero.

Il sarcomero è l’unità morfofunzionale del muscolo striato. I sarcomeri sono elementi lunghi
2,2 micrometri (a riposo) e posti in serie all’interno delle miofibrille (poste invece in parallelo),
quindi l’accorciamento del muscolo sarà dato dalla somma dell’accorciamento dei singoli
sarcomeri mentre la forza del muscolo corrisponderà alla forza sviluppata dal singolo
sarcomero. Tramite microscopia elettronica possiamo distinguere una striatura molto
evidente: avremo un’alternanza di bande chiare (dette I) e di bande scure (dette A). La
banda I (isotropa) è composta esclusivamente da filamenti sottili e al suo centro si trova la
linea Z (una linea più scura che serve per l'ancoraggio di filamenti sottili e proteine
strutturali). La banda A (anisotropa) invece comprende entrambi i filamenti, più nel dettaglio
troviamo al centro la zona H, leggermente più chiara in quanto presenta esclusivamente
filamenti spessi ancorati alla linea M (linea scura al centro della zona H costituita dalla
proteina miomesina), mentre ai suoi lati abbiamo porzioni più scure che corrispondono alla
sovrapposizione di entrambi i filamenti. All’interno del sarcomero, oltre ai miofilamenti, ci
sono poi altre proteine strutturali di cui le più importanti sono titina e nebulina. La prima è
una proteina gigante responsabile delle caratteristiche passive del muscolo e dunque della
resistenza elastica. E’ responsabile anche della stabilità del sarcomero in quanto tiene in
posizione i filamenti. Questa proteina ha origine dalle linee Z e lungo la banda I ha un
dominio elastico che risponde alle variazione di lunghezza seguendo la legge di Hooke (F =
k deltax), questo dominio prende il nome di IG-like, (perché ricorda le immunoglobuline)
oppure PEVK. Ha poi una porzione non distendibile associata ai filamenti spessi della banda
A. La nebulina è una proteina filamentosa e serve ad ancorare i filamenti sottili alla linea Z
(oltre ad avere, probabilmente, funzioni regolatrici). Nel muscolo cardiaco al posto della
nebulina abbiamo una forma più corta, la nebulette. Inoltre, per associare il sarcomero al
sarcolemma e consentire l'accoppiamento tra contrazione delle singole miofibrille e
contrazione dell’intero muscolo, abbiamo un complesso proteico che prende il nome di
costamero. All’interno del costamero abbiamo ad esempio, la desmina che si connette ai
filamenti sottili e prende contatto, grazie a vinculina, talina e integrina, con il sarcolemma per
accoppiare i due. Abbiamo inoltre la distrofina, ovvero una proteina filamentosa che prende
contatto con gli elementi contrattili e si connette ad un complesso glicoproteico
transmembrana, i distroglicani, che si associano alle componenti connettivali. Mutazioni del
gene della distrofina sono alla base di alcune patologie muscolari note come distrofie (per
esempio la distrofia di Duchenne e di Becker).

) Relazione struttura-funzione, teoria scorrimento filamenti

Il sarcomero è l’unità morfofunzionale del muscolo striato. I sarcomeri sono elementi lunghi
2,2 micrometri (a riposo) e posti in serie all’interno delle miofibrille (poste invece in parallelo),
quindi l’accorciamento del muscolo sarà dato dalla somma dell’accorciamento dei singoli
sarcomeri mentre la forza del muscolo corrisponderà alla forza sviluppata dal singolo
sarcomero. Tramite microscopia elettronica possiamo distinguere una striatura molto
evidente: avremo un’alternanza di bande chiare (dette I) e di bande scure (dette A). La
banda I (isotropa) è composta esclusivamente da filamenti sottili e al suo centro si trova la
linea Z (una linea più scura che serve per l'ancoraggio di filamenti sottili e proteine
strutturali). La banda A (anisotropa) invece comprende entrambi i filamenti, più nel dettaglio
troviamo al centro la zona H, leggermente più chiara in quanto presenta esclusivamente
filamenti spessi ancorati alla linea M (linea scura al centro della zona H costituita dalla
proteina miomesina), mentre ai suoi lati abbiamo porzioni più scure che corrispondono alla
sovrapposizione di entrambi i filamenti. Il sarcomero dunque è quella porzione compresa tra
due linee Z, che comprende due emibande I e una banda A tra loro interposta. Durante la
contrazione si avrà un accorciamento del sarcomero, ma senza che i filamenti cambino
lunghezza, questo sta alla base della teoria dello scorrimento dei filamenti. La teoria dello
scorrimento dei filamenti risale al 1954 grazie a due gruppi di ricerca indipendenti, quello di
Sir Andrew Huxley e quello di Hugh Huxley. Il primo studiò l'accorciamento delle bande in
fibre isolate, il secondo idem ma in miofibrille isolate, notarono entrambi che l’accorciamento
avveniva completamente a carico della banda I e della zona H, lasciando invariata la banda
A e dimostrando che erano i filamenti sottili a scorrere sopra ai filamenti spessi, senza però
avere accorciamento degli stessi.

97) Descrivere il ciclo dei crossbridge.

Il ciclo dei crossbridge rappresenta il ciclo di attacco e distacco della miosina dall’actina
responsabile della contrazione muscolare. La miosina presenta una struttura esamerica con
quattro subunità leggere e due pesanti. Nelle due pesanti abbiamo una coda e due teste,
ciascuna delle quali presenterà un sito allosterico (che lega l’actina) e un sito attivo (per
l’ATP). Infatti la miosina è un enzima della classe ATP-asi che presenta nel suo sito attivo
alta affinità per l’ATP, il quale una volta legato andrà incontro ad idrolisi in ADP + Pi, che
essendo meno affini al sito si distaccheranno. Su questo principio ha la sua base molecolare
il ciclo dei cross-bridges. Per descrivere questo ciclo partiamo dalla fase in cui la miosina ha
legato l’ATP e l’actina si trova ancora staccata [siamo nel complesso M-ATP].
Successivamente l’actina presente nel sito allosterico velocizza il processo di idrolisi
dell’ATP presente nel sito attivo, che quindi si scinde in ADP + Pi [M-ADP-Pi]. La scissione di
ATP permette un legame debole tra actina e miosina. Con l’arrivo di calcio (liberato dalla
stimolazione del muscolo) questo si lega alla troponina C e di conseguenza annulla
l'inibizione della tropomiosina, esponendo i siti attivi. Viene a questo punto rilasciato il Pi e si
forma il legame forte tra miosina e actina causando il power-stroke [A-M-ADP]. Segue una
ulteriore perdita di affinità per i prodotti del sito attivo, che quindi rilascia anche l’ADP [A-M].
A questo punto il sito attivo della miosina è libero e può legare nuovamente l’ATP, che in
questo caso porterà ad una perdita di affinità tra il sito allosterico della miosina e l’actina,
determinandone un rilascio [M-ATP], in questo modo il ciclo si è chiuso e può iniziare
nuovamente.

98) Condizione isotonica, isometrica ed eccentrica. Disegnare le curve forza-tempo e


velocità-tempo.

La meccanica della contrazione muscolare viene studiata principalmente in due forme:


condizione isometrica e condizione isotonica.
In condizioni isometriche il muscolo sviluppa forza a lunghezza costante, quindi senza
accorciarsi né allungarsi. In laboratorio questa condizione può essere ottenuta
attaccando i tendini, situati ai due capi del muscolo, a supporti meccanici rigidi, con
possibilità da parte dello sperimentatore di variare la lunghezza del muscolo. Il muscolo in
queste condizioni non sviluppa lavoro poiché lo spostamento, dato dalla contrazione, è nullo
(Lavoro = Forza x spostamento in direzione della forza). Pur non potendo studiare
l’energetica della contrazione possiamo comunque utilizzare questa condizione per studiare
la relazione tensione-lunghezza che ci darà informazioni sulla forza sviluppata dal muscolo
(per studiarla si preferisce utilizzare una stimolazione tetanica, cioé data dall’applicazione di
più stimoli consecutivi, che consente di osservare la forza massima sviluppabile dal
muscolo). La condizione isotonica invece si ottiene ponendo ad un estremo del muscolo un
peso in serie. Questa ci permette di studiare la relazione forza-velocità, ma anche il lavoro
meccanico esterno e la potenza muscolare. Stimolando il muscolo avremo inizialmente una
fase isometrica in cui il muscolo sviluppa forza senza accorciarsi, dopodiché, quando la
forza è pari a quella del peso, inizia la fase di accorciamento. Più il peso aumenta, maggiore
sarà il tempo speso nella fase isometrica e viceversa minore sarà l’entità dell’accorciamento
(e la velocità dello stesso). Quando poi il peso diventa troppo grande vediamo che
l'accorciamento si annulla e siamo in una fase isometrica con sviluppo di forza massima.
Infine quando il peso in serie supera la forza massima applicabile dal muscolo, quest’ultimo,
pur contraendosi, si allungherà; parleremo dunque di contrazione eccentrica. Essendo il
peso del carico superiore alla massima forza sviluppabile dal muscolo, questo non riesce a
sollevare il carico. Il muscolo attivato, pertanto, comincerà ad allungarsi a velocità
relativamente bassa, ma costante, sviluppando una forza, anch’essa costante, pari al peso
del carico, quindi maggiore di P0. Questo perché entra in gioco anche la tensione passiva,
data dall’allungamento della componente connettivale del muscolo, che accumula energia
potenziale elastica. Aumentando il carico, la velocità di allungamento aumenta, ma rimane
comunque costante. Quando il peso del carico è circa il doppio di P0, la velocità di
allungamento aumenta moltissimo perché l’apparato contrattile del muscolo cede.

IN PIU’ (extra)
Il grafico forza-tempo per la condizione isometrica mostra come la tensione sviluppata
dal muscolo aumenti fino al raggiungimento del plateau isometrico, oltre il quale la
tensione non può più aumentare, in quanto rappresenta la massima forza sviluppabile.
In seguito all’interruzione della stimolazione o all’intervento della fatica muscolare, la
forza si annulla.
Nel grafico velocità-tempo notiamo come la velocità sia nulla, essendo nullo
l’accorciamento, dato che ci troviamo in condizioni isometriche, in cui, per definizione,
la lunghezza rimane costante.

99) Relazione tensione-lunghezza del muscolo scheletrico. Disegnare il grafico e


spiegarne la forma.

La meccanica della contrazione muscolare viene studiata principalmente in due forme:


condizione isometrica e condizione isotonica.
In condizioni isometriche il muscolo sviluppa forza a lunghezza costante, quindi senza
accorciarsi né allungarsi. In laboratorio questa condizione può essere ottenuta
attaccando i tendini, situati ai due capi del muscolo, a supporti meccanici rigidi, con
possibilità da parte dello sperimentatore di variare la lunghezza del muscolo. Il muscolo in
queste condizioni non sviluppa lavoro poiché lo spostamento, dato dalla contrazione, è nullo
(Lavoro = Forza x spostamento in direzione della forza). Pur non potendo studiare
l’energetica della contrazione possiamo comunque utilizzare questa condizione per studiare
la relazione tensione-lunghezza che ci darà informazioni sulla forza sviluppata dal muscolo
(per studiarla si preferisce utilizzare una stimolazione tetanica, cioé data dall’applicazione di
più stimoli consecutivi, che consente di osservare la forza massima sviluppabile dal
muscolo). Per tracciare il grafico della relazione tensione-lunghezza andiamo a calcolare la
tensione (ovvero la forza normalizzata per la sezione) sviluppata in relazione al variare
arbitrario della lunghezza del muscolo. Alla lunghezza in situ, ovvero L0, la tensione
sviluppata è massima mentre, aumentando o diminuendo la lunghezza, la tensione attiva
diminuirà secondo un grafico a campana. In realtà tutti i muscoli si comportano come elastici
seguendo la legge di Hooke a causa sia della titina presente nei sarcomeri sia delle guaine
connettivali che li avvolgono. Dobbiamo dunque tenere di conto anche la tensione passiva
(che è nulla solo a Lo), che si andrà a sommare a quella attiva, e varia in base all’elasticità
dei vari muscoli. Il motivo microscopico della funzione a campana che si viene a formare è
nella struttura del sarcomero. Con una lunghezza del sarcomero compresa fra 2 e 2,25
micrometri, avremo la massima tensione attiva che si può sviluppare: questo perché i due
tipi di miofilamenti sono disposti ordinatamente in modo cui si abbia la massima formazione
di cross bridges. Aumentando la lunghezza dei sarcomeri, avremo un graduale decremento
della tensione attiva, perché sempre meno teste miosiniche riusciranno ad interagire con i
miofilamenti sottili. La tensione raggiunge lo 0 con valori di lunghezza pari a 3,65 micrometri:
in questo caso avremo che la formazione di cross bridges è impossibile, e il sarcomero
acquista una lunghezza pari alla somma lineare delle due linee Z, dei miofilamenti spessi e
sottili. Viceversa, con valori di lunghezza sarcomerica inferiori a 2 micrometri assisteremo
nuovamente a un graduale decremento della tensione, fino all’arrivo dello zero con una
lunghezza di 1,05. In questo caso, i miofilamenti sottili si sovrappongono fra loro a livello
della linea M e impediscono un fisiologico ciclo di crossbridge, annullando nuovamente la
tensione sviluppata. Ovviamente i sarcomeri sono in serie, quindi incideranno direttamente
nella lunghezza totale del muscolo, che è data appunto dalla somma delle lunghezze dei
singoli sarcomeri. Oltre alla tensione attiva, è necessario considerare anche una tensione
passiva, che si sviluppa nel caso in cui il muscolo assuma valori superiori ad Lo. Questa è
dovuta principalmente a proteine sarcomeriche come la titina, che si comporta come un
elastico uniforme alla legge di Hooke: più il sarcomero è stirato, più la titina contrasta questo
allungamento con lo sviluppo di una tensione di tipo passivo. La somma fra tensione passiva
e tensione attiva darà la tensione totale, osservabile sperimentalmente solo con valori di L
maggiori di L0.

100) Disposizione dei miofilamenti contrattili in un sarcomero 2,25 μm e 3,65 μm di


lunghezza.

Il sarcomero è l’unità morfofunzionale del muscolo striato. I sarcomeri sono elementi lunghi
2,2 micrometri (a riposo) e posti in serie all’interno delle miofibrille (poste invece in parallelo),
quindi l’accorciamento del muscolo sarà dato dalla somma dell’accorciamento dei singoli
sarcomeri mentre la forza del muscolo corrisponderà alla forza sviluppata dal singolo
sarcomero. Tramite microscopia elettronica possiamo distinguere una striatura molto
evidente: avremo un’alternanza di bande chiare (dette I) e di bande scure (dette A). La
banda I (isotropa) è composta esclusivamente da filamenti sottili e al suo centro si trova la
linea Z (una linea più scura che serve per l'ancoraggio di filamenti sottili e proteine
strutturali). La banda A (anisotropa) invece comprende entrambi i filamenti, più nel dettaglio
troviamo al centro la zona H, leggermente più chiara in quanto presenta esclusivamente
filamenti spessi ancorati alla linea M (linea scura al centro della zona H costituita dalla
proteina miomesina), mentre ai suoi lati abbiamo porzioni più scure che corrispondono alla
sovrapposizione di entrambi i filamenti. Il sarcomero dunque è quella porzione compresa tra
due linee Z, che comprende due emibande I e una banda A tra loro interposta. Durante la
contrazione si avrà un accorciamento del sarcomero, ma senza che i filamenti cambino
lunghezza (questo sta alla base della teoria dello scorrimento dei filamenti), osserveremo
quindi una riduzione netta della banda I, perché i miofilamenti sottili scorrono verso l’interno,
fino ad invadere anche la zona H (che quindi si accorcia). Solo la banda A non varierà
complessivamente di lunghezza. Per studiare in che modo la disposizione dei miofilamenti
su lunghezze variabili del sarcomero influenza la forza sviluppabile ci poniamo in condizioni
isometriche e seguiamo il grafico della relazione tensione-lunghezza.
Con una lunghezza del sarcomero compresa fra 2 e 2,25 micrometri, avremo la massima
tensione attiva che si può sviluppare: questo perché i due tipi di miofilamenti sono disposti
ordinatamente in modo cui si abbia la massima formazione di cross bridges. Aumentando la
lunghezza dei sarcomeri, avremo un graduale decremento della tensione attiva, perché
sempre meno teste miosiniche riusciranno ad interagire con i miofilamenti sottili. La tensione
raggiunge lo 0 con valori di lunghezza pari a 3,65 micrometri: in questo caso avremo che la
formazione di cross bridges è impossibile, e il sarcomero acquista una lunghezza pari alla
somma lineare delle due linee Z, dei miofilamenti spessi e sottili. Viceversa, con valori di
lunghezza sarcomerica inferiori a 2 micrometri assisteremo nuovamente a un graduale
decremento della tensione, fino all’arrivo dello zero con una lunghezza di 1,05. In questo
caso, i miofilamenti sottili si sovrappongono fra loro a livello della linea M e impediscono un
fisiologico ciclo di crossbridge, annullando nuovamente la tensione sviluppata.

101) Descrivi la relazione forza-velocità e tratta le differenze che ci sono tra muscolo
scheletrico e muscolo liscio.

Per studiare la relazione forza-velocità nel muscolo, è necessario creare una condizione
sperimentale in cui il carico venga mantenuto costante a livello del muscolo, osservando
come varia la velocità di contrazione in base al primo parametro. Ci troviamo dunque in una
condizione isotonica, che rende il muscolo capace di produrre lavoro (L=Fxs), a differenza
della condizione isometrica, in cui non essendoci un accorciamento il lavoro prodotto è nullo.
Ogni fase isotonica è preceduta da una fase isometrica in cui il muscolo non si accorcia, ma
comincia a sviluppare forza. Questa forza continua ad incrementare finché non eguaglia il
carico: a questo punto, sotto stimolo elettrico, il muscolo può procedere con la contrazione,
accorciandosi. Con l’aumento del carico, avremo un aumento della durata della fase
isometrica, una diminuzione della velocità e una diminuzione dell’accorciamento finale. I dati
possono essere schematizzati su un grafico che assume la forma di un’iperbole. L’iperbole
interseca l’asse delle ordinate (rappresentato dalla velocità) in un punto definito come la
velocità massima di contrazione. Si tratta di un parametro estremamente variabile che
risente della sommazione dei sarcomeri disposti in serie: dipende quindi da vari fattori fra cui
la lunghezza del muscolo e l’isoforma della miosina (I, IIa o IIx). Per questo si normalizza in
base alla lunghezza a riposo: solitamente la Vmax corrisponde a circa 6 Lo/s. L’iperbole
intercetta l’asse delle ascisse (tensione, la forza sviluppata) in P0, ovvero la massima
tensione sviluppabile. Con carichi superiori a P0, il muscolo non si contrae, comincia invece
una fase di allungamento progressivo. Con valori poi addirittura superiori a 2Po, si ha il
cedimento: l’allungamento cresce a picco e porta a lesioni evidenti del tessuto.

102) In condizioni isotoniche, l’accorciamento dipende dal carico. Vero o falso? Se vero,
perché?

La meccanica della contrazione muscolare viene studiata principalmente in due forme:


condizione isometrica e condizione isotonica. La condizione isotonica si ottiene ponendo ad
un estremo del muscolo un peso in serie. Questa ci permette di studiare la relazione
forza-velocità, ma anche il lavoro meccanico esterno e la potenza muscolare. Stimolando il
muscolo avremo inizialmente una fase isometrica in cui il muscolo sviluppa forza senza
accorciarsi, dopodiché, quando la forza è pari a quella del peso, inizia la fase di
accorciamento. Più il peso aumenta, maggiore sarà il tempo speso nella fase isometrica e
viceversa minore sarà l’entità dell’accorciamento (e la velocità dello stesso). Possiamo
quindi affermare che la frase “l’accorciamento dipende dal carico” è effettivamente vera.
Infatti se il peso diventa troppo grande vediamo che l'accorciamento si annulla e siamo in
una fase isometrica con sviluppo di forza massima. Infine quando il peso in serie supera la
forza massima applicabile dal muscolo, quest’ultimo, pur contraendosi, si allungherà;
parleremo in questo caso di contrazione eccentrica. Essendo il peso del carico superiore alla
massima forza sviluppabile dal muscolo, questo non riesce a sollevare il carico. Il muscolo
attivato, pertanto, comincerà ad allungarsi a velocità relativamente bassa, ma costante,
sviluppando una forza, anch’essa costante, pari al peso del carico, quindi maggiore di P0.
Questo perché entra in gioco anche la tensione passiva, data dall’allungamento della
componente connettivale del muscolo, che accumula energia potenziale elastica.
Aumentando il carico, la velocità di allungamento aumenta, ma rimane comunque costante.
Quando il peso del carico è circa il doppio di P0, la velocità di allungamento aumenta
moltissimo perché l’apparato contrattile del muscolo cede.

103) Che cosa si intende per potenza muscolare e qual è la sua unità di misura?

La potenza è lavoro su unità di tempo e si ottiene dal prodotto tra forza e velocità di
accorciamento del muscolo, dunque per avere un grafico della potenza si prendono tutti i
punti del grafico tensione-velocità (ottenuto in condizione isometrica bloccando ad una
determinata lunghezza e registrando la tensione sviluppata) e si moltiplicano tra loro. Il
grafico avrà dunque forma a campana con due valori allo zero, ovvero quando ho Vmax
(perché la velocità massima di accorciamento si registra quando non ho pesi posti in serie e
quindi la la tensione è zero), e quando ho Tmax (perché la tensione massima si registra
quando ho un peso troppo grande per avere accorciamento e sono in condizioni
isometriche, la velocità quindi è zero). La relazione ha un picco che corrisponde circa ad un
terzo del grafico forza-velocità. Quando il muscolo si accorcia parliamo di contrazione
concentrica, invece quando si lavora in allungamento si parla di contrazione eccentrica (la
otteniamo quando in condizioni isotoniche applichiamo un peso 2 volte superiore alla
massima tensione sviluppabile, dopo il quale poi il muscolo cede). Essendo dipendente dal
grafico forza-velocità, anche la potenza è influenzata dalla temperatura (che però nell’uomo
gioca un ruolo scarso poiché siamo animali omeotermi) e dal tipo di fibra muscolare. In
particolare studiando i grafici di fibre di tipo I, fibre di tipo IIa e fibre di tipo IIx vediamo che il
tipo I è molto lento e ha un basso turnover, il tipo IIx invece è molto rapido, mentre il tipo IIa
è intermedio. Quindi le IIx arrivano a Vmax molto elevate, mentre le Fmax, quando vengono
normalizzate per il diametro (dunque Tmax) diventano quasi identiche. Le IIx saranno allora
fibre di potenza per eccellenza, mentre le I saranno invece di resistenza. Si tenga comunque
presente che ogni muscolo dell’uomo è misto, ovvero contiene diversi tipi di fibre.

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