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4.1 Introduzione
La reologia è la scienza che studia le relazioni sforzo‐deformazione nei
corpi, permettendo così di prevedere, ai fini pratici, il comportamento di
un materiale sotto determinate condizioni di utilizzo.
fasi del processo produttivo attraverso il quale giunge al consumatore e
deve avere una durata nel tempo accettabile per l’uso al quale è destinato.
Basta pensare ad un lubrificante per motori: deve essere abbastanza
fluido da poter essere aspirato dalla pompa, ma non tanto da lasciare
scoperta la superficie dei pistoni, mantenendo inoltre inalterate le sue
deve poter essere facilmente miscelato al materiale litoide per ottenere una
mescola adatta alla stesa, ma allo stesso tempo deve poter resistere alle
alimentare, cosmetica o farmaceutica, si presentano problemi reologici non
trascurabili: per esempio una crema o una pomata deve poter essere
spalmata facilmente ma non deve essere tanto liquida da colare.
Come si può capire da questi esempi il campo di applicazione degli
varia natura, risponde con un comportamento diverso.
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I solidi ideali si deformano elasticamente sotto l’azione di una forza
recuperata quando lo stress viene rimosso.
I fluidi ideali come liquidi e gas si deformano in maniera irreversibile,
di calore, che si sviluppa all’interno del fluido, e non può essere
viscoso si ha sotto l’azione di una qualsiasi forza, anche piccola, e genera
una velocità di deformazione che diventa nulla solo quando la forza viene
rimossa.
Nella realtà incontriamo corpi che non sono né solidi ideali né liquidi
ideali. I solidi reali si possono deformare plasticamente sotto l’influenza di
forze che superano un valore limite noto come “yield point” del materiale.
racchiusi nell’insieme dei liquidi ideali. La maggioranza dei fluidi hanno
un comportamento reologico che li classifica in un insieme compreso tra i
solidi e i liquidi, la loro variazione di volume ha caratteristiche sia
elastiche che viscose e possono essere chiamati “viscoelastici”.
Lo studio dei diversi modelli di deformazione in relazione alla natura
degli sforzi che la producono è il soggetto della reologia.
sono quelle di Newton, che descrive il comportamento viscoso ideale, e
Hooke, che definisce il comportamento elastico ideali.
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Un solido ideale sottoposto ad uno sforzo di taglio reagisce
deformandosi:
La deformazione del corpo segue la legge:
dl
τ =G = G * tan γ ≈ G * γ
dy
dove
τ = shear stress (sforzo di taglio) [N/m2]
G = modulo di Young che descrive la rigidezza del solido.[N/ m2]
γ = dl\y = angolo di deformazione (strain)
y = altezza del corpo
Δl = deformazione del corpo sotto l’azione dello shear stress
Il modulo di Young (G) in questa equazione è un fattore di
alla natura chimico‐fisica del solido coinvolto e definisce la resistenza del
corpo alla deformazione [5].
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La resistenza di un fluido contro ogni irreversibile cambio di posizione
dei suoi elementi di volume è chiamata viscosità. Per mantenere un fluido
in movimento va continuamente aggiunta energia.
Mentre solidi e liquidi reagiscono in modo molto diverso agli stress
non ci sono notevoli differenze tra il comportamento reologico di liquidi e
gas, solo che la viscosità dei gas è centinaia di volte più bassa rispetto a
quella di un liquido e che la varia rispetto alla temperatura in modo
proporzionale.
sono chiamati “reometri”, questi, se si limitano alla sola misurazione della
viscosità e quindi del solo meccanismo viscoso di un materiale prendono il
nome di “viscosimetri”.
Prendiamo ad esempio i vari tipi flusso che si hanno nei viscosimetri
e/o reometri:
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flusso tra piani paralleli, quando un piano si muove e l’alto è stazionario.
Questo tipo di movimento crea un flusso laminare di piani che ricorda lo
spostamento che hanno le singole carte di un mazzo, oppure è simile a
quando usiamo una spatola per stendere lo stucco o una colla su una
superficie piana come un muro o una tavola.
Flusso in uno spazio circolare tra cilindri coassiali, uno dei due è assunto
come lo scorrerre di superfici cilindriche concentriche disposte una dentro
l’altra.
con questo movimento aprirsi di una asta telescopica.
Flusso tra un piatto e un cono o tra un piatto e un piatto. Quando uno dei
ricorda la torsione lungo l’asse di una pila di monete. Questo tipo di flusso
è usato nei reometri rotazionali con il campione in esame posto tra i due
piatti o tra il piatto e il cono.
4.2 Le leggi base della reologia
4.2.1 La legge di newton
La misurazione della viscosità di un liquido richiede prima la
definizione dei parametri che sono coinvolti nel flusso. Quando si sono
trovate le condizioni idonee di test allora la misurazione del flusso
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esprimere la legge fondamentale del flusso di un liquido ideale sottoposto
ad uno sforzo di taglio. In queste condizioni si crea uno spostamento di
uno strato infinitesimo di fluido su un altro adiacente, in modo da ottenere
un flusso laminare. In questo tipo di flusso i parametri caratteristici sono:
lo sforzo di taglio ( shear stress ) τ ed il gradiente di velocità ( shear rate )
γ& .
Lo shear stress ha le dimensioni di una pressione ( Pa = N/m2) e
rappresenta una forza parallela allo scorrimento diviso un area A ovvero:
τ = F / A.
Lo shear rate è definito come la derivata della velocità rispetto allo
spostamento:
γ& = dv / dx.
profilo della velocità nella regione di flusso. Come abbiamo detto prima in
un liquido ideale lo shear stress produce uno slittamento infinitesimale tra
i piani che compongono il fluido:
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Figura 4‐1 Profilo di flusso laminare tra piatti paralleli
Un liquido è reologicamente ideale se la velocità di deformazione γ̉́̀ è
proporzionale allo sforzo τ, ovvero:
τ = η ∗ γ&
che è nota come legge di Newton. La costante di proporzionalità η è
irreversibile di volume provocata.
Per un fluido che segue la legge di newton (liquido newtoniano) la
viscosità è indipendente dallo shear rate. I liquidi che non seguono questa
legge possono essere classificati guardando come variano la viscosità in
funzione dello shear rate.
4.2.2 I fluidi non Newtoniani
Come gia accennato, lo stato di solido ideale e lo stato liquido ideale
sono condizioni limite, che nella realtà delle cose è raramente affrontata. I
fluidi reali hanno un comportamento intermedio tra i due stati ideali. Si
può comunque separare i materiali di importanza pratica in due grandi
classi, anche se non in modo netto, i corpi viscoelastici e i corpi elastico –
viscosi.
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Nei corpi viscoelastici l’elemento elastico costituisce la fase continua
deformabile reversibilmente e contiene elementi dissipativi di tipo viscoso.
Durante la deformazione la presenza degli elementi viscosi causa la
elastica, nella fase di ritorno allo stato indeformato si ha analogamente la
questo attrito interno è responsabile della differenza di energia ( isteresi )
tra processo di deformazione e il processo di rilassamento.
estensione alla deformazione del fluido, quando le forze esterne vengono
a mancare c’è un parziale rilassamento di questi elementi ma per poter
tornare attorno allo stato originale la fase elastica deve vincere la
resistenza che essi pongono, quindi anche in questo caso c’è dissipazione
di energia per “attrito”, comunque in questo caso se lasciamo al materiale
il tempo necessario questo ritorna al suo stato originale ( processo di
rilassamento degli sforzi).
Ogni sforzo o deformazione che non viene recuperato per mancanza di
tempo si dice congelato o interno.
4.3 Dipendenza dallo shear rate
Si definisce curva di flusso un grafico in cui lo sforzo di taglio è
riportato in funzione dello shear rate e curva di viscosità un grafico in cui
viene riportata la viscosità in funzione dello shear rate. La viscosità del
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Normalmente nelle misure reologiche si ottiene prima la curva di flusso e
da questa si ottiene la seconda.
4.3.1 Liquidi newtoniani
Come si può intuire dalla legge di Newton la curva di flusso di questi
liquidi è una retta passante per l’origine con inclinazione data dalla
viscosità in quanto non dipende dallo shear rate. Esempi di questi liquidi
sono : acqua, olio minerale, alcuni solventi, plasma, melasse,ecc.
4.3.2 Liquidi non Newtoniani
La viscosità di questi liquidi dipende fortemente dallo shear rate e
quindi possono essere suddivisi in base alle loro curve di flusso che
fortunatamente, non sono moltissime.
all’aumentare dello shear rate lo sforzo di taglio aumenta meno che
proporzionalmente, mentre altri fluidi hanno un comportamento chiamato
shear thickening, cioè all’aumentare dello shear rate lo sforzo di taglio
aumenta in modo più che proporzionale. Esistono poi liquidi che iniziano
a scorrere superato un valore critico di sforzo di taglio chiamato yield
stress ( sforzo limite ), quindi per un certo campo di forze applicate si
comportano come solidi.
La viscosità è sempre il rapporto τ/ γ& (la pendenza della curva di
flusso ) ma assume il valore di viscosità apparente ηa associata ad un
determinato shear rate.
Le curve di flusso riportate nella figura sottostante sono quelle più
comunemente osservate.
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Figura 4‐2 tipiche curve di flusso
Per molti liquidi non newtoniani all’aumentare dello shear rate la
velocità decresce fortemente e ciò implica che, ad un certo valore di shear
stress, il fluido scorre ad una velocità più alta di quella che avrebbe avuto
se la sua viscosità fosse rimasta costante. Questo tipo di comportamento
racchiusi molti liquidi di importanza di importanza industriale come le
emulsioni, dispersioni, paste, ecc.
La diminuzione di viscosità è imputata, in questi liquidi eterofasici, ad
che si “riorganizza” orientandosi e/o stirandosi favorendo lo scorrimento
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della fase continua oppure si vanno a rompere le micelle formandone di
più piccole nelle emulsioni e nei sistemi colloidali.
Come appena detto in questa categoria di fluidi sono inclusi sistemi
che appaiono omogenei, ma che in realtà sono eterofasici perché
contengono gocce finemente disperse (emulsioni) oppure sistemi con fasi
disperse come possono essere i sistemi colloidali. Nello stato di quiete
queste liquidi possiedono una struttura interna che a causa degli sforzi di
taglio o alla deformazione imposta viene perduta. Per molti sistemi la
“distruzione” dell’organizzazione interna è reversibile, quindi tornando a
valori di sforzi o deformazioni più bassi si ristrutturano tornando a valori
lungo.
questi si comportano, a tutti gli effetti, come solidi fino a determinati
valori di shear stress, oltre il valore di snervamento (yield point)
dispersione, infatti possiede dei legami secondari come ponti a idrogeno o
forze di Van der Waals che permettono alla struttura di rimanere coesa. In
pratica se le sollecitazioni rimangono al di sotto delle forze di legame il
altrimenti si ha la rottura della struttura (parziale o totale) e quindi
comincia lo scorrimento. Esempi di queste sostanze sono il rossetto, alcuni
tipi di paste,i grassi (es. il burro),ecc.
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Infine ci sono i fluidi dilatanti che aumentano il valore di viscosità
(PVC) [6].
4.3.3 Modelli di flusso
Diversi modelli sono stati sviluppati per descrivere la relazione tra
sforzo di taglio e velocità di deformazione, anche se non sono valide su
ampi intervalli di shear rate, risultano utili per sia per classificare il
comportamento di fluidi reali sia nell’analisi di dati sperimentali.
Il modello più semplice è quello di Newton che approssima il
comportamento di fluidi semplici.
Modello di flusso Equazione di flusso
Liquido ideale(Newton) τ = η ∗ γ&
Fluido plastico (Bingham) τ = τ 0 + η p * γ&
Legge di potenza (Casson/Ostwald) τ = k * γ& n
Legge di potenza con yield point (Herschel/Bulkley) τ − τ 0 = k * γ& n
Equazione di Casson τ 1 / 2 = τ 01 / 2 + η ∞1 / 2 * γ& 1 / 2
Equazione di Steiger/Ory γ& = kτ + k1τ 3
η −η∞
Equazione di Williamson η = η∞ + 0
1 + τ /τ m
η −η∞
Equazione di Cross η = η∞ + 0
1 + αγ& n
Il modello di corpo plastico di Bingham [7] predice un comportamento
newtoniano al di sopra di uno sforzo τ0 ed è valido per molte dispersioni
tipo paste. Lo yield stress e la viscosità plastica ηp possono essere
determinati dall’intercetta e dalla pendenza della curva di flusso.
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Le leggi di potenza come quella di Casson [10] o di Ostwald
descrivono bene il comportamento di fluidi tecnicamente importanti come
dal comportamento diverso:
n = 1 fluidi newtoniani,
n < 1 fluidi con shear thinning
n > 1 fluidi con shear tickening
4.4 dipendenza dal tempo
Molti fluidi in aggiunta al comportamento dovuta alla dipendenza
dello shear rate, mostrano effetti dipendenti dal tempo. In regime di shear
rate costante, si può osservare un aumento della viscosità ( Reopassia ) o
una sua diminuzione ( tixotropia ). L’effetto del tempo assume particolare
importanza se la struttura di un fluido in movimento cambia
gradualmente anziché istantaneamente.
L’effetto del tempo assume una notevole importanza quando siamo in
presenza di fluidi che hanno una struttura interna complessa come una
sospensione, un sistema colloidale o un emulsione. Infatti in questi sistemi
sono presenti legami secondari come a ponti di idrogeno, forze di Van der
Walls, forze interfacciali o esiste una forma di riarrangiamento della fase
dispersa in modo da minimizzare la resistenza al flusso (vedi figura 4‐3 ).
dello shear rate ( shear acceleration γ&& ) che diviene una variabile
sperimentale importante.
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Poiché la fase continua costituisce il volume libero e agisce da
lubrificante per la fase dispersa, è inevitabile che, non appena il sistema
molto complesso e tempo‐dipendente. Questo accade quando analizziamo
sistemi con fasi disperse che interagendo tra loro creano una struttura
tridimensionale chiama “gel”, il movimento imposto al fluido ne provoca
la distruzione e si ha la creazione del “sol”.
Figura 4‐3 interazioni tra parlticelle nelle dispersioni
nullo a shear rate finito e viceversa otteniamo nel grafico due curve
distinte una superiore e una inferiore, si ha quindi un ciclo di isteresi. Se la
“ritorno” ( γ&& <0) il materiale in esame ha un comportamento che si
definisce tixotropico se invece siamo nel caso opposto il materiale si
definisce tixotropico negativo o reopassivo.
pseudoplastico ma non è vero il contrario. In molti di questi materiali il
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meccanismo di ricostruzione del reticolo è molto lento ed essi appariranno
newtoniani alle successive prove.
molto meno soddisfacenti e più controversi di quelli che descrivono la
dipendenza dallo shear rate.
4.5 Effetti della temperatura
La viscosità è molto sensibile alle variazioni di temperatura. Per molti
materiali, all’aumentare della temperatura la viscosità diminuisce in modo
esponenziale e con variazioni superiori anche al 10% per ogni grado
centigrado.
La dipendenza della viscosità dalla temperatura può essere studiata o
viscosità come funzione dello sforzo di taglio e della temperatura può
⎛ δη ⎞ ⎛ δη ⎞
essere scritto come segue: dη = ⎜ ⎟ dT + ⎜ ⎟ dτ
⎝ δT ⎠τ ⎝ δτ ⎠ T
⎛ δη ⎞
⎜ ⎟
⎝ δT ⎠τ ⎛ δη ⎞
= 1− γ ∗⎜ ⎟
⎛ δη ⎞ ⎝ δτ ⎠ T
⎜ ⎟
⎝ δτ ⎠ γ
da tale equazione si vede che, a sforzo di taglio e a shear rate
costante,ci sono due casi in cui le derivate della viscosità rispetto alla
temperatura sono uguali:
quando la derivata della viscosità rispetto allo sforzo di taglio, a T
costante, è nulla (fluido newtoniano ).
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Quando lo shear rate è nullo.
In generale, il termine
⎛ δη ⎞
1− γ ∗⎜ ⎟
⎝ δτ ⎠T
dilatanti.
temperatura mediante un equazione di tipo Arrhenius, che ingloba le
energie di attivazione a shear rate e a sforzo di taglio costante:
− Eγ / RT
μ = A*e μ = A * e − Eτ / RT
dove T è la temperatura assoluta e A è una costante caratteristica del
materiale.
Da tali equazioni si ottiene :
⎛ δη ⎞ Eγ ⎛ δη ⎞ E
⎜ ⎟ = −η * ⎜ ⎟ = −η * τ 2
⎝ δT ⎠ γ RT 2 ⎝ δT ⎠ γ RT
e si ottiene dall’equazione precedente:
⎛ δη ⎞
⎜ ⎟
⎝ δT ⎠τ E ⎛ δη ⎞
= τ = 1− γ ∗⎜ ⎟
⎛ δη ⎞ Eγ ⎝ δτ ⎠ T
⎜ ⎟
⎝ δτ ⎠ γ
La complessità delle relazioni viscosità temperatura, è evidenziata dal
notevole numero di espressioni empiriche che sono state sviluppate.
73
4.6 Reologia dei sistemi dispersi
Come accennato nella parte precedente di questo capitolo, una
dispersione è un sistema bifase costituito da una fase continua, detta
matrice, e da una fase dispersa, chiamata filler (cioè riempimento) o carica.
Una delle caratteristiche peculiari di questi sistemi è quella di risultare
omogenei su scale macroscopica, ma non altrettanto su scala microscopica.
Molti fluidi di importanza commerciale sono sistemi dispersi, del tipo
sospensioni di un solido in liquido (dispersioni o sospensioni in senso
vasti campi di impiego vengono studiati approfonditamente dal punto di
vista reologico.
fluidi omogenei, di cui si possono descrivere le proprietà di flusso. Ciò è
possibile quando la scala sulla quale si descrive il moto del fluido è molto
messo in evidenza quando si vide che le misure di viscosità con
perché erano comparabili con le dimensioni delle particelle. In una
dispersione le particelle hanno un diametro compreso tra 10 e i 10000 μm,
mentre le particele colloidali hanno una dimensione inferiore ad 1 μm.
È essenziale che la sospensione durante la misura rimanga il più
inerziali nel flusso che falserebbero la misurazione. Quando la dispersione
può essere considerata come un fluido omogeneo, il problema diviene
quello di trovare le proprietà effettive del fluido e questo può essere fatto
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mediante misure dirette o mediante considerazioni teoriche basate sulla
conoscenza della struttura della sospensione.
4.6.1 Dispersioni diluite
La viscosità delle dispersioni è espressa in termini di viscosità relativa
ηr definita come il rapporto tra la viscosità della dispersione e la viscosità
del mezzo continuo.
η r = η filler / η matrice
Le dispersioni di sfere rigide in liquidi newtoniani sono stato oggetto
di numerosi studi teorici e pratici. Le teorie derivano da tre assunzioni:
Il diametro delle particelle rigide è considerevolmente maggiore delle
dimensioni dello strumento di misura.
Il flusso è nello stato stazionario in regime di flusso laminare senza
effetti di concentrazione ed effetti di parete.
Il mezzo liquido aderisce perfettamente alle particelle.
La legge che lega la viscosità con la frazione volumetrica (Φ) della fase
dispersa è stata sviluppata da A. Einstein ed è:
ηr = 1 + K E ⋅ Φ
dove KE è noto come coefficiente di Einstein ed è uguale alla viscosità
intrinseca η, che rappresenta una viscosità limite in termini di
concentrazione in volume:
⎛ηr −1⎞
η = lim ⎜ ⎟ .
Φ →0 ⎝ Φ ⎠
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Einstein ha dimostrato che per le dispersioni diluite ( interazioni tra le
particelle trascurabili ) |η| è pari a 5/2. L’equazione quindi diventa:
ηr = 1 + 5 / 2 ⋅ Φ
ed è nota come equazione di Einstein [9], può essere usata con buona
approssimazione fino a Φ < 0,05 se non ci sono interazioni tra le particelle (
effetti elettrostatici, aggregazione,ecc.).
4.6.2 Dispersioni concentrate
Ad alte concentrazioni, si hanno molte più interazioni tra le particelle,
e la viscosità cresce molto più rapidamente di quanto predice l’equazione
di Einstein. Un equazione che meglio segue l’andamento viscosità relativa
ηr =1+ 5/ 2⋅ Φ + a ⋅ Φ2 + b ⋅ Φ3 +K
/ frazione volumetrica è una polinomiale del tipo:
dove a,b,… sono costanti addizionali. La deviazione dall’equazione di
Einstein ad alta concentrazione è rappresentata in figura 4‐5 per un tipico
variano le proprietà reologiche, anche in modo piuttosto complesso ed
inoltre si nota come l’equazione di Einstein non sia più valida per
caratteristici del liquido caricato.
In sospensioni diluite di particelle sferiche, l’incremento di viscosità è
proporzionale al volume della fase solida e può essere calcolato.
76
Figura 4‐4 confronto tra lʹequazione di Einstein e la viscosità relativa reale in
funzione di Φ
In sospensioni concentrate, le interazioni tra particelle divengono non
trascurabili e prevalgono sull’effetto di volume, in questo caso la forma e
perché si devono considerare anche le interazioni più elementari.
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Figura 4‐5 effetto di un filler sulle proprietà reologiche di un fluido
Se le particelle sono costituite da gocce di liquidi ( emulsioni ) o da
solidi deformabili, le variazioni di forma che possono subire provocano
differenze quantitative sui valori di viscosità e in aggiunta si hanno effetti
elastici che non sono facilmente prevedibili.
Il percorso di una particella dipende dalla risultante delle forze e dei
momenti che agiscono su di essa da parte del fluido e da parte delle altre
un’altra parte è dovuta ai moti convettivi del fluido ( inteso come mezzo
continuo ).
Queste interazioni dirette e indirette tra sfere dipende fortemente dalla
idrodinamica.
78
Deviazioni dal comportamento descritto dall’equazione di Einstein
possono derivare da:
dipende dalla distribuzione delle dimensione delle particelle;
• presenza di cariche elettriche superficiali;
• presenze di sostanze adsorbite;
• effetti dipendenti dai moti browniani;
• presenza di additivi.
In generale il legame tra la viscosità e la frazione volumetrica può
essere espresso in forma polinomiale:
N
η = ∑ an ⋅ Φ
n =0
in cui il primo termine a0 è la viscosità η0 del mezzo disperdente.
Usando la grandezza adimensionale ηSP (viscosità specifica), abbiamo:
η −η0 N
η SP = = ∑ bn ⋅ Φ
η0 n =1
dove il primo termine b1, se siamo nel caso di particelle sferiche, è il
coefficiente di Einstein (5/2) mentre gli altri termini sono ampiamente
variabili.
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volumetrica tende al valore massimo la viscosità deve tendere all’infinito,
perché il movimento di una particela viene totalmente inibito dalle
particelle adiacenti. Per sfere con lo stesso diametro si raggiunge
l’impaccamento compatto quando la Φ=0,75; il moto però viene impedito
anche a valori più bassi perché il movimento, in questa disposizione, di
Φm=0,52 (corrisponde ad una disposizione cubica semplice) si ha il libero
scorrimento degli strati di sfere, senza che ci sia il bisogno di una
ridisposizione delle particelle, quindi spesso si utilizza il valore di 0,63 per
mediare i due estremi elencati.
Per le dispersioni, anche di particelle sferiche, ma con dimensioni
variabili (polidispersioni o sospensioni pluri‐modali ) si nota che a parità
di frazione volumetrica si hanno valori di viscosità più bassi, questo è
dovuto al fatto che avendo più gruppi di particelle queste possono
disporsi e riarrangiarsi in vari modi quindi si alza la frazione volumetrica
massima di impaccamento. Visto questo si può desumere che le equazioni
scritte vanno normalizzate in funzione di questo parametro, quindi si ha:
N
Φ
η SP = ∑ C n ⋅ Φ r dove il parametro Φ r =
n =1 Φm
Generalmente il parametro Φm si ottiene dal rapporto tra la densità
reale del filler e la sua densità apparente ( Φm = vol. reale/ vol. apparente ).
ora la nostra equazione è normalizzata sia per la viscosità che per la
I coefficienti di questa relazione dipendono dalla forma delle particelle
ed aumentano all’aumentare del grado di asimmetria delle particelle, ciò
80
significa che per dispersioni con dispersioni “asimmettriche” il ruolo dei
coefficienti superiori al primo diventano più importanti e quindi si hanno
deviazioni dalla linearità a valori della Φr più bassi.
Si noti che, non appena la frazione volumetrica supera 0,1 non è più
utilizzabile una teoria idrodinamica rigorosa per predire la viscosità della
dispersione e le interazioni tra le particelle fanno divenire sempre più
importanti i coefficienti di ordine superiore a 2, che vanno quindi inclusi
nel modello reologico. In tal caso il problema deve essere trattato
empiricamente e in letteratura esistono diverse equazioni che interpolano i
dati sperimentali.
da utilizzare per la rappresentazione della dipendenza della viscosità dalla
concentrazione, per la presenza di molti coefficienti arbitrari, spesso si
l’equazione di Mooney [10]:
⎛ ⎞
⎜ ⎟
η ⋅Φ
η r = exp⎜ ⎟
⎜ Φ ⎟
⎜1− ⎟
⎝ Φm ⎠
e l’equazione di Krieger‐Daugherty[11]:
− η ⋅Φ m
⎛ Φ ⎞
η r = ⎜⎜1 − ⎟⎟
⎝ Φm ⎠
Si noti che le equazioni sono congruenti con l’equazione di Einstein,
infatti per Φ → 0 si riducono ad andamenti approssimabili al modello per
81
sistemi dispersi diluiti, ed inoltre predicono la tendenza ad un valore
In figura 4‐6 è riportato il confronto tra le tre equazioni sopraccitate
con una frazione volumetrica massima di 0,62.
In letteratura sono presenti molte correlazioni matematiche in grado di
riporteremo un elenco delle equazioni più diffuse.
Figura 4‐6 confronto tra lʹequazioni di Einstein, Krieger‐Dougherty, Mooney
Anche se i parametri da usare non hanno sempre un significato reale
queste equazioni trovano un utilità visto che sono un ottima base per il
trattamento dei dati sperimentali e possono essere la base per lo sviluppo
di modelli teorici.
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Modello reologico Equazione reologica
Einstein η r = 1 + 2,5 ⋅ Φ
⎛ η ⋅Φ ⎞
Mooney η r = exp⎜⎜ ⎟
⎟
⎝ 1 − Φ / Φ m ⎠
− η ⋅Φ m
⎛ Φ ⎞
Krieger‐Daugherty η r = ⎜⎜1 − ⎟⎟
⎝ Φm ⎠
⎛ π ⎞⎟ ⎛ π π ⎞ ⎛⎜ 2 β + 1 ⎞⎟
η r = ⎜1 − + ⎜⎜ − ⎟⎟ ⋅ ⎜1 + tan −1 ⎟⎟
⎜ 4β 2 ⎟⎠ ⎝ 4 6 ⋅ β ⎠ ⎜⎝ β − 1
⎝ β −1
2
⎠
Ackermann Chen
1/ 3
⎛Φ ⎞
con β = ⎜ m ⎟
⎝ Φ ⎠
Thomas η r = 1 + 2,5 ⋅ Φ + 10,05 ⋅ Φ 2 + 0,00273 ⋅ e16,6 ⋅Φ
⎛ 2,5 ⋅ Φ ⎞
Vand I η r = exp⎜ ⎟
⎝ 1 − 0,609 ⋅ Φ ⎠
⎛ 2,5 ⋅ Φ + 2,7 ⋅ Φ 2 ⎞
Vand II η r = exp⎜ ⎟
⎜ 1 − 0,609 ⋅ Φ ⎟
⎝ ⎠
⎛ 4Φ 7 / 3 + 10 − 84 / 11Φ 2 / 3 ⎞
ηr = 1 + 5,5 ⋅ ⎜ ⎟
Happel
( )
⎜ 10 1 − Φ10 / 3 − 25Φ 1 − Φ 4 / 3
⎝ ( ) ⎟
⎠
ηr = 1+ η ⋅λ ⋅Φ
λ=
(
4 ⋅ 1−Y 7 )
Simha
( ) (
4 ⋅ 1 − Y 10 − 25 ⋅ Y 3 ⋅ 1 + Y 4 + 42 ⋅ Y 5 )
1
Y=
1/ 3
⎛Φ ⎞
2⋅⎜ m ⎟ −1
⎝ Φ ⎠
De Bruijn η r = (1 − 1,73 ⋅ Φ )−2
2
Chong Christiansen ⎛ ⎛ Φ / Φm ⎞⎞
η r = ⎜⎜1 + 0,75 ⋅ ⎜⎜ ⎟⎟ ⎟
⎟
Bear ⎝ ⎝1− Φ / Φm ⎠⎠
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