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filosofia
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Enrica Rigo

La straniera
Migrazioni, asilo, sfruttamento in una prospettiva di genere
Volume pubblicato con il contributo
del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre

1a edizione, giugno 2022


© copyright 2022 by
Carocci editore S.p.A., Roma

Realizzazione editoriale: Studio Agostini, Roma

Finito di stampare nel giugno 2022


dalla Litografia Varo (Pisa)

isbn 978-88-290-1268-8

Riproduzione vietata ai sensi di legge


(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)

Senza regolare autorizzazione,


è vietato riprodurre questo volume
anche parzialmente e con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche per uso interno
o didattico.
Indice

Introduzione 7

1 Il genere delle migrazioni 15

1.1 La domanda sul genere dello straniero 15


1.2 Il genere dello spazio sociale 19
1.3 L’aporia dello spazio sociale produttivo 23
1.4 Mobilità e riproduzione sociale 28
1.5 Il lavoro che vale e quello che non vale nel governo della
mobilità 31
1.6 Riproduzione sociale, violenza e protezione 35
1.7 La straniera nel controllo globale delle migrazioni 40

2 Il genere dell’asilo 43

2.1 Quando a chiedere asilo sono le donne 43


2.2 La contesa sul genere nel diritto dei rifugiati 49
2.3 La vulnerabilità come categoria di genere 56
2.4 La violenza di genere come questione strutturale e dinamica 63
2.5 Il genere nella determinazione del gruppo sociale 68
2.6 L’intersezionalità come genere delle norme 72

3 Regimi di riproduzione e sfruttamento 77

3.1 Regimi della riproduzione sociale attraverso i confini 77


3.2 Lo sfruttamento oltre il consenso 82

5
indice

3.3 Statuti di vulnerabilità e sfruttamento 89


3.4 Regimi di confinamento e riproduzione umanitaria 97

4 Oltre l’ospitalità, per la libertà di movimento 103

4.1 Libertà di movimento, vita e intersezionalità 103


4.2 La libertà di movimento nell’ordine giuridico globale 110
4.3 La libertà di movimento oltre l’ospitalità 115
4.4 Per la libertà di movimento di migranti e richiedenti asilo
all’interno e oltre l’Europa 119

Bibliografia 127

6
Introduzione

Al centro di questo libro c’è la relazione tra la libertà di movimento e la ri-


produzione sociale, intesa come l’insieme dei processi e delle attività neces-
sarie a preservare e riprodurre la vita. È difficile ritrovare, almeno negli ul-
timi decenni, un presente della stessa portata di quello che stiamo vivendo
per la densità di eventi che mettono in primo piano la mobilità umana, da
un lato, e le sue costrizioni, dall’altro. Le crisi ricorrenti ai confini europei
hanno scandito gli ultimi dieci anni, a partire da quella seguita alle prima-
vere arabe del 2011, passando per la “lunga estate delle migrazioni” del 2015
– la quale si prolunga ancora oggi sia lungo la rotta di terra balcanica sia at-
traverso quelle del Mediterraneo – fino a quella recentissima che ha investi-
to la frontiera tra Bielorussia e Polonia durante gli ultimi mesi del 2021. Nei
giorni in cui chiudo quest’introduzione, l’invasione dell’Ucraina da parte
della Russia scuote l’Europa con una guerra di cui si pagheranno prezzi
altissimi, non ultimo quello del numero di profughi che provocherà e di
nuove e vecchie frontiere che verranno rafforzate. Una volta di più l’Unio-
ne Europea ha risposto con confini “selettivi”, che aprono le porte ai pro-
fughi di nazionalità ucraina e a poche altre categorie di residenti nel paese,
ma le chiudono agli altri migranti in fuga dalla medesima guerra. Sono crisi
che vengono ricordate con l’anno in cui hanno avuto inizio, ma di nessu-
na è possibile individuare davvero una fine, sia perché ciascuna comporta
modifiche al governo delle migrazioni che perdurano nel tempo, sia perché
il regime dei confini che ne è il risultato costringe ad aggiornare continua-
mente il numero dei morti tra le donne e gli uomini migranti che tentano
di raggiungere l’Europa. Sono numeri che hanno raggiunto grandezze or-
mai spaventose su scala globale, tanto che è possibile affermare con Achille
Mbembe che oggi «essere vivi, o sopravvivere, coincide sempre più con la
capacità di muoversi» (Mbembe, 2019b, p. 10). Non vale solo per le e i mi-
granti. L’emergenza pandemica, che nel 2020 ha letteralmente immobiliz-
zato il mondo, ha messo sotto gli occhi di tutti che dalla mobilità dipende
la sopravvivenza della società intera: dalla mobilità della forza lavoro ne-

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la straniera

cessaria a produrre i beni essenziali, dalla logistica del loro approvvigiona-


mento, dalle catene della cura assicurate prevalentemente dalle lavoratrici
migranti, così come dalla possibilità di cercare vie di fuga dalle emergenze
sociali e sanitarie.
Eppure, questo libro non ha preso avvio da un’ipotesi teorica, bensì
l’ha ricostruita a partire dall’esperienza che le donne migranti fanno dei
regimi di mobilità. Le ricerche che lo informano hanno una data simbolica
di inizio, il 17 settembre 2015, quando 19 donne richiedenti asilo sono sta-
te rimpatriate in Nigeria dal centro di trattenimento di Ponte Galeria, alle
porte di Roma. E sono proseguite nel corso degli anni successivi con la rac-
colta e l’analisi dei provvedimenti delle Commissioni territoriali, delle de-
cisioni dei Tribunali e della Corte di cassazione che hanno giudicato le sto-
rie di quelle stesse donne e delle loro compagne di viaggio. Assumere una
prospettiva di genere per guardare alle migrazioni, anche al di là della com-
ponente femminile nei processi migratori, è stata dunque una necessità. È
a partire da questo punto di vista situato che è emersa l’esigenza di mettere
al centro la categoria di riproduzione sociale, per indagarne il nesso con la
mobilità umana e invertire la logica che tende a guardare alle migrazioni
principalmente in funzione della riproduzione e del mantenimento della
forza lavoro. Si tratta di una logica fatta propria dai regimi giuridici di go-
verno della mobilità, a partire da quelli che riservano la libertà di circola-
zione e residenza o il diritto all’unità familiare a chi può dimostrare un red-
dito, a quelli che distinguono, più in generale, tra migrazioni economiche e
forzate, fino a quelli che chiamano in causa il rapporto tra mobilità, lavoro
libero e sfruttamento. Allo stesso tempo, è proprio la libertà di movimento
agita dalle donne che trasgrediscono i confini che, sovente, costringe a ri-
pensare le logiche sottese al diritto.
Assumere una prospettiva situata dal punto di vista del genere non si-
gnifica avere la pretesa di rappresentare le voci delle donne migranti e richie-
denti asilo. Al contrario, per poterne scrivere, è stato necessario elaborare
una presa di distanza dalle vicende personali delle donne incontrate lungo
il cammino di ricerca. Anche quando le loro storie vengono utilizzate come
espediente narrativo, oggetto della ricerca e dell’analisi non sono le don-
ne, bensì le modalità attraverso cui il diritto riconosce e rappresenta le dif-
ferenze delle quali sono portatrici, l’intersezionalità della subordinazione
e delle discriminazioni costruite attorno agli assi del genere, della razza e
della classe. In questa chiave, la straniera, che dà il titolo al libro, non è una
figura esemplare dell’esperienza femminile delle migrazioni, non richiama

8
introduzione

una qualche identità soggettiva, ma è piuttosto un punto di vista da cui os-


servare i regimi di mobilità, lo strumento di una ricerca situata sul diritto.
Indubbiamente, tra gli strumenti di cui si sono nutrite le ricerche che
vengono presentate vi sono i dibattiti oggetto della letteratura, e questo li-
bro ne incrocia diversi, pur senza la pretesa di ricostruirli con sistematicità.
In primo luogo, la prospettiva proposta è debitrice dell’ampia letteratura
su genere e migrazioni (Pinelli, 2019), che ha messo in luce come affrontare
la questione del genere non si limiti ad aggiungere la componente femmi-
nile all’analisi dei processi migratori, ma implichi sempre un ripensamento
radicale degli approcci. Il genere non è mai solo un “dato” delle migrazioni
ma è, piuttosto, un elemento di trasgressione (Schmoll, 2020), sia rispetto
all’immobilità a cui vengono solitamente assegnate le donne, sia rispetto
ai molteplici confini simbolici, sociali e politici che denaturalizzano con i
loro attraversamenti. Non stupisce pertanto che la la riflessione femmini-
sta sia fondamentale per quel corpo di studi critici su migrazioni e confini
che ha messo in crisi il “nazionalismo metodologico” che, a lungo, ha guar-
dato le migrazioni soprattutto dal punto di vista delle comunità riceventi.
L’approccio dei Critical Border Studies dà corpo a ogni capitolo di questo
libro, anche quando in apparenza rimane sullo sfondo, e il debito deve esse-
re riconosciuto, in particolare, verso quella letteratura che ha sottolineato
come i confini non siano solo uno strumento di inclusione e esclusione ma
anche di dominio e sfruttamento (Mezzadra, Neilson, 2013), nonché di co-
struzione di relazioni di differenza e gerarchie (Anderson, 2015).
Qualche annotazione in più è necessaria per gli studi giuridici, che so-
no evidentemente centrali per le riflessioni che vengono proposte nei capi-
toli successivi. L’approccio generale può essere ascritto all’ampio e variega-
to panorama delle teorie critiche del diritto, di cui il femminismo giuridico
rappresenta una delle principali chiavi di analisi (Bernardini, Giolo, 2017).
Guardati sotto questa lente, genere e diritto condividono peraltro un’ana-
loga performatività e non è certo un caso che Duncan Kennedy (2001), per
descrivere la sfida dei Critical Legal Studies, richiami tra altri debiti teorici
la decostruzione radicale del genere operata da Judith Butler. Genere, vul-
nerabilità, intersezionalità, sfruttamento sono termini che hanno ormai
guadagnato una posizione centrale nella letteratura giuridica, e non solo
in quella che si richiama alla tradizione degli studi critici. Il diritto delle
migrazioni, dei rifugiati, della protezione internazionale e della protezio-
ne dei diritti umani li ha fatti ufficialmente propri, con esiti più o meno
felici. In tutti i casi, non si tratta di un’incorporazione definitiva o neces-
sariamente emancipante, ma di una strada che apre il terreno a una «sfida

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la straniera

normativa» – per dirla con Diane Otto (2006) – la quale, per essere colta,
necessita di allargare i soggetti protagonisti delle trasformazioni del diritto
e delle sue istituzioni.
L’espressione Critical Legal Studies è qui utilizzata in senso ampio, a
ricomprendere le tematiche e gli approcci di cui questa prospettiva si è ar-
ricchita all’incrocio con gli studi postcoloniali, con il femminismo inter-
sezionale – che, a sua volta, è una componente fondamentale della Critical
Race Theory – e con la critica marxista come lente sul rapporto tra diritto,
capitalismo e globalizzazione. Gli studi sul diritto internazionale, così co-
me quelli sul diritto dei rifugiati, ne sono usciti profondamente trasforma-
ti. I loro protagonisti provengono di frequente dal cosiddetto Third World
Approach to International Law, dal quale non si può oggi prescindere se
non al prezzo di una visione miope sulle interconnessioni della globaliz-
zazione, e includono nomi come Tendayi Achiume, Antony Anghie, Bhu-
pinder Chimni e Ratna Kapur. Allo stesso tempo, i processi di esclusione
e inclusione prodotti dalla globalizzazione sono al centro della teoria del
diritto di Hans Lindahl (2013; 2018) che rappresenta uno dei contributi at-
traverso cui viene letto, in questo libro, il rapporto tra i confini e l’emergere
di ordini giuridici globali.
Il tema della riproduzione sociale ha trovato meno spazio di altri nella
letteratura giuridica, sebbene il recente rilievo che ha assunto per leggere
le contraddizioni della crisi pandemica lo abbia riportato in primo piano e
lasci intravedere una diversa tendenza. Il pensiero femminista italiano, e in
particolare la corrente del marxismo operaista, ha contribuito in maniera
fondamentale allo sviluppo della riflessione sul ruolo della riproduzione
sociale nei processi di accumulazione capitalistica. Nomi come quello di
Mariarosa Dalla Costa, Leopoldina Fortunati, Antonella Picchio e Silvia
Federici continuano a essere un punto di riferimento dei dibattiti inter-
nazionali, assieme a quelli di Selma James, Maria Mies e, più di recente,
Nancy Fraser e Tithi Bhattacharya. La messa a fuoco sul lavoro necessario
a riprodurre quel peculiare tipo di merce che è la forza lavoro ha portato
a una diversa comprensione di come la società capitalistica si sia riprodot-
ta e espansa su scala globale, ma anche di come attorno alla riproduzione
sociale si coagulino lotte e movimenti sociali che vanno dalla difesa delle
economie di sussistenza, alla resistenza contro la devastazione ambientale
e contro l’estrattivismo rapace delle risorse.
La chiave di lettura della riproduzione sociale è declinata in questo li-
bro lungo tre direttrici. In primo luogo, è utilizzata per leggere le logiche
sottese ai regimi di regolamentazione della mobilità e, dunque, per mette-

10
introduzione

re a nudo la violenza che producono attraverso l’intromissione nella vita e


l’espropriazione delle capacità necessarie a preservarla e riprodula. In se-
condo luogo, risulta essenziale per comprendere lo sfruttamento nella sua
dimensione strutturale, al di là della distinzione concettuale tra produzio-
ne e riproduzione, la quale tende a riconoscere solo la prima delle due sfere
come ambito dello sfruttamento e, dunque, come problema politico. Infi-
ne, mettendo la mobilità al centro dei processi di riproduzione sociale, la li-
bertà di movimento agita delle e dei migranti emerge come una pratica che
trasgredisce sia le gerarchie patriarcali sia le logiche coloniali fatte proprie
dai confini. Per riprendere Tendayi Achiume (2019), lette in questa chiave,
le migrazioni sono una pratica decoloniale che rinegozia le persistenti posi-
zioni di subordinazione seguite ai processi di decolonizzazione.
Il percorso argomentativo prescelto è forse inusuale per il confronto
che propone con alcuni classici della letteratura sociologica e giuridica. Il
cap. 1 rilegge l’Excursus sullo straniero di Georg Simmel attraverso la do-
manda sul genere delle migrazioni. Lo straniero inteso come «colui che
oggi viene e domani rimane» (Simmel, 1908, trad. it. p. 821) – secondo
la celebre immagine del sociologo tedesco – proietta le migrazioni in una
temporalità intergenerazionale, la quale chiama necessariamente in cau-
sa lo spazio della riproduzione sociale. La lettura presentata nel capitolo
va oltre il confronto che la letteratura femminista ha avuto con gli scritti
di Simmel per riflettere, più in generale, sul canone sessuato incorporato
dall’organizzazione giuridica e politica dello spazio sociale e dal control-
lo della mobilità. La riconsiderazione dello straniero attraverso la lente
del genere è utilizzata per introdurre l’approccio teorico che accompa-
gna le ricerche presentate nei capitoli successivi, ovvero per guardare a
come l’ordine spaziale dei confini sia tagliato trasversalmente dalle gerar-
chie costruite attorno alla produzione e alla riproduzione sociale. La tesi
presentata nel capitolo, secondo la quale è oggi necessario guardare alle
migrazioni attraverso la lente della straniera, non è volta ad accentuare il
sesso biologicamente determinato o l’identità di genere dei singoli indi-
vidui che compongono i processi migratori, bensì a contestare la distin-
zione concettuale, fatta propria dal diritto e dalla politica, che assegna
priorità allo spazio della produzione su quello della riproduzione della
vita e delle relazioni che la sostengono.
Il cap. 2 presenta il dibattito sul diritto d’asilo in una prospettiva di
genere e lo attualizza attraverso un’ampia ricerca sulle decisioni delle Com-
missioni territoriali per il riconoscimento del diritto d’asilo e dei Tribunali.
A partire dagli anni Ottanta, la critica del femminismo giuridico alla Con-

11
la straniera

venzione sui rifugiati del 1951 è stata fondativa per gli stessi studi di genere
sulle migrazioni forzate, anche nella prospettiva di discipline non giuridi-
che. Le ricerche presentate mostrano come non si tratti affatto di un di-
battito esaurito e, anzi, sia oggi arricchito dalla critica postcoloniale e dalla
riflessione su concetti come quello di vulnerabilità e intersezionalità. La
“crisi” del 2015 e i suoi lasciti, con l’incremento esponenziale del numero di
donne che hanno cercato asilo in Italia e in Europa, sono un banco di prova
per guardare come e a quale prezzo la «sessualizzazione» dei soggetti del
diritto internazionale (Otto, 2006) venga inclusa nel discorso giuridico.
Al centro del caso di studio, le decisioni sulla protezione internazionale di
donne che hanno subito violenza legata alla tratta a scopo di sfruttamento
sessuale mostrano come a essere chiamate in causa siano le diverse accezio-
ni secondo cui le nozioni di vulnerabilità e genere vengono declinate nel
diritto. Il dibattito sull’intersezionalità, richiamato a partire dagli scritti in
cui è la stessa Kimberlé Crenshaw (2014) a portare come esempio le don-
ne rifugiate, mostra il portato che tale prospettiva continua ad assolvere sia
nella decostruzione critica delle norme sia nella “sfida normativa” volta alla
loro trasformazione.
Il cap. 3 riprende e approfondisce il nesso tra mobilità e riproduzione
sociale come chiave per comprendere le dinamiche contemporanee del-
lo sfruttamento. Nella lettura proposta, i confini non moltiplicano so-
lo i regimi del lavoro (Mezzadra, Neilson, 2013), bensì producono una
moltiplicazione altrettanto significativa dei regimi della riproduzione so-
ciale su una scala transnazionale. Si tratta di una prospettiva necessitata
per indagare lo sfruttamento laddove le condizioni di riproduzione del-
la vita incrociano e si sovrappongono a quelle del lavoro. Tra le studiose
che hanno ripreso il tema della riproduzione sociale, è soprattutto Gargi
Bhattacharyya (2018) a riflettere su come l’appropriazione del tempo e
del lavoro necessario a garantire la sopravvivenza di fasce di popolazione
marginalizzate rappresenti sempre più, nel capitalismo contemporaneo,
un «misconosciuto supplemento» ai processi di accumulazione. Il caso
della tratta a scopo di sfruttamento è utilizzato, nel capitolo, per mette-
re a critica il paradigma consensualistico fatto proprio dalle definizioni
giuridiche dello sfruttamento anche alla luce della più recente giurispru-
denza della Corte europea dei diritti umani. È all’incrocio con i regimi
coercitivi di riproduzione della vita imposti dai confini che lo sfruttamen-
to emerge ben oltre la relazione di ingiustizia «falsamente contingente»
(Marks, 2008) in cui lo relegano il diritto internazionale e penale e si mo-
stra, invece, per le condizioni politiche che lo rendono possibile (Picchio,

12
introduzione

2008; Fraser, 2016a). Lo sfruttamento mostra così un doppio volto, quel-


lo dell’estrazione di valore da coloro che rende vulnerabili, e quello del
comando, della subordinazione e della soggezione, che lo indicano co-
me un rapporto prettamente politico. Le crisi ricorrenti ai confini hanno
avuto come conseguenza quella di estendere le forme di confinamento e,
più in generale, di coercizione sulla vita delle e dei migranti. Giustificare
questo lascito come una “saturazione” dei sistemi di ricezione delle migra-
zioni perpetua l’illusione consolatoria che il problema della riproduzione
della società nel suo complesso possa essere separato da quello della ripro-
duzione della vita di fasce di popolazione che vengono marginalizzate,
razzializzate o escluse.
La rivendicazione della libertà di movimento, nelle forme concrete
che assume nelle pratiche di mobilità dei migranti, è al centro delle rifles-
sioni presentate nel capitolo conclusivo (cap. 4). Il dibattito volto a bilan-
ciare le ragioni pro o contro l’apertura dei confini con i legittimi interessi
delle comunità riceventi, nei termini in cui la filosofia politica e giuridica
lo ha sviluppato negli ultimi decenni, deve fare i conti sia con le condizio-
ni materiali in cui hanno luogo i movimenti migratori, sia con la realtà di
confini sempre più militarizzati. Il capitolo propone una diversa concet-
tualizzazione del rapporto tra migrazioni e confini che, da un lato, guar-
da alle prospettive critiche su diritto e globalizzazione, dall’altro, rilegge
le diverse tradizioni dell’asilo e dell’ospitalità. In entrambi i casi, a essere
chiamati in causa sono i limiti del diritto, nell’ambivalenza sempre pre-
sente tra la deroga alla legge, che può facilmente trasformarsi in violenza,
arbitrio e autoritarismo, e la matrice dell’ospitalità come possibilità del di-
ritto di spingersi oltre i suoi propri confini. Il capitolo rilegge tradizioni
dell’ospitalità apparentemente distanti tra loro, come quelle di Rudolph
von Jhering e Jacques Derrida. Lo scopo è rivendicare la libertà di movi-
mento di migranti e richiedenti asilo in una prospettiva coerente con un
posizionamento femminista intersezionale, che metta al centro le istanze e
le pratiche dei soggetti concreti che oggi spingono il diritto ad andare oltre
i confini dell’ospitalità.
La guerra che scuote oggi l’Europa, così come aveva già fatto la pande-
mia, apre nuovi terreni di sfida per i temi trattati in questo libro, sui quali i
tempi della scrittura non consentono un confronto diretto. Nondimeno il
genere, come elemento di trasgressione, produttiva destabilizzazione delle
categorie assunte dal diritto e strumento di ripensamento di ciò che viene
considerato politico, rappresenta una prospettiva imprescindibile per leg-
gere sia la storia sia il presente di queste sfide.

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la straniera

***

L’approccio e le riflessioni presentate nel libro sono debitrici al felice incontro


con il movimento femminista e transfemminista che, a partire dal 2016, ha messo
in primo piano la dimensione strutturale e politica della violenza contro le don-
ne e di genere. Ho imparato molto dalle discussioni ai tavoli di Non Una di Me-
no, da ogni donna presente e da ogni soggettività che ha li attraversati sentendosi
libera di non riconoscersi in alcuna appartenenza di genere.
La Clinica del diritto dell’immigrazione e della cittadinanza, che coordino
dal 2009, è il laboratorio di ricerca e confronto senza il quale questo libro non
sarebbe stato possibile. Alle studiose e agli studiosi che vi partecipano, alle av-
vocate e agli avvocati che l’hanno resa possibile, alle fondazioni Charlemagne e
Haiku che la sostengono, agli studenti che la animano, va il ringraziamento più
grande. Il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre ha sup-
portato la Clinica legale anche grazie al contributo delle colleghe e dei colleghi
che hanno creduto nel progetto. Tra le associazioni che collaborano con la Clini-
ca legale, un ringraziamento va alla Casa delle donne Lucha y Siesta, alla coope-
rativa sociale Be Free e al progetto Sciabaca & Oruka dell’Associazione di studi
giuridici sull’immaginazione (asgi).
Il confronto con numerose studiose e studiosi è stato per me fondamentale
durante la stesura di questo libro. Voglio ringraziare Donatella Alessandrini, Fa-
bio Amato, Carlo Caprioglio, Thomas Casadei, Alisa Dal Re, Nicholas Dines,
Jacopo Di Giovanni, Isabel Fanlo Cortes, Laura Fortini, Maria Grazia Giamma-
rinaro, Orsetta Giolo, Hans Lindahl, Maria Rosaria Marella, Fiona McMillan,
Sara Menzinger, Alessandra Mezzadri, Martina Millefiorini, Tatiana Montella,
Antonella Picchio, Barbara Pinelli, Lucia Re, Maurizio Ricciardi, Emilio Santo-
ro, Camille Schmoll, Alessandra Sciurba, Gianfrancesco Zanetti. Un ringrazia-
mento particolare va a Sandro Mezzadra, per il suo sostegno prezioso e per aver
letto con pazienza diverse stesure di ogni capitolo. La responsabilità di ogni af-
fermazione contenuta nel testo è esclusivamente dell’autrice.
La scrittura di questo libro è coincisa con anni in cui il picco della pandemia
da Covid-19 ha reso difficile conciliare il lavoro accademico con le esigenze di
cura. I miei figli, Rocco e Petra, si sono dimostrati particolarmente pazienti nelle
circostanze date.
Il riconoscimento più grande va alle donne migranti e richiedenti asilo che
ho incontrato lungo il percorso di ricerca. La loro forza, le loro pratiche di resi-
stenza, i loro desideri hanno rappresentato per me l’insegnamento più radicale.
È a loro che dedico questo libro.

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