Sei sulla pagina 1di 25

Le migrazioni interne dal Mezzogiorno tra ricerca di lavoro e mobilità occupazionale

Author(s): Davide Bubbico


Source: Meridiana, No. 75, MIGRAZIONI INTERNE (2012), pp. 149-172
Published by: Viella SRL
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/41825479
Accessed: 17-06-2016 01:17 UTC

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at
http://about.jstor.org/terms

JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted
digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about
JSTOR, please contact support@jstor.org.

Viella SRL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Meridiana

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
Le migrazioni interne dal Mezzogiorno
tra ricerca di lavoro e mobilità occupazionale
di Davide Bubbico

1. Introduzione

Alla fine degli anni novanta il tema della ripresa delle migrazioni in-
terne è ritornato con forza nel dibattito italiano, tanto nell'ambito della
ricerca scientifica, quanto nel confronto politico-istituzionale. Eppure
questo tema si è riproposto in una fase nella quale il Mezzogiorno presen-
tava tassi di crescita economica positivi e per alcune regioni superiori alla
media nazionale.
La ripresa dei flussi migratori interni nella seconda metà del decennio
novanta - ripresa perché in realtà i movimenti migratori interni non hanno
mai conosciuto un vero e proprio arresto - è conseguenza come in passato
di un effetto spinta, determinato dal permanere di elevati livelli di disoccu-
pazione, e da un effetto richiamo che deriva dall'aumento della domanda
di lavoro che il sistema manifatturiero Centro-settentrionale ha comincia-
to ad esprimere con la ripresa dell'export a partire dalla svalutazione della
lira nel 1992. La domanda di lavoro che proviene dalle aree più ricche del
Paese già in questa fase è alimentata anche dalle dinamiche positive del
settore terziario e soprattutto dall'emergere di una indisponibilità nell'of-
ferta di lavoro locale a ricoprire le posizioni di lavoro meno qualificate
nel settore dei servizi. Infatti, chi emigra dal Mezzogiorno, in questi anni,
continua soprattutto a rispondere, anche se non esclusivamente, ad una
domanda di lavoro non qualificato che proviene primariamente dall'indu-
stria, ma anche dal settore dell'edilizia e da alcuni comparti del terziario.
Ma si tratta solo e comunque di movimenti migratori dettati dalla ricerca
di lavoro o anche da altri fattori? Ci sono in altri termini altri elementi
£ negativi che contribuiscono ai flussi in uscita (qualità della vita, efficienza
* dei servizi pubblici, ecc.)? Quanta parte di questa mobilità territoriale è
.§ parte di una mobilità più generale dell'occupazione?
"1 II lavoro che intendiamo sviluppare in questo articolo tenta di fornire
? alcune riflessioni su questi tre interrogativi, tenendo conto del fatto

149

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
che le fonti documentarie e bibliografiche sulla mobilità occupazionale
per l'Italia non sono numerose, tanto più quelle che hanno indagato la
mobilità nell'occupazione collegata a quella geografica.
La prima obiezione che potrebbe essere posta è che i flussi migratori
verso le regioni Centro-settentrionali riguardano principalmente persone
disoccupate o in cerca di prima occupazione, eppure un'evidenza empirica
netta in tal senso non esiste, fermo restando che gli indicatori del mercato
del lavoro meridionale ne sono comunque una chiara e indiretta evidenza.
Nonostante ciò, la condizione professionale originaria di chi intraprende
il percorso migratorio non sempre e necessariamente è quella di disoccu-
pato, ma molto più spesso di occupato irregolare o discontinuo. In altri
termini questa argomentazione è necessaria per ragionare intorno all'ipo-
tesi che una parte rilevante, e in crescita, della propensione migratoria sia
legata anche a fattori diversi dalla pura e semplice ricerca del lavoro, come
ad esempio il bisogno di una migliore qualità della vita, un più soddisfa-
cente inquadramento professionale, maggiori possibilità di carriera e di
accesso ad una occupazione qualificata più coerente con i più elevati livelli
di istruzione conseguiti1.
Questo ragionamento riguarda oggi, tuttavia, prevalentemente la parte
più qualificata dell'emigrazione interna meridionale, quella di cui si discu-
te maggiormente, anche se questa rappresenta solo una parte di un feno-
meno più articolato dove l'emigrazione di forza lavoro con bassi livelli di
istruzione è proseguita e rimane per certi versi, in termini di stock , ancora
quella principale. In qualche modo, come già negli anni novanta, quando
la forte crescita dell'occupazione straniera ha finito per occultare il contri-
buto dei flussi migratori interni, nel decennio successivo la maggiore pro-
pensione all'emigrazione della forza lavoro meridionale laureata ha finito
per occultare il contributo dei flussi composti dalle persone in possesso
solo della scuola dell'obbligo o del diploma: manovali del settore edile,
operai con basse o nulle specializzazioni, personale del settore turistico-
alberghiero, personale pubblico con solo diploma per l'accesso ai ruoli
inferiori della pubblica amministrazione, ecc.
Nella prima parte dell'articolo tratterò il tema della ripresa delle migra-
zioni interne a partire dalle diverse dinamiche produttive e di sviluppo che
caratterizzano l'Italia su base territoriale e che nel corso degli anni novan-
ta e più ancora nel corso degli anni 2000 anziché ridursi sono andate ad

1 Alcune evidenze empiriche sull'importanza di questi fattori tra le motivazioni alla base
della mobilità geografica da Sud a Nord sono presenti in una ricerca di qualche anno fa dell'Isfol
{La mobilità costretta. La mobilità dei giovani italiani: caratteristiche e prospettive delle Regioni
del Mezzogiorno , Roma 2006), ma si tratta di un aspetto, in genere, poco o per nulla indagato
nella letteratura scientifica.

150

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
ampliarsi. Successivamente mi soffermerò sull'evoluzione delle caratteristi-
che che l'emigrazione interna ha conosciuto soprattutto in considerazione
dell'aumento del peso della forza lavoro con maggiori livelli di istruzione e
dei processi di deregolamentazione del mercato del lavoro introdotti nella
seconda metà degli anni novanta. Nella seconda parte dell'articolo cercherò,
invece, di ragionare sull'intrecciarsi di mobilità territoriali dell'occupazione
negli attuali percorsi migratori, ad esempio, attraverso l'introduzione del
lavoro interinale e sulle dinamiche più recenti dei flussi migratori interni e
dall'estero nel contesto della crisi economica che a distanza di quattro anni
dal suo inizio non mostra fattori stabili di inversione.

2. L'emigrazione dal Mezzogiorno :


continuità , ripresa e ineluttabilità

Negli ultimi anni ha conosciuto un certo successo tra le pubblicazioni


apparse sul tema della ripresa delle emigrazioni interne un volume del vice
direttore della Svimez, Luca Bianchi2, dedicato alla ripresa dell'emigra-
zione interna ed in particolare di quella più qualificata. Questo volume
come quelli annuali della Svimez hanno avuto e continuano ad avere il
merito di indagare non solo i numeri e le forme delle migrazioni interne,
ma anche le cause e le ragioni del divario economico che sono alla base
del processo migratorio. E tra i motivi di questo divario interno le per-
duranti dinamiche differenziate degli investimenti e della spesa pubblica
ordinaria continuano a rivestire un ruolo di primo piano. In altri termini
l'aumento della propensione all'emigrazione da parte della forza lavoro
più qualificata non può essere compresa senza considerare il tema delle
caratteristiche della base produttiva, del sistema terziario e della pubblica
amministrazione meridionale. L'emigrazione qualificata è dunque cresciu-
ta, in primo luogo, perché il Mezzogiorno è rimasto deficitario sul piano
degli investimenti, sia pubblici, sia privati, ma anche perché probabilmen-
te la natura degli investimenti che si sono realizzati finora, fatte le dovute
eccezioni, non è stata in grado, o non nella misura necessaria, di favorire
un aumento significativo dell'occupazione qualificata e quindi tendenzial-
mente con livelli di istruzioni più elevati.
Il tema dei minori investimenti in relazione all'accrescimento di dina-
miche dualistiche nell'economia nazionale può essere osservato da diversi

2 L. Bianchi, G. Provenzano, Ma il cielo è sempre più su ? L'emigrazione meridionale ai tempi


di Termini Imerese. Proposte di un riscatto per una generazione sottosequestro , Castelveccni,
Genova 2010.

151

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
punti di vista. Vogliamo qui considerarne quattro: il ruolo degli investi-
menti statali, gli investimenti del settore privato, la localizzazione di inve-
stimenti esteri stranieri e le esportazioni verso l'estero. Con riferimento al
primo punto, nel corso degli anni novanta, la critica a modelli di crescita
segnati dagli investimenti esogeni ha, in qualche modo, fatto venire meno
l'attenzione nei confronti dei grandi progetti di investimento, se si fa ec-
cezione per l'esito di alcuni contratti di programma che hanno interessa-
to direttamente grandi gruppi nazionali ed esteri. È accaduto così che le
prospettive e gli indirizzi di sviluppo, complice anche alcune significative
esperienze a livello europeo3, si sono indirizzate verso le dinamiche en-
dogene della crescita, introducendo in altri termini il tema dello sviluppo
locale, a partire dalla strumentazione messa in campo con la programma-
zione negoziata fino all'attività istituzionale ed economica volta a indivi-
duare e a rafforzare forme di aggregazione territoriale delle imprese simili
ai distretti industriali Centrosettentrionali4. Ciò è avvenuto tra l'altro in
un arco di tempo, come quello che intercorre tra il 1996 e il 2007, in cui la
spesa in conto capitale in Italia è rimasta redistribuita in forma squilibra-
ta tra Mezzogiorno e Centronord. Si è, di fatto, rinunciato ad uno degli
obiettivi della politica economica nazionale che era quello di un parziale
correttivo della spesa, che nella media del periodo è stata di 784 miliardi di
euro, di cui solo il 28,5% destinato in media ogni anno alle regioni meri-
dionali a fronte di una quota di popolazione pari a circa il 36% (parametro
che costituisce tradizionalmente il valore di riferimento). Un problema
tanto più rilevante quando si afferma che
un adeguato volume di spesa in conto capitale nel Mezzogiorno costituisce di fatto
un pre-requisito per la realizzazione degli obiettivi di crescita fissati per tale area
e per il Paese nel suo complesso consentendo al contempo il miglioramento dei
servizi collettivi ancora carenti nei territori meridionali5.

In questo contesto, inoltre, i fondi della comunità europea - quan-


do non sottratti alla loro originaria destinazione - hanno contribuito a
sostituire parte del finanziamento ordinario dello Stato con un'ulteriore
riduzione della spesa in conto capitale attribuita in origine alle regioni me-

3 Si veda a questo proposito circa la genesi dell'esperienza italiana dei Patti territoriali: G.
De Rita, A. Bonomi, Manifesto per lo sviluppo locale. Teoria e pratica dei patti territorial i, Bollati
Boringhieri, Torino 1998. Per una ricostruzione del dibattito tra forme endogene ed esogene
dello sviluppo meridionale in chiave critica sull'esperienza dell'intervento straordinario si veda
C. Trigilia, Sviluppo senza autonomia , il Mulino, Bologna 1993.
4 Tra i diversi lavori sull argomento si veda quello a cura di G. Viesti, Mezzogiorno dei
distretti , Donzelli, Roma 2000.
3 Ministero dello Sviluppo economico, Rapporto Annuale del Dipartimento per lo Sviluppo e
la Coesione Economica. 2008 , Roma 2009, p. 132.

152

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
ridionali. Se si osserva, infatti, la spesa in conto capitale, una quota molto
ridotta della spesa pubblica complessiva, questa ha mantenuto tra il 1997 e
il 2001 un andamento favorevole alle regioni meno sviluppate, in linea con
gli obiettivi di riequilibrio. Tale tendenza è stata però
sostenuta dalla componente di spesa in conto capitale esplicitamente finalizzata
allo sviluppo territoriale alimentata dalle risorse nazionali del Fondo per le aree
sottoutilizzate (Fas), e dai Fondi strutturali comunitari. Questa funzione riequili-
bratrice a favore del Mezzogiorno della spesa in conto capitale, si è andata tuttavia
riducendo negli anni successivi, soprattutto a causa della notevole concentrazione
degli investimenti delle imprese pubbliche nazionali nel Centronord6.

Per quanto riguarda poi la dinamica degli investimenti fissi lordi, in cui
rientrano quelli privati, nel decennio 2001-10, se è stata negativa per tutto
il territorio nazionale, per il Mezzogiorno è risultata peggiore che nel resto
del Paese: nell'industria il tasso cumulato di variazione degli investimenti
fissi lordi è stato negativo per circa 29,6 punti percentuali, contro i 9,7 punti
percentuali del Centronord; nei servizi rispettivamente -30,3 e -6,7 punti
percentuali7. Se consideriamo poi che una parte rilevante del sistema pro-
duttivo meridionale è composto di aziende filiali di gruppi nazionali che
hanno la loro sede centrale nelle regioni Centro-settentrionali, si compren-
de bene come la riduzione degli investimenti abbia riguardato, negli ultimi
anni, per il perdurare della crisi economica, in primo luogo, proprio le unità
produttive localizzate nel Mezzogiorno. Lo confermano del resto i diversi
casi di ristrutturazione e di chiusura di stabilimenti nelle regioni meridiona-
li, spesso come conseguenza della concentrazione delle attività negli stabili-
menti principali o del trasferimento all'estero delle attività.
Con riferimento al terzo punto prima elencato, all'interno di un qua-
dro internazionale in cui l'Italia sconta una capacità attrattiva inferiore a
quella di altri Paesi europei con caratteristiche simili della struttura pro-
duttiva, gli Investimenti diretti esteri (Ide) sono ancora più deboli se non
irrilevanti nelle regioni del Mezzogiorno8: nel periodo 1999-2005 l'80%
degli Ide in termini di valore si è concentrato nelle regioni settentrionali
(principalmente Lombardia e Piemonte), il 19% nelle regioni centrali e

6 Ivi, p. 133.
7 Svimez, Rapporto Svimez 2011 sull'economia del Mezzogiorno , il Mulino, Bologna 2011,
in part. pp. 40-3.
8 Sulle ragioni di questa debolezza e del posizionamento critico dell Italia più in generale si
vedano: V. Daniele, Perché le imprese estere non investono al Sud ?, in «Rivista Economica del
Mezzogiorno», 4, 2005, pp. 795-818; R. Basile, M. Montemurro, L'attrazione di Investimenti
Diretti Esteri in Italia e nel Mezzogiorno: ruolo delle politiche nazionali e regionali , in
«L'Industria», 4, 2008, pp. 35-54; P. Pazienza, V. Vecchione, Gli IDE nelle Regioni italiane.
Fattori strutturali e istituzionali , Dipartimento di Scienze Economiche Matematiche e Statistiche,
Università di Foggia, «Quaderno», 1, 2008.

153

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
solo l'l% in quelle meridionali. Infine, per ciò che riguarda il peso del
Mezzogiorno nell'ambito del commercio estero, nel 2011 il valore dell'ex-
port delle regioni meridionali su quello nazionale è stato pari all'I 1,5%,
un valore sostanzialmente identico negli ultimi due decenni. L'export me-
ridionale è, inoltre, fortemente concentrato in alcune regioni (Campania,
Puglia e Abruzzo, Sicilia e Sardegna) e specificatamente in alcuni prodot-
ti: coke e prodotti petroliferi raffinati, autoveicoli, prodotti dell'agricol-
tura. Rispetto al totale dell'export italiano di questi prodotti le regioni
meridionali nel 2011 hanno inciso percentualmente rispettivamente per
il 72,6%, il 29,2% e il 31,1%; l'insieme di questi prodotti ha costituito
il 41,4% dell'export meridionale a fronte di un valore medio sul totale
dell'export nazionale del 9,3 %». Questi ultimi dati evidenziano, dunque,
che il Mezzogiorno rimane ancora un'area scarsamente attrattiva, ma ciò
non dovrebbe dipendere solo dalle carenze sul piano delle infrastrutture
se consideriamo che una parte delle delocalizzazioni all'estero delle stesse
imprese italiane è avvenuta in contesti geografici certamente non meno
critici. Inoltre, la sua propensione all'export rimane ancora estremamente
confinata a settori a basso impiego di manodopera come sono i prodotti
energetici e le attività agricole, senza dimenticare poi che la maggiore quo-
ta di export di autoveicoli dipende dalla localizzazione degli stabilimenti
Fiat, ma in un contesto di scarso radicamento delle imprese fornitrici e dei
servizi industriali legati al settore automotive « (il 95% dell'export di com-
ponenti per auto e motori è localizzato nelle regioni del Centronord) e
tra l'altro in un quadro di forte crisi della stessa industria automobilistica.
Sulla base di questi pochi e sintetici dati non deve pertanto stupire per-
ché negli ultimi anni si sia registrata una perdurante migrazione di forza
lavoro dalle regioni meridionali verso le regioni Centro-settentrionali e
verso l'estero11. L'emigrazione di forza lavoro qualificata è uno dei temi

9 Istat, Le esportazioni delle regioni italiane. IV trimestre 2011 , Roma 14 marzo 2012.
1U Su questa tematica rimandiamo a due nostri lavori: D. Bubbico, Quale filiera dell' automotive
nel Mezzogiorno? , in «Rivista Economica del Mezzogiorno», 3-4, 2007, pp. 815-56; Fiat e indotto
auto nel Mezzogiorno , a cura di D. Bubbico Meta, Roma 2003.
Tuttavia come scrive la Svimez ( Rapporto Svimez 2011 , p. 162), «riguardo ai trasferimenti
di residenza degli italiani verso l'estero, gli ultimi dati confermano la tendenziale contrazione
del fenomeno in atto negli anni 2000: da valori vicini alle 50.000 unità nel 2000 si scende a valori
intorno alle 40.000 unità negli ultimi due anni. Il dato complessivo sottende andamenti alquanto
diversificati per area geografica. La riduzione dei flussi migratori verso Testero è totalmente
ascrivibile alle regioni del Mezzogiorno, dove, nel loro complesso, si è passati da valori medi
superiori alle 20.000 unità nella prima metà del decennio alle circa 12.000 unità dell'ultimo triennio.
Al contrario, per le regioni del Centronord i flussi migratori verso l'estero sono in aumento: da
20.000 unità nella prima metà degli anni 2000 a quasi 25.000 nel secondo quinquennio». Nel 2009
delle 12.326 persone che hanno spostato la propria residenza da una regione del Mezzogiorno
verso l'estero (il 10,1 % del totale dei trasferimenti), solo 1.193 erano in possesso della laurea (pari
al 7% dei trasferimenti totali delle persone laureate che hanno cambiato residenza in quell'anno).

154

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
maggiormente dibattuti soprattutto nei termini di quello che nella lette-
ratura economica viene descritto come perdita del capitale umano (brain-
drain)12. A questo proposito vanno tuttavia fatte alcune osservazioni. La
crescita delle migrazioni di persone con livelli di istruzione più elevati è
senza dubbio uno dei fattori di maggiore rilievo nelle dinamiche dei re-
centi flussi migratori, ma si può affermare che la maggiore propensione
all'emigrazione di questo gruppo è dovuta anche a fattori oggettivi come
l'incremento della popolazione in possesso di più alti livelli di istruzione a
differenza del passato. Inoltre, come affermano, a questo proposito, Fran-
cesco Laganà e Alberto Violante il dato della maggiore propensione all'e-
migrazione delle persone con i titoli di studio più elevati non deve apparire
del tutto nuovo in relazione all'esperienza dei flussi migratori interni ita-
liani, come dimostrerebbero) alcune analisi econometriche relative ai flussi
migratori dei decenni passati, subito dopo il grande boom dell'emigrazio-
ne degli anni cinquanta e sessanta, con riferimento alle persone in possesso
di un titolo di istruzione superiore alla scuola dell'obbligo, sia diplomati
che laureati13. Si tratta, inoltre, di un dato che va compreso all'interno di
un generale processo di ammodernamento della struttura produttiva set-
tentrionale e dell'incapacità di quella meridionale di produrre occasioni di
impiego per posti di lavoro che richiedono maggiori livelli di istruzione,
come dimostra la localizzazione nelle regioni Centro-settentrionali delle
più importanti aziende private e a controllo pubblico (o perlomeno dei
loro centri di comando)14. Risulta poi interessante mettere in evidenza che
la propensione alla migrazione dei laureati dipenderebbe, in modo mag-
giore, oltre che dalle caratteristiche biografiche dei genitori (si tende ad

In questo quadro con riferimento al Mezzogiorno, i giovani che si trasferiscono all'estero,


seppure con qualche oscillazione, sono in aumento nel corso del decennio 2000: dall'inizio del
decennio le persone comprese tra i 25 i 34 anni sono passati al 7% al 16% dell'ultimo triennio.
Questi dati come quelli relativi alle migrazioni interne si basano, tuttavia, solo sui trasferimenti
di residenza e tengono pertanto fuori una parte forse ancora più rilevante che ha conservato e che
continua a conservare la residenza in Italia. Sulle destinazioni recenti degli italiani che si spostano
verso l'estero si veda l'ultimo rapporto della Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo
2011 y Idos edizioni, Roma 2011.
12 Tra i numerosi lavori sull argomento segnaliamo quelli di u. Cinaci, La fuga del capitale
umano dal Mezzogiorno: un catching-up sempre più difficile , in «Rivista Economica del
Mezzogiorno», 2-3, 2005, pp. 369-404; R. Piras, Un'analisi dei flussi migratori interregionali dei
laureati: 1980-1999 , 1, 2005, pp. 129-62; G. Viesti, Nuove Migrazioni. Il trasferimento di forza
lavoro giovane e qualificata aa Sud al Nord , in «Il Mulino», 4, 2005, pp. 678-88.
13 F. Laganà, A. Violante, Rocco e i suoi eredi: permanenza e mutamento nelle migrazioni
Sud-Nord, in «Sociologia del Lavoro», 121, 2011, pp. 30-50.
14 Un caso particolarmente interessante e quello dell r,ni, la societa le cui attività produttive
(estrattive e di altra natura) sono concentrate in Italia in buona parte nel Mezzogiorno
(principalmente tra Basilicata e Sicilia) mentre tutta l'attività amministrativa e di ricerca è
localizzata in Lombardia dove la presenza di personale laureato proveniente dalle regioni
meridionali è considerevole.

155

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
emigrare di più se i propri genitori sono laureati), soprattutto dal fatto di
non avere genitori professionisti o posizionati in posti chiave per l'accesso
all'occupazione15. In questo contesto non va infine dimenticato il numero
rilevante di studenti universitari meridionali iscritti negli atenei del Cen-
tro e del Nord Italia o che vi arrivano successivamente per il consegui-
mento della laurea specialistica o di un master. Questi costruiscono un
canale che il più delle volte è propedeutico all'inserimento nel mercato del
lavoro locale, anche se non necessariamente con forme contrattuali stabili
e per ricoprire postazioni di lavoro qualificate.
Un altro canale che fino ad oggi ha consentito il trasferimento di perso-
nale laureato è quello dei concorsi pubblici, in particolare in alcuni settori
come la scuola e i ministeri. Il dato del personale scolastico è a questo
proposito particolarmente rilevante e come sappiamo oggetto di continui
tentativi di limitare l'accesso alle graduatorie al personale proveniente dal
Mezzogiorno, soprattutto in alcune regioni come la Lombardia. Secon-
do dati forniti dal ministero della Pubblica istruzione che incrociano il
luogo di nascita con quello di insegnamento nell'anno scolastico 2001-
2, il 14% del personale, in prevalenza femminile, impegnato nelle scuole
settentrionali era originario del Mezzogiorno, il 6,7% nelle scuole delle
regioni centrali (contro un valore del 2,4% per quanto riguarda il perso-
nale nato in una regione Centro-settentrionale ma impiegato in una scuola
del Mezzogiorno). Un dato, tuttavia, ancora più significativo è quello che
riguarda il solo personale a tempo determinato, rispettivamente il 26,7%
e il 7,3% nelle regioni settentrionali e in quelle centrali16. Pur non essendo
disponibili dati più recenti si può ritenere, tuttavia, che queste percentuali
siano cresciute ulteriormente, soprattutto per quanto riguarda il personale
supplente, pur considerando i tagli all'istruzione dell'ultimo governo di
centro-destra che hanno avuto come conseguenza principale proprio la
riduzione del personale insegnante e amministrativo.

3. Offerta di lavoro in eccesso, domanda di lavoro a termine


e cambi di residenza

La ripresa di flussi migratori dal Mezzogiorno verso il resto del territo-


rio nazionale, e più di recente verso l'estero, è dovuta principalmente alla

15 R. Impicciatore, D. Tuorto, Mobilità interna e istruzione universitaria: risorse familiari,


individuali e opportunità di ascesa sociale nell'occupazione > in «Sociologia del Lavoro», 121, 201 1,
pp. 51-78.
16 Ministero della Pubblica istruzione, Il chi è della scuola italiana. , gli istituti , gli studenti ,
i docenti , «Quaderni degli Annali dell'Istruzione», 100, Le Monnier, Firenze, settembre 2003.

156

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
debolezza della domanda di lavoro del mercato del lavoro locale, della quale
abbiamo cercato di rintracciare le cause nel precedente paragrafo. Tra l'altro
ciò si manifesta, al di là del periodo più recente contrassegnato dagli effetti
della crisi, in un contesto territoriale dove per tutti gli anni 2000 i tassi di
attività della popolazione, e dunque di partecipazione attiva al mercato del
lavoro, sono rimasti bassi, segno che una parte dell'offerta è rimasta solo
potenziale, non presentandosi neppure sul mercato del lavoro (effetto sco-
raggiamento, prolungamento forzato dei cicli dell'istruzione, ecc.) o parte-
cipandovi in maniera molto discontinua. La tendenza a non ripresentarsi
sul mercato del lavoro è un dato che sembra valere soprattutto per il Mez-
zogiorno e in particolare per le donne. L'Istat stima, sulla base dell'analisi
longitudinale della rilevazione continua delle forze di lavoro, che se il tasso
di transizione dalla disoccupazione verso l'inattività potenziale nel qua-
driennio 2004-8, assume valori compresi tra il 12,3% e il 14,7% nella media
nazionale, per le donne residenti nel Mezzogiorno tale percentuale sale al
18 ,7%17. Nel biennio 2010-1 1 su circa 2,8 milioni di «inattivi disponibili che
non cercano lavoro», i due terzi erano concentrati nelle regioni meridionali,
pari al 27,2% delle forze lavoro, contro valori del 4,5% e del 7,3% rispetti-
vamente nel Nord e nel Centro Italia18. In questo quadro nel 201 1 il tasso di
disoccupazione nel Mezzogiorno ha raggiunto il 13,4%, contro il 5,8% del
Nord e il 7,6% del Centro. Ma come scritto in precedenza il dato che deve
far riflettere maggiormente è quello dell'inattività. Sempre nella media dei
valori del 2011 questo tasso è risultato nelle regioni meridionali pari al 49%
(il 63,2% per le sole donne), contro valori medi a livello nazionale rispetti-
vamente del 37,8% e del 48, 5%19.
Anche se consideriamo la cosiddetta occupazione discontinua o inter-
mittente, il quadro non cambia. Sulla base dell'incrocio di diverse banche
dati (Inps, Rilevazione continua delle forze di lavoro, Centri per l'impie-
go), Trivellato mostra che i livelli più bassi di mobilità, ovvero di passaggio
da un'occupazione ad un'altra, avvengono nel Mezzogiorno, dove
la frazione di movimenti job-to-job è relativamente bassa, dell'ordine del 19%;
all'opposto, i tempi di rientro nell'occupazione dipendente privata extra-agricola
sono dilatati, interrotti da lunghi episodi di non occupazione - la frazione di ri-

17 Istat, La mobilità nel mercato del lavoro: principali risultati dell'indagine 2004-2008 , Roma
2010. Tassi più elevati si registrano, con riferimento allo stesso intervallo di tempo, per chi non ha
esperienze lavorative pregresse, il 16% mediamente contro il 12% di chi ha esperienze di lavoro,
mentre la probabilità di transizione verso l'inattività aumenta al crescere della aurata della ricerca
di lavoro e diminuisce all'elevarsi del titolo di studio.
18 Istat, Disoccupati , inattivi, sottoccupati. Report, Roma 19 aprile 2012.
19 Istat, Occupati e disoccupati. Anno 2011 , Roma 2 acrile 2012. Il tasso di inattività viene
calcolato come rapporto tra le persone non appartenenti alle forze di lavoro in età di lavoro e la
corrispondente popolazione di riferimento (15-64 anni).

157

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
entri entro Panno supera appena il 40% Ciò suggerisce che all'elevata mobilità
si accompagna una marcata segmentazione: e tutto ciò avendo come sfondo un
basso tasso di attività. [...] Una sorta di «cattiva» mobilità, ben diversa da quella
relativamente «buona» che si osserva nel Nordest (dove una percentuale notevole
di lavoratori - il 39% - transita job-to-job o comuna ue ha prevalentemente suc-
cessioni di lavori interrotti da periodi piuttosto brevi di non occupazione, sicché la
frazione di rientri entro l'anno sfiora il 61 %)20.

Ancora oggi nel dibattito sull'ennesima riforma del nostro mercato del
lavoro si discute rispetto ad un mercato considerato ancora troppo rigido,
eppure i dati appena riportati mostrano che quello italiano è un mercato
del lavoro molto mobile. L'evidenza di questa rigidità starebbe, ad esem-
pio, secondo alcuni nella bassa mobilità geografica della forza lavoro ita-
liana, soprattutto nel confronto con quella di altri Paesi in Europa21, anche
se non esistono ad oggi precise evidenze statistiche al proposito in grado
di dimostrare differenze significative nella mobilità all'interno dei Paesi
europei22. Anche sul piano statistico i dati Eurostat non rendono possi-
bile un confronto tra i diversi Paesi dell'Unione europea, se facciamo, ad
esempio, riferimento ai dati di natura demografica riferiti al movimento
migratorio. Bisogna poi considerare altri due aspetti per comprendere pie-
namente la dimensione reale della mobilità geografica per motivi di lavoro

20 U. Trivellato, Uso e integrazione di dati amministrativi e da surveys nel Progetto Miur


«Dinamiche e persistenze nel mercato del lavoro italiano », Università di Padova, 2006, p. 3; si
veda anche Eppur di muove. Dinamiche e persistenze nel mercato del lavoro italiano , a cura p. di'u.
Trivellato e B. Contini, il Mulino, Bologna 2006.

alimentato 21
ha alimentato Questapubblicazioni
diverse posizione, oggidiparzialmente rivista, ma solo per
stampo «confindustriale» cheeffetto della sull'esistenza
insistono crisi economica,
di
una bassa mobilità geografica interregionale. Tra queste segnaliamo La mobilità della società
italiana , a cura di G. Galli, SIPI, Roma 1996 e quella di I. Cipolletta et al. , Mercato degli affitti ,
regole e mobilità , Centro studi Confindustria, Roma 2006. Per una panoramica , sulla mobilità ,
geografica in Europa e nei mercati del lavoro a livello nazionale e regionale si veda il recente
lavoro Measuring Geographical Mobility in Regional Labour Market Monitoring , eds. C. Larsen
et al. y Rainer Hampp Verlag, München u. Mering 2011.
Y?vPilîttosto messo in evidenza, come dimostrano i dati dell'Eurobarometro, che la
probabilita di spostarsi, ad esempio, all'interno dei Paesi dell'Unione europea non è molto
elevata. In altri termini la mobilità transfrontaliera incontra degli evidenti limiti dovuti ai canali di
accesso al lavoro, alle competenze linguistiche, al possesso o meno di elevati livelli di istruzione,
senza escludere 1 importanza delle reti sociali nei Paesi di origine, «The conclusion is that at
present cross-border mobility in Europe is not very high. But can we expect it to increase in
the near future? Not dramatically and not for all EU-25 countries so the data tell us. This is
likely explained by the fact that moving across borders involves the loss of social networks in the

of country of origin, it also involves the auest for new employment opportunities, and the learning
of new language skills. The European diversity in past mobility and migration intentions is large.
Also within the New Member States the mobility variations across countries are substantial. In
this sense, an old-new divide" in the mobility statistics is a too simplistic representation of the
great diversity in mobility patterns in Europe», D. Fourage, P. Ester, Long distance mobility and
migration intentions in Europe , in « Over.Werk », Tijdschrift van het Steunpunt ť WAV/Uitgeverii 6 }
Acco, 3, 2006, pp. 9-14. ť 6 }

158

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
nel nostro Paese, una mobilità tra l'altro tutta unidirezionale a differenza
di molti Paesi (compresi gli Stati Uniti) perché principalmente disposta
sull'asse Sud-Nord. Questi due aspetti sono, da un lato, il fatto che finora .
le misure e le stime della mobilità si sono basate sui trasferimenti di resi-
denza e, dall'altro, che le forme e l'organizzazione della mobilità sono in
parte radicalmente mutate, soprattutto in relazione ai tempi di permanen-
za e alla crescita del cosiddetto pendolarismo di medio e lungo raggio.
Nel complesso secondo gli ultimi dati resi disponibili dall'Istat per
il periodo 1995-2010, abbiamo assistito ad una perdita netta costante di
popolazione da parte delle regioni meridionali, a favore di tutte le altre
ripartizioni, anche se con valori decrescenti per il Nordest a causa della
crisi economica e della riduzione dell'occupazione del sistema industriale
che in questa ripartizione aveva alimentato buona parte della domanda di
lavoro ancora in anni recenti. Come mostra la figura 1 anche se il saldo
negativo per il Mezzogiorno tende a ridursi nell'ultimo biennio (2009-
10), questo rimane pur sempre intorno alle 40.000 unità, la metà del saldo
negativo massimo registrato nel 2000, circa 90.000 persone.

Figura 1. Saldi migratori per trasferimento di residenza interregionale


per le diverse ripartizioni dell'Italia dal 1995 al 2010 (valori assoluti).

Fonte: elaborazione dell'autore su dati Istat.

159

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
Dalla seconda metà degli anni novanta i saldi migratori interregionali
hanno costantemente indicato valori positivi maggiori per le regioni del
Nordest rispetto a quelle del Nordovest: la domanda industriale di Ve-
neto ed Emilia-Romagna si è posta, infatti, come uno dei principali fat-
tori attrattivi. Negli ultimi anni del decennio 2000 per effetto della crisi
questa domanda si è però ridotta, ma come mostrano i dati della tabella
1 i saldi interregionali per le regioni del Nordest rimangono comunque
ancora molto elevati anche se decisamente inferiori per il Veneto rispetto
agli anni precedenti.
Nel 2010, nel pieno della crisi economica, le due regioni che mostrano
ancora la più elevata capacità attrattiva rimangono la Lombardia e l'Emi-
lia-Romagna, mentre al contrario le regioni che continuano più di altre a
perdere popolazione sono Campania, Puglia, Sicilia e Calabria. Nel com-
plesso, se consideriamo solo il 2010, il 37% del saldo a favore delle regioni
Centro-settentrionali ha interessato il Nordovest, il 33% il Nordest, il
31% Centro Italia, in particolare Toscana e Lazio. In questo quadro si
osservi, inoltre, che la Campania è sostanzialmente Tunica regione meri-
dionale che perde popolazione anche a favore del resto delle altre regioni
meridionali a dimostrazione della presenza di un livello più alto di offerta
di lavoro inevasa. In provincia di Napoli questo dato si combina con la
più giovane struttura della popolazione e spiega perché la propensione
all'emigrazione da questa provincia sia particolarmente forte e tra le più
elevate tra le province meridionali.
Secondo alcune analisi condotte dalPlstat alla fine degli anni novanta,
sulla base dei dati relativi ai soli trasferimenti di residenza, le province più
attrattive risultavano concentrate in particolare in Emilia-Romagna, lungo
la costa marchigiana, in Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Toscana e Veneto.
Vi era poi una zona caratterizzata da minore dinamicità, dove i saldi mi-
gratori si attestavano su valori prossimi allo zero o solo leggermente nega-
tivi, collocata per lo più nelle aree interne dell'Italia Centro-meridionale,
mentre tra le province del Mezzogiorno con saldi medi negativi le perdite
più consistenti si avevano in Calabria, Sicilia, Campania e Puglia. L'Istat
spiega che questi andamenti del movimento migratorio trovavano una si-
gnificativa corrispondenza nella dinamica dell'occupazione nell'industria
e nei servizi registrata dagli ultimi tre censimenti generali dell'Industria e
dei Servizi (1991, 1996 e del 2001), i cui dati caratterizzano il quinquen-
nio 1991-96 come una fase di ristagno della crescita e il successivo (1997-
2001) come un periodo di ripresa di una dinamica di espansione. Negli
anni novanta e fino alla prima metà degli anni 2000 si è riattivato, dunque,
un meccanismo che collega la crescita economica delle aree «forti» all'e-
migrazione dalle aree «deboli». Tuttavia, l'Istat mette in evidenza che, ad

160

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
Tabella 1. Saldi migratori interregionali, per regione.
Anno 2010 (valori assoluti).
Regioni
Italia Nordovest Nordest Centro Sud Isole
Piemonte 2.580 193 ^273 ^9 2.044 625
Valle d'Aosta -67 -154 -7 -8 79 23
Lombardia 11.821 -456 -385 355 9.130 3.177
Trentino- Alto Adige 2.438 393 493 274 911 367
Veneto 1.361 -556 -849 30 1.978 758
Friuli-Venezia Giulia 1.429 -24 150 123 953 227
Liguria 1.241 417 6 -121 783 156
Emilia-Romagna 8.624 846 206 1.268 5.633 671
Toscana 6.038 913 -21 611 3.898 637
Umbria 1.651 -100 -185 901 926 109
Marche 142 -62 -479 77 726 -120
Lazio 5.233 -968 -1.010 -1.589 7.700 1.100
Abruzzo 199 -263 -562 -234 1.255 3
Molise -363 -190 -197 -279 291 12
Campania -18.635 -5.505 -3.889 -7.323 -1.706 -212
Puglia -7.784 -2.915 -2.789 -2.229 40 109
Basilicata -2.044 -646 -505 -855 -35 -3
Calabria -6.323 -2.517 -1.533 -2.330 155 -98
Sicilia -7.428 -4.059 -1.851 -1.515 55 -58
Sardegna -113 78 -172 -211 134 58
Italia - -15.575 -13.852 -13.064 34.950 7.541
Nordovest 15.575 - -659 217 12.036 3.981
Nordest 13.852 659 - 1.695 9.475 2.023
Centro 13.064 -217 -1.695 - 13.250 1.726
Sud -34.950 -12.036 -9.475 -13.250 - -189
Isole -7.541 -3.981 -2.023 -1.726 189

Fonte: Istat, Trasferimenti di residenza , anno 2010.

esempio, per il periodo 1997-2001, la distribuzione dei tassi di crescita


dell'occupazione nell'industria e nei servizi e la distribuzione dei saldi mi-
gratori interregionali non risultano fortemente correlate:
molte province meridionali, in particolare, presentano saldi migratori negativi a
fronte di tassi di crescita dell'occupazione pari o superiori a quelli delle province
del Centronord. La dinamica dell'occupazione, dunque, non è di per sé sufficiente
a spiegare la ripresa del movimento migratorio e, tanto meno, l'orientamento dei
flussi. Per stabilire una relazione convincente fra comportamento migratorio e per-
formance occupazionale occorre introdurre un terzo elemento, che - combinato

161

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
con il tasso di crescita degli addetti - caratterizza assai più efficacemente il profilo
economico delle province: il tasso di disoccupazione. L'ipotesi è che i nuovi flussi
migratori non siano diretti genericamente verso le province con i più alti tassi di
crescita, ma verso quelle in cui alti tassi di crescita si combinano con bassi livelli di
disoccupazione. Solo in queste province, collocate prevalentemente nel Nordest e
nell'Italia centrale, la creazione di nuovi posti di lavoro può richiamare manodo-
pera esterna, mentre nelle province meridionali l'incremento degli addetti, dove si
è verificato, ha recuperato soprattutto forze di lavoro locali, riducendo il tasso di
disoccupazione23.

La capacità attrattiva dei sistemi manifatturieri delle regioni Centro-


settentrionali è rimasta forte ancora negli anni 2000. Una conferma ulte-
riore viene sempre dall'Istat sulla base però questa volta dell'incrocio dei
dati relativi ai movimenti migratori interni con quelli dei Sistemi locali del
lavoro (d'ora in poi SII). Nel periodo 2002-6 per quanto riguarda le dina-
miche migratorie dei SII per specializzazione produttiva prevalente, si os-
serva in particolare un'alta dinamicità sia endogena (dovuta all'incremento
naturale della popolazione) sia esogena (dovuta al movimento migratorio
interno e con l'estero) in alcuni Sii del Nordest, e specificatamente nei
sistemi del tessile, delle pelli e dell'abbigliamento e nei sistemi della ma-
nifattura pesante. Più in generale, i dati mostrano valori positivi per tutti
i Sil del Nordest, ma anche per i Sil del made in Italy del Nordovest e del
Centro ed in particolare per i Sil della manifattura pesante del Nordest e
del Centro. Questi dati confermano, a nostro parere, che ancora nel corso
degli anni 2000 una parte rilevante dei flussi migratori per motivi di lavoro
è rimasta legata ad una sostenuta domanda di lavoro industriale, in gran
parte sostitutiva, che in alcuni casi e in alcuni contesti regionali si è intrec-
ciata con l'offerta di lavoro straniera e in altri con vecchi canali migratori
degli anni sessanta e settanta dovuti alla permanenza nel tempo di comuni-
tà originarie delle regioni meridionali presenti ormai stabilmente in alcuni
territori industriali del Centronord24.
In attesa dei dati definitivi del Censimento generale della popolazione
2011 che dovrebbero fornire qualche dato aggiuntivo sulla mobilità geo-
grafica, non esistono altre banche dati (ad eccezione di quelle dell'Inps) in
grado di descrivere la mobilità per motivi di lavoro nel nostro Paese. Del
resto anche l'analisi sui trasferimenti di residenza ci dice solo della mobi-
lità geografica e non certo delle motivazioni che sono alla base dei trasfe-

23 Istat, Rapporto Annuale. Anno 2003 , Roma 2004, p. 276, si veda in particolare il
sottoparagrafo 4.5.2 {Dinamiche occupazionali e migrazioni interne).
24 Su questo tema si veda D. Bubbico, Da Sud a Nora: i nuovi flussi migratori interni. Una
ricerca delta Fiom Cgil Emilia-Romagna tra i lavoratori delle aziende meccaniche , Franco Angeli,
Milano 2005; Id., Uemigrazione operaia e a bassa qualificazione dal Mezzogiorno , in «Sociologia
del Lavoro», 121, 2011, pp. 134-51.

162

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
rimeriti. I cambiamenti di residenza non sono, inoltre, sempre immediati e
necessari. Per esempio in un'indagine condotta a metà degli anni 2000 su
un campione di 300 operai metalmeccanici meridionali occupati in Emilia-
Romagna (quasi totalmente con un contratto a tempo indeterminato), si
è rilevato che solo il 71% aveva provveduto al cambio della residenza e
tra questi solo poco più delle metà entro 6 mesi dall'arrivo nella regione,
mentre il rimanente 29% del campione dichiarava che aveva mantenuto
per ragioni diverse la residenza nella regione di origine25.
Il quadro appena descritto informa di una situazione piuttosto diffusa.
Se non vi è alcuna obbligatorietà nel cambio di residenza, e non potreb-
be essere diversamente, in caso di lavoro fuori regione ormai da diversi
anni non esiste neppure più l'obbligo di trasferimento dell'iscrizione da
un Centro per l'impiego ad un altro. In genere i cambi di residenza sono
associati a progetti di permanenza di medio-lungo periodo o tendenzial-
mente di stabilizzazione. Nell'ultimo decennio, tuttavia, questi progetti e
quindi gli stessi cambi di residenza sono stati condizionati dalle provvi-
sorietà dei rapporti di lavoro e quindi dall'incertezza contrattuale che ne
consegue. In questo contesto l'introduzione in Italia del lavoro interinale
alla fine degli anni novanta - poi divenuto «lavoro in somministrazione»
con la legge 30 del 2003, quando sono cioè saltati molti dei vincoli che
pure erano previsti nella legge 196 del 1997 sulle modalità di ricorso a
questo strumento contrattuale - ha rappresentato sicuramente un fattore
agevolativo della mobilità interna per motivi di lavoro per il diverso ruolo
e per le maggiori possibilità di intermediazione e avviamento al lavoro ri-
conosciute alle agenzie interinali rispetto ai Centri per l'impiego26. A que-
sto proposito, come mostrano Lodovici e Torchio dall'analisi sui dati del
Campione longitudinale degli attivi e dei pensionati (Clap)27 per i primi
anni di attivazione del lavoro interinale (1998-2001) si evince che
la mobilità di lungo periodo è [...] significativa per i lavoratori nati nel Sud e nelle
Isole. Difatti, più del 50% degli individui nati nel Mezzogiorno d'Italia, e che passa
attraverso almeno un'esperienza di lavoro interinale durante il periodo 1998-2001,
svolge la prima mansione interinale nel Nord (il 34% nel solo Nordovest)28.

25 Id., Da Sud a Nord cit.


26 Non va dimenticato che negli anni alcuni progetti di sostegno alla mobilità territoriale
sono stati promossi dal ministero del Lavoro in collaborazione con i Centri per l'impiego. Su
questo si veda in particolare il rapporto Isfol in precedenza citato, in particolare il paragrafo 2.3, e
Confindustria Emilia-Romagna, Mobilità Nord/ Sud e risorse umane in Emilia-Romagna analisi
e proposte di politiche di accoglienza e sostegno della mobilità geografica , Bologna 2003.
¿/ A sua volta basato su un campione integrato di dati tratti dai vari archivi dell'Inps.
M. d. Lodovici, N. lorchio, IL Lavoro interinale m una prospettiva territoriale: differenze
regionali, mobilità geografica e transizioni dei lavoratori interinali nel Campione Longitudinale
degli Attivi e dei Pensionati , Associazione Italiana degli Economisti del Lavoro, Roma 2005.

163

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
4. La mobilità degli occupati
e V emigrazione qualificata dal Mezzogiorno

Periodicamente nel dibattito sul mercato del lavoro italiano da parte


di molti osservatori, nonché da parte di molti studiosi, un'affermazione
ricorrente è quella relativa al fatto che questo è troppo rigido e, dunque,
poco mobile. Su questa premessa, a partire dal 1997 con l'introduzione
del territoriale Pacchetto Treu, passando per la legge 30/2003 fino al re-
cente dibattito sull'ennesima riforma del mercato del lavoro proposta dal
governo «tecnico» di Mario Monti, si sono costruite misure e strumenti
di flessibilità in ingresso e in uscita che hanno avuto lo scopo di rendere il
nostro mercato del lavoro ancora più flessibile e mobile di quanto già non
lo fosse. Eppure nella stessa letteratura economica italiana già dieci anni fa
si faceva notare che l'ampiezza del turnover in Europa (compresa l'Italia)
e gli Stati Uniti, nonostante la diversa performance occupazionale, fosse
sostanzialmente simile. Scrive, infatti, Bruno Contini che
I tassi di creazione e di distruzione di posti di lavoro in Europa sono stati
alPincirca delP8-12% annuo negli anni ottanta e novanta; negli Stati Uniti sono
attestati intorno al 10%. [...] Analogamente, l'entità dei flussi tra lavoro, inoccu-
pazione e disoccupazione, e tra posti di lavoro in imprese diverse, è molto grande
anche quando la creazione netta di lavoro è nulla. Ogni anno uno su tre/quattro
lavoratori lascia il suo posto di lavoro in tutte le economie occidentali, e all'incirca
lo stesso numero si inserisce in una nuova realtà occupazionale. Anche sotto que-
sto aspetto le differenze tra Europa e Stati Uniti sono minori di quanto ci sarebbe
potuto aspettare29.

Questa citazione serve per approfondire almeno due aspetti. Il primo è


che la mobilità occupazionale nel nostro Paese, complice anche la diversa
disciplina dei licenziamenti per le imprese fino a 15 dipendenti, era già
molto elevata alla fine degli anni novanta30 e lo è diventata ancora di più
nell'ultimo decennio. I flussi di manodopera dal Mezzogiorno dagli anni
novanta in poi, anche per effetto dell'aumento delle tipologie atipiche del
rapporto di lavoro, si sono inseriti pienamente in questa più ampia mo-

Evidenze simili con riferimento ad un campione di lavoratori siciliani della Manpower, una delle
principali agenzie del settore, vengono anche dal lavoro di P. Ichino, F. Mealli, T. Nannicini,
II lavoro interinale in Italia. Trappola del precariato o trampolino verso un impiego stabile ?,
Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, Roma 2003.
29 Osservatorio sulla mobilita del lavoro m Italia , a cura di B. Contini, il Mulino, Bologna
2002, p. 15.
30 Nel 2009 esclusi gli addetti in agricoltura e nella pubblica amministrazione, quelli
occupati in imprese con meno di 20 dipendenti erano in Italia poco più di 10 milioni, pari a circa
il 60% degli occupati totali; allo stesso tempo le imprese con più di 20 dipendenti costituivano
meno del 2% del totale delle imprese, si veda Istat, Struttura e dimensione delle imprese. Anno
2009 , Roma 2011.

164

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
bilità, tanto che uno degli aspetti che contribuisce a differenziare questa
mobilità, rispetto a quella degli anni cinquanta e sessanta, è proprio la di-
versa condizione contrattuale, sostanzialmente precaria con tutti gli effetti
che ne conseguono per ciò che riguarda il progetto migratorio31. Si tenga
poi conto del fatto che le analisi ad oggi disponibili sulla mobilità occupa-
zionale si riferiscono solo a quella regolare (quella proveniente dall'analisi
degli archivi Inps piuttosto che dall'indagine dell'Istat Forze di lavoro ) e
che pertanto non è contemplata quella degli individui che sono privi di
rapporti di lavoro contrattualizzati, fattispecie che pesa ancora molto e in
modo più ampio nel mercato del lavoro delle regioni meridionali.
Il secondo aspetto riguarda il fatto che proprio la permanenza di flus-
si in uscita dalle regioni meridionali dimostra, invece, come sia esistita
e continui ad esistere una mobilità geografica anche in assenza di una
crescita dei livelli retributivi del lavoro dipendente nelle regioni setten-
trionali. Semmai il vero incentivo è rappresentato, in molti casi, dalla
maggiore probabilità di essere assunti con un contratto di lavoro regola-
re (e quindi la sicurezza anche sul piano contributivo) e dalla possibilità,
o almeno era così fino a non poco tempo fa, di poter cambiare lavoro
con una certa facilità o di trovarlo anche per il proprio partner vista la
maggior possibilità di inserimento occupazionale delle donne tanto nel
settore industriale quanto nel settore dei servizi, anche se negli ultimi
anni la propensione ad emigrare della componente femminile è cresciuta
più di quella maschile e si esprime sempre più in forme indipendenti,
cioè non più al seguito del partner32.
Un altro fattore che bisogna prendere in considerazione per analizzare
l'effettiva entità della mobilità geografica per motivi di lavoro nel nostro
Paese, come affermato in precedenza, è quello relativo ai trasferimenti
senza cambio di residenza e alla mutazione dei modelli migratori. Si tratta
di un fenomeno molto diffuso, che come abbiamo cercato di spiegare in
precedenza può dipendere da una varietà di fattori, tra cui quello relativo
all'incertezza occupazionale è sicuramente tra i primi, senza considerare
poi le condizioni del mercato immobiliare e la ricerca continua di costi

31 Come abbiamo avuto modo di evidenziare nella ricerca sui lavoratori meridionali
impiegati nelle aziende metalmeccaniche delPEmilia-Romagna a metà degli anni novanta, questa
condizione è stata quasi sempre quella iniziale, ma in un contesto nel quale, sia l'occupazione
in una grande azienda, sia il maggior potere contrattuale delle organizzazioni sindacali hanno
consentito in molti casi dopo alcuni rinnovi di trasformare questi rapporti in occupazione a
tempo indeterminato. Già allora, tuttavia, la condizione di lavoro nelle Pmi metalmeccaniche,
spesso artigiane, evidenziava un quadro diverso sul piano della stabilità occupazionale.
32 Si veda ad esempio il caso di un piccolo campione di donne emigranti dalla Campania
analizzato da P. Pilato, Partire da sole: migrazioni femminili dalla Campania alV Emilia-Romagna ,
in «Sociologia del Lavoro», 121, 2011, pp. 152-67.

165

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
minori, ad esempio, per quanto riguarda gli affitti. Ad oggi l'unica stima
di quanti, pur non avendo modificato la residenza lavorano stabilmente
in un'altra regione fuori dal Mezzogiorno, è quella resa possibile dai dati
Istat della Rilevazione continua delle forze di lavoro (Refi). L'indagine
sulle forze di lavoro consente, infatti, di avere informazioni aggiuntive sul
tipo di contratto e sulle forme di trasferimento, in particolare cosiddetto
pendolarismo di lungo raggio, quello più sensibile al ciclo economico. Se-
condo la Svimez che ha elaborato i dati della Refi, nella media del 2010 i
lavoratori residenti nel Mezzogiorno, ma occupati nel Centronord Italia
erano 121.000 (13.000 quelli all'estero) pari al 2,2% degli occupati residen-
ti nel Mezzogiorno, in sensibile calo rispetto al 2008 (-40.000), come risul-
tato di un pendolarismo inferiore verso il Centronord e di un aumento di
quello verso l'estero. Dal confronto con le caratteristiche dell'occupazio-
ne in complesso questi occupati presentano
una struttura sensibilmente diversa per sesso, età, stato civile, condizione pro-
fessionale e grado di istruzione. In particolare i pendolari di lunga distanza sono
prevalentemente maschi, giovani single o figli cne ancora vivono in famiglia, di-
pendenti a termine e collaboratori, prevalentemente impiegati a tempo pieno. I
pendolari meridionali in complesso si caratterizzano per un elevato grado di istru-
zione e per una professionalità più elevata rispetto agli occupati totali33.

Questi occupati sono, dunque, generalmente in possesso di livelli di


istruzione più elevati e di occupazioni professionalmente più qualifica-
te. Tra l'altro nel confronto con il 2009, questi aspetti hanno garantito
nell'ambito della crisi economica, secondo la Svimez, una maggiore pro-
babilità di non essere licenziati.
Come scritto precedentemente uno dei temi di maggior interesse su cui
si è concentrata di più l'attenzione degli studiosi negli ultimi anni, è quello
dell'emigrazione della forza lavoro con livelli di istruzione più elevati, in
possesso della laurea ma anche di livelli di istruzioni superiore. Una con-
ferma della maggiore probabilità di emigrare in altre regioni si può avere
dalle dinamiche occupazionali della figura dei dottori di ricerca. Anche se il
dottorato di ricerca veicola molto spesso l'emigrazione in altri contesti ter-
ritoriali e verso l'estero è significativo che tra i dottori di ricerca che hanno
conseguito il titolo nel 2004 e nel 2006, solo il 74% che prima dell'iscrizio-
ne all'università risiedeva nelle regioni meridionali continui a vivere abi-
tualmente nella stessa ripartizione al momento dell'intervista (tra la fine del
2009 e l'inizio del 2010), mentre tale valore percentuale sale all'87,4% tra chi
risiedeva nel Centro e nel Nord. Questo significa che coloro che erano resi-

33 Svimez, Rapporto Svimez 2011 cit., pp. 162-3.

166

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
denti nel Mezzogiorno sono adesso per il 21,6% residenti in un'altra ripar-
tizione territoriale (Centro o Nord) contro solo il 4,2% dei dottori di ricer-
ca settentrionali, che in misura doppia risiedono all'estero rispetto a quelli
meridionali34. Se questi dati mettono, da un lato, in evidenza le maggiori dif-
ficoltà delle università meridionali sul piano finanziario e delle opportunità
occupazionali, dall'altro lato riflettono probabilmente la maggiore e diversa
possibilità di inserimento occupazionale nelle regioni Centro-settentrionali,
tanto nella ricerca universitaria, quanto nel settore privato.
Una conferma aggiuntiva proviene anche dall'analisi dei dati sull'inseri-
mento occupazionale dei laureati. Secondo un recente lavoro di Tivoli e altri,
se tra i diplomati, a tre anni dal conseguimento del titolo, la mobilità è piuttosto
contenuta, tra i laureati tale fenomeno è sensibilmente più rilevante con flussi consi-
stenti dalle regioni meridionali verso il Centronord. Per tutte le regioni meridionali,
il tasso di disoccupazione calcolato con riferimento alla regione di residenza prima
dell'iscrizione all'università è più basso rispetto a quello misurato relativamente al
domicilio del laureato al momento dell'intervista, con un gap particolarmente consi-
stente (da 4 a 5 punti percentuali); si mantiene, invece, sostanzialmente invariato per
le reeioni del Centronord. Di più, a livello regionale spiccano inequivocabilmente
le relativamente elevate quote di lavoro «di qualità» del Trentino- Alto Adige, del
Piemonte e della Lombardia; quote che per queste regioni sono elevate tanto dal
punto di vista oggettivo quanto per quello di percezione soggettiva e suggeriscono
l'esistenza di percorsi «migratori» verso il lavoro di alta qualità35.

In altri termini gli autori osservano che la probabilità di rimanere


disoccupati a tre anni dalla laurea per i residenti nel Mezzogiorno è mag-
giore rispetto a coloro che hanno invece deciso di intraprendere il per-
corso migratorio36.
La crescita della componente con più elevati livelli di istruzione è come
abbiamo scritto in precedenza una delle caratteristiche dei flussi migra-
tori interni più recenti: più della metà delle persone che hanno lasciato il
Mezzogiorno nel 2009 aveva un diploma (33,6%) o una laurea (21%). Per

34 La ricerca Istat, Mobilità interna e verso l'estero dei dottori di ricerca , Roma 2011 è stata
realizzata tra il dicembre 2009 e il febbraio 2010 con riferimento a quanti hanno conseguito il titolo
di dottore di ricerca nel 2004 e nel 2006, rispettivamente 8.443 e 10.125 individui (popolazione
di riferimento).
35 A. Tivoli, M. Strozza, F.M. Rottino, Studiare. . . e poi ? Oggettività e percezione della
qualità del lavoro , Istat, working paper n. 17, 201 1, p. 46.
36 Secondo Tivoli et. al la situazione registrata nel 2007 conferma una tendenza in atto già da
diversi anni. Con riferimento ai laureati del 1998 e del 2001 intervistati a tre anni dal titolo Tivoli
et al. citando D'Antonio e Scarlato, sottolineano che «per Pinsieme dei laureati del Mezzogiorno i
tassi di disoccupazione sono stati di gran lunga più elevati di quanto lo siano stati per i laureati del
Centronord, ma sono notevolmente più contenuti per i giovani meridionali che si sono trasferiti
dopo la laurea nel Centronord oppure che hanno studiato in un Ateneo di quelle regioni e dopo
la laurea hanno scelto di rimanervi», M. D'Antonio, M. Scarlato, I laureati del Mezzogiorno: una
risorsa sottoutilizzata o dispersa , in «Quaderno Svimez», 10, 2007, p. 26.

167

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
quanto riguarda i laureati si tratta di una percentuale che è raddoppiata
rispetto all'inizio degli anni 2000 ma che comunque è da comprendere
all'interno di un processo più generale di aumento dei livelli di istruzione
tra la popolazione. Inoltre, si deve considerare - un aspetto forse non sem-
pre adeguatamente sottolineato - che
La propensione al pendolarismo, crescente con il livello professionale, è incen-
tivata cfalle maggiori retribuzioni e dalle migliori condizioni di lavoro che general-
mente si associano a livelli professionali più elevati. Per alcune figure professionali
di livello medio-alto, poi, al Centronord, almeno nel periodo pre crisi, si rilevano
forti carenze che innescavano meccanismi competitivi con importanti riflessi sulle
retribuzioni e sui benefit concessi dalle aziende37.

5. Emigrazione , immigrazione e dinamiche dell'occupazione


nella crisi nazionale : alcune osservazioni conclusive

Una delle domande ricorrenti in occasione di situazioni di crisi occu-


pazionale è cosa succede alle dinamiche migratorie interne di un Paese
quando le condizioni di crisi sono diffuse e non esclusive di un territorio.
I dati che la Svimez ha presentato nel Rapporto 2011 ci dicono, a questo
proposito, che se la crisi ha avuto effetti anche sul volume di flussi migra-
tori in uscita dal Mezzogiorno, la mobilità interna non è di certo scom-
parsa: la crisi degli ultimi anni ha, di fatto, solo ridimensionato Pentita di
questi flussi. Un dato piuttosto indicativo è quello del saldo migratorio in-
terno tra Nordest e Mezzogiorno, che dal 2008 al 2010 è andato progressi-
vamente diminuendo passando da un valore di +21.499 nel 2008 ad uno di
+13.376 nel 2009 e a +9.475 nel 2010, dovuto in buona parte alla riduzione
del personale che si è registrata soprattutto nelle aziende industriali del
Veneto e dell'Emilia, anche se quest'ultima regione ha conservato i valori

37 Svimez, Rapporto Svimez 2011 , p. 186. Nel 2009 il 21% delle persone che provenivano dal
Mezzogiorno dirette in una regione del Centronord erano laureate: se dirette verso il Lazio e la
Lombardia questa percentuale saliva ad oltre il 23%. Le quote più basse di laureati sul totale dei
trasferimenti si registrano in questo anno per i flussi diretti verso la Liguria e la Valle d'Aosta.
Allo stesso tempo i flussi di laureati dal Centronord verso il Mezzogiorno rimangono circoscritti
a conferma del carattere unidirezionale del modello migratorio italiano. In quest'ultimo caso
va poi considerato che una parte rilevante del flusso dei laureati verso le regioni meridionali è
probabilmente da attribuire a quegli stessi laureati meridionali in precedenza emigrati, una sorta
di «migrazione di ritorno» dei più fortunati che sono riusciti forse a costruire le condizioni per un
loro inserimento nella struttura occupazionale meridionale in posizioni professionali analoghe.
Tuttavia si tratta di una quota davvero minima rispetto al complesso del fenomeno migratorio,
compreso quello di ritorno.

168

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
di migrazione netta più elevati, ovvero una maggiore capacità attrattiva in
termini di stabilizzazione dei trasferimenti38.
In questo contesto è probabile che alla manodopera proveniente dal
meridione sia accaduto di fare ritorno nelle regioni di origine o di trovare
una nuova collocazione nelle fasce più secondarie del mercato del lavo-
ro. Allo stesso modo quella straniera, o almeno una sua parte, collocata
in mobilità o in cassa integrazione straordinaria o semplicemente espulsa
dalle fabbriche piuttosto che dall'edilizia, si è riversata temporaneamente
nel settore agricolo meridionale39, da cui anni fa era probabilmente origi-
nariamente transitata.
I trasferimenti di residenza tra Comuni italiani, in flessione nel 2009
rispetto all'anno prima, sono ripresi a crescere nel 2010, attestandosi su
1.345.000 rispetto al 1.313 rilevato nel 2009. 1 movimenti all'interno del-
la stessa regione che erano diminuiti nel 2009 sono ripresi a crescere nel
2010 superando anche il dato del 2008, mentre quelli interprovinciali
(ovvero da province di altre regioni) sono in parte ripresi a crescere ri-
manendo comunque inferiori a quelli del 2009. 1 movimenti tra Comuni
della stessa provincia (trasferimenti intraprovinciali) sono prima scesi
significativamente nel 2009 rispetto all'anno prima (-5,8%) per poi ri-
prendere a crescere anche se in misura più bassa (1,2%), ma comunque
rimanendo inferiore rispetto ai dati del 2008. Nel 2010 le cancellazioni
dalle regioni del Mezzogiorno per il Centronord sono rimaste sostan-
zialmente simili a quelle del 2009, circa 130.000. Sempre nel 2010 anche
se le regioni meridionali hanno acquistato popolazione dall'estero, pure
se in valori molti inferiori rispetto alle altre ripartizioni, a causa delle
migrazioni interne il tasso migratorio40 è stato positivo solo dell' l%o. Va
tuttavia osservato che nei flussi migratori interni basati sui trasferimenti
di residenza si deve tenere sempre più conto dei trasferimenti degli stra-
nieri, che se seguono una direttrice simile a quella degli italiani (da Sud
a Nord), presentano anche una maggiore propensione alla mobilità: «i
cittadini stranieri, pur rappresentando il 7,5% della popolazione, contri-
buiscono al movimento migratorio interno per più del 17%»41. In questo

38 Per migrazione netta si intende il rapporto tra il saldo migratorio dell'anno e l'ammontare
medio della popolazione residente nell'anno, moltiplicato per 1.000.
Su questo si veda, ad esempio, le evidenze emerse nel corso della ricerca sul campo tra i
lavoratori agricoli stranieri di Nardo in provincia di Lecce, contenute nel volume di G. Nigro, M.
Perrotta, D. Sacchetto, Y. Sagnet, Sulla pelle viva. Il primo sciopero autorganizzato dei braccianti
immigrati in Italia , DeriveApprodi, Roma 2012.
40 Rapporto tra il saldo migratorio e la popolazione media, moltiplicato per 1.000.
^ istat, bilancio demografico. Anno 2010 , Roma 24 maggio 2011, p. 6. Nel 2009 i cittadini
stranieri che hanno cambiato residenza trasferendola da una regione del Mezzogiorno ad una
del Centronord sono stati circa 10.000, in direzione opposta sono stati invece circa 6.000. Sulla

169

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
quadro il Mezzogiorno continua, dunque, a rimanere un territorio, e
non potrebbe essere diversamente, meno attrattivo del Centronord, che
funziona ancora spesso come area di transito anche se fenomeni di sta-
bilizzazione, sono sempre più evidenti per effetto dei ricongiungimenti
familiari e della presenza sempre più massiccia, se non proprio esclusiva
e dunque imprescindibile, in alcuni comparti dell'agricoltura piuttosto
che della zootecnia.
Secondo i dati più recenti, nel 201 1 il saldo migratorio a livello nazio-
nale è stato pari a +261.000 unità, per un tasso migratorio pari al 4,3%o,
in calo rispetto al 2010, quando il saldo era stato positivo per 312.000
unità e il tasso del 5,2%o. L'Istat stima che nel 2011 al netto del tasso mi-
gratorio dalle componenti relative al «saldo migratorio interno» (0,1 %o)
e al «saldo migratorio per altri motivi»42 (-1,1%0), il saldo migratorio
netto risulterà positivo con l'estero per 323.000 nuovi residenti, corri-
spondente a un tasso del 5,3%o, quasi risultato di 83.000 cancellazioni
per trasferimento all'estero (di cui 50.000 italiani) e 406.000 nuove iscri-
zioni dall'estero (di cui 30.000 italiani). Il dato riferito ai soli cittadini
italiani, è a questo proposito molto interessante poiché rispetto al 2010
quelli che sono rientrati dall'estero sono diminuiti rispetto all'anno pri-
ma (-11,6%) contemporaneamente ad un aumento di quelli che si sono
cancellati (+9,3%) sempre rispetto all'anno prima.
Cosa è accaduto nel frattempo per quanto riguarda la mobilità inter-
na? Sempre secondo i primi dati sui trasferimenti di residenza riferiti al
2011, l'insieme di questo trasferimenti è leggermente diminuito (-1,5%),
1.350.000 trasferimenti, ma comunque non molto se si considera che nel
2008 sono stati 1.390.000. Ma il dato più significativo continua a rimanere
quello relativo alla mobilità interna visto che le regioni del Mezzogiorno
continuano ad essere interessate da flussi in uscita superiori ai flussi in en-
trata, registrando in complesso un tasso migratorio interno negativo, pari
a -2,2 %o residenti (Tabella 2), superiore a quello del 2010 (-l,9%o)43.

mobilità interna degli immigrati si veda E. de Filippo, S. Strozza, La mobilità interna degli
stranieri in Italia , in «Sociologia del Lavoro», 121, 2011, pp. 168-95.
42 Differenza tra il numero degli iscritti e il numero dei cancellati dai registri anagrafici
dei residenti dovuto ad altri motivi. Si tratta di un saldo tra iscrizioni e cancellazioni
anagrafiche non corrispondenti ad effettivi trasferimenti tra un comune di residenza e un
altro, bensì a operazioni di correzione post-censuaria. Per quel che riguarda le iscrizioni si
tratta principalmente di soggetti in precedenza cancellati per irreperibilità e ricomparsi,
oppure di soggetti non censiti ma effettivamente residenti. Tra le cancellazioni per altri motivi
si annoverano, invece, i soggetti cancellati in quanto risultati non più residenti in seguito ad
accertamento anagrafico, oppure i soggetti che si sono censiti come residenti in un comune
senza possederne i requisiti.
43 Istat, Indicatori demografia. Anno 20Ily 26 gennaio 2012.

170

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
Tabella 2. Indicatori della dinamica migratoria per le regioni
del Mezzogiorno, anno 2011 (stime per 1.000 residenti).
Indicatori

Saldo Saldo Saldo migrât. Saldo


migrât, estero migrât, interno altri motivi migrât, totale
Abruzzo 5,4 0,9 -1,0 5,2
Molise 3,1 0,8 -0,3 3,6
Campania 2,5 -3,7 -0,3 -1,5
Puglia 1,9 -2,1 -0,4 -0,5
Basilicata 2,2 -2,7 -0,1 -0,6
Calabria 3,4 -3,5 -0,3 -0,4
Sicilia 2,3 -1,7 -0,6 0,0
Sardegna 1,9 -0,2 0,0 1,6
Italia

Nord 6,6 1,3 -1,6 6,3


Nordovest 6,5 1,4 -1,5 6,3
Nordest 6,8 1,3 -1,8 6,3
Centro 7,2 1,3 -1,3 7,2
Mezzogiorno 2,5 -2,2 -0,4 -0,1
Sud 2,7 -2,6 -0,4 -0,3
Isole 2,2 -1,4 -0,4 0,4
Fonte: Istat, Indicatori demografici , anno 2011.

Le regioni del Nord hanno continuato a registrare un flusso positivo


pari all'I, 3 %o, stabile rispetto al 2010, come le regioni del Centro, ma con va-
lori in crescita. Il Trentino-Alto Adige (+2,3 %o) e l'Emilia-Romagna (+2%o)
hanno confermato nel pieno della crisi di essere le regioni con maggiore
capacità attrattiva, mentre di converso alcune regioni meridionali, quali la
Campania (-3,7%o), la Calabria (-3,5), la Basilicata44 (-2,7), sono quelle che
registrano la più alta propensione alla riduzione della popolazione.
La persistenza di flussi migratori interni di una certa consistenza anche
negli ultimi anni conferma che la crisi economica se ha in parte ridotto le
partenze dal Mezzogiorno, soprattutto per effetto dei maggiori rientri,

44 Circa gli andamenti demografici e occupazionali di questa regione rimandiamo in particolare


ad un nostro recente lavoro, Il mercato del lavoro in Basilicata. Tra ripresa dell' emigrazione
interna e crisi industriale , Carocci, Roma 2009.

171

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms
non ha ridotto comunque significativamente l'entità delle cancellazioni«.
Tra l'altro, come abbiamo cercato di evidenziare più volte, un'analisi ba-
sata solo sui trasferimenti di residenza, anche se in parte arricchita dai dati
che provengono dall'indagine sulle Forze di Lavoro, non tiene conto di
quella quota significativa di individui che non modificano la residenza o
che emigrano per periodi temporanei, come ad esempio i lavoratori sta-
gionali del settore turistico o gli studenti che permangono nelle regioni
settentrionali dopo che vi si sono recati per iscriversi all'università.
Alcune delle ragioni strutturali di natura economica che sono alla base
di una così elevata propensione alla mobilità sono quelle che sommaria-
mente abbiamo cercato di evidenziare nella prima parte di questo lavoro.
Risulta piuttosto chiaro che in assenza di investimenti significativi in que-
ste aree, anche in coincidenza con la riduzione delle risorse comunitarie
negli anni futuri, le tendenze migratorie e la conseguente riduzione della
popolazione risulteranno fattori incontrovertibili. Nel Mezzogiorno, ma
ciò riguarda anche le altre aree del Paese, sono inoltre particolarmente evi-
denti fenomeni di spopolamento delle aree interne che se, da un lato, sono
da iscrivere nel più generale processo di urbanizzazione della popolazione
con il trasferimento nei Comuni più grandi e meglio collegati alla rete di
trasporto, dall'altro lato, evidenziano come alcuni territori siano ormai
privi di capacità di sviluppo endogeno. Questi ultimi territori in parti-
colare manifestano una progressiva e costante modificazione della loro
composizione demografica segnata dall'andamento di alcuni indicatori
demografici (vecchiaia, dipendenza, natalità, ecc.). A ciò si aggiunga che
finora, fatta eccezione per alcuni casi, queste stesse aree non sono state in
grado di favorire un'adeguata capacità attrattiva nei confronti degli immi-
grati stranieri che pur ridistribuendosi in parte nei Comuni più piccoli del
Mezzogiorno, perché hanno costi dell'abitazione più bassi, come la popo-
lazione autoctona sono condizionati nelle loro scelte di insediamento dal-
le opportunità di lavoro presenti localmente. E comunque anche quando
essi si inseriscono in quei settori tradizionali tipici dei piccoli abitati, come
l'agricoltura, la zootecnia o il piccolo commercio, la loro redistribuzione
residenziale in questi Comuni non è comunque in grado di compensare il
calo della popolazione residente.

45 Secondo la Svimez i Sil del Mezzogiorno tra il 2000 e il 2009 hanno visto partire oltre
1.239.000 persone per un Sii del Centronora, mentre i rientri sono stati nello stesso arco di tempo
655.000 (Svimez, Rapporto Svimez 2011 cit., in part. pp. 171-4).

172

This content downloaded from 198.91.37.2 on Fri, 17 Jun 2016 01:17:09 UTC
All use subject to http://about.jstor.org/terms

Potrebbero piacerti anche