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da questo riassunto, ma devi studiare tutto il libro, devi integrare quello che manca altrove. Per il resto, i paragrafi che
mancano non sono altro che ripetizioni di cose già spiegate in precedenza o approfondite meglio in seguito.
Premessa2= all’interno del libro micro e macro-management sono mischiati, quindi a volte si parla di impresa, altre di territori,
altre di entrambe contemporaneamente. Buono studio ☺
1. ANALISI DI CONTESTO
1.2 LO SVILUPPO
1.2.1 lo sviluppo economico.
Occorre innanzitutto fare una distinzione tra crescita e sviluppo che spesso sono confusi:
a) la crescita è l’aumento del PIL, cioè la ricchezza di un paese, ovvero della sua capacità di produrre beni
e servizi. Tale capacità è diversa da paese a paese e dipende da numerosi fattori: dotazione di risorse
naturali ed energetiche, stabilità politico-istituzionale, capacità produttiva… .
Soprattutto nel caso di paesi emergenti, il reale obiettivo dovrebbe essere una crescita non solo elevata,
ma anche duratura: unico strumento capace di garantire il raggiungimento delle performance dei paesi
avanzati. La crescita sostenuta nel medio-lungo periodo ha 3 caratteristiche:
-i tassi di crescita medi del PIL pro-capite: va considerato se esso è rapido abbastanza da consentire di
innalzare i livelli di benessere della popolazione raggiungendo le economie avanzate. È stimato che sia
necessaria una crescita pari o superiore al 5% annuo per almeno due decenni;
-la durata delle fasi di crescita: spesso la crescita non è stabile. Serve capire quali siano le circostanze, le
iniziative o i fattori che hanno dato impulso agli eventi di crescita o quali sono le caratteristiche di tali fasi.
-la volatilità della crescita: la volatilità è la tendenza a variazioni repentine e improvvise. Una minore
volatilità è associata a un modello di crescita più sostenuto. Essa è maggiore nei paesi emergenti,
soprattutto quelli che stentano a uscire dalla trappola della povertà.
b) sviluppo: è un processo di trasformazione strutturale di un paese che si basa sulla crescita economica
(la crescita è parte dello sviluppo), ma che consente anche di conseguire un incremento nel benessere
della popolazione. I paesi in fase di sviluppo affrontano una transizione che, a partire da una condizione di
arretratezza sociale ed economica, li conduce a un livello di benessere più elevato e a un migliore utilizzo
delle capacità produttive. Lo sviluppo è quindi un mutamento complessivo dei fattori di tipo economico,
sociale e culturale che si accompagnano alla crescita del reddito pro capite.
Il concetto di sviluppo è quindi multidimensionale, per la sua definizione vanno considerati 5 aspetti:
1) il capitale fisico: un aumento del capitale fisico, quindi dei macchinari usati nella produzione, comporta
la necessità per le imprese di assumere nuovi lavoratori: alcune persone che prima non lavoravano, ora
saranno occupate (percependo reddito). La creazione di nuovo reddito induce nei nuovi lavoratori un
aumento dei consumi. Ciò spingerà le imprese ad aumentare l’offerta per rispondere all’incremento della
domanda, per cui dovranno assumere nuovi lavoratori. Si tratta di un processo virtuoso noto come
moltiplicatore del reddito, legato al moltiplicatore dell’occupazione: aumento degli investimenti causa
aumento del reddito e dell’occupazione nazionale.
2) il progresso tecnico: avvia una trasformazione strutturale potenziando il settore industriale e quello dei
servizi di supporto all’industria. Ciò impatta sia sull’occupazione, coinvolgendo più persone nel processo di
crescita, aumentando anche la produttività media, i salari e quindi il reddito delle famiglie (riduzione della
povertà). La trasformazione strutturale può facilitare l’accesso delle donne al lavoro: se il reddito della
famiglia aumenta e con esso la domanda di lavoratori da parte delle aziende, le famiglie possono
destinare parte del reddito a baby-sitter o asili nido. Ciò può avviare una trasformazione anche nel settore
dell’istruzione: i genitori che guadagnano di più richiedono un’istruzione migliore per i propri figli.
Quando c’è un innalzamento dell’istruzione e del reddito femminili, c’è anche una riduzione della fertilità:
aumentando il numero dei figli, le famiglie hanno più possibilità di garantire loro la migliore istruzione.
Il modello che misura l’impatto del processo tecnico sullo sviluppo è fornito dalla UNIDO, organo dell’ONU
che si occupa dello sviluppo industriale. Tale modello è ottimistico, ma non lontano dalla realtà.
Nel valutare il fattore tecnico occorre anche prestare attenzione a tre elementi importanti:
I. tipo di tecnologia utilizzata: le più avanzate sono appannaggio dei paesi più ricchi, mentre ai paesi
sottosviluppati sono destinate tecnologie datate, con minore produttività e un impatto ambientale più
elevato. I paesi emergenti, inoltre, sembrano dover percorrere le fasi dello sviluppo allo stesso modo in
cui anche i paesi avanzati le hanno affrontate: passano da una dotazione a bassa efficienza a una ad alta
efficienza. Tuttavia, oggi costruiscono il proprio percorso in un momento storico in cui tecnologie avanzate
esistono già, per cui non vi sarebbero ostacoli oggettivi all’adozione di tecnologie direttamente complesse,
se non fosse che i paesi più poveri hanno impedimenti di natura economica che rendono alcune
tecnologie innovative inaccessibili alle imprese locali;
II. modalità di diffusione di una nuova tecnologia: il trasferimento è stato spesso realizzato grazie
all’implementazione di specifici progetti di cooperazione internazionale. È un’operazione che richiede che
il paese avanzato sia in grado di gestire questo processo valorizzando il capitale anche umano a
disposizione del paese emergente. Un aspetto fondamentale è, per questa ragione, la scelta della
tecnologia da trasferire a un paese in cui le infrastrutture sono carenti: si rischia di portare tecnologie in
contesti che sono ancora immaturi per riceverle, sotto il profilo infrastrutturale, sociale e culturale. Se il
paese emergente non crea, attraverso la formazione scolastica, dei profili in grado di gestire macchinari a
più elevata dotazione tecnologica, il trasferimento di un impianto rischia di tradursi in un fallimento;
III. costi di trasferimento di una tecnologia da un paese all’altro: poiché tutti i paesi sono in competizione
gli uni con gli altri sui mercati internazionali, quelli avanzati compiono alcune valutazioni di convenienza
nel trasferimento di tecnologie a quelli emergenti, in modo da conservare la propria posizione di forza:
per questa ragione, spesso, i paesi avanzati trasferiscono a quelli emergenti impianti dotati di tecnologie
desuete e più inquinanti.
3) le istituzioni: è importante favorire lo sviluppo del paese attraverso infrastrutture, formazione, garanzie
dei diritti. Gli investitori internazionali, nella fase di selezione dei paesi nei quali effettuare un
investimento valutano la presenza di un interlocutore istituzionale a cui rivolgersi per la gestione delle
pratiche burocratiche, perché la presenza dello Stato comporta una riduzione dell’incertezza in tutto il
sistema economico, cosa che gioca a favore di paesi con istituzioni forti e stabili: l’incertezza incide
negativamente sulla performance economica dei paesi.
4) il capitale umano: rappresenta l’insieme delle conoscenze, competenze, abilità che sono possedute da
un individuo. Tale insieme può essere acquisito in due modi:
- attraverso la formazione di tipo scolastico: le istituzioni rivestono un ruolo fondamentale: è loro il
compito di rendere l’istruzione formale uno snodo fondamentale per lo sviluppo del paese. Un esempio di
grande successo è quello indiano: negli ultimi 15 anni, il governo indiano ha posto al centro del processo
di sviluppo del paese proprio l’istruzione formale, focalizzandosi nel dettaglio sull’istruzione universitaria
in ambito tecnologico. Ciò ha scaturito una crescita sorprendente. Molte imprese tecnologiche,
soprattutto dagli USA, hanno delocalizzato parte del proprio processo di produzione in India, sapendo di
poter trovare un loco una forza lavoro adeguatamente formata a un costo esiguo rispetto a quello del
proprio paese. Una medesima strategia è stata presa dal governo relativamente alla formazione
economico-bancaria, con il risultato che molti lavoratori hanno trovato occupazione presso filiali di
banche straniere.
- attraverso l’esperienza pratica sul lavoro: è un meccanismo virtuoso anche denominato On-the-job
Training (OJT), apprendimento di nuovi compiti, tecniche e procedura direttamente sul posto di lavoro.
5) il fattore demografico: sebbene in un primo approccio si possa pensare che il volume della popolazione
rappresenti un fattore di crescita per un sistema economico, in quanto può tradursi in un’ampia forza
lavoro nazionale, i dati mostrano il contrario: oggi i tassi di natalità più elevati si registrano nei paesi più
poveri. Le dinamiche demografiche sono legate ai paesi in base alla fase del ciclo economico in cui si
trovano: se il sistema di produzione del paese è basato sulla produzione agricola ad alta intensità di
lavoro, un tasso di natalità elevato contribuisce alla creazione della popolazione atta a quel lavoro; se è
legato a un’alta intensità di capitale (paesi avanzati), il tasso di natalità è più basso.
Anche secondo l’approccio dello sviluppo sociale le persone devono essere messe al centro di qualsiasi
sviluppo. I dati mostrano che non tutti riescono a beneficiare del processo di crescita economica nel
proprio paese e anche in quelli più avanzati, in cui il livello del reddito è più alto, esistono sacche di
povertà. La povertà non si lega solo a un reddito più basso, ma porta con sé un complesso di esclusioni
che affliggono l’individuo povero: dalla marginalità sociale alla vulnerabilità, alla totale assenza di potere.
Questa teoria, quindi, è alla ricerca di strumenti volti alla promozione dell’inclusione sociale delle fasce
della popolazione più povere e vulnerabili.
Non è una sorpresa che la crescita accompagni a un incremento delle disuguaglianze nel reddito.
Il processo di sviluppo del paese dovrebbe incorporare quale obbiettivo primario la creazione di
opportunità più eque per tutti, condizione necessaria per la creazione di una giustizia sociale. Le teorie
riportano al centro lo sviluppo sociale come fattore indispensabile in ogni processo di sviluppo
economico, inclusa una crescita economica sostenibile.
L’International Institute for Social Studies ha combinato oltre 200 indici di sviluppo sociale, con dati
raccolti in 193 paesi. Tali indici considerano 6 punti dello sviluppo sociale:
1: attivismo civile (uso dei Media e comportamenti di protesta);
2: Club e associazioni (appartenenza ad associazioni volontarie locali);
3: Coesione tra gruppi diversi (tensioni e discriminazioni etniche e religiose);
4: Fiducia e sicurezza interpersonale (percezione e incidenza del crimine e trasgressioni personali);
5: Uguaglianza di genere (presenza di discriminazioni di genere in casa, sul lavoro e nella vita pubblica);
6: inclusione delle minoranze (discriminazione nei confronti di gruppi vulnerabili: migranti e rifugiati).
I dati dimostrano, a livello mondiale, che mentre vi è una correlazione stabile tra sviluppo
economico e sociale, in molti paesi ad alto reddito continuano a persistere problematiche in termini di
discriminazione ed esclusione, mentre altri paesi emergenti sembrano aver già superato alcune di queste.
Sebbene scontenti nella loro veste di lavoratori, i cittadini dei paesi avanzati sono ben lieti, nella loro veste
di consumatori, di poter beneficiare dei prezzi più bassi determinati dal fatto che la manodopera abbia un
costo decisamente inferiore nei paesi in cui la produzione viene dislocata.
Quando parliamo di sostenibilità, parliamo dell’utilizzo delle risorse naturali all’interno dei processi di
produzione. Questo utilizzo ha a che vedere con il concetto di esternalità. Essa si ha quando un processo
produttivo determina un effetto che non coinvolge direttamente il produttore o il consumatore, ma un
soggetto terzo: secondo la teoria economica, indipendentemente dal fatto che l’esternalità sia positiva o
negativa, rappresenta sempre un fallimento del mercato. Comunque sia, è da tener presente che nella
maggior parte dei casi le esternalità sono negative: un esempio ne sono le emissioni ambientali.
Una gestione sostenibile dello sviluppo non può prescindere da un utilizzo delle risorse ambientali che sia
parsimonioso e che adotti una prospettiva di lungo periodo: il comportamento delle imprese deve essere
normato non solo per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse (rinnovabili o non) del processo produttivo,
ma anche nella gestione delle emissioni che ne conseguono.
Per poter gestire le risorse in modo sostenibile, serve internalizzare le esternalità, ciò è possibile con o
senza l’intervento dello Stato:
- con: lo Stato interviene con strumenti di natura normativa o fiscale.
1. normativa: può essere una legge che fissi il tetto massimo delle emissioni consentite;
2. fiscale: possono essere positivi, come incentivi fiscali per imprese le cui emissioni restano sotto una
certa soglia, o negativi, come un incremento dell’aliquota fiscale per le imprese che superano tale soglia.
- senza: si ipotizza che il mercato possa autonomamente convergere verso un equilibrio. Se il lago
inquinato è di proprietà dell’impresa che inquina, essa può essere pagata affinché riduca le sue emissioni.
Se il lago è di proprietà dell’inquinato, l’inquinatore (cioè l’impresa) può compensare il danno sotto forma
monetaria. Coase afferma che esiste una tendenza automatica del mercato a raggiungere un equilibrio
socialmente ottimale attraverso la negoziazione tra soggetto inquinante e soggetto inquinato.
Naturalmente si tratta di una teoria molto ottimistica e spesso è necessario stimare l’impatto delle
emissioni ambientali sull’ambiente circostante. A tal fine esistono numerosi indicatori di sostenibilità: il
capitale naturale critico, il PIL verde, l’impronta ecologica, l’Index of Sustainable Economic Welfare.
L’impronta ecologica (ecological footprint) misura l’area biologicamente produttiva necessaria per
assorbire le emissioni di carbonio prodotte da una popolazione e per generare tutte le risorse che essa
consuma. Il consumo delle nazioni viene calcolato aggiungendo le importazioni e sottraendo le
esportazioni dalla produzione nazionale. I paesi che inquinano di più sono Cina e l’India, cioè i due paesi
emergenti che abbiamo trovato sia nel grafico delle economie più ricche che in quello delle economie che
crescono più rapidamente: questa mappa mostra che la crescita rapida e sostenuta, in questo caso, non è
esente da costi, già solo dal punto di vista ambientale.
La Biocapacity misura la capacità dell’ecosistema di riprodurre i materiali biologici utilizzati e di assorbire i
rifiuti prodotti. Il rapporto tra impronta ecologica e biocapacity consente di verificare se il paese si trova in
una condizione di deficit ecologico, dove l’impronta è superiore, o, viceversa, di riserva ecologica. In
deficit troviamo nuovamente la Cina, ma anche Italia, Regno unito. In riserva troviamo Brasile, Bolivia,
Paraguay, ma anche Repubblica Centrafricana e Namibia.
Dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, a Stoccolma ne 1972, molti paesi si impegnano
a ridurre le loro emissioni, ma tali conferenze sono riservate ai paesi più ricchi tra quelli avanzati: quelli
emergenti sembrano essere esonerati dalle proprie responsabilità in termini di sostenibilità, forse in
ragione del fatto che, in una fase iniziale del processo di sviluppo, si ritiene tollerabile il fatto che le
emissioni inquinanti siano più elevate (soprattutto visto il fatto che, come detto in precedenza, ai paesi in
via di sviluppo vengono fornite tecnologie datate e conseguentemente anche più inquinanti).
Vi sono alcune altre variabili che possono aiutare a spiegare la posizione dei paesi a basso reddito: ad
esempio gli investimenti diretti esterni. L’analisi di questi investimenti, mostra che essi vengono
prevalentemente operati da paesi avanzati verso altri paesi avanzati, anche se in quelli a medio reddito
sono in leggero aumento negli ultimi anni, mentre in quelli a basso reddito sono quasi sempre pari a 0.
Dal momento che questi investimenti diretti esterni vengono operati dalle imprese, sono loro a richiedere
alcuni fattori di garanzia nei paesi in cui intendono investire: stabilità politico-istituzionale, economica,
finanziaria e sociale; tutti fattori che mancano nei paesi poveri, caratterizzati da corruzione, instabilità
politica, conflitti che spesso sfociano in guerre, assenza di una struttura produttiva forte e radicata.
In queste aree il livello di rischio delle attività imprenditoriali, per le ragioni appena evidenziate, è
decisamente elevato, tanto da scoraggiare qualunque investimento estero, provocando altra marginalità.
Non essendo destinatari di investimenti esterni, questi paesi sono almeno destinatari di aiuti pubblici allo
sviluppo (Official Development Assistance -ODA) che, stando alla definizione della WB, consistono in
prestiti concessi a condizioni agevolate e sovvenzioni da parte di agenzie ufficiali dei membri del Comitato
di aiuto allo sviluppo (Development Assistance Committee - DAC) da istituzioni multilaterali e da paesi non
DAC per promuovere lo sviluppo economico e il benessere in paesi nell’elenco DAC dei beneficiari.
Ovviamente, beneficiano di questi prestiti e sovvenzioni soprattutto i paesi meno avanzati, mentre in
quelli molto avanzati la quantità, a partire dagli anni 2000, è quasi pari a 0.
L’analisi dell’aspettativa di vita alla nascita non fa altro che confermare le ipotesi sinora affermate:
sebbene sia in crescita in tutti e tre i gruppi di paesi, essa è tutt’ora sensibilmente più elevata in quelli ad
alto reddito, abbassandosi progressivamente all’abbassarsi del reddito.
Si conferma, in questo modo, un quadro che vede le aree meno favorite come prigioniere delle proprie
condizioni di partenza, che ne inficiano, in assenza di interventi profondi e radicali, le possibilità di
emancipazione, di crescita e di sviluppo.
attori privati (non governativi) sono tutti coloro che agiscono per lo sviluppo in modo distaccato da
qualsiasi governo, ossia le ONG, le imprese, i movimenti sociali, le università private, le fondazioni private
etc. Save the Children. Questi possono corrispondere a organizzazioni globali, regionali o locali.
attori misti (pubblico privati) tutte quelle fondazioni, associazioni, commissioni, imprese, azioni
fondate su partnership che vedono coesistere attori pubblici e privati, come il Fondo Globale per la Lotta
all’AIDS.
-UNDP: per migliorare la cooperazione complessiva, l’ONU ha creato il Programma delle Nazioni Unite per
lo Sviluppo (UNDP), il più importante fornitore mondiale di aiuti per lo sviluppo umano e sostenibile, in
particolare in tre aree principali: sviluppo sostenibile; costruzione della pace; resistenza ai disastri e ai
cambiamenti climatici. Oggi lavora in oltre 170 paesi.
È stato ed è attivamente coinvolto nel raggiungimento degli 8 Millenium Goals e della 2030 Agenda for
Sustainable Development. Gli 8 obbiettivi avrebbero dovuto realizzarsi entro il 2015, essi costituiscono un
progetto concordato con tutti i paesi e le principali istituzioni di sviluppo mondiale. Questi, seppur non
raggiunti secondo la previsione superata, hanno stimolato gli sforzi di tutti i paesi. Si tratta di: azzerare
povertà e fame, garantire istruzione primaria universale, pari opportunità uomo-donna, riduzione della
mortalità infantile, miglioramento della salute materna, combattere HIV/AIDS, malaria e altre malattie,
Assicurare la sostenibilità ambientale, collaborare per lo sviluppo.
I 17 obiettivi mondiali di sviluppo per il 2030 (SGDs) si sostituiscono ai precedenti e sono: azzerare la
povertà, azzerare la fame, miglioramento di salute e benessere, miglioramento della qualità
dell’istruzione, uguaglianza di genere, acqua pulita e servizi igienico-sanitari, energia rinnovabile e a basso
costo, buona occupazione e crescita economica, innovazione e infrastrutture, città e comunità sostenibili,
riduzione delle disuguaglianze, consumo responsabile, lotta al cambiamento climatico, flora e fauna
acquatica, flora e fauna terrestre, pace e giustizia, partnership per gli obbiettivi.
L’UNDP gestisce anche il Fondo di sviluppo del capitale delle NU, che aiuta i paesi in via di sviluppo
a far crescere le proprie economie mediante sovvenzioni e prestiti. L’UNDP sostiene i paesi in tre modi
diversi, attraverso l’approccio MAPS: mainstreaming, acceleration and policy support. Difatti fornisce, su
richiesta dei singoli paesi, sostegno ai governi: per esempio per migliorare le politiche di sviluppo
nazionale, per accelerare il progresso nei SGDs ecc.
-agenzie specializzate
Come già detto, l’ECOSOC ha il compito di coordinare gli accordi tra le Nazioni Unite e le organizzazioni
autonome chiamate Agenzie Specializzate.
Esse coprono tutte le aree di impegno economico e sociale, fornendo assistenza tecnica e altre forme di
aiuto pratico alle nazioni di tutto il mondo. Esse ricoprono vari ruoli:
- alcune hanno il compito di regolatori del sistema mondiale, come la IAEA (ag. Intern. per l’energia
atomica), che opera per un impiego sicuro e pulito dell’energia atomica, e la ILO (org. int. del lavoro) che
formula politiche e programmi per migliorare le condizioni e le opportunità lavorative e stabilisce gli
standard di lavoro adottati dai paesi di tutto il mondo.
- altre hanno l’obiettivo di migliorare le procedure, le competenze e la gestione di ambiti specifici anche
attraverso la cooperazione a livello globale come l’IMO (org. Intern. Marittima) che migliora le procedura
di spedizione internazionale, aumenta gli standard della sicurezza marittima e diminuisce l’inquinamente
marino dovuto dalle imbarcazioni; la ITU (unione intern. delle telecomunicazioni); la OMT (org. mond. del
turismo) che funge da forum globale per le questioni di politica del turismo;
- ci sono quelle che si occupano più direttamente della pianificazione, della gestione e del controllo di
definiti programmi di sviluppo come la FAO (org per ambiente e agricoltura), che lavora per incrementare
la produttività agricola e la sicurezza alimentare, oltre che per migliorare le condizioni di vita delle
popolazioni rurali; la OMS (org. mond. della sanità), che coordina programmi volti a risolvere problemi
sanitari e il raggiungimento, da parte di tutte le persone, del livello di salute più elevato possibile; l’UNIDO
(org. mond. per lo sviluppo industriale), che promuove il progresso industriale dei paesi in via di sviluppo
tramite assistenza tecnica, servizi di consulenza e addestramento; l’UNESCO (org. per l’istruzione, la
scienza e la cultura) che promuove l’istruzione per tutti, lo sviluppo culturale, la protezione del patrimonio
naturale e culturale del pianeta, la cooperazione internazionale nella scienza, la libertà di stampa e la
comunicazione.
- ci sono infine tre agenzie specializzate che rappresentano le principali fonti intergovernative mondiali:
1. l’IFAD (fondo internazionale per lo sviluppo agricolo) lavora per aumentare la produzione alimentare e i
livello nutrizionali tra le persone povere nei paesi in via o in attesa di sviluppo;
2. il FMI (fondo monetario internazionale) organizzazione di 189 paesi che opera per promuovere la
cooperazione monetaria globale, assicurare la stabilità finanziaria, facilitare il commercio internazionale,
stimolare l’occupazione e la crescita economica sostenibile, ridurre la povertà nel mondo.
Missione fondamentale: garantire la stabilità del sistema monetario internazionale: tracciando l’economia
globale, aiutando paesi in difficoltà, aiuto pratico ai paesi membri.
Una delle sue principali responsabilità e fornire prestiti ai paesi che hanno problemi nei pagamenti: ciò
consente ai paesi di ricostruire le proprie riserve interstatali, stabilizzare le proprie valute, continuare a
pagare per le importazioni e ripristinare le condizioni per una forte crescita economica.
Controlla anche le politiche economiche e finanziarie dei suoi 189 paesi membri, aiutando questi ultimi a
progettare politiche economiche e gestire i loro affari in modo efficace rafforzandone le competenze
attraverso un aiuto pratico di assistenza tecnica e formazione.
La maggior parte delle sue risorse per i prestiti vengono fornite da paesi membri attraverso delle quote. A
ogni paese membro viene assegnata una quota, basata sulla sua posizione nell’economia mondiale.
3. il WBG (world bank group) si impegna nell’attività primaria di supporto economico-finanziario. È la
prima fonte economica di sviluppo globale e rappresenta una fondamentale risorsa finanziaria per lo
sviluppo di paesi di tutto il mondo.
Tra gli obiettivi da raggiungere nel 2030, sono 2 quelli che lo riguardano in particolare:
- porre fine all’estrema povertà, riducendo a meno del 3% il numero di persone che vivono con meno di
1,9 dollari al giorno;
- promuovere la prosperità condivisa favorendo la crescita dei redditi minori del 40% per ogni paese.
È formato da diverse agenzie, come:
- l’international finance corporation IFC, la più grande istituzione di sviluppo globale focalizzata
esclusivamente sul settore privato: aiuta i paesi in via di sviluppo a raggiungere una crescita sostenibile
finanziando gli investimenti e offrendo consulenze a imprese e governi;
- il multilateral investment guarantee agency MIGA, promuove gli investimenti esteri diretti nei paesi in
via di sviluppo, in particolare quelli più poveri del mondo, per aiutarli a sostenere la crescita economica,
ridurre la povertà e migliorare la vita: finanzia progetti di trasformazione con investimenti su larga scala;
- l’international centre for settlement of investment disputes ICSID è dedicata alla risoluzione delle
controversie in materia di investimenti internazionali.
- la banca mondiale WB è l’istituto di credito internazionale che finanzia gli investimenti nei paesi in via di
sviluppo, fornendo anche assistenza tecnica, supportando settori come sanità, amministrazione pubblica,
infrastrutture, agricoltura, gestione ambientale delle risorse umane, sviluppo del settore finanziario.
I suoi organi principali sono il consiglio dei governatori (189, rappresentanti ciascuno di un Paese
membro) e il consiglio dei direttori esecutivi, di cui 8 membri rappresentanti ciascuno il proprio paese e
gli altri 17 che rappresentano il proprio e altri gruppi di Paesi (l’Italia rappresenta Albania, Grecia, Malta,
San Marino, Portogallo e Timor Est), quindi le strategie sono definite dagli stati ricchi.
La WB è a sua volta divisa in:
a) International bank for reconstruction and development IBRD, che supporta finanziariamente e
professionalmente i governi a medio o meritori a basso reddito. Crea un clima favorevole agli investimenti
per catalizzare l’afflusso di capitale privato e alleviare la povertà in tutto il mondo. Il guadagno dal piccolo
margine che fa sui prestiti e dal ritorno sul patrimonio netto coprono le sue spese di funzionamento e in
parte vengono trasferiti all’IDA;
b) international development association IDA, che fornisce prestiti a interesse zero e sovvenzioni ai paesi
più poveri. Le risorse derivano dalle quote sottoscritte dai paesi membri, ma soprattutto dai contributi
supplementari versati dai paesi più ricchi.
- le fondazioni private sono tra i cosiddetti “nuovi” attori dello sviluppo internazionale. Esse sono
generalmente considerate una forma di filantropia (anche se spesso il fine ultimo del filantropo che
possiede una fondazione è quello di farsi pubblicità). Le fondazioni private sono comunemente definite
come organizzazioni non governative, non-profit che sono autosufficienti grazie a una dotazione
economica di base, che le distingue dagli altri attori non governativi. Altre dipendono da assegnazioni
regolari provenienti dalle loro società fondatrici, questo rende difficile considerarle un gruppo omogeneo
di attori della cooperazione allo sviluppo.
Alcune fondazioni hanno investito nello sviluppo globale per decenni: il sostegno della Fondazione
Rockfeller alla ricerca agricola, per esempio, ha contribuito alla rivoluzione verde in Asia e America Latina.
Altre organizzazioni sono entrate nel business development più di recente. Bill e Melinda Hates
Foundation, ad esempio, fornisce finanziamenti per lo sviluppo da poco più di un decennio, contribuendo
a portare le fondazioni sotto i riflettori internazionali. Le fondazioni possono essere sia quelle create da
singoli individui che dalle imprese.
-imprese e università. L’Università sia internazionale che nazionale riveste un ruolo fondamentale nella
crescita culturale di una popolazione. Essa può creare progetti di ricerca, di analisi, business plan volti a
spingere lo sviluppo di un territorio; può creare competenze locali, formando il capitale umano presente
nel paese in modo innovativo e bilanciato a livello globale, creando una forza lavoro competente, attiva e
in grado di interloquire con il sistema mondiale. Le università, inoltre, possono divenire fornitrici di servizi
(medici, architettonici, gestionali ecc.) sia per attori pubblici che privati, i quali interagiscono direttamente
con il territorio e il suo sviluppo.
L’impresa privata è vista solo come fonte economica e tecnica: fornisce medicine, alimenti o abiti alle
ONG. In realtà, le imprese private possono diventare attori dello sviluppo a tutto tondo, non rimanendo
relegate al ruolo di fonti. Esse, per esempio, possono creare posti di lavoro nelle aree in trasformazione.
La scelta dell’impresa di creare una struttura produttiva o commerciale all’interno di un’area depressa può
essere determinante per lo sviluppo economico di quell’area.
Capitolo 3.
“I programmi di sviluppo nel mondo”: analisi strategica.
La povertà è un meccanismo ampio e complesso che difficilmente può essere definito. Le
prime teorie sulla povertà erano essenzialmente collegate a due elementi principali: la
mancanza di reddito, e il tasso di mortalità utilizzato per misurare il benessere degli individui.
Da allora, molte teorie hanno suggerito che la povertà degli individui ha bisogno di una serie
di fattori per essere compresa. Una delle teorie più rilevanti è la teoria della capacità
sviluppata da Sen: il benessere di un paese aumenta davvero quando aumenta anche le
possibilità per gli individui di raggiungere i loro obiettivi personali e professionali. Oggigiorno,
l’approccio adottato dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite(UNDP) cattura la natura
stessa della povertà: essa è cioè una realtà multidimensionale determinata non solo dalla
mancanza di reddito, ma anche dalla salute a dall’istruzione. (HDI: Human Development
Index).
La differenza tra i paesi sviluppati, paesi in via di sviluppo e paesi in attesa di sviluppo ha
anche evidenziato la necessità di una doppia definizione di povertà:povertà assoluta e
povertà relativa. Le persone in assoluta povertà non hanno il reddito minimo necessario per
soddisfare i requisiti di base, né l’accesso a molti servizi essenziali come la sanità e
l’istruzione. La Banca Mondiale ha fissato questa soglia a 1,90 dollari al giorno. Per cui le
persone che vivono nella povertà relativa, hanno un reddito superiore a 2 dollari al
giorno(quindi non sono poveri in termini assoluti, ma il loro tenore di vita è al di sotto dei
livelli medi della popolazione presente nel luogo in cui vivono). Una delle conseguenze
importanti della povertà, assoluta o relativa che sia, è l’esclusione dalla vita sociale,
economica e culturale della propria società. A causa di questa mancanza di integrazione, i
poveri non sono in grado di ottenere un’istruzione, di trovare un buon lavoro, di ricevere
servizi sanitari adeguati per se stessi e per i loro figli. Questo meccanismo è noto anche come
“trappola della povertà”. La trappola della povertà può colpire non solo le persone, ma interi
paesi.
Lo sviluppo di un paese non può essere confuso con il solo sviluppo economico dello stesso.
Un paese sviluppato economicamente ma composto da analfabeti, ad esempio, sarebbe
talmente sbilanciato da non riuscire a rendere sostenibile e generalizzato neanche lo sviluppo
economico raggiunto. I differenziali di reddito sono, quindi, solo una delle variabili. La salute di
una popolazione e l’istruzione, infatti, sono variabili necessarie per il bilanciato e sostenibile
sviluppo di un paese.
Comprendere i problemi di un territorio è spesso un requisito per la piena comprensione
delle soluzioni attuabili. Lo scopo di questa sezione è studiare, analizzare le strategie e
identificare le molteplici ragioni i una mancanza di sviluppo in due aree del mondo molto
diverse: Africa e Asia
Il National Development Plan(NDP) è un piano di sviluppo del Sud Africa nel 2013 che offre
una prospettiva coraggiosa a lungo termine e identifica il ruolo che i diversi settori devono
giocare nel raggiungimento degli obiettivi. Creato dalla National Planning Commision in
collaborazione e consultazione con i sudafricani di tutti i ceti sociali, la mission dell’NDP è
eliminare la povertà e ridurre le disuguaglianze entro il 2030. La vision dell’NDP immagina un
Sud Africa in cui “everyone feels free yet bounded to others”, dove l’opportunità non è
determinata per nascita, ma dalle capacità, dall’istruzione e dal duro lavoro. Per realizzare
una società del genere, secondo il piano, è necessario trasformare l’economia nazionale e
concentrare gli sforzi per costruire le capacità sia del paese che della gente. Per eliminare la
povertà e ridurre le disuguaglianze, il piano intende accelerare la crescita dell’economia, ma
in modo inclusivo ossia a beneficio di tutti i sudafricani.
Questi obiettivi possono essere raggiunti solo affrontando le cause profonde della povertà
e della disuguaglianza, reindirizzando la pianificazione verso politiche a lungo termine, e
non seguendo più una programmazione a breve termine basata sulle esigenze contingenti.
Al centro dell’NDP c’è garantire il raggiungimento di un “tenore di vita decente” per tutti i
sudafricani entro il 2030. Uno standard di vita dignitoso, quindi, che comprenda i seguenti
elementi fondamentali: abitazioni, acqua, elettricità, e servizi igienici; trasporto pubblico
sicuro e affidabile; sviluppo dell’istruzione e delle competenze di qualità; sicurezza e
protezione; assistenza sanitaria di qualità; occupazione; ricreazione e tempo libero;
ambiente pulito; nutrizione adeguata. Il Governo da solo non è in grado di fornire tutti
questi elementi; il piano, infatti, richiede azioni da parte di tutti gli attori sociali, partner, e
stakeholder.
La sequenza di implementazione del Piano prevista comprende tre macro fasi:
1. Nel 2013 sono stati individuati i passaggi critici per superare alcuni ostacoli per la realizzazione
degli obiettivi e sono stati individuati i settori in cui è necessario un cambio di politica
2. Ciclo di pianificazione 2014-2019, primo di una serie di cicli di pianificazione quinquennali che
porteranno avanti gli obiettivi del NDP
3. Altri cicli di pianificazione (2019-2024 e 2024-2029), servirà per rivedere le modalità di
raggiungimento dei risultati nel caso di attività rimanenti nei precedenti cicli.
Il Department for Performance Monitoring and Evaluation (DPME) ha, la responsabilità di
monitorare i progressi.
L’NDP è un piano per l’intero paese e tutti i livelli politici nazionali e locali sono chiamati a
contribuire. Il Presidente e il Vicepresidente sono chiamati a essere i promotori nel governo
e in tutto il paese, Premiers e Sindaci, invece, sono gli attori visibili e attivi del piano e
devono guidarne l’attuazione a livello provinciale e comunale. Le proposte dell’NDP devono
essere incorporate nelle attività esistenti, per cui L’NDP rappresenta il fil ruote che rende
coerenti tutti questi piani differenti.
L’effettiva implementazione dell’NDP dipende da alcuni fattori determinanti, che tutti gli attori si
impegnano a rispettare:
I. Broad ownership—il piano del godere di ampio sostegno da tutti i settori della società.
II. Continuous capacity building—il rafforzamento delle capacità è fondamentale.
III. Policy consistency—i cambiamenti nelle policy devono essere affrontati con cautela e
basati sull’esperienza e sulle evidenze.
IV. Priorisation and sequencing—non tutte le proposte devono essere attuate
contemporaneamente.
V. Clarity of responsabilità and accountability—inasprimento della catena delle
responsabilità
VI. Continuous learning and improvement—l’attuazione deve essere un processo di
apprendimento, in modo che i piani posssano evolvere sulla base dell’esperienza e dei
risultat del monitoraggio
VII. Coordinate action—le azioni devono essere coordinate e ci devono essere delle
interazioni regolari giorno per giorno.
2. Etiopia
L’Etiopia ufficialmente conosciuta la Repubblica federale democratica dell’Etiopia è un paese situato nel
Corno d’Africa, è situata nella parte centro-orientale dell’Africa. L’Etiopia è il paese più popoloso al mondo
senza sbocco sul mare, così come la seconda nazione più popolosa del continente africano dopo la Nigeria.
La sua moneta ufficiale è il Birr.
Dal 2004 alla crisi finanziaria del 2009, l’Etiopia è stata una delle economie più in rapida
crescita al mondo. Nonostante questa crescita, il PIL pro capite è molto basso: le guerre
civili e la siccità ricorrente hanno reso l’Etiopia uno dei paesi più poveri al mondo.
La politica d’Etiopia si svolge nel contesto di una repubblica parlamentare federale, per cui il
primo ministro è il capo del governo.
Il governo etiope risulta essere uno dei maggiormente attivi riguardo alla pianificazione
strategica. Esistono numerosi piani di sviluppo. Il più importante è il PASDEP (Plan for
Accelerted and Sustained Development to End Poverty). Otto sono i pilastri che hanno
composto la strategia del PASDEP. Questi pilastri strategici sono stati: costruire una capacità di
implementazione all-inclusive; dare una spinta massiccia per accelerare la crescita; creare un
equilibrio tra sviluppo economico e crescita della popolazione; far emergere i potenziali delle
donne etiopi; rafforzare la spina dorsale infrastrutturale del paese; rafforzare lo sviluppo delle
risorse umane; gestire il rischio e la volatilità; e creare opportunità di lavoro.
3. Il Benin
Il Bénin è una piccola repubblica presidenziale nella parte centro-occidentale del continente
africano, stretta tra il Togo e la Nigeria, con un piccolo sbocco sul mare.
Dalla fine del regime Marxista-Leninista nel 1989 il Bénin ha avuto un governo stabile e
democratico.
In Bénin vivono circa 40 gruppi etnici differenti. Ognuno di essi ha una propria lingua, seppur
la lingua ufficiale resta il francese, derivante da antiche colonizzazioni.
La povertà rimane un problema diffuso in Bénin, con tassi di povertà nazionale del 40,1% nel
2015. I settori dell’istruzione e della sanità continuano a rappresentare una quota significativa
della spesa pubblica annua, ma è necessario un impegno significativo per garantire una
maggiore equità nella distribuzione delle risorse e una maggiore efficienza nella gestione di
questi due settori.
Dopo il 1999, il Benin ha iniziato l’elaborazione e la messa in opera di strategie della riduzione
della povertà. Dopo la Strategie de Reduction de la Pauvrete Internaire (SRPI), terminata nel
2000, la Stategie de Réduction de la Pauvrete (SRP1) 2003-2005 servì come elemento
strategico di accreditamento e di dialogo verso partner tecnici ed economici internazionali. La
Stategie de Croissance pour la Réduction de la Pauvrete (SCPR 2) 2007-2009 ha permesso di
mantenere un tasso di crescita economica costante. L’ultima strategia emessa dal Governo,
Stategie de Croissance pour la Réduction de la Pauvrete (SCPR 3) 2011-2015 è stato il
risultato di un grande processo partecipativo che ha coinvolto in ogni fase l’amministrazione
pubblica, gli operatori e economici e la società civile. L’obiettivo globale è: il miglioramento
delle condizioni di vita della popolazione Béninese. In maniera specifica si intende
raggiungere importanti risultati nell’area educativa, negli ambiti che riguardano la fornitura e
utilizzo dell’acqua, così come negli MDG. Prevede quattro assi: 1) economico, crescita
economica; 2) sviluppo delle infrastrutture, in particolare trasporti, energia, comunicazione,
tecnologia idraulica e urbanistica; 3) sviluppo del capitale umano attraverso il miglioramento
dell’istruzione, del livello sanitario della popolazione, aumento dei posti di lavoro, riduzione
della disparità di genere; 4) promozione della qualità della governance (promozione pace e
sicurezza, rispetto dei diritti umani) e allo sviluppo equilibrato e durevole del paese.
Attualmente il Bénin è un paese che continua ad aver bisogno di aiuti, la crescita economica
non supera la crescita demografica, i livelli di povertà sono ancora molto elevati( più del 35%
della popolazione),esistono alti livelli di mortalità materna, alti livelli di giovani(15-19 età) che
hanno già un figlio e alti tassi di disoccupazione. Questi problemi persistono in parte anche a
causa di problemi di governance che lo stato centrale non è ancora in grado di affrontare in
modo adeguato e per questo ancora dipendente, non solo dal punto di vista economico ma
anche rispetto alle capacità di programmazione, dalla cooperazione internazionale.
Infatti come previsto dalla stessa Stratégie de Croissance pour la Reduction de la Pauvrete
(SCRP), la cooperazione internazionale è un elemento imprescindibile della crescita del paese.
A questo proposito, è molto importante è anche il Multi-Annual Strategic Plan 2014-2017
(MASP), piano di cooperazione con i Paesi Bassi. È una continuazione del MASP 2012-2015
con tre priorità già indicate da quest’ultimo: sicurezza alimentare, la salute e i diritti
riproduttivi e sessuali, l’acqua e i servizi igienici. Nonostante l’enorme potenziale che il
mercato Nigeriano rappresenta per il sistema economico del Bénin, il tasso di povertà è
ancora molto alto. Questo dipende secondo il MASP dalla mancanza di conoscenza dei sistemi
imprenditoriali e della cultura dell’azienda.
L’approccio alla sicurezza alimentare è orientato al mercato, alle strade d’accesso,
problematiche del territorio, servizi agro-business e mercati regionali e locali.
I fattori chiave del contributo olandese alla sicurezza alimentare e alla nutrizione sono:
I. Guidare la redditività (capacità di produrre reddito) del settore agro-alimentare;
II. Incoraggiare un ruolo più forte per i mercati e partner privati, tra cui i legami tra i partner dei Paesi
Bassi e Bénin;
III. Concentrare gli interventi nella parte sud-orientale del Bénin ai fini di una divisione del
lavoro e di una maggiore efficienza.
Abbiamo anche un programma come The Sexual and Reproductive Health and Rights(SRHR)
finalizzato a ridurre la mortalità materna e neonatale, ridurre l’HIV, aumentando l’accesso
ai moderni strumenti anticoncezionali, con l’obiettivo generale di contribuire alla riduzione
della rapida crescita della popolazione. I Paesi Bassi con il suo MASP 2012-2015 hanno
iniziato a sostenere azioni pratiche per questo programma finanziando anche una specie di
numero verde per gli adolescenti che hanno bisogno di informazioni. Hanno contribuito
inoltre alla promulgazione della legge contro la violenza domestica e hanno sostenuto una
NGO che si occupa dei diritti degli omosessuali. La strategia SRHR nel MASP 2014-2017 si
basa su quattro dimensioni:
I. Più conoscenza sessuale e libertà di scelta per i giovani;
II. Migliore accesso ai farmaci e contraccettivi;
III. Migliore assistenza sanitaria durante la gravidanza e il parto (incluso l’aborto sicuro);
IV. Più rispetto per i diritti sessuali e riproduttivi dei gruppi che sono attualmente negati;
In ogni caso, portare a termine i risultati immaginati dal MASP richiede tempo e sostegno
internazionale a lungo termine. Da un punto di vista economico, l’ambasciata dei Paesi Bassi
svolge un ruolo da garante, attraverso misure di finanziamento centrale, garantendo la
fattibilità del piano.
Visto che tutte queste azioni comportano la necessità di coordinare un gruppo di attori
molto diversi tra di loro-attori pubblici, privati, nazionali, internazionali- i Paesi Bassi si
propongono come coordinatore delle azioni strategiche operative, con la convinzione che le
azioni concordate per produrre risultati reali debbano condurre a strutture piccole ed
informali, piuttosto che grandi piattaforme rigide e burocratizzate.
Tuttavia le prospettive del Bénin per il futuro sono offuscate dalla mala gestione dei fondi di
cooperazione spesso emergente dai monitoraggi internazionali e dall’impatto del calo dei
prezzi mondiali del petrolio sull’economia della Nigeria, primo mercato di esportazione per
la repubblica del Bénin.
In modo differente e con piani con termini diversi il Sud Africa, l’Etiopia e il Bénin mostrano il
desiderio di crescere attraverso uno sviluppo inclusivo ed anche abbastanza bilanciato.
Chiaramente lo sviluppo economico e quello sociale sono i due obiettivi ai quali
dovrebbero dedicarsi maggiori risorse. Anche in questo caso, forse con una leggera
eccezione per il Sud Africa, si considera lo sviluppo economico il primo passo verso uno
sviluppo globale, ma la realizzazione delle tre aree risulta abbastanza bilanciata,
certamente molto di piú dei paesi che vedremo di seguito. L’impegno di competenze e di
risorse proprie o derivanti dalla cooperazione determina nei tre paesi analizzati una
generale tendenza positiva, seppur abbastanza lenta.
1. Sud Africa
2. Etiopia
3. Bénin
Human development Index(2015). Il primo presenta un livello medio di sviluppo umano, gli
altri due sono di livello basso.
Quali fattori determinano l’indice per ogni paese?
Il Sud Africa presenta un PIL molto superiore a quello degli altri due paesi e infatti questo
rappresenta la ragione principale del valore dell’HDI del Sud Africa, che lo rende un paese a
livello medio di sviluppo umano. Difatti guardando gli altri due indicatori principali, vediamo
che ha un bassissimo indice di vita atteso pari a 57,7 anni. Gli anni di scolarizzazione sono a un
livello accettabile cioè 13 anni. Per il Sud Africa quindi emerge in modo forte la necessità di
investire nelle strategie e nei programmi legati alla salute e alla sconfitta di malattie
epidemiche a semplice trasmissione come l’HIV.
Anche il Bénin presenta ancora dei risultati deludenti sull’attesa di vita(59,8 anni),
nonostante l’ottimo piano di sviluppo sanitario presentato dal Ministro della Salute della
Sanitá Béninese. Gli altri indici sono leggermente più alti di quelli etiopi.
L’Etiopia presenta invece una discreta attesa di vita (64,6 anni), un reddito annuo pro capite
crescente seppur basso di 1.523 dollari, e una scolarizzazione che lascia intendere che
esistono ampie aree di analfabetismo. Le strategie hanno comunque portato dei risultati
seppur piccoli, ad eccezione delle strategie legate alla salute che invece hanno portato un
risultato più che soddisfacente.
1) L’India
L’India, ufficialmente Repubblica dell’India, è uno Stato dell’Asia meridionale, con capitale
Nuova Delhi.
È il settimo paese per estensione geografica al mondo e il secondo più popolato, con 1,324
milioni di abitanti, metà dei quali hanno meno d 25 anni.
Colonizzata dal Regno Unito dalla metà del XIX secolo, l’India è diventata un moderno stato
nazionale nel 1947, dopo una lotta per l’indipendenza che è stata caratterizzata da una diffusa
resistenza non violenta guidata da Gandhi.
L’India è la dodicesima piú grande economia del mondo in termini nominali, e la quarta in
termini di potere di acquisto. Ma, nonostante ciò, il paese soffre ancora di alti livelli di
povertà, analfabetismo, e malnutrizione, oltre ad avere un sistema sociale tribale basato su
caste e una forte discriminazione femminile.
I piani quinquennali(FYP) sono quelli più importanti, erano programmi crescita economica e
sociale. Il primo piano quinquennale fu attuato alla fine degli anni ’20 da Stalin, presidente
dell’ex Unione Sovietica. I Five Years Plans sono piani quinquennali, progettati, realizzati e
monitorati dalla Planning Commission. Il primo piano quinquennale è stato uno dei più
importanti, avendo rivestito un ruolo fondamentale nel lancio di sviluppo indiano dopo
l’Indipendenza. Esso ha sostenuto con forza la produzione agricola e lanciato anche
l’industrializzazione del paese, che però è stata fortemente implementata nel Secondo Piano,
il quale si è concentrato sulle industrie pesanti.
Il dodicesimo piano quinquennale( Twelfth Five Year Plan 2012-2017) è uno dei più recenti. La
sfida è stata duplice: attuare delle infrastrutture alla base dei grandi progetti e far fronte alle
questioni fiscali che hanno creato un clima di incertezza per gli investimenti. Lo sviluppo
economico avuto negli ultimi anni ha portato una crescita considerevole all’India, ormai la
dodicesima potenza del mondo, ma in modo assolutamente sbilanciato. Lo sbilanciamento
presenta diverse aree di interesse: sbilanciamento geografico(difatti c’è una grandissima
differenza di sviluppo umano da stato a stato ed anche tra le aree urbane e quelle rurali),
sbilanciamento economico, sbilanciamento culturale e sociale. Per tutte queste ragioni il
Twelfth Five-Year Plan ha posto una principale attenzione all’inclusione ed alla sostenibilità. Il
piano, infatti, seppur in modo ancora residuale, si è concentrato anche sui settori sociali,
tenendo conto dell’impatto che hanno sullo sviluppo umano e sulla qualitá di vita. Esso
compre un gran numero di settori diversi: salute, istruzione, acqua, sanità. Oltre, come
abbiamo visto, all’inclusione, la visione del dodicesimo piano indiano vede un altro elemento
fondamentale: la sostenibilità. Infatti nessun processo di sviluppo può permettersi di
trascurare le conseguenze ambientali, l’esaurimento e degrado delle risorse naturali.
Il grande difetto che il piano presenta è dato dalla conservazione dell’idea abbracciata dai
piani precedenti che, a nostro parere è stata una delle cause principali della crescita
sbilanciata dello sviluppo umano, ossia la crescita economica come obiettivo prioritario,
presupponendo che dall’incremento del PIL si generi un automatico aumento della qualità
di vita per tutti. Quest’idea non è del tutto corretta.
Per molto tempo si era pensato che per un paese tanto vasto e grande quanto l’India, la
pianificazione centralizzata non potesse funzionare a causa del suo approccio unico per
tutti. Inoltre, dal momento che la Commissione di pianificazione era controllata dal governo
centrale, spesso finiva come uno strumento per punire gli stati governati dai partiti di
opposizione quando si trattava di stanziare fondi. A causa dell’approccio top-to-botton nella
pianificazione centralizzata, si è ritenuto che gli stati dovessero avere maggiore voce in
capitolo nella pianificazione delle proprie spese.
Il governo guidato da Narendra Modi, eletto nel 2014, ha sciolto la Planning Commision,
sostituendola con un think tank chiamati NITI Aayong( acronimo di National Institution for
Transforming India). Il Niti Aayong è il nuovo organismo che dà direttive politiche. Il suo
principio fondatore è il “federalismo cooperativo”. La differenza più importante è che Niti
Aayong non ha il potere di concedere fondi o prendere decisioni per conto degli stati. È solo
un organo consultivo.
I piani quinquennali sono stati sostituiti da un piano d’azione triennale. Infatti il Niti Aayong,
che ha sostituito la Planning commission, ha lanciato un piano d’azione triennale dal 2017-
2020. L’agenda di azione propone un percorso composto da sette parti per raggiungere uno
sviluppo a 360 gradi della popolazione: 1) politiche economiche e fiscali; 2) da una parte,
agricoltura, dall’altra industria e servizi con la questione chiave di creare posti di lavoro ben
retribuiti; 3) facilitare l’urbanizzazione del paese; 4) migliorare infrastrutture, le PPP, energia,
scienza, tecnologia che sono i fattori principali di crescita; 5) questione relative al governo;
2) Le Filippine
Le Filippine sono uno Stato insulare del Sud-est asiatico situato nell’Oceano Pacifico. Unico
stato a non avere confini terrestri con altri stati, è frequentemente colpito da terremoti e
tifoni, ma è anche ricco di risorse naturali e ha una delle zone più ricche di biodiversità nel
mondo. L’arcipelago delle Filippine, che comprende 1.707 isole, è diviso in tre regioni
geografiche principali. La popolazione filippina è molto popolosa, essa comprende 103,3
milioni di persone residenti nel paese, e circa 11 milioni di persone residenti all’estero.
La storia politica delle Filippine è molto ricca, combinando influenze asiatiche, europee, e
americane. Prima di diventare una colonia spagnola nel 1521 il paese presentava una ricca
cultura e fiorenti commerci con il Giappone e la Cina. Nel 1989, dopo 350 anni e 300
ribellioni, finalmente le Filippine conquistarono la loro indipendenza dalla Spagna, ma nello
stesso anno divennero l’unica colonia statunitense. Dopo le due guerre mondiali, le Filippine,
finalmente, nel 1946 riconquistarono la loro indipendenza e divennero una repubblica.
Lo stato oggi è una democrazia basata su un sistema politico presidenziale. Le tre regioni non
hanno un vero e proprio organismo governativo, ma sono al servizio delle province che
hanno un proprio Governo.
La moneta ufficiale delle Filippine è il peso.
L’economia delle Filippine presenta un buon PIL pro capite. Anche l’attesa di vita è
abbastanza alta(68 anni), mostrando una differenza di genere a favore delle donne.
Le Filippine, insieme a Malesia, Indonesia, Singapore e Thailandia, sono una delle 5 nazioni
fondatrici dell’ ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico).
Le Filippine devono ancora affrontare molte sfide nel settore delle infrastrutture, inoltre manca un
adeguato sviluppo nel settore del turismo, dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria, e della crescita
umana.
Tra i programmi ricordiamo il Philippine Development Plan 2011-2016 (PDP). La vision del
piano è ‘a country with an organized and widely shared rapid expansion of our economy
through a government dedicate to honing and mobilizing our people’s killer and energies as
well as the respinsible harnessing of our natural resources’
La mission è ‘doing the right things, giving value to eccellence and integrity and rejecting mediocrity
and dishonesty, and giving priority to others over ourselves’.
Mira ad aumentare lo sviluppo sostenibile e ridurre la povertà. Il governo ha previsto cinque linee strategiche: 1)
creazione di una governance trasparente e responsabile; riduzione della povertà e responsabilizzazione dei poveri;
crescita economica rapida e sostenuta; pace giusta e duratura e stato di diritto; integrità dell’ambiente e
adattamento ai cambiamenti climatici. All’interno del piano strategico, viene prevista la realizzazione di piani
operativi annuali: National Priority Plan (NPP), lista di programmi prioritari per il governo in materia di sviluppo
istruzione, sanità, sport, scienza e cultura che devono essere portati a termine ogni anno.
Per coprire finanziariamente i programmi e per poter concedere servizi gratuiti, il governo incoraggia le donazioni
del settore privato. Per l’implementazione del piano, il governo ha previsto la partecipazione attiva delle imprese
private, dei civili, dei media, in modo tale da dar voce anche alle persone e, viceversa, per permettere al governo di
rispondere a quelle che sono le esigenze dei cittadini. Il monitoraggio da parte dei media, civili è fondamentale,
inoltre, contro la corruzione: ai cittadini sono concessi dei canali per riferire, direttamente e anonimamente,
anomalie di funzione di governo alle autorità competenti, oltre alla concessione di una loro rappresentanza nei
processi di budget e approvvigionamento.
Nel 2017, viene approvato il piano di sviluppo filippino(PDP) 2017-2022. “Vogliamo che le
Filippine diventino un paese a reddito medio-alto entro il 2022. Con le giuste politiche e
con la fiducia reciproca tra governo e cittadinanza, questo è molto possibile”, ha dichiarato
il segretario Pernia.
Il piano di sviluppo filippino 2017-2022 è basato su tre pilastri principali. Il primo è Malasakit,
che mira a riconquistare la fiducia delle persone nelle istituzioni pubbliche e a coltivare la
fiducia tra i colleghi filippini, attraverso la promozione di una maggiore consapevolezza delle
misure anticorruzione, il miglioramento della produttività, riforme, accesso all’assistenza
legale.
Il secondo è Pagbabago, ovvero la riduzione delle disuguaglianze attraverso l’aumento delle
opportunità di crescita della produzione e del reddito, istruzione di base e di qualità
accessibile per tutti, riduzione e gestione del rischio di catastrofi. In terzo luogo, Patuloy na
Pag-unlad ci si concentra sull’aumento della crescita potenziale attraverso il sostegno e
l’accelerazione della crescita economica e facendo avanzare con vigore scienza, tecnologia,
innovazione. Inoltre, il piano si occupa anche dei filippini d’oltremare, identificando strategie e
politiche atte a proteggere i loro diritti, migliorando la loro qualità di vita e integrandoli nello
sviluppo del paese.
3) Il Myanmar
La Birmania, o Myanmar, è uno Stato dell’Asia sudorientale, che copre la parte ovest della
penisola Indocinese, attraversata dal fiume Ayeyawardy da nord a sud for and una vasta
pianura alluvionale. È il più grande paese del continente sud-est asiatico, ha una delle più
basse densità di popolazione nella regione, con terre fertili, potenziale agricolo non sfruttato,
una ricca dotazione di risorse naturali. È un paese multietnico composto da più di 130 gruppi,
situati per il 70% lungo il fiume. La maggioranza della popolazione è di etnia Bamar e di
religione buddhista, ma vi sono anche numerose minoranze etniche, che sin
dall’indipendenza sono state coinvolte in diversi conflitti armati con il governo centrale,
alcuni dei quali durano tuttora.
La sua moneta ufficiale è il Kyat.
La sua posizione geografica all’incrocio tra Cina e India, due delle economie più dinamiche del
mondo, lo rende ben posizionato per riprendere il suo tradizionale ruolo di centro del
commercio e fornitore chiave di minerali, gas naturale e prodotti agricoli.
Dopo aver ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito e dopo l’instaurazione del primo
governo militare, il Primo Ministro U Nu tentò di fare della Birmania uno Stato abbastanza
ricco. Il colpo di Stato nel 1962 fu seguito da una dittatura militare e da uno schema
economico socialista, con un programma per far controllare allo stato tutte le aziende con
l’eccezione di quelle agricole. A partire dal 2010, il governo militare birmano ha attuato una
serie di graduali riforme politiche, instaurando un governo civile, scarcerando gli oppositori
politici e convocando libere elezioni parlamentari. Dal 2011 il paese si è aperto al libero
mercato, ed ha fatto registrare tassi di crescita economica alti. La crescita del PIL ha subito
poi una battuta d’arresto del 2016; nonostante ciò, il trend di medio termine risulta positivo.
La crescita economica si è aperta a ventaglio in tutti i settori(turismo, esportazioni di gas
naturale, telecomunicazioni, idrocarburi, settore immobiliare e alberghiero e manifatturiero)
secondo stime l’economia birmana potrebbe quadruplicare entro il 2030 soprattutto grazie al
settore dell’industria ad alta tecnologia.
È una delle economie più dinamiche dell’Asia.
La povertà in Myanmar è sproporzionatamente concentrata nelle aree rurali, luoghi in cui c’è
un aumento consistente di famiglie che vivono vicino alla soglia minima di povertà.
La Birmania, tra i paesi ASEAN, ha un’aspettativa di vita bassa(66 anni) e il secondo più alto
tasso di mortalità neonatale e infantile. Meno di un terzo della popolazione ha accesso alla
rete elettrica, la densità stradale rimane bassa, e le connessioni ITC sono ancora poco
sviluppate. Grazie ai due operatori di telecomunicazioni privati che hanno iniziato ad operare
in Myanmar alla fine del 2015, si dovrebbe registrare in questi anni un significativo aumento.
A partire dal 2011, il Myanmar è diventato il paese delle riforme. Anche se alcune riforme non
funzionano come previsto, le riforme già intraprese non hanno solo un valore simbolico per il
paese o cosmetico per la comunità straniera. Si tratta, invece, di riforme che pare stiano
contribuendo a cambiare una volta per tutte la mentalità ristretta presente negli ultimi 50
anni in Myanmar. Gli ultimi anni, infatti, hanno visto un consistente aumento di libertà
politiche e civile e una significativa riduzione nei conflitti armati. Allo stesso tempo, però,
nuove tensioni e sfide sono emerse, tra cui numerosi episodi di violenza nelle aree di
minoranza etnica.
L’attività di monitoraggio e controllo viene considerata fondamentale per la riuscita del piano
e le sue evoluzioni future. Per questo motivo gli obiettivi ed i risultati del FESR sono
supervisionati dalla Planning Commision presieduta dal Presidente. Un problema di rilievo
che presenta lo stato del Myanmar è il reperimento di dati affidabili. Inoltre, come già visto
precedentemente e come in parte verificato anche per i piani a medio e lungo termine del
Myanmar, la sfida maggiore che un governo deve affrontare è il passaggio dalla ideazione alla
realizzazione.
L’India ha una popolazione enorme, seconda solo alla Cina, ma con una superficie molto più
piccola, e, quindi, una densità di popolazione certamente maggiore. Le Filippine hanno un una
popolazione di 100 milioni di residenti e piú di 11 milioni di residenti all’estero. La Birmania ha
solo 53 milioni di abitanti distribuiti su una superficie che è più di due volte quella delle
Filippine.
I tre paesi asiatici mostrano un orientamento specifico delle strategie verso lo sviluppo
economico. L’India, ad esempio, ha perseguito lo sviluppo economico negli ultimi venti anni
e in gran parte lo ha anche raggiunto, lasciando un po’ indietro gli altri elementi dello
sviluppo umano che determinano poi la sua posizione del HDI rank, addirittura più bassa
delle Filippine. Anche la Birmania ha come primo obiettivo lo sviluppo economico
presupponendo che da esso derivi lo sviluppo umano, ma a differenza dell’India che segue
il suo percorso strategico da più di venti anni, la Birmania è appena all’inizio.
Tra i tre le Filippine si presentano maggiormente bilanciate. Presentano uno sviluppo umano
rispettabile, ed è il migliore tra i tre.
Un’altra similitudine tra i piani strategici dell’India e delle Filippine è l’attenzione alla buona
governance, chiedendo addirittura un controllo cittadino sulla mala gestione e corruzione.
Per motivazioni differenti sia India che la Birmania hanno difficoltà nella formazione di dati
certi. La prima per motivi di grandezza del paese e di popolazione, la seconda per la mancanza
di un censimento e di strutture per il reperimento di dati.
Tutti e tre i paesi presentano una grande differenza di sviluppo umano tra gruppi di
popolazione.
L’India, comunque, resta il paese con il più accurato, innovativo e professionale
piano strategico.
In tutto, abbiamo analizzato tre tipologie di Nazioni: un’area in via di sviluppo ormai
avanzato(Sud Africa e India), un’area in via di sviluppo lento ma costante(Etiopia e Filippine),
un’area che si è appena affacciata all’idea di sviluppo strategicamente perseguito(Bénin è
Myanmar)
4. LA STRUTTURA DELLA PROGRAMMAZIONE STRATEGICA PER LO SVILUPPO
4.1 I PROGRAMMI DI SVILUPPO: IL MODELLO DELLE SCATOLE CINESI
Il territorio ha bisogno di tempo per raggiungere lo sviluppo umano desiderato, non può realizzare il suo
piano strategico in 5 anni come un’azienda. D’altro canto, è vero che le strategie territoriali sono legate al
potere politico, quindi a un tempo limitato. Queste sono due caratteristiche che non si conciliano bene
con un serio percorso di sviluppo umano: disfacendo e rifacendo i piani più volte nell’arco del tempo, col
cambiare di chi ha il potere politico, difficilmente si arriva a un vero e persistente sviluppo. L’instabilità
politica, quindi, risulta uno dei principali ostacoli.
L’altra anomalia è che quando si studiano i piani annuali o triennali, c’è sempre il riferimento a un
altro piano che si occupa dell’implementazione. Ciò crea un sistema di scatole cinesi che non permettono
mai di arrivare all’implementazione dell’azione, e soprattutto nella confusione fanno smarrire le tracce
della responsabilità: con questo sistema può esserci, ad esempio, un piano per migliorare l’istruzione
delle aree tribali, ma poi la sua implementazione si perde tra le scatole cinesi della programmazione
strategica, non consentendo di comprendere la responsabilità e di monitorare gli effetti delle strategie
stesse. Uno dei problemi principali è il passaggio dalla pianificazione all’implementazione: tutti i governi
hanno piani strategici e piani operativi, ma in diversi casi non ci sono tracce di programmi di
implementazione. Spesso questa viene affidata alla società civile, agli enti non governativi, a volontari e a
progetti internazionali. Il piano strategico rappresenta, in questo senso, più una dichiarazione di intenti
che un vero programma di lavoro a medio o lungo termine.
Il piano strategico di un governo è o diventa, quindi, un vero e proprio manifesto politico, programma che
rispecchia uno scenario tendenzialmente molto positivo, non sempre rispondente alla realtà. Per questo
motivo, è importante che i piani non siano facilmente controllabili e valutabili dall’elettorato.
Un altro elemento emergente è che il piano strategico sia una necessità più che un’esigenza: è
importante compilarlo per mostrare alle Nazioni Unite l’intenzione e la capacità di portarlo a termine per
ottenere finanziamenti e competenze internazionali. Quindi omologarsi agli altri paesi non è una priorità.
In altri casi, l’intenzione del paese è principalmente quella di perseguire uno sviluppo economico,
ma nei loro piani sono indicati tra gli obbiettivi, ovviamente, anche gli altri due pilastri dello sviluppo
umano. Questo per due ragioni: convincere l’elettorato che si ha a cuore la risoluzione dei problemi
sociali, mostrare alle Nazioni Unite l’intenzione di rispettare gli obiettivi indicati per lo sviluppo umano.
4.5 LA COMUNICAZIONE
Esistono due tipi di comunicazione: interna ed esterna. La prima è necessaria per il coinvolgimento della
popolazione e per l’informazione stessa, la seconda aiuta la costruzione dell’immagine o la comunica
all’esterno. La comunicazione esterna non è mai menzionata nei piani strategici, eppure la comunicazione
di questi (non sempre accessibili dal web), dei progetti, la pubblicazione dei budget, le relazioni che si
instaurano con altri paesi o con gli enti intergovernativi, sono tutte azioni di comunicazione che si
svolgono, ma senza lasciare traccia evidente nei piani strategici.
Il ciclo di vita rappresenta un fondamentale strumento di analisi da porre alla base della pianificazione
strategica: comprendere a che punto è l’organizzazione nel suo ciclo di vita orienta le scelte strategiche da
intraprendere.
Anche nel caso dello sviluppo di un paese in trasformazione, è molto importante capire a che punto del
ciclo di vita ci si trova, oltre che prevedere verosimilmente le fasi di sviluppo future. In questo caso le
caratteristiche sono differenti: sull’asse delle ascisse troviamo sempre il tempo, e su quello delle ordinate
troviamo l’HDI, che si divide in low, medium e high. l’incrocio tra i due divide il ciclo in fasi:
-start up: è la fase di avvio dello sviluppo proprio come per l’azienda, ma in questo caso non esiste la
nascita del paese, si parla piuttosto di un passaggio da un low HDI a un medium HDI, si tratta della fase
più complessa perché l’apporto di competenze e capitali da paesi stranieri è fondamentale per il
raggiungimento dei risultati prefissati;
-hang on: è una fase molto delicata, qui il paese inizia ad avere sempre meno bisogno dei capitali
stranieri, mantenendo regolare o addirittura aumentando l’HDI sempre più con le proprie risorse;
- self development o welfare: a questo punto si possono aprire due scenari. Il primo rappresenta
l’evoluzione dello sviluppo che prevede la totale indipendenza del paese, il secondo invece rappresenta
una recessione sia come sviluppo che come autonomia, rendendo di nuovo il paese dipendente
dall’assistenza dei paesi stranieri.
Questo ciclo di vita dello sviluppo si basa sull’HDI, ciò rende difficile che si verifichino i cosiddetti “fuochi
di paglia”, che vedono una velocissima crescita seguita da un altrettanto rapido declino: questi si
verificano quando viene preso in considerazione solo il fattore economico.
Tuttavia si possono verificare cicli di vita sbilanciati come quello Indiano, che seppur abbia raggiunto un
medium HDI presenta un disequilibrio in favore del fattore economico a danno di salute e istruzione.
Il ciclo, per essere uno strumento efficace per la pianificazione strategica, deve essere scisso in tre parti
distinte: una per ciascuno dei fattori dell’HDI: questo permette di orientarsi meglio per la decisione del
piano strategico da attuare.
Quello che proponiamo qui non è un modello di sviluppo, ma l’indicazione di un percorso di crescita e gli
strumenti di supporto alla programmazione strategica, i quali concilino le esigenze della popolazione con
quelle politiche. Parliamo quindi di Overall Development Management Model. “Overall development”
intende uno sviluppo umano, bilanciato, a lungo termine e indipendente; “Management Model”
rappresenta il metodo e gli strumenti necessari per raggiungere e gestire tale sviluppo.
Il percorso indicato è fondato sull’idea di ciclo di
vita, quindi sull’intenzione del paese di iniziare il
suo percorso di crescita.
1= Come mostrato in figura, nella fase di start-up
intervengono il “Sustainable Development State”
(SDS= lo stato che intende avviare lo sviluppo
sostenibile: quindi economico, sociale e umano), la
comunità internazionale (IC), attraverso piani
bilaterali o multilaterali, e gli attori non governativi
(NGA). (quindi è una partnership pubblico-privata:
attori pubblici: SDS, IC; attori privati: NGA)
In questa fase SDS e IC hanno lo stesso peso nel
processo di sviluppo: è vero che il primo
rappresenta il fulcro del processo di sviluppo, ma la
IC fornisce risorse materiali e immateriali allo stato
per l’avvio del processo e per la realizzazione di una
crescita bilanciata e repentina. Le NGA, invece, in
questa fase hanno solo il compito di implementare
il programma di sviluppo sul territorio coinvolgendo
la popolazione (per implementare il sistema bottom up a quello top down).
In questa fase, i 5 step di programmazione sono: analisi strategica(A), identificazione delle strategie(S),
pianificazione(P), implementazione(I) e controllo(C).
Questi step, ricordiamo, vanno composti con le caratteristiche distintive di ciascun paese creando un
percorso di sviluppo che ne rispetti la cultura.
2= nella fase di hang on il paese deve mantenere la crescita abbandonando gradualmente le risorse
estere. La società civile e la popolazione che essa rappresenta in questa fase iniziano ad avere un peso
specifico anche per la programmazione dello sviluppo. Il perno del programma di sviluppo è l’SDS, seppur
ancora con un leggero supporto delle istituzioni internazionali. Gli attori menzionati compongono in modo
progressivo le prime 4 delle 5 aree di sviluppo sopra citate, mentre l’ultima, quella di controllo, viene
utilizzata come interfase per monitorare il piano e l’andamento delle fasi precedenti.
Al termine di questa fase si hanno come attori principali l’SDS e gli NGA (acquisisce un crescente ruolo per
l’implementazione e consolidamento delle attività di sviluppo sui territori), che formano insieme la
programmazione strategica e operativa del paese, implementandola sempre in modo sinergico e
realizzando appieno il processo di sviluppo basato sull’approccio strategico top down e bottom up.
3, ipotesi 1= Nel self development gli step previsti sono infiniti, dato che infinita dovrebbe essere la
durata della fase. La progressione degli step è la stessa della fase precedente, con la fase di controllo che
si ripropone più volte durante tutto il percorso di programmazione.
3, ipotesi 2= se durante la fase di hang on il paese non riesce a progredire verso uno sviluppo autonomo,
manifestando il bisogno sempre maggiore di aiuti internazionali, si regredisce in una fase di welfare. In
questo caso il metodo immaginato può essere comunque utilizzato per la pianificazione, anche se in
genere vengono attuati piani di cooperazione internazionale tradizionalmente intesa.
La SWOT analysis è la fase preliminare della programmazione strategica. È composta da analisi esterna
(OT= opportunity, threats) e interna (SW=strenght, weakness).
L’analisi esterna si serve dell’analisi PEST per valutare sotto forma di opportunità e minacce i fattori
esterni alle aziende e i cambiamenti:
- politico-istituzionali(P): gli aspetti politico istituzionali mondiali e dei paesi vicini rappresentano, per la
programmazione strategica di sviluppo di un paese, un elemento importante: se la comunità stabilisce
l’aumento dei fondi, chiaramente ciò costituisce un’opportunità per il paese in via di sviluppo che ne
beneficia, in caso contrario diventa una minaccia.
- economici(E): l’andamento economico dei paesi occidentali ha un riscontro sui paesi che hanno la
necessità del loro supporto. Il periodo di crisi economica che ha colpito i paesi ricchi nel 2008, ad
esempio, ha scaturito una riduzione degli aiuti ai paesi in difficoltà.
- socio-culturali(S): conoscere le peculiarità culturali sia del mondo che delle aree di riferimento è
importante: la cultura di un paese si confronta sempre, in un processo di sviluppo, con la cultura
proveniente dal mondo. Un esempio è la riduzione dell’importanza delle caste in India, chiaramente
divenuto elemento di un programma di sviluppo perché influenzato dal sistema culturale mondiale.
- tecnologici(T): le nuove tecnologie influenzano e facilitano i processi di sviluppo, creando molte
opportunità per le aree in trasformazione. I cambiamenti tecnologici possono anche rappresentare delle
minacce: pensiamo alle nuove armi di distruzione di massa. Gli effetti della globalizzazione a riguardo
delle nuove tecnologie, hanno portato i paesi industrializzati a spostare il focus da una sanità nazionale a
una globale, di cui sicuramente beneficiano, almeno in parte, anche le economie in trasformazione.
Le variabili analizzate sotto forma di minacce e opportunità sono sempre incontrollabili, ciò vuol dire che
è impossibile influenzarne l’andamento, ma se ne è costantemente influenzati.
Il benchmarking è uno strumento di analisi esterna. Il termine, letteralmente, esprime il concetto di
“parametro di riferimento”. Indica nella sua accezione più generale l’osservazione attenta e metodologica
delle organizzazioni eccellenti a livello mondiale.
L’obiettivo dell’analisi interna è portare in evidenza un quadro preciso del paese. Per farlo, è necessario
confrontare i fattori esterni su menzionati con le competenze, le capacità e le risorse interne al paese.
Questi elementi sono controllabili, ossia modificabili dal paese stesso. Essi sono valutati come punti di
forza o di debolezza, in modo da permettere al paese di comprendere su cosa puntare in una fase di
pianificazione strategica e quali sono i punti deboli da rafforzare.
Per l’analisi interna è possibile utilizzare il modello VRIO, che individua le caratteristiche importanti delle
risorse possedute dall’organizzazione.
-Valore: la risorsa deve essere in grado di sfruttare un’opportunità;
-Rarità: vedere se c’è qualcun altro che la possiede.
-Inimitabilità: non vuol dire sempre difficoltà di imitazione, ma impiego di denaro maggiore, non
posseduto dalla concorrenza. Se l’imitazione è possibile, si trasforma in debolezza.
-organizzazione: bisogna capire se si è organizzati per gestire quella risorsa.
Questi quattro fattori, combinandosi, generano situazioni di svantaggio, parità, vantaggio
temporaneo o vantaggio durevole.
Il risultato della SWOT dovrebbe essere la comprensione della situazione del paese, delle competenze
distintive, di ciò che risulta necessario sviluppare, acquisire o eliminare per il raggiungimento degli
obiettivi e per la realizzazione della vision (che è lo scenario che si vuole vedere nel futuro: non è un
concetto astratto, ma molto concreto. È il “sogno” che definisce lo scopo per cui un’azienda esiste.)
-mission: insieme degli scopi che l’organizzazione persegue per raggiungere la vision.
A differenza della vision deve essere distinta per le tre fasi di sviluppo.
Nella fase di start up del paese essa può essere, per esempio: raggiungere una forte crescita bilanciata e
sostenibile dell’HDI in 5 anni. Ne ricaviamo che all’interno della mission vengono definiti gli impacts, cioè
gli obbiettivi generali. Nella fase di hang on la mission dovrebbe essere una crescita sostenuta ma più
stabile, aumentando l’indipendenza da aiuti stranieri. In quella di self development la mission non può
che essere il mantenimento della posizione raggiunta e la tendenza positiva di crescita in autonomia.
Nella fase di welfare, il paese tende a restare in attesa dello sviluppo, senza renderlo una vera mission, ma
agendo per aree di emergenza sotto la sollecitazione della comunità internazionale. Quindi il paese in
questo caso tende a restare un satellite dei paesi forti, una “colonia” consapevole o inconsapevole dei
paesi forti, in cambio degli aiuti internazionali.
Nel caso di accordi tra paesi le cose cambiano: la supremazia economica e culturale dei paesi con un HDI
alto e molto alto fanno sì che siano i paesi forti a scegliere gli accordi, accettati incondizionatamente da
quelli deboli, con un potere decisionale prossimo allo zero: il rischio è quello della formazione di una sorta
di colonialismo a distanza. Lo stato di emergenza, che richiede la risoluzione di problemi a breve termine,
fa sì che si tralasci la mission di lungo termine, lasciando i paesi deboli nel welfare.
Avere una visione costante di medio-lungo periodo riguardo agli accordi e alle soluzioni che essi
prospettano per i paesi deboli è importante per valutare il reale potenziale della partnership per lo
sviluppo. Il rischio di accordi sbilanciati resta molto alto, ma la possibilità di considerare le proprie risorse
come un sufficiente bilanciamento deve entrare nella forma mentis del paese debole: i paesi deboli
potrebbero compensare alla supremazia economica con quella culturale, ma quest’ultima viene esercitata
dai paesi avanzati in misura ancora più forte rispetto a quella economica. Questa potrebbe essere
compensata con le risorse naturali che generalmente i paesi deboli hanno, ma queste “stranamente” non
vengono mai a far parte degli accordi.
L’accordo a cui si deve tendere è quello legato ai partner in cui la cooperazione viene interpretata come
uno scambio sinergico di risorse, vantaggioso per entrambe le parti, permettendo il raggiungimento di
risultati altrimenti per il singolo non raggiungibili.
Per quanto riguarda il tempo, è una dimensione importante da aggiungere alla matrice nel
momento in cui si parla di macro, visto che come abbiamo detto molti accordi possono essere utili per
affrontare l’emergenza, ma devastanti nel medio-lungo periodo(devastanti perché c’è il rischio di cadere
nello stato di welfare, di dipendenza, dall’altro paese con cui si fa l’accordo, se quest’ultimo dura molto).
La temporalità dipende da due fattori: il grado di fiducia e la potenzialità di sviluppo. Un basso livello di
fiducia e quindi un’alta criticità del rapporto, devono essere contrattuali e tendenzialmente brevi, in caso
contrario, relazioni con un basso grado di criticità del rapporto possono essere sinergiche e durature.
L’anomalia oggi sta nel fatto che la fiducia è data da una scarsa percezione del rischio nelle aree deboli e
non dalla sua assenza.
Inserendo il tempo nella matrice di Parente ci troviamo una struttura tridimensionale con maggiori
possibilità di valutazione dell’accordo stesso: il Poliedro degli Accordi.
Possono nascere 8 tipi di relazioni dall’integrazione del livello di temporalità (occasionale/stabile); con il
grado di criticità del rapporto (basso se c’è molta fiducia, oppure medio o alto) e con la potenzialità di
sviluppo (strategico/tattico):
1= accordi possibili/opportunistici: se il risultato è bilanciato tra le due parti è fattibile, ma la criticità è
alta, il tempo breve e il potenziale basso;
2= accordi da evitare: alta criticità, tempo lungo, basso potenziale: vantaggiosi solo per i partner forti;
3= accordi specifici/transnazionali: alta criticità, tempo breve, basso potenziale: questi rapporti definiti su
precisi accordi contrattuali possono portare benefici nel breve termine senza subire troppo il rapporto
sbilanciato in favore del paese dominante;
4= accordi rischiosi: criticità alta, tempo lungo, alto potenziale: il tempo aumenta la possibilità di
soccombere nel rapporto, ma l’alta possibilità di sviluppo potrebbe essere sufficiente per assumersi il
rischio.
5= accordi sinergici: bassa criticità, tempo lungo, alto potenziale: sono gli accordi bilanciati e fruttuosi per
tutte le parti, quelli a cui deve tendere il paese debole;
6= accordi stabili: bassa criticità, tempo lungo, basso potenziale: nel lungo termine potrebbero comunque
portare dei vantaggi di sviluppo limitati, ma il rischio che il paese debole incombi nello stato di welfare è
limitato.
7= accordi fruttuosi: bassa criticità, tempo breve, alto potenziale: sono consigliati per obbiettivi di
sviluppo settoriali o politici.
8= accordi inutili: bassa criticità, tempo breve, basso potenziale: sono accordi che non cambiano la
situazione con un basso potenziale in poco tempo, hanno senso solo se fatti per costruire altri rapporti
maggiormente interessanti.
La somma sinergica di queste tre dimensioni individuate determina le reali potenzialità dell’accordo
rendendo il poliedro un importante strumento tecnico manageriale in grado di aiutare i governi deboli a
compiere una ragionata scelta strategica.
Come già anticipato, oltre che di sviluppo, le strategie possono essere anche di altro tipo:
- strategie di rafforzamento/stabilità: si propongono di mantenere le posizioni raggiunte. Si verifica
quando un paese in self development avanzato è in un equilibrio secondo cui gli altri paesi non
aumentano in maniera preoccupante per lo sviluppo del paese e il mercato non richiede cambiamenti.
Sono strategie pericolose nel macro perché catastrofi naturali, crisi economiche o attacchi terroristici sono
possibili e mettono a repentaglio la stabilità del paese, facendolo potenzialmente regredire.
- strategie di risanamento: sono tipiche di organismi (paesi o imprese) che hanno subito uno shock, come
le sopracitate catastrofi naturali, che necessitano di interventi repentini ed efficaci.
- la combinazione delle tre strategie: è un’alternativa per un’area territoriale. L’influenza delle variabili
ambientali può rendere necessario che il paese adotti differenti strategie contemporaneamente per
raggiungere uno sviluppo equilibrato.
V. Pianificazione operativa.
Questa fase prevede la definizione di piani specifici molto dettagliati che individuano il tragitto che il
programma deve percorrere durante l’implementazione.
Il principale strumento che si utilizza è il Work breakdown Structure (WBS) reimpostato secondo il Logic
framework. Il WBS sfrutta un modello di esemplificazione su base gerarchica, secondo una struttura ad
albero, per la suddivisione degli obbiettivi generali, specifici, operativi e attività. Ogni obiettivo generale
scomponibile costituisce l’inizio di un ramo da cui partono rami più piccoli (specifici), più piccoli ancora
(operativi), le attività ancora più piccole e poi le foglie, cioè le singole azioni.
Per quanto riguarda il piano complessivo di sviluppo di una macroarea, abbiamo già esplicitato la
definizione di obbiettivi generali come impact e di obbiettivi specifico come outcome, in essi compresi. Ad
ognuno di questi corrispondono obbiettivi operativi (output) fino ad arrivare alle azioni, che una alla volta
porteranno al risultato finale.
La struttura articolata va collocata nella dimensione temporale, per la quale utilizziamo il diagramma di
Gantt, che permette di visualizzare la durata temporale di ogni attività, la loro sequenza e la
contemporaneità di due o più azioni. Il tempo può essere stabilito in base alle esigenze: possono essere
giorni, settimane, mesi ecc.
Il piano di lavoro redatto in questo modo chiarisce cosa fare e quando, ma non specifica l’impiego delle
risorse umane previsto per l’attività (non stabilisce chi fa cosa) : bisogna indicare la risorsa necessaria per
ogni attività operativa individuata, distinguendo gli attori interni ed esterni che faranno parte del processo
di sviluppo. Per semplificare questo processo, si usa il WBS come base per il RBS, resource breakdown
structure –struttura di scomposizione delle risorse. Nel project management si utilizza anche lo
strumento della matrice di responsabilità, per indicare i compiti e le responsabilità dei componenti del
team del progetto. Si individua chi ha il compito di supervisionare S, chi deve essere informato I, e chi ne è
responsabile R.
IL cost breakdown structure CBS, è utile nella progettazione generale. È il costo di ogni attività da
aggiungere allo schema ad albero e rappresenta parte del budget complessivo.
Il fund breakdown structure FBS indica i ricavi, le fonti dei finanziamenti, si forma sulla base del CBS,
analizzando per ogni costo i finanziamenti che vanno a coprirlo. Prima della realizzazione del piano è
necessario, nel macro ad esempio, conoscere le risorse che il governo ha a disposizione, quelle derivanti
dalle amministrazioni locali, quelle certe derivanti dalla cooperazione internazionale e quelle potenziali
del settore privato.
Il piano finanziario serve per un progetto che attinge a finanziamenti esterni, spesso pubblici: la differenza
temporale tra la definizione del finanziamento e il reperimento dei fondi causa un’anticipazione
finanziaria da parte del governo che va considerata.
In precedenza abbiamo detto che il problema dei paesi in via di sviluppo è l’implementazione delle
strategie, ma se la pianificazione strategica e operativa vengono fatte in modo accurato e preciso,
l’implementazione diviene immediata e naturale e la possibilità di mancata realizzazione diviene più rara.
Ciò aiuta alla risoluzione di un altro problema accennato nel modello delle scatole cinesi: è più facile
individuare la responsabilità della mancata realizzazione dei piani previsti.
Tutti gli attori coinvolti nella fase di start up sono coinvolti anche da Experiment: con essi progetta un
metodo ad hoc ispirandosi alle seguenti parole chiave:
- informazione: per raggiungere un numero elevato di destinatari. L’informazione, per rendere chiaro il
percorso, il suo scopo e i suoi obiettivi, deve essere trasparente, quindi il risultato di processi dichiarati,
accessibile, cioè facilmente raggiungibile e comprensibile nel linguaggio, immediata, scritta e diffusa in
modalità semplici per chi la deve ricevere;
- comunicazione: il linguaggio per informare e comunicare deve essere inclusivo, aperto e stimolante;
- condivisione: è indispensabile per il progetto di engagement (impegno sul piano civile e sociale), perché
solo così i pensieri, i progetti e le risorse dei soggetti che prendono parte al processo acquisiscono un
valore per tutti;
- coinvolgimento: solo una persona coinvolta, che si sente emotivamente parte del percorso, offre con
passione idee stimolanti al gruppo e cerca le occasioni migliori per favorire il raggiungimento dello scopo.
Solo dal coinvolgimento discende la partecipazione attiva;
- cooperazione: la cooperazione fra gli attori del territori è ciò da cui emerge lo sviluppo. Il risultato della
cooperazione è la messa in comune delle risorse immateriali e materiali per uno scopo comune. Essa
diventa possibile solo come risultato di un processo che crea le condizioni per rendere utile a tutti
cooperare (cioè coinvolgimento e condivisione).
Nella fase di hang on Experiment supporta il SDS nell’attivazione di processi di stabilizzazione della
crescita, che diventa un facilitatore del cambiamento. Se la fase di start up ha posto le fondamenta per
una nuova visione sistemica dello sviluppo del SDS, la fase di hang on spinge le organizzazioni a
contaminare altri soggetti con cui sono connessi con questa nuova visione. Il coinvolgimento si spinge fino
alla cittadinanza e diventa uno strumento per estendere la partecipazione al processo di sviluppo.
Nella fase di self development il coinvolgimento diventa auto-rigenerativo, perché capace di alimentare da
solo un progresso virtuoso. La qualità delle interazioni fra le parti del sistema è significativamente
cresciuta e giorno dopo giorno il processo dialettico derivato dal coinvolgimento vede interessi
contrapposti condividere un cammino comune. La partecipazione si è definitivamente tradotta in
cooperazione nazionale.
X. Implementazione e controllo
L’implementazione deve seguire le attività e le azioni indicate nelle fasi precedenti, trasformando gli
obbiettivi in risultati, mentre il monitoraggio deve appurare che la realizzazione del pianificato porti ai
risultati previsti e, nel caso in cui ciò non si verifichi, attuare le misure per la revisione del piano per i nuovi
risultati. Il monitoraggio sul raggiungimento dei risultati serve a capire come viene implementato il piano,
se ci sono stati degli errori nella programmazione o nella realizzazione, come riportare il piano all’interno
dei binari indicati e come orientarsi per il progetto successivo.
Le tecniche di controllo utilizzabili durante l’implementazione sono:
1= identificazione dei punti di controllo, si utilizza sul Gantt, individuando momenti temporali in cui
vengono concluse determinate attività operative, effettuando un controllo su di esse;
2= misurazione degli scostamenti dei tempi, gli obbiettivi specifici sono quantitativi, quindi gli
scostamenti in positivo o negativo sono controllabili;
3= pietre miliari, si individuano elementi chiave nel piano che si monitorano per individuare scostamenti
e modificare le strategie per evitare gli effetti a catena;
4= verifiche a catena, check up del lavoro in essere, vengono fatte soprattutto nelle emergenze;
5= misurazione degli scostamenti dei costi/ricavi e il controllo del budget, cioè si controlla il bilancio
consuntivo step per step se il bilancio preventivo è stato veritiero.
Si ritiene che il monitoraggio con metodologie varie sia necessario per avere un controllo durante
e al termine dei piani e la valutazione dell’impiego dei fondi stranieri. Al termine di questa fase, i feedback
risultati andranno a comporre la nuova analisi strategica e ad alimentare la successiva programmazione.
Il problema fondamentale del monitoraggio e del controllo del processo di sviluppo in un’area in
trasformazione è la costruzione e il reperimento dei dati. Creare un processo su obiettivi quantitativi da
realizzare nell’arco di cinque anni, si assume il forte rischio di non riuscire a produrre i dati
precedentemente non esistenti o di non aggiornare in modo preciso e annuale quelli di partenza. Questo
problema si può risolvere, come già avviene in alcuni paesi, creando in affiancamento ai sistemi di
monitoraggio commissioni o gruppi responsabili della costruzione e del reperimento dei dati. Queste
sono miste, cioè composte da risorse pubbliche locali, esponenti della IC e della società civile.
Al termine della fase di hang on è importante il monitoraggio, effettuato con il sistema delle pietre
miliari e dei punti di controllo definiti partendo dal diagramma di Gantt. Bisogna assicurarsi day by day, in
una fase di stabilizzazione, che non ci si ritrovi nelle condizioni di dover ricorrere di nuovo agli aiuti
internazionali: non affrontare ogni scostamento può determinare il declino dell’indipendenza. Ciò che
accade in questa fase delicata determina se la condizione successiva sarà di self development o di welfare.
Anche in questo caso è necessaria la costituzione di commissioni addette a monitoraggio e controllo.
6.1. L’IMPRENDITORE
Negli ultimi anni la figura dell’imprenditore ha assunto sempre maggiore rilevanza. Le performance di
un’azienda sono strettamente dipendenti dalle azioni di chi la dirige e ne definisce orientamenti strategici
e scelte operative. La capacità di leadership di un imprenditore presuppone doti di intuizione, creatività,
capacità manageriali e di coinvolgimento, ma anche di valutazione del contesto in cui si opera, soprattutto
quando è caratterizzato da forte incertezza. Il manager non si deve confrontare sol con le opportunità per
la sua azienda, ma anche con i rischi che le sue scelte comportano.
Ad oggi è difficile dare una definizione univoca di imprenditore, ma ci sono quattro funzioni connesse
tradizionalmente a questa figura, che possiamo usare per definire quattro tipologie di imprenditore:
-imprenditore organizzatore: è un concetto tipico della scuola classica e neoclassica dell’economia-
Partendo dal presupposto che il mercato non venga influenzato dai singoli attori economici (secondo
questa teoria) l’imprenditore ha il ruolo di organizzare dei capitali e della produzione, ma senza una
visione strategica, la quale comporterebbe l’assunzione di un rischio. È una visione un po’ statica che non
prevede alcun dinamismo nel ruolo. Gli economisti neoclassici iniziano a introdurre il concetto di
leadership, ossia il possesso di peculiari doti personali e di propensione all’azione. Questa visione
ribadisce la centralità del mercato e non considera quello dell’imprenditore un ruolo attivo e dinamico.
-imprenditore decision maker: secondo la visione neoistituzionalista (che ribalta la precedente), grazie a
particolari doti di vigilanza e prontezza, l’imprenditore riesce ad affrontare le incertezze economiche e
sociali, a intravedere le opportunità. Secondo questa definizione se ne valorizzano le doti di intuizione e
progettualità, connesse alla capacità di valutare e gestire ogni elemento utile e di formulare,
conseguentemente, coerenti previsioni. Qui il ruolo dell’imprenditore lo pone al centro del processo
manageriale.
-imprenditore risk-breaker: imprenditore come assuntore di rischi. Fondamentale è la differenza fra il
rischio, che è collegato a eventi ricorrenti e quindi, in base all’esperienza, può essere previsto e gestito;
l’incertezza, che non è prevedibile ed è collegata a eventi unici. L’imprenditore deve saper assumere la
responsabilità dei rischi, facendo ricorso alle sue doti personali. La responsabilità decisionale, quindi, è un
elemento essenziale per attribuire la qualifica di imprenditore.
-imprenditore innovatore: Schumpeter, esponente della Scuola di Vienna, nella sua Teoria dello sviluppo
economico propone una visione dell’imprenditore che valuti capacità di organizzare in modo nuovo e più
efficiente l’impresa. È fondamentale la capacità di coniugare creatività e conoscenza per attivare un
processo di cosiddetta “distruzione creatrice”, in base a cui le imprese meno innovative vengono spinte
fuori dal mercato. Questa visione fa dell’imprenditore un soggetto nuovo, che assume su di sé totalmente
il rischio legato alle nuove combinazioni produttive e all’innovazione che le genera, vede la sua
remunerazione legata all’attività innovativa e ai rischi ad essa connessi. L’imprenditore non è solo abile a
sfruttare situazioni preesistenti, come nel caso precedente, ma ne crea di nuove, assumendo il rischio in
prima persona.
In sintesi, si è passati dall’idea ottocentesca di imprenditore come figura statica che agisce come
intermediario in un contesto prevedibile, determinato dalla centralità del mercato, alla visione
dell’imprenditore come figura centrale e dinamica che oltre a sapersi assumere i rischi derivanti da
opportunità in contesti già conosciuti, ne crea di nuove.
Le caratteristiche finora analizzate non sono sufficienti a qualificare un soggetto come
imprenditore: è necessario che egli sia in grado di trasformare le proprie idee imprenditoriali in un
modello d’impresa e di declinare scelte strategiche e operative, così come pure possibilità di fattibilità,
all’interno di un business model che abbia le caratteristiche di un’impresa.
Nelle pagine seguenti diamo indicazioni sul una categoria di impresa, le start-up, che al giorno
d’oggi sono la categoria privilegiata per chi vuole intraprendere una nuova impresa.
6.2 Le start-up
Come già abbiamo detto, il termine start-up indica la fase di avviamento di un’impresa o dello sviluppo di
un territorio. Nell’ultimo trentennio però questo termine ha subito una variazione di significato, infatti
oggi sta ad indicare tutte quelle imprese che abbiano qualcosa di innovativo e, solitamente, ma non
necessariamente, di altamente tecnologico: infatti secondo Peter Thiel, fondatore di paypal, la nuova
tecnologia tende a venire proprio dalle start-up.
La definizione a cui oggi ci si riferisce quando si parla di start-up, identifica alcune caratteristiche:
- temporaneità: nel momento in cui l’impresa, dopo l’avvio, inizia a guadagnare stabilmente, diventa
un’impresa consolidata, non è più considerabile una start-up.
- ripetibilità: è la capacità di un’azienda di ottenere ricavi più di una volta attraverso l’erogazione dello
stesso prodotto o servizio. Start-up quindi vuol dire creare imprese che siano in grado di sopravvivere agli
scenari competitivi che caratterizzano il nostro tempo, e non business progettato per estinguersi.
- scalabilità: la capacità di essere flessibile: in caso di incremento dei ricavi rispetto a quello dei costi, la
start-up deve essere in grado di adeguarsi senza incrementare proporzionalmente l’utilizzo delle risorse.
- profittabilità: la capacità di creare un ritorno per coloro che investono: non necessariamente monetario.
Il ritorno per Facebook, per esempio, sta nel fatto che i dati raccolti dai comportamenti degli utenti della
piattaforma possono essere venduti.
Abbiamo sentito pochi casi di successo di start-up in paesi a basso e medio reddito, ma questi singoli casi
spesso sono bastati per smuovere un intero ecosistema: in Argentina, per esempio, due studenti di MBA a
Stanford, hanno creato Mercado Libre un mercato simile a Ebay. Dopo il grande successo ottenuto da
questa impresa, molti altri giovani si sono lanciati nell’avvio di attività. I due fondatori hanno avviato un
fondo venture capital, così esiste un’intera generazione di nuovi imprenditori che ha avuto origine
esclusivamente da questo grande successo.
Ci sono segnali molto buoni in tutto il mondo rispetto all’attenzione alla creazione di start-up: Cina e
Israele sono i due migliori casi di successo, anche se la Cina crea più start-up imitative e Israele innovative.
L’accesso all’impresa e alla speranza di un futuro, nei paesi sviluppati, è difficile per donne,
minoranze, immigrati, mentre negli altri paesi lo è per tutti senza distinzioni. I paesi occidentali
dovrebbero assumersi la responsabilità della crescita delle idee nei paesi deboli, piuttosto che portare le
loro idee e le loro imprese lì per utilizzare le risorse a basso costo. La comunità internazionale e i governi
dovrebbero sviluppare programmi volti allo sviluppo di start-up assicurando alle idee e ai talenti l’accesso
alle risorse per costruire un’impresa e per avviare l’ecosistema di riferimento.
In sintesi, il successo di una start-up in un paese debole è la chiave di avvio del processo imprenditoriale,
perché oltre all’aumento della speranza, provoca un consistente miglioramento economico dell’ambiente
e quindi una maggiore disponibilità di risorse finanziarie da reinvestire. I casi di successo, quindi, possono
fare molto, ma per crearli è necessaria una grande quantità di persone che tentano la fortuna. Perché
questo processo virtuoso abbia inizio è necessario un impegno da parte dei governi locali e della
comunità internazionale volt ad attuare politiche di sostegno alle start-up, sempre trovando soluzioni
adatte alle circostanze economiche di ogni paese.
Nei paesi in via di sviluppo, le strategie di promozione devono mirare a migliorare le attività
imprenditoriali esistenti, aumentando il livello di innovatività delle nuove imprese. In questi contesti, non
innovatività non si intende necessariamente alta tecnologia, ma la creazione di beni e servizi
qualitativamente migliori che rispondono ai bisogni che non sono ancora adeguatamente serviti (sia a
livello locale che nazionale). Questo può risultare difficile perché porterebbe le start-up di questi paesi a
competere con quelle dei paesi già sviluppati, che hanno più esperienza di mercato, tecnologie più
avanzate e reti sviluppate.
1) strumenti politici: gli ecosistemi di start-up hanno bisogno di un ambiente normativo stabile, di una
solida politica di concorrenza e di un sistema legale che non penalizzi l’assunzione di rischi. Hanno anche
bisogno di un forte sistema di istruzione e supporto per l’eccellenza della ricerca nelle università e del
sostegno finanziario del governo nelle primissime fasi dello sviluppo aziendale, benefici fiscali per aiutare
l’emergere dei business angels e di venture capitalists.
Nelle aree deboli del mondo vengono effettuati pochi finanziamenti a sostegno dell’industria poiché si
trovano continuamente in una situazione emergenziale e la soluzione dei problemi a breve termine fa
passare in secondo piano la visione di medio-lungo termine, creando un circolo vizioso che non permette
al paese di muoversi di un passo. Per sviluppare l’economia di un’area debole è necessario che si usino
strumenti politici a medio-lungo termine per promuovere la creazione d’impresa. Gli strumenti sono
-riduzione delle tasse per l’avvio di impresa, essendo un mancato guadagno e non un costo,
acquisirebbe, per lo Stato, l’aspetto di un investimento;
-la definizione di contributi per le start-up sotto forma di incentivi, premi e borse. È importante investire
risorse considerevoli nel processo di valutazione delle proposte per scansare il rischio della distribuzione a
pioggia che non porterebbe risultati positivi; è anche importante concedere gli incentivi anche non nate
sul territorio, ma che vogliono crearvi aziende.
-creazione di infrastrutture per il supporto alle start-up. Un esempio possono essere incubatori e
acceleratori. L’incubatore ha il vantaggio di creare reti di start-up e partnership in grado di ampliare i
mercai di riferimento.
-campagne di informazione: queste campagne possono essere utili non solo agli imprenditori, ma anche
a incentivare l’attivazione di strumenti di supporto. Tuttavia è difficile da valutarne l’efficacia, dato che non
riguarda i singoli imprenditori.
2) strumenti di supporto: gli strumenti di supporto all’attività manageriale utili nel nostro caso sono:
-consulenza legale e gestionale: i paesi deboli spesso fioriscono le idee ma mancano gli strumenti per
renderle operative. Mancano competenze di progettazione, di gestione e definizione di partnership e di
marketing.
-supporto di marketing per le start-up: ci sono idee di business fattibili che soffrono di una mancanza di
capacità di marketing.
-formazione per gli imprenditori: sia per quelli potenziali che per quelli in essenza, è importante perché
in questi paesi spesso manca la conoscenza di gestione, contabilità e questioni legali.
-programmi di insegnamento per le competenze imprenditoriali. Dovrebbero essere integrati nei
curricula standard dei programmi di istruzione superiore per raggiungere tutti gli studenti. Dovrebbero
impiegare docenti che possiedono attitudini e capacità imprenditoriali e imprenditori che possono fornire
la loro visione del mondo reale dell’avvio di un’impresa. Ci può essere anche la creazione di progetti di
start-up virtuali, con l’intento di insegnare agli studenti come impostare e gestire un’impresa di successo,
sperando che ciò riesca a ridurre la paura del fallimento di cui prima.
3) strumenti finanziari: nei paesi in via di sviluppo gli investitori tendono a investire solo in start-up in fase
avanzata, senza rischiare sulle nuove idee, ma solo con gli strumenti finanziari può nascere la possibilità di
avviare una nuova impresa:
-prestiti all’avviamento erogati direttamente dalle banche pubbliche. Serve a compensare la mancanza
di finanziamenti privati per progetti rischiosi o per copycat, che non vengono finanziati solitamente dalle
banche private.
-reti di business angels: è spesso efficace. Un gran numero di business angels aumenta anche le
opportunità di investimento. Le attività di queste reti potrebbero essere collegate anche ai programmi di
formazione. Ciò però presuppone la presenza di business angels su un territorio debole, cosa non ovvia.
-venture capital: è uno strumento particolarmente importante per le aziende che cercano di introdurre
una nuova imprese senza avere chiaro in anticipo se esista effettivamente un mercato. Gli investimenti VC
affrontano un alto tasso di fallimento, ma alcuni generano straordinariamente alti profitti che
compensano le perdite subite altrove.
Gli studi rigorosi per analizzare gli impatti dei programmi di promozione sulla popolazione di imprenditori
e sulle attività sono molto pochi e danno risultati contrastanti: quando si attuano misure nei paesi in via di
sviluppo, le tecniche di monitoraggio divengono un fondamentale strumento di informazione e gestione.
Noi riteniamo per i motivi spiegati all’inizio del paragrafo che incentivare le start-up aiuti allo sviluppo
dell’intero territorio.
4= ANALISI STRATEGICA (SWOT): come visto nel quinto capitolo, la SWOT è uno strumento di analisi
strategica usato per valutare punti di forza, debolezza, opportunità e minacce di un progetto, di
un’impresa e le conseguenti relazione con l’ambiente in cui si colloca. Serve per definire gli orientamenti
strategici finalizzati al raggiungimento dell’obbiettivo.S/W=interna: VRIO. O/T=esterna: PEST.
I punti fondamentali per la definizione di un’analisi swot sulla mission dell’impresa in avvio sono:
-variabili interne: modificabili, che sono i punti di forza e di debolezza, cioè utili (management,
organizzazione dell’azienda, prodotti che si prevede contribuiranno al success dell’impresa) o
dannosi/migliorabili per il raggiungimento dell’obiettivo (criticità che devono essere monitorate per
essere contenute o eliminate).
-variabili esterne: non modificabili, che sono opportunità e minacce rappresentate dalle condizioni
esterne.
Il principale rischio dell’analisi SWOT è dato dalla natura delle informazioni raccolte che, se non
certe, possono portare a conclusioni errate. Una buona analisi SWOT nel business plan porta a due
risultati: permettere al finanziatore di comprendere facilmente le competenze tecniche dell’impresa; si
riduce la possibilità di sbagliare, dato che è la base scientifica s cui si fondano le scelte strategiche
successive.
-strategie funzionali: quelle relative alle scelte di lungo periodo delle singole funzioni dell’impresa: di
marketing, di organizzazione ecc. la funzione in un’azienda è un’area organizzativa composta da persone
e risorse umane, economiche, tangibili, accomunate da compiti e ruoli: nella funzione marketing ci sono
tutti quelli che si occupano del marketing per l’azienda ecc..
5.1=PIANO MARKETING: il ruolo del marketing è creare l’incontro tra impresa e mercato. Le fasi
fondamentali di un piano marketing sono la formulazione di strategie e la definizione dei piani d’azione
(relativi alle 4P del marketing mix e timing delle attività). Un’azione di marketing efficace raggiunge
l’obbiettivo determinato con costi adeguati a esso.
La scelta delle strategie di marketing si riconduce, in relazione alla tipologia e al numero dei
mercati obbiettivo, a tre tipologie:
-marketing indifferenziato: si presenta una sola offerta volta a raggiungere il maggior numero di
acquirenti possibile, attraverso un’azione di marketing standardizzata. È utilizzata spesso nei paesi deboli
in cui è difficile accedere a dati di segmentazione precisi e certi.
-marketing differenziato: si rivolge a target diversi con prodotti, servizi e programmi specifici per ognuno.
-marketing concentrato: si rivolge a un unico segmento di mercato, meno ampio rispetto agli altri,
presupponendo un unico piano marketing. Questo garantisce anche una riduzione dei costi.
Scelta la strategia, nel piano di marketing è opportuno definire le politiche operative che si intendono
adottare, ossia il marketing mix. Esso è composto da quattro strumenti, detti le 4P, necessari perché
l’impresa raggiunga il target.
-prodotto/servizio: l’impresa deve ideare un prodotto/servizio in grado di soddisfare i bisogni individuali.
-prezzo: le politiche di prezzo adottabili sono tipicamente due: scrematura e penetrazione. La prima vuole
rendere il prodotto non immediatamente accessibile a tutti, puntando sull’utile unitario più che sulla
quantità di vendita, come accade per l’alta tecnologia (prezzo alto che poi si abbassa). La seconda, invece,
vuole spingere i volumi di vendita da subito, determinando un prezzo popolare. Per la decisione del
prezzo unitario poi si possono usare tre metodologie: la prima è basata sul costo unitario del bene: si
vede quanto costa ogni prodotto e si aggiunge il ricavo scelto dall’impresa per ogni prodotto. In questo
caso si può usare il Break Even Price, cioè la quantità di unità da vendere a prezzo stabilito per arrivare a
costi e guadagni 0, oppure il prezzo di ciascuna unità data la quantità. La seconda è basata su quanto il
consumatore è disposto a pagare. La terza è basata sul prezzo medio dei concorrenti e sul
posizionamento che si intende avere rispetto a loro.
-placement: riguardo alla distribuzione, gli elementi principali da inserire sono la strategia e il canale di
distribuzione che si intende utilizzare. Le strategie che possono essere adottate sono:
1) distribuzione intensiva: si affianca al marketing indifferenziato, prevede una distribuzione a tappeto del
servizio/prodotto;
2) distribuzione selettiva: si affianca al marketing differenziato, prevede la distribuzione solo in alcuni
luoghi selezionati;
3) distribuzione esclusiva: di vario tipo: diretto (senza intermediari, dall’impresa al consumatore);
indiretto (con almeno un intermediario, come l’agente, il grossista o il dettagliante).
-promotion: la comunicazione (promotion) comprende vari strumenti da utilizzare. La pubblicità, le
pubbliche relazioni, la promozione delle vendite, la vendita personale e i social media. Questi strumenti
sono volti a informare, invogliare e convincere i target di mercato. La definizione di che tipo di
comunicazione utilizzare è molto condizionata dai costi, dal prodotto e dalla strategia di marketing scelta.
I vantaggi principali della pianificazione strategica di marketing si possono identificare con redditività
maggiore nel tempo e miglioramento della produttività. L’esistenza di un piano di marketing a livello
aziendale costituisce un fattore fondamentale ai fini dell’orientamento delle scelte a livello di prodotto.
5.2= PIANO ORGANIZZATIVO: l’organizzazione d’impresa consiste in persone che lavorano insieme per
raggiungere lo stesso risultato. Sono normalmente considerate variabili organizzative componenti la
gestione delle risorse umane, HRM, di cui abbiamo già parlato nel macro:
- struttura organizzativa: dipende dal tipo di attività esercitato, dal contesto esterno, dal periodo di vita e
dalla grandezza dell’impresa. Per un’impresa in avvio, generalmente la struttura delle risorse umane è
abbastanza semplificata, o in forma funzionale o divisionale. Difficilmente si adottano strutture matriciali.
-cultura organizzativa: è quello che di materiale vediamo all’interno dell’impresa. È l’insieme di valori,
comportamenti e modi di pensare che appartengono a quell’impresa. Ci sono tre elementi che ci indicano
quale potrebbe essere la cultura organizzativa:
1.artefatti: è l’elemento più facile, sono i materiali quindi è l’elemento fisico. L’organizzazione, infatti, si
esprime anche attraverso le cose. L’arredo, la tecnologia, lo sfruttamento degli spazi.
2.valori espliciti: sono quelli che espressi nelle comunicazioni ufficiali, vengono comunicati esplicitamente
tipo l’etica dell’impresa;
3.assunti: quelli che non vengono detti, ma vengono comunicati in un altro modo tipo attraverso gli
esempi.
Quattro tipi:
1)clan: vista in modo etico è simile all’area del volontariato e della politica. Si crea una sorta di famiglia
estesa con a capo un padre/madre, colui che da l’esempio e l’indirizzo. Il capo del clan diventa un
mentore. Nel clan c’è grande partecipazione, organizzazione e unità.
2)adhocrazia: l’azienda è divisa in gruppi con una funzione specifica. Sono seguiti da un professionista che
dà loro indicazioni, ma la dinamica è scelta da ogni gruppo. Dando autonomia ai vari gruppi si crea molto
dinamismo e più innovazione a differenza del clan che è statico.
3)gerarchia: nella struttura gerarchica c’è chi comanda e chi esegue.
4)mercato: i gruppi sono l’uno contro l’altro in competizione, dopo che le competenze sono state fornite.
-stile di leadership: facciamo una distinzione tra leader transnazionale (risultato di una negoziazione in
un rapporto di scambio alla pari tra leader e collaboratori. Il rapporto prevede dei premi, non
necessariamente di natura economica, che incentivino comportamenti produttivi a scapito di quelli non
premiati, che non sono produttivi) e trasformazionale (che basa il proprio rapporto coi collaboratori su
leve più emozionali. I suoi strumenti sono la capacità di motivare e di far identificare lo staff con la mission
del progetto. È un leader attento ai bisogno, alle motivazioni e potenzialità dei sottoposti).
Nel primo caso vengono conservate dinamiche già presenti nell’organizzazione, nel secondo c’è un
intervento evolutivo che può cambiare le regole. Esiste anche lo stile del laissez-faire, che consta di una
leadership assente o comunque non attiva.
Gli elementi del HRM non sono indipendenti l’uno dall’altro, ma si influenzano a vicenda.
Come abbiamo già visto, sono importanti il WBS e il RBS per la pianificazione della start-up e per
l’individuazione delle risorse umane. A questi si aggiunge il diagramma di Gantt, che inserisce il tempo nel
piano di lavoro e la matrice delle responsabilità che indica i ruoli che le risorse vanno a svolgere.
Per i programmi di sviluppo questi strumenti si applicano per obiettivo, per le start-up per progetto.
6= PREVISIONI ECONOMICHE, PATRIMONIALI E FINANZIARIE: i piani di azione di un business plan per una
start-up sono strettamente collegati e interdipendenti e si traducono sempre in misure economico-
finanziarie quantitative (costi, ricavi, fonti, impieghi) per l’analisi della fattibilità del progetto d’impresa.
È importante durante il piano non perdere di vista le implicazioni economico-finanziarie e fare continue
previsioni. Il piano economico-finanziario è utile per fare le dovute simulazioni che aiutano a compiere le
scelte progettuali, per iniziare a conoscere i numeri del business, per prendere le decisioni senza perdere
il contatto con la realtà, individuare eventuali piani di emergenza e comprendere il BEP a cui tendere.
Per predisporre un piano economico-finanziario completo per il business plan è necessario
redigere numerosi piani previsionali. Un punto di partenza importante per verificare ed, eventualmente,
modificare la strategia è il Break Even Point (BEP), il punto di pareggio, in cui i costi e ricavi si eguagliano.
È uno strumento che permette di comprendere in modo analitico, ma semplice, dopo quale quantità di
vendita l’impresa inizia a guadagnare. Ci informa su quando l’impresa copre tutti i costi e entra nell’area
del profitto. Per utilizzare questo strumento, è necessario già conoscere i costi fissi e variabili, i
finanziamenti previsti e il prezzo di vendita.
Il BEP presenta un’elaborazione grafica su piano cartesiano e una algebrica. Nella rappresentazione
grafica, sull’asse delle ordinate ci sono gli euro, ossia costi e ricavi, e su quella delle ascisse le quantità
prodotte e vendute. Così è possibile tracciare:
-la retta dei costi fissi CF, costante all’aumentare della quantità prodotta/venduta.
-la retta dei costi variabili CV, che, partendo dall’origine, aumenta all’aumentare della produzione;
-la retta dei costi totali CT, che è la risultante dei costi fissi più i costi variabili.
-la retta dei ricavi totali RT, definita, in base alle stime fatte, dalla somma dei ricavi fissi RF (finanziamenti
pubblici e privati) più la stima di quelli variabili P*Q.
Il punto di incontro della retta CT e della retta RT rappresenta una quantità e un prezzo di equilibrio.
Budget: piano preventivo in cui vengono inseriti i costi che l’azienda pensa di poter sostenere e i ricavi che
si aspetta di ricevere. Cash flow o piano di cassa: costi e ricavi che effettivamente l’azienda ha e sostiene.
Bilancio: piano consultivo, si fa dopo.
I piani da predisporre per dare ai finanziatori un quadro chiaro e preciso, seppur previsionale, è di almeno
3 anni. Il piano strategico, organizzativo, degli investimenti e quello di marketing vanno a comporre il
piano economico-finanziario e la conseguente valutazione di fattibilità.