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Dopo la visione del film Io capitano, com'è cambiata la tua idea sulle

migrazioni? Ti sei documentato sul fenomeno e sulle rotte dei migranti? Quali
momenti dell'esperienza dei protagonisti ti hanno colpito?

La migrazione è il movimento di persone da un luogo all’altro, per stabilirsi in una


nuova posizione. La migrazione è spesso il risultato di problemi strutturali e
disuguaglianze socioeconomiche, che costringono le persone a cercare condizioni di
vita migliori altrove.
Le migrazioni esistono da quando esiste l’umanità. Si tratta di un fenomeno mai
realmente arrestato dalle azioni umane o dalle politiche dei governi. Negli ultimi anni
i flussi al centro delle cronache europee sono stati principalmente due: gli
spostamenti di persone provenienti dai paesi africani del nord e del golfo di Guinea
verso il sud Europa, e quelli dei migranti provenienti dalle nazioni del Medio Oriente
e dell’Asia centrale verso l’est Europa. La globalizzazione, i conflitti che hanno
destabilizzato il continente africano e mediorientale, la guerra in Siria, la fame e la
povertà sono alcune delle cause che spingono moltissime persone a lasciare i loro
Paesi per arrivare in Europa alla ricerca di una vita migliore. Anzi, per molti si tratta
dell’unica possibilità di salvezza: per questo, i migranti finiscono nella rete dei
traffici gestite dalle organizzazioni criminali e si imbarcano in viaggi pericolosissimi
pur di arrivare nel nostro continente.
In automobile attraversando il confine tra Ucraina e Ungheria, o prendendo un bus
che porta in Italia. A piedi dall’Afghanistan fino in Bosnia Erzegovina, ai confini
dell’Unione europea. Su una barca fino alle coste italiane, dopo aver attraversato il
Mediterraneo. O tentando di scavalcare un muro in Marocco, oltre il quale si apre il
sogno dell’Europa. Sono alcune delle tratte oggi al centro del fenomeno migratorio
nel vecchio continente. Migliaia di persone che incrociano i loro destini con filo
spinato, muri, naufragi, dogane, impronte digitali e violenze.

L’Italia a sud e l’Ungheria a est, dunque, sono tra le principali porte d’accesso in
Europa. Due nazioni diverse, protagoniste di culture e storie differenti, ma da anni
accomunate dalle sfide poste dal fenomeno migratorio e dalle lacune dell’Unione
europea nel gestirlo.
L’aiuto umanitario è dovuto e necessario, ma la polemica che domina i Paesi europei,
alle prese con la crisi anche economica, è che non è possibile accogliere tutti e
integrarsi con numeri di persone così elevate. Questo atteggiamento ha prodotto
un’ostilità generalizzata delle popolazioni nei confronti dei migranti.
Il film “Io capitano”, diretto da Matteo Garrone, racconta il viaggio che migliaia di
persone provenienti da vari paesi africani compiono, rischiando la vita, per arrivare
alle frontiere dell’Europa. La storia viene raccontata dal punto di vista dei
protagonisti, ovvero Seydou e Moussa, due sedicenni senegalesi che decidono di
raggiungere l’Europa, non perché vivono in condizioni di povertà estrema, ma perché
vogliono realizzare i loro sogni e così migliorarsi. È attraverso le loro parole, in e in
francese, che seguiamo il racconto assistendo a ciò che loro e i loro compagni di
viaggio vivono. Il loro viaggio è un’odissea, in balia di persone che chiedono soldi in
cambio della possibilità di proseguire la rotta, attraverso Mali, Niger, Libia, pena la
prigione o la morte per stenti.
Il film mi ha colpito perché i due giovani decidono di partire, non perché costretti
dalla guerra o dalla povertà estrema, ma perché la globalizzazione è arrivata anche da
loro e hanno l’ambizione di vivere in un posto migliore, in cui sperano di poter
diventare famosi come cantanti rap; il loro è un sogno come quello di tanti giovani.
Inoltre, proprio perché il viaggio viene vissuto attraverso gli occhi dei migranti, mi ha
permesso di rivivere emozioni, paure, sofferenze, provate continuamente da persone
che lasciano il proprio paese alla ricerca di un futuro migliore.
Uomini, donne, ragazzi, bambini che vanno incontro ai pericoli del deserto, ai furti
dei trafficanti, ai campi di detenzione libici e alle torture, se non si hanno i soldi per
comprare la libertà.
Infine, l’attraversamento del Mediterraneo per giorni su barche fatiscenti, senza cibo
e spesso alla guida gli stessi migranti, come Seydou, che accetta questa enorme
responsabilità per avere lo sconto necessario per imbarcarsi.
È inevitabile essere dalla loro parte, sperare che riescano ad arrivare alla prossima
tappa, incitarli ad andare avanti, per sopravvivere.
Mi ha colpito che nel film non viene mai mostrato ciò che avviene in Italia: si rende
visibile ciò che normalmente giornali, telegiornali, social e altri mezzi di
informazione non mostrano; si dà visibilità a ciò che in Europa si tende a non sapere
e a non (voler) vedere.
Il film finisce quando la barca, con alla guida Seydou, intravede le coste italiche,
vengono inquadrati i suoi occhi pieni di speranza; il ragazzo grida di essere “il
capitano”.
Egli non è uno scafista e, nonostante sappiamo che nella realtà, non verrà ben accolto
dagli occidentali, la sua consapevolezza di essere “il capitano” fa sperare che egli
abbia acquistato la forza per riuscire a realizzare i suoi sogni, nonostante l’ostilità che
molto probabilmente incontrerà.

LEONARDO VIGNOLA

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