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Gian Biagio Conte
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Manuale storico dalle origini


alla fine dell’impero romano

con la collaborazione di

Alessandro Barchiesi
Emanuele Narducci
Giovanni Polara
Giuliano Ranucci
Gianpiero Rosati

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Nuova edizione
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Le Monnier
Redazione : S e p i a , Studio Redazionale. Premessa
Com posizione: Ediprint Service srl

P rim a edizione: m arzo 1987.


S econda edizione riv ed u ta: novembre 1989.
N uova edizione: dicem bre 1992.
Prima ristampa', dicem bre 1993.
Seconda ristam pa: gennaio 1995.
Terza ristam pa: maggio 1996.
Quest’opera è un manuale di storia letteraria dalle origini di Roma antica sino alla caduta
delPImpero. Prima di cominciare, non si ripeterà mai abbastanza che la forma tradizionale
del manuale storico si giustifica di per sé, per la sua utilità pratica (di studio e di consultazio­
ne): chi si assume questo lavoro non potrà inventare o reinventare gran cosa, né fornire
giustificazioni preliminari. Si potrà solo, in questa sede, segnalare dei piccoli correttivi e ac­
corgimenti, delle minute riforme applicate a uno strumento che già ha assunto nell’uso e
nella funzionalità la sua forma collaudata. Discutere le buone ragioni e la reale fattibilità
di una storia della letteratura non è certo, almeno per noi, operazione priva di senso: ma
preferiamo che a investirsi di questa dimensione problematica (ci sono anche studiosi pronti
a concludere per l’impossibilità) siano piuttosto gli utenti del nostro manuale. Qualche spunto
ISBN 88-00-42156-3 di riflessione, forse, potrà venire già dalle avvertenze che seguono.
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA a) Sono stati introdotti dei ritocchi di tipo quantitativo. Non c’è più bisogno, oggi,
che opere come questa rispettino innaturali gerarchie di ampiezza, continuando a privilegiare
con spazi relativamente maggiori i tipici autori «scolastici» appunto perché scolastici, a spese
L ’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre a mezzo di altri che per vari motivi si leggono meno a scuola. Proprio oggi che si è decisamente
fo tocopie u n a p o rzione non su p erio re a un d ecim o del presen te volum e.
Le richieste di riproduzione vanno inoltrate a ll’A ssociazione Italiana per superato ogni feticcio — esemplarità atemporale della cultura classica, valore morale-formativo
i Diritti di R iproduzione delle O pere a Stam pa (AIDROS), via delle Erbe 2, di certi testi classici — non si può continuare a discriminare testi immensi, per valore lettera­
20121 M ilano, telefono e fax 02/809506.
rio, come quelli di Plauto e Petronio (per non parlare dei pregiudizi che condannano gli
Si ritengono contraffatte le copie non firm ate
o non m unite del contrassegno della S.I.A.E. autori della tarda latinità in blocco). Dunque abbiamo tacitamente ristrutturato i rapporti
N ell’eventualità che passi antologici, citazioni od illustrazioni di com petenza quantitativi interni, senza per questo, speriamo, aver seriamente danneggiato Terenzio, Cesare
altrui siano riprodotti in questo volum e, l’editore è a disposizione degli aventi e persino Cornelio Nepote. Per la stessa logica di equo risarcimento, i lettori troveranno
diritto non potuti reperire. L ’editore porrà inoltre rim edio, in caso di cortese
segnalazione, ad eventuali non voluti errori e/o omissioni nei riferimenti relativi. più ricca e dettagliata del solito la trattazione del periodo tardoantico; proprio in questa
fase, ci è parso importante «raccontare» i testi un po’ più della media abituale, perché spesso,
in questo campo, il manuale surroga le occasioni di un incontro diretto. Diremmo anzi che
una trattazione puntigliosamente manualistica riesce qui tanto più nuova quanto più è tradi­
zionale.

/ /So/- b) La periodizzazione è notoriamente la croce di ogni operazione storica. Sappiamo


che periodizzare i fatti vuol dire renderli, se non intelligibili, quanto meno pensabili; ma
1/ - / sappiamo anche quanto questa operazione abbia di soggettivo e di culturalmente relativo.
Comunque, accettare l’inquadramento tradizionale, e i suoi riferimenti alla storia politica,
non significa necessariamente oscurare la continuità dei trapassi, o regolarizzare astrattamente
i ritmi variabili dello sviluppo.
È questo un settore in cui siamo stati puntigliosamente tradizionali, salvo apportare gli
C.M. 421.563
indispensabili ritocchi alla cronologia dei testi: per esempio la ricerca attuale rende impossibile
continuare a trattare dell’Appendix Vergiliana tra le opere di Virgilio e non tra i generi poetici
19312-2 - S ta b ilim e n ti T ip o lito g ra fic i « E . A ria n i» e « L ’A rte d e lla S ta m p a » del I secolo d.C.
d e lla S .p .A . A r m a n d o P a o le tti - F ire n z e
c) Non abbiamo inteso in nessun modo contestare l’intelaiatura biografica che è tipica
IV PREMESSA NOTA DELL’EDITORE V

di questi strumenti e che rimane centrale nell’insegnamento della letteratura latina: in una f) E veniamo alla questione dei generi. Qui tocchiamo un terreno più solido, perché
certa prospettiva gli autori possono anche apparire come i personaggi (reali) di una storia nessuno sembra ormai metterne in discussione l’utilità; naturalmente anche noi non vediamo
che è la storia stessa della cultura e della composizione letteraria. Ci è sembrato necessario alcun motivo per mettere i generi letterari in competizione con le singole personalità indivi­
però distinguere più nettamente (anche per comodità di studio) tra vite degli autori e loro duali. Solo bisogna che il genere operi come programma letterario iscritto nell’opera, come
opere. Date le caratteristiche della documentazione, il pericolo di fornire romanzi biografici modello del senso e della forma riconoscibile dietro la struttura discorsiva del testo. Se il
là dove si può almeno descrivere, con una certa obiettività, i testi che abbiamo, ci è parso genere è l’orizzonte di riferimento in cui ogni nuovo testo si colloca, diventa possibile seguire
da evitare. (Non stiamo parlando qui tanto di notizie biografiche chiaramente false e inventa­ come via maestra la dialettica fra tradizione e innovazione: e qui ogni individualità artistica
te, che fanno parte, come è noto, della fortuna antica di un testo: il nostro Plauto rinuncia ha il suo spazio naturale.
volentieri al suo faticoso mulino). In realtà, anche là dove abbiamo biografie consistenti e L ’importanza accordata ai generi letterari non è perciò in contraddizione con la tradizio­
attendibili, la confusione tra vita e testi è sempre pericolosa: tutte le migliori forme di critica nale struttura «a medaglioni» delle storie letterarie; basta che, nei diversi tagli storici, sia
letteraria e filologica praticate nel Novecento (anche le più distanti e polemiche tra loro) sempre ben chiara l’azione di questi istituti del comunicare, di questi modi già pronti di co­
hanno almeno questo in comune: ci hanno insegnato cautela nel tessere i rapporti tra informa­ struire il discorso che sono i generi. Soprattutto (è qui che la periodizzazione potrebbe distilla­
zione biografica e analisi dei testi letterari. Si aggiunga che raramente le notizie biografiche re i suoi veleni) andrà sempre ricordato che ogni genere ha suoi diversi «tempi», permanenze
che abbiamo possiedono un’autonomia originaria rispetto ai testi, anzi spesso capita che siano ostinate o ritmi variabili di sviluppo.
ricavate — nell’intento di colmare vuoti di notizie — dall’interno di quegli stessi testi, conget­ È stato possibile quindi rispettare le cronologie «assolute», con qualche naturale assesta­
turando sulle loro parole: ecco pronta la traccia di un pericoloso circolo interpretativo. mento. Spesso figure a vario titolo minori sono state accorpate nel quadro chiarificante di
Per questo abbiamo incorporato nelle trattazioni biografiche un certo senso di caparbia un genere. In un caso particolare — la scena arcaica — abbiamo introdotto un capitolo «isti­
problematicità: sottolineando, se occorre (compatibilmente con lo spazio e la chiarezza) in tuzionale», che alleggerisce e inquadra la trattazione degli scenici da Livio Andronico sino
quali punti la biografia è basata su deduzioni e ricostruzioni, e da quali testi, da quali combi­ all’età graccana. Così anche per la storia della filologia, tanto importante e a volte penalizza­
nazioni di indizi, da quale fonte indiretta (più o meno attendibile) traiamo il nostro sapere. ta, e per la storia della letteratura giuridica, si è operata una concentrazione quasi monografi­
Libero ognuno di memorizzare i dati puri e semplici, comprese le malfamate date, o anche ca, anche a costo di qualche piccola ripetizione rispetto alla sequenza diacronica.
di affondare un po’ di più nel problematico, pure a costo di vedere quanto poco in realtà
conosciamo di figure come Lucrezio o Petronio. Sappiamo che in questo modo di presentare Siamo stati anche troppo lunghi, e abbiamo finito per lasciar filtrare qua e là qualche
le cose c’è poco fascino (le vite degli autori, in molte autorevoli storie letterarie, hanno tutto piccola idiosincrasia personale. Ma anche gli autori di «oggettivi» manuali scolastici hanno
un loro prestigio di scrittura e una vivace attrattiva concreta); ma preferiremmo non sovrap­ le loro inevitabili fissazioni, simpatie e antipatie: non sarà male, prima di assumere la voce
porre al fascino diretto dei testi quello delle nostre proiezioni. distaccata che ci compete, confessarle e metterle nel conto.

d) Molti degli strumenti che le storie letterarie moderne hanno oggi in gran pregio G. B. C.
— sociologia letteraria, geografia, materialità dei testi, statistica, studio della comunicazione
orale, «microstorie», ecc. — hanno in realtà limitato spazio di applicazione nel nostro campo
di lavoro (per colpa, naturalmente, dei limiti di informazione e documentazione).
Abbiamo comunque tenuto conto, per quanto sapevamo fare, anche di questi interessi, Nota deir editore
cercando almeno di porre i problemi relativi: soprattutto quando le nostre idee sul pubblico
cui i testi erano destinati hanno diretta importanza per la comprensione dei testi stessi, dei
vari tipi di convenzione che li reggono e li determinano. Un manuale è, per definizione, uno strumento didattico. La sua qualità si misura, conse­
guentemente, anche in termini di utilità per lo studente e per la scuola. In coerenza con
e) Questo ci introduce alla difficile questione della fortuna degli autori. Cenni sulla tale assunto la struttura editoriale di un’opera del genere deve essere razionalmente preordina­
fortuna non possono mancare, ma come vanno concepiti? Se si tratta di contributi alla cultura ta verso la massima chiarezza e fruibilità.
generale degli studenti, abbiamo fieri dubbi sulla praticabilità della cosa. Si prenda il caso In tale ottica, è parso innanzitutto sensato rispettare l’abituale scansione cronologica e
Ovidio: l’ideale sarebbe, senza dubbio, una monografia di qualche decina di pagine. In alter­ per autori, ma anche integrarla, ove necessario, con capitoli di introduzione ai diversi periodi
nativa, una lista di punti salienti ingenera più confusione che arricchimento culturale: in po­ e di analisi dei generi letterari.
che righe si cavalcherebbe di fretta tra poesia medioevale, pittura fiamminga, Ariosto, Shake­ Inoltre, per gli autori maggiori, la parte informativo-documentaria (vita-opere-fonti) è
speare, e Neoclassicismo. stata tenuta quanto più possibile separata, anche sul piano grafico, dalla presentazione e
Certe notizie vanno comunque date, e non abbiamo una formula organica per risolvere il dall’analisi dei testi. Questa è corredata in loco dalle opportune citazioni (e traduzioni) mentre
problema. Come stimolo all’approfondimento, però, vorremmo indicare un nostro orientamen­ i riassunti e le descrizioni delle opere hanno, pure, una loro diversa evidenza formale. Apposi­
to: considerare la fortuna come una forma di esistenza del testo, o meglio, come una storia te e frequenti postille in margine alle pagine pongono in immediato risalto i punti essenziali
della sua ricezione attraverso classi di pubblico non intenzionate e non previste dall’autore. In della trattazione.
questo senso, gli artisti moderni che si rifanno al testo antico vanno visti come lettori fra gli Una breve nota dà conto del lavoro del filologo esponendo con chiarezza i limiti di ciò
altri: e la fortuna si interpreta come dialettico confronto fra le qualità originarie di un testo che conosciamo ed i modi in cui esso ci è pervenuto.
e il mutare degli orizzonti d’attesa del pubblico dei lettori. O lo studio della fortuna diventa Per affrontare in maniera consapevole il problema posto dai molti impliciti culturali con
uno studio di ricezione dei testi, oppure non vediamo perché debba interessarci più di tanto. i quali si entra in contatto nello studiare una letteratura classica, si è ritenuto utile preparare
VI NOTA ALLA NUOVA EDIZIONE

una serie di repertori o indici atti ad integrare o a rinfrescare l’ordinario bagaglio di nozioni
fornito allo studente dai precedenti corsi di studio.
Nota sulla trasmissione dei testi
Il manuale è quindi corredato di:
a) un lessico di cultura romana contenente i termini-chiave ideologici, politici e sociali;
b) un glossario dei termini retorici, stilistici e della critica letteraria·,
c) un repertorio dei riferimenti alla letteratura greca, comunque prezioso ma indispensabile
negli ordini di scuola ove il greco non è materia di studio;
d) una serie di tavole cronologiche su storia e cultura del mondo greco-romano;
e) un indice dei nomi che riporta accanto a ciascuna dizione italiana il corrispondente origina­
le latino.
Qualche perplessità potrà, forse, suscitare la mole di quest’opera, in un momento in cui Per organizzare meglio le nostre conoscenze sullo sviluppo della letteratura romana, dob­
gli studi classici sembrano prossimi a subire qualche ridimensionamento. In realtà né l’autore biamo tener presente la natura dei documenti su cui possiamo fondarci. Questi documenti
né l’editore ritengono che lo studente possa e debba sapere tutto ma, invece, che un buon sono in larga misura dei testi letterari e sono pervenuti a noi per via di tradizione manoscritta.
manuale possa e debba fornirgli la possibilità di scegliere, per conoscerla ed approfondirla, Le moderne edizioni a stampa riprendono questa lunga tradizione e cercano di valorizzarla
nelPambito di tutta la materia, senza precostituirgli illusorie scorciatoie ma anche senza im­ al meglio. Si dicono edizioni critiche quelle che adottano principi e regole scientificamente
porgli inutili complicazioni. Pertanto il responsabile di quest’opera ed i suoi valentissimi colla­ controllate e prendono in esame, nel modo più completo e diretto possibile, l’intera tradizione
boratori hanno compiuto un serio sforzo per esprimere, in un linguaggio aperto a tutti e manoscritta di un’opera. (La completezza d’informazione è necessaria perché, da un lato,
non da addetti ai lavori, tutto ciò che secondo le loro esperienze può essere importante per nessun testo letterario antico ci è pervenuto autografo; dall’altro, perché i manoscritti che
avvicinarsi alla cultura letteraria di Roma. abbiamo non presentano tra loro lo stesso grado di uniformità a cui ci hanno abituato i
testi a stampa). Non possiamo qui accennare ai principi e alle procedure che guidano queste
edizioni. Basti per ora aggiungere che le testimonianze possono variare notevolmente per qua­
lità e quantità. Un testo di autore romano, ad esempio, può essere trasmesso fino a noi
unicamente da un papiro del I secolo a.C. (tale caso in realtà è molto raro nelle lettere latine,
Nota alla nuova edizione a differenza di quelle greche) oppure unicamente da un’edizione a stampa del XVI secolo
(nel caso, ovviamente, che si siano materialmente perduti gli altri testimoni più antichi); molto
più di frequente, il testo ci è pervenuto attraverso manoscritti di età tardoantica o medioevale
È ormai consuetudine che la Letteratura latina di Gian Biagio Conte si pubblichi, ogni o umanistica: un codice solo (così ci sono pervenuti i primi sei libri degli Annales di Tacito
due o tre anni, in edizione largamente rinnovata. Per l’editore è questo un onere non lieve, e una parte importante del Satyricon di Petronio) oppure molti (più di duecento, ad esempio,
che corrisponde ad un pari vantaggio per i lettori del manuale: lo studente si trova così a nel caso delle Heroides di Ovidio). Qualunque sia la particolare situazione della tradizione
disporre di un’opera che unisce lo straordinario livello qualitativo ad un aggiornamento criti­ manoscritta di un autore, il nostro rapporto con questi testi si può definire diretto, nel senso
co costante. che essi sono stati riprodotti per sé soli, per l’interesse che singolarmente suscitavano: ciò
D’altronde il successo che premia l’opera comporta che l’editore quasi si senta obbligato non pone riparo a guasti «meccanici», sviste, omissioni, infedeltà, interpolazioni e altro anco­
a ricambiare il favore dei lettori mettendo a loro disposizione i frutti della revisione critica ra; ma una tradizione diretta si pone almeno come obiettivo la trasmissione letterale della
con cui l’autore integra e perfeziona costantemente la sua opera. parola di un autore.
Un’ulteriore occasione di ripensamento è stata questa volta fornita dalla traduzione ingle­ La letteratura latina, tuttavia, non è fatta solo di testi che possiamo leggere direttamente.
se della Letteratura realizzata dalla Johns Hopkins University Press. Nella presente edizione, Un’enorme quantità di essa era andata perduta già alle soglie dell’età di mezzo. Le motivazioni
significativi interventi hanno interessato alcuni quadri generali di cultura letteraria ma anche di questo naufragio sono di per sé interessanti, e possono essere oggetto di utili analisi: muta­
specifici temi e singoli autori, quali ad esempio il teatro arcaico, Lucrezio, Orazio, Ovidio, menti di gusto e di criteri estetici, o più generali trasformazioni culturali, portarono a «scartare»
Persio, Apuleio. certe opere; altre furono, per così dire, sostituite, per via di rifacimento o abbreviazione o sem­
plificazione; molto giocàrono anche i fattori materiali: incendi, saccheggi, distruzioni di libri
e biblioteche, penuria di materiale scrittorio, nel quadro di un’età di crisi. Rimane per noi l’im­
portanza di questa «letteratura latina sconosciuta». La rete di testi che abbiamo si interseca
continuamente con una rete di testi perduti. La letteratura latina sarebbe per noi molto meno
sostanziosa se non cercassimo di percorrere anche questa rete frammentaria e semisommersa.
Autori cruciali per lo sviluppo della cultura romana (come Nevio, Ennio e Lucilio) ci sono
noti esclusivamente per via indiretta·, e solo per questa via conosciamo anche talune opere di
autori importanti, che non sono state preservate dalla sorte (così, ad esempio, le Origines di
Catone ο VHortensius di Cicerone).
Cosa intendiamo comunemente per tradizione indiretta? In termini vaghi, ma più precisi
V ili NOTA SULLA TRASMISSIONE DEI TESTI

possibile, chiamiamo così quel tipo di tradizione in cui un testo è riportato per mezzo di Parte I
un contesto estraneo, non originario. La forma tipica in cui questi testi «di seconda mano»
si presentano è il fram m ento; la funzione tipica che governa la tradizione indiretta è la citazio­
ne. L’esistenza di una citazione implica da un lato la scomparsa del contesto originario, dal­
l’altra la formazione di un nuovo contesto. A questo secondo aspetto gli studiosi devono
ALTA E MEDIA REPUBBLICA
porre molta attenzione; la scomparsa del contesto originario causa una perdita di informazio­
ne, e la presenza di un nuovo contesto può a sua volta ingenerare confusione. Perciò i testi
tramandati, come si dice, «in frammenti», sono particolarmente insidiosi e discussi, oltreché
(è anche facile capirlo) dotati di speciale fascino per i filologi.
Per maggiore chiarezza, sembra ancora opportuno sgombrare il campo da qualche possi­
bile equivoco:
1) Il termine fram mento si applica anche a casi di tradizione diretta, ad esempio nel
caso in cui siano intervenute complicazioni materiali: frammenti papiracei, oppure codici spa­
ginati, mutili, in parte illeggibili, «palinsesti», e altro ancora. La distinzione fra tradizione
diretta e indiretta, quindi, non è quantitativa, ma dipende solo dal modo e dal contesto in
cui un testo ci è stato trasmesso. Esistono testi frammentari a tradizione diretta, e testi com­
pleti (generalmente, per comprensibili motivi, non troppo lunghi!) a tradizione indiretta.
2) Non esiste neppure una vera opposizione qualitativa fra queste due modalità: tradi­
zione diretta non significa di per sé tradizione buona e fedele, e tradizione indiretta non
significa, di per sé, tradizione sospetta di infedeltà. La problematica deve essere valutata
caso per caso, autore per autore, passo per passo.
3) Si noti infine che, da un lato, testi che possediamo per tradizione diretta possono,
contemporaneamente, esserci giunti anche per tradizione indiretta (è il caso di Virgilio citato
da Gellio, da Macrobio, da Servio o da altri autori); e che, dall’altro, esiste una tradizione
diretta di quei testi che ci tramandano anche parte di altri testi. I grammatici latini, ad esem­
pio, ci hanno preservato una preziosa collezione di frammenti di testi a noi perduti; ma questi
frammenti, in quanto citati da qualche autore grammaticale, sono per ciò stesso sottoposti
alla trafila della tradizione — ovviamente diretta — di quell’autore grammaticale. Anche per
questo, nessun frammento può essere valutato astraendo dal contesto che lo preserva a noi.
Concludiamo questa breve avvertenza con una nuova esortazione alla cautela, da appli­
carsi in particolare all’uso dei manuali di storia letteraria come il nostro. Si sarà capito che
una parte considerevole della letteratura di cui tratteremo ci è nota solo indirettamente. Si
veda il caso di un autore come Lucilio, che è ritenuto dai latini stessi una figura di primo
piano nello sviluppo della letteratura. Di lui ci restano solo frammenti e notizie indirette,
e su questo solo si basa l’immagine che ci facciamo di lui. Questa immagine ha un ampio
margine di incertezza, e non sarebbe onesto nasconderlo a chi incomincia a studiarlo da un
manuale; non solo perché, come è inevitabile, i frammenti pongono maggiori problemi rispet­
to ai testi organicamente conservati. Bisogna anche ricordare che i frammenti sono frutto
di una selezione già orientata. Trattandosi per lo più di antichi grammatici, coloro che citano
frammenti di Lucilio sono guidati da particolari loro interessi linguistici: privilegiano ciò che
per vari motivi appare loro difficile, in particolare la singola parola o il costrutto inusuale,
l’arcaismo, il neologismo, il grecismo, la sperimentazione linguistica. È chiaro che Lucilio
fu un grande poeta sperimentale: ma la nostra immagine del suo sperimentalismo si basa
molto sugli esempi prescelti dai grammatici, e non sappiamo quale fosse, nel complesso della
sua opera, la reale densità di questi aspetti, la frequenza con la quale si presentavano. Nel
fondarci su quello che rimane, perciò, dobbiamo sempre confrontarci dialetticamente con
i modi della trasmissione e, insieme, con i limiti della nostra informazione: è questo un inte­
ressante memento sulla relatività che ogni studio letterario porta con sé.
LE ORIGINI

«Atto di nascita» Il problema delle origini di una produzione artistica in lingua latina si
della letteratura poneva ai Romani stessi in termini assai semplici e netti; l’opinione domi­
latina nante era che si potesse fissare addirittura una precisa data di nascita: il
240 a.C., anno in cui Livio Andronico fece rappresentare un suo testo sceni­
co, presumibilmente una tragedia. Alle spalle di questa storica soglia, resta­
va un periodo considerato «muto» per la letteratura, esteso forse per quat­
tro secoli.
Produzione Questa concezione delle origini può suonare semplicistica, ma non è in­
artistica e forme coerente rispetto ai suoi stessi presupposti: se si restringe la letteratura a
comunicative una produzione artistica fissata con l’aiuto dello scrivere, si può anche ac­
cettare una data di nascita tanto precisa e netta. Del resto, gli stessi Romani
di età classica erano perfettamente consapevoli che le origini della letteratura
non coincidono con quelle delle «forme comunicative» in cui una cultura
trova espressione. La storia di queste forme comunicative è complessa; non
si esaurisce nella comunicazione scritta, e non si limita ad anticipare e prepa­
rare lo sviluppo della letteratura.
Gli stessi Romani avevano ben presente, come analogia e guida alla com­
prensione del loro passato, il riferimento alle origini della letteratura greca.
Il grande teatro greco del V secolo deve aver avuto una preistoria: azioni
drammatiche più semplici, non legate a testi scritti, e strettamente collegate
a riti e feste rurali. La poesia omerica presuppone uno sfondo tradizionale,
una ricca tradizione di canti epici affidati a bardi viaggianti. Anche i Roma­
ni diventarono perciò curiosi della loro «preistoria» letteraria; l’esempio gre­
co, d’altra parte, poteva essere non solo uno stimolo, ma anche un’illusione;
alcune ricostruzioni romane delle proprie origini (origini dell’epica, del tea­
tro nazionale) sembrano troppo vincolate alle ricostruzioni che i Greci face­
vano del proprio passato letterario. I Greci erano obiettivamente avvantag­
giati dall’esistenza di Omero: un grande testo di poesia e di cultura collocato
proprio «a cavallo» delle origini della letteratura, in sé stratificato e carico
già di una tradizione. Nessun testo letterario romano gode di simile posizio­
ne privilegiata: e le opere teatrali di Andronico, che i Romani usano come
soglia della cronologia letteraria, sono, per quanto ne sappiamo, testi «di
riporto» che nascono dalla traduzione di un genere letterario già maturo,
la tragedia greca di età classica ed ellenistica.
Noi ci limiteremo a considerare separatamente — elencandole qui per
chiarezza espositiva — alcune questioni indispensabili per la discussione del­
le origini letterarie. Esse sono:
a) cronologia e diffusione dèlia scrittura;
4 LE ORIGINI LE FORME COMUNICATIVE NON LETTERARIE ζ

b) le forme comunicative non letterarie; nei ceti superiori, presso i sacerdoti e chi aveva accesso a cariche pubbliche.
c) le forme pre-letterarie: i carmina. L’uso della scrittura è indispensabile per una serie di funzioni pubbliche:
conservazione di oracoli, formule e prescrizioni religiose, liste di magistrati
Nel corso della discussione converrà tener presente che il materiale do­
e di sacerdoti, statuti, leggi, trattati; ed è certamente importante per la no­
cumentario su cui ci fondiamo è di natura variabile, e distinguere:
biltà, che comincia molto presto a registrare, ad esempio, genealogie, me­
1) le informazioni tratte da fonti letterarie romane. Si tratta, ovviamente, morie di famiglia, e iscrizioni celebrative degli antenati. In questa fase —
di notizie provenienti da fonti molto più tarde del tempo a cui si riferi­ sino cioè alle prime figure della storia letteraria, come Andronico, o della
scono: storici, antiquari, giuristi, letterati, grammatici, e altro ancora. «preistoria», come Appio Claudio — non è invece attestata una vera e pro­
Nel considerarle si devono valutare criticamente, studiandone i limiti e pria circolazione libraria, presupposto della comunicazione letteraria scritta.
la portata oggettiva; È caratteristico che i più antichi «libri» di cui abbiamo qualche notizia —
2) gli apporti della scienza moderna, basati su elementi storici, archeologici, i famosissimi libri Sibyllini che sarebbero stati introdotti a Roma ai tempi
linguistici, epigrafici, antropologici, e altro ancora. Sono dati, combina­ di Tarquinio il Superbo — siano testi religiosi, e fossero, a quanto se ne
zioni di dati, e ipotesi, utili alla ricostruzione della cultura romana nella sa, scritti in greco.
sua fase pre-letteraria. Già nella Roma medio-repubblicana (ai tempi di Livio Andronico e di
Plauto) il quadro delPalfabetizzazione si presenta assai ampio e articolato.
Parallelamente al sorgere di veri e propri testi letterari, possiamo documen­
tare una notevole estensione della capacità di leggere e scrivere. Anzitutto,
1. Cronologia e diffusione della scrittura una fascia abbastanza larga di cittadini — quelli impegnati in cariche pub­
bliche, sacerdotali, o di comando militare — usano tenere documentazioni
scritte della propria attività, anche a carattere personale (commentarli). Ma
Prime attestazioni Sin dai tempi più antichi, almeno dal VII secolo, abitanti del Lazio, è da credere che anche molta gente del popolo minuto avesse almeno i rudi­
del latino scritto gente che parlava latino, affidano alla scrittura la registrazione di semplicis­ menti dell’alfabetismo. Inoltre, sullo scorcio del III secolo, è ormai pubbli­
simi messaggi: un invito a bere, su una coppa da vino; la firma di un artigia­ camente riconosciuta una corporazione di scrivani, gli scribae\ all’inizio la
no su un recipiente artisticamente lavorato («Novio Plauzio mi fece a Ro­ loro considerazione sociale non è molto alta, come non lo è quella dei lette­
ma»); una proibizione religiosa su un cippo, e altro ancora. L ’uso della rati; d’altra parte, essi sono dei semplici «artigiani della scrittura», dediti
scrittura è quindi legato a momenti della vita pratica. Le distinzioni sono a un lavoro manuale. I ceti medio-alti della società sono già, per conto loro,
ancora fluttuanti, e nel territorio della Roma più arcaica circola gente che perfettamente alfabetizzati.
parla — e scrive — in greco, in osco, in estrusco. Abbiamo iscrizioni latine
in alfabeto greco, o in scritture di tipo bustrofedico, da destra a sinistra
e poi da sinistra a destra. I segni alfabetici sono ancora particolarmente
fluttuanti. 2. Le forme comunicative non letterarie
Non abbiamo motivo di pensare che i Romani dei primi secoli scrivesse­
ro unicamente su materiali duri: sono le condizioni della nostra documenta­
zione che nel Lazio arcaico — a differenza per esempio che in Egitto — Forme Converrà ora passare in rassegna brevemente forme e modi della comu-
non preservano i materiali di scrittura deperibili. Abbiamo, perciò, unica­ comunicative non nicazione che presuppongono l’uso della scrittura, ma che — almeno nella
mente graffiti e iscrizioni; e ci mancano documenti di tipo funerario, che letterarie e coscienza e nell’intenzione di chi le pratica e di chi le recepisce — non costi­
sono solitamente, ad esempio in Grecia, importantissime fonti. Ciò che ci letteratura tuiscono «letteratura» (per quanto i limiti di questa categoria possano sem­
resta documenta, comunque, l’esistenza di un crogiolo di popoli e di lingue, brare incerti e variabili). È indubitabile che ognuna di queste forme comuni­
in cui si afferma solo progressivamente l’uso del latino e dell’alfabeto latino ' . cative giocò anche un ruolo nel preparare il campo ad una vera e propria
Alfabetizzazione e La presenza di iscrizioni di tipo «strumentale» — cioè su oggetti di uso cultura letteraria in lingua latina. Ad esempio, l’uso del latino come lingua
diffusione dei libri quotidiano e domestico — sembra provare che già nella Roma più arcaica ufficiale della comunità romana — nelle leggi, nei trattati, nel formulario
in Roma arcaica una certa capacità di scrivere era diffusa anche tra persone di media condi­ religioso, nelle iscrizioni pubbliche e nell’oratoria — produsse un impulso
zione. In ogni caso, è naturale presumere che la scrittura fosse più diffusa di inestimabile valore per lo sviluppo della lingua latina, in un continuo
arricchimento di potenzialità espressive. Ma anche guardando più in là, e
cioè tenendo d’occhio gli sviluppi propri della cultura letteraria, è possibile
ritrovare una specifica eredità di queste forme non letterarie, che possiamo,
1 Lo stesso alfabeto latino è una palese testim onianza della situazione di Rom a arcaica:
in tale prospettiva, definire anche pre-letterarie. Il tradizionalismo tipico del­
esso è in sostanza derivato da un tipo particolare di alfabeto greco occidentale, quello usato
nella potente città cam pana di Cum a, filtrato però da qualche influsso etrusco (che spiega,
la cultura romana di età repubblicana favorì il perpetuarsi di certe formule
ad esempio, come mai la sigla C. corrisponde al nom e Gaio: l’etrusco aveva un segno unico e di certe strutture di pensiero: ne ritroviamo traccia anche in autori immersi
per le due consonanti velari, sorda e sonora). nella nuova cultura grecizzante, e non solo in Nevio o in Plauto, ma addirit-
6 LE ORIGINI LE FORME COMUNICATIVE NON LETTERARIE 7

tura nel latino di Catullo e di Virgilio. Vedremo meglio questo aspetto di vero fondamento della loro identità culturale. Secondo Livio (3,34,6) esse
continuità formale nel paragrafo dedicato ai carmina. sono, pur sempre, fons omnis publici privatique iuris; secondo Cicerone vanno
anteposte a tutte le risèrve di libri dei filosofi greci, almeno per utilità e
Influssi greci in Un avvertimento preliminare è necessario. Se guardiam o all’eredità di queste forme serietà profonda (De oratore 1,195). I ragazzini le imparavano a mente; i
Roma arcaica comunicative in testi letterari molto più tardi — ad esempio in un Plauto e in un dotti continuavano a commentarle e ad analizzarle.
Virgilio — ci viene naturale porre una netta contrapposizione: da un lato un origina­ Queste leggi trovano nelle monumentali assonanze, nelle allitterazioni,
rio e autonom o «fondo» italico-rom ano, dall’altro il sovrapporsi delPinflusso greco;
da un lato il rigido form ulario del diritto e della religione, dall’altro le plastiche nella scansione in cola ritmici paralleli e staccati, un sicuro effetto di sanzio­
form e della lingua di Omero, M enandro e Callimaco. M a non si deve esagerare ne inappellabile. Per esempio: Si nox furtum faxsit, si im occisit, iure caesus
in questa contrapposizione. Le indagini storiche e soprattutto archeologiche provano esto 2.
che un influsso greco, certo variabile per grado e intensità, ed esposto a oscillazioni,
c’è sempre stato nella storia di Rom a. La Roma del VI secolo, ad esempio, ci appare
sempre più un crocevia di traffici è di culture; molto prim a che i letterati rom ani I fasti e gli annales
aderiscano consapevolmente a modelli letterari greci, un influsso greco è già presente
in tanti aspetti della vita rom ana. Si tratta di un processo graduale, senza nette
rotture. Sono i letterati rom ani, piuttosto, che tendono a esagerare i «salti di quali­ Il calendario Un altro antichissimo uso della scrittura, anch’esso legato a necessità
tà» rispetto alla tradizione. Ennio, ad esempio, polemizza contro i «primitivi» suoi comunicative della vita pubblica, riguardava i calendari. La comunità roma­
predecessori, esponenti di una poesia rozza e incomprensibile, in nome dei nuovi na aveva sviluppato un suo calendario ufficiale, regolato e sancito dalle au­
canoni di una poesia aperta al gusto ellenistico. M a fra questi «primitivi», noi lo torità religiose. I giorni dell’anno erano divisi in fasti e nefasti, a seconda
sappiam o, c’è Nevio, un letterato nutrito di cultura greca e impegnato in un grande che vi fosse permesso, o vietato, il Sisbrigo degli affari pubblici. Garanti
sforzo di fusione tra diverse culture. Come vedremo presto, persino il più antico
verso rom ano, il saturnio, che i Rom ani stessi considerano l’unico loro verso squisi­ pubblici di questo ordinamento erano i pontefici. Ben presto il termine fasti
tam ente nativo, potrebbe essere toccato da antichissimi contatti con la grecità. L ’op­ cominciò a designare non solamente il calendario annuale, ma anche le liste
portunità di non porre mai confini troppo netti fra diverse culture è un filo condut­ dei magistrati nominati anno per anno (fasti consulares; fasti pontificales),
tore nello studio delle origini di Roma. e anche la registrazione dei trionfi militari riportati dai magistrati in carica
(fasti triumphales).
La quantità di informazioni depositate nei fasti si arricchì progressiva­
Leggi e trattati mente. I magistrati li usavano per registrare i loro atti ufficiali. Un altro
passo importante fu l’uso della cosiddetta tabula dealbata: il pontefice mas­
L’uso della scrittura fu legato, sin dai tempi più antichi della città-stato simo usava esporre pubblicamente una «tavola bianca» che dichiarava, oltre
Roma, alla necessità di avere precise registrazioni ufficiali: di trattati e patti ai nomi dei magistrati dell’anno in córso, anche avvenimenti di pubblica
internazionali, e di leggi. Queste esigenze esercitarono anche un forte influs­ rilevanza, come date di trattati, dichiarazioni di guerra, fatti prodigiosi o
so modellizzante sulle origini della prosa latina. cataclismi naturali. Queste registrazioni ufficiali, depositandosi anno per an­
Di trattati (foedera) della Roma più arcaica abbiamo solo testimonianze no, presero il nome collettivo di annales e cominciarono a formare una vera
indirette, nessun frammento: ricordiamo, solo come esempio, il trattato fra e propria memoria collettiva dello stato romano. In età graccana il pontefice
Roma e Cartagine del 509 a.C. su cui ci informa lo storico greco Polibio Publio Muzio Scevola si incaricò di riunire in volumi gli annales degli ultimi
(II secolo a.C.). 280 anni: la raccolta prese il nome di Annales Maximi.
Leggi regie Enorme fu l’importanza storica, sociale e culturale delle prime leggi di È chiara la potenzialità di documento storico che queste scheletriche
Roma. Abbiamo anzitutto tracce di remotissime leges regiae, che dovrebbe­ raccolte di dati, poste in ordine cronologico, vennero ad assumere. Gli stori­
ro risalire, appunto, alla fase monarchica dei primi secoli. Per quanto ne ci che si occupavano dei primi secoli di Roma (ad esempio Catone o Dionigi
sappiamo, erano dominate da un’impostazione rigidamente sacrale (eccone di Alicarnasso) usavano fare riferimento a questa documentazione, anche
un esempio: «una concubina non dovrà toccare l’altare di Giunone. Se lo per appoggiare l’autorevolezza dei loro resoconti. Più in generale, questi
farà, dovrà espiare sacrificando, con i capelli sciolti, un’agnella a Giuno­ annales ufficiali dei pontefici ebbero enorme importanza come impulso per
ne»). Naturalmente il diritto più antico si sarà basato soprattutto su norme la struttura di opere storiografiche latine: il filone degli annales, che preser­
consuetudinarie. vò, appunto, l’intelaiatura cronologica di queste registrazioni, basando sullo
Leggi delle Costituì perciò una forte conquista civile e politica la composizione delle Lo schema «anno schema «anno per anno» la narrazione della storia di Roma. Così la tradizio­
XII Tavole «Leggi delle XII Tavole», così dette perché erano affidate a dodici tavole per anno» ne degli annales pontificali risultò un notevole contributo — autoctono, cioè
di bronzo esposte nel Foro romano. È chiaro che soprattutto gli strati più separato da influssi di origine greca — allo sviluppo di una storiografia lette­
deboli della popolazione trovavano in queste leggi scritte e pubbliche un raria tipicamente romana: tracce ne sussistono ancora in Tito Livio, o in Tacito.
baluardo contro lo strapotere delle grandi famiglie. Le leggi sarebbero state
stilate da un’apposita commissione fra il 451 e il 450. Ne abbiamo una ver­
sione senz’altro rimaneggiata, ma che conserva tuttavia un forte sapore di 2 «Se di notte avrà commesso un furto, se lo avrà ucciso, sarà stato ucciso legalmente»;
lingua arcaica. si noti l’ellissi del soggetto, ripetuta anche se si tratta, ovviam ente, di soggetti diversi: il ladro
I Romani di età classica ravvisano nelle Leggi delle XII Tavole il più e il suo uccisore.
8 LE ORIGINI LE FORME PRE-LETTERARIE! I C ARM INA 9

I com m entarli otia, nel «tempo libero» voluttuario e individuale, l’oratoria è considerata
parte integrante e indispensabile della vita attiva.
Alla tradizione ufficiale degli annales possiamo affiancare l’uso, più in­ Appio Claudio Appio Claudio Cieco, di nobilissima stirpe, fu console nel 307 e nel
dividuale e non necessariamente pubblico, dei commentarli. Il termine ha Cieco 296, censore nel 312, dittatore. Gli antichi accostavano il suo nome, quasi
nel latino classico un raggio di applicazione vastissimo: di per sé, può indi­ leggendario, a molteplici e importanti imprese di guerra e opere di pace:
care niente più che «appunti», «memorie», «osservazioni», a carattere pri­ combattè contro Etruschi e Sabini, fu il vincitore dei Sanniti nella terza
Memorialistica vato. Il termine sarà usato, ad esempio, da Giulio Cesare per indicare le guerra sannitica; permise l’ingresso dei plebei in senato; durante la sua cen­
privata sue narrazioni, rispettivamente, della guerra gallica, e della guerra contro sura fu promotore di fondamentali opere pubbliche (da lui hanno nome
Pompeo: si tratta di opere, come sappiamo, di attentissima cura letteraria, Yaqua Claudia o Appia — il primo acquedotto romano — e la via Appia,
e di meditata impostazione politica, ma con questa designazione Cesare vo­ la prima delle grandi strade costruite dai Romani, la quale, una volta com­
leva sottolineare che non si trattava di letteratura storiografica, quanto di pletata, avrebbe congiunto Roma con Brindisi).
una rievocazione condotta di prima mano. Già prima di Giulio Cesare, L. Appio Claudio ci appare per certi versi come un predecessore di Catone.
Cornelio Siila aveva scritto almeno 22 libri di Memorie (secondo alcuni il Viene ricordato per la sua efficacia e abilità oratoria: con un famoso discorso
titolo probabile era Commentarii rerum gestarum). I commentarii si presen­ si oppose alle proposte di pace di Pirro, e Cicerone vi allude come al primo
tano dunque (altra cosa è se lo siano davvero) come opere «non professiona­ discorso ufficiale mai pubblicato a Roma. Non sappiamo se il testo che ancora
li», caratterizzate da un apporto di informazioni e memorie personali. ne circolava ai tempi di Cicerone fosse genuino, ma la notizia è comunque
L’origine di questa accezione risale ad una pratica dei magistrati di età interessante, perché documenta, già in quell’epoca, un vivo interesse per il
repubblicana. Un magistrato importante, ad esempio un console, tendeva saper parlare. Inoltre Appio Claudio fu esperto di diritto e si occupò, a quan­
a raccogliere in una sorta di diario i provvedimenti e gli eventi principali to pare, anche di questioni linguistiche ed erudite: a lui si attribuisce tradizio­
Memorialistica del suo periodo di carica. Questi commentarii potevano assumere un caratte­ nalmente la sostituzione della 5 intervocalica con la r (il cosiddetto rotacismo).
pubblica re di documentazione ufficiale, venendo depositati presso i collegi sacerdota­ A suo nome circolava una raccolta di massime (Sententiae) a carattere mora­
li: gli stessi pontefici, poi, curavano documentazioni della loro attività nei leggiante e filosofeggiante (fra cui la celebre «ciascuno è fabbro della sua
libri pontificum. Di questa produzione abbiamo, per la verità, solo notizie fortuna»), considerata come un ricettacolo di saggezza arcaica: anche in que­
indirette. sto, Appio sembra annunciare la personalità di Catone. Non sappiamo se
È presumibile che l’uso dei commentarii favorisse lo sviluppo di una le sue capacità espressive — come in verità sarà il caso di Catone — fossero
produzione in prosa, legata all’attualità politica, e affine a una vera e pro­ già nutrite da rapporti con la cultura ellenistica, per quanto certe sue massime
pria memorialistica: una tradizione della prosa latina che rimase separata morali possano far sospettare fonti greco-pitagoriche.
dal grande filone (sempre più soggetto ad elaborazione retorico-letteraria) È significativo che di Appio — considerato il progenitore della «prosa»
dell’oratoria giudiziaria e pubblica. a Roma — Cicerone citi (Tusculanae 4,2,4) l’esistenza di un carmen\ questo
non significa affatto che Appio fosse, propriamente parlando, un poeta.
Vedremo meglio questo punto nel paragrafo successivo.
Gli albori d e ll’oratoria: A p p io Claudio Cieco

Prima della decisiva grecizzazione — che la cultura romana conobbe


nel secolo tra la guerra con Taranto (280-272 a.C.) e l’invasione della Grecia
— lo scrivere era considerato una tecnica, senz’altro assai utile, ma il saper 3. Le forme pre-letterarie: i carmina
parlare era ben più importante: i Romani consideravano l’abilità oratoria
come una forma di potere e una fonte di successo. Non a caso il primo Ricerca formale Anche se tutte le forme comunicative di cui ci siamo occupati sinora
nome che incontriamo nella storia delle lettere latine è quello di un uomo in testi non avevano una finalità pratica, non si può escludere che ognuna di esse, a
eloquente, una figura semileggendaria di iniziatore dell’oratoria: Appio Clau­ letterari suo modo, abbia portato un contributo alla formazione del latino letterario.
L’oratoria come dio Cieco. Del resto, sino almeno all’età scipionica, l’oratoria è considerata Infatti, non si deve pensare che gli elementi formali di un testo siano unica­
fondamento della dai Romani l’unica attività intellettuale veramente degna di un cittadino di mente quelli destinati alla fruizione «artistica». Gli effetti prodotti da certi
vita pubblica elevata condizione. Mentre i primi poeti furono per lungo tempo (sino ad accorgimenti formali sono importanti anche al di fuori di ciò che chiamiamo
Accio e Lucilio) dei liberti, oppure degli italici di modesta condizione, l’ora­ letteratura. Le leggi, ad esempio, sono per eccellenza testi autorevoli: nella
toria fu, sin dall’origine, affare di nobili cittadini. La capacità di convincere Roma arcaica, lo stile delle leggi è volutamente solenne, energico, monu­
era base necessaria di una carriera politica, e i Romani non avevano nessun mentale. Allitterazioni, rime, figure etimologiche, parallelismi, chiasmi, e
bisogno di «importare» l’interesse per la retorica, come fecero, ad esempio, altri effetti del genere, saranno stati molto più comuni in quei testi che non
con la poesia; si limitarono in seguito ad affinare, con l’aiuto dei rhetores nella occasionalità del linguaggio quotidiano, o della comunicazione privata,
(i «professori di eloquenza» di formazione greca) le loro naturali attitudini anche scritta. Lo stesso vale per le preghiere e le formule rituali, il cui mes­
di oratores. A differenza della vera e propria «letteratura», che rientra negli saggio deve «mimare» un certo ordine del mondo (imprimendo alle parole
10 LE ORIGINI
LE FORME PRE-LETTERARIE: I CARM INA 11

che compongono la frase una struttura percettibile ordinata) e deve anche uti tu morbos visos invisosque
Memorabilità creare certi comportamenti, oltreché naturalmente condizionare la memoria viduertatem vastitudinemque
delle strutture per farsi ripetere con esattezza (cioè deve legare fra loro artificialmente le calamitates intemperiasque
formali parole, come per esempio fanno il ritmo e la rima, in modo che l’insieme prohibessis defendas averruncesque
sia «memorizzatale»), E naturalmente nello stesso senso vanno considerate (preghiera, privata, per la solenne purificazione dei campi; è riportata, anonim a,
formule magiche, ricette mediche, precetti e norme di saggezza, regole della da Catone nel D e agri cultura 141,3: «che tu, o M arte, possa ferm are, tener lontano
vita agricola. Quanto alla comunicazione politica, basta pensare all’impor­ e stornare, m alattie visibili e invisibili, sterilità e desolazione, flagelli e tempeste»);
tanza dei discorsi pubblici e delle iscrizioni celebrative per capire la neces­ novum vetus vinum bibo
sità di certe «forme». Esiste quindi un ampio terreno comune a manifesta­ novo veteri m orbo medeor
zioni culturali che noi classificheremmo in modo del tutto distinto, e che (incantesimo da pronunciare bevendo il vino nuovo, per rinnovare, secondo il ciclo
i Romani stessi tenevano nettamente separate. Questo terreno comune è di della natura, i- suoi poteri medicamentosi: interpretazione assai controversa);
carattere formale, e ha a che fare con le curiose potenzialità della parola
summum ius summ a crux
carmen.
Carmen e poema Il significato più usuale di carmen (da cano, «cantare, suonare») è poe­ (variante antica e popolare del più noto sum m um ius sum m a iniuria, riportato da
sia: tuttavia un poeta come Ennio non sembra amare molto il termine, e Columella, 1,7,2);
definisce il suo lavoro con una parola greca, poema. Il motivo è duplice. m agna sapientia multasque virtutes
Da un lato Ennio voleva marcare la sua originale predisposizione a poetare aetate quom parva posidet hoc saxsum
«alla greca»; dall’altro, sottolineava così il suo rifiuto di una certa tradizio­ («grande saggezza, molte virtù, m a breve età trattiene questa pietra»; dall’epitaffio
ne antichissima. In questa tradizione, carmen significa ben di più che versi di uno degli Scipioni, II secolo a.C.);
o poesia. Saranno, se mai, i poeti augustei a specializzare il termine, con male perdat, male exset, male disperdat. M andes, tradas nei possit amplius
la sua carica di antichità nazionale, per indicare le proprie opere in versi. ullum mensem aspicere, videre, contemplare.
Al contrario, nella Roma arcaica carmen è un vocabolo stranamente indiffe­
(da una form ula di maledizione, di tarda età repubblicana. Si chiede che una certa
renziato: per questo non piace a Ennio. persona non sopravviva oltre il mese di febbraio. Un esempio di latino volgare,
Parlando delle XII Tavole, Cicerone le definisce un carmen. Parlando e insieme stilizzato).
di formule magiche, le XII Tavole le indicano come carmina. Il testo di
un antichissimo trattato è per Tito Livio un carmen. Ma la stessa parola C ’è sicuramente un qualche arbitrio storico, da parte nostra, nel collegare sentenze
si applica a preghiere, giuramenti, profezie, sentenze del tribunale, cantilene popolari, formule magiche, preghiere, e raffinati epitaffi metrici di personaggi illustri:
m a se si guarda unicamente a certe costanti form ali, la rete dei collegamenti si fa anco­
infantili. Ne viene di conseguenza che un carmen non è tale per il suo conte­
ra più vasta, e sconfina anche nel campo della letteratura «regolare»: leggendo con
nuto o per il suo uso; per individuarlo dobbiamo allora guardare alla forma. orecchio avvertito non solo Plauto ed Ennio, m a anche Catullo e Virgilio, certe caden­
Poesia e prosa Possiamo così fissare un punto importante, che riguarda i rapporti tra ze (o addirittura cantilene) si potranno ancora ricondurre alla tradizione dei carmina.
nella Roma «poesia» e «prosa» in Roma arcaica. La delimitazione di questi due campi
arcaica è molto meno netta di quanto sia nella nostra cultura o, ancora di più, Carmina e storia La tradizione stilistica dei carmina è il più potente tratto di continuità
nella cultura romana di età classica. Da un lato, si è già visto che la prosa letteraria di che unisce il periodo delle origini alla storia letteraria di Roma. Mentre gli
romana più antica è marcata da una fortissima stilizzazione. In altre parole, Roma influssi di provenienza greca si sovrappongono l’uno all’altro, sempre più
la prosa ha una tessitura ritmica molto intensamente segnata e percepibile, forti e profondi, la tradizione dei carmina non sparisce mai del tutto: ha
caratterizzata da ripetizioni foniche e morfologiche, soprattutto da corri­ depositato un segno durevole, che distingue lo stile letterario latino, e lo
spondenze fra i membri {cola) della frase costruiti in modo che abbiano distingue anche da quei modelli greci che i latini più assiduamente imitano.
uguale lunghezza e uguale composizione sintattica: insomma da forti effetti È un modo di scrivere «ad effetto» che non pratica nette distinzioni tra
di parallelismo verbale. Inversamente, la poesia arcaica ha una struttura me­ versi e prosa, ma nel suo complesso si oppone, semplicemente, allo stile
trica curiosamente «debole» in quanto sottostante a regole «di maglia lar­ casuale e informale della conversazione quotidiana; è un atteggiamento stili­
ga», a norme dall’intelaiatura non rigida (almeno per i nostri occhi, ma stico che la grecità letteraria non conosce, ma che è come connaturato all’e­
anche per gli occhi di un Romano colto che vivesse all’età di Cicerone!). spressività dei Romani (come anche, forse, a quella di altri popoli italici).
Ecco dunque che versi e prosa sembrano avvicinarsi reciprocamente: versi Quando Catullo e Virgilio riecheggiano questa maniera, sono più vicini ai
«deboli» e prosa «forte» quasi s’incontrano. proverbi agricoli e alle litanie religiose che a Omero e Callimaco.

N on c’è, nella metrica classica, altro verso imprevedibile quanto il saturnio (cfr. p.
15) (o, in certa misura, anche quanto i senari giambici di Plauto); e non c’è, nella Poesia sacrale
prosa classica, la stessa tendenza a una costruzione altam ente form alizzata, fondata
su parallelismi, omeoteleuti, serie di allitterazioni, e brevi cola simmetrici. U na stessa
matrice di stile tiene unite le più diverse manifestazioni e applicazioni di questi carmina: Le più antiche forme di carmina che ci sono giunte riguardano (a parte
le iscrizioni funebri, di cui tratteremo nell’ultimo paragrafo) una produzióne
]

12 LE ORIGINI LE FORME PRE-LETTERARIE: I CARM INA 13

a carattere religioso e rituale. I rituali sono per loro natura conservativi Poesia popolare
e intangibili, e si evolvono più lentamente della stessa sensibilità religiosa;
d’altronde i Romani sono un popolo che si segnala per conservatorismo. Abbiamo già visto di sfuggita, parlando dei carmina, certe manifestazio­
Abbiamo così resti e tracce di canti religiosi che erano strettamente legati ni che si possono raggruppare in quest’area: proverbi, maledizioni, scongiu­
all’esecuzione di pubblici riti annuali. Le principali testimonianze che abbia­ ri, precetti agricoli e formule medicinali. Ancora i liberti che compaiono
mo riguardano due importanti carmina rituali, il Saliare e VArvale. nel Satyricon di Petronio ci appaiono intrisi di questa cultura orale. È chiaro
Il carmen Saliare Il primo era il canto di un venerando collegio sacerdotale, i Salii, che che qui c’è un vasto patrimonio a noi perduto; canti di lavoro, canzoni
sarebbe stato istituito da re Numa Pompilio. Il nome era dai Romani ricon­ d ’amore, e le ninne-nanne che Catullo e Orazio avranno ascoltato, come
nesso per etimologia a salio («saltare»). Si trattava di dodici sacerdoti del tanti altri, dalla balia.
dio Marte, che ogni anno, nel mese di marzo, recavano in processione i I versi Fescennini Le testimonianze più consistenti riguardano una produzione, orale e im­
dodici scudi sacri, gli ancilia-, uno degli scudi era il famoso scudo caduto provvisata, che aveva caratteri di motteggio e comicità. La definizione più
dal cielo, sacro pegno della protezione divina su Roma. I Salii, per la verità, corrente è quella di Fescennini versus·, l’etimologia secondo gli antichi sareb­
dovevano avere una serie di carmina diversi; li proferivano avanzando in be o da Fescennia, cittadina nell’Etruria del sud, o da fascinum, «maloc­
un balletto rituale scandito in tre tempi — tripudium perché battevano tre chio» e insieme «membro virile» (la cui sconcezza aveva appunto poteri di
volte, ritmicamente, il piede a terra — e accompagnato da percussioni, otte­ scongiuro). Il termine sarebbe quindi o una traccia di influsso etrusco, op­
nute battendo con lance gli scudi. Il linguaggio dei Salii era incomprensibile pure l’espressione di una funzione apotropaica (di allontanamento, appunto,
per i Romani di età storica, e le tracce che ne abbiamo ci risultano oscurissi­ del malocchio) che questi canti avrebbero avuto. Sembra che la sede più
me. Sappiamo che una preoccupazione fondamentale era di invocare, singo­ propria dei fescennini fossero le feste rurali; secondo Orazio (Epistulae 2,
larmente e individualmente, tutte le potenze divine, per evitare omissioni 1,139 segg.), si sarebbe sviluppata di qui una tradizione di salaci motteggi
che potevano essere irritanti. che potevano avere anche il carattere di una diffamazione pubblica. Orazio
Si ricordi infatti che la religione romana arcaica venerava un sistema collega questo filone alla «maldicenza» tipica della più antica commedia ate­
di numina molto complicato, in cui alle divinità «ellenizzate» si affiancava­ niese.
no una serie di potenze per così dire funzionali, legate alla minuta dinamica Versi «fescennini» circolavano in numerose occasioni sociali dell’antica
delle attività quotidiane (così, poniamo, Sator presiedeva alla semina, e Ster- Roma; ci sono i lazzi tipici delle feste nuziali (cfr. Catullo, carme 61); la
culinius alla concimazione). Si può quindi presumere l’esistenza di invoca­ cosiddetta «giustizia popolare», una forma di pubblica diffamazione (cfr.
zioni ordinate in litanie di smisurata lunghezza. Carmina ancora Catullo, carme 17); infine i cosiddetti carmina triumphalia. In occa­
Il carmen Arvale Un po’ meno fantasmatico è per noi il carmen Arvale, o carmen Fra- triumphalia sione del trionfo, i soldati improvvisavano canti in cui alle lodi del vincitore
trum Arvalium. Nel mese di maggio i Fratres Arvales — un collegio di dodi­ si mescolavano liberamente scherni e pasquinate: forse anche qui è sensibile
ci sacerdoti che la leggenda voleva promosso nientemeno che da Romolo un’originaria funzione apotropaica, per cui l’esaltazione del successo veniva
— levavano un inno di purificazione dei campi (in latino arva), implorando moderata e temperata dal riso, in modo da non suscitare effetti di empia
protezione da Marte e dai Lares (gli antenati, intesi come spiriti «buoni» tracotanza.
e propizi dei defunti). Del testo abbiamo una riproduzione piuttosto attendi­ È chiaro che questa comicità popolare ha avuto notevole influsso su certi
bile, ma di difficile interpretazione. Notevole anche qui (come nel tripudium filoni comici della produzione letteraria: la commedia plautina, lo sviluppo
saliare) era l’insistenza su un ritmo ternario; ad esempio, il carmen iniziava della satira e delPepigramma satirico. Ma non abbiamo alcuna prova che il
con la richiesta d’aiuto enos Lases iuvate ( = nos, Lares, iuvate) ripetuta cosiddetto «spirito fescennino» si sia direttamente tramutato in veri e propri
tre volte. La triplicazione di parole ed atti è diffusamente considerata, nel generi letterari. L’impulso principale alla formazione del teatro comico venne
folklore religioso e nella magia, come una garanzia di efficacia. Nonostante senza dubbio dal contatto col teatro di lingua greca della Magna Grecia e
il suo fondo linguistico assai arcaico, il carme deve essere opera di un artista dalla circolazione di testi letterari, attici ed ellenistici. Anche l’origine della
vero e proprio, un «vate» non digiuno di letteratura e di cultura greca. satira deve essere valutata in questo quadro 3; il «comico popolare» italico
Artifici espressivo- Alcune caratteristiche di questi inni, come la pienezza espressiva, le ripe­ trovò riflessi più immediati, se mai, nel successo dell’atellana (cfr. p. 24).
retorici tizioni, e certe figure retoriche, devono aver avuto duratura influenza sulla
letteratura latina «profana». Per converso, la Roma di età storica non co­
nobbe una vera e propria letteratura religiosa. Ne risulta solo qualche episo­ Canti eroici
dio isolato: durante la seconda guerra punica, Andronico fu incaricato di
comporre un inno a Giunone regina; il Carme Secolare di Orazio sarà più L’analogia con altre culture del Mediterraneo farebbe pensare che anche
che altro un’operazione contingente, propagandistica, e segnata da influssi a Roma fossero in uso poesie a funzione celebrativa: racconti in versi di
di tipo ellenistico. D’altra parte, Roma non aveva una vera e propria casta
separata di sacerdoti. Tanto più efficace risultò, quindi, la penetrazione del­
la religione e della mitologia greca, con tutta la sua carica di creatività lette­ 3 Sulle notizie di T ito Livio a proposito di spettacoli «etruschi» e di «satura dram m atica»
raria e, più importante ancora, figurativa. cfr., rispettivam ente, pp. 19 e 99.
14 LE ORIGINI LE FORME PRE-LETTERARIE.· I CARM INA 15

eroiche imprese, concepiti oralmente, ed eseguiti in riunioni private, ad esem­ perpetua la gloria degli uomini e delle famiglie illustri, sia nell’immediata
pio conviti e banchetti funebri. Questi canti eroici (o ballate che dir si vo­ contemporaneità, sia risalendo all’esempio degli antenati. La sempre mag­
glia) potrebbero aver avuto notevole influenza sullo sviluppo di un’epica giore cura formale dei testi poetici si rivela appunto (arrivando a rivaleggiare
latina autoctona, e sarebbero stati i veicoli ideali per tramandare miti e leg­ con il valore universale dei modelli greci) come un mezzo per garantire il
gende della Roma più arcaica, legandosi alle tradizioni araldiche delle grandi messaggio glorificante, trasformando in durevole monumento la creazione
famiglie romane. letteraria. Il poeta afferma la propria utilità sociale in quanto si configura
Scarsa rilevanza Questa costruzione è attraente ma assai ipotetica. L’analogia con altre come prestigioso dispensatore e garante di fama.
del canti eroici culture potrebbe essere un miraggio e non a caso l’importanza di questi
nella Roma carmina fu esaltata soprattutto nell’età Romantica, quasi per reagire al ca­ Si usa spesso avvicinare a questa problem atica dei carmina convivalia due titoli di
arcaica rattere troppo dotto e letterario della poesia epica latina che ci è rimasta, opere per noi assai nebulose, il Carmen Nelei e il Carmen Priami; m a l’accostamento
«romanticizzandone», almeno, la preistoria (la quale poteva diventare così non sembra probabile. Il Carmen Nelei (dì cui abbiam o pochissimi frammenti) era
in m etro giambico, quindi, per quanto possiamo capire, non si trattava di un vero
l’incerto momento di una poesia eroica che piaceva immaginare «sponta­ e proprio testo epico. Il Carmen Priami, di cui abbiam o un solo verso, un saturnio,
nea», quasi fosse il prodotto naturale e originario di vocazioni mitopoetiche si presenta come un testo epico, m a non ha l’aria di essere genuinamente arcaico.
sollecitate dall’orgoglio nazionale). Si tratterà piuttosto di una falsificazione più tarda, legata a gusto arcaizzante (l’uni­
Inoltre, le analogie con l’epica greca condizionavano, così come fanno co termine sicuro per la datazione è l’epoca di V arrone, che cita il frammento).
Perciò è impossibile utilizzare questo indizio in congiunzione con le notizie sui carmi­
con noi, anche i Romani di età classica, che possono avere alimentato, sotto
na convivalia, solo per voler dare sostanza a u n ’intuizione di epicità primigenia e
questo influsso, una nebulosa immagine di epicità primigenia. addirittura preletteraria.
Catone riportato da Cicerone (e Varrone) sono i nostri principali testi­
moni sulla diffusione di questi carmina convivalia. Neppure Catone (nato
prima della seconda guerra punica) sembra averli mai ascoltati direttamente: L a questione del saturnio
cita per tradizione indiretta. Se si trattava davvero, come sembrerebbe, di
canti laudativi sulle gesta degli antenati, è concepibile che se ne siano serviti Se si prescinde dalle misteriose cadenze ritmiche dei canti religiosi, le
gli storici del II secolo a.C.; ma non abbiamo indizi di una circolazione scrit­ testimonianze più antiche che abbiamo sulla poesia romana comportano l’u­
ta per queste poesie e gli storici, d’altro canto, non usano citare fonti poetiche. so di un particolare verso, chiamato saturnio. In saturni sono composti i
Inoltre, ci colpisce il fatto che non sia rimasta alcuna traccia di cantori due primi testi epici romani: la versione dell’Odissea di Livio Andronico,
professionali: bardi, aedi, cantastorie che dir si voglia. È difficile pensare e il Bellum Poenicum di Nevio; e in saturnio sono testi forse ancora più
che una vera e propria forma letteraria potesse svilupparsi senza l’intervento antichi, gli elogi funebri ritrovati sui sepolcri di due illustri personaggi ap­
di figure del genere. Se, d’altra parte, questa poesia trovava praticanti e Elogi degli partenenti alla famiglia degli Scipioni. I due componimenti più antichi si
ascoltatori nell’ambiente, piuttosto ristretto, delle grandi famiglie (come fa­ Scipioni riferiscono a Lucio Cornelio Scipione, console nel 259, e al padre di questi,
rebbe pensare l’etichetta di carmina convivalia, che richiama banchetti e in­ suo omonimo, console nel 298. Sono testi di notevole fattura letteraria, che
somma private riunioni), risulta abbastanza chiaro perché — già dalla fine rivelano una certa familiarità con la cultura greca e con le tradizioni della
Grecizzazione di del III secolo — noi non ne cogliamo più alcuna risonanza. Infatti le grandi poesia funeraria greca. Ad esempio, uno degli epitaffi elogia non solo le
Roma -e tramonto famiglie urbane sono appunto i gruppi sociali in cui più rapidamente (tra virtù militari, ma quelle intellettuali dello scomparso, e associa in modo
dei canti eroici III e II secolo, tra la guerra contro Taranto e l’espansione romana verso caratteristico bellezza fisica e valore individuale:
Oriente) prende piede una cultura di tipo grecizzante. È chiaro che gli am­
fortis vir sapiensque
bienti aristocratici furono i primi a rigettare certe tradizioni per assimilare
quoius forma virtutei parisuma fuit.
invece i frutti della grande cultura artistica e letteraria deH’Ellenismo. Ora
davvero, all’ombra di queste grandi famiglie, ci appaiono figure di letterati Fusione armoniosa di valore, bellezza e intelletto che ha fatto pensare
professionali, che però, da Livio Andronico in poi, praticano forme lettera­ all’ideale greco della kalokagathìa.
rie «colte» e profondamente modellate dall’influsso greco 4. È chiaro infine Il saturnio pone agli studiosi di Roma arcaica interrogativi complessi.
che la funzione celebrativa e laudativa della poesia non andò scomparendo La stessa etimologia del termine fa pensare a qualcosa di indigeno, di pura­
in questa nuova fase; al contrario: proprio con i «grecizzanti» Livio, Ennio mente italico, com’era appunto il dio Saturno. Ma tutte le attestazioni che
e Accio, la poesia si presenta sempre più come un mezzo che assicura è abbiamo ci parlano di un’epoca già imbevuta di cultura greca. Gli epitaffi
degli Scipioni presuppongono un ambiente colto e grecizzante. Lo stesso car­
men Arvale, più antico di qualche secolo, non è immune da influssi greci:
e sembra possibile ritrovarvi cadenze saturnie. Quanto ai poeti come Androni-
4 Piuttosto diversa fu l’evoluzione di generi di consum o popolare, come la farsa, che
co e Nevio, essi non compongono esclusivamente in saturni: questi stessi auto­
non a caso restò m olto più a lungo im pregnata di caratteri originalmente «italici». Tuttavia
si noti che già all'inizio del II secolo P lauto porta al successo, anche tra il popolo m inuto, ri, nella loro produzione teatrale, si dimostrano perfettamente padroni di una
una form a letteraria come la palliata, che si organizza sui canoni artistici della «regolare» metrica organizzata a norma della poesia scenica greca. Non si può quindi
comm edia ateniese. collocare il saturnio in un’età pura e originaria, priva di interferenze greche.
16 LE ORIGINI BIBLIOGRAFIA 17

D ’altra parte, l’interpretazione metrica di questo verso pone severi pro­ Bibliografìa Origini della lingua latina e sua po­ p ro b le m i di rile v a n z a p iù g e n e ra le (r a p ­
blemi: la sua struttura, peraltro incredibilmente fluida, non si lascia ricon­ sizione nel quadro delle lingue indoeuro­ p o rti d i R o m a a rc a ic a c o n la G re c ia , p e r ­
durre a nessun verso canonico della poesia greca. Alcuni studiosi dubitano pee: A. M e il l e t , Introduction à l ’étu- siste n z a di u n e le m e n to a c c e n ta tiv o n e lla
d e co m p a ra tive des langues indo- m e tric a la tin a a rc a ic a , e cc .; a n c h e c o m ­
perfino che i princìpi costitutivi del saturnio siano gli stessi della metrica européennes, Paris 19378; G. D e v o t o , p a ra z io n e c o n la m e tric a c e ltic a e g e rm a ­
classica greca e latina: princìpi, cioè, basati sull’alternanza quantitativa. Si Origini indoeuropee, Firenze 1962; I d ., n ica ). L a tesi ritm ic o -a c c e n ta tiv a fu so ­
sono proposte così interpretazioni radicalmente diverse tra loro. Il dibattito Il linguaggio d ’Italia, Milano 1974; O. s te n u ta s o p r a ttu tto d a W . M . L in d s a y ,
è importante anche perché coinvolge le nostre idee sullo sviluppo di una S z e m e r é n y i , E infuhrung in die vergleich- Early Latin Verse, O x fo rd 1922 (= 1968);
«preistoria» della cultura letteraria latina. ende Sprachw issenschaft, D arm stad t q u e lla q u a n tita tiv a d a F . L e o , Der satur-
1970. nische Vers, B erlin 1905, e G . P a sq u a l i ,
Quale che sia l’esatta soluzione del problema metrico, è importante ren­ U n ’opera unica nel suo campo, che Preistoria della poesia rom ana, F ire n z e
dersi conto che il saturnio non può situarsi completamente «fuori» dell’uni- fonde studio delle strutture antropologi­ 1936 (n u o v a e d ., c o n im p o rta n te prem essa
tà culturale greco-latina. È difficile ammettere che Andronico e Nevio poe­ che e comparazione linguistica, è E . B e n - di S. T im pa n a r o , F irenze 1981). Q u e st’u l­
v en ist e , Il vocabolario delle istituzioni in­ tim o lav o ro h a im p o rta n z a so p ra ttu tto per
tassero simultaneamente su due distinti codici metrici che presupporrebbero,
doeuropee, trad. it. (2 voli.) Torino 1976. l ’in q u a d ra m e n to sto rico -a rch e o lo g ic o d el­
addirittura, princìpi accentuativi fra loro incompatibili. Ma esistono soluzio­ Sull’alfabeto vedi A. T r a in a , L ’al­ la R o m a d elle o rig in i. I m p o r ta n ti c o n tri­
ni meno drastiche: ad esempio, vedere nel saturnio la trasformazione di certi fa b e to e la pronunzia del latino, Bolo­ b u ti che in q u a lc h e m o d o m e d ia n o fra
cola, certe unità metriche rintracciabili anche in filoni della poesia greca; gna 19734. le o p p o s te tesi s o n o A . W . D e G r o o t ,
oppure pensare che vi giocassero un ruolo decisivo il numero delle sillabe Alfabetizzazione: G. C a va llo , A lfa ­ L e vers saturnien littéraire, in « R ev u e des
betismo e circolazione del libro, in M. É tu d e s L a tin e s » , 1934, p . 284 se g g ., e so ­
e i raggruppamenti di parole. V e g e t t i (a cura di), Oralità scrittura spet­ p r a ttu tto M . B a r c h ie s i , Nevio Epico, P a ­
tacolo, Torino 1983, p. 166 segg. (con d o v a 1964, p . 310 segg. (c o n d e n sa b i­
Com unque si voglia giudicare della sua genesi, il saturnio rimane l’unico contributo ampia bibliografia); G. C o l o n n a , La d if­ b lio g ra fia ). In o ltre vedi Β. L u ise l l i , Il
davvero originale dei Rom ani nel campo delle form e metriche. Evidentemente, pro­ fu sio n e della scrittura, in Civiltà del L a ­ verso saturnio, R o m a 1967; A . T . C o l e ,
prio la sua vistosa irregolarità rispetto ai versi canonici della letteratura greca finì zio prim itivo, Rom a 1976, p. 372 segg.; The Saturnian Verse, in « Y a le C lassical
per decretarne la scomparsa. Esistono tuttavia altre form e metriche che, pur ricon­ inoltre, E . P e r u z z i , L e origini di R om a, S tu d ie s » , 21, 1972, p . 3 segg.
ducibili a un preciso modello greco, sembrano godere di un a loro vitalità autono­ II, Bologna 1973. La tesi di un ictus dinamico e inten­
Versus quadratus m a e non precisamente letteraria. È il caso del cosiddetto versus quadratus, un sette­ Raccolte di testi della Rom a più a r­ sivo è stata sostenuta in opere di notevo­
nario trocaico dalla particolare stilizzazione, attestato per l’età classica in usi popola­ caica sono: A. E r n o u t , Recueil de tex- le fascino e acutezza, come E. F r a e n -
ri, anonimi: indovinelli, cantilene infantili, motteggi e «pasquinate» del popolo: tes latins archaiques, Paris 19473 (utile k e l , Ik tu s und A k z e n t im lateinischen
pòstquam Cràssus càrbo fàctus, Càrbo cràssus fà c tu s èst («da quando Crasso si il commento linguistico; non sempre a f­ Sprechvers, Berlin 1928; W. F . J. K n ig h t ,
è carbonizzato, si è ingrassato Carbone»: C arbone era notoriam ente un avversario fidabile V. P is a n i , Testi latini arcaici e A ccentuai Sym m etry in Vergil, Oxford
di Crasso). volgari, Torino 1950); E . D ie h l , Altla- 1939 (= 1950); H . D r e x l e r , E infuhrung
La fortuna di questo versus quadratus sembra radicarsi già prim a che i letterati ro ­ teinische Inschriften, Berlin 19595 (iscri­ in die ròmische M etrik, D arm stadt 1967.
mani adottino, a livello colto, form e metriche della grecità letteraria: una diffusione zioni); E . H. W a r m in g t o n , Rem ains o f A tu tt’oggi la disputa deve ritenersi con­
sub-letteraria, popolare, forse m ediata già dai prim i contatti con la M agna Grecia 5. Old Latin, 4 voli., London 1935 segg. clusa, nel senso dell’inesistenza dell’ictus;
Questo è solo un aspetto emergente di un fenomeno più generale: la letteratura ro ­ (raccolta utile per la ricchezza di m ate­ vedi soprattutto l’ottim o bilancio di L.
m ana arcaica conosce subito, fin dai suoi inizi noti, una metrica grecizzante «pura» riale, debole invece sul piano filologico); E. Rossi, Sul problema dell’ictus, in «An­
— ad esempio l’esametro di Ennio, che fu im portato «di peso» dalla poesia epica E . P a so li , A cta fra tru m A rvalium , Bo­ nali Scuola N orm ale di Pisa», 1964, p.
greca — e form e «impure», riadattate: ad esempio gran parte dei versi usati da logna 1950. 119 segg.; inoltre W. B e a r e , Latin Verse
Plauto e dagli altri comici, che, pur avendo precise contropartite in greco, rispondo­ Alcuni studi sugli antichissimi car­ and European Song, London 1957. In ita­
no tuttavia a una serie di norm e del tutto nuove. U na caratteristica fondamentale mina e sulla prosa ritmica: C. T h u l in , liano la trattazione più accessibile e sicu­
della poesia rom ana arcaica è proprio la convivenza di questi due distinti codici Italische sakrale Poesie und Prosa, Ber­ ra di questi problemi è A. T r a in a - G.
metrici: a vincere, alla fine, sarà naturalm ente la metrica «pura», e già nel I secolo lin 1906; E . N o r d e n , A u s altrómischen B e r n a r d i P e r i n i , Propedeutica al latino
a.C . i Romani faticano a intendere le leggi strutturali del senario plautino. È chiaro Priesterbùchern, Lund 1941 (soprattutto universitario, Bologna 19813 (con utilis­
quindi che i due diversi filoni presuppongono diversi «tempi» di adattam ento e di­ sul carmen A rvale e sul form ulario reli­ sima bibliografia ragionata).
verse vie di trasmissione: da una parte il semplice ricalco delle form e canoniche, gioso; lavoro molto im portante); B. Lui- (La soluzione oggi prevalente era sta­
dall’altra un processo di acclimatazione più graduale e più complesso. A ncora una selli , Il problem a della p iù antica prosa ta anticipata dagli studi giovanili di F r ie ­
volta, lo stato della nostra tradizione suggerisce l’esistenza di una lunga preistoria, latina, Cagliari 1969. d r ic h N ie t z s c h e , intorno al 1870; cfr.
quasi del tutto perduta, che m aturò in quel ricco bacino di fusione culturale che Assai vasta la bibliografia sul satur­ J. W. H a l p o r n , in «Arion», 1967, p. 233
fu l’Italia antica: necessario presupposto della brusca «creazione» di una letteratura nio che, d ’altra parte, coinvolge anche segg.).
nazionale ai tempi di A ndronico, Nevio e Plauto.

5 A questo stadio la cronologia rim ane del tutto ipotetica e in particolare, vista la nostra |
incertezza sulla genesi del saturnio (vedi sopra), non possiam o dire nulla di più sulla cronologia
relativa dei vari tipi di verso «popolare» in uso a Rom a.
LA SCENA 19

Drammi di Non è in contraddizione con questa tendenza lo sviluppo di una palliata


argomento e una coturnata «romane» — che si chiameranno rispettivamente togata (per­
IL TEATRO ROMANO ARCAICO romano e modelli
greci
ché la toga si «sostituiva» al pallio!) o trabeata, e praetexta (dall’abbiglia­
mento dei magistrati romani: le tragedie romane mettevano in scena, come
è ovvio, figure di alto rango; ma cfr. a p. 26 La terminologia romana dei
generi teatrali). Si tratta appunto di rigenerazioni «romane» dei corrispon­
denti generi greci, rette dagli stessi canoni drammaturgici, e rispondenti alle
stesse tendenze stilistiche. Dai frammenti che ci restano, è facile supporre
che una tragedia di argomento romano potesse rinnovarsi negli avvenimenti,
considerando cioè fatti storici, non più legati al mito della tragedia attica,
ma nello stesso tempo ispirarsi largamente a stile e convenzioni della trage­
dia di Sofocle ed Euripide.
1. La scena Rimane aperto il problema dell’elemento specificamente romano, nonché
italico, che in questo teatro era senz’altro presente: ma è impossibile discuter­
Diffusione del Nel secolo (circa) che intercorre fra il 240 a.C. (anno in cui, autore ne senza prima inquadrare la genesi «dall’esterno» del teatro latino arcaico.
teatro nella Roma Livio Andronico, si sarebbe svolta la prima «regolare» rappresentazione) Mediazione Anche i termini tecnici della drammaturgia sono tutti di origine greca
arcaica e l’età dei Gracchi, la cultura romana conosce una straordinaria fioritura etrusca fra teatro 0 etrusca (come la parola histrio per «attore»). In un passo famoso ma
di opere sceniche e di rappresentazioni teatrali. Tutti i poeti romani di cui greco e teatro problematico e oscuro, lo storico Tito Livio precisa anzi che l’origine degli
ci è giunta la fama in questo periodo scrivono per la scena, molto spesso romano spettacoli romani è etrusca. La spiegazione più prudente di questa notizia
alternando tutti i vari tipi di generi teatrali codificati. Le rappresentazioni è che si voglia parlare, per l’appunto, di pubblici spettacoli, e non di quello
impegnano le autorità statali, che organizzano i festival teatrali, la nobiltà, che specificamente, nella cultura occidentale moderna, intendiamo per «tea­
spesso coinvolta nella protezione degli artisti, e il popolo minuto, che di tro». Accettiamo dunque l’idea che l’Etruria abbia mediato verso Roma la
certi generi (vedi la palliata di Plauto) è il principale fruitore. La diffusione diffusione di «spettacoli»; che gli Etruschi avessero poi una vera e propria
di questo tipo di comunicazione artistica è enorme, paragonabile, o superio­ vita teatrale, è cosa dibattuta: se gli «spettacoli» erano, anche presso gli
re persino, a quella dell’arte figurativa, maggiore certo rispetto alla diffusio­ Etruschi, di derivazione greca, il quadro si fa assai più coerente. È del tutto
ne della letteratura «scritta», che rimane fenomeno più ristretto. A lato del certo che gli Etruschi potevano fornire spettacoli di musica e danza, ma
successo popolare, fioriscono corporazioni professionali, degli autori e degli di testi teatrali passati per questa trafila, non abbiamo indizio chiaro.
attori; si sviluppano polemiche letterarie e dichiarazioni di poetica, che pre­ Teatro romano e L’istituzione di pubblici spettacoli organizzati dallo stato romano fu co­
suppongono pubbliche discussioni di problemi, anche sottili, di natura critico­ festività pubbliche munque un primo passo di grande importanza. L’occasione di cui parla Li­
letteraria e drammaturgica. vio era contrassegnata da pubbliche cerimonie religiose: anche questo nesso
Caratteri e generi È necessario innanzitutto, prima di differenziare meglio i singoli generi è importante·. Infatti la sede regolare del teatro latino sarà rappresentata,
del teatro romano e i principali autori, affrontare nell’insieme i caratteri generali e istituzionali in tutta l’età repubblicana, dal ricorrere di feste e solennità religiose. Abbia­
di questo teatro. Si tratta di combinare con l’evidenza offerta dai testi che mo così un nitido parallelo con la situazione della tragedia attica, anch’essa
abbiamo, interi o frammentari, le notizie storiche, antiquarie, archeologi- — ma ben più profondamente — collegata a festività cicliche e pubbliche.
che, e letterarie, che formano un po’ lo sfondo comune a tutta la produzio­ Sembra però che a Roma il legame fosse, fin dalPinizio, più esteriore, per
ne teatrale arcaica. così dire istituzionale: le feste erano certamente un momento di aggregazio­
Tutti i principali generi teatrali romani sono, in origine, dei prodotti ne, ma non sembra che il teatro latino abbia al suo interno una forte presen­
di importazione. Di origine greca sono infatti: za di tematiche connesse alla sensibilità religiosa, o al contenuto delle singo­
a) il principale genere comico, la palliata, così definita dal pallio, che ap­ le celebrazioni festive. È attestata a Roma l’esecuzione pubblica di formule
punto era tipico abbigliamento dei greci (sono autori di palliata Plauto, religiose e anche di inni, ma queste forme letterarie cultuali non sembrano
Cecilio Stazio e Terenzio); per nulla collegate alla genesi del teatro.
I ludi La più antica ricorrenza teatrale è quella legata alla celebrazione dei
b) il principale genere tragico, la cothurnata', coturni sono gli altissimi cal­
ludi Romani in onore di Giove Ottimo Massimo: fu ai ludi Romani del
zari degli attori tragici greci.
240 che Livio Andronico, a quanto risulta, mise in scena il primo testo dram­
Gli autori di palliate e coturnate presentano regolarmente le loro opere matico «regolare», una tragedia su modello greco. I Romani di età classica
non solo come ambientate in Grecia, ma anche come derivate (trascuriamo, sentivano questa data come il principio del loro teatro «nazionale». Se pren­
per il momento, la questione dei gradi di originalità e trasformazione) da diamo come riferimento l’età di Plauto e Terenzio, su cui siamo molto me­
precisi e conosciuti modelli greci. Questo dato è presupposto anche nei rap­ glio informati, abbiamo quattro ricorrenze annuali deputate alla rappresen­
porti con il pubblico colto, che può meglio cogliere le finezze degli adatta­ tazione di ludi scaenici: i già citati ludi Romani (nel mese di settembre);
menti e persino svolgere un paragone con gli originali greci. 1 ludi Megalenses, in onore della Magna Mater (aprile); i ludi Apollinares
20 IL TEATRO ROMANO ARCAICO LE FORME 21

(luglio); i ludi plebeii, dedicati a Giove Ottimo Massimo (novembre). A or­ La scena Il primo teatro di pietra fu edificato a Roma solo nel 55 a.C.; prima
ganizzare i ludi erano sempre dei magistrati in carica, edili, o pretori urbani. ci saranno state solo strutture provvisorie, in legno. Questo non significa
Il contesto dei ludi non prevedeva solo spettacoli teatrali, ma anche, ad che sistemazione del pubblico e — ciò che più ci interessa — impianto
esempio, giochi di gladiatori: anche questo aiuta a capire quanto il teatro scenico fossero rudimentali e abborracciati. Dobbiamo pensare che le rap­
fosse un fatto di intrattenimento collettivo. presentazioni della palliata — impostata su modelli della Commedia Nuova
Influsso dei Il carattere statale e ufficiale dell’organizzazione ha due importanti con­ di Atene — fossero in grado di riprodurre, sulla scena, gli allestimenti pro­
committenti sui seguenze. La prima è che i committenti delle opere teatrali si identificavano pri del teatro greco. L ’azione si svolgeva sempre in esterni, di fronte a
caratteri del con le autorità; in un’epoca in cui le cariche pubbliche sono rette da nobiles, due o tre case (tranne, molto raramente, qualche commedia di ambientazio­
teatro è chiara l’importanza di certi clan nobiliari nel favorire lo sviluppo del tea­ ne extraurbana), collocate su una strada che portava, per convenzione, da
tro. La natura della committenza spiega, nel caso della tragedia di argomen­ un lato al centro della città — il foro, Pagorà dei modelli greci — e dall’al­
to storico, la scelta di determinati argomenti, ad esempio esaltazioni di eroi­ tro verso l’esterno, cioè fuori dello spazio urbano (verso la campagna, o
che imprese, o di antenati illustri di certe casate. La praetexta avrà dunque, verso il porto).
spesso, non solo una tematica nazionale e nazionalista, ma anche un riferi­ Maschere e Un aspetto fondamentale della messa in scena era costituito dall’uso
mento a singole figure politicamente influenti. Questo rapporto di contenuto personaggi di maschere \ Queste maschere erano fisse per determinati tipi di personag­
con la committenza non è però determinabile nel caso della commedia, il gi, che ritornavano praticamente in ogni trama di commedia: il vecchio,
cui ambito è diverso e più ridotto: e nell’insieme, l’importanza dei commit­ il giovane innamorato, la matrona, la cortigiana, il lenone, lo schiavo, il
tenti non poteva cancellare l’importanza del pubblico, che era una rappre­ parassita, il soldato, e altri ancora. Le maschere non escludevano del tutto
sentanza composita e generale di tutta la società romana. qualche forma di recitazione «facciale» (erano mobili, e con ampio spazio
Commedia latina La seconda conseguenza tocca proprio la commedia. La commedia lati­ per gli occhi): ma la loro funzione era di far riconoscere, sin dall’inizio
e politica na che noi conosciamo (anche quella di Terenzio, che cerca a suo modo dell’azione scenica, quale fosse il «tipo» del singolo personaggio. Non a
di toccare problemi sentiti nella. società romana) non esercita vere forme caso i prologhi di Plauto, che forniscono al pubblico informazioni sulla tra­
di critica sociale o di costume; tanto meno sono consentiti attacchi personali ma, citano i personaggi a seconda del loro «tipo» generale (il vecchio, il
ed espliciti (così frequenti nella commedia di Aristofane), o prese di posizio­ giovane, il lenone...) e non insistono invece sui nomi, che il pubblico faceva
ne politiche. Il mondo della commedia può essere, a suo modo, realistico, più fatica a individuare e ricordarè. L’uso di questi «tipi» o maschere ebbe
ma non ha punti di contatto con la sfera dell’attualità politica. Non sappia­ indubbiàmente un forte influsso sulla poetica dei commediografi latini. Ciò
mo se vi siano state eccezioni. Il poeta Nevio è famoso per i suoi attacchi è evidente soprattutto in Plauto, che spesso lavora su «tipi» psicologici ste­
al clan nobiliare dei Metelli, e sembra che per cause politiche venisse anche reotipati e generici, per rivolgere tutta la sua attenzione alla comicità delle
incarcerato; ma del teatro comico di Nevio non possediamo più niente e singole situazioni e all’inventiva verbale. Al contrario, si può dire che Teren­
non possiamo farci, purtroppo, neanche un’idea schematica. zio lottò contro questa tendenza, cercando di approfondire la psicologia dei
La «confraternita U n’altra data importante del teatro latino è il 207, quando fu fondata suoi personaggi senza troppo appoggiarsi al repertorio tradizionale delle «ma­
degli autori e la «confraternita degli autori e degli attori», collegium scribarum histrio- schere», né alle tradizioni della farsa italica.
degli attori» numque. È senz’altro un fatto di importanza storica che queste attività fos­ L’uso delle maschere doveva avere anche un’implicazione pratica. Un
sero socialmente riconosciute, ma il riconoscimento fu piuttosto limitato: attore, cambiando maschera e costume, poteva recitare più di una parte.
si noti l’assimilazione degli scrittori (identificati come autori teatrali) con Perciò anche una commedia dall’azione molto ricca (con dialoghi fra tre
gli attori, un’attività che all’epoca nessun Romano di nascita libera avrebbe o persino quattro attori contemporaneamente in scena) si poteva eseguire
intrapreso; e l’uso di scriba, che nel latino più tardo vale «scrivano» e non con quattro, massimo cinque interpreti. È chiaro che fra gli attori esistevano
«scrittore». L ’assunzione dal greco del termine poeta indicherà il crescere, gerarchie di abilità e specializzazione: alcuni personaggi (in genere uno o
nel periodo successivo, di una sempre più elevata autocoscienza: Ennio sarà due per commedia) avevano delle parti molto impegnative, comprendenti
il massimo esponente di questa tendenza a valorizzare socialmente il «fare» dei cantica o «arie» che richiedevano particolare virtuosismo nell’esecuzione.
letterario. Il riconoscimento sociale andò crescendo con il successo di pub­
blico, e soprattutto con il consolidarsi dei legami fra autori e aristocrazia:
Ennio per la letteratura «seria», e Terenzio per il teatro comico, sono le
figure-chiave di questa ascesa. 2. Le forme
L’organizzazione Come erano rappresentate le opere teatrali? Abbiamo accennato che gli
oneri finanziari erano dello stato, rappresentato dai magistrati organizzato- Questo ci conduce dai problemi della scena a quelli dei testi scenici ro­
ri. I magistrati dovevano trattare con gli autori, e con un’altra figura impor­ mani. Alcune considerazioni generali possono essere premesse a questo pun-
tante, il «capocomico» o dominus gregis, che dirigeva la compagnia, faceva
. da impresario, e talora poteva collaborare con gli stessi autori da lui prescel­
ti: famoso è rimasto l’attore-impresario Lucio Ambivio Turpione, che ebbe 1 Questo è sicuro a partire dalla m età del II secolo a .C ., m entre per l’età di Plauto
grossa parte nel pur faticoso successo di Terenzio. le testim onianze sono un p o ’ più controverse.
22 IL TEATRO ROMANO ARCAICO LE FORME 23

to, prima ancora che si trattino individualmente i singoli autori. In questa astraendo, per pura comodità espositiva, da tutti gli altri possibili e immagi­
presentazione generale avrà maggiore sicurezza l'informazione sulla palliata, nabili fattori di cambiamento) un’operazione di passaggio a nuovi codici
piuttosto che sulla tragedia, per l’ovvio motivo che della tragedia arcaica espressivi. «Riscrivere» il monologo di un personaggio in un’aria, in un can-
abbiamo solo frammenti: ma alcuni aspetti generali sono validi per entrambi ticum polimetrico, è operazione che non si ferma, ovviamente, al livello
i settori. tecnico-ritmico, ma coinvolge struttura del discorso, scelta delle parole e
a) la commedia: L’autore di palliate che conosciamo meglio, Tito Maccio Plauto, scrive dei concetti; soprattutto, finisce per coinvolgere la stessa struttura del perso­
forme metriche commedie: (a) non divise in atti, (b) composte di parti cantate e recitate. naggio e il modo di concepirlo. La poetica realistica della Commedia Nuova
della palliata Più esattamente, il teatro plautino comprendeva almeno tre distinti modi comincia già qui a venire intaccata. E non solo si riscrivevano e si rimodula­
latina di esecuzione e di formalizzazione metrica: le parti recitate senza accompa­ vano situazioni per così dire «traducibili», che di per sé si prestavano a
gnamento musicale (scritte in senari giambici, i corrispondenti romani del una trasposizione ritmica; nasceva anche l’impulso a creare nuove situazio­
trimetro giambico greco); le parti «recitative», in cui un accompagnamento ni, ritagliando nel nastro continuo della sceneggiatura originale spazi e pau­
musicale era presente (settenari trocaici, corrispondenti del tetrametro tro­ se adeguate. Vedremo fra poco alcuni caratteri originali della commedia plau­
caico catalettico); le parti «cantate», composte in una straordinaria varietà tina che vanno messi in rapporto con queste trasformazioni: quello che fra
di metri. Tutti questi tipi di verso (a differenza del misterioso saturnio) tro­ poco definiremo (cfr. p. 43 segg.) «lirismo comico», è un fenomeno più
vano dei precisi «corrispondenti» nel sistema della metrica greca classica; complesso, ma senz’altro parallelo a queste tendenze metrico-espressive.
ma ognuno di essi manifesta in vari modi di aver subito sottili e profondi
adattamenti. Per fare solo un esempio, il senario giambico plautino, con­ b) la tragedia: Meno chiare ed organiche sono le nostre cognizioni sulla tragedia roma­
frontato con il trimetro giambico, è insieme molto più libero — perché am­ importanza del na arcaica. Basandosi sui frammenti, e sul confronto con la tragedia attica
mette una grande quantità di «sostituzioni» che in greco sarebbero irregola­ coro nella del V secolo, che rimase sempre il principale modello, è possibile formulare
rissime — e molto più vincolato — perché la sua forma apparentemente tragedia greca un paio di impressioni generali. La struttura della tragedia attica prevedeva
anarchica è retta da un sottile tessuto di leggi metrico-verbali, che regolano un alternarsi di parti dialogate, recitate o «recitative», e di parti liriche;
i rapporti tra parole e unità metriche. Parlando più in generale, la struttura di queste ultime, l’aspetto senz’altro più qualificante era la presenza di gran­
metrica della palliata offre una notevole impressione di ricchezza e musicali­ di costruzioni «strofiche»: i cori, con le loro complicate architetture e re­
tà: in ogni opera l’autore poteva alternare quei tre grandi registri (di cui sponsioni interne. I cori prevedevano una stretta fusione fra il testo e ciò
il terzo, del resto, si apriva in un ulteriore ricchissimo ventaglio di possibili­ che noi chiamiamo «coreografia»: erano musicali, e danzati; erano interpre­
tà), naturalmente con importanti incidenze sulla trama e sulla drammaturgia tati da gruppi di attori, che nella struttura drammaturgica avevano in genere
dell’opera. E grandi erano, su questo piano, le differenze rispetto alla strut­ una funzione limitata o passiva. La funzione tipica delle parti corali nell’in­
tura formale dei modelli, che erano, come vedremo meglio più avanti, i treccio era di commento all’azione; lo stile, grazie alle molteplici risorse del­
testi della Nèa, la «Commedia Nuova» fiorita ad Atene nel IV secolo a.C. la lingua letteraria greca, era nettamente separato da quello delle parti «indi­
Forme metriche Queste opere, ad esempio le pièces di Menandro, erano di norma viduali».
della commedia (a) divise in atti, (b) composte, praticamente, solo di parti «recitate» o «reci­ Mancanza del Sembra che i tragediografi latini non disponessero delle strutture (sceni­
nuova greca tative», e dunque, quanto ai versi usati, di trimetri giambici o tetrametri coro nella che, coreografiche, musicali) necessarie a riproporre nel teatro romano le
trocaici catalettici. Una struttura dunque più lineare e uniforme: non a caso, tragedia latina e inserzioni corali del teatro attico. Erano quindi necessari dei profondi cam­
un verso come il trimetro giambico era considerato il più adatto a imitare conseguenze biamenti nella «riscrittura» degli intrecci attici. Da una parte, indubbiamen­
lo stile piano e colloquiale della conversazione quotidiana. Era proprio da strutturali
te, i tragici latini dovettero riassorbire nelle nuove presentazioni sceniche
questa restrizione metrica che la Nèa traeva un suo tipico effetto di «reali­ anche ciò che delle parti corali sembrava loro meritevole o indispensabile.
smo borghese»; effetto che trovava precisa rispondenza nella scelta di uno Dall’altra, la scomparsa della lirica corale apriva nelle tragedie come un
stile misurato e realistico, e nella conduzione dei personaggi e dell’intreccio. «vuoto» di stile e di immagini: nelle parti corali i tragici greci avevano pro­
Così, fra l’altro, la Commedia Nuova si opponeva alla vivacissima creatività digato le loro immagini più ardite, le più impressionanti e alate figure di
ritmica della Commedia Antica di Aristofane e alla ricca musicalità del tea­ stile: la tragedia — in opposizione ad altri generi più bassi e quotidiani —
tro tragico, caratterizzato da frequenti e complesse parti corali a responsione si fondava molto su questo scarto.
strofica. Data la natura scarsamente «lirica» della Nèa, l’uso di parti musi­ Lo stile della I tragici latini ovviarono a questo «vuoto» alzando, mediamente, tutto
cali era confinato a un artificio formale ed estrinseco: gli intermezzi, le pau­ tragedia latina il livello stilistico dei loro drammi. La tragedia latina è caratterizzata da
se che marcavano la divisione tra un atto e l’altro e che consistevano di un «passo» di stile che, nella sua elevatezza, appare uniforme, e che si oppo­
esecuzioni musicali. ne nettamente alla lingua quotidiana. I poeti tragici latini, che non aveva­
Diversità formali La palliata di Nevio e Plauto lascia cadere quest’uso e, con esso, la
no a disposizione tesori di lingua d’arte già consolidati, sfruttarono ogni
e trasformazioni nitidezza della divisione in cinque atti; ma ritrova nelle parti cantate un
risorsa disponibile: «calchi» dalla lingua poetica greca, arditi neologismi,
sostanziali elemento sostanziale della presentazione scenica. Le conseguenze furono de­
prestiti dal solenne linguaggio ufficiale della politica, della religione e del
cisive per lo sviluppo di un teatro comico originalmente latino. Da un punto diritto. Essi riuscirono così a dotare la tragedia di un suo linguaggio identifi­
di vista tecnico, la «riscrittura» degli originali ateniesi diventava così (anche cabile, anche troppo: Plauto e Lucilio imbastiscono sullo stile «esagerato»
l ’a t e l l a n a 25
24 IL TEATRO ROMANO ARCAICO

di Ennio e Accio delle parodie di sicura efficacia, con grande riuscita co­ suggestivo — alla nostra commedia dell’arte. La penetrazione dell’atellana
mica. a Roma — il nome viene dalla città di Atella, nella zona della Campania
Polimetria della Anche nella sua composizione metrica, per quanto possiamo giudicare, di cultura Osca — dovette cominciare già prima dell’istituzione di un teatro
tragedia latina la tragedia esprimeva uno sforzo di prendere quota rispetto allo stile quoti­ letterario e regolare. Si presume che questi spettacoli (preletterari) non ri­
diano e alla composizione metrica di altri generi letterari. Mentre nella tra­ chiedessero una vera struttura professionale (è probabile che, in origine, si
gedia attica — specialmente in Euripide, che del resto è un modello favorito recitasse «a soggetto», improvvisando) e che si basassero perciò su canovac­
dei Romani — la maggior parte del dramma è impostata sul «colloquiale» ci rudimentali: un intreccio scenico che prevedeva equivoci, incidenti farse­
trimetro giambico, nella tragedia romana il verso equivalente, cioè il sena­ schi e bisticci; e battute salaci, affini allo spirito dei fescennini (cfr. p. 13).
rio, appare in minoranza; ben maggiore spazio hanno altre soluzioni, carat­ Ma la caratteristica forse più importante, in ciò che sappiamo dell’atellana,
terizzate da più forti temperature stilistiche e sentimentali, come i «recitati­ è che i canovacci comportavano delle maschere fisse e ricorrenti (di qui so­
Maschere fisse prattutto il parallelo con la commedia dell’arte): come Bucco, il fanfarone
vi» in settenario trocaico e i vari tipi di cantica. Questo rialzo complessivo
veniva, come abbiamo accennato, a compensare la perdita degli intermezzi o chiacchierone, e Dossennus, il gobbo malizioso. Uno di questi nomi, Mac-
corali: ma le sue conseguenze, come è ovvio, non si fermavano qui. Certe cus, sembra essere stato riadattato nel nome di Plauto: cfr. p. 35.
peculiarità del genere tragico romano — prima fra tutte la crescita del pa­ Questa caratteristica dell’uso di maschere fisse è di notevole importanza
thos a spese di una più razionale analisi psicologica — sono collegate a per capire meglio certi aspetti del teatro di Plauto, che si discostano notevol­
questa transcodificazione: proprio il verso che, nel sistema tragico greco, mente dai modelli greci letterari (cfr. p. 41 seg.). Influssi dell’atellana sul
era veicolo della comunicazione «razionale» (esposizione di situazioni, anali­ teatro regolare e grecizzante sono infatti molto verosimili: il pubblico dove­
si, dibattito, piuttosto che commento lirico o effusione patetica), cioè il tri­ va essere lo stesso, e anche l’atellana certamente già assimilava in sé elementi
metro giambico, viene ora ad essere sfavorito nel nuovo sistema. Il senario, di tradizione culturale greca e magnogreca. Anche la commedia dell’arte,
suo rappresentante latino, subisce un forte assottigliamento: nella tradizione come è noto, ebbe la sua influenza sul teatro «alto» e letterario.
latina di età repubblicana diventerà sempre più il tipico, prosaico e irregola­ Sono influssi che possiamo ricostruire solo indirettamente, a partire dal
re, verso dei comici. teatro letterario di Plauto e Cecilio. La farsa italica conoscerà una rinascita
Al termine di un lavorio complesso, che però deve essere stato rapido nella prima parte del I secolo a.C., quando assumerà caratteri letterari più
Carenze
strutturali del e persino febbrile 2, la cultura romana si trova in possesso di un suo sistema regolati (cfr., su Pomponio e Novio, p. I l i ) senza però rinunciare all’uso
teatro latino teatrale «alla greca». Certe soluzioni restavano, in un certo senso, provviso­ di un linguaggio popolaresco e sbrigliato.
rie e persino affrettate. Il sistema teatrale attico del IV secolo si basava
su una netta divisione di stili; per staccarsi dal «realismo» del linguaggio
comico, la tragedia greca, destinata a cantare illustri figure del mito, attinge­
va alle profonde riserve della lingua epica e lirica, e alle tradizioni di parlate
non attiche; di qui provenivano infinite risorse di straniamento e un naturale Bibliografia O p e re in tro d u ttiv e allo stu d io del tea ­ zioni di frammenti per singoli autori, che
effetto di «artisticità». Ma tutto questo era, per la giovane poesia romana, tr o r o m a n o a rc a ic o : W . B e a r e , The saranno citate a suo luogo.
davvero inimitabile. Il nuovo sistema non aveva un passato letterario tanto R om an Stage, L o n d o n 19643 ecc.; E . P a ­ Sulla commedia in genere: G. E .
r a t o r e , Storia del teatro latino, M ila ­ D u c k w o r t h , The Nature o f R om an
ricco da permettersi profonde distinzioni tra i diversi generi' e livelli di stile. n o 1957; in o ltre le p a g in e sugli a u to r i Comedy, a Stu d y in Popular Entertain­
La ricerca in questo senso continuerà, con alterni esperimenti, per due secoli te a tra li in F . L e o , Geschichte der ròmi- m ent, Princeton 1952; F . H. S a n d b a c h ,
almeno, fino all’età augustea. schen Literatur, B e rlin 1913, e A . S. The Com ic Theatre o f Greece and
G r a t w i c k , Drama, in E . J . K e n n e y - Rom e, London 1977, trad. it. Roma-Bari
W . C l a u s e n , The Cambridge H istory o f 1985; E . S e g a l, R om an Laughter, Cam ­
Classical Literature, II, Latin Literature, bridge (Mass.) 1968. I frammenti dei co­
C a m b rid g e 1982, p . 77 segg. S u lla tr a g e ­ mici sono raccolti nella già citata silloge
3. Un «sottogenere» teatrale: l’atellana d ia : O . R ib b e c k , D ie ròmische Tragódie di R ib b e c k , voi. II; si veda anche A .
im Zeitalter der R epublik, L eip zig 1875, T r a i n a , Comoedia. A ntologia della p al­
ris t. H ild e s h e im 1968 (a n a lisi dei f r a m ­ liata, Padova 1969 3.
m e n ti, m o d e lli g re ci, ric o s tru z io n e delle Hanno anche rilevanza generale le in­
A fianco del grande fenomeno del teatro «regolare» (palliata, togata, tra m e ); H . D . J o c e l y n , The Tragedies troduzioni premesse da C. Q u e s t a alle
tabernaria, ecc.) continuò a correre il successo di un genere popolare, l’atel- o f Ennius, C a m b rid g e 1967, p . 3 segg. traduzioni di singole commedie di P lau­
lana, che è stato intuitivamente accostato — forse in modo improprio, ma L a ra c c o lta fo n d a m e n ta le p e r i fra m m e n ti to nella «Biblioteca Universale Rizzoli».
tra g ic i è t u tt o r a O . R ib b e c k , Scaenicae Per lo studio della metrica latina a r­
R om anorum poesis fragm enta, I, L e ip ­ caica è fondam entale C. Q u e s t a , Intro­
zig 1871-732, ris t. H ild e s h e im 1962 (esi­ duzione alla metrica di Plauto, Bologna
ste a n c h e u n a te rz a e d ., se n z a gli in d ic i 1967.
2 Per quanto ne sappiam o, infatti, le caratteristiche generali di cui abbiam o discusso si lessica li, 1897-98; in o ltre u n a n u o v a e d i­ Per i testi tragici, data la loro con­
trovano già anticipate in Livio Andronico e in Nevio. È probabile che una migliore conoscenza z io n e d e i fra m m e n ti tra g ic i h a c u r a to A . servazione in magri fram m enti, non esi­
della poesia teatrale di età ellenistica ci fornirebbe qualche «anello m ancante» in più, chiaren­ K l o t z , M iin ch en 1953); esistono p e rò edi­ ste un lavoro a carattere manualistico.
doci meglio il passaggio dalla lirica corale ai cantica rom ani.
26 IL TEATRO ROMANO ARCAICO

LIVIO ANDRONICO
LA TERMINOLOGIA ROMANA
DEI GENERI TEATRALI

Riassumiamo qui per chiarezza i principali termini in uso nel latino classico per indicare
diversi generi e specialità teatrali:

Fabula - Il termine più generico di tutti, può essere riferito a qualsiasi tipo di testo Vita Le date di nascita e di morte ci sono ignote; giunse a Roma, verosimilmente
teatrale. Tutte le designazioni che elenchiamo qui sotto sono, propriamente, degli ag­ da Taranto, e secondo alcuni al seguito di Livio Salinatore, alla conclusione della
gettivi che si riferiscono, specificandolo, a questo termine onnicomprensivo. guerra fra Roma e Taranto (272 a.C.). Questo fra l’altro spiegherebbe il prenome
Palliata - Commedia di ambiente greco (e cioè, per quanto ne sappiamo, adattamento romano Livio: Andronico era a tutti gli effetti un greco, e assunse il prenome del
di un originale della Commedia Nuova ateniese). I personaggi indossavano un abito suo patrono Livio Salinatore, di cui fu liberto. Fu attivo a Roma come grammaticus,
tipicamente greco, il pallium, opponibile alla toga che contraddistingue i Romani. cioè professore, di greco e di latino, come autore di testi scenici, e come attore
nella messa in scena di qualche suo lavoro. Due tappe importanti e chiaramente
Togata - In senso generico, qualsiasi opera teatrale di ambientazione romana; per lo attestate della sua carriera letteraria sono il 240! quando una sua opera fu il primo
più (in opposizione a praetexta), una commedia di ambiente romano; generalmente distin­ testo drammatico rappresentato a Roma; e il 207, quando compose un partenio
ta anche da generi comici più popolari, quali atellana (cfr. p. 24) e mimo (cfr. p. 111 segg.). («canto di fanciulle») in onore di Giunone, destinato all’esecuzione in pubblico nel
Tabernaria - Opera comica di ambientazione romana; il termine non è nettamente di­ corso di cerimonie religiose. Dopo questa importante affermazione Livio ebbe pub­
stìnto da togata, ma sembra avere comunque una connotazione più «bassa». Taberna blici onori e la sua «associazione professionale», il collegium scribarum histrionum-
si usa in latino per «casupola, baracca», oppure «bottega, osteria, ostello». que, venne insediata in. un edificio pubblico, il tempio di Minerva suH’Aventino.
Questo riconoscimento — che per la prima volta nella storia di Roma asse­
Trabeata - Neologismo che indica un esperimento occasionale. Il termine è rifatto sullo gnava uno statuto ufficiale alla produzione letteraria — è anche l’ultima notizia
schema di togata e deriva dalla trabea, l’abbigliamento tipico dei cavalieri. Un liberto che possediamo sulla vita di Livio.
di Mecenate, Gaio Melisso, si era provato a comporre delle commedie per così dire
«borghesi», a cui la nuova definizione si applicava. Opere Tutto quel che ci è giunto si limita a non più di una sessantina di frammenti,
dovuti a citazioni di autori repubblicani, o di grammatici. Ci restano i titoli di otto
Crepidata (?), C othurnata - Termini poco usati, che identificano, in opposizione alla tragedie: Achilles, Aegisthus, Aiax mastigòphorus (Aiace con la frusta), Equos
praetexta, le tragedie di ambientazione greca. Il coturno era l’alta calzatura tipica degli Troianus (Il cavallo di Troia), Hermìona, tutte legate al ciclo della guerra di Troia,
attori tragici greci; crepidata deriva da crepida, «sandalo alla greca». Non è ben chiaro, inoltre Andromeda, Dànae e Tèreus: in tutto poco più di venti frammenti per una
per la verità, in che senso crepida potesse riferirsi ad una calzatura di attore tragico; quarantina di versi. Compose anche palliate, che evidentemente però ebbero mi­
perciò alcuni pensano che crepidata vada riferito, piuttosto, al genere comico alla greca nore risonanza delle tragedie: ce ne rimangono sei frammenti di un solo verso,
delle palliatae. a volte non completo, β gli stessi titoli sono di tradizione incerta. Uno solo è
attestato con sufficiente sicurezza: Gladiolus («Sciaboletta»). Nulla è conservato
Praetexta o Praetextata - La toga praetexta era la toga indossata dai magistrati roma­
ni, contrassegnata da una striscia di porpora. Il termine indica tragedie di ambientazio­ del partenio per Giunone.
L’opera più significativa di Andronico è per noi (a giudicare dai frammenti
ne romana.
che abbiamo) la versione in saturni dell Odissea di Omero, il cui titolo doveva
suonare Odusia: ce ne sono giunti trentasei frammenti per una quarantina di
Semplificando ulteriormente, si può proporre questa divisione schematica in quattro
versi, non tutti completi.
caselle:
F o n ti Le informazioni sulla Vita da noi accolte — con le due date del 240 e del
207 — si basano essenzialmente su Cicerone (Brutus 72 seg.) e Livio (27,37,
commedia tragedia 7). Il brano di Cicerone testimonia un’antichissima controversia sulla biografia
di Livio: pare che Accio (il poeta tragico e filologo del II secolo a.C.) fissasse
ambiente al 209 a.C. — data della presa di Taranto durante la seconda guerra punica
palliata cothurnata/crepidata
greco — la venuta di Andronico a Roma. Questo riferimento sposterebbe il culmine
dell’attività di Livio ai primi anni del II secolo a.C., ma risulta assai difficile consi­
ambiente
togata praetexta derarlo un contemporaneo di Plauto e di Ennio. Il dato di Accio è da scartare,
romano
anche se il complesso dalla biografia di Andronico rimane assai nebuloso e so­
prattutto appare molto improbabile che si debba fissare la venuta di Livio a Roma
a una data così alta come il 272. Solo le date del 240 (prima rappresentazione)
e del 207 (partenio per Giunone) appaiono immuni da ogni controversia.
28 LIVIO ANDRONICO NASCITA DELLA TRADUZIONE POETICA 29

Nascita della traduzione poetica duce summus adprimus («grandissimo e di primo rango»). In altri casi si
ha l’impressione che Andronico modifichi Omero per intenzioni specifica-
I grandi classici romani del I secolo a.C. (Varrone, Cicerone, Orazio) mente artistiche. Egli è un contemporaneo dei poeti alessandrini: questo au­
concordavano nell’indicare in Livio l’iniziatore della letteratura latina. È tore — che Orazio sentirà come «primitivo» — a sua volta è molto distante
chiaro che consacrazioni del genere possono contenere delle forzature, nel tempo dalla poesia omerica, ed è portatore di un suo gusto e di una
ma ciò che sappiamo di Livio ci rende difficile sottovalutarne l’importanza Traduzione e sua poetica. Tipica della poesia romana arcaica, rispetto ai modelli greci,
storica. «drammatizzazione» è la ricerca del pathos, della forza espressiva e della tensione drammatica.
La traduzione L’iniziativa di tradurre in lingua latina e in metro italico (il saturnio) In Omero, il porcaio Eumeo parla ad Odisseo, che è sotto mentite spoglie,
scritta di VOdissea di Omero ebbe una portata storica enorme. Il fenomeno della tra­ e gli dice: «mi prende il rimpianto di Odisseo che non c’è più» (Odissea
un’opera duzione scritta non è naturalmente una novità assoluta: prima dei Romani, 14,144). La situazione è piena di sentimento e insieme di ironia, perché Odisseo
letteraria e anche dei Greci, la cultura mesopotamica e quella egizia praticano tradu­ è lì che ascolta ma non può ancora rivelarsi. Andronico traduce, o meglio
zioni, ad esempio, di testi giuridici o politici. Ma anche una cultura lettera­ interpreta: neque tamen te oblitus sum, Laertie noster («ma io non ti ho
ria di somma raffinatezza e curiosità come quella greca non arrivò mai a scordato, caro figlio di Laerte»). «Non ti ho scordato» è più enfatico di
concepire (sino ai tempi dell’impero romano) la traduzione di un’opera let­ «mi prende il rimpianto»; e, soprattutto, qui Eumeo si rivolge a Odisseo
teraria da una lingua straniera. L’operazione di Livio ebbe insieme finalità in seconda persona: il suo rimpianto lo porta ad apostrofare come se fosse
letterarie e finalità più genericamente culturali. Cominciamo da queste ulti­ presente una persona lontana che però, i lettori lo sanno, è lì presente ad
me. Livio rese disponibile ai Romani un testo fondamentale della cultura ascoltarlo.
greca. Naturalmente Vélite romana ellenizzata già leggeva Omero nell’origi­ La produzione Questa capacità di «drammatizzare» il racconto omerico ci fa pensare
nale: ma YOdusia ebbe fortuna come testo scolastico, e sappiamo da Orazio teatrale di Livio che Andronico fu anche un significativo drammaturgo. Anche i testi dram­
(Epistulae 2,1,69 segg.) che ancora gli scolaretti del I secolo a.C. penavano Andronico matici di Andronico, come YOdusia, avevano dei precisi modelli greci: ma
sul difficile e arcaico linguaggio di Andronico. Andronico stesso era maestro nel campo teatrale i Romani furono, sin dalPinizio, più liberi nel trasforma­
di scuola, e nel suo lavoro riuscì insieme a divulgare cultura greca a Roma re i modelli, al massimo adattatori, ma non propriamente traduttori. Uno
e a far progredire la cultura letteraria in lingua latina. dei pochissimi frammenti di cui possiamo controllare l’originale greco —
La traduzione Infatti non pare che YOdusia fosse concepita solo come un testo per YAiace di Sofocle, modello ddYAiax mastigophorus — contiene una massi­
«artistica» le scuole. L ’importanza di Livio nella storia letteraria sta nell’aver concepito ma amareggiata: «si dà lode al valore: ma la lode si scioglie più rapida
la traduzione come operazione artistica·, costruzione di un testo che stia ac­ del gelo a primavera»·, il personaggio sofocleo diceva solo «come veloce
canto all’originale, e sia da un lato fruibile come opera autonoma, e dall’al­ svanisce tra i mortali il favore». Già qui, come tante volte vedremo nel
tro si sforzi di conservare, attraverso un nuovo mezzo espressivo, non solo corso della storia letteraria romana, le differenze tra i poeti latini e i loro
i nudi contenuti, ma anche la qualità artistica del modello. I problemi che modelli sono un prezioso strumento per misurare i caratteri originali della
Livio affrontò dovettero essere enormi, e molte delle soluzioni da lui con­ nuova cultura. La ricerca del patetico, ad esempio, è una costante di poetica
quistate ebbero prolungata influenza nello sviluppo della letteratura di lin­ in quasi tutta la poesia latina arcaica, e si apprezza meglio là dove abbiamo
gua latina. Non avendo una tradizione epica alle spalle, Livio cercò per il controcanto di un modello greco.
altre vie di dare solennità e intensità al suo linguaggio letterario. Forme Si può pensare che praticamente tutte le caratteristiche della scena ro­
come i genitivi in -as o l’imperativo insece, «dimmi» (traduzione dell’omeri­ mana di età repubblicana che abbiamo visto nel precedente capitolo fossero
co ènnepe nel primo verso del poema) sono, si badi bene, non solo arcaiche già patrimonio di Andronico. I modelli tragici a cui si indirizzò furono vero­
rispetto ai tempi di Orazio, ma già — volutamente — arcaizzanti rispetto similmente — come poi quasi sempre faranno Nevio, Ennio, Pacuvio e Ac-^
alla lingua in uso ai tempi di Andronico. Comincia così — in risposta alla ciò — testi attici del V secolo, in preferenza Sofocle ed Euripide.
qualità artificiale e letteraria del greco omerico — la tendenza arcaizzante Per il rapido sviluppo letterario che seguì alla sua opera, Andronico
e conservatrice che avrà tanta importanza nella storia della poesia latina. passò molto presto di moda: non solo Cicerone e Orazio trovano primitiva
La lingua letteraria si stacca dal linguaggio quotidiano. Ecco quindi che la sua arte, ma già Ennio sembra polemizzare contro il suo predecessore.
Andronico si rivolge al formulario della tradizione religiosa, che dà elevatez­ La lettura scolastica di Andronico durò probabilmente più della sua fortuna
za e profondità al suo linguaggio: e rende l’omerica «Musa» con l’antichissi­ letteraria: di lui restava, per così dire, il «busto» di un progenitore.
ma Camena, divinità italica delle acque, puntando sull’etimologia allora cor­
rente, da Casmena / Carmena — quindi da carmen «poesia».
Le modificazioni Gli scarsi frammenti mostrano una notevolissima volontà di aderenza Bibliografia I frammenti epici sono editi da W. t i, Livio A ndronico e la traduzione ar­
di ciò che è aH’originale e di chiarezza: tradurre significa tanto conservare ciò che può M o r e l , Fragmenta poetarum latinorum tistica, U rbino 1950; edizione riveduta,
intraducibile essere recepito, quanto modificare ciò che, come si dice, è intraducibile: epicorum et lyricorum praeter Ennium et Urbino 1986; altre preziose analisi si
o per limiti del mezzo linguistico, o per differenza di cultura e mentalità. Lucilium , Leipzig 19272 (= 1963) e quelli trovano in A. T r a in a , Vortit barbare.
tragici da R ib b e c k (cfr. p. 25). L e traduzioni poetiche da Livio A n d ro ­
Omero parla di un eroe «pari agli dei», ma questa nozione non è accettabile Fondam entale lo studio, con edizio­ nico a Cicerone, Rom a 19742, p. 11
alla mentalità romana: e Andronico varia, senza perdere in solennità, e tra- ne dei fram m enti epici, di S. M a r io t - segg.
TRA MITO E STORIA 31

Tra mito e storia

NEVIO Se Livio Andronico è in assoluto la prima figura di letterato latino,


L’impegno di
Nevio il campano Nevio è il primo letterato latino di nazionalità romana, e ci
appare anche (se le tradizioni biografiche e certi suoi frammenti non ingan­
nano) come il primo letterato romano vivacemente inserito nelle vicende con­
temporanee, partecipe di eventi storici e politici sia per esperienza personale
che per scelta letteraria. Nevio è anche, in tutta l’epoca medio-repubblicana,
il solo letterato romano che prenda parte autonoma e attiva alle contese
politiche; anche se la storia del suo esilio è di incerta consistenza.
Il forte impegno di Nevio nella vita politica di Roma traspare dai carat­
Vita Gneo Nevio, cittadino romano di origine campana, combattè nella prima guerra
teri originali della sua opera: il Bellum Poenicum è il primo testo epico
punica (264-241), probabilmente negli ultimi anni di guerra. Sembra che fosse
latino che abbia un tema romano (in questo senso, Nevio è un capofila
un plebeo di nascita, e questo sarebbe una rarità: non sono molti nella Roma
arcaica i letterati romani di origine plebea. La sua biografia reca tracce di polemi­ quanto Andronico); Romulus e Clastidium sono i primi titoli a noi noti
che anti-nobiliari, e non abbiamo indizi che si appoggiasse a protettori aristocrati­ di praetextae, tragedie di argomento romano (cfr. p. 26). Il Romulus tratta­
ci (come Andronico con Livio Salinatore, Ennio con Fulvio Nobiliore e con gli va la drammatica storia della fondazione di Roma: uno dei personaggi in
Scipioni, Terenzio con gli Scipioni, Pacuvio con Lucio Emilio Paolo). Si racconta scena doveva essere il tiranno Amulio. Il Clastidium, a giudicare dal titolo,
che attaccasse in poesia la potente famiglia nobiliare dei Metelli, che gli risposero doveva essere una celebrazione della vittoria di Casteggio contro i Galli In­
minacciosamente; si sospetta anche che fosse incarcerato per certe allusioni con­ subri (222 a.C.); il vincitore, Marco Claudio Marcello, morì nel 208, ma
tenute nei suoi drammi (vedi sotto). Morì, forse in esilio, a Utica (in Africa) nel non sappiamo quando esattamente la tragedia sia stata composta: un argo­
204 o nel 201, lasciando una diffusa fama letteraria. La data di morte è incerta: mento così vicino nel tempo è comunque una grossa novità.
molti pensano, con buone ragioni, al primo decennio del II secolo. Il Bellum Poenicum ha caratteri di originalità così marcati da rendere
Il racconto
«mitico» delle particolarmente spiacevole la sua perdita. La scelta di un tema storico quasi
origini di Roma contemporaneo non esaurisce la novità dell’opera. Infatti Nevio non si limi­
Opere Numerose tragedie (fra cui almeno due praetextae, il Romulus e il Clasti-
dium) e commedie. Un suo testo fu rappresentato già nel 235 a.C. Delle tragedie tava a trattare in poesia la prima guerra punica, nel momento in cui Roma
di argomento greco ci restano sette titoli e una cinquantina di frammenti per affrontava nuovamente la tremenda minaccia cartaginese; il suo racconto,
una settantina di versi; del Romulus e del Clastidium abbiamo in tutto due con un salto temporale arditissimo, affondava nella preistoria di Roma. Sap­
brevissimi frammenti. Delle commedie conosciamo invece ventotto titoli e posse­ piamo con sicurezza dai frammenti che Nevio narrava con una certa ampiez­
diamo un’ottantina di frammenti per un totale di 125 versi circa (non pochi za (circa un libro) la leggenda di Enea, l’eroe che porta i Penati da Troia
incompleti). nel Lazio e dà inizio, molte generazioni prima di Romolo, alla stirpe roma­
La sua opera principale è il Bellum Poenicum (La guerra punica), in saturni. na. Abbiamo quindi, in Nevio, uno strato per così dire «omerico»: la fonda­
Relativamente breve in omaggio alla poetica ellenistica, il poema doveva conte­ zione di Roma si ricollegava alla caduta di Troia, e i viaggi per mare di
nere 4000/5000 versi: ne restano appena una sessantina, trasmessi prevalente­
mente da grammatici. L’opera non aveva divisioni in libri, ma fu poi ripartita in
Enea erano in qualche modo paralleli alle peregrinazioni di Odisseo. In que­
sette libri da un contemporaneo di Accio, il grammatico Lampadione. Il poema sta fase Nevio doveva dare notevole spazio all’intervento divino: gli dei del­
narrava la storia di Enea che da Troia giunge nel Lazio e, nella sua parte princi­ l’Olimpo erano importantissimi nell’epica omerica, ma ora — nel nuovo
pale, la storia della prima guerra punica, che Nevio aveva vissuto (il problema poema nazionale romano — il tradizionale apparato divino assumeva, per
del collegamento narrativo tra queste due sezioni è difficile da risolvere sulla così dire, anche una missione storica, e sanzionava, attraverso grandiosi con­
base dei frammenti che abbiamo). flitti, la fondazione di Roma. Questa ardita saldatura tra mito e storia na­
Composto negli anni della guèrra annibalica (cioè dopo il 218), il poema ave­ zionale innestava l’ascesa di Roma in una specie di visuale cosmica, natural­
va un contenuto di grande attualità per il pubblico romano. mente nutrita di cultura greca.
Roma e Ma il poema aveva anche, come sua struttura portante, uno strato stori­
Fonti
Cartagine co, il racconto della guerra contro Cartagine. Purtroppo non sappiamo con
Notizie occasionali su Nevio ci vengono soprattutto da Cicerone e S. Girola­
mo. Un indizio di grande interesse è suggerito da un’allusione di Plauto: nel Miles
sicurezza come questi due strati fossero connessi. Sicuro è che non c’era
glorìosus (210 segg.) si parla di un poeta incarcerato e costretto al silenzio: se­ nessun tipo di narrazione continua; mito di fondazione e storia contempora­
condo alcuni potrebbe trattarsi di Nevio. La combinazione non è affatto sicura. nea si affrontavano a blocchi distinti. Può darsi persino che Nevio trovasse
In ogni caso, di controversa autenticità è la notizia degli attacchi di Nevio modo di inserire tra i viaggi di Enea anche un incontro con Didone: in
contro il potente clan dei Metelli (Gellio 3,3,15, cfr. Cicerone In Verrem 1,10, tal modo un grande arco di tensione drammatica avrebbe saldato i destini
29) e della sua incarcerazione. Da quello che conosciamo della sua personalità, dei due popoli (se così fosse, Nevio sarebbe molto più vicino all’Eneide di
è possibile che Nevio nella sua opera fornisse notizie autobiografiche: ma i fram­ quanto lo siano gli Annales di Ennio).
menti rimasti non offrono nulla in questa prospettiva.
32 NEVIO
TRA MITO E STORIA 33
Nevio e i modelli È giusto insistere sull’ispirazione nazionale del poema, e sull’originalità
greci della struttura, ma non per questo conviene staccare troppo Nevio dalla opere poetiche. Realtà non ancora cantate in poesia trovano uno stile nuo­
tradizione letteraria greca, farne quasi un contraltare del «traduttore» An­ vo, a volte monumentale, ma quasi sempre segnato da una ricerca formale:
dronico. Nevio deve essere stato un profondo conoscitore di poesia greca,
e anche la sua Campania, come la Taranto di Andronico, era zona di lingua onerariae onustae stabant in flustris
e cultura ellenica. Il Bellum Poenicum presuppone Omero, e presuppone
anche la tradizione ellenistica del poema storico-celebrativo, in cui si canta­ («cariche le navi stavano all’ancora sul mare lungo»): il linguaggio è sempli­
va secondo il codice omerico qualche vicenda storica di interesse contempo­ ce, concreto, e l’ordine delle parole lineare: ma il primo «mezzo verso» è
raneo. L’idea di intrecciare una storia di viaggi e una storia di guerra (il collegato dall’etimologia e dall’assonanza, e nel secondo l’immobilità delle
viaggio di Enea, la guerra romano-cartaginese) sembra indicare un «incro­ pesanti navi contrasta elegantemente col moto ondoso. Nevio introduce in
cio» fra Iliade (la guerra di Troia) e Odissea (i viaggi di un eroe): è interes­ poesia numerosi termini tecnici (qui flustra è del linguaggio marinaresco)
sante notare che il più grande poeta epico del III secolo, Apollonio Rodio, e non rifugge anche da vocaboli prosaici, che la poesia classica scarterà.
aveva, non diversamente, combinato i modelli dei due testi omerici nelle Il Bellum Nel complesso, il Bellum Poenicum appare come un’opera di forte spe­
sue Argonautiche. Poenicum opera rimentalismo, in cui forse le diverse componenti stilistiche non trovavano
Lo stile: Anche certi aspetti di stile rivelano in Nevio un’originale mescolanza «sperimentale» uno stabile equilibrio. Dopo il tramonto del saturnio, la fama del poema
a) le figure di di cultura poetica ellenistica e ispirazione nazionale. Gli scarsi frammenti sarà sempre più oscurata dagli Annales di Ennio. Linguisticamente obsoleto,
suono bastano a documentare notevoli varietà di tono e di impasto lessicale. Una Nevio epico avrà tuttavia un suo preciso influsso nell’ispirazione dell 'Enei­
caratteristica di tutta la lingua poetica arcaica è l’importanza delle figure de, e mantiene a lungo il suo prestigio come esempio di poesia civile. Certi
di suono: ripetizioni, allitterazioni, assonanze tendono a formare la struttura suoi versi danno forma lapidaria all’ideologia più arcaica della repubblica
portante del verso — lo vediamo bene in ciò che resta dei carmina sacrali, romana: «essi preferiscono morire restando sul posto / che tornare macchia­
nei proverbi, nei frammenti di Andronico, e del resto anche nella prosa ti nell’onore dai loro concittadini»; «ma se dovessero abbandonare quei co­
più antica. In particolare, il saturnio, questo verso dalla struttura così «de­ raggiosissimi soldati, / ecco una grande macchia sul nostro popolo, di fron­
bole» (e così irregolare per i letterati romani a partire da Ennio), trovava te alle nazioni del mondo». Quell’ideologia eroica che nella storia di Roma
una sua armatura formale proprio nelle ripetizioni foniche. Nevio approfon­ verrà spesso rievocata, anche in forma distorta o insincera, trova nell’opera
disce l’uso artistico di questa risorsa formale. Si pensi a un saturnio come di Nevio una delle espressioni più autentiche.
Le cothurnatae di Oltre alle praetextae, Nevio compose anche tragedie mitologiche, di cui
superbiter contemptim conterit legiones Nevio parecchie legate al ciclo troiano prediletto anche da Andronico (forse la dif­
fusione della leggenda di Enea nel Lazio incoraggiava la fortuna di questi
(«con superbia, con sprezzo, schiaccia le legioni»), ritratto di un comandan­ temi). Due titoli, Equos Troianus e Danae, ricorrevano appunto già in Li­
te aristocratico che tormenta i suoi umili fanti: l’asprezza del comportamen­ vio; al ciclo troiano si riallacciavano anche YHector proficiscens (Ettore che
to — e del giudizio di Nevio — trova piena espressione nel richiamo allitte- parte per l’ultimo duello con Achille) e VIphigema. Ci rimangono inoltre
rante contemptim/conterit. frammenti di una tragedia storicamente piuttosto significativa, il Lycurgus:
b) il confronto La sperimentazione di un nuovo linguaggio poetico si sviluppò in due il mito trattava del culto di Dioniso, che stava prendendo piede anche a
con il linguaggio direzioni principali (che naturalmente potevano anche combinarsi tra loro). Roma, specie negli strati popolari.
epico greco La sezione «mitica» del poema imponeva a Nevio la «sfida» del linguaggio Nevio comico e Di gran lunga più importante sembrerebbe la produzione comica, che
la nascita della fa di Nevio il più notevole predecessore di Plauto, e che suggerisce un talen­
poetico greco, con la sua inesauribile riserva di epiteti preziosi. Ecco un
togata to letterario estremamente versatile: i grandi comici del II secolo non prati­
frammento come
carono generi «seri», e le commedie di Ennio hanno lasciato poca traccia.
deinde pollens sagittis inclutus arquitenens Tra i testi comici neviani (di cui restano titoli greci e latini, come Colax,
sanctus love prognatus Pythius Apollo «L’adulatore» — da Menandro — Guminàsticus = Gymnasticus, «Il mae­
stro di ginnastica», Dolus, «L’inganno», Corollaria, «La commedia delle
(«e poi, potente di frecce, l’inclito arciere, puro rampollo di Giove, il Pizio ghirlande», ecc.) si distingue la Tarentilla (La ragazza di Taranto), di cui
Apollo»), dove Nevio supera addirittura la ricchezza lessicale e formulare abbiamo un frammento assai vivace, il ritratto di una ragazza civettona.
della dizione omerica, sperimentando nuovi composti (arquitenens) e nuove Dai frammenti si ricava l’impressione di una colorita inventiva verbale,
che preannuncia Plauto. Sembra che Nevio componesse palliate da modelli
combinazioni sintattiche {pollens sagittis) per rispondere alla ricchezza di
epiteti composti della poesia greca, senza mai però darne una riproduzione greci, perché Terenzio in un suo prologo (cfr. p. 82) segnala che già Nevio
meccanica, «a calco». usava «contaminare» i modelli; ma qualche titolo potrebbe benissimo indi­
c) creazione di La sezione «storica» del poema poneva problemi. altrettanto cruciali, care opere di ambiente romano, sul genere della «togata». La fortuna di
un linguaggio anche se di natura diversa. Nevio adatta il suo stile poetico a una lunga Plauto e Terenzio arrivò ben presto a eclissare il teatro comico neviano.
«storiografico» narrazione continua, il cui modello sarà stato più nella storiografia che in È praticamente certo che il teatro di Nevio fosse più «impegnato» di
quello del secolo successivo. La sua opera conteneva attacchi personali a
34 NEVIO

personaggi politici: un fenomeno che ricorda la commedia ateniese dei tempi


di Aristofane, e che avrà esistenza effimera: lo stesso Nevio pagò il suo PLAUTO
anticonformismo, e il teatro comico latino restò fortemente emarginato dal­
la vita politica di Roma (cfr. p. 109 seg.).

Bibliografia I frammenti epici sono editi da Mo- latino, Padova 1962. I due migliori sag­
rel e quelli scenici da R ib b e c k (cfr. gi introduttivi sono la già citata opera
p. 25). di M. B a r c h ie s i e S. M a r io t t i , Il «Bel­
Per il Bellum Poenicum fondam en­ lum Poenicum » e l ’arte di Nevio, Rom a
tale l’edizione, con commento, storia della 1955.
fortuna, analisi metriche, di M. B a r c h ie - Sui frammenti comici, l’unico studio Vita Il nome del poeta (almeno nella sua forma completa) è fra i dati incerti. Gli
si , Nevio epico. Storia interpretazione edi­ di un certo respiro è M . B a r c h ie s i , L a antichi lo citano comunemente come Plautus, la forma romanizzata di un cogno­
zione critica dei fram m enti del prim o epos «Tarentilla» rivisitata, Pisa 1978. me umbro Plotus (significato originario dubbio: «dalle grandi orecchie» o «dai pie­
di piatti»), e almeno questo elemento di identificazione è sicuro. Nelle edizioni
moderne fino all’Ottocento figura il nome completo M. (abbreviazione del preno­
me Marcus) Accius (scritto anche Attius) Plautus. Questa forma è di per sé so­
spetta alla luce di considerazioni storiche: i tria nomina — cioè l’identificazione
di una persona per prenome (esempio Marco), nome gentilizio (esempio Tullio)
e cognome (esempio Cicerone) — si usano per chi è dotato di cittadinanza roma­
na, e non sappiamo se Plauto l’abbia mai avuta. Un antichissimo codice di Plauto
(il Palinsesto Ambrosiano, rinvenuto ai primi dell’800 dal cardinale Angelo Mai)
portò migliore luce sulla questione. Il nome completo del poeta tramandato nel
Palinsesto si presenta nella più attendibile versione Titus (abbreviato T.) Maccius
Plautus; da Maccius, per errore di divisione delle lettere, era uscito fuori il tradi­
zionale M. Accius (che sembrava credibile anche per influsso di L. Accius, il no­
me del celebre tragediografo). D’altra parte, il nome Maccius si presta a interes­
santi deduzioni. Non si tratta certo di un vero nome gentilizio (come, poniamo,
Aemilius o lulius): e del resto non c’è ragione che Plauto ne portasse uno; si
tratta invece di una derivazione da Maccus, il nome di un personaggio tipico
della farsa popolare italica, I’atellana (su cui cfr. pp. 24 e 111). Questa originale
derivazione deve avere un legame con la personalità e l’attività di Plauto. Influssi
dell’atellana in Plauto sono stati notati sin dai tempi di Orazio. È dunque verosi­
mile e attraente ipotesi che il poeta teatrale umbro Titus Plotus, o Plautus, si
fosse dotato, a Roma, di un nome di battaglia che alludeva chiaramente al mon­
do della scena comica, e quindi conservasse nei «tre nomi» canonici la traccia
libera e irregolare del suo mestiere di «commediante».
Varie fonti antiche chiariscono che Plauto era nativo di Sàrsina, cittadina
appenninica deN’Umbria (oggi in Romagna): il dato è confermato da un bisticcio
allusivo in Mostellaria 769-70. Plauto, come del resto quasi tutti i letterati latini
di età repubblicana su cui abbiamo notizia, non era dunque di origine romana:
non apparteneva però (diversamente da Livio Andronico ed Ennio) a un’area cul­
turale italica già pienamente grecizzata. Si noti anche che Plauto era con certez­
za un cittadino libero, non uno schiavo o un liberto: la notizia che svolgesse
lavori servili presso un mulino è un’invenzione biografica, basata su un’assimila­
zione tra Plauto e i servi bricconi delle sue commedie, che spesso vengono mi­
nacciati di questa destinazione.
La data di morte, il 184 a.C., è sicura; la data di nascita si ricava indiretta­
mente da una notizia di Cicerone (Cato maior 14,50), secondo cui Plauto scrisse
da senex la sua commedia Pseudolus. Lo Pseudolus risulta rappresentato nel
191, e la senectus per i Romani cominciava a 60 anni. Probabile quindi una
nascita fra 255 e 250 a.C. Le notizie che fissano la «fioritura» letteraria del poeta
intorno al 200 quadrano bene con queste indicazioni. Dobbiamo immaginarci un’at-
36 PLAUTO TIPOLOGIA DEGLI INTRECCI E DEI PERSONAGGI 37

tività letteraria compresa tra il periodo della seconda guerra punica (218-201) opportuno, anche se può suggerire una prima impressione assai parziale e
e gli ultimi anni di vita del poeta: la Casina allude chiaramente alla repressione anche fuorviante. Per unanime riconoscimento, la grande forza di Plauto
dei Baccanali nel 186.
sta nel comico che nasce dalle singole situazioni, prese a sé una dopo l’altra,
e dalla creatività verbale che ogni nuova situazione sa sprigionare. Ma solo
Opere e fo n ti Plauto fu autore di enorme successo, immediato e postumo, e di grande una lettura diretta può restituire un’impressione adeguata di tutto ciò: e
prolificità. Inoltre il mondo della scena, per sua natura, conosce rifacimenti, inter­ se l’arte comica di Plauto sfugge per sua natura a formule troppo chiuse,
polazioni, opere spurie. Sembra che nel corso del II secolo circolassero qualcosa una maggiore sistematicità nasce proprio dalla considerazione degli intrecci,
come centotrenta commedie legate al nome di Plauto: non sappiamo quante fos­ nelle loro più elementari linee costruttive.
sero autentiche, ma la cosa era oggetto di viva discussione.
Nello stesso periodo, verso la metà del II secolo, cominciò un’attività che Amphitruo - Giove arriva a Tebe per conquistare la bella Alcmena. Il dio impersona
possiamo definire editoriale, e che ha grande importanza per il destino del testo A nfitrione, signore della città e m arito della dam a; aiutato dall’astuto Mercurio,
di Plauto. Di Plauto furono condotte vere «edizioni» ispirate ai criteri della filologia Giove approfitta dell’assenza di A nfitrione, che è in guerra, per entrare nel letto
alessandrina. Benefici effetti di questa attività si risentono nei manoscritti perve­ della moglie ignara. Mercurio intanto im persona Sosia, il servo di Anfitrione. Ma
nuti sino a noi: le commedie furono dotate di didascalie, di sigle dei personaggi; improvvisamente tornano a casa i due personaggi «doppiati»: dopo una brillante
serie di equivoci, A nfitrione si placa, onorato di aver avuto per rivale un dio.
i versi scenici di Plauto furono impaginati da competenti, in modo che ne fosse
La commedia occupa un posto particolare nel teatro di P lauto, perché è l’unica
riconoscibile la natura; e questo in un periodo che ancora aveva dirette e buone
a soggetto mitologico.
informazioni in materia.
La fase critica nella trasmissione del corpus dell’opera plautina fu segnata
Asinaria - M acchinazioni di un giovane per riscattare la sua bella, una cortigiana.
dall’intervento di Varrone, il quale, nel De comoediis Plautinis, ritagliò nell’impo­
L ’impresa ha successo, grazie all’aiuto di furbi servitori e anche (cosa assai rara
nente corpus un certo numero di commedie (ventuno, quelle giunte sino a noi) in questo tipo di intrecci) grazie alla complicità del padre dell’innam orato. Nasce
sulla cui autenticità c’era generale consenso: Amphitruo; Asinaria (Commedia de­ poi una rivalità am orosa tra padre e figlio che si risolve, secondo logica, con il
gli asini); Aulularia (Commedia della pentola); Captivi (I prigionieri); Curculio-, Càsi- prevalere finale del giovane.
na; Cistellaria (Commedia della cassetta); Epidicus; Bàcchides; Mostellaria (Com­
media del fantasma); Menaechmi; Miles gloriosus (Il soldato vantone); Mercator Aulularia - La pentola, che è piena d ’oro, è stata nascosta dal vecchio Euclione,
(Il mercante); Psèudolus; Poenulus (L’uomo di Cartagine); Persa (Il Persiano); Ru- che ha un terrore ossessivo di esserne derubato. T ra molte inutili ansie dell’avaro,
dens (La gómena); Stichus; Trinummus (Le tre monete); Truculentus; Vidularia (Com­ la pentola finisce davvero per sparire; sarà utilizzata dal giovane am oroso, con l’aiu­
media del bauletto). (Questo è l’ordine delle commedie nei codici, non quello di to dello schiavo, per ottenere le nozze con l’am ata, che è la figlia di Euclione.
composizione. L’ultima posizione della Vidularia la rese esposta a danneggiamen­
ti nel corso della trasmissione manoscritta: ne abbiamo infatti solo frammenti). Bàcchides - Il plurale del titolo designa due sorelle gemelle, entram be cortigiane.
Queste erano opere da Varrone accettate come totalmente e sicuramente L ’intrigo ha uno sviluppo complesso e un ritm o indiavolato: diciamo solo che la
genuine. Molte altre commedie — fra cui alcune che Varrone stesso riteneva norm ale situazione di «conquista» della donna viene qui non solo raddoppiata (si
plautine, ma che non aggregò al gruppo delle «ventuno» perché il giudizio era hanno naturalm ente due giovani innam orati, con duplice problem a finanziario, ecc.)
più oscillante — continuarono a essere rappresentate e lette in Roma antica. m a anche perturbata da equivoci sull’identità delle concupite.
Il modello di questa commedia era il Dis exapatòn (Il doppio inganno) di M enandro:
Noi ne abbiamo solo titoli, e brevissimi frammenti, citazioni di tradizione indiretta:
il recente ritrovam ento di parti dell’originale greco permette finalmente, almeno in
questi testi andarono perduti nella tarda antichità, fra III e IV secolo d.C., mentre un caso, un confronto diretto fra Plauto e i suoi modelli greci.
la scelta delle «ventuno» si perpetuava nella tradizione manoscritta, sino ad esse­
re integralmente recuperata nel periodo umanistico.
Captivi - Un vecchio h a perduto due figli: uno gli fu rapito ancora bam bino; l’altro,
La cronologia delle singole commedie ha qualche punto fermo: lo Stichus Filepolemo, è stato fatto prigioniero in guerra dagli Elei. Il vecchio si procura due
fu messo in scena la prima volta nel 200, lo Pseudolus nel 191, e la Casina, schiavi di guerra Elei, per tentare uno scambio: alla fine non solo ottiene indietro
come si è detto, presuppone avvenimenti del 186. Per il resto, alcune commedie Filepolemo, m a scopre che uno dei prigionieri Elei in sua m ano è addirittura l’altro
presentano allusioni storiche che hanno suggerito ipotesi di datazione troppo sot­ figlio, da tempo perduto.
tili e controverse per essere riprese qui. È molto difficile farsi un’idea di evoluzio­ La commedia si distingue in tu tto il panoram a plautino per la sm orzatura dei toni
ne della poetica plautina, che ci permetterebbe di considerare certe commedie comici e per gli spunti di um anità malinconica — si noterà subito che qui è assente,
più tarde di altre. Un’impressione ragionevole è, comunque, che le commedie eccezionalmente, qualsiasi intrigo a sfondo erotico. Per questo ha goduto di una sua
più ricche di ritmi variegati e ricercati siano più tarde di quelle più semplici nella autonom a fortuna, anche in periodi di svalutazione della «triviale» comicità plautina.
tessitura ritmica.
Càsina - U n vecchio e suo figlio desiderano una trovatella che hanno in casa; escogi­
tano perciò due tram e parallele: ognuno vuole farla sposare ad un proprio «uomo
di paglia». Il vecchio immorale (che naturalm ente è sposato) viene raggirato e trova
1. Tipologia degli intrecci e dei personaggi nel suo letto un maschio invece che l’agognata Casina. Casina, si scopre infine,
è una fanciulla di libera nascita, e può quindi regolarm ente sposare il suo giovane
pretendente.
Uno sguardo cursorio agli intrecci delle venti commedie pervenuteci in­
tegre (un complesso di più di 21.000 versi: la commedia più lunga è il Miles
Cistellaria - Un giovane vorrebbe sposare una fanciulla di nascita illegittima, mentre
gloriosus, con 1437 versi, la più breve il Curculio, con 729 versi) è senz’altro il padre gliene destina u n ’altra, di legittimi natali. Il caso vanifica poi ogni ostacolo,
TIPOLOGIA DEGLI INTRECCI E DEI PERSONAGGI 39

rivelando la vera e regolare identità della fanciulla desiderata, e perm ettendo giuste
nozze. soldi in più: la beffa è così ben riuscita che Ballione, senza sapere di aver già perso
la donna, si gioca una bella somm a che Pseudoio non po trà mai riuscire nel suo
intento!
Curculio - (Il «gorgoglione» è un vorace insetto, parassita del grano, nome calzante
per un parassita). Curculio è parassita di un giovane innam orato di un a cortigiana;
per aiutarlo inscena un raggiro a spese sia del lenone che detiene la ragazza, sia Rudens - U na rudens è una gómena, attrezzo che è naturale trovare in una comme­
dia am bientata sulla spiaggia. In un curioso prologo, la stella A rturo preannuncia
di un soldato sbruffone, chiam ato Terapontigono, che ha già messo in atto l’acqui­
sto della medesima. Alla fine si scopre che la cortigiana è, in realtà, di nascita libera, il naufragio di un cattivo soggetto, il lenone Labrace. Labrace porta con sé indebita­
mente una fanciulla di liberi natali. Il Caso vuole che la tem pesta scarichi i naufraghi
e può quindi sposare il giovanotto. Il lenone ci rimette i soldi; Terapontigono, inve­
su una spiaggia in cui si trovano e il padre della fanciulla rapita e il suo innam orato.
ce, non ha lagnanze: la ragazza, si è scoperto, è addirittura sua sorella.
T utto si accom oda con danno del malvagio, e una cassetta (ripescata grazie alla
gómena del titolo) risulta decisiva nel riconoscimento finale.
Epìdicus - U na classica «commedia del servo», a ritm o incalzante. L ’insaziabile serie
di macchinazioni attuata dal servo Epidico è messa in m oto da un giovane padrone
Stichus - Questa tram a ha sviluppo insolitamente modesto, e debole tensione. Un
assai inquieto: egli si innam ora successivamente di due differenti ragazze, quindi
uomo ha due figlie, sposate con due giovani da tem po in viaggio per affari: vorrebbe
con duplice richiesta di denaro, duplice «stangata» al vecchio padre, e comprensibili
spingerle al divorzio, m a l’arrivo dei m ariti risolve la questione, tra prolungati fe­
difficoltà. Q uando Epidico sta orm ai soffocando nelle sue reti, un riconoscimento
steggiamenti.
salva la situazione: una delle due ragazze am ate altri non è che la sorella dell’inna­
m orato. Rimane disponibile l’altra, e finalmente si salda una stabile coppia di inna­
m orati. Trinummus - Un giovane scialacquatore, che in assenza del padre s’è quasi rovinato,
viene salvato, tram ite un benevolo raggiro, da un vecchio amico di suo padre. L ’in­
treccio e la tonalità sono molto più edificanti del solito, con punte che, per una
Menaechmi - Il fortunato prototipo di tutte le «commedie degli equivoci». Menecmo
volta, fanno pensare all’um anità terenziana.
ha un fratello, Menecmo, in tutto identico a lui. I due non si conoscono perché
separati fin dalla nascita; quando sono orm ai adulti, l’uno giunge nella città dell’al­
tro e, ignaro dell’equivoca somiglianza, scatena un a terrificante confusione. La com­ Truculentus - U na volta tanto, abbiam o qui una cortigiana che non è elemento passi­
media è tu tta nel viluppo degli scambi di persona, fino alla reciproca sim ultanea vo e posta in palio nell’azione: Fronesio è una creatrice di inganni, che sfrutta e
agnizione finale. raggira i suoi tre am anti. Lo spostam ento dei ruoli tradizionali fa sì che la protagoni­
sta sia tratteggiata in m odo più fosco che la m edia dei «cattivi» plautini: quasi che
ci sia della malizia in più, a fare i cattivi «fuori ruolo». È certamente un esperimento
Mercator - Su uno schema assai affine alla Casina, vediamo affrontarsi in rivalità
isolato, che tenta di allargare il già lungo repertorio dei successi: non a caso viene
am orosa un giovane (il m ercante del titolo) e il suo anziano padre. D opo una serie
datata al periodo più tardo.
di mosse e controm osse, il giovane sconfiggerà le mire del vecchio, che ha fra l’altro
una moglie battagliera, e si terrà la cortigiana che ama.
Prevedibilità degli U n’osservazione d’insieme deve anzitutto accettare, come dato di fon-
Miles gloriosus - La commedia, considerata uno dei capolavori di Plauto, mette, intrecci do, la fortissima prevedibilità degli intrecci e dei «tipi umani» incarnati dai
in scena un servo arguto, Palestrione, e un comicissimo soldato fanfarone, Pirgopo- personaggi. È chiaro che Plauto desidera proprio questa prevedibilità: non
linice. Lo schema di fondo è quello abituale — un giovane si affida al servo per vuole porre interrogativi problematici sul carattere dei suoi personaggi, né
sottrarre a qualcuno la disponibilità della ragazza am ata — m a l’esecuzione prevede
un gran num ero di brillanti variazioni.
ha particolare interesse per l’etica o la psicologia. Come se non bastasse,
Plauto tende anche a usare dei prologhi espositivi che forniscono informa­
Mostellaria - C ’è un fantasm a nella casa del vecchio Teopropide? Lo fa credere zioni essenziali allo sviluppo della trama, a spese di qualsiasi sorpresa o
il diabolico servo Tranione, per coprire in qualche modo gli am orazzi del giovane colpo di scena (sulla questione dei prologhi cfr. anche p. 81 seg., a proposi­
padrone. L ’inganno è divertente m a non può reggere a lungo: grazie all’intercessione to di Terenzio).
di un amico, la vicenda si chiude su un perdono generale al giovane debosciato I tipi Abbiamo visto scorrendo gli intrecci che i personaggi in azione si posso­
e al servo.
no ridurre a un numero limitato di «tipi», che riservano in genere poche
sorprese: il servo astuto, il vecchio, il giovane amatore, il lenone, il parassi­
Persa - A ncora una beffa ai danni di un lenone, solo che questa volta l’innam orato
è lui stesso un servo: non m anca però un altro servo con funzione di aiutante. L ’in­
ta, il soldato vantone. Questi «tipi» sono inquadrati fin dai prologhi (dove
ganno, che ha successo, prevede una buffa m ascherata, in cui il servo-coadiuvante infatti si insiste non sui loro nomi propri, ma sui termini tipologici: senex,
impersona un improbabile Persiano. adulescens, ecc.), e il pubblico ha così fin dall’inizio una traccia su cui far
scorrere la propria comprensione degli eventi scenici.
Poenulus - Qui il personaggio del titolo è sul serio uno straniero, un Cartaginese: Ma, mentre l’uso di personaggi tipici è una risorsa molto frequente nella
l’azione, come al solito, è in Grecia. Assistiamo alle complicate vicende di una fam i­ drammaturgia, ancora più caratteristica di Plauto è la prevedibilità degli
glia di origine cartaginese, con riconoscimento finale e riunione degli innam orati
(i quali risultano essere fra loro cugini): il tu tto a spese di un lenone.
intrecci. Praticamente tutte le pièces che abbiamo riassunto si possono ridur­
re a una lotta fra due antagonisti per il possesso di un «bene»: generalmente
Pseudolus - Insieme al M iles, è tra i culmini del teatro plautino. Lo schiavo del una donna e/o (l’equivalenza, a suo modo, è indicativa) una somma di de­
titolo è veramente una miniera di inganni, il campione dei servi furbi di Plauto. naro necessaria per accaparrarsela; più raramente, dei soldi e nient’altro.
Pseudoio riesce a spennare il suo avversario Ballione ■— un lenone di eccezionale La lotta si decide, naturalmente, con il successo di una parte e il danneggia­
efficacia scenica — portandogli via la ragazza am ata dal padroncino e anche dei mento di un’altra.
40 PLAUTO I MODELLI GRECI 41

È buona norma che vincitore sia il giovane, e che il perdente abbia Tyche che è regina incontrastata nel teatro ellenistico. La presenza della
in sé le giustificazioni del suo essere pèrdente (è un vecchio, un uomo sposa­ Fortuna ha un grande valore stabilizzante. Il servo ha bisogno di un alleato,
to, o un lenone, un ricco trafficante di schiave): così, la vittoria finale di e anche, in fondo, di un antagonista alla sua altezza: altrimenti, certe volte,
una parte sull’altra trova piena rispondenza nei codici culturali che il pubbli­ rischierebbe di dominare sino in fondo la tram a come se manovrasse un
co già possiede, «saturandone» le aspettative legittime. teatrino meccanico. E la trama comica ha spesso bisogno di uno scatto irra­
La «commedia Adottando questo semplicissimo schema generativo — che deriva, come zionale, di un quoziente imprevedibile. Ma non è solo questo il valore della
del servo» vedremo tra breve, dalle convenzioni della Commedia Nuova — Plauto è Fortuna nel sistema del teatro plautino.
poi libero di puntare il suo prevalente interesse su certe particolari forme La commedia del Accanto (e insieme: vedremo subito che non c’è mutua esclusione tra
dell’intreccio (che, di quello schema, sono realizzazioni fra tante altre, ma riconoscimento i due tipi) alla «commedia del servo», Plauto afferma un’altra sua preferen­
preferite alle altre possibili). La forma di gran lunga preferita — e senza za importante: sono commedie che ruotano tutte su un riconoscimento, un’i­
dubbio la più divertente! — è quella che si è definita spesso «commedia dentità prima nascosta, o mentita, o casualmente perduta, e poi, fortunosa­
del servo». La ricetta sta in questo: Fazione di conquista del «bene» messo mente, rivelata a tutti. Queste commedie possono passare per una lunga
in gioco è delegata dal giovane (colui che desidera la posta in palio) ad fase di errori e confusioni di persona — si parla allora propriamente (è
un servo ingegnoso; progressivamente, però, i suoi servi crescono di statura il caso dei Menaechmi) di «commedia degli equivoci» — oppure, assai spes­
intellettuale e di libertà fantastica: creano inganni e persino li teorizzano. so, il problema dell’identità salta fuori solo nel finale: ma tutte hanno in
Al centro dell’azione sta nelle opere più mature un vero demiurgo: un artista comune lo scatto fortunoso dell’agnizione conclusiva, del riconoscimento
della frode, un poeta che sotto gli occhi di tutti sceneggia la vicenda: Epidi­ che scioglie ogni difficoltà. Cortigiane e schiave tornano donne libere; si
co nella commedia omonima, Crìsalo nelle Bàcchides, Palestrione nel Miles, scoprono figli, figlie, fratelli, sorelle; figli illegittimi diventano legittimi; le
e più ancora Psèudolo, il servo-poeta che si abbandona a un narcisistico trovatelle, poi, esistono solo per il «finale».
dialogo con il pubblico, o anche Tranione nella Mostellaria, che si distingue «Realtà iniziale» e In molte di queste commedie, quasi in tutte, c’è uno schiavo furbo al
Il servus per un illusionismo fulmineo e una sorta di gusto dell’assurdo. (Non a caso «realtà finale» lavoro: lavoro immorale, magari, ma svolto a fini in sé accettabili, e destina­
inventore sono questi i copioni da cui ha più imparato Molière). Ecco Pseudoio, ad to ad avere successo. Lo schiavo, da parte sua, opera su una realtà preesi­
dell’àzione esempio, rivendicare, in aperto colloquio con gli spettatori, il proprio ruolo stente, e il suo lavoro «sporco» è falsificare, confondere, cambiare connota­
scenica creativo: non sa su cosa, come cominciare a imbastire la nuova tela, ma ecco: ti. Il contrasto fra messinscena e realtà non può durare per sempre, anche
se è divertente: e qui appunto entra in gioco la Fortuna. Grazie alla Fortuna
«come il poeta, quando ha preso le sue tavolette, cerca qualcosa che non c’è, in scopriamo che esiste una realtà per così dire più autentica e sincera della
nessun luogo, eppure lui la trova, e fa che sia credibile ciò che è menzogna — io realtà «iniziale» — quella su cui, certo poco moralmente, lo schiavo operava
ora mi farò poeta: le venti mine, che ora non esistono in alcun luogo, pure io le
troverò» (v. 401 segg.). i suoi trucchi. La realtà iniziale, dopotutto, non era molto più vera e stabile
delle frodi di Epidico e Gorgoglione.
«Commedie della Tyche» e «commedie del servo» trovano così un inte­
e poco più avanti:
ressante centro di equilibrio, e questi due filoni, i preferiti da Plauto, si
saldano in una visione del mondo che ha inesauribili potenziali di comicità.
«sospetto che ora voi state sospettando che io prom etto queste grandi imprese così,
per divertirvi e far passare la commedia, e che non realizzerò quello che avevo prean­
nunciato. M a io non cambierò una virgola. Eppure, io di certo, a quanto ne so,
come farò a farcela, non lo so: tranne che avverrà. G uardate: chi entra in scena,
bisogna che sappia portare del nuovo, in nuovo m odo; se non è capace, faccia posto 2. I modelli greci
ad altri» (v. 562 segg.).

I numeri innumeri La grandezza comica di Plauto è per noi più facile da cogliere di un
La coppia «giovane desiderante - servo raggiratore» è quindi la più soli­ altro aspetto, che pure deve aver avuto enorme importanza qualitativa; la
da costante tematica del teatro di Plauto. Sono possibili peraltro numerose maestria ritmica, i numeri innumeri di Plauto («gl’infiniti metri», secondo
varianti occasionali, che però toccano solo alcune qualifiche esterne, non una definizione che Varrone e Gellio ci assicurano risalire a Plauto medesi­
la sostanza dell’intreccio: è ovvio che il raggiratore possa essere anche un mo: ma i moderni sono scettici al riguardo), sono parte integrante della
parassita (Curculio) o che anche il servo possa essere, per una volta, giovane sua arte, ma noi ne cogliamo solo una traccia inaridita. È questo un aspetto
amoroso della storia (come avviene nel Persa). Le invenzioni del servo si in cui Plauto si distacca nettamente dai suoi modelli greci: e anzi, proprio
possono moltiplicare per due (Epidicus, Miles) o per tre (Bàcchides), ma la predilezione di Plauto (senza dimenticare, ad esempio, il suo predecessore
lo schema continua a funzionare ottimamente. Ben definita è anche la scan­ Nevio) per le forme «cantate» — estranee alla struttura del modello teatrale
sione temporale, che prevede tre fasi distinte: il servo medita l’inganno, agi­ menandreo — è uno dei principali fattori che regolano il vertere, la ricrea­
sce, e alla fine trionfa. zione in latino dei modelli greci. «Riscrivere» il contenuto di una scena pas­
La commedia Per completare il nostro schematico quadro, manca un solo elemento, sando dal codice piano e prosaico dei trimetri greci alle fantasiose armonie
della Fortuna che però non è un personaggio: è una forza onnipresente, la Fortuna, la dei cantica è già, ovviamente, un’operazione di elevata autonomia artistica.
IL «LIRISMO COMICO» 43
42 PLAUTO

I modelli greci di Che cosa sappiamo realmente del rapporto tra palliata e modelli greci? La «distruzione» Guardando ai risultati, la trasformazione dei modelli dà quasi un’im­
Plauto Vediamo anzitutto le informazioni che Plauto stesso ci dettaglia. A differen­ del modello pressione distruttiva. Plauto ha lavorato con impressionante tenacia per assi­
za di autori successivi come Terenzio (cfr. p. 82), Plauto si preoccupa molto milare e i singoli modelli attici e tutto il loro codice formativo: convenzioni,
poco di comunicare il nome, ed eventualmente la paternità, della commedia modi di pensare, personaggi tipici, drammaturgia, espressività. Ma ha poi
greca su cui via via si è orientato. È chiaro che, ancora a differenza di lavorato con intensità a distruggere molte qualità fondamentali dei modelli
Terenzio, il suo teatro non presuppone un pubblico così ellenizzato da gu­ che si era scelto: coerenza drammatica, sviluppo psicologico, realismo lin­
stare minutamente il riferimento a certi famosi modelli. I titoli di Plauto guistico, motivazione, caratterizzazione, serietà di analisi, senso della sfuma­
non sono quasi in nessun caso trasparenti traduzioni di titoli greci. Inoltre, tura e del limite. Proprio le qualità che determinano l’originalità e il valore
l’uso dei nomi degli schiavi come titolo (Pseudoio, Epidico) ha ben poco della Commedia Nuova. Il problema, come vedremo subito, è capire non
a che fare con la prassi greca: e già abbiamo visto quale originale preferenza solo in che modo, ma perché Plauto operò in questo senso.
guida Plauto in queste scelte.
Libertà dai Su alcuni modelli siamo abbastanza ben informati: Cistellaria, Stichus,
modelli Bàcchides si basano su tre commedie menandree; Rudens, Casina, Vidularia
dipendono da Difilo; il Poenulus da Alessi; VAsinaria riprende VOnagos 3. Il «lirismo comico»
(Asinaio) di un certo Demofilo. È assolutamente chiaro che Plauto, pur
attingendo soprattutto ai grandi maestri della commedia attica, non ha una
marcata preferenza per nessuno di essi, e ricorre anche, almeno occasional­ La perdita dei L ’apprezzamento obiettivo dell’arte plautina ha sempre posto gravi pro­
mente, ad autori non di primo piano. Ne deriva una conseguenza importan­ modelli greci blemi ai critici, e persino ai teorici della letteratura. Il confronto con i mo­
te: lo stile di Plauto è intrinsecamente vario e polifonico, ma varia piuttosto delli greci rappresenta, come si è visto, un importante e ineliminabile mezzo
poco da commedia a commedia, e accostando le varie sue opere la coerenza di giudizio e di analisi. È uno strumento prezioso, che però ha prodotto
di stile e maniera è pronunciata. Questa forte coerenza di stile si spieghereb­ gravi storture quando lo si è usato in modo esclusivo, senza integrazioni
be male se Plauto si lasciasse condizionare troppo dallo stile dei suoi molte­ e correttivi. Quando, come nel caso di Plauto, i modelli sono perduti, l’in­
plici modelli attici. Anche se di Menandro e Difilo abbiamo solo frammenti, terpretazione resta soggetta a un movimento circolare: dal testo di Plauto
è chiaro che Plauto non dipende dallo stile di nessuno di loro in modo ci si fa un’idea del modello, e su questa idea si misura poi il quid originale
dominante, e tanto meno ricalca «una ad una» le sue commedie sui modelli. che Plauto ha espresso nella sua trasformazione dell’originale greco. Il pun­
Originalità di D’altra parte, i tratti costanti e dominanti dello stile plautino hanno to più delicato di queste analisi è sempre nella formazione di questa «idea»
Plauto: in sé ben poco di attico. Queste costanti non riguardano l’intreccio delle di modello: molto spesso si lavora solo su incoerenze e difficoltà dell’azione
a) linguistica singole commedie — aspetto per cui Plauto aderiva più volentieri ai suoi drammatica, presupponendo che la linea delPoriginale greco si ritrovi, sem­
modelli — ma le attraversano tutte quante: e sono giochi di parole, bisticci, plicemente, sottraendo le difficoltà e attribuendole tutte à iniziative dell’imi­
metafore e similitudini, bizzarri paragoni mitologici, enigmi, doppi sensi, tatore romano. È chiaro che, altrettanto spesso, gli interpreti si fanno guida­
neologismi istantanei, allusioni scherzose alle istituzioni e al linguaggio mili­ re da un giudizio di valore e da un riduttivo e meccanico ideale di originalità.
tare di Roma. Questo compatto registro di stile è senza dubbio un’iniziativa Errate valutazioni In risposta a queste tendenze della critica «analitica» — in gran parte
originale di Plauto. sull’originalità di sviluppata nella filologia tedesca tra Ottocento e Novecento —■ si sono
b) strutturale Le trasformazioni sono meno profonde per quanto riguarda le linee Plauto volute contrapporre (soprattutto da parte italiana) formule ben più mecca­
generali dell'intreccio, ma sono pur sempre significative: a cominciare dalla niche e sbagliate: ad esempio identificando come «plautino» ogni aspetto
ristrutturazione metrica e dalla cancellazione della divisione in atti; per del testo di Plauto (forme, contenuti, stile, intreccio), accettando l’assioma
continuare con la completa trasformazione del sistema onomastico. Per che ogni opera d’arte sia unità irripetibile; oppure cercando l’originalità
quanto ne sappiamo, Plauto non dà quasi mai a un personaggio il nome e lo specifico dell’arte di Plauto in una non meglio precisata «comicità
che l’originale gli attribuiva; e, per di più, introduce un gran numero di italica» (spesso si è riproposta piattamente la formula oraziana dùVItalum
nomi di persona non attestati sulla scena attica. Inoltre, pochissimi nomi acetum). Sarebbe questo senso del comico, schietto e popolaresco, il princi­
riappaiono da commedia a commedia in PJauto stesso; è chiaro che Plauto pio di autenticità che rende Plauto un artista autonomo, ben distinto dai
voleva proporre un suo autonomo «stato civile»: nomi greci, ma non gli suoi modelli greci.
stessi dei modelli; e nomi sempre nuovi, non i nomi fissi che portavano Plauto e la critica Invece proprio la critica analitica — se usata con prudenza, e con senso
le «maschere» della farsa italica. Molte altre trasformazioni — nella tecnica analitica del limite — ha saputo rendere buoni servigi alla comprensione della poetica
e nelle convenzioni sceniche, per esempio — sono impossibili da seguire di Plauto. È sufficiente svincolare queste analisi dai pregiudizi estetici che
qui in dettaglio. spesso le hanno implicitamente guidate, per ottenere una comprensione mi­
Una recente scoperta — frammenti del Dis exapatòn di Menandro, che gliore dell’arte plautina: solo che si sappia restituire dignità e interesse auto­
per la prima volta mettono faccia a faccia estesi brani di Plauto con brani nomo a quegli aspetti che la critica analitica tende a scartare, trattandoli
corrispondenti del suo diretto modello — ci ha confermato quanto intensa come aggiunte estrinseche ed estemporanee sovrapposte alle pure linee del­
sia la rielaborazione cui Plauto sottopone le sue fonti. l’azione originale.
44 PLAUTO STRUTTURE DEGLI INTRECCI E RICEZIONE DEL TEATRO PLAUTINO 45

I «difetti» di Le analisi comparative dimostrano che Plauto trasforma i suoi modelli cui questo gioco (che potrebbe, al limite, dissolvere l’azione drammatica,
Plauto secondo tendenze e preferenze che possono, o no, piacere, ma che sono o renderla intellettualistica) viene sviluppato senza nette fratture. In realtà
in sé coerenti, orientate in un senso preciso. Plauto tende a trascurare la l’innamorato, o il vecchio signore, o il lenone, sono se stessi, ma possono
severa coerenza dell’azione drammatica e le sottili sfumature nel carattere anche partecipare della natura imprevedibile e ludica del servo, il personaggio-
dei personaggi. Ma non si deve ridurre il teatro a unità d’azione e psicolo­ chiave del comico plautino. Il comico originale di Plauto sta appunto nel
gia: Plauto, semplicemente, preferisce — e costruisce — un altro teatro. contatto fra la materia dell’intreccio — che Plauto riprende dai Greci, con
I «difetti» che la critica spesso riconosce a Plauto (mancanza di continuità maggiore o minore fedeltà — e l’aprirsi di «occasioni» in cui l’azione si
e.di coerenza drammatica, dispersività dell’azione, schematicità della psico­ fa libero gioco creativo, diventa «lirismo comico», secondo la felice formula
logia, convenzionalità dei sentimenti) sono piuttosto da inquadrare come di M. Barchiesi.
sacrifici: Plauto rinuncia a certe virtù dei suoi modelli greci per spostare
l’accento su altri interessi.
li personaggio Proprio la costruzione dei personaggi — un tipico «difetto» del teatro
del servo e il plautino — offre una chiave in questo senso. Fra tutti i personaggi della
«metateatro»
4. Le strutture degli intrecci e la ricezione del teatro plautino
Commedia Nuova Plauto ha chiaramente un suo favorito: è il servo, ribal­
do, amorale, creatore di inganni e risolutore di situazioni. Questa figura
tipica della commedia prende in Plauto uno spazio del tutto eccezionale. Gli intrecci Ciò non toglie che anche nelle strutture tipiche dell’intreccio — l’aspetto
È quasi sempre lo schiavo furbo a gestire lo sviluppo dell’intreccio; è lui plautini: in cui Plauto è più legato alle sue fonti — si possano cogliere delle intenzioni
il solo che, stando sulla scena, può controllare, influenzare, commentare a) rovesciamento autentiche e storicamente determinate. La preferenza per un certo schema
con ironia e lucidità lo sviluppo degli avvenimenti. Il servo, d ’altra parte, dei valori d’intreccio — sia pure riconducibile a modelli già formati — è comunque,
è una «figura tipica», non troppo individualizzata sul piano psicologico. di per sé, un indizio significativo. Abbiamo già visto quanto sia sostanzial­
Entra nell’azione, in genere, come creatore di inganni e quindi come fonte mente monotono il tracciato di fondo a cui si può ricondurre la speciosa
del comico: suo è il piano ingannatore che dovrà dare al giovane padrone e molteplice varietà dei singoli canovacci. Si è notato come quasi sempre
la fanciulla desiderata. la messa in gioco di un «bene» — che, sintomaticamente, può essere indivi­
La posizione del servo astuto, che regge le fila dell’intreccio, ne fa spes­ duato da una donna, e/o dalle somme di denaro necessarie a decretarne
so quasi un equivalente del poeta drammatico: come se il teatro plautino il possesso — si tramuta in una fase critica, dove possono vacillare valori
trovasse in questa figura uno spazio di rispecchiamento, un modo per gioca­ sociali e familiari di riconosciuta importanza: persone libere sono trattate
re con se stesso (è ciò che alcuni chiamano propriamente «metateatro»). come schiave, padri insidiano le donne desiderate dai figli, uomini sposati
Non a caso il servo è il personaggio che, più di ogni altro, gioca con le le pretendono da libertini a spese degli scapoli. In questa fase della struttura
parole: è un grande creatore di immagini, di metafore, di doppi sensi, di narrativa, le commedie minacciano una sovversione di tutto ciò che il pub­
allusioni, di battutacce, ed è quindi il più vero portavoce dell’originale crea­ blico accetta come normale e naturale; è normale che i figli scapoli corteggi­
tività verbale di Plauto. Pur essendo il personaggio socialmente più «debo­ no una donna, e che i vecchi stiano al loro posto; è necessario che chi è
le», sulla scena è lui la figura centrale e il punto di attrazione, per il pubbli­ libero non sia trattato da schiavo. (Nella società romana, è anche normale
co e per gli altri personaggi. È stato notato, infatti, che Plauto non solo e «naturale» che i figli siano fortemente vincolati all’autorità del capofami­
amplia per quanto possibile Io spazio del servitore, ma addirittura assimila glia. Qui possono nascere dei conflitti, in cui si scontrano valori e aspettati­
altri personaggi a questo ruolo e a questo livello: in Plauto, certi personaggi ve legittime: ad esempio quando un figlio tram a contro l’autorità paterna
che nella Commedia Nuova (o in Terenzio, ad esempio) godono di una certa mentre, al contempo, il padre utilizza il suo potere familiare ed economico
rispettabilità, vengono spesso attratti nella sfera di comicità tipica dello schia­ per un fine immorale, come nella Casina. La commedia plautina tratta que­
vo: vecchi e giovani padroni sono «giocati» dal servo, ma giocano anche sti conflitti entro il piano comico dell’intreccio, senza mai assumere diretta-
con se stessi, esattamente come è tipico del servo briccone. mente, come avverrà in Terenzio, un valore di riflessione critica e di rinno­
Distacco ironico Nei suoi momenti migliori, Plauto utilizza dunque gli intrecci dei suoi vamento delle mentalità tradizionale). Qualche volta la crisi rimescola e con­
dai modelli e modelli come materia, in sé già dotata di significato, ma disponibile a signi­ fonde valori ancora più generali e fondamentali, quali l’identità personale
«lirismo comico» ficati nuovi e imprevedibili. Certi innamorati, per esempio, dichiarano il — le «commedie degli equivoci» — e persino la distinzione fra uomini e
loro amore, secondo ragione (poca) e sentimento (molto): è il ruolo previsto dei (il caso, isolato in Plauto, dell’Amphitruo).
per essi dal canovaccio originale, dall’intreccio del modello greco; ma, men­ b) riassestamento Lo scioglimento tipico della commedia consiste in un «rimettere a posto
tre svolgono il ruolo previsto, gli innamorati imbastiscono variazioni su se dei valori le cose». La punizione del lenone, la sconfitta del vecchio libertino rincitrul-
stessi; «cantano», e si ascoltano cantare, con enfasi imprevedibile e pittore­ lito, o del soldataccio, la riunione della coppia di innamorati predestinata,
sca; interpretano il ruolo, e insieme ne sono i mattatori; si abbandonano lo scioglimento dell’equivoco, la ricostruzione della giusta identità persona­
spudoratamente a scintillanti variazioni verbali, e però, a tratti, sembrano le, non sono altro che diverse «esecuzioni» di questo schema obbligato. È
quasi scollati da se stessi, come se una sottile patina di distacco li rendesse chiaro che il pubblico trova in questo movimento dal disordine all’ordine
qua e là ironici e autoironici. Il miracolo di Plauto sta nell’equilibrio con un particolare piacere: tanto più che il quadro sociale e materiale messo
46 PLAUTO
FORTUNA DEL TEATRO PLAUTINO 47
in gioco dalla commedia — pur ripreso, senza profondi aggiustamenti, dalla
tradizione della scena ateniese del IV secolo — è perfettamente compati­ 5. Fortuna del teatro plautino
Lo «straniamento» bile con l’esperienza vissuta del pubblico romano. Al di là di dettagli esotici,
dell’azione che Plauto consapevolmente ripropone senza adattarli (sono convenzioni estre­
manti che hanno grande importanza in molti generi letterari e in particolare a) il Medioevo e Le «venti commedie» che risalivano alla scelta canonica di Varrone (ven­
nella letteratura di massa), il corpo dell’intreccio tocca problemi reali e quo­ il Rinascimento tuno, in realtà, ma l’ultima, la Vidularia, era caduta, e ricomparve solo
tidiani, quali la disponibilità delle donne e l’uso del denaro nella famiglia. in parte con la scoperta del Palinsesto Ambrosiano compiuta dal cardinale
Greci sono i nomi dei personaggi e dei luoghi, certe sfumature legali, certe Mai al principio dell’Ottocento) continuarono ad essere ricopiate per tutto
istituzioni politiche o allusioni storiche: e questi dettagli garantiscono che il Medioevo, ma la lettura diretta di Plauto rimase per tutto questo periodo
il genere comico ha sede «altrove», per consentirsi, grazie appunto a questo un fatto eccezionale. Dante e i suoi contemporanei, mentre grande fortuna
«altrove» spiazzante, solo occasionali e vivaci puntate anacronistiche verso ha Terenzio, ignorano i testi plautini. All’incirca a partire dalla generazione
la realtà romana. Ma questi dettagli punteggiano e coloriscono situazioni di Petrarca una parte delle commedie plautine — le prime otto, da Am phi­
in cui è facilissimo ambientarsi, senza un vero sforzo di traduzione e di truo a Epidicus — cominciano a conoscere una buona diffusione. A partire
relativizzazione. dal 1429 tornano però in circolazione presso gli umanisti italiani anche le
Amoralità del Così il pubblico romano partecipa molto concretamente al precipitare altre dodici commedie «varroniane». Comincia così il lavorio filologico sul
teatro plautino delle crisi e al comporsi finale di un ordine più ragionevole e rassicurante. testo di Plauto e, parallelamente, rinasce la passione per questo autore inte­
Nessuna pretesa insegnativa e moraleggiante governa però queste vicende sa come fatto squisitamente teatrale; cioè, da una parte ci si preoccupa di
tipiche. Basta a mostrarcelo, come già si accennava, il primato e il protago­ ristabilire un testo sempre più attendibile e corretto, e dall’altra si «rivivo­
nismo incontrastabile dello schiavo furbo: che è il motore della tram a e no» queste opere nella loro originaria destinazione scenica: sia attraverso
spesso anche del riordino finale. Questo personaggio centrale è davvero in­ rappresentazioni in latino, sia, sempre più, per rappresentazioni tradotte,
compatibile con la trasmissione di un serio «messaggio» morale o culturale. e soprattutto attraverso adattamenti. La commedia umanistica vive appunto
Egli è la fonte principale del divertimento e anche, guarda caso, il personag­ di adattamenti e libere trasformazioni dei modelli plautini: si sviluppa un
gio più fantastico del cast teatrale: il personaggio in cui meno di tutti il teatro in latino (ad esempio, la Chrysis di Enea Silvio Piccolomini) e poi,
pubblico può riconoscere un fondamento realistico e un’intonazione credi­ nel Cinquecento, un teatro italiano che vuole liberamente inserirsi nel codice
bilmente quotidiana; il personaggio, infine, che più spesso marca il distacco scenico costituito dalla palliata romana: non solo il teatro comico dell’Ario-
di Plauto dalla traccia dei suoi modelli. sto, ma anche un’opera di profonda originalità come la Mandragola del
Conformismo e L’azione di questo personaggio creativo e anti-realistico ci appare anco­ Machiavelli vanno comprese in questa tendenza, e devono molto all’assimi­
anticonformismo ra una volta come tratto caratterizzante della palliata plautina. Sotto l’india­ lazione del modello plautino.
sociale in Plauto volato movimento della tram a si avverte un difficile e sapiente senso d’equi­ b) l'età moderna Tra Cinquecento e Settecento, tra Ariosto e Goldoni, la fortuna di Plau­
librio, che è anche una chiave dell’irripetibile successo di Plauto. Orientata to è sempre intrecciata con lo sviluppo del teatro comico europeo: nomi
alla riconferma di un ordine e di una normalità sociale, la commedia plauti­ così diversi tra loro come Shakespeare, Calderón, Corneille, Molière, Ru-
na ha ben poco di sovversivo, e anche il protagonismo dello schiavo, natu­ zante, e Da Ponte (il grande librettista di Mozart), sono tutti collegati dalla
ralmente, non vuole in nessun modo discutere o corrodere i dogmi della traccia di una tradizione plautina, variamente rivissuta. Una figura-chiave
vita sociale; per converso, l’azione imprevedibile e amorale del servo inge­ del teatro plautino, il servo astuto con le sue macchinazioni, potrebbe servi­
gnoso porta nella trama un quoziente di disordine e di irriverenza che arriva re, ed è effettivamente servita, come spia per disegnare l’evoluzione della
quanto meno a «sospendere» la normalità irreggimentata della vita quotidia­ commedia e dell’opera buffa, dall’età dei primi umanisti fino aH’Illumini-
na. Il servo è per lo più colui che persegue un risultato legittimo — di fatto, smo e oltre. Anche nell’età moderna e contemporanea, le rappresentazioni
la soluzione che alla fine risulterà vincente e accettabile a tutti —; ma, al­ di Plauto continuano a essere una viva presenza scenica: è certamente, anche
trettanto spesso, fa questo con mezzi illegittimi e truffaldini. Da questa con­ oggi, il più rappresentato di tutti i poeti scenici latini.
traddizione di fondo (una prestabilita dissonanza tra fini e mezzi) nasce il Plauto e la A differenza di Terenzio, Plauto rimase invece per lunghissimo tempo
paradosso di un’arte che sfugge alle nostre tradizionali definizioni (di con­ scuola estraneo alla tradizione dell’insegnamento. Le ragioni di questa poca fortu­
formismo, di anticonformismo). Soprattutto, Plauto non propone, non vuo­ na scolastica sono molteplici: lingua, stile e metrica di Plauto risultano trop­
le proporre al suo pubblico, una chiara scelta tra realismo e finzione. I suoi po difficili, e richiedono particolari strumenti di comprensione; inoltre l’in­
personaggi sono così propensi a giocare con se stessi, e a mettere in forse segnamento normativo della grammatica e dello stile latino si basava su ben
la verisimiglianza della loro costruzione, da proibire al pubblico qualsiasi altri autori, come Cicerone o lo stesso Terenzio; per di più, i temi e le trame
stabile identificazione. Proprio in questo genere letterario che ha fondamenti delle commedie si prestavano male (con qualche eccezione, ad esempio i
quotidiani e realistici i Romani imparano da Plauto a riconoscere le inesau­ Captivi) a un insegnamento rivolto a fornire esempi di moralità e di serietà:
ribili ambiguità della finzione poetica. anche in questo senso, la fortuna di Terenzio è del tutto opposta ed è un’e­
loquente controprova.
Plauto e i teorici Plauto era destinato a incontrare notevoli difficoltà anche presso i teori­
della letteratura ci della letteratura, soprattutto quando, nel Seicento e Settecento europeo,
48 PLAUTO

l’ondata del Classicismo propone ben diversi modelli di comicità e di forma


teatrale. Una migliore comprensione dell’arte di Plauto poteva nascere solo CECILIO STAZIO
dalla ricerca di canoni artistici più liberi. Un forte impulso in questa direzio­
ne venne dalle ricerche del Lessing, autore teatrale tedesco del Settecento,
che recuperò nelle sue teorie estetiche i valori della comicità plautina. Di
qui in avanti, la rivalutazione di Plauto è sempre più completa, sia nella
ricerca di criteri estetici più appropriati, sia nell’approfondimento filologico
del testo, dovuto alle ricerche dei latinisti fra Ottocento e Novecento.

Vita Come Andronico e Terenzio, Cecilio Stazio era un libero di origine straniera.
Bibliografia Le due principali edizioni critiche di Plauto, M ozart, Rossini), Bologna 1979. Veniva, pare, da Milano, ed era perciò un Gallo Insubre; dato che l’acme della
tutto Plauto sono quelle di F. Leo, 2 Im portanti commenti a singole ope­ sua produzione si colloca intorno al 180, è verosimile che sia stato portato a
voli., Berlin 1895-96, e di W. M. Lind- re sono: A m phitruo di W . Β. S e d g w ic k Roma dopo la battaglia di Clastidium del 222. La data di nascita potrebbe essere
sa y , 2 voli., O xford 19102 (più volte ri­ Manchester 1950; Aulularia di C. Q u e tra il 230 e il 220; l’attività letteraria colloca Cecilio come contemporaneo, prima
stampata). st a , Milano 1972; Bàcchides di C . Q u e
di Plauto, e poi di Ennio. Di Ennio fu anche amico intimo; morì un anno dopo
Eccellenti introduzioni a P lauto so­ s t a , Firenze 1975 (II ed.; com prende
no quelle premesse da C . Q u esta alle edi­ nuovi frammenti del modello menandreo) di lui, nel 168, e i due poeti furono sepolti vicino.
zioni di singole commedie, con versione Captivi di W . M. L in d s a y , O xford 1930: La notizia che il giovane Terenzio leggesse al vecchio Cecilio la sua prima
italiana a fronte, nella «Biblioteca U ni­ (utilissimo); Casina di W. T . M e C a r y opera, I’Andria, è probabilmente un falso destinato a meglio riconnettere fra loro
versale Rizzoli» (ogni volum etto contie­ - Μ. M. W il l c o c k , Cambridge 1976; i due più stimati successori di Plauto. Sappiamo che \’Andria andò in scena solo
ne una parte utile come avviamento com­ Curculio di G. M o n a c o , Palerm o 1969; nel 166. Comunque, come Terenzio, Cecilio fu strettamente legato all’influente
plessivo, e una trattazione specifica della Epidicus di G. E . D u c k w o r t h , Prince­ attore, e soprattutto impresario teatrale, Ambivio Turpione (su cui cfr. p. 20).
singola commedia). Di C . Q u e s t a è an­ ton 1940; M ercator di P . J. E n k , 2 voli.,
che l’opera di riferimento basilare su pro­ Leiden 19662; M ostellaria di E . A. S o n -
sodia e metrica (Introduzione alla metri­ n e n s c h e in , Oxford 19272; R udens di F.
Opere Ci restano una quarantina di titoli, tutti di commedie palliate, e frammenti
ca di Plauto, Bologna 1967). M a r x , Heidelberg 1962 (II ed., rivista da per quasi trecento versi. La commedia di gran lunga meglio conosciuta è il Pio-
Alcuni saggi di rilevanza generale: E. A. T h ie r f e l d e r ); Stichus di H . P e t e r s -
cium (La collana). I titoli hanno sia forme greche, ad esempio Ex hautoù hestòs
F r a e n k e l , Elem enti plautini in Plauto, m a n n , Heidelberg 1973; Truculentus di
Firenze 1960 (sul cruciale problem a del P . J. E n k , 2 voli., Leiden 1953. (Quello che sta in piedi da sé), Gamos (Le nozze), Epfcléros (L’ereditiera), Synari-
rapporto con i modelli greci); F . D ella Sui rapporti coi modelli greci vedi stòsae (Le donne a colazione), Synéphébi (I compagni di gioventù), che latine:
C o r t e , Da Sarsina a Rom a, Firenze 19672 soprattutto, più recentemente: W. G. A r- ad esempio Epistula (La lettera), Pugil (Il pugilatore), e anche forme doppie, quali
(per le questioni storico-biografiche); A. n o t t , M enander, Plautus, and Terence, Obolostàtes/Faenerator (Lo strozzino).
T r a in a , Forma e suono, Roma 1977 (son­ O xford 1968; E. W . H a n d l b y , M enan­
daggi sullo stile); M. B a r c h ie s i , Plauto der and Plautus: a Study in Comparison,
e il «metateatro» antico, in I m oderni al­ London 1968; V. P ó sc h l , Die neuen Me- Fonti Informazioni biografiche ci vengono dal Chronicon di S. Girolamo, e risalgo­
la ricerca di .Enea, Rom a 1980 (poetica nanderpapyri u n d die Originalitàt des no in ultima analisi al De poetis di Varrone. Tra i giudizi più importanti si possono
teatrale di Plauto); M. B e t t in i , in «M a­ Plautus, Heidelberg 1973; C . Q u e s t a , citare: Cicerone, De optimo genere oratorum 1,2; Orazio, Epistulae 2,1,59; Vel-
teriali e discussioni per l’analisi dei testi edizione citata delle Bàcchides. leio Patercolo 1,17,1; Quintiliano 10,1,99; Gellio 2,23 e 15,24. Cecilio è letto e ap­
classici», 7, 1981, p. 39 segg., e C . Q u e ­ Sulla poetica teatrale vedi più recen­
prezzato in tutta l’età repubblicana, e in quella imperiale sino almeno al II secolo.
s t a , ivi, 8, 1982, p. 9 segg. (struttura de­ temente: D . K o n s t a n , R om an Com edy,
gli intrecci, tipologia e funzioni dei per­ Ithaca-London 1983; N. Z a g a g i , Tradi-
sonaggi). T ra i numerosi lavori sulla for­ tion and Originality in Plautus, Gottin-
tuna si può citare l’indagine di C . gen 1980; N. W. S l a t e r , Plautus in Per­
Q u e s t a , Il ratto dal serraglio (Euripide, form ance, Princeton 1985. Un grande commediografo

Fortuna di Cecilio Le ragioni per cui Cecilio Stazio è trattato, nei nostri manuali di storia
presso gli antichi letteraria, come un minore, sono del tutto accidentali, e dipendono dalla
perdita dei suoi testi. Grandi intellettuali e profondi conoscitori di letteratu­
ra quali Varrone, Cicerone e Orazio valutano Cecilio come un autore di
primo rango, per niente inferiore a Plauto o Terenzio. Orazio lo elogia per
la serietà dei sentimenti e Varrone approva i suoi intrecci; solo sulla purezza
del suo uso latino permane, in Cicerone, qualche riserva. Il canone dei più
apprezzati poeti comici di Roma, stilato intorno al 100 a.C. dall’erudito
Volcacio Sedigito, pone Cecilio al primo posto, davanti a Plauto. La scom-
50 CECILIO STAZIO
BIBLIOGRAFIA 51
parsa del testo di Cecilio non è dovuta, dunque, a discredito o a manifesta
inferiorità rispetto ad altri classici. un bacio a stomaco vuoto... Non lo fa per sbaglio: vuole che tu vomiti
Il rispetto dei La posizione storica di Cecilio suggerisce una sorta di intermediazione quello che ti sei bevuto fuori casa». Come Plauto, insomma, anche Cecilio
modelli fra Plauto e Terenzio. Qualche indizio conferma questa posizione mediana. non si sforzava tanto di «rinarrare» ciò che era benissimo riuscito a Menan­
Gran parte dei frammenti che abbiamo si iscrive perfettamente nell’atmo­ dro o Difilo, quanto di reinventare le storie dei modelli secondo una nuova
sfera del teatro plautino: grande ricchezza di metri, vivace fantasia comica, e autonoma poetica teatrale.
sanguigno gusto per il farsesco. Rispetto a Plauto, però, Cecilio sembra
in un certo senso più vincolato al modello della Commedia Nuova ateniese.
Quanto meno, i titoli che abbiamo sono riproduzioni molto fedeli (a volte
letterali: Plocium dal Plòkion di Menandro) dei titoli degli originali greci. B ib lio g ra fia I fram m enti sono raccolti da R ib ­ tologia della palliata, Padova 19693, p.
Inoltre, è assente dai titoli la figura dello schiavo: in Plauto, la passione beck (cfr. p. 25); inoltre, da T . G u a r d i , 95 segg. Vedi inoltre J. W r ig h t , Danc­
Palerm o 1974. Le migliori analisi (dopo ing in Chains. The Stylistic Unity o f thè
per questo personaggio dominava anche i titoli (.Pseudolus) e andava spesso «Comoedia palliata», Rom a 1974, p. 86
F . L e o , Geschichte der rómischen Lite-
a trasformare le linee del modello greco per crearsi un maggiore spazio ratur, Berlin 1913, pp. 217-26) sono ve­ segg. e, per il confronto Cecilio-Menan-
vitale. Abbiamo quindi l’impressione che Cecilio fosse un po’ più rispettoso nute da A. T r a in a , Vortit barbare, Roma dro, L. G a m b e r a l e , La traduzione in
dei modelli. Inoltre egli sembra avere una predilezione decisa per Menan­ 19742, pp. 41-53, e I d ., Comoedia. A n ­ Gellio, Rom a 1969.
dro: per quasi metà dei titoli attestati si può proporre una derivazione
menandrea.
Somiglianze tra Interesse per Menandro e più sorvegliata adesione al modello greco via
Cecilio e via adottato (in rapporto con una fase sempre più dotta ed ellenizzante della
Terenzio cultura romana) sono tratti che accostano Cecilio a Terenzio e lo staccano
da Plauto. Non abbiamo invece alcuna prova che Cecilio anticipasse aspetti
fondamentali tipici della nuova maniera terenziana, quali la rinuncia a certe
varietà metriche, la riduzione degli effetti farseschi e sboccati, l’approfondi­
mento psicologico. Del resto, sappiamo che Terenzio rimase un isolato nella
tradizione della palliata.
Il vertere di Il relitto più interessante dell’opera di Cecilio ci viene da un paragrafo
Cecilio: un delle Noctes Atticae di Gellio (2,23). Gellio istituisce un puntuale confronto
confronto col tra un passo del Plocium e uno corrispondente del modello seguito da Ceci­
modello
lio, il Plòkion menandreo. Si consideri che — prima della recente scoperta
di un papiro del Dis exapatòn di Menandro confrontabile con passi delle
Bàcchides di Plauto —- si trattava dell’unica occasione utilizzabile per con­
frontare un brano abbastanza corposo di palliata con il relativo modello
greco. Notiamo così chiaramente quanto libero sia il rifacimento che i Ro­
mani chiamano vertere. Le innovazioni portate da Cecilio sul tessuto della
sua fonte sono giudicate da Gellio con una certa severità, e sono indubbia­
mente significative di una poetica comica autonoma. In Menandro abbiamo
un marito che si lamenta: la moglie bisbetica ha cacciato di casa la giovane
ancella: «ha cacciato di casa, come voleva, la fanciulla che le dava ombra,
perché tutti volgano gli sguardi al volto di lei e sia ben chiaro che è lei
la mia padrona...». Nello sviluppo di Cecilio questo è solo un canovaccio:
Cecilio inserisce, secondo un suo gusto caratteristico, una massima di carat­
tere generale in apertura: «Quell’uomo, appunto, è disgraziato, che non sa
nascondere il suo patire...»; approfondisce enfaticamente il motivo della
«schiavitù» dell’uomo sposato; e dà corpo alla frustrazione del marito fa­
cendo sì che questi si immagini una colorita scena di donne pettegole, in
cui la, vecchia e brutta moglie si vanta del suo trionfo. Più in generale,
il tranquillo monologo menandreo è stato convertito in un’«aria» farsesca,
in un canticum. Da altri confronti sappiamo che Cecilio non arretrava di
fronte a tinte ancora più forti, caricando sui misurati copioni menandrei
anche lazzi e battutacce: «mia moglie mi dà subito, quando rientro a casa,
CINCIO ALIMENTO E GLI ALTRI ANNALISTI 53

in greco da membri della classe dirigente romana. L ’uso del greco significò
ORATORIA E STORIOGRAFIA originariamente una rottura con la tradizione della cronaca pontificale dalla
quale la nascente storiografia traeva materiali e di cui ereditava la struttura
IN EPOCA ARCAICA annalistica: ad introdurlo fu, a quanto sappiamo, Fabio Pittore, e l’innova­
zione è stata verosimilmente spiegata con la necessità di raggiungere, oltre
ai Romani colti, anche un pubblico non latino, un pubblico di ambito medi-
terraneo: ciò soprattutto per cercare di contrastare l’influenza di certa sto­
riografia greca di impostazione filocartaginese.
L’opera di Fabio Quinto Fabio Pittore (così soprannominato perché un suo antenato ave­
Pittore va praticato fra l’altro la pittura) apparteneva alla gens Fabia, una delle
più nobili casate romane: senatore e magistrato, aveva combattuto fra il
225 e il 222 contro i Galli Insubri. La sua opera storica andava dalla fonda­
zione di Roma alla fine della seconda guerra punica. L ’origine aristocratica
1. L’oratoria spiega in larga parte l’orgoglioso interesse per le grandi famiglie (in partico­
lare per la propria) che doveva essere tipico della storiografia di Fabio Pitto­
re. È probabile che egli introducesse anche elementi autobiografici: deriverà
Nel Brutus (certamente la migliore storia dell’eloquenza romana che sia da lui il particolareggiato resoconto di Tito Livio (nei libri XXII e XXIII)
mai stata scritta) Cicerone sottolinea più di una volta il legame che intercor­ sulla missione a Delfi dello stesso Fabio, inviato dal senato nel 216 a.C.,
re fra oratoria e vita politica. Come e anche più della storiografia, l’oratoria dopo la sconfitta di Canne, a consultare l’oracolo.
è frutto intellettuale della classe dirigente: in ambedue i generi essa esprime Classe dirigente Largo spazio, nell’opera di Fabio Pittore, doveva avere la passione anti­
la propria interpretazione della storia e dell’attualità, portandovi le proprie e gusto quaria: alcuni dei frammenti conservati mostrano come egli ricercasse le ori­
esigenze etiche e politiche. Gli oratori più importanti dell’età arcaica sono antiquario gini di istituzioni e cerimonie che descriveva con amore e vivacità. Notevole
uomini politici di rilievo: in ciò è notevole la differenza con l’annalistica era probabilmente l’interesse per le origini di Roma, per l’età regia e per
e la storiografia, le quali sono elaborate da membri della classe dirigente, gli inizi della repubblica: epoche alle quali si facevano risalire molte istitu­
ma, a parte l’eccezione di Catone, non da personaggi di primissimo piano; zioni e molti costumi, molte usanze religiose e civili. In quanto membro
la cosa si spiega riflettendo al rapporto molto più immediato, anche rispetto della élite senatoria, Fabio si sarà sentito custode del patrimonio culturale
alla storiografia, dell’oratoria con la prassi politica. A detta di Cicerone, delle tradizioni romane, nel quale la classe dirigente istintivamente vedeva
il primo Romano la cui eloquenza fosse testimoniata con sicurezza, era Mar­ le basi del proprio potere, e dalla cui conservazione faceva largamente di­
co Cornelio Cetègo (console nel 204, l’anno in cui Catone ricopriva la que­ pendere il successo di Roma contro i nemici esterni. Era un interesse com­
stura), che Ennio elogiava negli Annales. Fra i contemporanei di Catone, prensibilmente destinato a restare vivo nella storiografia arcaica latina.
spiccavano come oratori Scipione l’Africano Maggiore, Quinto Fabio Massi­ Fabio Pittore e il D’altra parte, Fabio Pittore si occupò diffusamente anche del più gran­
mo Cunctator, Lucio Emilio Paolo. Le scarse testimonianze che ci rimango­ conflitto fra Roma de problema politico contemporaneo, lo scontro fra Roma e Cartagine, as­
no delle loro orazioni non permettono di formarsi un’immagine soddisfacen­ e Cartagine sumendo una posizione marcatamente filo-romana: sappiamo questo attra­
te del loro stile. Molto meglio siamo informati sull’oratoria di Catone, sicu­ verso Polibio che ne critica la mancanza di obiettività; la deformazione di
ramente il più grande oratore del II secolo (cfr. p. 73 seg.), e qualcosa Fabio Pittore andava, sempre secondo Polibio, in senso diametralmente op­
possiamo intravedere di quella del suo avversario politico Servio Sulpicio posto a quella del filocartaginese Filino.
Galba, anche se delle orazioni di quest’ultimo non ci resta una parola: di
lui Cicerone ci dice che si distingueva nell’uso delle digressioni, ma che la
sua grandezza oratoria era tutta affidata alla veemenza àeWactio, della qua­
le ben poco restava nelle orazioni scritte che ancora si potevano leggere in
età tardorepubblicana. 3. Cincio Alimento e gli altri annalisti

Come Fabio Pittore e gli annalisti successivi, neanche Lucio Cincio Ali­
2. L’annalistica di Fabio Pittore mento — per quanto senatore e magistrato (fu pretore nel 210 a.C.), di
famiglia plebea — fu un personaggio politico di primissimo piano. Combat­
Uso della lingua Come spicca fra gli oratori del suo tempo, cosi Catone è il più notevole tè nella seconda guerra punica; venne fatto prigioniero e potè conoscere
greca nella prima anche fra gli storici dell’epoca arcaica: a lui si deve anzi la creazione della personalmente Annibaie. Anch’egli compose, in greco e secondo il metodo
annalistica storiografia in lingua latina (cfr. p. 71). In precedenza, non vi era neppure annalistico, una storia di Roma a partire dalle sue origini, cui Polibio e
stata una vera e propria storiografia, ma piuttosto un’annalistica composta Dionigi di Alicarnasso riconosceranno obiettività e capacità di penetrazione.
54 ORATORIA E STORIOGRAFIA IN EPOCA ARCAICA

Non va confuso con lo storico Cincio Alimento un più tardo scrittore di


antiquaria, citato col solo nome di Cincio e vissuto probabilmente nell’età
augustea.
LETTERATURA E CULTURA
Altri annalisti in Di poco successivi sono altri due annalisti, che continuano a scrivere in greco, Gaio
NELL’ETÀ DELLE CONQUISTE
lingua greca Acilio e Aulo Postum io Albino. Il prim o, senatore, fece da interprete in senato al­
l’am basceria dei tre filosofi greci — l’accademico Cam eade, lo stoico Diogene, il
peripatetico Critolao — venuti a Rom a nel 155 e poco dopo frettolosam ente rim an­
dati in patria. Anche Acilio, a quanto si può vedere dai pochi fram m enti che si
sono conservati, si intratteneva abbastanza diffusam ente sulle origini di Rom a, con
ricchezza di interessi eziologici; la narrazione si faceva più dettagliata probabilm ente
a partire dalla prim a guerra punica. Aulo Postum io Albino (il quale, di famiglia
patrizia, fu console nel 151), venne deriso da Catone perché, dopo aver scelto di
scrivere in greco, nel proemio si scusava delle eventuali imperfezioni derivanti dall’u­
so di una lingua non sua. La b attuta non stupisce da parte di Catone, tenace avver­
sario della penetrazione delle m ode grecizzanti; lungi dall’essere frutto di un ottuso L’età delle La fine della seconda guerra punica, nel 201, aveva liberato Roma del­
provincialismo, la sua tagliente ironia era tuttavia sintom atica di una nuova epoca: conquiste l’unico avversario capace di contenderle seriamente il dominio del Mediter­
ormai vincitrice incontrastata, divenuta prim a potenza del M editerraneo, Rom a po­ raneo. Il cinquantennio successivo è la storia di una continua espansione,
teva orgogliosamente reclamare l’uso della propria lingua, anche di fronte alle nazio­ inutilmente contrastata: la seconda e la terza guerra macedonica, il conflitto
ni straniere. Lo stesso Catone aveva già iniziato a scrivere la prim a opera storica
in latino.
con Antioco, la disfatta di Perseo a Pidna segnano le tappe fondamentali
dell’ascesa di Roma a prima potenza mondiale. Il processo doveva durare
almeno fino al 133, quando venne presa Numanzia, ultimo centro di eroica
resistenza antiromana in Spagna; ma poteva dirsi emblematicamente conclu­
Bibliografia so nel 146, l’anno in cui gli eserciti della res publica avevano raso al suolo
I fr a m m e n ti d ei p iù a n tic h i o r a to bio
r i P ittore sono attribuiti anche A nnales
e le te s tim o n ia n z e su lla lo ro a ttiv ità in in latino, dei quali conserviamo qualche Cartagine (al termine della terza guerra punica) e messo a sacco Corinto,
Oratorum Romanorum Fragmenta, a c u ra fram m ento; m a si tratta con ogni p roba­ depredandola dei suoi tesori artistici.
d i E. M a l c o v a t i , T o r in o 19764. S tu d i: bilità di una traduzione o rielaborazione L’affievolirsi delle Da storici antichi e moderni la sete di crudeltà e di ricchezza dimostrata
A . D. L e e m a n , Orationis Ratio. Teoria successiva dell’originale greco. antiche virtutes da Roma nel 146 è stata interpretata come il segno del suo incipiente allon­
e pratica stilistica degli oratori, storici e Studi: A. M om ig lia n o , Linee per una
filo so fi latini, tr a d . it. Bologna 1974; F.
tanamento dai costumi austeri e nobili che nell’età precedente avevano fatto
valutazione di Fabio Pittore, in Terzo
S b o r d o n e , L ’eloquenza in R om a duran­ contributo alla storia degli studi classici la sua grandezza. C’è, in un simile giudizio, molto moralismo; ma anche
te l ’età repubblicana, N apoli 1965. e del m ondo antico, Rom a 1966; A. L a alcuni elementi di verità. La progressiva crescita di Roma da piccola città-
I frammenti dei primi annalisti in Hi-
P e n n a , Storiografia di senatori e storio­ stato a potenza egemone dell’Italia e successivamente a dominatrice sovrana
storicorum R om anorum Reliquiae, a cu­ grafia di letterati, in A sp etti del pensiero
ra di H . P e t e r , I, Leipzig 19142. A F a­ storico latino, Torino 1978.
dei paesi mediterranei non poteva non portare a una modificazione profon­
da del suo assetto socio-economico e culturale, che la storiografia moralisti­
ca descrive nei termini solo parzialmente mistificatori di uno snaturamento
delle antiche idealità. Già i contemporanei registrarono il fenomeno con preoc­
cupazione: data più o meno da quest’epoca l’insistenza — destinata a dive­
nire luogo comune — sulla degenerazione dei costumi, sugli effetti corrutto­
ri del lusso e della ricchezza, sulla perdita delle prische virtutes.
Mutamenti sociali: Si assiste, in effetti, a una divaricazione del corpo civico: la classe diri­
il sorgere della gente si arricchisce in maniera smisurata con i proventi delle guerre di con­
«questione quista, e anche i ceti intermedi che partecipano al processo di accumulazione
agraria» usufruiscono delle potenzialità di una rapida ascesa sociale; mentre l’antico
ceto di piccoli proprietari agricoltori — base dell’espansione romana in Ita­
lia — va incontro alla proletarizzazione, soprattutto a causa dell’abbandono
dei poderi conseguente alla forzata permanenza all’estero durante plurienna­
li campagne militari. Le terre si concentrano in poche mani, e ciò rende
più facile il loro sfruttamento intensivo mediante l’utilizzo delle immense
masse di schiavi che sempre le guerre di conquista rendono disponibili sul
mercato. Gli antichi proprietari proletarizzati, o i loro discendenti, vanno
in notevole misura ad alimentare la plebe urbana, costituendo, d’ora in poi,
un perpetuo fattore di instabilità sociale e una cospicua massa di manovra
56 LETTERATURA E CULTURA NELL’ETÀ DELLE CONQUISTE LETTERATURA E CULTURA NELL’ETÀ DELLE CONQUISTE 57

per le ambizioni dei potenti. L’irrisolta questione agraria si affaccerà più lunga, incidendo sulle basi etiche e religiose della res publica, avrebbe potu­
di una volta sulla scena politica romana. to avere anche conseguenze politiche e sociali. Preoccupazioni immediate
il rapporto con la È comprensibile, in questo quadro, che a partire dalla fine della seconda suscitarono invece in Catone altre antilogie, quelle di Cameade sulla giusti­
Grecia guerra punica la cultura e la letteratura registrino la comparsa, anzi l’esplo­ zia: di fronte a un folto pubblico romano, il filosofo insinuava che il domi­
sione, di nuove esigenze e di nuovi conflitti. Uno dei problemi centrali divie­ nio di Roma sugli altri popoli, il quale si autoproclamava «giusto», si regge­
ne quello del rapporto con certe tendenze del modello culturale greco, la va invece sulla violenza e sulla rapina. La reazione non si fece attendere,
cui importazione viene interpretata dai tradizionalisti come uno dei fattori e l’ambasceria di cui faceva parte Cameade venne rapidamente rispedita in
scatenanti della corruzione dei costumi. Il processo venne innescato dalla Grecia.
progressiva affermazione del dominio romano sulla Grecia, a partire dagli I modelli etici in Il dibattito sui modelli etici continua nel teatro di Terenzio, che ripropo­
inizi del II secolo. Ciò portò a un’intensificazione dei contatti culturali oltre Terenzio ne al pubblico romano gli ideali menandrei di philanthropia. Ma all’epoca
che politici (ricordiamo le ripetute ambascerie affidate ad intellettuali greci, in cui Terenzio scrive, il conflitto sul valore della cultura greca sembra in­
o la presenza di un personaggio come Polibio fra gli ostaggi portati a Roma camminarsi verso una soluzione che sarà decisiva per il futuro della cultura
dopo la terza guerra macedonica); e non va nemmeno sottovalutato il fatto romana. Protettore di Terenzio — col quale condivideva ideali e battaglie
che, durante i loro saccheggi, più di una volta i Romani si impadronirono culturali di cui era forse in parte l’ispiratore — era Scipione Emiliano (nipo­
di intere biblioteche greche (è rimasto celebre il caso di quella del re di te adottivo deH’Africano Maggiore, si chiamava Emiliano perché era in real­
Macedonia Perseo, che Emilio Paolo trasferì a Roma dopo averlo sconfitto tà figlio di Emilio Paolo, il vincitore di Perseo a Pidna). È ora importante
nel 168): in questo modo parecchi nuovi libri furono messi in circolazione, notare come le prospettive di rinnovamento culturale diffuse nell’entourage
a disposizione del pubblico colto. dell’Emiliano non fossero affatto in radicale contrasto con l’ideale catonia­
Il vero senso La storiografia moderna ha talvolta insistito sulla polarizzazione, in que­ no di conservazione delle antiche virtù romane.
della battaglia st’epoca, della vita culturale romana fra il «partito filoellenico» e il «partito Il «circolo degli Si è parlato in passato di un vero e proprio «circolo» di intellettuali
culturale di antiellenico», quest’ultimo rappresentato dall’ala dell’aristocrazia guidata da Scipioni» con un comune programma culturale (un po’ come i circoli del Settecento),
Catone Catone il Censore. Effettivamente, per circa cinquant’anni la scena cultura­ riunito intorno a Scipione Emiliano; in questo senso, si tratta probabilmente
le, oltre che quella politica, sarà dominata dalla figura di Catone e dalla di una deformazione; ma è indubbio che l’Emiliano (nutrito delle opere clas­
sua battaglia in favore della riaffermazione del mos maiorum, contro la siche della Grecia, che il padre gli aveva messo a disposizione quando aveva
penetrazione degli elementi eticamente più «corrosivi» della riflessione intel­ lasciato ai figli la biblioteca reale del regno ellenistico di Macedonia, portata
lettuale greca, e del modello, anch’esso di matrice ellenistica, dell’uomo po­ a Roma con il bottino di Pidna) intrattenesse stretti rapporti con le figure
litico «carismatico», che appariva minare la solidità del ceto aristocratico più eminenti sul piano culturale. In gioventù si era legato di amicizia a Poli­
(cfr. p. 74). bio, venuto a Roma come ostaggio, che nella sua opera storica avrebbe in­
Malgrado l’oraziano Graecia capta ferum vìctorem cepit, oggi si tende dagato i motivi della superiorità di Roma sulle altre nazioni. Più tardi Sci­
a vedere in quella di Catone una battaglia vittoriosa, almeno sul piano cultu­ pione fu in intimità con Panezio, lo stoico che nel trattato Sul conveniente
rale: nonostante la veemenza di certe sue polemiche, in realtà Catone non forni un modello di comportamento ai membri dell’aristocrazia romana. Tut­
proponeva ai Romani un globale ripudio della cultura greca, ma piuttosto tavia l’usuale designazione di «circolo degli Scipioni» è soprattutto una sug­
un’attentissima selezione, che facesse da argine soprattutto alle più radicali gestiva formula di comodo dovuta ai moderni e non autorizzata fino in
spinte «illuministiche» che rischiavano di intaccare la morale tradizionale. fondo dalle testimonianze antiche, e pare perciò esagerato dare consistenza
Ennio aveva fatto proprie alcune di quelle spinte compiendo l’audacia di storica (quasi fosse un’organizzazione dotata di un vero programma cultura­
fare conoscere al pubblico romano la teoria evemeristica (cfr. p. 60); per le e politico) a quella che fu piuttosto comunanza di interessi e di tendenze
un altro verso gli Annales dello stesso Ennio, che erano in consonanza con ellenizzanti in alcuni eminenti aristocratici romani. Ciononostante l’impor­
l’ideale catoniano in quanto celebravano i mores antiqui come basamento tanza che queste persone ebbero nel sostenere e favorire alcune figure signi­
della res publica, cessavano di esserlo nella misura in cui lasciavano spazio ficative della cultura contemporanea, promuovendone l’affermazione, si ri­
a elementi di una visione «eroica» della storia, all’esaltazione delle grandi velerà decisiva per lo sviluppo del pensiero e della letteratura latina seguen­
personalità. L ’allontanamento di Ennio dal suo «scopritore» Catone, e il te. A dare consistenza a questo «circolo» ha contribuito senz’altro
suo avvicinamento all’ambiente scipionico, potrebbero forse essere letti an­ l’idealizzazione che di costoro, e di Scipione Emiliano in particolare, dette
che secondo questa chiave. Del resto, in modo più innocente anche un’opera Cicerone in alcune delle sue opere più importanti: ne fece i personaggi cen­
come gli Hedyphagètica, venendo incontro al bisogno di consumi lussuosi trali — superbi interpreti dei propri ideali di vita culturale e civile — del
e raffinati, andava in direzione opposta a quella dell’ideale catoniano. De republica, del De amicitia, del De senectute.
Il dibattito sui Ancora Ennio nel suo teatro tragico, e in misura maggiore Pacuvio, L’apertura alla Il gruppo scipionico vedeva nell’apertura alla cultura ellenistica un fat­
temi etici davano un certo spazio a dibattiti sui valori etici i quali, magari attraverso cultura ellenistica: tore decisivo di «sprovincializzazione» della classe dirigente romana, che l’a­
l’imitazione di modelli euripidei, ereditavano a volte qualcosa dello spirito Panezio e Polibio vrebbe messa in grado di assolvere degnamente alla sua vocazione imperiale.
delle antiche antilogie («discorsi contrapposti») sofistiche. Il «partito» cato­ A questo progetto Panezio fornì un importante supporto culturale, elabo­
niano avrà fiutato il pericolo di una relativizzazione della morale, che alla rando, fra l’altro, una teoria giustificativa dell’imperialismo romano nei con­
58 LETTERATURA E CULTURA NELL’ETÀ DELLE CONQUISTE

fronti degli altri popoli: tutto l’opposto delle pericolose antilogie di Camea­
de sulla giustizia, alle quali forse Panezio intendeva contrapporsi. Nemmeno
il razionalismo che Polibio introduceva nella valutazione degli eventi storici ENNIO
rappresentava un serio pericolo per i valori etico-politici tradizionali: da un
lato, lo schema della costituzione «mista», che egli usava per spiegare la
costituzione romana, si risolveva in pratica in una giustificazione del regime
aristocratico; dall’altro, l’interpretazione razionalistica della religione tradi­
zionale romana in quanto strumento di dominio non va intesa come una
denuncia, ma come il riconoscimento di una forza etico-politica di primaria
importanza per la conservazione dello stato. Del resto, il carattere per niente
«rivoluzionario» della storiografia di Polibio o della filosofia di Panezio
Vita Quinto Ennio nacque nel 239 a.C. a Rudiae, una cittadina (oggi presso Lec­
è dimostrato dal loro atteggiamento nei confronti della questione agraria:
ce) deila regione chiamata dai Romani Calabria (non ia «nostra» Calabria, ma
ambedue prendevano posizione contro la rivoluzione spartana del III secolo,
la Puglia a sud di Taranto). L’area era storicamente occupata dalla civiltà dei
e contro i tentativi graccani di riforma. Messapi (forse di origine illirica), ma era profondamente intrisa di cultura greca.
Svetonio definisce Ennio un semigraecus, un italo-greco, e il poeta stesso amava
Lucilio e il circolo Al «circolo» scipionico, oltre ai personaggi che già abbiam o m enzionato, ad altri sottolineare la sua natura «trilingue», divisa fra Latino (la lingua in cui diventerà
degli Scipioni minori, e alPinseparabile amico delPEmiliano, Gaio Lelio (cfr. p. 104), è stato spes­
grande letterato), Greco (la lingua della sua formazione culturale), e Osco (la
so riattaccato anche il poeta Lucilio (cfr. p. 98 segg.), in effetti duplicemente singola­
re rispetto alla realtà del suo tempo: egli è il prim o letterato proveniente dall’aristo­ lingua più parlata nell’Italia meridionale non colonizzata dai Greci).
crazia, e insieme il prim o aristocratico municipale che rifiuta i negotia e in genere È verosimile che Ennio si sia formato nel raffinato ambiente di Taranto, il
l’attività pubblica. Lucilio resta legato al gusto aristocratico, m a propone modelli polo economico e culturale più vicino a Rudie, e la città da cui già proveniva
di com portam ento dotati di una forte carica innovativa: rifiuta i meccanismi di asce­ Livio Andronico. Di fatto, Ennio giunse a Roma in età matura, quasi settant’anni
sa sociale fondati su valori «falsi» come il denaro, e parim enti rigetta una vita politi­ dopo la venuta di Andronico: siamo nel 204 a.C., in piena seconda guerra punica.
ca che si avvale degli stessi metodi. Può capitare talora di sentire affiorare, nei versi A condurlo con sé fu, secondo la tradizione, Catone, che lo avrebbe incontrato
di Lucilio, toni e ideali catoniani. M a il Censore, nella sua polemica contro la dege­ in Sardegna. In realtà Catone nel 204 era questore in Sicilia e in Africa: solo
nerazione del costume e contro l’abuso privato della ricchezza, si poneva ancora durante il viaggio di ritorno, passando per la Sardegna, vi incontrò Ennio. Dunque
soprattutto il com pito di salvaguardare i princìpi fondam entali della vita politica
anche il motivo della presenza di Catone in Sardegna non è del tutto chiaro.
consacrati nel m os maiorum·, in Lucilio emerge il problem a di un gusto individuale,
il desiderio di non farsi coinvolgere in una realtà quotidiana popolata di gente am bi­ In ogni caso, nel trentennio successivo Catone - - divenuto «il Censore» nel 184
ziosa, corrotta e volgare. Nasce, con Lucilio, la ricerca di una nuova sintesi fra a.C. — fu a volte su posizioni culturali molto diverse dal poeta, e politicamente
gusto raffinato e morale tradizionale, che è insieme riflesso della crisi etico-politica ostile a certi suoi illustri mecenati.
e presagio dei nuovi tempi. A Roma Ennio svolge attività di insegnante, ma presto (entro il 190) si affer­
ma come autore scenico: allusioni alle tragedie di Ennio sono riscontrabili già
nelle più tarde commedie di Plauto. Ennio occupa — come tragediografo — il
grande ruolo lasciato vacante da Andronico e Nevio. Nel 189-187 accompagna
il generale romano Marco Fulvio Nobiliore in Grecia, con l’incombenza di illustra­
re nei suoi versi la campagna militare che culmina nella battaglia di Ambracia.
A questa vittoria (189 a.C.) Ennio dedica un’opera, molto probabilmente una prae­
texta. L’operazione propagandistica di portare uno scrittore al seguito dell’armata
romana sarà duramente criticata da Catone. Nel prosieguo della sua vita Ennio
sarà favorito e protetto dalla famiglia di Nobiliore, e dalla grande casata degli
Scipioni; riceverà tra l’altro una grossa ricompensa che è anche consacrazione
pubblica dei suoi meriti, la concessione della cittadinanza romana. Le fonti assi­
curano comunque (forse per accenni autobiografici di Ennio stesso) che il poeta
mantenne un tenore di vita modesto e riservato. Nell’ultima parte della sua vita
(morì nel 169, durante i ludi Apollinares di quell’anno) si dedicò alla fatica, sen­
z’altro vastissima, degli Annales, il poema epico che gli darà fama perpetua a
Roma. Non si sposò e non lasciò figli, ma un suo nipote, Pacuvio, sarà il suo
erede come figura guida nella poesia scenica romana.

Opere La cronologia è piuttosto incerta, come è naturale: di tutti i suoi testi abbiamo
solo frammenti di tradizione indiretta (anche se Ennio è, non a caso, il letterato
arcaico di cui abbiamo più numerose citazioni). Un dato sicuro è che cominciò
molto presto, e continuò sino agli ultimi anni a comporre e rappresentare tragedie
di grande successo: ultima il Thyestes, la cui «prima» cadeva appunto nel 169.
60 ENNIO IL TEATRO 61

Ci restano una ventina di titoli di coturnate, e un numero insolitamente ricco di si vantava (negli Annales) di essere cittadino romano dopo essere stato... rudino
brevi citazioni (parecchie in Cicerone, estimatore di Ennio tragico): in tutto quasi (orgoglioso contrasto, data la marginalità del suo paese d ’origine); che polemiz­
200 frammenti (circa 400 versi). È rimasta traccia (ne abbiamo sei versi) di due zava apertamente con i suoi predecessori; ed è evidente che anche altre notizie
praetextae, l’Ambracia, già citata, e le Sabinae: dunque una di argomento con­ sulla sua vita potranno essere derivate da accenni autobiografici. È significativo
temporaneo e una legata alla leggenda della fondazione di Roma (il ratto delle che di lui — come poi più stabilmente per Terenzio — esista anche una tradizio­
Sabine ispirato da Romolo). Questa duplicità richiama-alla mente l’opera di Ne­ ne figurativa: abbiamo indizi di statue, o pitture, che lo effigiavano: ritratti di un
vio, che affianca celebrazioni di vittorie recenti (Clastidium) e proiezioni verso poeta sono, nella Roma arcaica, una novità di assoluto rilievo, che segna un
gli albori di Roma (Romulus) entro il genere scenico della praetexta. clima culturale mutato rispetto all’età delle guerre puniche.
Delle commedie, che non dovevano certo essere il pezzo forte della sua pro­
duzione, ci rimangono due titoli, oltretutto incerti (forse Caupuncula, L’ostessa,
e Pancratiastes, Il lottatore), e pochissimi versi.
Ma il capolavoro di Ennio, l’opera che ne fece agli occhi dei Romani l’autore 1. Il teatro
più significativo della letteratura latina arcaica, sono gli Annales, poema epico
in esametri che, in diciotto libri, narrava la storia di Roma: ce ne restano 437
frammenti per un totale di circa 600 versi (non pochi incompleti). Ennio fu fecondo poeta di teatro, con una produzione che si estende
È poi attestata una larga varietà di opere minori, fra cui: fino alla morte (la tragedia Thyestes — come si è detto — è del 169). Fu
l’ultimo poeta latino a coltivare insieme tragedia e commedia. La sua medio­
(a) Hedyphagètica (Il mangiar bene), un’opera didascalica sulla gastronomia, ispi­
crità come poeta comico fu notata già dagli antichi: il ricordato canone
rato da un poemetto del greco Archestrato di Gela (circa 350 a.C.). Se, come
tutto fa pensare, fu composto prima degli Annales, si tratta della prima poesia (graduatoria) di Volcacio Sedigito (cfr. p. 49) lo colloca all’ultimo posto
latina in esametri a noi attestata. Ne possediamo 11 versi, conservati da Apu­ e solo in omaggio alla sua antichità (causa antiquitatis). I frammenti comici
leio nella sua Apologia. rimasti sono troppo esigui per confermare o respingere il giudizio degli antichi,
(b) Sota, una vera curiosità letteraria: un testo in versi detti appunto «sotadei» Ennio poeta ma certo il genere della commedia non doveva essergli congeniale. Ennio
(ne rimangono cinque, incompleti) dal loro inventore, Sotade di Maronea (cir­ tragico fu, nella produzione drammatica, essenzialmente poeta tragico: per la ten­
ca 280 a.C.). Questo verso èra tradizionalmente usato per opere di carattere sione stilistica dei suoi versi, per la vigorosa tendenza al patetico. Non a
parodico e spesso osceno. caso il modello preferito è Euripide, il più moderno dei grandi tragici atenie­
(c) Quattro libri (o sei) di Saturae, in metri diversi, la cui perdita (vista l’importan­ si del V secolo, il più aperto all’introspezione psicologica e alle situazioni
za del genere satirico nello sviluppo della letteratura romana: cfr. p. 100) è di maggiore passionalità. Da Euripide Ennio “ tradusse” (con grande libertà
per noi decisamente grave. Restano 18 frammenti con 34 versi.
e originalità, naturalmente, secondo i canoni di una “ traduzione letteraria”
(d) Lo Scipio, un’opera in onore del vincitore di Zama: senz’altro una poesia
che è essenzialmente gara con il modello, aemulatio) molte tragedie, soprat­
celebrativa, su cui possiamo trarre poche conclusioni certe.
(e) Alcuni testi che si possono raggruppare per il loro sfondo filosofeggiante: l'Eu- tutto del ciclo troiano: Alexander, Andromacha aechmalòtis (greco aichma-
hèmerus — scritto forse in prosa — era una narrazione che divulgava il pensie­ lòtis «prigioniera di guerra»), Hecuba, Iphigenia, Medea exul ecc. Da Eschi-
ro di Evemero da Messina (IV-III secolo a.C.), noto soprattutto per la teoria che lo, il primo dei grandi tragici ateniesi, derivò le Eumènides (l’ultima e la
la credenza negli dei derivasse da tradizioni sulle gesta di antichissimi eroi e più spettacolare delle tre tragedie — le prime due sono VAgamennone e
benefattori dell’umanità, poi onorati e promossi al rango di dei; i’Epicharmus, le Coefore — che compongono la cosiddetta trilogia àùYOrestea) e forse
in settenari trocaici, si richiamava invece al poeta Epicarmo (inizio V secolo), gli Hectoris Intra (alla greca lytra: «il riscatto di Ettore»); da Sofocle derivò,
autore comico che si era fatto anche una fama di pensatore; il Protrèpticus («di­ probabilmente, 1’Aiace. È inoltre sicuro che Ennio imitò anche originali di
scorso di esortazione»), opera per noi imprecisabile, il cui titolo fa pensare a altri autori, tragici minori estranei alla grande triade attica.
una raccolta di insegnamenti morali (opere omonime risalgono ad Aristotele e
L’Ennio tragico della tradizione e delle testimonianze antiche (le parodie
a vari altri filosofi greci).
comiche, le citazioni dei grammatici, gli stessi giudizi ammirati di Cicerone,
Sicura è anche la composizione di epigrammi, in distici elegiaci. Ne posse­ che ne fa il campione di una poesia antimoderna) è il ritratto di un grande
diamo quattro, di cui due di autocelebrazione e due in onore di Scipione Africano: vecchio venerato ma lontano, e in fondo un po’ passato, fatto per la paro­
un altro dato importante per la fortuna che questo genere poetico avrà a Roma, dia di autori più sofisticati e attuali. Ancora Orazio, moderno per ossessio­
specie nel secolo successivo e più avanti. ne, e poco amante della poesia arcaica, parla di quei versi tragici con falsa
ammirazione: quasi li vede — grandi e goffi — muoversi a fatica sulla scena
Fonti Per gran parte della storia letteraria di Roma Ennio è il più in vista dei poeti
(... Enni / in scaenam missos magno cum pendere versus; «i versi di Ennio,
arcaici: il più citato, ammirato, criticato e riesumato. Si spiega bene, perciò, che
sulla sua vita e opera abbiamo molte più notizie che per gli altri letterati arcaici:
gettati sulla scena con il loro gran peso»). Lontano dall'immagine un po’
per lo più si tratta di informazioni occasionali, che non possiamo raccogliere qui. deforme che ne hanno costruito le testimonianze, Ennio doveva essere inve­
Il dato più interessante è la probabilità che moltissime notizie riprese da autori ce un «moderno», un «uomo di teatro» attento alle preferenze del pubblico,
più tardi siano autobiografiche. Non abbiamo alcuna prova che Andronico offrisse non un umbratile accademico della letteratura.
nei suoi testi notizie del genere; per Nevio, personalità assai impegnata, questa Teatralità della È difficile credere, per esempio, che la rielaborazione dei modelli tragici
è un’ipotesi probabile, ma non sicuramente suffragata; è invece sicuro che Ennio rielaborazione abbia unicamente l’intento di compiacere un pubblico di colti intenditori:
in molte sue opere faceva sentire una voce diretta e personale: sappiamo che è fatta anche per produrre effetti di scena, per rafforzare gli elementi dram-
il teatro 63
62 ENNIO

matici della rappresentazione. Il rapporto con i modelli greci non sembra sioni ridondanti, nelle quali c’è più esternazione stilizzata di sentimenti che
puramente emulativo: il poeta non cerca il confronto con gli originali per vero contenuto informativo o progresso drammatico (al punto che spesso
mostrare bravura artistica nel gioco intertestuale. Diciamo piuttosto che il i filologi le vogliono escludere dal testo sospettandole per interpolate): tutto
progetto stesso della «traduzione», così come Ennio la pratica (cioè come un vocabolario della teatralità greca di cui, appunto, la scena enniana si
appropria. Si pensi, fra i tanti, al saluto di Polissena (o Astianatte) condotta
ampliamento, intensificazione patetica, libera contaminazione di modelli di­
versi) è l’impegno di un teatro «vivo», e continua una tradizione greca anco­ a morte nell’Andromacha (fr. XXXIV Jocelyn), Acherusia tempia alta Orci
ra attuale (non diversamente aveva fatto Livio Andronico nel suo teatro). salvete infera («salve, o spazi profondi, inferi, dell’Acheronte e dell’Orco»),
oppure all’invocazione che Ecuba rivolge al cielo (fr. LXXXIII Jocelyn):
Il tradurre enniano — il suo stile, i suoi stessi principi costitutivi — lo si
o magna tempia caelitum commixta stellis splendidis («o grandi spazi dei
capisce appieno solo interpretandolo nella tradizione di una concreta prassi
teatrale già greca, sostanzialmente simile a quella di molti autori drammatici celesti, frammisti di stelle splendenti»).
Enfatizzazione dei La scelta (alla maniera ellenistica) di un’espressione patetica e spesso enfa­
ellenistici 1. Di fatto, almeno dal IV secolo, ogni nuova rappresentazione
sentimenti e tica corrisponde anche ad un’esigenza teatrale ben precisa: quella di produrre
di un dramma antico non rispettava un testo scritto definitivo; la tragedia partecipazione
antica veniva per così dire rifatta dagli attori, o da un autore che si incarica­ interesse nel pubblico, di coinvolgerlo emotivamente, di suscitare processi
emotiva degli psicologici di identificazione — quasi che l’assemblea degli spettatori doves­
va di modificarla, il diaskeuastés: tra questi «rifacitori» c’erano anche raffi­ spettatori
nati poeti alessandrini, come per esempio Licòfrone. se partecipare per sympathiam agli eventi rappresentati. È proprio quel che
osserva Cicerone (Tusculanae I, 16,37) citando alcuni grandiosi versi tragici
Gli originali più famosi e più spesso rappresentati — testi ancora «aper­
pronunciati da un fantasma (versi da alcuni editori attributi ad Ennio, da
ti» all’uso e alla passione del pubblico — vennero così in gran parte riscritti,
altri ad Accio, e di solito confrontati con l’inizio dell’Hecuba di Euripide):
centonati, contaminati con brani nuovi o tratti da altre tragedie. La stessa
Frequens enim consessus theatri, in quo sunt mulierculae et pueri, movetur
nozione filologica di “ autentico” ancora non esisteva: l’edizione ufficiale
audiens tam grande carmen: «Adsum atque advenio Acherunte vix via alta
dei tre tragici maggiori, quella di Licurgo (circa 330 a.C.), comprese testi
atque ardua / per speluncas saxis structas asperis, pendentibus, / maxumis,
già gravemente interpolati. A noi sono noti i tratti più appariscenti di questi
ubi rigida constai crassa caligo inferum» («Il pubblico numeroso di un tea­
interventi spurii — aggiunte nelle quali gli editori ci hanno abituato a rico­
tro, che comprende donnette e bambini, è scosso quando ascolta versi di
noscere lo stratificarsi delle interpolazioni, ma che lo spettatore greco pre­
tale grandiosità: “ Sono qui e arrivo dall’Acheronte a fatica, per una via
tendeva, interessato al ripetersi di una retorica drammatica facile e di sicuro
profonda ed impervia, attraverso caverne formate da massi scabri, incom­
effetto, fatta di gesti verbali fortemente patetici, di teatralità enfatica, di
benti, immensi, dove persiste compatta la densa tenebra degli inferi” »). Per
invocazioni disperate: talvolta bastavano anche poche, singole parole, nelle
questo in Ennio, nonostante le difficoltà pratiche della scena latina, poteva
quali il pubblico riconosceva però il linguaggio tipico e codificato della tra­
gedia. comparire ancora il coro; un coro che gli spettatori avrebbero potuto senti­
Pathos e messa
re, per identificazione, come fatto di virtuali cittadini: ha appunto questa
Così anche quell’intensificazione patetica che sembra propria del vertere
in scena funzione il coro composto da soldati nell'Ifigenia (mentre nell’originale euri­
enniano (almeno per quei casi in cui è possibile confrontare i frammenti
pideo la voce corale era quella delle fanciulle compagne dell’eroina). Ancora
con qualche originale) non va attribuita al passionale gusto latino, disponi­
la stessa funzione scenica doveva avere l’assemblea di soldati nella trasposi­
bile soltanto a forti emozioni. Una retorica della commozione grandiosa,
zione che Ennio fece dell'Achille di Aristarco (un tragico minore del V seco­
questa, che, se spesso non è nelle parole del modello (Euripide, quasi sem­
lo, che aveva messo in scena la storia dell’Achille omerico). Volendo, po­
pre), entra insistente nel testo enniano almeno come tratto di una langue
tremmo dire che questa è l’unica «messa in scena» enniana che in un certo
drammatica greca. Una langue che noi riconosciamo soprattutto in espres- senso ci sia stata conservata — nel senso che il Poenulus di Plauto ci conser­
va di essa una rielaborazione paratragica. Nella parodia plautina, infatti (Poe­
nulus, vv. 1-4), anche se non leggiamo che poche parole dell’originale testo
1 Possiam o pensare, leggendo E nnio tragico, alla figura di un autore che si aggiorna, enniano, ritroviamo almeno un frammento della sua resa spettacolare: la
preoccupato del vivo «fare teatro» contem poraneo, e anche troppo attento a critiche, giudizi, concreta performance scenica agita dallo stesso attore (un attore che si mo­
commenti. Sappiam o, per esempio, da una didascalia antica preposta alla Medea, che alcuni
biasim avano Euripide per aver fatto dire alla nutrice: «O se m ai si fosse levata a volo tra
stra attore e personaggio insieme, un attore comico che recita un personag­
le livide Simplegadi, la nave A rgo, verso la terra dei Colchi; mai tra le valli del Pelio fosse gio e un ruolo tragici): Achillem Aristarchi mihi commentari lubet; / inde
caduto il pino reciso, mai avesse fornito di remi le m ani degli eroi...» (vv. 1-4). In realtà mihi principium capiam, ex ea tragoedia. / “Sileteque et tacete atque ani-
l’ordine logico inverso, il praeposterum , è una figura assai poco ardita, un fatto di stile che mum advortite; / audire iubet vos imperator” ... histricus... («Oggi ho vo­
cerca di rappresentare l’emozione dell’affezionata nutrice. M a la resa di E nnio, didattica e
glia di ripensare alla mia parte nell 'Achille di Aristarco, di lì, da quella
piana, ripristina la sequenza «naturale» delle cause: (fr. CHI Jocelyn): Utìnam ne in nemore
Pelio securibus / caesa accidisset abiegna ad terroni trabes, / neve inde navis inchoandi exor- tragedia voglio prendere l’inizio. / “ Silenzio a voi, tacete, attenti a me;
dium / coepisset, quae nunc nom inatur nom ine / A rgo, quia A rgivi in ea delecti viri / vecti / che voi ascoltiate impone il comandante” ,... il comandante dei buffo­
petebant pellem inauratam arietis... («Oh, se il tronco dell’abete nei boschi del Pelio non fosse ni...»; dove con l’aggettivo histricus Plauto forse gioca scherzosamente con
mai caduto a terra tagliato dalle scuri, e quindi non fosse iniziata la costruzione di quella due significati diversi: «Istrico», cioè riferibile al bellum Histrieum, e «istrio­
nave, che ora è chiam ata col nom e di A rgo, poiché scelti eroi argivi furono trasportati da
essa quando andarono in cerca del vello aureo dell’ariete...»).
nesco», cioè riferibile agli attori comici; sicché Vimperator histricus «vincitore
64 ENNIO
GLI AN N A LE S - LA POETICA 65
degli Istri» si rivela essere il personaggio comico che impersona il prologo,
Gli Annales come Per ricchezza di struttura, il precedente più vicino era certamente il già
forse addirittura il dominus gregis). Proprio facendo rivolgere quell’attore
narrazione classico Bellum Poenicum neviano, che però, come si è visto, non compone­
agli spettatori presenti nel teatro (lui — l’attore che impersona il prologo — continua va una narrazione continua «dalla caduta di Troia ai giorni nostri». Ennio
interpreta momentaneamente la parte dell’araldo di Agamennone; loro — il
decise invece di narrare senza stacchi e in ordine cronologico, anche se (sulla
pubblico che assiste allo spettacolo drammatico — acquistano contempora­
base degli indizi che abbiamo) è chiaro che certe fasi storiche ebbero molto
neamente il ruolo che nella tragedia enniana toccava ai soldati radunati in
assemblea), Plauto sembra voler cogliere un principio della poetica teatrale più risalto di altre, e che certi periodi furono trattati in modo riassuntivo.
Particolarmente sacrificata fu, non a caso, la prima guerra punica, là dove
enniana: la ricerca di un’identificazione tra pubblico e personaggi, quel pro­
Ennio si misurava direttamente col suo battistrada Nevio. Rispetto a Nevio
cesso di identificazione che ha nell’essere anonimo e comune del coro il suo
(come si è visto, la divisione in libri del Bellum Poenicum non fu originaria)
tramite più forte e convincente. Nasce di qui l’effetto per cui gli spettatori
un’altra innovazione importante fu l’articolazione del racconto in libri, con­
possono vedere in quell’assemblea lo specchio di se stessi, e così riconoscere
cepiti come unità narrative accostate in un’architettura complessiva: la poe­
l’immagine di sé e dei propri capi nei personaggi rappresentati sulla scena.
sia epica alessandrina era strutturata in libri, e lo stesso Omero, a partire
dal III secolo a.C., circolava diviso in libri. Ennio recepì questa strategia
poetica, che restò poi dominante in tutto lo sviluppo della poesia di lingua
2. Gli Annales: struttura e composizione latina, e poi nella tradizione europea.
Riassunto degli Le nostre ricostruzioni presumono in genere questa distribuzione della
Annales materia per libri:
È naturale concentrare la nostra visuale di Ennio sugli Annales, che
sono il più famoso testo epico romano sino all’età di Augusto, e una delle I-III: dopo un ampio proemio, si narrava la venuta di Enea in Italia, la storia della fon­
pochissime opere poetiche di età medio-repubblicana (se si escludono i testi dazione di Roma, con le drammatiche avventure di Romolo e Remo, e il periodo dei re;
comici) di cui possiamo farci un’idea, frammentaria sì, ma ricca e articolata. IV-VI: le guerre con i popoli italici e la grande guerra contro Pirro;
Ennio autore di Una funzione celebrativa doveva essere fondamentale in tutta l’opera VII-X: le guerre puniche, di cui la prim a (celebrata da Nevio) doveva essere trattata
poesia celebrativa di Ennio. Abbiamo visto in sintesi che Ennio compose dirette celebrazioni molto di scorcio, e la seconda invece con grande-risalto;
di condottieri e uomini politici contemporanei: lo Scipio, e due epigrammi, X -XII: principalmente le campagne in Grecia, successive alla vittoria su Annibaie;
per Scipione Africano (Ennio compose anche epigrammi per se stesso, e X III-XVI: le guerre in Siria, e inoltre, nel libro XV, il trionfo di Fulvio Nobiliore
questo parallelo dice molto sulla sua autoconsiderazione); la pretesta Am - sugli Etoli;
bracia, dedicata alla campagna contro gli Etòli di Nobiliore. Il caso del- XVI-XVIII: le campagne militari più recenti, forse sino alla data di m orte del poeta
1’Ambracia è sintomatico, e in qualche modo fece epoca. L’età ellenistica (169 a.C .).
aveva visto un formidabile sviluppo della poesia «di corte»: presso le regge Titolo degli Il titolo Annales fa riferimento agli Annales Maximi (cfr. p. 7), le pub­
di sovrani ellenistici (ad Alessandria, Antiochia, Pergamo) albergavano poe­ Annales bliche registrazioni di eventi condotte anno per anno. Di fatto, anche l’ope­
ti che celebravano — spesso in narrazioni epiche — le gesta dei sovrani. ra di Ennio era condotta in ordine cronologico progressivo, «dalle origini
Un ben noto poeta epico, Cherilo di laso, aveva accompagnato il primo ai giorni nostri»; ma non dobbiamo pensare che Ennio trattasse tutti i perio­
e più grande sovrano, Alessandro Magno, e gli aveva dedicato i suoi omaggi di con lo stesso ritmo e la stessa concentrazione. Ennio è molto più selettivo
poetici. Poesia e panegirico si erano dunque intimamente saldati. Ennio, di uno storico, e si occupa quasi esclusivamente — a giudicare dai frammen­
partecipando alla campagna di Nobiliore come poeta «al seguito» (non co­ ti rimasti — di avvenimenti bellici: molto poco, invece, di vita politica interna.
me poeta-soldato: si ricordi Nevio) sembrò riproporre a Roma questo mo­ Fonti degli Gli Annales utilizzano ampiamente fonti storiografiche, di natura però
dello. Catone protestò vivacemente: questa iniziativa era, a tutti gli effetti, Annales a noi misteriosa — l’unica deduzione sicura è che Ennio abbia conosciuto
un atto di propaganda personale, al servizio di un comandante che era anche l’opera storica di Fabio Pittore. Tra le fonti poetiche primeggia Omero,
un influente membro della nobiltà. Si stabiliva così un vincolo sempre più a cui Ennio audacemente vuole appaiarsi (vedi sotto), anche se lo stile poeti­
stretto fra letteratura e potere: Andronico, e in qualche misura anche Nevio, co rivela chiari influssi di certa poesia ellenistica. Il grande predecessore
erano stati legati a personaggi influenti, ma non in modo così diretto. Nevio è presente, ma è anche oggetto di critica distanziante. Le idee di poe­
Gli Annales come Ennio vedeva la sua poesia come celebrazione di gesta eroiche: si riface­ tica di Ennio erano enunciate in forma programmatica nei proemi, che sono
celebrazione della va così da un lato ad Omero, dall’altro alla recente tradizione dell’epica forse il dato più notevole nella struttura degli Annales.
storia romana ellenistica, di argomento storico e di contenuto celebrativo. Nella parte più
tarda della sua carriera, Ennio si avvicinò così al grandioso progetto di una
celebrazione di tutta la storia romana, svolta in un unico e mastodontico
poema epico: gli Annales. L’opera risultò, per ampiezza e respiro, diversa 3. Ennio e le muse: la poetica
dai poemi celebrativi di periodo alessandrino. Il piano si sviluppò in diciotto
libri, certamente molte migliaia di esametri: i frammenti che ci restano as­
Sembra che Ennio avesse pianificato, in origine, una narrazione in quin­
sommano a qualche centinaio di versi.
dici libri, i primi quindici naturalmente: in tal caso, l’opera avrebbe avuto
LINGUA, STILE E METRICA 67
66 ENNIO

precedenti, sarebbe assurdo concepire Ennio come un isolato, senza tener


Piano originario un’efficace conclusione con il trionfo di Fulvio Nobiliore — protettore di En­
conto della ricca dottrina e della raffinata cultura bilingue già possedute
degli Annales e nio — narrato nel XV libro (riferito quindi al 187 a.C.), ed eventualmente con
successive
da un Andronico e da un Nevio, per non dire dei comici.
la consacrazione, da parte di Nobiliore stesso, di un tempio per le Muse, le
modificazioni Ennio poeta I frammenti che abbiamo documentano la fisionomia di un poeta pro­
divinità greche del canto e della poesia. Al trionfo di Nobiliore già si richiama­ «sperimentale» fondamente e audacemente «sperimentale». In alcuni casi la nostra impres­
va, come abbiamo visto, la tragedia pretesta Ambracia.
sione potrebbe essere accentuata e in parte distorta dal fatto che una buona
Per motivi non del tutto chiari — probabilmente per «aggiornare» la sua
parte dei frammenti enniani sono citati, dai grammatici tardi, proprio per
opera con la celebrazione di altre vittorie romane — Ennio aggiunse poi tre
le loro peculiarità (morfologiche, grammaticali, o metriche, o lessicali), per
libri al piano originario. La sua opera rimase comunque contras-
la presenza cioè di singoli tratti non comuni, o non classici.
segnata da due grandi proemi, al libro I e al libro VII (quest’ultimo dun­
Ennio accolse nel suo testo epico numerosi grecismi; non solo parole
que circa a metà dell’estensione originaria I-XV): sono i momenti, ben e-
greche, o costrutti alla greca, ma persino desinenze greche: inventò, ad esem­
videnziati nell’architettura complessiva del racconto, in cui il poeta pren­
pio, un occasionale genitivo in -oeo per riprodurre il genitivo omerico in
de più direttamente la parola e svela l’ispirazione e le ragioni del suo fare poesia.
-oio (forma esclusivamente poetica). Egli abbreviò in do l’accusativo di do-
Il primo proemio: Nel primo proemio il poeta raccontava di un suo sogno — il motivo deriva
mus, ancora ricalcando Omero, che ha una forma do per dòma, «casa».
Ennio dai proemi alla Teogonia di Esiodo e agii Aitia di Callimaco: era consuetudine
reincarnazione di che il poeta derivasse il suo canto da un incontro con le Muse, dispensatrici Scrisse sovente esametri tutti in dattili e tutti in spondei (per esempio laMttìr
Omero di doni poetici. Tuttavia Ennio, che pure aveva care le Muse, immaginò qual­ ùncta carina, volai super Tmpetùs ttndas, e ollT respOndTt rex ÀlbaT LongaT;
cosa di molto più audace: nel sogno appariva l’ombra di Omero, il capofila in entrambi i casi appare evidente una motivazione stilistica per la scelta
del ritmo). Scrisse esametri con pause sintattiche praticamente in qualsiasi
di tutti i poeti epici; e questo fantasma non solo faceva a Ennio delle rivelazio­
ni, ma addirittura gli garantiva di essersi reincarnato — secondo la dottrina punto del verso, anche là dove un personaggio prendeva la parola. Ideò
pitagorica sulla metempsicosi, la reincarnazione ciclica e continua delle anime versi tutti allitteranti, e tutti allitteranti nello stesso fonema: o Tite, tute,
— proprio in lui, nel poeta romano Ennio. Ennio si presentava così, nel modo Tati, tibi tanta, tyranne, tulisti («o Tito Tazio, tiranno, tu ti attirasti < di­
più diretto immaginabile, come la reincarnazione e addirittura il vivente «sosti­ sgrazie > tanto grandi!»); escogitò parole come taratantara, per riprodurre
tuto» del più grande poeta greco di tutti i tempi. Questa scena di iniziazione il suono di una tromba militare.
alla poesia resterà famosa in tutta la letteratura romana, e ben a ragione; non L’introduzione Quest’ultimo punto, l’allitterazione e la distribuzione dei suoni nel ver­
dell’allitterazione so, è di particolare interesse. Ennio è ricchissimo di queste figure di suo­
si potrebbe indicare un simbolo più impressionante della volontà con cui i poeti in un verso di
romani si appropriano dei modelli greci, facendosi «incarnare» da essi. no; si veda ad esempio lo stupendo discorso di Ilia, modello di stile pa­
origine greca
Il «proemio al Nel proemio al libro VII, il «proemio al mezzo» degli Annales, Ennio tetico:
mezzo»: Ennio dava più spazio alle divinità simboliche di tutta la sua poesia, le Muse che
poeta «filologo» haec ecfatus pater, germana, repente recessit
con lui (e con Nobiliore trionfatore dei Greci) prendevano piena cittadinanza
nec sese dedit in conspectum corde cupitus,
a Roma. Il poeta sottolineava che queste erano proprio le Muse dei grandi
quamquam multa manus ad caeii caerula /empia
poeti greci, non più le «Camene» dell’arcaico e ormai superato Andronico
/endebam lacrumans et blanda voce vocabam.
(cfr. p. 28); e certamente polemizzava.anche con Nevio, che aveva poetato
Vix aegro cum corde meo me somnus reliquit.
in saturni, il verso — così lo definisce Ennio — cantato da Fauni vatesque,
il verso del passato precivilizzato, adatto alle divinità campestri e agli ance­ («così parlò il padre, o sorella, e d’un tratto sparì, non si offrì più alla
strali profeti. Ennio è raffigurato invece come il primo poeta dicti studiosus, mia vista, anche se lo desideravo in cuor mio, per quante volte io tendessi
cioè, con un preciso calco linguistico dal greco, il primo poeta filologo, culto­ le mani verso gli azzurri spazi del cielo, chiamandolo con voce affettuosa.
re della parola; in altri termini, il primo che può stare alla pari con la raffina­ Solo ora m ’ha lasciato il sonno, col mio cuore in pena»). Qui — è uno
ta cultura alessandrina e con la poesia contemporanea di lingua greca. I poeti degli esempi più felici — lo stile allitterante accompagna il pathos della si­
alessandrini del III-II secolo si presentavano appunto come poeti e insieme tuazione e dà enfasi allo sconcerto di un sogno inquietante.
critici, produttori di poesia e insieme studiosi, e teorici, della letteratura. Questo stile allitterante era istituzionale, tipico dei carmina più antichi;
Sicuramente Ennio, nell’affermare orgogliosamente la sua priorità fra i Ro­ lo ritroviamo nei proverbi, nelle leggi, nelle formule sacrali, e passa anche
mani, poteva riferirsi all’importanza di essere stato il primo ad adottare l’esa­ nei saturni di Nevio, nei versi della commedia neviana, plautina o ceciliana.
metro dattilico, il verso regolare della grande poesia greca. Ennio lo «importò» nell’esametro, sottoponendo così un verso greco agli
effetti di uno stile specificamente romano (nella poesia greca l’allitterazione
non gioca un ruolo apprezzabile).
4. Lo sperimentalismo enniano: lingua, stile e metrica La costruzione Molte innovazioni dello sperimentatore Ennio ebbero grande futuro nel­
deH’esametro la letteratura romana. La ripresa dell’esametro greco fece storia, ma non
latino fu l’unica conquista di Ennio. Egli lavorò per adattare la lingua latina all’e­
Da quello che ci offrono i frammenti, questa orgogliosa rivendicazione
sametro e l’esametro alla lingua latina. Sicuramente elaborò regole precise
era pienamente giustificata nei fatti: anche se, come si è visto nei capitoli
68 ENNIO ENNIO E L’ETÀ DELLE CONQUISTE - BIBLIOGRAFIA 69

per la collocazione delle parole nel verso, per l’incontro di fonemi vocalici e senso delle relazioni sociali in una sintesi modernizzante. Il grande ruolo
(sinalefe, iato) e per l’uso delle cesure. Se i suoi esametri ci sembrano anar­ che Ennio tributava alla letteratura — come sappiamo da varie testimonian­
chici e capricciosi, è perché ci fa velo il contrasto con i versi fluidi e manie­ ze — è del tutto coerente con questa tendenza umanistica e grecizzante:
rati di Catullo o di Ovidio: ma questi poeti possono ormai contare su una è la poesia che deve portare incivilimento.
lunga tradizione esametrica. Gli Annales e il Ennio restò per molti secoli il poeta nazionale romano, raggiunto in
L’allitterazione L ’aspetto più «arcaico» dello stile enniano — quello che i poeti successi­ successivo questa sfera esemplare solo da Virgilio. Questa prospettiva postuma può
dopo Ennio vi sentiranno più estraneo e superato — sta appunto nell’incontro fra esame­ sviluppo essere deformante: gli Annales non potevano già contenere una sintesi com­
dell’imperialismo piuta dell’imperialismo romano, per il semplice motivo che Ennio non visse
tro e stile allitterante. Questo stile ripetitivo era per così dire connaturato
romano abbastanza: nel periodo di composizione del poema, grandi successi militari
a versi come il senario plautino o il saturnio neviano: versi metricamente
molto liberi, con infinite possibilità di realizzazione. In quei versi l’allittera­ e grandi movimenti di espansione — soprattutto verso la Grecia e F Orien­
zione dava una specie di regolarità, di «armatura» ritmica. Ma l’esametro te — determinano un cruciale cambiamento di prospettiva; nella prima
metà del II secolo si può dire che Roma evolva compiutamente da potenza
era, per sua natura e struttura, un verso molto più uniforme e regolare;
provinciale (anche se militarmente robusta) a forza egemone del Mediter­
applicato all’esametro, lo stile allitterante suonava monotono e cadenzato.
raneo. È bene ricordare che Ennio morì circa un anno prima della tappa
I poeti successivi faranno, per ciò, un uso più selettivo e misurato delle
più importante di questo processo, la battaglia di Pidna. Certamente la
figure di suono nei loro esametri, cercando di «motivarle», cioè di usarle sua opera recava testimonianza di un mutamento, ma difficilmente Ennio
solo con particolari finalità espressive. Ma l’evoluzione fu, comunque, gra­ — che pure aveva disposizione filosofica, e passione di storico — potè trac­
duale e progressiva. Un autore come Lucrezio è ancora profondamente lega­ ciare un consolidato bilancio: il primo, vero bilancio dell’imperialismo ro­
to alla temperie stilistica enniana, e la soglia decisiva si colloca verso la mano sarà tracciato nella generazione successiva, da Polibio, il massimo in­
rivoluzione stilistica dei poetae novi. Al culmine di questa evoluzione, Virgi­ tellettuale greco di quella che, per parte romana, si usa chiamare «età de­
lio allittera molto meno di Ennio e, spesso, lo fa perché vuole, per un mo­ gli Scipioni».
mento, suonare enniano, e far sentire nei suoi versi il codice di una poesia
più antica e tradizionale, ma ormai lontana.

Bibliografia A ncora basilare l’edizione di tutto logia e storia della lingua latina, Roma
5. Ennio e l’età delle conquiste Ennio di J . V a h l e n , Ennianae poesis re- 1978, p. 623 segg. (che rubrica e aggior­
liquiae, Leipzig 19033 (rist. Amsterdam na i numerosi contributi enniani dell’au­
1963; invecchiata l’edizione degli A n n a ­ tore). Su Ennio tragico im portante A.
La celebrazione Sul piano dei contenuti morali e ideali, gli Annales accentuano una ten­ les di L. V a lm a g g i , T orino 1900), con T r a in a , Vortit barbare, Rom a 19742, p.
delia virtus amplissima introduzione; oggi le si affian­ 113 segg.
denza che già doveva essere operante in Nevio: fissare nel testo epico non solo Un p o ’ trascurate sono rimaste le
aristocratica cano le aggiornate edizioni con commen­
racconti di gesta, ma anche valori, esempi di comportamento, modelli cultu­ to di H . D. J o c e l y n , The Tragedies opere m inori, che andrebbero inquadra­
rali. La Grecia aveva fatto dell’epica di Omero il proprio «Libro» fonda- o f Ennius, Cambridge 1967, e di O. te nei loro rapporti con la cultura elleni­
mentale: su questa scia, i primi poeti epici romani tentano di rispondere al S k u t s c h , The A nnals o f Q. Ennius, Ox­ stica. C ontributi in questo senso in M.
ford 1985. B e t t in i , Studi e note su Ennio, Pisa 1979.
bisogno di una poesia «formativa». La visione del mondo che Ennio comu­
Il meglio della filologia enniana si Buona parte delle edizioni e degli stu­
nica nel suo poema è, per quanto possiamo capire, il trionfo dell’ideologia può trovare in opere come S c ev o la M a - di citati si occupano anche della fortuna
aristocratica. Gli Annales celebravano la storia di Roma come somma di r io t t i , Lezioni su E nnio, Torino 19632; di Ennio nelle lettere latine; cfr. anche
imprese eroiche, dettate dalla virtus degli individui: degli individui eccellenti, O. S k u t s c h , Studia Enniana, London E. N o r d e n , E nnius u n d Vergilius,
i grandi nobili e magistrati che hanno guidato disciplinati eserciti alla vittoria. 1968; S. T im p a n a r o , C ontributi di filo ­ Leipzig-Berlin 1915.
Dai frammenti che abbiamo emergono ritratti di grandi condottieri e grandi
uomini di stato — più che celebrazioni anonime e collettive, come quelle
che talora cogliamo nei frammenti di Nevio. (Ricordiamo anche che Catone
scrisse intorno al 170 una storia romana senza fare i nomi dei singoli magi­
strati e condottieri; e ricordiamo la polemica di Catone contro la spedizione
di Ambracia). Ennio è dunque il più grande poeta di una cerchia aristocrati­
ca che «rilegge» la storia di Roma in funzione dei propri valori ed interessi.
Tipica di questo periodo è la ricerca di una concezione «colta» e «urna-,
nistica» della virtus: e infatti Ennio non elogia solo, omericamente, le virtù
guerriere, ma anche, forse soprattutto, le virtù di pace: saggezza, modera­
zione, saper pensare e saper parlare. Questo aspetto degli Annales fa già
pensare alla generazione di Terenzio, e al tentativo di amalgamare tradizio­
nali virtù aristocratiche e cultura greca, sviluppando insieme individualismo
GLI INIZI DELLA STORIOGRAFIA SENATORIA 71

Opere Orazioni: Cicerone conosceva più di centocinquanta orazioni di Catone. Oggi


CATONE conosciamo i titoli e le occasioni di circa ottanta di esse, una ventina delle quali
risalgono all’anno della censura. Possediamo anche diversi frammenti.
Origines, un’opera storica in sette libri composta in vecchiaia; ne sopravvivo­
no alcuni frammenti.
Un trattato De agri cultura (conservato), il testo di prosa latina più antico
che ci sia giunto intero. Consta di una prefazione e di 170 brevi capitoli.
Una serie di operette indirizzate al figlio Marco, fra le quali erano un De
medicina', un’opera di retorica, un trattato di arte militare, ecc.; ma potrebbe an­
che trattarsi di diverse sezioni di una stessa opera, talvolta designata col titolo
generale di Praecepta ad filium.
Carmen de morìbus (probabilmente un’opera in prosa: il termine carmen sem­
Vita Marco Porcio Catone nacque nel 234 a.C. a Tusculum (nei pressi della odier­ brerebbe designare la prosa ritmica).
na Frascati) da una famiglia plebea di agricoltori benestanti; combattè nella guer­ Apophthegmata: una raccolta di detti memorabili o aneddoti che andavano
ra contro Annibaie, e nel 214 fu tribuno militare in Sicilia. L’aristocratico Lucio sotto il nome di Catone, alcuni dei quali sono citati da autori come Cicerone
Valerio Fiacco lo aiutò nella carriera politica. Nel 204 Catone fu questore al segui­ o Plutarco.
to di Scipione in Sicilia e in Africa, nel 199 edile plebeo, nel 198 pretore con
l’incarico deH’amministrazione della Sardegna. Nel 195 l'homo novus Catone fu
console insieme a Valerio Fiacco; durante l’esercizio della carica, si oppose alla Fonti La Vita di Catone di Plutarco; la Vita di Catone di Cornelio Nepote; il Cato
revoca della Lex Oppia, una legge suntuaria che limitava soprattutto le spese Maior de senectute di Cicerone; sezioni dei libri XXIX, XXXII, XXXIV, XXXVI,
delle donne appartenenti a famiglie ricche; gli fu affidata la Spagna, dove agì XXXVIIl-XXXIX, XLIII e XLV di Tito Livio.
con severità nei confronti delle tribù ispaniche e coltivò la propria fama di efficien­
za e frugalità.
Nel 191 a.C. come tribuno militare con Valerio Fiacco, ai comandi del conso­
le Acilio Glabrione, combattè alle Termopili e svolse una importante missione
diplomatica in Atene e in altre città della Grecia. A partire dal 190 è impegnato
1. Gli inizi della storiografia senatoria
come accusatore in una serie di processi politici contro esponenti della fazione
dominante degli Scipioni. Nel 184 è censore insieme a Valerio Fiacco; esercitò
la carica presentandosi come il campione delle antiche virtù romane contro la La storiografia Catone scrisse le Origines in vecchiaia, dando inizio alla storiografia
degenerazione dei costumi e il dilagare di tendenze individualistiche parzialmente
«impegnata» di in latino; per Fannalistica romana in lingua greca, come quella di Aulo Po­
influenzate dalla cultura ellenistica. Accanto e parallelamente alla polemica con­ Catone stumio Albino (cfr. p. 54), il Censore ostentava derisione e disprezzo. Fino
tro il lusso dei privati, Catone esaltava la ricchezza e la potenza dello stato, che dai suoi inizi, come abbiamo visto, la storiografia romana aveva risentito
doveva risultare evidente agli occhi di tutti: promosse, perciò, in qualità di cen­ del fatto di essere elaborata soprattutto da membri della élite senatoria, an­
sore, un vasto programma di edilizia pubblica. La censura di Catone rimase ce­ che se spesso non dai personaggi politicamente più eminenti: il caso di Cato­
lebre per la intransigenza con la quale egli esercitò la carica, dando sfogo al ne, cioè di un uomo politico di primo piano che scrive storia (diverso è
suo rigore moralistico. Anche in seguito, il suo atteggiamento gli procurò molte evidentemente il caso dei Commentarii autobiografici di personaggi come
inimicizie, e fu spesso coinvolto in processi, come accusatore e come difensore. Siila o Cesare) era destinato a restare praticamente isolato nella cultura la­
Nel 181 si oppose alla revoca di un’altra legge suntuaria, la Lex Orchia, nel 169
tina.
appoggiò la Lex Voconia, che limitava il diritto di eredità per le donne. Nel 167
si oppose alla guerra contro Rodi (restano frammenti della sua Oratio prò Rho-
L ’elaborazione ad opera di membri della classe dirigente — che vede
diensibus, che lo stesso Catone aveva riportato nelle Origines): forse, con una in essa un modo dignitoso di occupare il proprio otium — conferisce alla
parte della classe dirigente, prima della terza guerra punica egli pensava alla nascente storiografia romana soprattutto un vigoroso impegno politico: nel­
possibilità di un equilibrio fra le potenze del Mediterraneo, e per questo si oppose l’opera storica di Catone avevano largo spazio le sue preoccupazioni per
alla fine dell’indipendenza di Rodi e fu favorevole anche aH’indipendenza della la dilagante corruzione dei costumi, e la rievocazione delle battaglie perso­
Macedonia. nalmente condotte, in nome della saldezza dello stato, contro l’emergere
Nel 155 parlò contro i tre filosofi che Atene aveva inviato a Roma come di singoli personaggi di prestigio con marcate tendenze individualistiche e
ambasciatori (cfr. p. 57), ottendone l’espulsione (probabilmente la sua cultura con­ al «culto della personalità», come alcuni membri della cerchia scipionica
servatrice temeva che costoro, in particolare Cameade con le sue «antilogie» sul­ (primo fra tutti FAfricano Maggiore). Perciò Catone accoglieva nelle Origi­
la giustìzia, potessero insinuare, nella mentalità dei Romani colti, dubbi sulla vali­
nes le proprie polemiche politiche, e vi riportava proprie orazioni, come
dità del modello etico tradizionale). Nel 153, nel corso di una visita a Cartagine,
che dopo la sconfitta nella seconda guerra punica stava conoscendo l’inizio di
quella in favore dei Rodi o quella contro Sulpicio Galba: si è anzi supposto
una nuova fioritura, Catone si convinse che la sopravvivenza di Roma era legata
verosimilmente che una parte dell’opera storica di Catone fosse una sorta
alla distruzione della sua antica rivale. Si fece perciò promotore della terza guerra di autocelebrazione. Del resto, egli tendeva a privilegiare la storia contempo­
punica, ma morendo nel 149 a.C. non arrivò a vedere la distruzione della città­ ranea, alla quale era dedicata quasi la metà (tre libri su sette) di un’opera
nemica. che si rifaceva molto addietro, dalle stesse origini di Roma.
72 CATONE IL TRATTATO SULL’AGRICOLTURA - LA BATTAGLIA POLITICO-CULTURALE 73

Riassunto delle Il I libro era dedicato alla fondazione di Rom a, il II e il III alle origini delle città prendere intenti e destinatario del De agri cultura è importante il proemio,
Origines italiche (il titolo dell’opera si addiceva propriam ente solo a questi primi tre libri). dove Catone indica nell’agricoltura soprattutto un’attività acquisitiva, che
Il IV libro narrava la prim a guerra punica, il V la seconda, il VI e il VII gli avveni­
vari motivi di opportunità sociale consigliano di preferire ad altre, come
menti fino alla pretura di Servio Sulpicio G alba, nel 152 a.C . Come si vede, le
proporzioni dell’opera aum entavano m an mano che ci si avvicinava all’epoca presen­ il prestito a usura, immorale, o il commercio transmarino, troppo rischioso.
te: gli ultimi due libri abbracciavano meno di un cinquantennio e costituivano una L ’agricoltura è più sicura e più onesta; per di più, è col lavoro agricolo
dettagliata storia contem poranea. che si formano i buoni cittadini e i buoni soldati.

La storia di . Nel tentativo di soffocare sul nascere il culto «carismatico» delle grandi Il De agri cultura Il tipo di proprietà che Catone descrive rappresenta probabilm ente il passaggio dalla
Roma come personalità, Catone elaborò una concezione della storia di Roma che insiste­ e la nascita del piccola proprietà familiare alle più vaste tenute basate sulla concentrazione e lo sfrut­
opera collettiva di latifondo tam ento intensivo degli schiavi, che le conquiste d ’oltremare avevano incominciato
va soprattutto sulla lenta formazione dello stato e delle sue istituzioni attra­ a mettere a disposizione dei Rom ani in masse grandissime. Catone, hom o novus
un popolo
verso i secoli e le generazioni (una concezione che verrà in parte ripresa che ha assorbito i valori dell’aristocrazia, si sforza di collocare il dominio aristocrati­
da Cicerone nel De re publica): la creazione dello stato romano era vista co su rinsaldate basi economiche e ideologiche: nell’epoca dell’espansione della schiavitù
come l’opera collettiva del populus Romanus stretto intorno alla classe diri­ agricola egli m ostra alla nobiltà ed ai ceti da essa egemonizzati come trovare una
gente senatoria. Perciò Catone, in probabile rottura con alcune tendenze fonte di grossi profitti in quel possesso fondiario che costituisce il retaggio tradizio­
nale dei gruppi dirigenti, senza bisogno di rivolgersi a forme più «dinamiche», ma
della tradizione annalistica spesso elaborata da membri di famiglie nobili, anche più pericolose, di investimento (dalle quali tuttavia Catone personalmente non
non faceva i nomi dei condottieri, né romani né stranieri: lo stesso Anniba­ rifuggiva: sappiam o di un suo coinvolgimento in commerci marittimi); restando at­
ie, come si vede da un frammento conservato, era chiamato dictator Cartha- taccata alla terra, la classe dirigente resterà attaccata anche ai valori etico-politici
giniensium. Probabilmente l'homo novus di Tusculum intendeva oscurare che costituiscono il fondam ento ideologico del suo potere.
il prestigio delle gentes con quello della res publica. A quanto pare, talora
Catone portava invece nella luce della storia i nomi di personaggi più oscuri, L’ideologia Il De agri cultura costituisce una precettistica generale del comporta­
di eroi di rango meno elevato, proprio per questo meritevoli di essere presi pragmatica del mento del proprietario terriero. Questi, proposto, secondo la tradizione pa­
a emblema dell’eroismo collettivo del popolo romano: così Catone dedicava De agri cultura triarcale, nelle vesti di pater familias, dovrà essere presente il più possibile
un certo spazio al resoconto delle gesta valorose di un tale Quinto Cedicio. nella propria tenuta per sorvegliare la puntuale esecuzione di tutti i lavori.
La valorizzazione Per altri versi, le Origines mostravano notevolissima apertura di oriz­ Lo stile è scarno e conciso, ma colorito da espressioni di saggezza popolare
di italici e zonti. Forse la provenienza extraurbana dell 'homo novus Catone contribuì e campagnola che volentieri si esprimono in icastiche formulazioni prover­
stranieri a fare sì che egli si interessasse vivamente, nel II e nel III libro, alla storia biali. All’effetto contribuisce la patina arcaizzante: allitterazioni, omeoteleu-
delle popolazioni italiche, mettendo in rilievo il contributo che queste aveva­ ti, ripetizioni si trovano in abbondanza nel De agri cultura. Sarebbe tuttavia
no dato alla grandezza di Roma e alla costruzione del modello etico tradizio­ erroneo credere di trovarsi di fronte a una bonaria civiltà agricola patriarca­
nale. Della propria gente, i Sabini, egli vantava per esempio la dirittura le. Da alcuni passi traspare la brutalità dello sfruttamento degli schiavi (Ca­
morale e la tendenza alla parsimonia, dovute in primo luogo alle origini tone raccomanda di vendere come un ferrovecchio lo schiavo anziano o ma­
spartane che erano loro attribuite e rinsaldate dal duro rapporto con la ter­ lato e perciò inabile al lavoro). Si deve anche tenere presente che nel De
ra. Ma Catone dimostrava altresì un interesse quasi etnografico per i popoli agri cultura l’attività agricola è considerata come un’impresa su vasta scala:
stranieri, per esempio per certi costumi delle popolazioni africane e spagno­ il proprietario dovrà avere vasti magazzini in cui tenere depositata la merce
le; probabilmente i particolari che egli forniva risalivano a osservazione di­ in attesa del rialzo dei prezzi, dovrà comprare il meno possibile e vendere
retta, perché con i popoli dell’Africa e della Spagna Catone era stato in il più possibile, avere la mentalità del produttore e non quella del consuma­
diretto contatto nel corso della sua carriera politica e militare. tore. Si possono cogliere qui nelle loro radici elementari i tratti salienti del­
l’etica catoniana, che sono poi gli stessi che la riflessione tardorepubblicana
indicherà come costitutivi del mos maiorum: virtù come parsimonia, duritia,
industria, il disprezzo per le ricchezze e la resistenza alla seduzione dei piace­
2. Il trattato sull’agricoltura ri mostrano come il rigore catoniano non sia la saggezza pratica di un conta­
dino ingenuo e incorrotto, ma rappresenti il risvolto ideologico di un’esigen­
za genuinamente pragmatica: trarre dall’agricoltura vantaggi economici, an­
Il De agri cultura Il De agri cultura non lascia spazio agli ornamenti letterari né alle rifles­ zi accrescere la produttività del lavoro schiavistico ad essa applicato.
come «strumento sioni filosofiche sulla vita e il destino degli agricoltori diffuse in tanta parte
di lavoro» della successiva trattatistica agricola latina; l’opera consiste, per la gran par­
te, in una serie di precetti esposti in forma asciutta e schematica, ma talora
di grande efficacia. Il tono precettistico e sentenzioso doveva del resto essere 3. La battaglia politico-culturale di Catone
particolarmente caro a Catone, informando opere come i Praecepta ad fi-
lium (su vari argomenti; ma titolo e struttura sono incerti) e il Carmen de Lo stile oratorio di Catone, a quanto ci è dato di cogliere dai frammenti
moribus, una raccolta di sentenze lapidarie di argomento morale. Per com- dei suoi discorsi, era vivace e ricco di movimento; certo molto meno soste-
74 CATONE LA FORTUNA D I CATONE - BIBLIOGRAFIA 75

Catone oratore: il nuto e arcaizzante di quello del trattato sull’agricoltura. Una famosa massi­ 4. La fortuna di Catone
rifiuto ideologico ma, tramandata come facente parte dei Praecepta ad filium , sembrerebbe
della cultura sintetizzare le idee di Catone in fatto di retorica: rem tene, verba sequentur
greca Catone il Censore: l’appellativo lo irrigidisce nella sua funzione censo­
(«abbi ben chiaro il contenuto, e le parole verranno da sé»): un ostentato ria e ne denuncia la trasformazione da personaggio a simbolo, simbolo del
rifiuto dell'ara, della tèchne retorica di matrice greca, testimoniato anche rigido custode della tradizione e del conservatorismo. E come figura che
in alcuni aneddoti sul Censore. Questo rifiuto dell’elaborazione stilistica va assommava in sé le virtù fondamentali della Roma del passato — austerità,
interpretato alla luce della costante polemica catoniana contro la penetrazio­ parsimonia, attaccamento al lavoro, rigore morale — Cicerone lo idealizzò
ne in Roma del costume e della cultura greca, nelle loro varie forme. In nel De re publica e poi soprattutto nel famoso dialogo Cato maior de senec-
realtà, di lettere greche Catone non era affatto ignaro come vorrebbe la tute, mitigandone però le più dure asprezze del carattere e i tratti più intran­
tradizione secondo la quale solo in tarda età egli si sarebbe accostato allo sigenti della sua avversione contro la nobiltà filellenica, nel tentativo di ri­
studio di quella lingua. Il De agri cultura si avvale largamente delle acquisi­ comporre in una sostanziale unità i contrasti ideologici del passato.
zioni della scienza agricola greca; sulle Origines si facevano forse sentire Il personaggio di Catone avrà l’onore di varie biografie, quella di Cor­
influenze dello storico greco Timeo; e anche nelle orazioni, la tecnica retori­
nelio Nepote (età di Cesare), quella di Plutarco (I-II secolo d.C.), quella
ca di matrice greca, più che assente, era sapientemente dissimulata in modo infine contenuta nell’anonima opera De viris illustribus (IV secolo d.C.).
da dare all’uditorio l’impressione della immediatezza vivace e non dell’ela­ Livio ne apprezzò le doti ma non risparmiò le critiche all’intransigente
borazione da tavolino.
intégralismo di colui che gli appariva «un mastino accanito contro la nobiltà».
Polemica Personalmente impregnato di cultura greca, Catone non combatteva tanto
antigreca e
La più alta valutazione delle sue qualità di scrittore si ebbe con gli ar­
quella cultura in sé, quanto certi suoi aspetti «illuministici», di critica dei
difesa caizzanti del II secolo d.C., con Gellio, con Frontone, con l’imperatore Adria­
valori e dei rapporti sociali tradizionali, che erano stati il lascito della rifles­
dell’aristocrazia no: e gli ultimi due lo anteponevano allo stesso Cicerone. Ma dopo il IV
sione sofistica. Gli elementi «illuministici» della cultura greca potevano eser­
secolo la conoscenza diretta delle sue opere va scomparendo (sotto il suo
citare, agli occhi di Catone, un’azione corrosiva sulle basi etico-politiche nome circolava ormai una raccolta di massime morali in versi, i cosiddetti
della res publica e del regime aristocratico: con queste preoccupazioni si Disticha o Dieta Catonis). Soltanto il De agri cultura sopravviverà integral­
spiegano probabilmente le successive espulsioni da Roma di filosofi e intel­ mente in virtù della sua tecnicità e della sua funzione utilitaristica.
lettuali greci, a partire forse dal 173. D’altro lato, c’era anche il pericolo
che l’imitazione di certi costumi ellenizzanti potesse mettere in pericolo l’u­
nità e la coesione interna dell’aristocrazia, portando all’affermazione sopra
gli altri di personalità di prestigio eccezionale, «carismatiche». In questa ot­ librum de re rustica quae extant, Leip­
tica, si comprende la battaglia di Catone in favore delle leggi suntuarie, Bibliografia Edizioni moderne: i fram m enti delle
orazioni in Oratorum R om anorum Frag- zig 1860.
che limitando i consumi dei ricchi aristocratici, limitavano anche le manife­ m enta, a cura di E. M a l c o v a t i , Torino Studi: E. V. M a r m o r a l e , Cato
stazioni di sfarzo e di ostentazione da parte di singoli gruppi familiari; per 19764; edizione della Oratio prò Rhodien- maior, Bari 1949; F. D ella C o r t e , Ca­
dì più, cercando di impedire che i patrimoni venissero dissipati in tali mani­ sibus a cura di G . C albo li, Bologna 1978. tone censore: la vita e la fo rtu n a , Fi­
I frammenti delle Origines in Historico- renze 19692; A . E. A s t in , Cato thè Cen-
festazioni di prestigio, le leggi suntuarie si preoccupavano anche di evitare sor, O xford 1978; S. B o s c h e r in i , L in ­
rum Rom anorum Reliquiae, a cura di H.
il sorgere di eccessive disuguaglianze economiche all’interno della classe diri­ P e t e r , I, Leipzig 19142. D e agri cultura·. gua e scienza greca nel «De agri cul­
gente, pericolose perché potevano insidiarne la stabilità. H . K e il (Leipzig 1882-1902); G . G o e t z tura» di Catone, Firenze 1970; R. T il l ,
La giusta fusione Nella sua opera letteraria, Catone probabilmente si propose il compito (Leipzig 1922); W. D. H o o p e r -H . B. A sh L a lingua di Catone, traduzione italiana
di grecità e (Cambridge, M a ss . - London 1934); A . Rom a 1968; A . M a z z a r in o , Introduzio­
di elaborare una cultura che, mantenendo radici ben salde nella tradizione
romanità M a z z a r in o (Leipzig 19822). Per le altre ne al «De agri cultura» di Catone, Roma
romana, sapesse accogliere gli apporti greci, senza tuttavia farne aperta pro­ opere: H. J o r d a n , M . Catonis praeter 1952.
paganda. Sappiamo che Catone, il quale aveva combattuto Scipione Africa­
no, fu in buoni rapporti con l’Emiliano; questa notizia è quasi un presagio
delle future sorti della cultura latina. Attraverso gli intellettuali della cerchia
dell’Emiliano, la cultura greca, penetrando in Roma, scorrerà d’ora in poi
entro gli argini voluti dalla aristocrazia romana; lascerà filtrare un po’ di
razionalismo, in una misura forse superiore a quella che Catone avrebbe
potuto sopportare, ma comunque mantenendosi entro i limiti della conserva­
zione politico-sociale: per approdare a una nuova sintesi di mos maiorum
ed edulcorate spinte «illuministiche», che costituirà a sua volta la base della
riflessione etico-politica di Cicerone.
LO SFONDO STORICO 77
commento a Terenzio di Elio Donato, del IV secolo); Svetonio utilizzava ampia­

TERENZIO mente eruditi di età repubblicana, ma la qualità delle notizie è controversa, dato
che molti particolari della vita erano oggetto — fin dai tempi stessi di Terenzio,
vedi sopra — di voci contrastanti e di polemiche. Il commento di Donato è una
delle migliori opere del genere giunte fino a noi, e ha buone informazioni su
questioni di tecnica teatrale e di messa in scena delle commedie.
La stessa data di nascita è dubbia perché il 184 è attestato anche come
anno di morte di Plauto (era uso nelle biografie antiche sincronizzare nascite
e morti di autori che venivano in qualche modo a «succedersi» nell’eccellenza
in un determinato genere letterario). Anche l’aneddoto secondo cui Terenzio avreb­
be letto il suo primo lavoro — l'Andria — al grande commediografo Cecilio Stazio,
ricevendone grande incoraggiamento, potrebbe essere fatto apposta per collega­
Vita Originario di Cartagine, sarebbe nato nel 185/184, ma la notizia è sospetta re due diverse generazioni letterarie.
(vedi più sotto); più probabile una data di circa 10 anni anteriore. Sarebbe giunto
a Roma come schiavo di un certo senatore Terenzio Lucano; siamo a qualche
anno di distanza dalla seconda guerra punica, ma non è chiaro di quale precisa
occasione si tratti. Tutte le fonti antiche sottolineano i suoi stretti rapporti con
Scipione Emiliano e Lelio; questi nobili furono sicuramente suoi protettori, e Te­ 1. Lo sfondo storico
renzio anche nelle sue commedie ha qualche accenno al sostegno ricevuto da
illustri amici (Heautontimorumenos 23 segg.; Adelphoe 15 segg.). Su questi rap­
porti correvano voci ostili di vario tipo, sia di natura sessuale, sia letteraria; i La battaglia di Le pur controverse notizie biografiche antiche inseriscono Terenzio al
veri autori delle opere terenziane sarebbero stati Scipione o Lelio (questo tipo Pidna: centro di quella che gli storici moderni usano chiamare «età degli Scipioni».
di illazione ha paralleli, come è noto, anche nella biografia di Shakespeare). È a) si apre un Il debutto teatrale di Terenzio risulta collocarsi due anni dopo la battaglia
chiaro che queste voci vanno inquadrate nel clima di una rovente polemica, sia periodo di pace di Pidna che, con la definitiva vittoria sui Macedoni, costituì un momento
letteraria che politica, che caratterizzava quegli anni.
cruciale nell’evoluzione della potenza romana e nei rapporti di Roma con
Terenzio sarebbe morto nel 159, o comunque ben prima della terza guerra
l’oriente greco. Di qui in avanti per circa vent’anni — dunque ben oltre
punica, nel corso di un viaggio in Grecia intrapreso con scopi culturali. Il dato,
se genuino, è interessante, perché questi tour culturali della Grecia diventeranno la morte di Terenzio — si ha un lungo periodo di pace, in cui Roma consoli­
in seguito caratteristici nella formazione dei Romani colti. Un episodio del genere da la sua posizione di potenza imperiale.
è riferito anche a proposito della morte di Virgilio. I dettagli sulle circostanze b) la Grecia La data di Pidna, il 168, è uno spartiacque anche da un secondo punto
di morte (annegamento) sono poco credibili: si può pensare ad un voluto accosta­ penetra in Roma di vista. Il trionfo di Lucio Emilio Paolo, che trascinava dietro al suo carro
mento con la morte per annegamento attestata anche per il grande comico Me­ i tesori della corte macedone, fu quasi un simbolo dell’appropriazione di
nandro, suo riconosciuto ispiratore. un mondo. In seguito alla vittoria furono deportati a Roma mille ostaggi
La tradizione figurativa, in ossequio alle origini puniche e al cognome Afer, Achei, tra cui intellettuali come lo storico Polibio: l’uomo che nella sua
dà di Terenzio un’immagine tipicamente cartaginese: questo non ha, ovviamente, opera, per la prima volta da parte greca, svilupperà una matura riflessione
preciso valore di documento biografico.
sulle cause del successo di Roma come potenza egemone. L ’appropriazione
Opere La cronologia delle opere è attestata con precisione — anche se alcuni parti­ del mondo greco si sviluppò dunque su più livelli distinti: modificazioni nel
colari sono aperti a discussione — nelle didascalie anteposte, nei manoscritti, gusto e nella mentalità, crescita dei consumi di lusso e dei consumi d’arte,
alle singole commedie (frutto del lavoro filologico e delle ricerche erudite dei gram­ interessi per nuovi modelli culturali e ideologici; quest’ultimo aspetto prese
matici antichi). Si tratta di sei commedie, integralmente tramandate a noi: Andria, forza attraverso nuovi tipi di contatto culturale. Un grande clan nobiliare,
rappresentata (con medio successo) nel 166; Hècyra (La suocera), rappresentata la casata degli Scipioni, diventò un centro di elaborazione di cultura greciz­
nel 165 con totale insuccesso (nonostante la bravura di Ambivio Turpione, l’attore zante, non più passivamente importata, o mediata ad un livello popolare,
e impresario teatrale di tutte le commedie terenziane), poi riproposta senza suc­
ma ricondotta alla più alta dignità teorica. In questo senso è significativa
cesso insieme agli Adelphoe, infine presentata con successo (al terzo tentativo,
dunque) sempre nell’anno 160; Heautontimorùmenos (Il punitore di se stesso),
la presenza presso gli Scipioni del grande filosofo stoico Panezio di Rodi,
rappresentata con buon esito nel 1.63; Eunuchus, nel 161: fu il maggior successo come dello stesso Polibio; mentre va diffondendosi, con l’insegnamento di
di pubblico e «commerciale» per Terenzio; Phormio, rappresentata (con succes­ Cratete (attivo a Roma nel 168), un nuovo tipo di eloquenza e di dottrina
so) nel 161; Adelphoe (I fratelli), nel 160. Le commedie, complessivamente di retorica.
circa 6000 versi, vanno dagli 880 versi dell’Hécyra ai 1094 deW’Eunuchus. Novità nella Il nuovo indirizzo portò, proprio con Terenzio, a innovazioni anche nel­
I modelli greci utilizzati da Terenzio, e dichiarati nei prologhi, appartengono tutti commedia: la poesia scenica. Il genere comico era stato, con Plauto, un grande momen­
alla Commedia Nuova attica: Menandro, Difilo, e il meno celebre Apollodoro di Cari- l’attenzione ai to di intrattenimento popolare. Poco importa, da questo punto di vista,
sto. Sulla poetica di Terenzio nell’utilizzare modelli greci cfr. p. 81 seg. «significati» quanto fosse profondamente raffinata l’arte di Plauto, con la sua impreve­
Fonti II riferimento principale è la Vita Terenti contenuta nel De viris illustribus dibile fantasia ritmica e verbale. Di fatto, le commedie di Plauto riuscivano
di Svetonio (composta intorno al 100 d.C. e tramandataci come introduzione al ad avere successo presso il più vasto pubblico, quanto allora nessun’altra
78 TERENZIO
LO SFONDO STORICO 79
forma di comunicazione letteraria. Sicuramente Plauto divertiva e appassio­
nava anche chi non fosse per nulla sensibile alle problematiche culturali de­ m atrim onio, è stata messa incinta da uno sconosciuto durante una festa notturna;
gli originali menandrei. Sul piano dei contenuti, il teatro plautino non sotto­ Panfilo vorrebbe abbandonarla; m a alla fine risulterà che è lo stesso Panfilo Io sco­
nosciuto che ha messo incinta Filumena. Conquistato dall’indole dolce e remissiva
pone il suo pubblico a sforzi di approfondimento e di meditazione: tutto della moglie, Panfilo si riconcilia con lei, rinunciando all’am ore per la cortigiana
è assorbito e bruciato nel fuoco di fila delle invenzioni comiche. Le trame Bacchide, la quale si adopra anch’essa per favorire la riconciliazione fra gli sposi.
offrono al pubblico un convenzionale canovaccio di riferimento, senza che
H eautontim orùm enos - Il titolo greco (Terenzio rielabora u n ’om onim a commedia
troppo si scavi nella psicologia dei personaggi in azione. di M enandro) significa «Il punitore di se stesso». A com portarsi così è il vecchio
Il teatro di Terenzio accetta l’inquadramento convenzionale e ripetitivo Menedemo, che per punirsi di avere spinto il figlio Clinia ad arruolarsi in Asia osta­
di queste trame, senza produrre alcuno sforzo di originalità: ma lo fa non colandone le nozze con una ragazza di umili origini, si è autocondannato a lavorare
per sacrificare tutto alla dominante del comico «verbale»; al contrario, la duram ente la terra con le proprie mani fino al ritorno di Clinia. Q uando questi
ritorna, il padre sa accoglierlo con un affetto più intenso e m aturo; e, dopo una
dominante di Terenzio è l’interesse per i significati: per la sostanza umana serie di imbrogli, Clinia riesce anche a sposare la ragazza che da tempo amava (nel
che è messa in gioco dagli intrecci della commedia. Il difficile tentativo di frattempo quest’ultima si è rivelata figlia di Cremete, amico di Menedemo).
Terenzio è usare un genere fondamentalmente popolare per comunicare an­
Eunuchus - Rielabora una commedia dallo stesso titolo di M enandro, traendo alcune
che sensibilità e interessi nuovi, che sono maturati nel campo ristretto di situazioni dal K olax (L ’adulatore) dello stesso M enandro. L ’etera Taide, concubina
una élite, sociale e culturale insieme. Le gravi difficoltà incontrate da Teren­ del soldato Trasone, è in realtà innam orata del giovane Fedria. Trasone riporta a
zio nel suo rapporto con il pubblico (e con alcuni colleghi teatranti) si posso­ Taide la giovane Panfila, che le era cresciuta accanto come una sorella e successiva­
no ricondurre a questa tensione innovativa. mente era stata venduta. Il fratello di Fedria, Cherea, innam oratosi di Panfila, si
Insuccessi Una delle commedie, VHècyra (La suocera) ebbe sorte esemplarmente traveste da eunuco per farsi consegnare in custodia la ragazza. Trasone, geloso di
Fedria, vorrebbe riprendere con la forza P anfila a Taide, m a è costretto a lasciar
dell 'Hècyra infelice: alla prima rappresentazione, nel 165, il pubblico le preferì uno spet­ perdere. Il falso eunuco viene smascherato; m a P anfila viene scoperta cittadina ate­
tacolo di funamboli; alla seconda, nel 160, tutti se ne andarono quando niese, ed egli può sposarla; Taide si tiene Fedria come amico del cuore.
— nel bel mezzo della rappresentazione — si sparse la voce che contempora­
Phorm io - M odello è VEpidikazòm enos (Il pretendente) di A pollodoro di Caristo,
neamente stava cominciando uno spettacolo di gladiatori; solo alla terza rap­ commediografo greco del III secolo a.C. Il parassita Form ione, attraverso varie peri­
presentazione (ancora nel 160) la recita potè arrivare al termine. pezie, riesce ad aiutare due cugini, Fedria e A ntifone, a sposare le ragazze di cui
Il rinnovamento Le vicende delle commedie terenziane sono sintomatiche del declino del sono rispettivamente innam orati. Anche qui funziona il meccanismo dell’agnizione,
culturale messo teatro popolare latino — che nell’epoca successiva andrà rapidamente acce­ perché verso la fine della commedia si scopre che Fanio, la ragazza di cui è innam o­
in scena: la rato A ntifone, finora creduta orfana, è in realtà figlia illegittima di Cremete, padre
lerando — e del progressivo divaricarsi dei gusti del pubblico di massa e di Fedria e zio dello stesso A ntifone.
ricerca della.élite colta, nutrita di raffinata cultura greca. In effetti, il teatro di
psicologica Adelphoe - Rielabora la commedia dallo stesso titolo (I fratelli) di M enandro, traen­
Terenzio mette in scena gli ideali di rinnovamento culturale dell’aristocrazia
do tuttavia una scena dai Synapothnèskontes (commorientes) di Difilo. La commedia
scipionica (cfr. p. 57); all’autore interessa soprattutto l’approfondimento psi­ mette a confronto due diversi sistemi di educazione. Demea ha allevato con grande
cologico dei personaggi — inteso tuttavia nel senso che fra breve cercheremo rigore il figlio Ctesifone, mentre ha concesso in adozione l’altro figlio, Eschino,
di. precisare —, e per questo egli rinuncia all’esuberanza comico-fantastica al fratello Micione, che lo ha educato nella più grande libertà. Demea considera
che tanto aveva contribuito al successo del teatro plautino. È opportuno Eschino uno scapestrato corrotto dal lassismo di Micione, e la sua opinione si rinsal­
illustrare rapidamente la tram a delle singole commedie. da quando si viene a sapere che Eschino ha rapito una ragazza. M a in realtà Eschino
ha commesso il rapim ento per conto del fratello, che Demea crede irreprensibile.
D opo varie vicissitudini, tutto si appiana; m a la com media ha un finale di difficile
A ndria - Modello greco è VAndria di M enandro, contam inata con la Perinthia dello interpretazione, dove Demea sembra formulare quasi con dispetto, più che con since­
stesso autore. La ragazza di A ndro da cui la commedia prende titolo è Glicerio, ra convinzione, il proposito di adottare i metodi permissivi — facili m a pericolosi
abbandonata nella fanciullezza e allevata da una cortigiana. Di lei si innam ora P an ­ — del fratello, e di mostrarsi d ’ora in poi condiscendente con tutti.
filo, già fidanzato con Filùmena, figlia di Cremète. Q uest’ultim o, inform ato della
relazione di Panfilo con Glicerio, va su tutte le furie e m anda a m onte le nozze
del giovane con Filumena, nonostante i tentativi del padre di Panfilo di salvare il
La «tipizzazione» Gli intrecci terenziani sono, come si vede, quelli consueti alla Commedia
matrim onio già da tempo com binato. La situazione si complica per i tentativi piutto­ anticonformista Nuova e alla palliata·, giovani innamorati, genitori che li contrastano, schia­
sto goffi di D avo, servo di Panfilo, di aiutare il padroncino. L ’intreccio si scioglie vi indaffarati a soddisfare i desideri dei loro padroncini; e quasi sempre,
con la «agnizione» (riconoscimento) finale: si scopre infatti che anche Glicerio è alla fine, il «riconoscimento» che risolve la situazione. In questo quadro
figlia di Cremete; quest’ultimo non ha difficoltà a darla in sposa a Panfilo invece di sostanziale fedeltà ai «canovacci» tradizionali, la scelta profondamente
di Filumena.
innovativa di Terenzio è, come abbiamo accennato, quella dell’approfondi­
Hècyra - La commedia, come si è detto, ebbe sorte particolarm ente travagliata. Te­ mento della psicologia del personaggio. Ma è bene intendersi: spesso Teren­
renzio rielabora una commedia dallo stesso titolo (che significa «La suocera») di zio, più che alla rappresentazione psicologica dell'individuo, sembra interes­
A pollodoro di Caristo, contam inandola con gli E pitrèpontes (L ’arbitrato) di M enan­ sato a quella del «tipo»: il giovane innamorato, la ragazza a lui teneramente
dro. La tram a ruota attorno al personaggio di Sòstrata, m adre di Filumena e suocera dedita, il padre tradizionalista e preoccupato per la felicità del figlio, la
di Panfilo. Sostrata è un personaggio com pletamente diverso dalla figura stereotipa­
ta della m adre gelosa del figlio e ostile alla nuora; anzi, si adopra ad appianare prostituta capace di buoni sentimenti e di genuino altruismo. Alcuni inter­
le gravi incomprensioni fra i due sposi. Si scopre infatti che Filumena, prim a del preti, non senza una certa forzatura, hanno potuto accostare il teatro di
Terenzio ai Caratteri di Teofrasto. Ma anche se tipizzati, anche se spesso
I PROLOGHI DI TERENZIO 81
80 TERENZIO
e cultura. L’effetto doveva essere piuttosto idealizzato rispetto ai gusti del
non dotati di forte «personalità» individuale, i personaggi terenziani sono pubblico romano. Il più celebre e citato giudizio critico su Terenzio, dovuto
spesso anticonvenzionali: la suocera per niente bisbetica, anzi pensosa della alla penna di Giulio Cesare, insiste appunto su questa tendenza idealizzante
felicità della nuora, la prostituta moralmente migliore di tanta gente «perbe­ dello stile di Terenzio, definito puri sermonis amator. La restrizione e sele­
ne», erano caratteri largamente innovativi rispetto alle aspettative del pub­ zione del lessico ha il suo corrispettivo nella forte riduzione della varietà
blico. L ’approfondimento psicologico comportava una notevole riduzione metrica rispetto a Plauto e a suoi numeri innumeri: sono scarse le parti
della comicità, che avrà senz’altro contribuito allo scarso successo di Teren­ propriamente liriche, mentre molto contenuta è l’estensione dei cantica (par­
zio presso il pubblico di massa: attraverso la rappresentazione di una suoce­ ti cantate o declamate con accompagnamento musicale) in rapporto ai de-
ra arcigna e brontolona, o di una cortigiana avida, strappare qualche risata verbia (parti recitative).
sarebbe sicuramente risultato più facile.

2. Stile e lingua in Terenzio 3. I prologhi di Terenzio: poetica e rapporto con i modelli

Lo stile È comprensibile, in questa luce, che lo stile espressivo di Terenzio (pro­ 1 rapporti fra stile Sebbene la fortuna «scolastica» abbia condizionato la sua immagine let­
apparentemente prio perché l’autore stesso non intende metterlo «in primo piano») sia in e contenuti teraria, sarebbe sbagliato pensare a Terenzio come ad una sorta di predica­
piatto genere l’aspetto più trascurato dalla critica e dai lettori. La prima superficia­ tore o di autore educativo: l’interesse per i contenuti morali e culturali non
le impressione è quella di una piatta uniformità — soprattutto per chi pro­ va in lui a scapito della tecnica drammaturgica. Al contrario, Terenzio è
viene, come è quasi inevitabile fare, dalla fresca impressione di un confronto uno dei letterati latini più professionali, più consapevoli degli aspetti tecnici
con l’indiavolata officina verbale di Plauto. Tuttavia, anche una considera­ del proprio lavoro. L ’interesse di Terenzio per la Commedia Nuova attica,
zione più attenta dello stile può dire molto sulla poetica e sulle intenzioni e in particolare per Menandro, mostra bene la coesistenza di questi due aspetti:
di Terenzio. Menandro offriva sia un modello culturale — collegato all’interesse di Te­
Il linguaggio In sei commedie tutte incentrate su intrighi d’amore, la parola «bacio» renzio per valori come 1’humanitas (cfr. p. 83) — sia un modello letterario·.
«censurato» (come ha osservato Alfonso Traina) non compare più di due volte in tutto. un raffinato esempio di stile e di tecnica drammatica. Proprio lavorando
In Terenzio gli innamorati non si baciano, di regola; e si parla poco in a fondo sui modelli greci, Terenzio trova modo di esprimere sia la propria
genere di corpi, di mangiare, di bere, e naturalmente di sesso; i personaggi impostazione ideale, che la propria vocazione letteraria.
non usano scambiarsi crude parole di insulto, né quelle della lingua quoti­ La rinuncia al Le commedie di Menandro erano state, come si è visto, un modello
diana, né quelle reinventate dalla creatività del poeta (come accade in Ari­ «metateatro» importante anche per Plauto. Ma Plauto non era particolarmente vicino alla
stofane, e in Plauto). I personaggi «bassi» della palliata — lo schiavo, l’etè­ poetica di Menandro: la verosimiglianza, cardine della poetica menandrea,
ra, il parassita — ci sono anche qui, naturalmente: ma non portano sulla non è per Plauto un valore assoluto. Nella palliata plautina il gioco scenico
scena la loro particolare carica linguistica. Guardando il linguaggio di Te­ finisce facilmente per rispecchiare se stesso, mettendo in crisi l’effetto di
renzio alla luce di Plauto, sembra che la materia linguistica sia stata selezio­ realtà dell’intreccio scenico: è quello che abbiamo definito il «metateatro»
nata, perfino censurata. Acquistano spazio invece — è sintomatico — le plautino (cfr. p. 44).
parole astratte, quelle che rendono possibile e interessante l’analisi psicologica. Terenzio cura molto di più la coerenza e l’impermeabilità dell’illusione
Il linguaggio Questa restrizione o censura del linguaggio serve, come vedremo meglio scenica. Lo sviluppo dell’azione non prevede mai sviluppi «metateatrali»;
«verosimile» in seguito, ad assicurare il predominio di certi contenuti. Ma ci si può chie­ vengono anche rigorosamente eliminate quelle battute dei personaggi che
dere, intanto, che effetto faceva questo tipo di linguaggio sul pubblico ro­ non abbiano una diretta motivazione interna allo svolgimento drammatico,
mano contemporaneo. È chiaro che, in un certo senso, lo stile medio e paca­ ma che si rivolgono liberamente al pubblico (interrompendo l’illusione sceni­
to di Terenzio è più «quotidiano» di quello plautino. I personaggi non si ca e rivelando così, come un commento esterno all’azione, qual è il meccani­
abbandonano a tirate imprevedibili, dense di immagini e di giochi ritmico- smo drammatico che regola e costruisce l’invenzione comica). In pratica,
verbali, dove si rimescolano parodie letterarie, doppi sensi, metafore e allu­ la palliata di Terenzio non apre al suo interno nessuno spazio di autoco­
sioni d’ogni tipo; l’impressione è più vicina a quella di una conversazione scienza. Questi momenti di riflessione vengono tutti concentrati nello spazio
quotidiana. L ’elemento che più distingue Terenzio nel quadro della comme­ del prologo.
dia latina (e del teatro latino in genere, potremmo dire) è la sua costante L’importanza data al prologo come istituzione letteraria è la principale
e controllata preoccupazione per il verosimile (un concetto che aveva preso innovazione tecnica di Terenzio rispetto alla tradizione plautina.
sempre più importanza nella letteratura e nell’estetica greca di età ellenistica).
Il linguaggio Ciò non significa, assolutamente, che Terenzio, per essere «verosimile», Il prologo come Nella tradizione risalente alla Commedia Nuova, il prologo era general­
«urbano» e la riproduca realisticamente la parlata quotidiana dell’epoca. Terenzio si ade­ «spazio mente concepito come uno spazio espositivo, di informazione preliminare
riduzione dei gua, sì, ad una lingua in qualche modo reale e realmente parlata; ma è dell’autore»
metri
alla comprensione della trama (non solo dava gli antefatti dell’azione, ma
una lingua settoriale, quella parlata dalle classi urbane di buona educazione
82 TERENZIO
TEMI E FORTUNA DELLE COMMEDIE DI TERENZIO 83
anticipava anche una parte dello sviluppo e accennava allo scioglimento:
4. Temi e fortuna delle commedie di Terenzio
la scena di «agnizione» finale o simili colpi di scena). Questo metteva il
pubblico in una posizione «panoramica», più attenta allo sviluppo dell’azio­
ne, e capace di apprezzare quegli effetti di ironia che sorgevano via via dalla Philanthropia Abbiamo visto che i difetti principali spesso rimproverati all’arte di Te­
situazione scenica (equivoci, errori di prospettiva, ecc.). Terenzio rinuncia greca ed humanitas renzio — la sua virtus comica mancherebbe di vis (che è forse «slancio,
a questa funzione informativa dei prologhi, anche a costo di qualche oscuri­ romana energia» dell’azione drammatica), secondo il già citato epigramma di Giulio
tà nella conduzione dell’intreccio. Adopera, invece, i suoi prologhi come Cesare — dipendono da una scelta consapevole del poeta. Terenzio sacrifi­
personali prese di posizione dell’autore: chiarisce il rapporto con i modelli ca, rispetto alla tradizione della palliata, la ricchezza dell’inventiva verbale
greci che ha utilizzato, e risponde a critiche dei suoi avversari su questioni e delle trovate comiche estemporanee. Viene invece approfondito il carattere
di poetica. È evidente che questo nuovo tipo di prologo presuppone un pub­ dei personaggi, visto entro lo sviluppo della trama: YHecyra, ad esempio,
blico più avanzato, attento a problemi di gusto e di tecnica: senz’altro anche mette in scena una cortigiana insolitamente generosa e disposta al sacrificio;
più ristretto e selezionato. PHeautontimorumenos parla di un uomo che si punisce e si emargina per
Terenzio «poeta- Questo uso dei prologhi rende Terenzio avvicinabile a figure come En­ le incomprensioni nate dal rapporto con il figlio (è in questa commedia la
filologo» nio, Accio, e Lucilio, che nella loro pratica letteraria danno sempre più celebre battuta homo sum: humani nihil a me alienum puto, che è diventata
spazio a momenti di riflessione critica e poetica, avvicinandosi così all’ideale un po’ l’emblema dell’ideale classico della humanitas)·, gli Adelphoe appro­
alessandrino del «poeta-filologo». Non a caso Terenzio tende a sottolineare fondiscono il rapporto padre-figlio attraverso il contrasto fra due educatori,
il suo distacco dalla «vecchia» generazione letterària, che comprende i poeti il liberale Micione e il rigorista Demea. La palliata latina era sempre stata,
comici intorno a Plauto e Cecilio Stazio. Il principale avversario, che Teren­ per sua natura, ancorata alle situazioni familiari: suoi tipi fissi erano il gio­
zio cita indirettamente nei suoi prologhi, ci è noto da altre fonti come un vane innamorato e scapestrato, e il vecchio padre ingannato; ma in Terenzio
La contaminano poeta comico minore, Luscio di Lanuvio. Nel prologo dell’Andria Terenzio questi rapporti diventano veramente rapporti umani, sentiti con maggiore
ribatte all’accusa di contaminare fabulas (v. 16), cioè, a quanto pare, di serietà problematica. Questo approfondimento risente insieme di una sincera
«rovinare» i suoi modelli greci creando delle inopportune mescolanze, ibridi adesione al modello di Menandro, e della circolazione di ideali «umanistici»
di testi diversi (da qui gli studiosi moderni hanno adottato il termine «conta­ di origine greca nelle cerehie più evolute della Roma contemporanea. A que­
minazione» per indicare, in genere, la tecnica di «incrociare» modelli lettera­ sto si deve l’apparizione di un concetto-chiave come humanitas — influenza­
ri diversi in un unico testo); e sottolinea che anche i rispettati Nevio, Plauto, to dal greco philanthropia — che non rappresenta, ovviamente, un’isolata
Ennio non fecero diversamente con i loro modelli greci. Così, per esempio, escogitazione di Terenzio, ma è in piena sintonia con la cultura dell’età sci­
la prima scena dell’Andria è tratta da un’altra commedia di Menandro, la pionica. Insomma, nel concetto («riconoscere e rispettare l’uomo in ogni
Perinthia, dove tuttavia, a quanto apprendiamo da Donato, Terenzio avreb­ uomo», come è formulato da Alfonso Traina) confluiscono vari filoni di
be sostituito a un dialogo tra marito e moglie un dialogo tra padrone e pensiero greci, ma tipicamente romana è la sintesi costruttiva e «ottimistica»
servo. Si vede qui come la «contaminazione» non fosse un processo di tra­ di questo ideale, ispirato da pragmatismo attivo.
La commedia sposizione meccanica. Il concetto ritorna nel prologo dello Heautontimoru- Terenzio Non è certamente casuale che la commedia terenziana di maggior suc­
stataria menos, dove Terenzio contrappone un tipo di commedia «statica» (stataria) «plautineggiante» cesso immediato — 1’Eunuchus — sia quella in cui meno si affacciano questi
ad una commedia piena di effettacci e con azione assai movimentata (moto­ temi psicologici e umanistici. Si tratta, d’altra parte, del più riuscito tentati­
ria è chiamata nel commento di Donato): quel che viene rifiutato è in so­ vo di Terenzio in direzione della comicità plautina: la commedia inscena
stanza la farsa popolare di tipo plautino, con le sue scene «movimentate» un romanzesco travestimento (un giovane si finge eunuco per avere in conse­
da inseguimenti e litigi, e i suoi personaggi caricaturali: il servo che corre, gna l’amata) e un burlesco personaggio (plautineggiante) di «soldato fanfa­
il vecchio bizzoso, il parassita vorace. È chiaro che Terenzio opponeva a rone». In ogni caso, la notevole qualità di questo testo dimostra in Terenzio
questo stile sanguigno un ideale di arte più riflessiva e attenta alle sfumatu­ anche delle attitudini puramente comiche e drammaturgiche, che spesso la
re, anche più «verosimile»: tale che fondasse l’azione drammatica sul dialo­ critica è portata a sottovalutare.
go, non sul movimento scenico e sul clamore. Fortuna di Non tutte le commedie di Terenzio ebbero successo di fronte all’impa-
L’originalità di Le affermazioni programmatiche di Terenzio sull’uso dei modelli greci Terenzio ziente pubblico del suo tempo: sono note le vicende della difficile rappresen­
Terenzio (adattamenti, «contaminazioni», ecc.) sono per noi difficili da riscontrare tazione dell’Hecyra. Volcacìo Sedigito, il poeta del II secolo più volte ricor­
nella pratica, perché dei suoi originali — ad esempio dei testi di Menandro dato per la sua graduatoria poetica («canone»), pose Terenzio soltanto al
da lui citati come fonte nei prologhi — non ci sono pervenuti che scar­ sesto posto, non solo dopo Cecilio Stazio Plauto e Nevio ma anche dopo
si e casuali frammenti. Il problema dell’originalità è perciò difficile da ana­ due commediografi minori, Licinio Imbrice e Atilio, che seguivano probabil­
lizzare in modo conclusivo. Ciò che si riesce a distinguere, è che Teren­ mente le orme di Plauto.
zio si attiene piuttosto fedelmente alle linee degli intrecci menandrei, senza Ma Terenzio continuò a tenere la scena anche dopo la sua morte, ed
mai rinunciare ad approfondire gli interessi che più. lo toccano. Questo ci ebbe sempre il favore dei critici più colti e sensibili, che apprezzarono so­
riporta ai contenuti della sua arte: caratteri e problemi di un’umanità «bor­ prattutto la purezza della sua lingua (la lingua urbana dei ceti colti) e la
ghese». raffinatezza del suo stile. Cicerone, nell’epigramma esametrico riportato nel­
84 TERENZIO

la Vita Terenti, attribuisce a Terenzio un linguaggio scelto (ledo sermone)


insieme a urbanità (come loquens) e a dolcezza del dire (omnia dulcia di-
cens). Cesare, negli esametri più volte citati che gli sono attribuiti nella stes­
UNA CONCLUSIONE D ’INSIEME
sa Vita svetoniana, pone Terenzio tra i comici sommi e lo definisce «inna­
morato della purezza di linguaggio» (puri sermonis amator): e tuttavia egli SULLA PALLIATA:
giudicò il comico latino un Menandro dimezzato (dimidiatus Menander) per
mancanza di vis, di quella forza nello stile che sminuisce rispetto ai Greci PLAUTO, TERENZIO
la. sua virtus comica, il suo valore di commediografo.
Moderazione dei sentimenti, valori etici apprezzati anche dai cristiani E LA COMMEDIA NUOVA
(S. Agostino), purezza di lingua che faceva di Terenzio un modello di stile:
queste le cause che introdussero ben presto le commedie terenziane nella
scuola. E con la scuola vennero i commenti, come quello, già ricordato,
del grammatico Elio Donato (IV secolo).
Nel X secolo Rosvita, monaca nel monastero tedesco di Gandersheim,
compose sei commedie in prosa rimata modellate sulle commedie di Teren­
zio: intrecci di storie edificanti con il cristiano lieto fine del trionfo della virtù.
Il Medioevo, come l’antichità, dedicò commenti a Terenzio. Dante cita
dei versi terenziani, forse mediati da Cicerone; il Rinascimento rinnova l’in­ 1. Dalla tragedia tardo-euripidea alla commedia dei sentimenti
teresse per il teatro di Terenzio con volgarizzamenti e adattamenti poetici:
perdute sono le traduzioni di alcune commedie fatte dall’Ariosto per il tea­ La Commedia Sappiamo poco della Néa greca, la Commedia Nuova di Filèmone, Dìfi-
tro degli Estensi; si è conservata invece la traduzione dell’Andria di Machia­ Nuova in Grecia lo e Menandro. Sappiamo almeno, però, che a questa guardano — come
velli. e a Roma a un modello — gli autori della commedia latina, e ne riprendono trame,
Molière fu ammiratore e imitatore di Terenzio. E dal Seicento ad oggi tipi, situazioni. Poeti bilingui, traduttori e rifacitori insieme, i comici roma­
molte furono le traduzioni delle commedie terenziane nelle varie lingue eu­ ni diventano così per noi le copie preziose di quel teatro e ce ne mostrano
ropee. lo sviluppo in un diverso contesto di cultura. Per questo sembra legittimo
Una così eccezionale fortuna, dovuta principalmente — come si è visto studiare la Commedia Nuova come un insieme di testi greci e di testi latini
— ai contenuti «educativi» del suo teatro, ha portato forse la critica moder­ che ne derivano: si potrebbe allora parlare di una Commedia Nuova bilin­
na a sottolineare troppo in Terenzio una sorta di impegno etico-sociale; ri­ gue, greca e latina insieme, cercare i tratti di un linguaggio drammatico
mane comunque indispensabile valutare questa esperienza artistica nel con­ comune — lo stile di un esperimento letterario sicuramente originale nel
creto quadro della cultura di età «scipionica», e anche, per quanto possibile, panorama dei generi antichi.
in rapporto alla letteratura teatrale greca che gli servì da ispirazione. Diciamo subito che, lontana dal teatro politico di Aristofane e dei suoi
contemporanei (allegorico, utopico, visionario), la Commedia Nuova ha piut­
tosto i suoi incunaboli in certi esperimenti drammatici delPultimo Euripide:
1 ’Elena, VIfigenia taurica, lo Ione: drammi a lieto fine dove ricorr
Bibliografia Edizioni critiche di R. K a u e r - W. T r a in a , Vortit barbare, Rom a 19742, p. elementi «comici» dell’intrigo, del riconoscimento, della movimentata peri­
M. L in d s a y , O xford 1926 (ed. riveduta, 167 segg.; I d ., Forma e suono, Roma,
pezia. Di questa propria origine la commedia di Menandro e Terenzio mo­
1958), e di J. M a r o u z e a u , Paris 19674 1977, p. 167 segg.
(I voi.), 19643 (II), 19663 (III), quest’ul- L ’im portante commento di Elio Do­ stra consapevolezza. La stessa parodia tragica, pur frequente e tradizionale
tima con versione francese. Vari commen­ nato è stato edito da P. W e s s n e r , Leip­ per il discorso comico, rivela a tratti esigenze espressive diverse, quasi il
ti moderni alle singole commedie. zig 1902-08. Studi sulla fortuna: H . H a- desiderio o il rimpianto di un registro più alto che la situazione rappresenta­
Introduzioni generali: G. N o r w o o d , g e n d a h l , Latin Fathers and thè Classics,
ta meglio richiederebbe. Il contatto intertestuale con la tragedia che la paro­
The A r t o f Terence, O xford 1923; H. Goteborg 1958; M. B a r c h ie s i , Un tema
H a f f t e r , Terenzio e la sua personalità classico e medievale: Gnatone e Taide, dia di Aristofane ricercava era soprattutto occasione di farsa, o protesta
artistica, trad. e aggiornamenti a cura di Padova 1963 (su Terenzio nel M edioe­ polemica di un autore «all’antica»; ora, nella Commedia Nuova, il gioco
D. N a r d o , Rom a 1969; B. A. T a l a d o i - vo e in Dante); W. S a l z m a n n , Molière parodico sembra voler tradire piuttosto un’aspirazione patetica che il genere
r e , Térence. Un théàtre de la jeunesse, u n d die lateinische Kom òdie, Heidelberg comico sentiva e temeva come troppo impegnativa (si pensi al commo di
Paris 1972. Sullo stile vedi soprattutto A. 1969.
Davo nell’Aspis o ad altri passaggi della Sami'a) e la ricerca contrastata di
un tono diverso da quello umile e quotidiano (e perciò più adeguato alle
situazioni serie, talvolta drammaticamente tese e preoccupanti, che quel tea-
La paratragoedia tro si sforza di rappresentare). Il discorso paratragico, insomma, esiste nella
Commedia Nuova non solo come facile occasione di riso — certo, è anche
questo —, ma anche come aspirazione ad un tono sublime che i limiti del
86 UNA CONCLUSIONE D ’INSIEME SULLA PALLIATA: PLAUTO, TERENZIO E LA COMMEDIA NUOVA CONVENZIONALITÀ E FINZIONE TEATRALE 87

genere non ammettono, ad una posa che agli eroi di tutti i giorni non sem­ padrone partorisca, e tutto il suo guadagno vada alParia», mostra di sapere
bra permessa. Vedremo che, alla paratragoedia che la commedia antica cer­ quanto egli, più che un cuoco «reale», sia il cuoco della commedia, buffa
ca spesso, la Commedia Nuova sembra preferire la parodia di se stessa, vittima di contrattempi ricorrenti. Egli ricorda al pubblico, senza rompere
delle convenzioni che la costruiscono come discorso comico. l’illusione della rappresentazione che si va facendo, alcuni dei possibilia co­
La commedia pensosa di Menandro sembra avvicinarsi alla retorica del­ mici. Non è l’attore che parla al pubblico e mostra la fattura del proprio
la tragedia non tanto per condividerne qualche espediente avventuroso della ruolo convenzionale 1: è il personaggio stesso che sembra divenire cosciente
«trama» o qualche meccanismo della sorpresa, quanto piuttosto per la ricer­ della propria vita di finzione, di vivere cioè in una finzione che lo vuole
ca dell’effetto psicagogico, perché cerca uno spettatore che voglia ricono­ sempre continuamente uguale a se stesso, lo lega ad un ruolo che il pubblico
scersi nei sentimenti dei personaggi, e crescere con essi. Proprio a questo si aspetta di ritrovare. Ancora, la cortigiana di Fenicide (un autore della
teatro sembra meglio adeguarsi la regola aristotelica che vuole l’eroe tragico Néa di cui abbiamo appena pochi frammenti), quando si lamenta di aver
né troppo buono né troppo cattivo — Edipo piuttosto che Medea —, perché avuto sempre amanti poco solvibili (un miles gloriosus, un dottore ammaz-
con esso lo spettatore comune possa provare una forma catartica di identifi­ zapopolo, un filosofo che disprezza il denaro), elenca un piccolo campiona­
cazione. rio dei personaggi comici più convenzionali, quasi le maschere di un teatro
L’illusione Della tragedia questo teatro comico continua l’idea «moderna» di un’il­ che vuole rappresentare storie verisimili, ma è capace di guardare al mondo
scenica come lusione scenica coerente. La rappresentazione drammatica (fatta di scontri esterno solo attraverso le regole della propria codificazione retorica. Nel Phor-
condizione di tra individui che si muovono sulla scena, delle loro passioni e dei loro senti­ mio di Terenzio, Demifone è il paterfamilias. Tornando da un viaggio oltre­
pateticità menti in conflitto) chiede allora la partecipazione emotiva dello spettatore: mare, egli sa già che le sorprese sono comprese in un ristretto giro di possi­
chiede allo spettatore di proiettarsi tra i personaggi, lui solo, come singola bilità narrative (quelle che — ironia di un discorso apparentemente ingenuo
individualità morale, non come rappresentante di una comunità di cittadini — si verificano appunto in questa stessa commedia). Mentre ripete i soliti
che discute e si confronta con l’opinione di chi sta in scena; è facile così luoghi comuni, quasi si prepara alle scene ancora da rappresentare: (vv.
che per gli spettatori gli attori cessino di essere interpreti di parti teatrali 243-245) ... peregre rediens semper cogitet / aut fili peccatum aut uxoris
e diventino persone vere, come se la rappresentazione della vita fosse la mortem aut morbum filiae; / communia esse haec, fieri posse, ut ne quid
vita stessa. Ciò che è rappresentato vuole essere un evento reale, veramente animo sit novum... («... chi torna da un viaggio all’estero deve sempre pen­
accaduto o verisimilmente possibile, imitazione della vita e messa in forma sare o a una malefatta del figlio, o alla morte della moglie, o a una malattia
di un ideale morale. della figlia; sono fatti comuni, che possono accadere; così che nulla colga
alla sprovvista il suo animo...»). In questo modo, sono piuttosto i personag­
gi stessi gli interlocutori, i custodi pensosi delle convenzioni che fanno il
teatro della Néa (verisimile e posato, ma in sé diverso dalla «realtà»),
2. Convenzionalità e finzione teatrale Convenzionalità e A volte, addirittura, i meccanismi dell’invenzione comica sfruttano pro­
consapevolezza prio questa consapevolezza metateatrale dei personaggi. N e ll’A n d r ia di Te­
dei personaggi renzio, per esempio, il vecchio Simone sospetta che il servo manovri per
Ma la Commedia Nuova, se è vero che intende essere rappresentazione costringerlo a dare in sposa al figlio la solita giovane di più incerta condizio­
della «vita reale», è anche consapevolezza di una forma convenzionale che ne sociale, Glicerio. Ingannato dalla sua stessa diffidenza, Simone crede di
media questa rappresentazione: consapevolezza della propria forma «seria­ scoprire la trama di Davo là dove riconosce alcuni tipici espedienti della
le», del proprio essere fatto di tipi fissi, situazioni ripetute, storie che conti­ recita: un linguaggio scenico al quale il pubblico è esercitato e che conven­
nuamente si replicano. Il filologo alessandrino Aristofane celebrava Menan­ zionalmente rimanda ad azioni che si svolgono in interni. Così il parto di
dro per la perfezione di una realistica mimesi (e Quintiliano avrebbe poi Glicerio, a Simone che non lo vede, e che si rifiuta di credere quanto ogni
sancito questo giudizio assoluto: omnem vitae imaginem expressit): «O Me­ spettatore normalmente crede senza vedere, sembra finto ad arte, troppo
nandro, o vita, chi dei due è migliore imitazione dell’altro?»; la domanda simile ad un convenzionale evento teatrale per essere vero. Simone, che co­
retorica del filologo i personaggi di questo teatro sono i primi a ripetersela, nosce bene le convenzioni della stilizzata «realtà» teatrale, finisce per con­
a rimeditarla criticamente. Sono loro, spesso, i primi spettatori consapevoli fondere l’inganno della rappresentazione scenica con l’inganno che — a suo
di un teatro che si vuole realistico e convincente, ma che anche sa di essere
fatto su convenzioni e ad esse allude, conosce i codici che costruiscono il
suo linguaggio e lo rendono riconoscibile al pubblico. I più interessanti,
da questo punto di vista, sono proprio i personaggi minori. Personaggi tipi­
Convenzionalità ci, caratteri fissi, macchiette e caratteristi, meno sorvegliati o più stanchi, 1 Che è quanto accade spesso in Plauto, come si è visto sopra (p. 44): «vedete, io sono
oggi il servo della comm edia, e per contratto devo fare queste cose; dom ani invece sarò questo,
delle situazioni spesso si lamentano, e parlano di sé come alludendo chiaramente alla pro­ o quest’altro»; o ancora (nel prologo della Casina)·, «ecco, Casina sarà oggi casta e pura,
pria convenzionalità, alla ripetitività delle situazioni che li impegnano. Così farà la figlia onesta di un cittadino ateniese, e non farà all’am ore con nessuno — almeno
il cuoco dell’Aspis (216-220), lamentandosi che «ogni volta, quando final­ finché dura la comm edia. M a ho ragione di credere che dopo, se qualcuno le verrà ad offrire
mente ha trovato da lavorare, muoia qualcuno nella casa, o la figlia del del denaro, lei se lo “ sposerà” volentieri, non starà ad aspettare».
88 UNA CONCLUSIONE D ’iNSIBME SULLA PALLIATA: PLAUTO, TERENZIO E LA COMMEDIA NUOVA CONSAPEVOLEZZA DELLE CONVENZIONI E METATEATRO 89

dire — Davo starebbe tramando alle sue spalle 2: (vv. 473-477) Un grido ne 3. Diciamo che, tra questi due mondi opposti, la Commedia Nuova si
fuori scena. È la voce di Glycerium: luno Lucina, fe r opem, serva muove con cautela, come presa tra delicate alternative: tiene una via che
me, obsecro! / Simo: Hui tam cito? ridiculum: postquam ante ostium sta a mezzo tra l’intenzione del realismo psicologico (una convincente intro­
/ me audivit stare, adproperat. Non sat commode / divisa sunt temporibus spezione di caratteri umani) e la coscienza della propria convenzionalità.
tibi, Dave, haec. Davus: Mihin? / Simo: Num immemores discipuli? Ma questa convenzionalità essa sceglie di mostrarla solo con un discorso
Davus: Ego quid narres nescio («— Giunone Lucina, aiutami! Salvami, implicito, solo con parole e gesti che chiedono di essere interpretati con
ti prego! — Eh? Così presto? È ridicolo: appena ha sentito che io cura da chi li osserva. Essa dice di sé, come è fatta, ma senza parere, cioè
ero davanti alla porta, si affretta. Non le hai distribuite bene nel tempo senza interrompere l’illusione, coerente e costruita, di ciò che viene rappre­
queste azioni, Davo. — Io? — Forse che i tuoi scolari non hanno sentato. È all’interno della stessa storia rappresentata che i personaggi, sen­
memoria? — Io non so di cosa tu stia parlando»). Poco dopo, Simone za uscire dalla finzione scenica dei loro ruoli, lasciano intravvedere allo spet­
(vv. 490-493) vede uscire in strada la levatrice, e la sente che dà istruzioni tatore la loro natura riflessiva, un pensiero consapevole che essi pur hanno
per la cura del bambino appena nato parlando attraverso la porta alle Autoironia dei di quei loro ruoli e di tutto quel loro teatro convenzionale. L ’effetto meta­
persone in casa. Ma ancora rifiuta di credere a quello che per lui — personaggi e teatrale, l’informazione sulla poetica della Commedia Nuova, non va oltre
consumato conoscitore di pratiche teatrali — è un tipico, troppo evidente, metateatro la leggera autoironia dei personaggi — personaggi che sanno anche di essere
gesto convenzionale della recita: dietro la porta (lui pensa) non c’è nessu­ convenzionali, ma vogliono ancora credere all’illusione scenica.
no, non c’è nessun infante che impegni suo figlio a sposarsi. Simo: Lo stesso appello al pubblico che appare così tipico del teatro plautino,
Non imperabat coram quid opus facto esset puerperae, / sed postquam nella Commedia Nuova (Menandro, Cecilio, Terenzio), è delegato a spazi
egressast, illis quae sunt intus clamai de via. / O Dave, itan contemnor di parola indiretta, momenti dove il serrato dibattito che unisce o oppone
abs te? aut itane tandem idoneus / tibi videor esse quem tam aperte i personaggi viene come interrotto da una battuta quasi inappropriata, una
fallere incipias dolis? («Non ha ordinato in sua presenza ciò che bisognava sentenza universale rivolta ad un interlocutore che non può essere solo l’im­
fare per la puerpera, ma solo dopo essere uscita lo grida dalla strada mediato compagno di scena. Allora, infatti, la frase sentenziosa sembra det­
a chi è dentro. O Davo, mi stimi così poco? O dunque ti sembro ta sopra la testa dell’occasionale interlocutore, appartiene ad una sapienza
proprio il tipo adatto perché tu possa ingannarmi con frodi così mani­ troppo alta per essere destinata a lui solo. Intervento di natura generale,
feste?»). quella battuta si rivolge a tutta la platea, a tutti gli uomini. Si pensi ad
Aspis (135-139): (Demea) «tu vuoi che allevi in casa mia un illegittimo per
far piacere agli altri?» (Moschione) «ma, per gli dei, chi è illegittimo, e
chi legittimo, se è nato uomo? (ghenómenos ànthropos)»·, al famoso dialogo
3. Consapevolezza delle convenzioni e metateatro dell’Heautontimorumenos (vv. 75-77): (Menedemo) «Hai così poco da fare
di tuo che ti occupi di quel che non ti riguarda?» (Cremete) «Sono un uo­
Apparente Così è fatta la Commedia Nuova, di un gioco sottile che complica l’ap­ mo, e di ciò che è umano niente ritengo estraneo a me».
realismo della parente realismo psicologico ed evenemenziale dei drammi: i fatti che succe­ Forse è proprio il teatro plautino a rendere evidenti, per contrasto, i
Commedia Nuova dono non sembrano più così «naturali», e quasi diventa un po’ sospetto caratteri sottili della Commedia Nuova. Nel teatro di Menandro e Terenzio,
quel loro pretendere di essere veri solo perché stilizzati in maniera da essere abbiamo detto, non sono gli attori a parlare del proprio ruolo rivolgendosi
verisimili. Per capire questo teatro possiamo procedere per semplificazione: direttamente al pubblico. Sono i personaggi che, senza uscire dalla coerenza
consideriamo da una parte la tragedia, mondo di terribili «verità» mitiche; della finzione, si mostrano per quello che sono: convenzione, ripetitività,
dall’altra la commedia plautina, dove tutto è ostentata finzione, spettacolo maschere da impiegare in ruoli già definiti. Addirittura, di questa loro con­
che dice la natura artificiosa dell’illusione teatrale rivolgendosi continuamente dizione sembrano talvolta lamentarsi (come il cuoco e la cortigiana). Tanto
al pubblico e che, se qualcosa finge, finge piuttosto di essere improvvisazio- che Menandro cerca spesso di inventare ruoli nuovi per i personaggi più
convenzionali. Nelle sue commedie, allora, compaiono soldati che non sono
né violenti né fanfaroni, e piangono per un amore infelice; figli che non
ingannano i padri; servi poco astuti, e per nulla artefici dell’azione. Ma
2 La situazione teatrale della quale Simone è spettatore troppo poco ingenuo (e perciò la commedia plautina — se è vero che è fatta per il prevalere della perfor­
incredulo) è di fatto topica nella Com media Nuova: Aulo Gellio (N octes A tticae 2,23,14 segg.)
nel famoso confronto tra M enandro e Cecilio Stazio ci inform a che nel Plocium è il servo
onesto del padrone che davanti alla porta della casa sente le grida della partoriente (è il solito
tem a comico della ragazza onorata sedotta in una festa notturna): Servus bonae frugi, cum 3 Si pensi a Pseudoio, architetto estem poraneo della propria tram a: (Pseudolus vv. 566-
prò fo rib u s dom us starei et propinquare partum erili filiae atque om nino vitium esse oblatum 570): ... A tq u e etiam certum , quod sciam / quo id sim fa ctu ru s pacto, nil etiam scio, / nisi
ignoraret, gem itum et ploratum audit puellae in puerperio enitentis; timet, irascitur, suspicatur, quia fu tu ru m st. N am qui in scaenam provenit, / novo m odo novom aliquid inventum adferre
miseretur, dolet («Uno schiavo onesto, che sta in piedi davanti alla po rta della casa e non addecet; / si id facere nequeai, det locum illi qui queat («E del resto non so ancora niente
sa che per la figlia del padrone si sta avvicinando il m om ento del parto, completamente ignaro di certo, che io sappia, sul m odo in cui com pirò ciò, m a so che sarà com piuto. Q uando uno
del fatto stesso che ella sia stata sedotta, ode i lam enti e il pianto della giovane partoriente, si presenta sulla scena, è opportuno che vi porti in m odo nuovo qualche nuova invenzione;
prova paura, collera, sospetto, pietà, dolore»). se non è capace di far ciò, lasci il posto a uno che ne sia capace»).
90 UNA CONCLUSIONE D ’iNSIEME SULLA PALLIATA: PLAUTO, TERENZIO E LA COMMEDIA NUOVA

Plauto e la rottura mance e della farsa sul testo drammatico, fatta per l’attore che interpreta
dell'illusione
scenica
il suo ruolo e con esplicita consapevolezza lo svela come tale, mentre si
rivolge direttamente allo spettatore della platea, quasi sollecitandone l’inter­
LO SVILUPPO DELLA TRAGEDIA
vento e la risposta — non dobbiamo per ciò pensare che essa sola ne sappia
più degli altri comici, sulla finzione del fare teatro. È proprio perché Plauto
PACUVIO E ACCIO
si cura meno delPillusione drammatica che egli può fare dell’intervento me­
tateatrale una risorsa fissa del comico, un incentivo della farsa. Si tratta
di un aprosdóketon, di un’«uscita all’improvviso» dalla finzione scenica e
dalle abituali convenzioni drammatiche: è il riso trasgressivo di chi scopre
il segreto che gli altri hanno voluto mantenere. Vistosamente consapevole
che quel teatro «realista» è fatto di tipi, Plauto può addirittura permettersi
di essere, come è, iperconvenzionale: caricare i tratti stereotipi delle trame
e delle maschere comiche, esagerare ed esibire un repertorio che tutti cono­
scono. Il servo astuto, il soldato millantatore, il padre sospettoso, l’amante 1. Pacuvio
disperato: tutti questi caratteri della Commedia Nuova possono ripresentarsi
sulla scena nella loro forma pura, perché alternano il ruolo della parte con Vita Figlio di una sorella di Ennio, Marco Pacuvio nacque nel 220 a.C. a Brindisi
una funzione di consapevolezza che li rende superiori alla maschera: posso­ (quindi in area culturale greco-osca); cittadino di nascita libera, e parente del
no essere — oltre che Personaggi legati ai loro ruoli — anche Prologo, Epi­ più illustre poeta romano, visse a Roma un’esistenza socialmente rispettabile.
logo, Commento, Intervento dell’autore nell’azione che si va facendo. È Era noto anche come pittore, uno fra i primi Romani di rango che praticassero
così che nasce, fra le altre, la figura del servo-poeta. Si legga, per esempio, quest’arte (abbiamo visto [cfr. p. 53] come Fabio Pittore dovesse il suo cognome
questo prologo {Mercator, vv. 1-8): (parla Charinus, il giovane innamorato) proprio all’attività pittorica di un suo antenato). Fu senz’altro in contatto con per­
Duas res simul nunc agere decretumst mihi: / et argumentum et meos amo- sonaggi dell’ambiente scipionico, anche se non sappiamo quanto profondo fosse
res eloquar. / Non ego item facio ut alios in comoediis / vi vidi amoris questo legame. Morì a Taranto, nel 130 a.C. o poco prima.
facere, qui aut noeti aut dii / aut soli aut lunae miserias narrant suas; /
quos poi ego credo humanas querimonias / non tanti facere, quid velini Opere Una produzione esclusivamente tragica (abbiamo notizie vaghe che compo­
quid non velini; / vobis narrabo potius meas nunc miserias 4 («Ho deciso nesse testi satirici). Scrisse relativamente poco, se si considera la sua longevità,
di fare ora due cose in una volta sola: esporvi la trama di questa commedia e se si compara l’attività di Ennio o dello stesso Accio con la sua. Abbiamo 12
e i miei amori. Io non imiterò gli altri innamorati che ho visto nelle comme­ titoli sicuri di cothurnatae e 365 frammenti per circa 450 versi.
die, che narrano i loro tormenti alla notte, o al giorno, o al sole, o alla Queste le tragedie più documentate e più note nell’antichità:
luna; credo infatti che questi non si curino molto dei lamenti dei mortali, Antiopa: il mito di Antiope, la madre salvata da Anfione e Zeto, i gemelli
di ciò che vogliono o non vogliono. È a voi, piuttosto, che voglio raccontare avuti da Giove.
Armorum iudiciunr. la contesa tra Aiace e Ulisse per il possesso delle armi
i miei tormenti»).
di Achille.
Chryses: Crise è il sacerdote di Apollo noto daìì’Hiade. A questa tragedia
apparteneva la gara di generosità, nell’affrontare la morte, di Oreste e Pilade.
Dulorestes: «Oreste schiavo», cioè Oreste travestito da schiavo per vendicare
più facilmente il padre Agamennone con l’uccisione dei suoi assassini, la madre
Clitemestra ed Egisto.
Hermiona: il dramma di Ermione, figlia di Elena e Menelao, data in moglie
a Neottòlemo dopo essere stata promessa (o già sposata) ad Oreste (il mito è
ripreso da Ovidio nell’ottava delle Heroides, cioè nell’epistola di Ermione ad Oreste).
Iliona: llfona è la figlia maggiore di Priamo sposata a Polimèstore, il feroce
re di Tracia. Iliona scambia tra loro il fratello Polidoro, affidatole bambino dal
padre Priamo, e il figlio Difilo avuto da Polimestore. Polimestore, corrotto dai
Greci, ucciderà il proprio figlio credendo di uccidere il figlio di Priamo.
Niptra: «Il bagno». Come nel I. XIX dell’Od/ssea, la vecchia nutrice lava i
4 E ra tradizionale — ο alm eno troviam o originali greci di questo modello — che un piedi ad Ulisse, ritornato ad Itaca come straniero sconosciuto. Telègono, figlio
innam orato potesse recitare il prologo parlando dei propri mali alla luna. Così cominciava, di Ulisse e di Circe, venuto ad Itaca alla ricerca del padre, lo ferisce mortalmente
per esempio, il M isum enos di M enandro: «O N otte — tu infatti tra tutti gli dèi hai più parte prima di poterlo conoscere.
nelle faccende di A frodite e in tua presenza si esprime la m aggior parte dei discorsi su tali Teucer. il destino di Teucro, punito con l’esilio dal padre Telamone per esse­
cose e dei pensieri d ’am ore — hai mai visto un uom o più infelice, un innam orato più sfortuna­
re tornato in patria, a Salamina (l’isola di fronte ad Atene), senza il fratello Aiace.
to di me?»; dove l’occasione di sfogare le proprie pene alla luna aveva la funzione di dare
Gli altri titoli sono Atalanta, Medus, Pentheus, Periboea.
agli spettatori, quasi senza parere, tutte le inform azioni di un norm ale prologo.
92 LO SVILUPPO DELLA TRAGEDIA: PACUVIO E ACCIO LO SVILUPPO DELLA TRAGEDIA: PACUVIO E ACCIO 93

Pacuvio scrisse anche una pretesta, il Paulus, che celebrava Lucio Emilio Solo supposizioni si possono fare circa il contenuto dei Pragmatica, almeno
Paolo, il vincitore di Pidna (168 a.C.: data di rappresentazione ignota): ne restano due libri (ne abbiamo un settenario trocaico: forse vi si trattava ancora di questio­
appena quattro versi. ni critico-letterarie). I Parerga, in senari giambici, sarebbero invece un poema
georgico ispirato agli Erga di Esiodo; e forse di agricoltura trattava anche il Praxi-
Fonti Notizie sparse in autori di età repubblicana e imperiale: in genere è conside­ dicus citato da Plinio il Vecchio.
rato al primo posto, o al secondo dopo Accio, fra i tragediografi romani. Il suo
stile venne ampiamente criticato dal poeta satirico Lucilio (cfr. p. 101), e anche
Fonti Situazione simile a quella di Pacuvio, cui è spesso avvicinato. La sua attività
più tardi; lo si bollava come contorto, ampolloso, e spericolato nei neologismi. di filologo lasciò notevoli tracce, ad esempio presso Varrone.
Cicerone lo giudicò invece il sommo tra i poeti tragici latini.

2. Accio 3. Lo sviluppo della tragedia

Vita Nato a Pesaro (Pisaurum) nel 170 a.C. da genitori liberti, si affermò a Roma Pacuvio e Accio La nostra presentazione di Ennio ha privilegiato gli Annales rispetto
come autore tragico a partire dal 140, o 139, e fu quindi per un breve periodo continuatori di a quella che fu, almeno nell’immediato, la sua maggiore affermazione lette­
in competizione con il vecchio Pacuvio. Intorno al 135 compì un viaggio di istru­ Ennio raria: l’aver sviluppato una poesia tragica sempre più in grado di collocarsi
zione in Asia, a Pergamo. A partire dal 120 è una figura eminente nel collegium con dignità a fianco dei classici greci. La lezione di Ennio tragico viene
poetarum, e come autore è al vertice della fama; fu attaccato con veemenza ripresa e sviluppata dai due maggiori tragici del II secolo a.C., Pacuvio
dal poeta satirico Lucilio, suo contemporaneo. Morì tra il 90 e l’80: l’aneddotica e Accio. La fioritura dei due si colloca, rispettivamente, nel periodo scipio­
lo dipinge come un vecchio orgoglioso, che fra l’altro pretese (lui di statura nort nico, e nell’età dei Gracchi e di Mario. Il periodo coperto dall’attività sceni­
eccelsa) una gigantesca statua nella sede del collegium poetarum. ca di questi due letterati fu molto esteso; nati a cinquant’anni di distanza,
furono entrambi assai longevi — si pensi che Pacuvio, nato nel 220, potreb­
Opere Si segnala come il più prolifico tragediografo latino: a noi restano più di qua­ be anche aver conosciuto Andronico e Nevio, e che Accio, ancora vivo dopo
ranta titoli di cothurnatae, e frammenti per circa 700 versi (fra i titoli: Armorum il 90, ebbe tra i suoi uditori il giovane Cicerone! Le tragedie di Pacuvio
iudicium [attestato anche per Pacuvio], Astyanax, Àtreus, Bacchae [Le Baccanti], e Accio ebbero risonanza immediata e continuarono ad andare in scena al­
Epinausìmache [La battaglia alle navi], Hècuba, Medèa, Melanippus, Myrmìdo- meno fino all’età augustea; e il loro influsso si sente ancora in poeti ben
nes, Nyctegrèsia [«La guardia notturna», da un episodio deW’lliade], Philoctèta, lontani per gusto e tendenza, come Virgilio, Ovidio, e anche Seneca tragico.
Phoenissae, Tèlephus, Tàreus, Thebàis, Tròades [Le Troiane]); inoltre risultano Modelli greci e I titoli delle tragedie ci confermano, anche in questo periodo, che la
due preteste: il Brutus narrava, a quanto pare, la romanzesca storia di Giunio società tragedia romana ha sempre dei modelli greci a cui riferirsi esplicitamente *;
Bruto, capo della rivolta antitirannica contro i Tarquini. Come è tipico delle preteste, contemporanea ma è sempre più chiaro, dallo studio dei frammenti rimastici, che Pacuvio
questa lontana storia aveva un legame celebrativo con il presente; un discendente
di Bruto, Decimo Giunio Bruto, trionfò sui Galleci (popolazione ispanica) nel 136 e Accio rielaborano via via il modello prescelto in piena autonomia. Tanto
a.C. Il Decius o Aenèadae trattava probabilmente del nobile sacrificio di Publio meglio lo vediamo quando possiamo avere il riscontro di modelli greci con­
Decio Mure alla battaglia di Sentino (295 a.C.); importante il titolo Aeneadae, servati: ad esempio, i frammenti delle Bacchae di Accio rispetto alle Baccan­
che sottolinea la discendenza dei Romani da Enea: il mito di Enea è sempre ti euripidee. È naturale pensare che anche a questo genere letterario si appli­
più popolare. casse la pratica della contaminazione: la lucida consapevolezza critico-letteraria
A differenza di Pacuvio (del quale sappiamo peraltro che fu autore di satire), manifestata da Terenzio nei suoi prologhi (cfr. p. 82) avrà avuto senz’altro
Accio non fu soltanto un tragediografo: la sua restante produzione lo accosta un corrispettivo nella poetica di questi sofisticati tragediografi. Ma Pacuvio
anzi a quella figura di poeta-filologo di cui abbiamo parlato a proposito di Ennio e Accio portano nelle loro rielaborazioni ben altro: quando questi poeti af­
(cfr. p. 66).
frontano temi religiosi, politici, morali e filosofici, utilizzano i miti tragici
Poco si sa delle opere erudite di Accio; ma alcune notizie ci sembrano parti­
in modo libero, toccando temi e problemi sentiti nella società romana con­
colarmente interessanti. I Didascalica, ad esempio, in almeno 9 libri, pare fossero
composti in un misto di prosa e versi, come le Saturae Menippeae di Varrone temporanea. In questo campo essi non sono più vincolati dai modelli greci:
(il quale dedicò proprio al vecchio Accio la sua prima opera grammaticale, il De anche se l’opera di Euripide (il modello più frequente nella tragedia romana
antiquitate litterarum). È nei Didascalica, probabilmente, che Accio proponeva arcaica) avrà fornito loro un esempio di come si possa «modernizzare» il
una serie di riforme ortografiche impostate secondo i principi dell’analogia (cfr. mondo della tragedia.
p. 109).
Si ha notizia anche di altre opere di Accio e di altri suoi interessi: è citato
un suo Sotadicorum liber, che lo legherebbe ancora una volta alla figura di Ennio, 1 Con qualche possibile eccezione: c’è chi pensa che opere come l’Epinausìm ache di Accio
fossero basate direttam ente su Omero (un p o ’ come succedeva ai tempi di Eschilo). Si noti
così come gli Annales (almeno 27 libri, naturalmente in esametri), anche se forse,
inoltre che in quest’epoca ai modelli greci si sovrappongono modelli latini, perché la tragedia
più che di un poema epico, si trattava di un calendario poetico sul genere di
ha orm ai una sua tradizione indigena; e si consideri la diffusione della pretesta, che continua
quel che saranno i Fasti di Ovidio. a trattare in linguaggio tragico temi e vicende specificamente rom ani.
BIBLIOGRAFIA 95
94 LO SVILUPPO DELLA TRAGEDIA: PACUVIO E ACCIO

vo). Peraltro, possiamo anche documentare innovazioni linguistiche di Pa­


Attualizzazione di Questi autori vivono in una società ricca di contrasti, di nuovi fermenti
cuvio e Accio che sono poi passate con successo nel più ampio bacino della
temi della ideologici e culturali; i vecchi miti della tragedia attica, a contatto con que­
tragedia greca lingua poetica di età cesariana e augustea: anche questi due poeti contribui­
sto ambiente, offrono nuove possibilità e assumono anche significati attuali.
rono allo sviluppo di un linguaggio poetico sempre più ricco e specializzato,
Ad esempio, il tema della tirannide, frequente nella tragedia attica, tornò
tale da poter meglio competere con le risorse del greco.
ad essere attuale nella Roma repubblicana, attraversata da profondi contra­ L’«elevazione La più importante conseguenza delle carriere di Pacuvio e Accio fu,
sti di fazioni politiche e dalla crescita di poteri personali sempre meno con­ sociale» del forse, che la tragedia salì di classe e di tono. La pratica di questo genere,
trollabili. Un altro esempio di «rivitalizzazione» è costituito dai temi religio­ tragediografo pur godendo del successo popolare, divenne sempre più cosa da gentiluomi­
si e dai dibattiti filosofici: nella cultura romana dell’epoca si è ormai creata
ni; Accio, ad esempio, non somiglia più in nulla a un teatrante puro come
una ricca stratificazione, che abbraccia i culti religiosi di stato, le tradizioni
Plauto, che vive esclusivamente dei suoi copioni: è un grammatico, un teori­
della religione popolare italica, i nuovi culti di origine greca e orientale —
co della letteratura, il rispettato presidente di un’associazione di eletti lette­
quelli permessi e quelli repressi — e infine la diffusione di nuove forme
rati. Non a caso, nella storia letteraria tra i Gracchi e Augusto, scrivere
di pensiero e di morale (si pensi al crescente influsso di stoicismo ed epicu­
tragedie diventerà una tipica occupazione privata per signori colti, spesso
reismo). La tragedia si prestava, anche qui, a mettere in scena contraddizio­
illustri uomini politici. Scriveranno tragedie personaggi come Giulio Cesare
ni ideologiche e dibattiti ideali.
Strabone, prozio di Cesare, Vario Rufo, Asinio Pollione e persino — pare
Il gusto per il Alla ricchezza dei contenuti ideali si affianca un crescente gusto per
con modestissimo risultato — Augusto stesso. Non è un caso che il già cita­
patetico l’elemento patetico e per il romanzesco, che certamente contribuiva al suc­
to Giulio Cesare Strabone e il suo contemporaneo Gaio Tizio siano ricordati
cesso popolare. Le trame delle tragedie indugiano spesso su episodi «da ro­
da Cicerone nel Brutus come eccellenti oratori e, insieme, come validi autori
manzo»: naufragi, spettri, sogni, prodigi, follia, inganni ed equivoci, crudel­
di tragedie. Il fratello di Cicerone, ufficiale alla campagna di Gallia (54
tà di ogni tipo, tradimenti, incidenti portentosi. I frammenti che abbiamo
a.C.), scrive una tragedia durante un congedo di due settimane. Il rapporto
esibiscono un gusto particolare per il pittoresco e per l’orrido: in questo
vivo con la scena si va esaurendo.
senso Pacuvio e Accio sono tra i principali esponenti di una linea «anticlas­ Decadenza del Nel frattempo, dopo le polemiche di Lucilio contro Accio e Pacuvio,
sica» che attraversa un po’ tutta la letteratura romana nel suo sviluppo, genere tragico i poeti per così dire «d’avanguardia» abbandonano il genere tragico: nell’età
e che sarà ancora affiorante persino nel classicismo augusteo. Sangue e os­
di Catullo e delle Bucoliche si preferiscono generi poetici meno reboanti,
sessioni — un po’ come nel dramma elisabettiano — sono tra gli ingredienti
più intimi e personali. Prima di Seneca (o meglio prima di Ovidio, la cui
più in voga nel gusto spettacolare: Pacuvio, che era anche pittore, si segnala
Medea pare fosse un capolavoro) la tragedia romana, pur continuando rego­
particolarmente per la «visualità» delle sue descrizioni.
Un altro aspetto in cui la tragedia del II secolo a.C. si lega alla cultura larmente a essere rappresentata, non troverà più momenti di grande ispira­
Il contributo della
retorica contemporanea è il crescente peso della retorica. L’eloquenza romana cono­ zione. Intanto, la scena è sempre più accaparrata dai successi della farsa,
del mimo e del pantomimo.
sce in questo periodo uno sviluppo senza precedenti; si assimilano sempre
meglio le finezze della retorica greca contemporanea. In particolare, la scuo­
la retorica «asiana» (cfr. p. 105) assume sempre più importanza: Accio,
che visitò Pergamo, ne deve essere stato influenzato in modo particolare. Bibliografia I frammenti di Pacuvio ed Accio so­ na e aggiornata. Uno stimolante profilo
Le tragedie, tutte intessute di discorsi, atti a commuovere e persuadere, o no editi dal R ebbeck nella silloge dei poeti in italiano è il saggio di A. L a P e n n a ,
contrapposti in veri e propri dibattiti, offrivano ampio spazio all’influsso scenici latini (cfr. p. 25); i frammenti non in Fra teatro, poesia e politica romana,
di questa disciplina del discorso. scenici di Accio dal M o r el (cfr. p. 29). Torino 1980. Su Accio e i modelli greci
Lo sperimentalismo A livello stilistico sia Pacuvio che Accio sono spesso criticati per il loro Su entram bi questi difficili autori vedi I. M a r io t t i , in «Museum Helveti-
m anca u n ’autorevole trattazione m oder­ cum», 1965, p. 206 segg.
linguistico latino «impuro»: costruzioni forzate, audaci neoformazioni, giochi di pa­
role. Queste impurità dello stile — ritenute tali nella prospettiva del classici­
smo ciceroniano e oraziano — sono naturalmente il frutto non di trascura­
tezza ma di uno sperimentalismo che continua la tradizione enniana. Accio,
del resto, fu ancora più di Ennio un poeta-filologo, interessato alla linguisti­
ca e alla retorica contemporanee. Molte ricercatezze o stranezze linguistiche
hanno causato la conservazione dei frammenti che abbiamo, citati dai gram­
matici appunto per la presenza di forme o parole singolari; e in questo senso
la nostra immagine di questi autori può essere falsata. Un esempio tipico
di sperimentalismo linguistico è il frammento pacuviario Nerei repandiro-
strum incurvicervicum pecus, una descrizione dei delfini «il gregge di Nereo,
muso-arcuato e collo-incurvato»: i due composti non avranno seguito nella
tradizione letteraria latina, e sperimentano una struttura linguistica che ha
ben pochi paralleli in latino (aggettivo + sostantivo, radice verbale + sostanti­
LO SVILUPPO DELLA POESIA EPICA: DA ENNIO A VIRGILIO 97

Il genere epico completamente diversa — perché era sostenuto da precise esigenze. Molti
LO SVILUPPO DELLA POESIA come poesia
celebrativa
Romani pensavano che la poesia fosse nient’altro che questo: celebrazione
di azioni eroiche in versi; e molti illustri protettori avranno incoraggiato
EPICA: DA ENNIO A VIRGILIO questi esercizi, che filtravano in stile omerico-enniano 2 le più recenti impre­
se di generali che erano anche leader politici. Con un passaggio non difficile,
l’epos storico si adatterà alle imprese degli imperatori, siano esse la battaglia
di Azio, o le gesta di Domiziano (esaltate da Stazio), e così via. Nel frattem­
po, lo stile si adeguava ai modelli letterari di volta in volta dominanti, da
Ennio a Virgilio, sino a Ovidio e Stazio: e la poesia epica storica continua
ad essere il miglior legame tra letteratura e propaganda, tra letteratura e
potere.

Stanca La produzione epica nel periodo che va dall’età degli Scipioni a quella
sopravvivenza del di Cesare ci appare (per gli scarsissimi frammenti che ci restano) totalmente
genere epico dominata dall'esemplarità di Ennio. L’influenza degli Annales dovette essere
dopo Ennio immediata. Poco dopo Ennio, qualcuno ridusse in esametri VOdissea di Li­
vio Andronico: il saturnio infatti, dopo l’affermazione di Ennio e le sue
polemiche con i predecessori, è ormai definitivamente superato. Accio inti­
tola Annales un suo poema in esametri: l’argomento ci è del tutto oscuro,
ma il titolo ha un chiaro aggancio programmatico ad Ennio. Ancora Anna­
les è il titolo prescelto da Aulo Furio Anziate (prima metà del I secolo),
che sembra cantasse le guerre di Roma contro i Cimbri; e contro gli Annales
di un certo Volusio polemizzerà duramente Catullo (36,1; 95,7-8). È chiaro
che il titolo indicava un tipo di epica storica che celebrava avvenimenti mili­
tari: l’estensione del racconto sarà stata spesso minore di quella enniana,
limitata a singoli periodi, a campagne militari, il cui trionfatore veniva di
volta in volta celebrato come protagonista \ A questa tendenza si ricollega­
va già il Bellum Hìstricum composto da un certo Hostius, che sembrerebbe
contemporaneo di Accio: nel titolo risulta persistere un certo influsso nevia-
no. Il genere continuerà ad essere praticato senza soluzione di continuità:
poemi storici saranno composti da Cicerone (De consulatu suo, un caso ec­
cezionale di auto-celebrazione epica), da Furio Bibaculo e (se è un personag­
gio distinto dal precedente) dal Furio che compose un poema sulle gesta
di Cesare in Gallia, da Varrone Atacino, autore fra l’altro di un Bellum
Sequanicum. In realtà, seguendo il filo delle attestazioni indirette, sarebbe
possibile ricostruire una continuità di poemi epici a tema storico che va da
Ennio fino a Lucano. Spesso questo genere epico-celebrativo ci è noto attra­
verso polemiche e parodie: Catullo attacca Volusio, Orazio ridicolizza Alpi-
nus (Satire 1,10,36). Gli esponenti delle nuove scuole poetiche considerano
il genere epico e questo genere come una sopravvivenza statica, vacua e polverosa. Tuttavia
Varrone Atacino non bisogna pensare che l’epica storica continui a riproporre la vecchia for­
mula enniana senza rinnovarsi mai: un poeta come Varrone Atacino, ad
esempio, è uno stilista raffinato, assai vicino alla cerchia neoterica e imbevu­
2 È interessante chiedersi come questi poeti risolvessero il problem a dell’apparato divino,
to di modelli alessandrini; certamente avrà portato neWepos storico anche tradizionale fin da Om ero. Abbiam o l’impressione che Nevio ed Ennio tendessero a concentra­
nuove esigenze di gusto e maggiore cura formale. D ’altra parte, il genere re questi interventi divini nelle parti più rem ote storicam ente del loro racconto; il m otivo è
continuò a vivere — e sopravvisse anche a\VEneide, che batteva una strada ovvio: fino a che punto i lettori avrebbero accettato una dimensione soprannaturale, nel rac­
conto di episodi recenti o contem poranei (Silio Italico — lontano com ’è dai fatti che narra
— non si farà scrupolo a ideare una scena del genere)? Questo problem a di poetica tornerà
m olto attuale nell’età di Lucano e Silio Italico; E um olpo ne discute nel Satyricon di Petronio
1 Sembra che la storiografia annalistica avesse uno sviluppo m olto simile. (capitolo 118 segg.).
LUCILIO B LA SATIRA 99

pendiosa doctrina, lessico del latino di età repubblicana. Cospicue allusioni nelle
opere di Orazio (vedi soprattutto: Satire 1,4,1 segg.; 1,10,53 segg.; 2,1,62 segg.).
LUCILIO Lucilio fu letto con estremo interesse anche in età imperiale (Quintiliano
10,1,93). La sopravvivenzh di numerosi frammenti si spiega con l’abbondanza
di parole rarissime e difficili nella sua opera, che offrì molto materiale ai gramma­
tici nel periodo tra II e V secolo d.C.

Lucilio e la satira

Vita La data di morte, 102 a.C., è sicura, ma quella di nascita pone uno spinoso Il rapporto col L ’opera di Lucilio si radica nello sfondo culturale che era stato di Te­
problema. S. Girolamo, la nostra fonte, attesta che Lucilio morì quarantaseienne. «circolo degli renzio; i grandi personaggi del partito scipionico (Scipione Emiliano, Lelio),
Ma se Lucilio era nato nel 148, altri dettagli noti della sua biografia risultano Scipioni» che Terenzio aveva conosciuto giovani, furono nella maturità i protettori
piuttosto difficili da accettare: quando operò nel quartier generale di Scipione del poeta satirico. La posizione sociale di Lucilio è però ben diversa da
Emiliano all’assedio di Numanzia, avrebbe avuto appena quindici anni; sarebbe quella del liberto africano Terenzio; diverso è anche il «protettorato» che
stato di una precocità letteraria notevolissima; per di più, non si capisce come l’ambiente scipionico esercita su di lui. L’indipendenza di giudizio, la verve
mai Orazio si riferisca a Lucilio chiamandolo «vecchio» (senex: Satire 2,1,34).
polemica, l’interesse curioso per la vita contemporanea, qualità che la tradi­
Una plausibile spiegazione alternativa è che Girolamo, fuorviato da una quasi-
zione gli riconosce, si adattano bene all’immagine di un eques colto e bene­
omonimia dei consoli in carica rispettivamente nel 148 e nel 180 a.C., abbia con­
fuso il 180 con il 148. In tal caso Lucilio sarebbe quasi un coetaneo di Terenzio.
stante, che non vive del proprio lavoro letterario: la sua appartenenza alla
Altri sostengono, con argomenti notevoli, una data intermedia, il 168/167 a.C., ricca aristocrazia provinciale, e il suo inserimento nell’ambiente scipionico,
che sembrerebbe in astratto la più verosimile. gli consentivano anche di muovere — liberamente — attacchi contro alcuni
Lucilio era di una distinta e florida famiglia originaria di Suessa Aurunca, degli uomini più in vista nella Roma contemporanea.
nella Campania settentrionale: la sua biografia giovanile è chiaramente legata Etimologia di Le origini del genere che i Romani chiamano satura sono piuttosto in­
al «circolo scipionico». Siamo male informati sul periodo più tardo della sua vita. satura: la ricerca certe, e misteriose già per i dotti latini. La connessione del termine con il
È II primo letterato «di buona famiglia» che conduce una vita da scrittore, volonta­ della varietà greco sàtyros, «satiro», è del tutto falsa, anche se antica: la satira, in origi­
riamente appartata dalle cariche pubbliche e dalla vita politica. ne, non sembra avere a che fare né con i satiri, né con il teatro comico
greco, in cui i satiri giocano un ruolo importante. È invece sicuro che satura
Opere Trenta libri di satire, di cui abbiamo frammenti (quasi tutti brevissimi) per lanx indicasse, nella Roma arcaica, un piatto misto di primizie che venivano
circa 1.300 versi. offerte agli dèi; di qui anche una specialità gastronomica (come un’«insalata
L’edizione di Lucilio che circolava nel I secolo a.C. — attribuita al grammati­ mista»), e un tipo di procedimento giuridico detto lex per saturam, quando
co Valerio Catone — comprendeva: i libri 1-21, tutti componimenti in esametri si riunivano stralci di vari argomenti in un singolo provvedimento legislati­
dattilici; 22-25 forse in distici elegiaci; 26-30 in metri giambici e trocaici (quelli vo 1. Fondandosi su queste attestazioni, è probabile che il valore di «mesco­
in uso nella commedia latina), nonché, nuovamente, esametri. L’ordine era dato
lanza e varietà» fosse quello originario, e che lo si percepisse anche nell’im­
da un criterio metrico e non coincideva con quello cronologico di composizione.
Si presume in genere che Lucilio pubblicasse (verso il 130 a.C.) una prima colle­
piego letterario del termine. Il nome, dunque, non è greco (come non lo
zione di cinque libri, quelli che noi conosciamo, attraverso i grammatici, come 26-30. è atellana: mentre quasi tutti gli altri generi letterari a Roma hanno corrente-
In tal caso Lucilio si orientò progressivamente verso l’esametro (segno pro­ mente nomi greci). Quintiliano contrappone la satira agli altri generi: satura
babile, questo, di provocazione ironica, in quanto al «verso eroico» venivano così quidem tota nostra est (10,1,93), «la satira è un genere integralmente roma­
adattate una materia quotidiana e una dizione colloquiale, spesso popolareggian­ no». I tentativi degli stessi poeti satirici — soprattutto Orazio — di crearsi
te); e l’esametro diventerà da Orazio in poi l’unico verso prescritto per la satira. una specie di genealogia retrospettiva in Grecia — ad esempio chiamando
I libri potevano consistere sia di composizioni uniche, sia di più brevi unità poeti­ in causa la mordacità della commedia ateniese del V secolo (Aristofane),
che. Non è affatto sicuro che il titolo Saturae risalga a Lucilio stesso, ma Orazio o ispirandosi ai Giambi di Callimaco — non incidono su questo dato di
usa il termine satura in un contesto programmatico per designare quel genere
fondo. Per quanti apporti culturali greci la satira abbia via via accolto —
di poesia inaugurato dall’opera di Lucilio; nei frammenti che ci restano Lucilio
la stessa struttura «aperta» del genere incoraggiava innesti e mescolanze —
chiama le sue composizioni col nome di poemata o anche di sermones (anzi
ludus ac sermones, «chiacchiere scherzose»), e si è ragionevolmente supposto
l’impulso originario è specificamente romano.
che il titolo primitivo dell’opera di Lucilio fosse, con nome greco, schèdia («im­
provvisazioni»).

1 La testim onianza di Tito Livio sull’esistenza nel III secolo di un genere dram m atico
Fonti Numerose citazioni in grammatici, studiosi di metrica e commentatori tardi, chiam ato satura è enigm atica e forse fuorviarne; vi accennavam o a p. 13.
specie presso Nonio Marcello, grammatico del IV secolo d.C., autore del De com-
100 LUCILIO LUCILIO E LA SATIRA 101

La satira come Questo impulso si può forse riconoscere, ai primordi della satira, come letterari molto noti, anzi esemplari, comportava anche implicazioni critico­
«spazio la ricerca di un genere letterario disponibile ad esprimere una voce personale letterarie; infatti, nel momento in cui il poeta faceva che gli dei, riuniti a
personale» del poeta. Se consideriamo come riferimento l’epoca di Ennio, la produzio­ concilio per discutere di povere cose umane, si comportassero secondo il
ne letteraria latina ci appare già assai articolata: si nota però che nessuno protocollo e le procedure del senato romano, la sceneggiatura del Concilium
dei generi canonici di poesia (epica, tragedia, commedia) prevede uno spazio deorum, messa a confronto con la realtà contemporanea, si rivelava per
di espressione «diretta», in cui il poeta possa rispecchiare il suo rapporto quello che era: nient’altro che un motivo comune, un topos, proprio della
con se stesso e con la realtà contemporanea. Intanto, l’esempio degli ales­ poesia di alta intonazione, cioè una convenzione stilizzata della maniera epi­
sandrini — soprattutto di Callimaco — aveva mostrato come si potesse idea­ ca. E contro la concezione della letteratura come vuota convenzionalità vo­
re una poesia fuori dei canoni epici e drammatici. Callimaco rimescola l’as­ leva reagire con l’ironia la poetica realistica di Lucilio.
setto tradizionale dei generi letterari: parla di poesia e di poetica (soprattutto b) descrizione di Il III libro conteneva la colorita narrazione di un viaggio in Sicilia: tema
della sua poetica), di tradizioni popolari, di scenette di vita quotidiana, e viaggi; il filone del viaggio che ritroveremo per esempio nella satira oraziana (1,5). In più
insieme cerca una forma poetica sempre più limata e raffinata. Il canone gastronomico di una satira si fornivano precetti culinari (proprio come nella satira 2,4
estetico della varietà (poikilìa) escludeva l’uniformità altisonante dell’epica di Orazio: non si dimentichi poi che Ennio, il primo autore latino che abbia
narrativa. sicuramente scritto satire, era anche autore di Hedyphagetica: cfr. p. 60).
Le satire di Varietà, voce personale, impulso realistico, sono caratteri che in qualche Nel XXX libro si descriveva un sordido banchetto; più in generale, accenni
Ennio modo discerniamo anche nei frammenti di satira enniana. Si tratterebbe di alla gastronomia connessi con il tema polemico del lusso a tavola ricorrono
quattro o sei libri, ognuno formato da più componimenti in metro vario in più libri. In particolare, nel libro XX era narrato un banchetto organizza­
(principalmente i metri comici giambo-trocaici, ma anche esametri e forse to da un parvenu, tale Granio, l’antenato letterario dei più famosi Nasidieno
sotadei). Ma vari soprattutto gli argomenti ricostruibili: una favoletta di un (cfr. Orazio, Satire 2,8) e Trimalcione.
contadino e di un’allodola, il ritratto satirico di un parassita, dialoghi, un c) l’amore; le Il libro XVI pare fosse dedicato alla donna amata: quindi Lucilio è
dibattito tra Vita e Morte; soprattutto, interventi in prima persona del poeta questioni anche un antesignano della poesia personale d ’amore, tendenza che ritrove­
e accenni di autoritratto. È verosimile che vari punti della tradizione biogra­ letterarie remo sempre più centrale negli epigrammi catulliani e nell’elegia augustea.
fica su Ennio derivino proprio dagli accenni autobiografici contenuti nelle Sono poi ampiamente attestate disquisizioni su problemi letterari: giudizi
sue stesse Satire. Anche per questo aspetto, Ennio ha un posto importante su questioni di retorica e di poetica, e vere e proprie analisi critico-letterarie
nello sviluppo di un’«autocoscienza» del poeta. Non sappiamo, invece, se e grammaticali. In questo senso Lucilio ricorda la cultura retorico­
già la sua satira contenesse spunti di polemica e veri e propri attacchi a grammaticale di Accio; ma di Accio, come di Pacuvio e di altri poeti elevati,
personaggi contemporanei. Saremmo inclini a cercare piuttosto in Nevio — Lucilio deride il gusto enfatico e declamatorio. La critica di questi generi
noto per i suoi attacchi a una certa famiglia nobiliare — questa dimensione poetici elevati è un’altra importante convergenza tra Lucilio e il gusto calli-
aggressiva del satirico: ma non è neppure certo che Nevio componesse satu- macheo, e un altro filo che connette Lucilio all’esperienza neoterica.
rae\ e della satira di Pacuvio ignoriamo tutto. Il «realismo» Non possiamo dire quanto le satire luciliane — nel loro ampio sviluppo
La Comunque sia, questa forma di poesia varia (per metro e per temi) e stilistico di Lucilio cronologico — fossero legate da un programma unitario, ed è comunque
specializzazione personale, cioè aperta alla voce del poeta e al realismo quotidiano, si offrì pericoloso immaginare questo poeta come una sorta di riformatore. Anche
nel genere a Lucilio come un ideale mezzo espressivo da perfezionare. La grande im­ l’impegno politico di Lucilio può essere stato discontinuo e oscillante: il
satirico e la . portanza storica di Lucilio sta nell’essersi concentrato esclusivamente sul ge­ suo rapporto con il gruppo scipionico è evidente nella prima satira, ma
crescita di un nere della satira — che Ennio, non dimentichiamolo, aveva praticato come il poeta sopravvisse molti anni ai suoi protettori politici. È invece chiara
nuovo pubblico
un genere minore fra tanti altri, subordinato all’epica e alla drammaturgia. l’esistenza di un programma letterario decisamente unitario e innovativo,
Lo sviluppo della satira significa anche la crescita di un nuovo pubblico, sostenuto da una personalità di vivace anticonformismo. La sua poesia
interessato alla poesia scritta, culturalmente avvertito, e desideroso di una rifiuta un unico livello di stile, e si apre in tutte le direzioni: amalgama
letteratura più aderente alla realtà contemporanea. Lucilio diceva di volere il linguaggio elevato dell’epica, rivissuto come parodia, e i linguaggi specia­
per sé lettori che non fossero né troppo dodi, né troppo poco. lizzati che finora restavano esclusi dalla poesia latina: parole tecniche, di
Temi delle satire Una produzione di trenta libri non può certamente essere ricostruita sul­ retorica, scienza, medicina, sesso, gastronomia, diritto e politica; e forme
luciliane: la base di frammenti brevi e citati per lo più a causa delle particolarità del linguaggio di tutti i giorni, attinte ai diversi strati sociali: perciò anche
a) la parodia del grammaticali che contenevano. Per quanto sappiamo, Lucilio affrontò uno un’esorbitante quantità di grecismi. In questa prospettiva Lucilio è — con
Concilium deorum spettro molto ampio di argomenti. Il I libro conteneva un’ampia composi­ Petronio — quanto di più vicino al realismo moderno offre la letteratura
zione nota come Concilium deorum; attraverso una parodia dei concili divi­ latina: tende persino a simulare l’improvvisazione. La critica del poeta bat­
ni, scena tipica dell’epos (Omero, Ennio), Lucilio prendeva di mira un certo te con vivo umorismo sui più diversi aspetti della vita quotidiana, ripresi
Lentulo Lupo, personaggio inviso agli Scipioni: gli dei decidevano di farlo nella loro concretezza fisica e linguistica, e rivissuti alla luce di ideali filoso­
morire per indigestione. La mescolanza di parodia letteraria e contenuto li- fici, visti nel loro contrasto con la realtà. In questo senso, non manca
bellistico ci ricorda un’opera come sarà VApokolokyntosis di Seneca. D ’al­ un impegno educativo, intimamente legato alla critica sociale e all’anticon-
tra parte, la parodia, proprio perché gioco costruito a spese di altri testi formismo. La disarmonia dello stile di Lucilio è certamente una scelta
102 LUCILIO

meditata, rivolta a un preciso programma espressivo, che fonde insieme vita


e arte.
Fortuna di Lucilio Come voce «personale» del genere satirico (ex praecordiis ecfero ver­ POLITICA E CULTURA
simi, dice un suo celebre frammento), Lucilio resterà un modello per tutti
i poeti satirici latini, da Varrone in poi: soprattutto, la sua capacità di presa FRA L’ETÀ DEI GRACCHI
sul reale suonerà nuova e audace, sullo sfondo della poesia latina arcaica.
Orazio critica Lucilio come poeta del suo tempo, per la vena torrenziale E LA RESTAURAZIONE SILLANA
e la scarsa finitura formale — e cioè rivolge contro Lucilio i precetti della
scuola callimachea che pure, in qualche diversa misura, Lucilio stesso aveva
recepito; ma lo consacra quale inventor della satira. D’altra parte, almeno
un aspetto dell’eredità di Lucilio andò inevitabilmente perduto: un certo to­
no di vivace polemica personale, anche politica, era legato a precise condi­
zioni sociali e istituzionali: nella Roma imperiale, la satira dovrà cercarsi
altri bersagli. Per questo aspetto, Orazio sente Lucilio lontano da sé, quasi
quanto è lontana la commedia di Aristofane.
1. Oratoria e tensioni politiche

Bibliografìa Fondamentale l’edizione di F. M a r x , Untersuchungen zu Lucilius, Berlin


r iu s , I Gracchi Il periodo che va dalle agitazioni graccane alla dominazione di Siila se­
Leipzig 1904-05, 2 voli. (rist. Amsterdam 1908 (im portante per la biografia e l’am ­
1963), con ampia introduzione e commen­
gna l’inizio della crisi che, quasi un secolo dopo, porterà al tracollo definiti­
biente storico); M . P uelm a P iw o n k a , L u ­
to; inoltre le due più recenti edizioni di cilius und Kallimachos, F rankfurt a.M . vo la repubblica aristocratica. Nel 133, l’anno della presa di Numanzia ad
N. T e r z a g h i , Firenze 19663, e di W. 1949 (sui rapporti con la poesia alessan­ opera di Scipione Emiliano, un suo cognato, Tiberio Gracco, presentò una
K r e n k e l , Berlin 1969, 2 voli. drina); I. M a r io t t i , Studi luciliani, Fi­ nuova legge agraria. Gli intenti di Tiberio erano sostanzialmente conservato-
F ra gli studi generali vedi C . C ic h o - renze 1960. ri: impressionato dalla penuria di uomini che aveva notato in varie parti
d’Italia, dalla povertà di molti e convinto che in queste condizioni sarebbe
stato impossibile mantenere l’ordinamento sociale che era l’ossatura dell’e-
sercito, egli si proponeva, mediante nuove distribuzioni di terre, di ricosti­
tuire un ceto di piccoli proprietari agricoli. L’aristocrazia senatoria, che ve­
deva nel mantenimento di grandi proprietà terriere una delle basi del proprio
potere, arroccandosi in una miope difesa dei propri interessi particolari, osta­
colò Tiberio fino a provocarne la morte. La vicenda si ripetè nel 123, quan­
do il fratello di Tiberio, Gaio, anch’egli eletto al tribunato, ne ripropose
il programma nel quadro di un disegno più ampio. Nonostante il fallimento
dei Gracchi, la questione agraria era destinata a restare al centro della vicen­
da politica e sociale della tarda repubblica; ma il programma graccano si
era rivelato impotente di fronte alle difficoltà politiche ed economiche: d’o­
ra in poi, la soluzione sarebbe stata imposta dai grandi capi militari, alla
testa di milizie di proletari, per i quali l’assegnazione di terre rappresentava
la ricompensa di lunghe campagne di guerra.
La dittatura di L ’importanza di eserciti ormai divenuti quasi personali emerse nei con­
Siila flitti fra mariani e sillani, che seguirono di poco la disastrosa vicenda della
guerra sociale, innescata dalla ostinata resistenza della classe dirigente alla
pressione dei membri più influenti dell’aristocrazia della penisola per parte­
cipare al governo di Roma. Dopo il duplice bagno di sangue della guerra
sociale e dei conflitti civili, Siila assumeva la dittatura costituente alla fine
dell’82 per deporla nel 79; nel frattempo aveva varato una efficace riforma
costituzionale che mirava a eliminare le cause istituzionali della debolezza
dell’aristocrazia, e che almeno in parte si sarebbe mantenuta in vita fino
a Cesare; senza tuttavia eliminare le cause profonde della crisi politica e
sociale che scuoteva la repubblica.
104 POLITICA E CULTURA FRA I GRACCHI E SILLA ORATORIA E TENSIONI POLITICHE 105

Il fiorire In un’epoca segnata da così aspri conflitti, l’oratoria era per forza di democratiche, filograccane; non richiedeva dai suoi allievi la conoscenza del
dell’oratoria cose destinata a una rigogliosa fioritura. Purtroppo l’affermazione di Cice­ greco, né il pagamento di rette elevate, ed era pertanto accessibile alla gio­
rone come massimo oratore della romanità ha determinato la perdita (a par­ ventù non abbiente. Con la sua chiusura, i censori ottenevano lo scopo di
te alcuni frammenti) degli oratori precedenti; eppure proprio a Cicerone (so­ annientare un centro dal quale in futuro sarebbero potuti uscire capi popola­
prattutto al suo Brutus) si deve un felice tentativo di delineare l’evoluzione ri ben versati nell’arte della parola, e di fare dell’eloquenza un monopolio
della eloquenza romana. Per comodità di esposizione — e anche per rispet­ dell’aristocrazia, la quale poteva permettersi di mantenere i costosi maestri
tare una periodizzazione sostanzialmente attendibile — abbiamo accennato di retorica greci. L’insegnamento della scuola di Plozio Gallo pare riflettersi
al cosiddetto «circolo» scipionico in una sezione precedente; ma dal punto nella Rhetorica ad Herenniurn, un manuale composto da autore ignoto pro­
di vista politico, la resistenza ai progetti graccani fu uno dei tratti determi­ babilmente negli anni ottanta (e attribuito nel Medioevo a Cicerone). Dall’o­
nanti dell’azione di Scipione Emiliano e della sua cerchia: l’oratoria di Sci­ pera — che influenzerà il giovane Cicerone — traspaiono tendenze graccane
pione e del suo amico Gaio Lelio (che Cicerone celebrerà nel De amicitia) e mariane; la base è fornita dalla manualistica greca, ma lo schematismo
non può essere trattata separatamente da quella dei Gracchi. scolastico è notevolmente attenuato dall’inserimento di copiosi materiali tratti
a) Scipione, All’oratoria deH’Emiliano Cicerone riconosceva una gravitas («solenni­ dalla cultura e dall’oratoria romane.
Lelio, i Gracchi tà») che contrapponeva alla lenitas, lo stile garbatamente pacato, di Lelio;
eppure quest’ultimo dava nel complesso un’impressione più antiquata ed au­
stera del suo amico Scipione. Accenti veramente nuovi all’eloquenza romana Asianesimo e atticismo
dovè tuttavia conferire la misericordia sociale dei Gracchi. Niente ci resta dei
discorsi di Tiberio, mentre meglio informati siamo su Gaio, il primo «classi­ I due tipi di Nella generazione che precede quella di Cicerone incomincia a delinear­
co» dell’oratoria romana: entrambi i fratelli avevano ricevuto una solida edu­ asianesimo si, nell’eloquenza romana, il conflitto di gusti e di stile fra «asiani» e «attici-
cazione da ottimi maestri greci nella casa della madre Cornelia, figlia dell’A- sti». L ’eloquenza «asiana» era detta così perché nata, a quanto pare, a Per­
fricano Maggiore. Di Gaio, Cicerone ricorda la ubertas, la florida esuberanza gamo in Asia Minore, fra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C.; ricerca­
dello stile, forse influenzata dalla moda asiana (cfr. p. seg.), accanto all’ir­ va soprattutto il pathos e la musicalità, ricorrendo a uno stile fiorito e
ruenza della sua actio, caratterizzata da una vis dicendi quasi demostenica. Ec­ ridondante e ad un’actio istrionicamente affettata. Cicerone distingueva, in
co le sue parole {Brutus 125 seg.): «... Gaio Gracco, uomo di altissimo inge­ verità, due tipi di asianesimo: il primo sembrava ricercare una sequenza inin­
gno, di infiammata passione, di precoce dottrina. Nessuno, Bruto, ebbe elo­ terrotta di frasi civettuole e sofisticate, ricche di metafore e giochi di parole,
quenza più piena e più ricca. ... Grave perdita subirono la società e la lettera­ e strutturate secondo artificiosi schemi ritmici. Il secondo tipo era invece
tura di Roma per la sua morte immatura. Oh, se non avesse voluto essere caratterizzato dalla tumida sovrabbondanza di parole colorite. Ovviamente
più fedele al fratello che alla patria! Sarebbe stato facile per lui, con il suo i due tipi potevano combinarsi, ed in effetti la combinazione era stata realiz­
ingegno, raggiungere la gloria del padre o quella del nonno. Nell’eloquenza zata dal retore Egesia di Magnesia. Tendenze lievemente asiane si sono volu­
non so se avrebbe avuto rivali: perché c’è grandiosità nelle sue parole, saggez­ te ravvisare, come abbiamo visto, nell’oratoria di Gaio Gracco. Più marcate
za nei suoi pensieri, gravità nell’insieme del discorso. Mancò alle sue opere erano in Publio Sulpicio Rufo (morto nell’88 a.C.), che Cicerone introduce
l’ultimo tocco: cose avviate con grande maestria ma non perfettamente com­ fra i personaggi minori del De oratore. Ma l’asianesimo romano venne svi­
piute. Un oratore che i giovani devono leggere, ti dico, prima d ’ogni altro, luppato soprattutto da Quinto Ortensio Ortalo, che aveva solo diciannove
caro Bruto; perché può non solo affinare il loro ingegno ma anche accrescerlo». anni al tempo della sua prima esibizione e morì nel 50 a.C., dopo un’intera
b) Antonio e La generazione successiva ebbe i più grandi oratori in Marco Antonio vita dedicata all’oratoria. Ortensio fu rivale e poi amico di Cicerone, del
Crasso e Lucio Licinio Crasso; Cicerone, che li udì ambedue in gioventù, ne fece quale influenzò profondamente lo stile giovanile.
i protagonisti del De oratore, giudicando che con essi l’eloquenza romana La reazione Più tarda è l’affermazione a Roma della corrente atticistica, reazione
avesse raggiunto la maturità. Antonio e Crasso appartenevano al partito atticistica e di un gruppo di giovani che si schierano contro Cicerone, allora oratore
aristocratico (Crasso, che all’inizio si era schierato coi populares, compì un Licinio Calvo principe, accusandolo, non troppo giustificatamente, di asianesimo. Gli «at-
brusco voltafaccia politico nel 106): il primo cadde vittima dei mariani nell’87; ticisti» erano così soprannominati perché privilegiavano lo stile semplice,
il secondo era morto di morte naturale alla vigilia del divampare della guerra discorsivo e scarno dell’oratore attico Lisia. Ricercavano, nell’eloquenza,
sociale. L’oratoria di Antonio faceva appello soprattutto alle emozioni, mentre l’ideale di un periodare nitido e conciso. Fra gli atticisti, oltre a Marco Bru­
quella di Crasso era più varia e sapeva graduare abilmente tonalità ed effetti to, il futuro tirannicida, emerse in modo particolare Gaio Licinio Calvo
— dalla concitazione patetica a una vena più leggera, ricca di fine humour (82-47 a.C.), amico di Catullo, che fu per un certo periodo il più pericoloso
— ed anche fonderli in una maniera che non trovava paragoni: le sue argu­ rivale di Cicerone nel foro. La sua eloquenza era impetuosa e vibrante, ma
zie, ci dice Cicerone, non andavano disgiunte dalla gravitas. anche sorvegliatissima; Quintiliano ne esalta l’austera purezza, che definisce
c) la scuola di Nel 92 Crasso esercitò la censura insieme a Gneo Domizio Enobarbo; col termine sanctitas. Calvo evitava accuratamente il pathos grandioso, il
Plozio Gallo e la per quanto fra loro non corresse buon sangue, i due censori furono concordi che, secondo il giudizio probabilmente unilaterale di Cicerone, era sintomo
Rhetorica ad nell’emanare un editto che ordinava la chiusura della scuola di retorica aper­ di un eccesso di autocontrollo, dal quale derivava il carattere troppo raffina­
Herenniurn ta in Roma da Plozio Gallo, un cliente di Mario. La scuola aveva tendenze to e non popolare della sua eloquenza.
106 POLITICA E CULTURA FRA I GRACCHI E SILLA LO SVILUPPO DELLA STORIOGRAFIA 107

2. Lo sviluppo della storiografia in poi. Più interessante era probabilm ente la personalità di Quinto Claudio Q uadri­
gario: costui, pur seguendo il metodo annalistico, incominciava la sua esposizione
della storia di Rom a (in almeno ventitré libri) non con le origini della città, ma
Il nuovo metodo Dopo l’oratoria, la storiografia è il genere letterario nel quale maggior­ con l’incendio gallico, e la proseguiva fino ai propri tempi. E ra narratore colorito
storico: mente si esprime la crisi politico-sociale dell’età graccana. L’interesse per e vivace, m a la sintassi era m onotonam ente coordinativa; forse proprio per questo
a) Sempronio le vicende contemporanee si unisce al tentativo di fondare un nuovo metodo motivo venne am m irato da letterati di gusto arcaizzante come Gellio e Frontone.
Asellione storico, che in parte ripudia la secchezza della cronaca annalistica per auspi­
care una penetrazione razionale degli eventi, una loro spiegazione causale
che dia il giusto spazio alla narrazione dei dibattiti politici accanto all’elen­ Sisenna e la storiografia «tragica»
cazione delle campagne belliche. In tal modo, incomincia a farsi sentire sui
Romani che scrivono di storia l’influsso del razionalismo polibiano. Questo Sisenna Lo storico più notevole dell’età sillana fu senza dubbio Lucio Cornelio
è particolarmente chiaro nei frammenti del proemio dell’opera storica di storiografo Sisenna (120 ca. - 67). Uomo politico di tendenze dichiaratamente aristocra­
Sempronio Asellione, un personaggio della cerchia scipionica che partecipò «tragico» tiche, Sisenna scrisse Historiae che trattavano esclusivamente di vicende con­
alla guerra di Numanzia. Asellione prende esplicitamente posizione contro temporanee, dalla guerra sociale alla morte di Siila, mentre alla storia più
la storiografia annalistica: scrivere, afferma, in quale anno sia cominciata antica era dedicata una rapida introduzione. Nella storiografia di Sisenna
o finita una guerra, e fornire altre informazioni di questo genere, equivale campeggiava quasi come un eroe il personaggio di Siila, del quale probabil­
a scrivere favole per bambini, non un’opera di storia. Per questo motivo mente erano messi in rilievo anche i tratti di leader carismatico. Sisenna
Asellione si propone, rompendo con la tradizione annalistica, di narrare solo era attento agli eventi politici; ma nella sua narrazione un ruolo importante
gli eventi cui egli ha assistito personalmente, e di demonstrare quo consilio dovevano giocare i particolari romanzeschi e favolosi, secondo il metodo
quaque ratione siano avvenuti. In effetti, un frammento del libro IV della sto­ della storiografia «tragica» (cioè ricca di elementi drammatici), per il quale
ria di Asellione si riferisce al 137 a.C., e uno del libro XIV (l’ultimo di cui Sisenna si rifaceva a Clitarco, uno degli storici di Alessandro Magno. Del
si abbia notizia) al 91 a.C., anno in cui l’autore doveva già essere vecchio. resto proprio la storia romana dal periodo dei Gracchi a quello di Mario
b) Celio Antipatro U n’altra forma di «rottura» aveva del resto già praticato, qualche anno e Siila offriva abbondanti materiali per una narrazione colorita e romanze­
prima di Asellione, Celio Antipatro. Costui, di origine plebea, di cultura Lo stile di sca, ricca di colpi di scena e di peripezie. Al contenuto della narrazione
raffinata, giurista e maestro di eloquenza, aveva scritto dopo il 120 a.C. Sisenna doveva adeguarsi lo stile di Sisenna: di un asianesimo spinto, contrassegnato
un’opera storica in sette libri la quale, anziché rifarsi ab urbe condita, si dall’abbondanza di arcaismi, dalla ricerca di rarità lessicali, dalla tendenza
limitava a trattare monograficamente della seconda guerra punica. Altra im­ alle tinte sovraccariche. Cicerone, che pure apprezzava Sisenna, riscontrava
portante diversità di Celio Antipatro dagli annalisti risiedeva nel fatto che «qualcosa di puerile» nel suo stile, e ironizzava sui suoi frequenti preziosi­
egli, rivolgendosi a un pubblico il quale dalla narrazione intendeva trarre smi lessicali chiamandolo emendator sermonis usitati. Sempre da Cicerone
piacere oltre che insegnamenti, non si limitava alla secca esposizione dei sappiamo che Sisenna fu anche apprezzato oratore, ma niente ci resta dei suoi
fatti, ma lasciava spazio a elementi fantastici e miracolosi, al pathos tragico, Le fabulae discorsi; rimangono invece pochi frammenti delle sue Fabulae Milesiae (così
ai racconti di sogni e di apparizioni; al diletto del lettore era probabilmente Milesiae chiamate perché rielaboravano un’opera di Aristide di Mileto), racconti di
indirizzata anche la cura dell’elaborazione stilistica. Cicerone sarà grande carattere licenzioso, composti in uno stile piano ma saporito e vivace, desti­
ammiratore, come si può immaginare, di Celio Antipatro, mentre criticherà nati a essere uno dei modelli delle novelle contenute nei romanzi di Petronio
aspramente lo stile disadorno di Sempronio Asellione, contribuendo così alla e di Apuleio.
grande fortuna dell’uno (ne conserviamo quasi settanta frammenti) e al par­
ziale oblio dell’altro.
Gli inizi dell’autobiografia
Gli annalisti M a nell’età dei Gracchi incontriam o anche notevoli personalità di storici che si atten­
tradizionali: nero al metodo strettam ente annalistico: Lucio Cassio Em ina, i cui A nnales in almeno I commentarii e Già si è visto (cfr. p. 52 seg.) come la storiografia latina fosse in genere
a) l’età dei quattro libri giungevano a narrare eventi del 146, e che sembra avere avuto più fortuna la nascita del elaborata da membri della classe dirigente, ma, con la notevole eccezione
Gracchi tra gli autori di antiquaria che presso gli storici puri; Lucio Calpurnio Pisone Frugi, ritratto di Catone, non da personaggi di grande rilievo politico, i quali probabilmen­
console nel 133, nemico dei Gracchi, implacabile fustigatore dei costumi (donde il
te sentivano l’impegno della ricerca storica e dell’elaborazione stilistica come
soprannom e di Frugi), i cui A nnales in almeno sette libri ebbero m olta fortuna presso
gli storici successivi, tra cui Livio e Dionigi d ’Alicarnasso; Gaio Fannio, genero di tempo sottratto alla vera e propria azione politica. In età sillana si assiste
Lelio e console nel 122; Sempronio Tuditano, console nel 129, anche lui nemico dei tuttavia al fenomeno di uomini politici importanti che scrivono commentarii
Gracchi, autore anche di ponderosi Libri magistratuum; Gneo Gellio, fortunato autore sulla propria vita e sul proprio operato politico. Questi commentarii, forse
di A nnales in almeno 33 libri; Vennonio, di cui ci resta quasi solo il nome. talora poco più che raccolte di appunti, non avevano bisogno di particolari
b) l’età sillana In età sillana, l’annalistica nel senso rigoroso del termine (cioè quella che narrava
anno per anno la storia di Rom a a partire dalle sue origini) prosegue con Licinio cure stilistiche, e potevano anche servire da materiali per gli storici veri e
Macro (il padre deO’atticista Licinio Calvo) e con Valerio Anziate. Gli A nnales di propri. Gli autori appartengono all’aristocrazia: sappiamo di commentarii
quest’ultimo si estendevano per almeno settantacinque libri, m a a quanto pare i due autobiografici di Emilio Scauro (console nel 115), di Rutilio Rufo (anch’egli
terzi dell’opera erano dedicati agli eventi degli ultimi decenni, da Tiberio Gracco console, nel 105), di Lutazio Catulo, e (in greco) dello stesso Siila. Si è
108 LA COMMEDIA DOPO TERENZIO 109
POLITICA E CULTURA FRA I GRACCHI E SILLA

acutamente messo in connessione il sorgere di queste forme di autobiografia nuata e perfezionata dal discepolo Varrone), commentò il Carmen Saliare,
con la nascita del ritratto nell’arte figurativa romana, secondo un’interpreta­ e, probabilmente, le Leggi delle XII Tavole; Ottavio Lampadione curò l’edi­
zione diffusa (e oggi tuttavia discussa) che vuole il ritratto repubblicano zione di Nevio, Vettio Filocomo quella di Lucilio. La compilazione di opere
Caratteri delle nato in ambito aristocratico ed ispirato dall’ideologia aristocratica. Alcune enciclopediche (per esempio i Musarum libri I X di Aurelio Opillo) incomin­
autobiografie autobiografie, come quella di Rutilio Rufo, saranno state una sorta di au­ ciava intanto a rispondere al diffuso bisogno di informazione erudita.
toapologia politica; in altre, soprattutto in quella di Siila, pare fosse notevo­
le la presenza di elementi «carismatici»: Fautore si esaltava come investito Analogia e anomalia nell’uso della lingua
di una missione divina (ricordiamo l’epiteto Felix che Siila si attribuiva come
«favorito» degli dei) e, per sottolineare la propria «investitura», dava pro­ Si fa intanto sentire, negli studi grammaticali romani, l’eco delle dispute
babilmente un certo spazio alla menzione di segni miracolosi, come i sogni che contrapponevano le scuole filologiche di Alessandria e di Pergamo. Que-
premonitori, prova evidente della sua «designazione» divina. L’esempio di st’ultima riconosceva la lingua come libera creazione dell’uso (consuetudo),
Siila sarebbe stato continuato da Lucullo e, probabilmente, da Augusto, ammettendo perciò come un fenomeno necessario le deviazioni, o «anoma­
il quale, accanto al resoconto ufficiale delle Res gestae, scrisse anche un’au­ lie» (irregolarità rispetto ai modelli costituiti), consuete nel sermo cotidia-
tobiografia dove, a quanto pare, narrava miracoli che avevano preceduto nus. La scuola di Alessandria rappresentava invece una tendenza purista
la sua nascita e così via. e conservatrice; appellandosi all’autorità dei classici, voleva la lingua fonda­
ta sulla norma {ratio) e sulla analogia, la regolarità conseguente al rispetto
dei modelli riconosciuti; di conseguenza, metteva per esempio al bando i
neologismi. Tirannione il Vecchio fu deciso sostenitore dell’analogismo; Ales­
3. Studi antiquari, linguistici, filologici sandro Poliistore, un liberto di Siila autore di opere dottissime di compila­
zione e di divulgazione, sostenne la causa della anomalia. Elio Stilone (parti­
Col termine «antiquaria» si intende la scienza che indaga le origini re­ to dalle posizioni anomaliste di Cratete di Mallo, esponente autorevole della
mote di usi, costumi, istituzioni giuridiche e sociali, insomma della civiltà scuola di Pergamo, aveva ascoltato a Rodi le lezioni di Dionisio Trace, ana-
di un determinato popolo. L ’antiquaria è naturalmente collegata con la sto­ logista) cercò di conciliare, nei suoi studi di lingua, le tendenze analogiste
riografia (per gli interessi antiquari di Fabio Pittore cfr. p. 53), ma si avvale con quelle anomaliste, e su questa via sarà seguito da Varrone; mentre ar­
anche di contributi di altre scienze, ad esempio di quelli della ricerca filo- dentemente analogista si professerà Giulio Cesare, autore di un perduto trat­
logico-linguistica e archeologica. Si capisce come questa scienza, che stimo­ tato De analogia.
lava l’orgoglio nazionale, trovasse in Roma sviluppo e ampio credito, a par­
tire soprattutto dal periodo delle conquiste.
Divaricazione fra Dell’antiquaria di questo periodo ci restano solo i nomi di pochi studio­
storiografia e si; ci limitiamo a citare: nella prima metà del II secolo, Fulvio Nobiliore, 4. La commedia dopo Terenzio: la fabula palliata e la fabula togata
antiquaria il protettore di Ennio, autore di Fasti, e nella generazione successiva Giunio
Graccano, che deve il suo cognome all’accesa simpatia per- il partito dei La palliata dopo Sarebbe sbagliato pensare che dopo la grande fioritura di Plauto e Teren­
Gracchi. È comunque probabile che nell’antiquaria già incominciasse a farsi Terenzio: Turpilio zio (senza dimenticare il perduto Cecilio Stazio, che gli antichi ritenevano
e gli altri autori un maestro della stessa caratura) la palliata (la commedia di ambiente greco)
sentire la consapevolezza degli apporti delle diverse culture italiche alla for­
mazione della civiltà romana, consapevolezza che arriverà a piena maturità conoscesse un brusco immediato declino. Anzitutto i grandi classici continua­
nel secolo successivo con Varrone. Si assiste, tuttavia, a una divaricazione rono a essere rappresentati, almeno sino all’età di Cicerone (oltreché, ovvia­
fra storiografia e antiquaria: se l’interesse per le antichità era forte nei primi mente, molto letti e imitati: ma questo non riguarda la vera e propria fortuna
annalisti, esso successivamente si affievolisce negli scrittori di storia, forse teatrale). Del resto abbiamo per tutto il II secolo nomi di autori e titoli di
sopraffatto dalla ricerca stilistica e dalla volontà di penetrazione pragmatica opere: Licinio Imbrice, Trabea, Atilio, e il nemico di Terenzio, Luscio; inoltre
degli avvenimenti. Verso la fine della repubblica lo storico e l’antiquario un autore un po’ più tardo (morto nel 103) di cui restano parecchi frammenti,
saranno ormai tipi di studiosi profondamente diversi. Turpilio. Di Turpilio possiamo dire che continuò, come Plauto e Terenzio,
La nascita della È di quest’epoca anche la nascita di una filologia latina come disciplina a imitare Menandro, ma scrisse anche qualche commedia mitologica (dopo
filologia: Elio specializzata, segno rilevante di un’ormai acquisita maturità culturale e di quell’importante esperimento che era stato PAnfitrione di Plauto). Lo stile
Stilone coscienti esigenze critiche. In poeti come Accio e Lucilio l’attività filologica che emerge dai frammenti è antiquato, non solo arcaico ma arcaizzante.
e grammaticale si saldava ancora, secondo la tradizione alessandrina, con Il tramonto della Questo è un aspetto caratteristico. La palliata cominciò a essere sentita,
l’attività di creazione letteraria. Lucio Elio Stilone Preconino (che sarà mae­ palliata sempre più, come un genere «all’antica»; nell’età di Cesare e Cicerone, lo
stro di Varrone e di Cicerone) dette inizio a un lavoro critico di pubblicazio­ stile tradizionale della commedia plautina suona arcaico; la stessa metrica
ne e di commento dei testi letterari. Stilone, nato a Lanuvium verso il 150, dei cantica risulta sempre meno godibile, perché sempre meno comprensibi­
era un cavaliere legato al partito aristocratico. Si occupò di problemi di le; e la metrica delle parti recitate sembra assurdamente irregolare e quasi
autenticità delle commedie plautine (in questo campo la sua opera fu conti­ anarchica. Lo spazio dello spettacolo comico, nel corso del I secolo a.C.,
110 POLITICA E CULTURA FRA I GRACCHI E SILLA
l ’a t e l l a n a e il m im o 111

fu invaso gradatamente da generi alternativi, quali l’atellana e il mimo (cfr. bui certo al successo di massa della togata, che rimase sempre un genere
pp. 24 e 111). Rispetto alla palliata, retta da rigidissime convenzioni scenico- in tono minore, estraneo sia alle grandi sperimentazioni letterarie di un Plauto,
letterarie, e legata a un fondale grecizzante, questi generi rispondevano all’e­ sia al successo «commerciale» dei generi spettacolari più apertamente plebei.
sigenza di un maggiore «verismo» e di una libera flessibilità strutturale.
La togata·. Titinio Esigenze simili si rispecchiano già nel successo della commedia cosiddet­
e Afranìo ta «togata» (di ambiente e costume romano o italico), che si sviluppa nel
corso del II secolo: il primo autore è Titinio, di datazione incerta ma forse 5. L’atellana nella Roma della tarda repubblica: Pomponio e Novio
da collocarsi un po’ prima di Terenzio; all’incirca contemporaneo di Lucilio
è Lucio Afranio; di un terzo autore, Atta, si sa che morì nel 77 a.C. Pur­ L’atellana diventa Nella prima metà del I secolo, all’incirca nel periodo sillano, quel genere
troppo abbiamo solo titoli, e magri frammenti (15 titoli e circa 180 versi un genere di farsa popolare e sub-letteraria che era stato l’atellana (cfr. p. 24) conobbe
per Titinio; una quarantina di titoli e poco più di 400 versi per Afranio, autonomo un ritorno di fortuna, legato però ad un cambiamento di livello culturale. L’a­
il meglio conservato dei tre; solo pochissimi versi e 12 titoli per Atta), che tellana era stata a lungo impiegata come una sorta di «comica finale» (exodium),
non danno una chiara idea delle trame e dello stile. La togata sembra pro­ affiancata a spettacoli di diverso livello. Ora, in seguito alla maturazione di gu­
porsi come una palliata di ambiente romano (la toga era la veste romana), sto del pubblico romano, questo tipo di farsa — acquistata l’autonomia di rap­
ma non è facile dire quanto gli autori si staccassero dalle convenzioni della presentazione à sé — poteva essere in qualche modo «regolarizzato», affidato
commedia plautina. Non sappiamo con certezza di nessun autore che abbia a testi scritti più elaborati e dettagliati dei semplici canovacci o repertori di bat­
composto insieme palliate e togate (anche se il versatile Nevio sembrerebbe tute. Nello stesso tempo, l’atellana manteneva certi suoi aspetti popolareschi
un buon candidato); purtroppo però le linee di demarcazione esatte fra i e di umorismo grasso, che rispondevano sempre a esigenze del pubblico — non
due generi comici ci sfuggono. Abbiamo titoli della togata che potrebbero necessariamente solo del pubblico popolare: si confronti la fortuna moderna
figurare in Plauto e Terenzio, ma anche titoli che parlano direttamente di di certi generi comici anche presso le classi aristocratiche e acculturate.
realtà italiche e romane: «La ragazza di Velletri» ( Veliterna), «La tintoria» L’atellana nell’età Così si spiega bene che nell’età sillana abbiano avuto fama veri e propri
(Fullonia), «Il divorzio», «La partenza del soldatino» (Tiro proficiscens), di Siila: autori di atellane «letterarie». Delle loro opere abbiamo solo titoli e fram­
«La commedia degli edili» (cioè i magistrati romani: Aedilicia). Pomponio e menti: più precisamente 70 titoli e circa 200 versi di Pomponio, e 44 titoli
Novio e un centinaio di versi di Novio. Di Lucio Pomponio sappiamo che era
Influssi greci È facile supporre che la togata andasse incontro al bisogno di una dram­
sulla togata maturgia più vicina alle realtà quotidiane e locali tuttavia sarebbe perico­ nativo di Bologna e che fiorì nell’89; del suo contemporaneo Novio, ancora
loso esagerare in questa direzione. Non pare che gli autori di togata condu­ meno. Il dato fórse più significativo è che Pomponio compose non solo
cessero nessuna programmatica «battaglia per il realismo». Afranio dichia­ atellane ma anche testi di classe più elevata, come palliate e persino tragedie.
rava di ammirare l’eleganza di Terenzio, e imitava non solo gli scenici latini, Questo dimostra il cambiamento di livello nelle fortune dell’atellana. Un
ma anche direttamente il grande maestro greco Menandro. I pochi fram­ altro indizio interessante è che i titoli tramandati conservano chiaramente
menti rimasti fanno pensare che i poeti della togata facessero uso di cantica l’impronta di un repertorio di maschere («Buccone gladiatore», «Macco sol­
polimetrici e per questo aspetto, trascurando l’esperienza terenziana, ritor­ dato», «Pappo contadino», «Pappo trombato alle elezioni», ecc.), ma pre­
nassero alla pratica di Nevio, Plauto e Cecilio. Dobbiamo quindi immagina­ sentano talora commistioni con titoli tipici della palliata (per esempio Adel-
re un teatro nutrito di influssi greci, anche se più aperto agli ambienti delle phoe, «I fratelli»); conosciamo anche titoli più alti e solenni, o addirittura
classi umili (non solo gli schiavi tipizzati della palliata, ma anche artigiani greci, che fanno pensare a situazioni di parodia della tragedia o del mito
I toni «smorzati» e popolani più realistici e meno fuori dal tempo). Una conseguenza impor­ (Armorum iudicium, Andromacha, Hercules coactor, «Ercole esattore»).
della togata tante nella scelta di ambientazione della togata era una certa moderazione La palliata era stata in origine influenzata dalla farsa popolare italica: ora,
dei toni: come si è visto, la libertà fantastica della commedia plautina era probabilmente, i tempi erano adatti per un’influenza di segno opposto, tanto
legata alla scelta di tenersi «fuori» dalla realtà sociale romana, se non per più che la palliata restava il genere comico dominante nella Roma repubblicana.
occasionali battute di spirito: ma un teatro che mettesse in scena direttamen­ L’atellana in età L’atellana sopravvive anche in età imperiale, ma con uno spazio senz’altro
te personaggi romani doveva essere ancora più misurato e prudente. Il gram­ imperiale decrescente. Il suo stile comincia a essere sentito come arcaico, in un’epoca
matico Donato, nel suo commento a Terenzio (Eunuchus 57), ricorda che, che vede un rinnovamento sia dello stile letterario sia dei gusti del pubblico.
mentre nella palliata era possibile mettere in scena schiavi più abili e intel­ Il successo del mimo come forma di intrattenimento popolare, dall’età
ligenti dei padroni, nella togata questo non era concesso. Seneca dice addirit­ di Cesare in avanti, creò un nuovo polo di interesse, a tutto svantaggio
tura che le togate si tenevano un po’ a metà fra commedia e tragedia. Di dei generi comici tradizionali.
Afranio abbiamo nobili massime, di intonazione filosofica, quale «il saggio
ama, tutti gli altri bramano». Questa smorzatura nei toni comici non contri­
6. Il mimo. Laberio e Siro
1 U na specie particolare di commedia togata era la fa b u la tabernaria (ma questa potrebbe
anche essere u n ’altra denom inazione per la togata) in cui i personaggi erano rom ani o italici La preistoria del mimo romano è alquanto intricata, come sempre suc­
e la scena era posta in una taberna, una bottega o u n ’osteria (cfr. anche p. 26). cede per i generi di spettacolo popolare nel mondo antico. Il termine greco
IL MIMO 113
112 POLITICA E CULTURA FRA I GRACCHI E SILLA

Le varie forme indica l'imitazione della vita reale: ma questa etichetta copre sia forme di Divenuto dittatore, Cesare si vendicò costringendo Laberio a recitare uno
del genere letteratura piuttosto sofisticata, non sempre destinata alla recitazione (l’in­ dei suoi testi: recitare in un mimo era attività degradante per un cavaliere
mimico flusso del mimo è presente anche in un poeta coltissimo ed elitario come Teo­ romano, e Laberio se ne lamentava sentenziosamente in un prologo.
crito), sia generi di spettacolo più simili all’avanspettacolo e al music-hall: b) Publilio Siro Rivale di Laberio e autore di mimi letterariamente stilizzati fu Publilio
dunque con «numeri» slegati fra loro, non sempre basati su veri e propri Siro. Costui era più giovane, e di nascita non libera: recitava quindi perso­
nalmente i suoi lavori, con una vera e propria compagnia di giro. Sembra
testi; con componenti di improvvisazione, e largo spazio a musica, danza,
che Publilio fosse proverbiale per la sua capacità di coniare sententiae, motti
e a quella che noi propriamente intendiamo come «arte mimica». L’imitazio­
ne di scene di vita quotidiana si risolveva o in effetti grotteschi di crudo reali­ e massime di carattere generale (in questo senso il suo lavoro si apparentava
smo, o anche in parodie dei generi letterari più elevati e «regolari». alla retorica contemporanea). La fortuna postuma di Publilio è rappresenta­
La domanda di Originariamente la rappresentazione di mimi era limitata quasi esclusi­ ta da un’antologia di massime moraleggianti (dei suoi mimi, alPinfuori di
verismo e il vamente ai ludi florales (verso la fine di aprile); in seguito il mimo divenne tali massime, ci rimangono solo due titoli e quattro o cinque versi). La rac­
successo del forma di spettacolo assai richiesta. La crescente voga di questi spettacoli colta ci è giunta a suo nome, ma è opinione diffusa che sia stata profonda­
mimo mente rimaneggiata e interpolata: in ogni caso, queste massime non danno
nell’età di Cesare si ricollega al crescere di un gusto «veristico», che si di­
un’idea adeguata della sua attività di teatrante 2. È probabile comunque che
stacca dalle tradizioni arcaiche; tutta l’arte romana di questo periodo avver­
Publilio, come Laberio, fosse un autore di punta, estraneo agli aspetti più
te questo mutamento di gusto e di stile, per cui Plauto ed Ennio risultano
triti e commerciali della produzione mimica.
non più attuali. Aspetti veristici — ripresa del linguaggio quotidiano, e at­
tenzione al quotidiano come tema d’ispirazione — sono presenti persino in Divaricazione del Che forme di spettacolo come l’atellana e il mimo siano predilette dal
un letterato sofisticato e difficile quale è Catullo. Veristico è anche il mimo, gusto e pubblico mostra in quale decadenza siano ormai cadute le forme tradizionali
decadenza del del teatro latino: tragedia e commedia. È vero che era mancata la capacità
e lo si avverte già nelle sue convenzioni sceniche, che lo caratterizzano oppo­ teatro tradizionale
nendosi a quelle in uso nella commedia. Gli attori recitavano sempre senza di rinnovamento, erano mancati anche nuovi autori di teatro, ma accanto
maschera: ampio spazio, dunque, all’espressività del volto, e maggiore reali­ a questi fattori negativi ne interveniva un altro, molto condizionante: poco
a poco si era verificata come una divaricazione nei gusti del pubblico. Da
smo (in senso moderno) della recitazione; ecco quindi sulla scena ruoli fem­
una parte, Yélite colta cominciava a richiedere un’espressione letteraria sem­
minili interpretati da donne, a differenza che nel teatro di Plauto e Terenzio.
pre più elaborata e raffinata, più problematica — e quest’esigenza sarebbe
I mimi (il termine, significativamente, indica tanto gli interpreti professiona­
li che gli spettacoli da essi messi in scena) non portavano calzature rialzate, stata soddisfatta soprattutto dalla letteratura di consumo privato; dall’altra
come gli attori di teatro «serio»: li chiamavano perciò planipedes, perché parte, la massa urbana, cresciuta a dismisura, aveva subito un processo di
recitavano «raso terra». degradazione (o almeno di deriva) culturale, che la rendeva ormai accessibile
Mimo Del mimo di età cesariàna ci sono noti, da frammenti e da fonti a loro quasi esclusivamente a forme di spettacolo semplici e in genere piuttosto
«spontaneo» e contemporanee, due importanti autori: Decimo Laberio e Pubblio Siro. Con­ volgari. Il teatro popolare latino si era esaurito anche perché il suo linguag­
mimo «letterario» viene avvertire che l’immagine del genere mimico offerta da questi due scrit­ gio non aveva più una validità comune alPinsieme dei suoi destinatari, aveva
perduto la sua capacità di coesione culturale. Per gli uni era troppo schema­
tori è molto parziale. Non tutti gli «autori» del mimo furono personalità
tica la sua «forma del mondo», troppo elementare e poco flessibile di fronte
letterarie come Laberio e Siro: la fortuna del mimo, in età repubblicana
alle complessità delle esperienze e delle ansie attuali; era invece poco «vera»
e nella prima età imperiale, continuò a basarsi su canovacci schematici, im­
per gli altri, per coloro cioè che, a titolo diverso e a diverso livello, costitui­
provvisazioni, canzoni, capriole e anche, con sicuro successo di pubblico,
vano l’eterogenea massiccia realtà del «popolo» romano: questi ultimi cerca­
numeri di spogliarello delle mime. Sembra che le situazioni-base fossero del­
vano forme di spettacolo capaci di riprodurre direttamente (senza tutte le
le scenette a sé stanti, con equivoci piccanti, amori boccacceschi, o litigi
clamorosi: lo spettacolo aveva spesso un finale brusco e a sorpresa, con convenzionali elaborazioni drammaturgiche) le più semplici manifestazioni
del vivere quotidiano, le tante vivaci situazioni di piccoli personaggi condi­
un comico incidente conclusivo e un fuggi-fuggi generale. In età imperiale
zionati dalla materialità dei bisogni e portatori solo di emozioni facili, pri­
il mimo si distaccò sempre più dalla commedia, evolvendo verso forme di
mitive, di soddisfazione immediata.
balletto e di recitazione muta: fu il grande successo del pantomimo.
La morte del Una nuova letteratura ci sarebbe stata — per chi cercava poesia di lettu­
Il mimo L ’opera di Laberio era giudicata di un livello superiore, e perciò ne
«letterario»: teatro «popolare» ra e di recitazione — perché nuovi linguaggi sarebbero venuti a interpretare
abbiamo qualche resto (43 titoli e 106 frammenti per complessivi 176 versi).
a) Laberio nuovi modelli di sensibilità, e avrebbero dato espressione a nuovi ideali e
Anzitutto l’autore era un cavaliere romano (visse, pare, dal 106 al 43: un
a nuove aspirazioni delle classi colte; ma non ci sarebbe mai più stato un
perfetto coetaneo di Cicerone); poi le sue opere hanno spesso titoli da com­
nuovo vero teatro popolare, vivo e vitale, nonostante tutto l’impegno pro­
media, o da mimo greco («La commedia della pentola», «I gemelli», «I
grammatico con cui la cultura ufficiale augustea avrebbe cercato di promuo­
pescatori», ecc.), e dovevano essere testi scritti con cura, con diffusione let­
teraria e non solo teatrale. Un aspetto interessante di Laberio è che le sue verne la rinascita.
opere dovevano abbondare di allusioni politiche di attualità: fenomeno che,
per quanto ne sappiamo, era assente nel teatro comico dell’età plautina. 2 Un fenomeno parallelo di antologizzazione si verificò per l’opera del comico ateniese
M enandro, da cui fu allestita una raccolta di sententiae, massime a contenuto morale.
Infatti Laberio ebbe la cattiva idea di prendere di mira il grande Cesare.
114 POLITICA E CULTURA FRA I GRACCHI E SILLA

Bibliografia I fram m enti degli oratori e le testi­ Ratio. Teoria e pratica stilistica degli ora­
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O ratoria: A. D. L e e m a n , Orationis mus, Berlin 1903.
IL PERIODO CESARIANO
(78-44 a.C.)

Siila e Cesare e Nello studio della cultura latina, l’ultimo periodo della repubblica ha
la crisi delle sue caratteristiche ben marcate e merita perciò una considerazione come pe­
istituzioni riodo autonomo. Come punti di demarcazione cronologica — si tratta, na­
turalmente, di riferimenti di comodo, che non possono pretendere alcun ca­
rattere di oggettività, ma hanno solo una funzione pratica — si usano assu­
mere le morti di due grandi personaggi: Siila (78 a.C.) e Cesare (44 a.C.).
Non sono, naturalmente, i soli grandi personaggi delle loro rispettive gene­
razioni; eppure ci richiamiamo a loro e non, per esempio, a Mario e a Pom­
peo. Il motivo è semplice: Siila e Cesare si legano, in tutta la loro vita,
allo sviluppo di due grandi esperimenti politici. Sia la dittatura di Siila che
il «principato» di Cesare (anche se quest’ultimo ebbe pochissimo tempo in
cui consolidare la propria forma di potere), segnano due momenti-chiave
nella crisi delle istituzioni repubblicane, e due fasi critiche in cui si avverte
anche il maturare di nuove soluzioni. Non a caso, guarderà proprio all’espe-
rienza di Siila e a quella di Cesare il dominatore della successiva e ben più
duratura svolta politica: Ottaviano Augusto. Quando noi scegliamo di «rita­
gliare» il periodo tra là fine di Siila e quella di Cesare, e di indicarlo come
«periodo cesariano», è chiaro che intendiamo privilegiare la storia politica
di Roma, e appoggiare ad essa lo sviluppo delle lettere latine.
Personalità e Anche guardando alla pura e semplice cronologia letteraria, la periodiz-
generi dell’età di zazione appare opportuna. La figura dominante nella vita culturale di que­
Cesare: sta generazione, Cicerone, comincia la sua attività pubblica sotto Siila, po­
a) la poesia chi anni prima dell’incisione cronologica da noi accolta, e la protrae sino
neoterica
a pochi mesi dopo la morte di Cesare. La morte violenta di Cicerone, nel
dicembre del 43, appare, persino più che quella di Cesare, come il simbolo
della fine di un’epoca. Se poi si mette a fuoco lo sviluppo della poesia,
il periodo 78-44 ha pure una sua soddisfacente «chiusura»: viene abbraccia­
to integralmente lo sviluppo della poesia neoterica, che ha certi suoi precor­
ritori nell’età sillana, giunge a piena maturazione con Catullo, Partenio e
il circolo dei poetae novi, e perde vitalità nel periodo delle guerre civili.
Per di più, proprio a cavallo del 44-43 si dovettero avere i debutti letterari
dei nuovi capiscuola, Cornelio Gallo (il più legato al clima neoterico) e Vir­
gilio (il più innovativo e originale). Ancora, proprio nel periodo cesariano
rientra l’isolata fioritura dell’epicureismo lucreziano, che tenui ma non tra­
scurabili fili riconnettono alla cultura contemporanea.
Il nostro periodo vede, soprattutto, i grandi dibattiti teorici, politici e
ideologici, testimoniati dall’opera di Cicerone; la massima fioritura dell’ora-
IL PERIODO CESARIANO (78-44 A .C .) 119
118 IL PERIODO CESARIANO (78-44 A .C .)

toria giudiziaria e politica; il formidabile impulso del pensiero filosofico ro­


L’autonomia In realtà, ciò che caratterizza questo periodo non è una particolare coe­
b) lo sviluppo di
dell’intellettuale renza tra azione politica e ispirazione ideologica (del resto, un epicureo con­
tutti i generi mano (ancora Cicerone, ma anche il pitagorismo di Nigidio Figulo, e la
letterari diffusione dell’epicureismo); la crescita dell’antiquaria, della linguistica, del­ seguente avrebbe dovuto in linea generale astenersi da qualsiasi responsabili­
la biografia e di altre forme di divulgazione culturale (Varrone, e inoltre tà politica, e non certo battersi in una contesa per il potere). Vero elemento
Attico, Nigidio Figulo, Cornelio Nepote). Si può dire che nessun’altra gene­ caratterizzante è, invece, l’intensa circolazione di idee e di ideali a matrice
razione nella storia di Roma conobbe uno sviluppo culturale altrettanto va­ filosofica; e, insieme, la forte autonomia che gli intellettuali cominciano a
rio e complesso. In ombra, tra i vari generi e filoni letterari, rimase solo pretendere nel quadro della vita sociale. Non si tratta più di precettori o
lo sviluppo del teatro. Quanto alla storiografia — un genere per eccellenza consiglieri al servizio di qualche aristocratico illuminato. Cicerone illustra
retrospettivo e ritardatario, che ha bisogno di un suo respiro e stacco dagli in tutta la sua parabola personale l’aspirazione degli intellettuali a farsi par­
avvenimenti — è chiaro che bisogna collocare nella temperie culturale cesa- te attiva nella società e nello stato; vedremo fra breve, nel capitolo a lui
riana l’opera di Sallustio. Pur scrivendo negli anni successivi alla morte di dedicato, quali siano le possibilità e i limiti di questa concezione. Ma anche
Cesare, Sallustio punta tutta la sua riflessione storica sulla fase che si è quando sono perdenti —■Cicerone e Sallustio lo furono — questi intellettua­
da poco chiusa, la lunga lotta politica introdotta da Mario e Siila e culmina­ li rivendicano sempre più una loro orgogliosa autonomia e una legittimazio­
ne del loro lavoro.
ta nelPuccisione di Cesare.
Guardando al periodo cesariano-ciceroniano in termini estremamente ge­ L’autonomia del Autonomia — in confronto alle tradizioni della letteratura arcaica ro­
L’elaborazione di
poeta: mana — potrebbe essere anche la parola d’ordine dei grandi poeti di que­
un autonomo nerali, il fenomeno che più ci colpisce è l’importanza assunta dal pensiero a) dai modelli
pensiero filosofico-politico. Questa nuova centralità significa anche autonomia. Le st’epoca. La poesia di Catullo e di Lucrezio, trascurando per un attimo
filosofico-politico riflessioni filosofiche si nutrono sempre più del pensiero greco classico — le enormi differenze tra i due, si vuole anzitutto autonoma dai modelli greci.
Platone, Aristotele e la sua scuola, Epicuro, gli Stoici, tengono la scena Nutrita più che mai di cultura greca, questa poesia si dichiara ciononostante
da protagonisti — ma puntano anche, sempre più, a una rilevanza diretta «nuova» e quindi frutto di libera emulazione, a diretto contatto con le esi­
nella sfera politico-sociale. Roma conosce così lo sviluppo di una vera filo­ genze della vita contemporanea; «moderna», se possiamo sostituire la nostra
sofia «moderna», che si pone a fianco del pensiero greco e vuole ereditarne terminologia a quella di Catullo e Lucrezio. Essi sono naturalmente più che
la capacità di sintesi e di interpretazione della realtà; non senza, è naturale autonomi rispetto alla tradizione letteraria arcaica. Ma, rispetto ai protago­
e indispensabile, cercare un adattamento rispetto a tradizioni e interessi spe­ nisti della filosofia e dell’oratoria, questi poeti sono anche autonomi nella
cificamente romani. I grandi pensatori di questo secolo non sono più, come b) dai patroni vita sociale. A differenza dei letterati arcaici, non hanno e non esibiscono
nel precedente, solo autori di lingua greca; Cicerone, Varrone e Nigidio Fi­ veri patroni: solo Lucilio, tra i predecessori, assomiglia loro un po’. La
gulo pretendono un loro spazio autonomo accanto a Posidonio e Filodemo. dimensione più vera della poesia di età cesariana è il «circolo» intellettuale,
La cultura romana interpreta e interroga i grandi testi del pensiero greco il cenacolo unito da affinità di gusto, di poetica, di ideologia. La purezza
con immediato riferimento ai bisogni del presente. Si dibatte il ruolo della degli orientamenti tiene però Catullo e Lucrezio lontani dai centri del potere.
religione, non solo nei culti privati, ma soprattutto nella vita dello stato
L’età augustea: il Rispetto a questo quadro, la grande novità della successiva età augustea
poeta vincente e sarà nel rendere sempre più centrale la figura del poeta a spese di quella
e nelle scelte politiche; si teorizza quale sia la migliore costituzione, in un
l’intellettuale dell’intellettuale. Virgilio e Orazio, a differenza di Catullo e Lucrezio, sono
tempo di tradizioni che franano; si analizza in termini etici il comportamen­ perdente
to sociale degli uomini. La cultura si interroga poi su se stessa, cercando radicati al centro di un assetto culturale che è anche ideologia e sistema
di fondare il proprio ruolo nella vita pubblica e nella formazione della classe di potere. Non potrà invece trovare eredi il progetto di Cicerone, la rivendi­
dirigente. Ancora più in concreto, le riflessioni degli intellettuali, anche le cazione di una funzione autonoma degli intellettuali. La lotta per il potere
Filosofia e azione
politica più teoriche, lasciano trapelare le grandi figure della lotta per il potere; i e la supremazia ideologica si è ormai risolta ed è destinata a transitare, co­
munque, per altre vie.
condottieri Cesare e Pompeo, il senato, la plebe, la città e la provincia.
Infine, in qualche caso, si può sospettare un rapporto ancora più stretto:
cioè un intreccio immediato fra orientamenti ideali e azione politica. Qui
però il panorama ci appare molto più frastagliato e irregolare. Nella lunga
fase di lotta per il potere aperta dalla scomparsa di Siila, entrambi i maggio­
ri protagonisti — non solo Cesare, ma anche, non meno di lui, Pompeo
— si segnalano per spregiudicatezza e cinico tatticismo. I «partiti» si aggre­
gano via via intorno ai grandi capi politico-militari senza troppo connotarsi
per comuni atmosfere ideali. Il fatto che molti cesariani si possano caratte­
rizzare culturalmente come filo-epicurei non deve condurre a facili estensio­
ni. È naturale cogliere accenti filo-epicurei nel marcato antitradizionalismo
di certi esponenti del partito cesariano; ma sembra che anche qualche cesari-
cida potesse vantare ispirazioni epicuree, perché nella tradizione epicurea
vi erano marcate tendenze antitiranniche.
LA POESIA NEOTERICA E CATULLO 121

dotto nelle sue satire l’autobiografia, la vita vissuta). Il carattere ludico di

LA POESIA NEOTERICA tali componimenti era implicito nello stesso termine greco che li designava,
pàignia («scherzi»); i latini le chiamarono nugae, «bagatelle», per indicarne
E CATULLO appunto la natura disimpegnata, di semplice intrattenimento, e la mancanza
di pretese. La nascita a Roma, negli ultimi decenni del II secolo a.C., nella
cerchia intellettuale facente capo a Q. Lutazio Càtulo, di questa poesia «nu­
gatoria» è la spia più evidente dei fermenti in atto, e un preludio della rivo­
luzione neoterica: essa è infatti frutto delYotium, dello spazio sottratto agli
impegni civili e dedicato alla lettura e alla conversazione dotta; la rivendica­
zione delle esigenze individuali accanto agli obblighi sociali si manifesta an­
che nell’interesse per i sentimenti privati, come l’amore; e soprattutto, la
ricerca di elaborazione formale (lessico, metrica, impianto compositivo, ecc.)
rivela un gusto educato dal contatto con la cultura e la poesia alessandrina.
Poetae novi (o neòteroi, alla greca) è la sprezzante definizione usata La «rivolta etica»: Nonostante gli elementi di continuità fra la poesia nugatoria e quella
Cicerone e i
il rifiuto propriamente neoterica, ben maggiore è comunque la consapevolezza che
poetae novi da Cicerone per indicare le tendenze innovatrici, il moderno gusto poetico
dell’impegno quest’ultima possiede, e assai più netto lo scarto che essa introduce rispetto
di una corrente che si sviluppa e si afferma nel primo secolo à.C., segnando
una svolta decisiva nella storia della letteratura latina. Il fastidio di Cicerone alla tradizione letteraria latina. L’eleganza spesso manierata, l’artificioso spe­
per quelli che tu tt’insieme chiamava «poeti moderni» (un Cicerone maturo, rimentalismo praticato sui modelli greci dai letterati della cerchia di Lutazio
lontano ormai dagli esperimenti poetici giovanili di gusto ellenizzante) si ma­ Càtulo, lasciano il posto a un tipo di poesia che &\Yotium e ai suoi piaceri
nifesta anche in un’altra sua celebre definizione mirante a bollare i nuovi non concede solo uno spazio limitato (ritagliato ai margini di un sistema,
protagonisti del panorama letterario, il loro irriverente rifiuto della tradizio­ come deroga occasionale a una condotta di vita incentrata ancora sui doveri
ne nazionale, personificata da Ennio, per seguire un ideale poetico d’avan­ del civis: non a caso lo stesso Lutazio Càtulo è scrittore anche di opere
guardia: cantores Euphorionis, dal nome del poeta Euforione di Calcide (III storiche), ma li colloca al centro dell’esistenza, ne fa i valori assoluti, le
secolo), celebre per la ricercata densità e la preziosa erudizione dei suoi ver­ ragioni esclusive, come accadrà in Catullo. La poesia neoterica segna il cul­
si, assunto a emblema della famigerata poetica alessandrina (lo divulgò ver­ mine, sul piano letterario, di una tendenza da tempo sensibile nella cultura
so la metà del I secolo a.C. Partenio di Nicea, «il profeta della scuola calli- latina: da una parte, il crescente disinteresse per la vita attiva spesa al servi­
machea» a Roma). zio dello stato, per i valori venerandi della tradizione, per il ruolo insomma
Conquiste in Il processo di rinnovamento del gusto letterario promosso dai poetae del civis romano; dall’altra il contemporaneo affermarsi del gusto dell’o-
Oriente e novi non è che un aspetto del generale fenomeno di ellenizzazione dei costu­ tium, del tempo libero dedicato alle lettere e ai piaceri, alla soddisfazione
modernizzazione mi, di trasformazione dei modi di vita conseguente alle grandi conquiste dei bisogni individuali e privati. La rivoluzione del gusto letterario è accom­
del gusto del II secolo a.C. che avevano aperto alla potenza romana lo scenario dell’a­ pagnata cioè da una più generale rivolta di carattere etico che la sostanzia,
rea orientale del Mediterraneo e messo a contatto l’arcaica società di contadini- e mostra la crisi dei valori del mos maiorum. Il rifiuto della vita impegnata
soldati con popolazioni abituate a forme di vita più raffinate. Questo enor­ al servizio della comunità, del modello del cittadino-soldato, si riflette (e
me e complesso fenomeno di civilizzazione — che incontra a Roma la tenace insieme se ne alimenta) nel diffondersi dell’epicureismo, di una filosofia cioè
ostilità dei cultori della tradizione, del «partito catoniano» — manifesta la che predica la rinuncia ai negotia politico-militari per una vita appartata
sua influenza, com’è ovvio, anche nel campo specificamente letterario, dove Poetae novi ed e tranquilla, nell’intima comunione con gli amici. La convergenza fra i prin­
epicureismo: il cipi dell’epicureismo e le tendenze dei poeti neoterici è evidente, ma va nota­
si assiste a un lento ma progressivo indebolimento dei valori e delle forme
rapporto con ta anche una differenza importante: per gli epicurei, il cui fine è l’atarassia,
della tradizione (di generi letterari politicamente e moralmente «impegnati»,
l’amore il piacere senza turbamenti, l’eros è una malattia insidiosa, da fuggire come
come l’epica e soprattutto il teatro), e all’emergere di esigenze nuove, dettate
dall’affinarsi del gusto e della sensibilità. Queste istanze di rinnovamento fonte di angoscia e di dolore (basta pensare al quarto libro di Lucrezio),
(in campo sia etico che estetico), di un atteggiamento più aperto verso la mentre per i neòteroi — soprattutto per Catullo — l’amore è il sentimento
cultura greca, avevano trovato espressione soprattutto nella cerchia scipioni­ centrale della vita, quello che ne costituisce il fulcro e la ragione essenziale.
ca; e, sul piano letterario, si erano fatte avvertire ad esempio nell’elabora­ Esso diventa, perciò, anche il tema privilegiato della loro poesia, e con­
zione di nuove forme poetiche da parte di un poeta come Lucilio, per altri corre a dar forma a un nuovo stile di vita, ispirato appunto dal culto dell’e­
versi caratterizzato dai tratti «arcaici» della tradizione nazionale. ros e delle passioni e dalla dedizione alla poesia che di esse si alimenta.
La «poesia Una manifestazione più vistosa dell’attenzione rivolta alla cultura greca Le affinità di L’affinità di gusto che accomuna i vari poeti (che non compongono, comun­
nugatoria» per soddisfare le esigenze di un gusto più raffinato è nella comparsa, fra gusto: que, un circolo o una scuola, non sono cioè organicamente collegati in un
a) il travaglio programma complessivo; ma una ragione di vicinanza e amicizia sta già nel­
Vélite colta romana, di un nuovo tipo di poesia, di tono leggero e dimensio­
della forma la provenienza della maggioranza di essi dalla Gallia Cisalpina) si traduce
ni brevi (come ad esempio l’epigramma), destinata al consumo privato e
dedicata all’espressione dei sentimenti personali (ma già Lucilio aveva intro­ anche in contatti, incontri, discussioni e letture comuni, cioè in un’attività
122 LA POESIA NEOTERICA E CATULLO
I POETI «PREN EO TERICI» 123
critico-filologica che accompagna la pratica poetica vera e propria e le fa
da supporto e verifica. Il travaglio della forma, la cura scrupolosa della chia di letterati diversi fra loro per estrazione sociale e tendenza politica):
composizione, il paziente lavoro di lima sono infatti il tratto distintivo pri­ a collegare i vari componenti doveva essere solo una comunanza di gusti
mario della nuova poetica callimachea. Come Callimaco aveva aspramente e orientamenti letterari.
polemizzato contro gli epigoni dell’epos omerico, irridendo la sciatteria e Valerio Edituo, Ne dovevano far parte i poeti Valerio Edìtuo e Porcio Lìcino, che speri­
Porcio Licino, mentarono — come il loro amico e protettore — la nuova forma poetica.
la prolissità del lungo poema, e aveva propugnato un nuovo stile poetico,
Volcacio Sedigito Di Valerio Edìtuo abbiamo due epigrammi d’amore, di manierata fattura
ispirato alla brevitas (il componimento di piccole dimensioni) e all’ara (il
meticoloso lavoro di cesello), così Catullo e i neòteroi irridono gli stanchi alessandrina; uno ce ne resta di Porcio Lìcino, del quale leggiamo anche
imitatori di Ennio, i pomposi cultori dell’epica tradizionale (Volusio, Suffe- due frammenti di un interessante componimento di soggetto storico-letterario
no, Ortensio), celebrativa delle glorie nazionali, estranea ormai al gusto at­ (in settenari trocaici) sulle origini della poesia latina e sui rapporti di Teren­
b) nuovi generi tuale sia per la trascuratezza formale che per i contenuti antiquati. Saranno zio con gli Scipioni. Il filone della critica letteraria in versi, genere coltivato
letterari: invece altri i generi privilegiati dalla poetica callimachea e adatti all’accurato dalla cultura alessandrina, doveva avere un suo spazio anche in un’opera
epigramma ed lavoro di cesello, al labor lìmae\ quelli brevi come ad esempio l’epigramma, come il De poetis di Volcacio Sedigito, un cui frammento in senari giambici
epillio oppure quelli — come l’epillio, il poema mitologico in miniatura — che ci fornisce il «canone» dei migliori commediografi latini (primo Cecilio Sta­
danno modo al poeta di far sfoggio della propria preziosa erudizione (si zio, secondo Plauto, terzo Nevio, solo sesto Terenzio).
tratta di antichi miti di soggetto erotico, vicini perciò alla sensibilità moder­ Levio Lo stesso gusto per la poesia leggera, e uno ancora più sviluppato per
na) e di attuare raffinate strategie compositive (racconti ad incastro, narra­ lo sperimentalismo linguistico e metrico, mostra un poeta vissuto probabil­
zioni cucite insieme che si rispecchiano l’un l’altra). mente al principio del I secolo a.C., Levio. Scrisse un’opera di sei o più libri,
Il rinnovamento I principi ispiratori della poetica di scuola callimachea (che lascia spazio Erotopaegnia («scherzi d’amore») — ce ne restano circa 25 frammenti e una
del linguaggio comunque ad esperienze diversificate: si veda l’atteggiamento «conciliativo» cinquantina di versi — che trattava i miti della tradizione epica e tragica,
poetico di Furio Bibaculo e Varrone Atacino, autori anche di opere di carattere rielaborati talora dalla poesia alessandrina (Adone, Elena, Ettore, le Sirene,
più tradizionale, di fronte al callimachismo più coerente di Catullo e dei Circe, Protesilao e Laodamia, ecc.). Il carattere lusivo implicito nella nuova
suoi amici Cinna e Calvo) danno luogo all’elaborazione di un nuovo lin­ poesia nugatoria in Levio si accentua, la grazia diventa artificio, ricercatezza
guaggio poetico e segnano più in generale una svolta decisiva nella storia leziosa (con tratti talora di morbida sensualità). Il lusus è evidente nella fan­
del gusto letterario a Roma. Il neoterismo costituirà d’ora in poi come una tasiosa ricerca di nuove e audaci forme espressive, nell’uso capriccioso dei
barriera di modernità, che proietta nel passato la letteratura precedente: non metri più disparati, nell’esibizione di preziose rarità lessicali, nell’escogitazio­
potranno non tener conto degli imperativi del nuovo gusto nemmeno i culto­ ne di composti bizzarri (anche nei titoli: Protesilaudamia, Sirenocirca).
ri delle forme più tradizionali. Mazio In questo clima di sperimentalismo letterario e linguistico si collocano
due contemporanei di Levio (anche se la loro cronologia è in parte contro­
versa), Mazio e Sueio. Mazio scrisse una traduzione in esametri dell’Iliade,
di cui ci restano alcuni frammenti, peraltro di non grande valore letterario.
Lo stesso Mazio si cimentò in un genere letterario nuovo per i Latini, quello
1. I poeti «preneoterici» dei mimiambi (mimi composti in metri giambici, per la precisione in coliam­
bi), che nella letteratura greca era stato praticato in età ellenistica da Eroda.
Lutazio Càtulo e Una figura di spicco del panorama culturale che si delinea nell’arco di A differenza dei mimi di Laberio e di Siro (sui quali cfr. p. I l i segg.),
il suo circolo tempo che va dai Gracchi a Siila è Q. Lutazio Càtulo. Nato attorno al 150 i mimiambi di Mazio erano destinati alla sola lettura, non alla rappresenta­
a.C., di famiglia nobile, fu console collega di Mario nel 102 (e con lui vinci­ zione. Ce ne rimangono alcuni versi, di contenuto vivace e leggero: un tale
tore dei Cimbri nel 101); cadde poi vittima della persecuzione mariana e si lamenta perché gli hanno rotto un orcio per l’acqua, un venditore di fichi
fu costretto al suicidio (87 a.C.). Oltre che autore di opere di carattere stori­ vanta la sua merce («in tante migliaia di fichi non ne troverete uno steri­
co e autobiografico {De consulatu et de rebus gestis suis), fu oratore elegan­ le...»), due innamorati si baciano unendo le labbra columbulatim, «come
te e dì dizione raffinata (Cicerone lo celebrerà nel De oratore), in linea con due teneri colombi»: e qui si riaffaccia lo sperimentalismo linguistico che
gli ideali del gusto scipionico di cui può essere considerato erede. Di cultura era stato di Levio e che sarà dei neòteroi.
ampia, aperto alla filosofia, fu soprattutto poeta, e introdusse nella poesia Sueio Sueio è autore di un Moretum («La focaccia»: lo stesso titolo avrà un
latina epigrammi di stampo greco, adattandoli dai modelli ellenistici (ce ne componimento àell’Appendix Vergìlìana, cfr. p. 360) che Macrobio defini­
restano un paio). Attorno a lui si raccolse un gruppo di letterati accomunati sce «idillio». Dai pochi versi (esametri) che lo stesso Macrobio riporta si
da questo nuovo gusto per la poesia leggera, d’intrattenimento: è quello ricava, più che l’immagine di un precursore del genere bucolico (come ci
che comunemente si dice «circolo di Lutazio Càtulo». È probabile però che aspetteremmo dalla definizione di «idillio»: cfr. p. 228), l’impressione di un
non si trattasse di un circolo vero e proprio, caratterizzato da coerenza di pedante erudito che, seguendo in ciò modelli alessandrini, disserta spiegando
atteggiamento e organicità di funzioni (si è troppo insistito anche sul caratte­ i nomi delle diverse varietà di noci. Il solito compiacimento linguistico (neo­
re «democratico», sull’impegno di opposizione antinobiliare, di questa cer­ logismi, preziosità e artificiosità espressive) si ritrova nei frammenti dei Pulii
(I pulcini), componimento in settenari trocaici. Piccoli frammenti di un
124 LA POESIA NEOTERICA E CATULLO I POETI NEOTERICI 125

Carmen epicum avvicinano Sueio a Mazio e mostrano come questi poeti pagna di Cesare contro Ariovisto, del 58 a.C.); ma aderì al nuovo gusto poe­
(anticipando neoterici come Furio Bibaculo e Varrone Atacino) sentissero tico in un’opera intitolata Leucadia, dal nome della donna amata, che i poeti
il genere epico non in contrasto con un’attività letteraria di tipo alessandri- elegiaci indicheranno fra gli incunaboli della poesia erotica latina. Avrebbe
neggiante. scritto inoltre satire (ne parla, in maniera critica, Orazio) e componimenti
di poesia didascalica: evidente anche in ciò l’influsso della tradizione enniana
e luciliana. Sappiamo di una sua Chorogràphia, opera geografica, e di un’ii-
phèmeris — ma anche il titolo è incerto — sui pronostici, al modo di Arato.
2. I poeti neoterici Ma di lui va soprattutto ricordato il poema epico Argonautae, libera tradu­
zione in esametri latini (o forse piuttosto un rifacimento) delle Argonautiche
di Apollonio Rodio: egli prosegue così la tradizione dei poeti-traduttori, fun­
Levio tra Pur coi suoi limiti di artificiosità, la poesia di Levio segna un progresso zionale all’esigenza di elaborare — sulla scorta dei grandi modelli greci —
«preneoterici» e rispetto alla prima poesia nugatoria, ancora strettamente dipendente dai mo­ un nuovo linguaggio poetico latino, e insieme manifesta la preferenza per
«neoterici» delli ellenistici: egli elabora più originalmente i suoi modelli, privilegiando un tipo di epica che faceva largo spazio all’eros e alle sue complicazioni psi­
quei soggetti erotico-mitologici che avranno ampia fortuna nella futura lette­ cologiche, e avrebbe perciò attratto l’interesse dei poeti nuovi.
ratura latina, e sperimenta nuove possibilità espressive. In ciò è giusto consi­ d) Cinna Due altri poeti di rilievo della cerchia neoterica, a noi noti soprattutto
derarlo un anello intermedio, un precursore più diretto della poesia neoteri- grazie alla poesia del loro amico Catullo, sono Cinna e Calvo (che formano
ca vera e propria. con lui quasi un gruppo nel gruppo, più omogeneo per rigore di scelte poeti­
i neoterici; Una figura di spicco, quasi un caposcuola, delle nuove tendenze poeti­ che). C. Elvio Cinna, originario anch’egli della Gallia Cisalpina (Brescia),
a) Valerio Catone che è Valerio Catone. Originario della Gallia Cisalpina (ci parla di lui Sveto- partecipò con Catullo alla spedizione in Bitinia del 57 a.C.; c’è chi identifica
nio nel De grammaticis), nacque probabilmente agli inizi del I secolo a.C.: con lui il Cinna che avrebbe portato a Roma al suo seguito, come liberto,
venne a Roma, dove visse come grammatico e maestro di poesia fino a una il poeta Partenio di Nicea (il quale però più probabilmente era stato condot­
tarda vecchiaia funestata dalla povertà. Lettore e critico temuto di poesia, to a Roma già nel 73 a.C.). Indipendentemente da tale identificazione, è
nonché poeta egli stesso, rinnova a Roma la grande tradizione dei critici- certo l’influsso esercitato anche su Elvio Cinna dal poeta greco, la cui pre­
filologi alessandrini (era accostato a Zenodoto e al pergameno Cratete). Un senza a Roma funse da stimolo e punto di riferimento per la poesia neoteri­
epigramma dedicatogli nella sua cerchia ( Caio grammaticus, Latina Siren, ca. La sua convinta adesione ai principi del nuovo gusto, dottrina e metico­
/ qui solus legit ac facit poetas) rivela il prestigio di cui godette come lettera­ loso labor limae, traspare anche nell’epigramma di dedica che accompagna
to e severo maestro del gusto. Oltre a lavori filologici (forse curò un’edizio­ il poema di Arato (scelta anch’essa significativa) portato in dono a un amico
ne di Lucilio), compose opere poetiche (forse epilli) molto celebrate dai con­ dalla Bitinia, e ispira la sua opera più nota, la Zmyrna (quasi del tutto
temporanei: si ricordano di lui una Dictynna (o Diana), sul mito cretese perduta). Il poemetto, che narrava — con tipico gusto alessandrino — l’in­
della dea, e una Lydia, che già nel titolo rivelano il carattere alessandrineg- cestuoso amore di Mirra per il padre Cìnira, fu celebrato da Catullo (c.
giante della poesia di questo religioso cultore della forma. 95) alla sua pubblicazione dopo nove anni di paziente lavoro di cesello: la
b) Furio Bibaculo A Valerio Catone fu vicino M. Furio Bibaculo, da Cremona, nato pro­ brevitas dello stile e la densità di dottrina, che gli valsero la fama di impene­
babilmente una decina d’anni dopo il suo amico e maestro e come lui vissu­ trabile oscurità, dovevano fare di questo componimento quasi un modello
to a lungo. Tacito e Quintiliano lo ricordano per aver scritto, alla maniera esemplare della poetica di ascendenza callimachea. E se l’intento artistico
neoterica, aspri epigrammi contro Augusto: a noi ne restano un paio, affet­ di Cinna era di emulare, in erudizione preziosa e stile difficile, l’apprezzatis-
tuosamente ironici, su Valerio Catone, e un tagliente frammento contro Or- simo Euforione (certo il più callimacheo e il più astruso dei «poeti dotti»
bilio, il manesco maestro di Orazio. Ben altro sarà stato l’atteggiamento cari ai neòteroi), si può credere che egli riuscì nell’intento: sappiamo da
verso Cesare nel poema epico-storico (se l’attribuzione è sicura) Pragmatia Svetonio (Gramm . 18) che la Zmyrna ebbe bisogno del commento esegetico
belli Gallici, di cui abbiamo pochi versi, uno dei quali irriso da Orazio per di un grammatico; d’altronde la forma stessa del titolo Zmyrna, in luogo
la sua goffa pomposità. A un altro poema, YEtiopide, accennerebbe critica- dell’usuale Myrrha, è il primo segno di questa ricerca di preziosità. Cinna
mente lo stesso Orazio (egli parla di un Furius Alpinus, che potrebbe essere scrisse inoltre epigrammi e un Propempticon (carme augurale per un viag­
epiteto satirico relativo al verso accennato poco fa; ma restano dubbi sull’i­ gio) rivolto ad Asinio Pollione, nel 56.
dentificazione del poeta): l’argomento, di carattere mitologico, si rifaceva e) Calvo Licinio Calvo (82 - ca.47 a.C.), nato a Roma da illustre famiglia plebea
alla tradizione del ciclo troiano. Più in linea col gusto neoterico (ma il poe­ (era figlio dello storico Licinio Macro), fu oratore famoso (celebri le sue
ma epico-storico viene ripreso anche da Varrone Atacino) doveva essere un’al­ orazioni contro il cesariano Vatinio: un’eco scherzosa nel carme 53 di Catul­
tra opera, in prosa, le Lucubrationes (Veglie), argutamente erudite. lo) seguace delPindirizzo atticista, quello che perseguendo un ideale di niti­
c) Varrone Qualche analogia con la contraddittoria figura del poeta cremonese mo­ da, concisa asciuttezza, contrario all’enfasi e alla prolissità, meglio si conci­
Atacino stra P. Terenzio Varrone Atacino (cioè di Atax, nella Gallia Narbonese, liava col gusto neoterico. Ma fu soprattutto poeta, fra i maggiori del nuovo
dove sarebbe nato nell’82 a.C.). Egli continuò infatti la poesia di stampo corso (anche di lui ci restano pochissimi versi): oltre a epigrammi di invetti­
enniano, componendo un poema storico, il Bellum Sequanicum (sulla cam­ va politica (come Catullo, come Bibaculo) scrisse epitalami e altri componi­
CATULLO 127
126 LA POESIA NEOTERICA E CATULLO

Fonti Le notizie biografiche ci vengono soprattutto dai suoi carmi (ma la materia
menti di soggetto amoroso, fra i quali un dolente epicedio per l’immatura biografica di cui si sostanzia il liber catulliano è spesso sfuggente e offuscata);
morte della moglie Quintilia. Scrisse anche lui un epillio, intitolato Io , dal
sulle relazioni della famiglia del poeta con Cesare ci informa Svetonio nella bio­
nome dell’eroina amata da Giove e perseguitata da Giunone (notevole la
grafia di Giulio Cesare (par. 73) contenuta nel De vita Caesarum. Che Lesbia
presenza del tema della metamorfosi, caro alla letteratura alessandrina).
fosse uno pseudonimo per Clodia lo sappiamo da Apuleio (Apologia 10); e sulla
Clodia con cui abitualmente la si identifica molto ci dice Cicerone, che ne traccia
un fosco ritratto nella Pro Caelio, l’orazione in difesa di M. Celio Rufo, ex amante
3. Catello della donna e da lei più tardi tratto in giudizio con l’accusa di veneficio.

Vita Gaio Valerio Catullo nasce a Verona, nella Gallia Cisalpina, certamente da
famiglia agiata (Cesare fu ospite nella sua casa), ma la data della sua nascita non I carmi brevi
è certa: Girolamo, che si rifà a Svetonio, la fissa nell’87 a.C., e trent’anni dopo,
nel 57, la morte; ma il poeta era certamente ancora vivo almeno nel 55 a.C. (lo Catullo e la Il nome e la poesia di Catullo sono tradizionalmente associati alla rivo­
provano suoi accenni ad avvenimenti di quell’anno) e quindi con quella della mor­ «rivoluzione luzione neoterica; ne sono anzi il documento più importante. Rivoluzione
te bisogna abbassare anche la data della nascita, cioè grosso modo 84-54 a.C. neoterica»
(se è vera la notizia della morte a trent’anni), oppure si dovrà supporre che sia
del gusto letterario ma — come si è detto — anche rivolta di carattere
vissuto qualche anno più di quanto attesta Girolamo. A Roma (non sappiamo quando etico: mentre si sgretolano, nell’età di crisi acuta della repubblica, gli antichi
vi giunse) Catullo conobbe e frequentò personaggi di spicco dell’ambiente politico valori morali e politici della civitas, V otium individuale diventa l’alternativa
e letterario (dal celebre oratore Ortensio Ortalo ai poeti Cinna e Calvo, da L. Man­ seducente alla vita collettiva, lo spazio in cui dedicarsi alla cultura, alla
lio Torquato al giurista e futuro console Alieno Varo, da Cornelio Nepote a Gaio poesia, alle amicizie, all’amore. Il piccolo universo privato, con le sue gioie
Memmio) ed ebbe una relazione d ’amore con Clodia (la Lesbia dei suoi versi), e i suoi drammi, si identifica con l’orizzonte stesso dell’esistenza, e l’atti­
quasi certamente la sorella mediana del tribuno P. Clodio Pulcro e moglie di Q. vità letteraria non si rivolge più all’epos o alla tragedia, i generi porta­
Cecilio Metello, console nel 60. Probabilmente nel 57 andò in Bitinia, per un anno, voce della civitas e dei suoi valori, bensì alla lirica, alla poesia individuale,
come membro de\\’entourage del governatore Gaio Memmio; in occasione di que­ introversa, adatta ad accogliere ed esprimere le piccole vicende della vita
sto viaggio visitò la tomba del fratello, morto e sepolto nella Troade (si veda il fa­
personale.
moso carme 101). Della morte, sui trent’anni o poco più, si è già detto.
I «carmi brevi» e A questo progetto di recupero della dimensione intima, dei sentimenti
Opere Di Catullo abbiamo 116 c a rm i1 (per un totale di quasi 2300 versi) raccolti la dimensione privati, risponde in modo più evidente quella parte della produzione poetica
in un liber che si suole suddividere sommariamente, su base metrica, in tre sezio­ intima di Catullo che si suole indicare come «carmi brevi», cioè l’insieme dei poli-
ni. Il primo gruppo (1-60) è costituito da componimenti generalmente brevi e di metri e degli epigrammi, in cui l’esiguità dell’estensione rivela già in se stessa
carattere leggero (noti anche come nugae: «bagatelle», «passatempi»), di metro la modestia dei contenuti, occasioni e avvenimenti della vita quotidiana, e
vario, soprattutto endecasillabi faleci ma anche trimetri giambici, scazonti, saffi­ favorisce insieme il paziente lavoro di cesello, la ricerca della perfezione
che (sono perciò chiamati polimetri; non vi compare comunque il distico elegia­ formale. Affetti, amicizie, odi, passioni, aspetti minori o minimi dell’esi­
co). Il secondo gruppo (61-68), assai eterogeneo, abbraccia un numero di carmi
stenza, sono l’oggetto della poesia di Catullo: uno scherzoso invito a cena
limitato, ma di maggiore estensione e impegno stilistico (vari i metri, dal raro
(c. 13), il benvenuto a un amico che torna dalla Spagna (c. 9), le proteste
galliambo, a gliconei e ferecratei, esametri e pentametri): sono i cosiddetti carmi­
na docta. La terza sezione (69-116) comprende carmi generalmente brevi in disti­ per un gesto poco urbano (c. 12) o per un dono malizioso ricevuto dal poeta
ci elegiaci, i cosiddetti «epigrammi». La «ricercata (c. 14) sono solo alcune di queste occasioni. Ne risulta un’impressione di
È controversa la questione relativa alla composizione del liber catulliano: se spontaneità» di immediatezza, di vita riflessa, che ha dato luogo, nella storia della critica,
qualcuno attribuisce al poeta stesso la responsabilità dell’ordinamento della rac­ Catullo a un equivoco tenace, quello di una poesia ingenua e spontanea, e di un
colta, i più tendono giustamente a credere che questo ordinamento (non rispon­ poeta «fanciullo» che dà libero sfogo ai suoi sentimenti, senza i vincoli della
dente a criteri cronologici o di contenuto, ma unicamente metrici: un criterio cioè morale e i filtri della cultura. In realtà, la celebrata spontaneità catulliana
da filologi) sia opera di altri, dopo la morte del poeta, quando sarà stata appron­ è la veste che questa poesia si costruisce, ma è un’apparenza ricercata e
tata un’edizione postuma dei suoi carmi (alcuni però ne devono esser rimasti
ottenuta grazie a un ricco patrimonio di dottrina: anche i componimenti
esclusi, perché abbiamo per tradizione indiretta versi attribuiti a Catullo che non
che sembrano più occasionali, riflesso immediato della realtà, hanno i loro
compaiono nei componimenti raccolti nel liber). Bisognerà quindi supporre che
il libellus dedicato da Catullo a Cornelio Nepote (cfr. I’incipit del carme 1) non
precedenti letterari (come, spesso, l’epigramma greco, il cui influsso si av­
corrispondesse esattamente al liber rimastoci, ma ne costituisse solo una parte. verte soprattutto nei carmi in distici). L ’aggancio a un preciso spunto occa­
sionale garantisce ai carmi catulliani una freschezza del tutto incomparabile.
1 Più esattam ente i carm i sono 113, m a la loro num erazione sale a 116 perché 3 carmi Il destinatario Ma non si dovrebbe dimenticare che il destinatario d ’ogni carme (la cui
priapei (corrisponderebbero nel testo catulliano ai num eri 18,19,20) furono inseriti nel liber colto presenza alla mente del poeta non è senza conseguenze dirette e importanti
(contro l’autorità dei m anoscritti) dal M ureto, grande um anista del Cinquecento francese, e sull’organizzazione formale del carme stesso) è per lo più rappresentante
ne fecero parte fino a quando, nell’Ottocento, il L achm ann li escluse dal testo di Catullo; di una cerchia raffinata e colta: lui si attende dunque — gli è anzi «dovuto»
ma la num erazione dei singoli carmi non subì aggiustam enti. I tre carmi possono leggersi fra
i Priapea dell’A p p en d ix Vergiliana (cfr. p. 360). — un prodotto letterario che abbia veste stilistica e fattura formale di livello
128 LA POESLA NEOTERICA E CATULLO
CATULLO 129
adeguato. Così entrano nel complesso impasto stilistico precise risonanze
letterarie (che quasi mai hanno valenza puramente esornativa) dissimulate soltanto da dormire, infinita. Dammi mille baci ed altri cento, ed altri mille,
più o meno sapientemente in una parvenza di slancio passionale o di imme­ e dopo, ancora cento. Quando saranno migliaia confonderemo il conto, per
diatezza giocosa, quasi fossero gesti irriflessi di un’emozione e nulla più. non sapere, o per evitare il malocchio di un invidioso, quando saprà che
D ’altra parte, solide strutture formali costituiscono l’«ordito» su cui s’in­ sono stati tanti i nostri baci»; trad. F. Caviglia).
scrive il gioco apparentemente tutto libero del poeta. Può essere, come nel La pausa riflessivo-sentenziosa dei vv. 4-6 costruisce il suo senso su di
c. 2, un’armonica impalcatura che sostiene un moto di superficie sentimen­ un contrasto, che ribadisce con suggestivi effetti fonosimbolici: vedi l’opposi­
talmente vivace e lo incanala in una struttura semplice e raffinata: zione brevis-perpetua, la collocazione a risalto dei due monosillabi assonanti
lux-nox: l’uno in clausola, l’altro in incipit di verso, perché l’antitesi assuma
Passer, deliciae meae puellae, una valenza patetica irresistibile. Certo, dopo questa pausa meditativa, a pri­
quicum ludere, quem in sinu tenere, ma vista, lo slancio dell’«invito ai baci» sembra stagliarsi come il grido eufori­
cui primum digitum dare appetenti co di chi voglia spezzare la gabbia dell’ansia di morte. Ma l’analisi rivela
et acris solet incitare morsus, l’attenta costruzione di quel che appare espressione spontanea, incontrollata,
cum desiderio meo nitenti
di una rivolta esistenziale: anche la simmetricità dell’alternarsi di deinde (1),
carum nescio quid libet iocari,
dein / dein (2), deinde / deinde (2), dein (1) — nei vv. 7-10 — mostra chiara­
et solaciolum sui doloris,
mente come nulla sia lasciato ad una disposizione casuale degli effetti.
credo, ut tum gravis acquiescet ardor,
Così la sapiente circolarità di certe strutture, che pure racchiudono un
tecum ludere sicut ipsa possem
contenuto sentimentale incandescente, vale a conferire forma perentoria e
et tristis animi levare curas!
forte a quello che, a prima vista, potrebbe apparire puro magma affettivo:
(«Passero, gioia della mia ragazza che gioca con te, ti tiene in grembo, ti si pensi al ritmo indimenticabile del c. 8 — per esempio — col gioco calibra­
porge la punta del dito mentre salti verso di lei e provoca le tue dure beccate tissimo dei suoi «tempi» musicali (vv. 1-8):
quando al mio desiderio, alla mia luce piace inventare qualche dolce svago
Miser Catulle, desinas ineptire,
come esiguo conforto alla sua pena (io credo) perché allora trovi pace la
et quod vides perisse perditum ducas.
sua passione. Potessi anch’io scherzare, come lei, con te, alleviare gli affan­
Fulsere quondam candidi tibi soles,
ni del cuore»; trad. F. Caviglia).
cum ventitabas quo puella ducebat
Quello che vuol sembrare un sospiro sfuggito al poeta è in realtà un
amata nobis quantum amabitur nulla.
carme costruito preziosamente su precisi rapporti formali: una pointe finale
Ibi illa multa tum iocosa fiebant,
di 2 versi si articola su una ampia base, ripartita in due simmetriche metà
quae tu volebas nec puella nolebat.
di 4 versi ciascuna.
Fulsere quondam candidi tibi soles.
Effetti di Si può scoprire allora — senza che l’effetto ne risulti affatto svuotato
spontaneità e — che un bilanciato gioco di antitesi o di richiami simmetrici si cela dietro («Infelice Catullo, non impazzire più. Ritieni morto ciò che vedi morto. Ti
strutturazione del quelle parole che vogliono apparire dettate dalla passione più immediata: sorrisero un tempo soli fulgidi, quando venivi dove la fanciulla ti conduce­
discorso così, nel più celebre fra i «carmi dei baci» (c. 5): va, la fanciulla amata da te quanto mai sarà nessuna. Quanti giochi, allora!
Tu li volevi, lei non li sdegnava. Sì, veramente i soli ti brillarono»; trad.
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
F. Caviglia).
rumoresque senum severiorum
Nel giro di pochi versi si susseguono la forza dell'invito imperioso a
omnes unius aestimemus assis. rassegnarsi, la pausa quasi favoleggiante (<quondam) che ricorda i candidi
Soles occidere et redire possunt:
soles (segnata dalle rime e dagli effetti fonici di ripetizione), la riaffermazio­
nobis, cum semel occidit brevis lux,
ne in tono più duro di una volontà determinata a salvarsi, l’improvviso rom­
nox est perpetua una dormienda.
persi dell'ostentata sicurezza in una serie ansiosa di brevi e incalzanti inter­
Da mi basia mille, deinde centum,
rogazioni, fino a che il lapidario verso finale riprende il vocativo iniziale
dein mille altera, dein secunda centum,
e il centro tematico del carme — at tu Catulle destinatus obdura — e insie­
deinde usque altera mille, deinde centum.
me chiude il componimento in una salda forma circolare, che riesce a comu­
Dein, cum milia multa fecerimus,
nicare contemporaneamente l’ansia e il suo faticoso controllo.
conturbabimus illa, ne sciamus,
Bisogna quindi sottrarsi ai rischi del biografismo (si è creduto, sulla
aut nequis malus invidere possit,
base dei suoi carmi, di poter fedelmente ricostruire la storia dell’amore con
cum tantum sciat esse basiorum.
Lesbia) e verificare di volta in volta la genesi complessa di questa poesia
(«Viviamo ed amiamoci, o mia Lesbia: le chiacchiere dei vecchi troppo intessuta di dottrina: non si tratta di negare la vita vissuta, l’importanza
seri stimiamole tutte due soldi. Il sole può cadere e ritornare, ma noi davvero insolita che l’esperienza biografica assume in Catullo, ma di vedere
— quando la nostra breve luce si sarà spenta una volta — avremo una notte come essa si atteggia secondo movenze letterarie, come si deposita nelle for­
me della tradizione.
CATULLO 131
130 LA POESIA NEOTERICA E CATULLO
La voluptas del La speranza sempre frustrata di un amore fedelmente ricambiato si ac­
Il mondo dei Lo sfondo della poesia di Catullo è costituito dall’ambiente letterario ricordo compagna in Catullo alla consapevolezza di non aver mai mancato al foedus
«carmi brevi»: e mondano della capitale, di cui fa parte la cerchia degli amici neoterici, d’amore con Lesbia, alla gratificante certezza della propria innocenza: il
Roma, gli amici, accomunati dagli stessi gusti, da uno stesso linguaggio, da un ideale di gra­ c. 76 (in cui a suo tempo qualcuno volle erroneamente vedere la fiducia
Lesbia zia e brillantezza di spirito: lepos, venustas, urbanitas sono i principi che di una ricompensa nell’aldilà) è l’espressione più nota di questa consolazione
fondano questo codice etico e insieme estetico, che governa comportamenti della buona coscienza, di una voluptas del ricordo garantita per il resto dei
e rapporti reciproci ma ispira anche il gusto letterario e artistico. Su questo giorni terreni dalla consapevolezza di aver tenuto fede a un impegno morale.
sfondo campeggia e risalta la figura di Lesbia, incarnazione della devastante La sola soddisfazione sicura che l’amore per Lesbia gli avrebbe dato.
potenza dell’eros, protagonista indiscussa della poesia catulliana. Il suo stes­
so pseudonimo, che rievoca Saffo, la poetessa di Lesbo, è sufficiente a crea­
re attorno alla donna come un alone idealizzante: oltre alla grazia e a una I carm ina docta
bellezza non comune, sono soprattutto intelligenza, cultura, spirito brillante,
modi raffinati a farne il fascino, e ad alimentare la passione di Catullo. La nuova poetica Lepidus, novus, expolitus: così, presentando il suo libellus nel carme
La centralità Gioie, sofferenze, tradimenti, abbandoni, rimpianti, speranze, disingan­ e l’epillio dedicatorio, Catullo oltre ai caratteri materiali ed esteriori ne definisce indi­
dell’amore ni scandiscono le vicende di questo amore che è vissuto da Catullo come rettamente anche quelli interni, i criteri di una nuova poetica ispirata a bril­
l’esperienza capitale della propria vita, capace di riempirla e di darle un lantezza di spirito e raffinatezza formale. Questa poetica rivela apertamente
senso. All’eros non è più riservato lo spazio marginale che gli accordava la sua ascendenza alessandrina, meglio ancora callimachea, soprattutto in
la morale tradizionale (come a una debolezza giovanile, tollerabile purché quella sorta di «manifesto» del nuovo gusto letterario che è il c. 95, cioè
non infrangesse certe limitazioni e convenienze soprattutto di ordine socia­ l’annuncio della pubblicazione del poemetto dell’amico Cinna. Brevità, ele­
le), ma esso diventa centro dell’esistenza e valore primario, il solo in grado ganza, dottrina sono i canoni di un gusto cui Catullo aderisce senza riserve,
di risarcire la fugacità della vita umana (celebre, in tal senso, l’invito del in polemica contrapposizione alla torrenziale faciloneria degli attardati epi­
L’amore regolato carme 5: Vivamus, mea Lesbia, atque amemus...). All’amore e alla vita sen­ goni di scuola enniana che entusiasmano il pubblico incompetente. I veri
dai valori del timentale Catullo trasferisce tutto il suo impegno, sottraendosi ai doveri e intenditori apprezzeranno invece la nuova epica elaborata dai poeti neoteri­
civis agli interessi propri del civis romano: resta estraneo alla politica e alle vicen­ ci, l’epillio, il poemetto breve (poche centinaia di versi) che con le sue stesse
de della vita pubblica, ai conflitti di potere che lacerano la società tardo- dimensioni favorisce il paziente lavoro di rifinitura stilistica, teso a conferire
repubblicana, limitandosi ad esternare un generico sprezzante disgusto per asciuttezza e pregnanza, e che sul piano dei contenuti permette al poeta
i nuovi protagonisti della scena politica, arroganti e corrotti. Il rapporto di far sfoggio della sua preziosa dottrina (si tratta per lo più di vicende
con Lesbia, nato essenzialmente come adulterio, come amore libero e basato mitologiche esotiche e dai risvolti patologicamente passionali).
sull’eros, nel farsi oggetto esclusivo dell’impegno morale del poeta tende Il carme 64: la Dottrina e impegno stilistico (oltre a una maggiore ampiezza dei compo­
perciò, paradossalmente, a configurarsi nelle aspirazioni di Catullo come fides proiettata nimenti) sono particolarmente evidenti nella sezione dei carmi che, per tale
un tenace vincolo matrimoniale (il tema delle nuptiae, della fedeltà coniuga­ nel mito motivo, sono noti come «dotti», in cui Catullo sperimenta anche nuove for­
Il foedus violato le, ricorre con particolare insistenza, soprattutto nei carmina docta). Le re­ me compositive, dando prove di raffinata sapienza strutturale. Come altri
criminazioni per il foedus d’amore violato da Lesbia sono un motivo insi­ poeti neoterici (Cinna con la sua Zmyrna, Valerio Catone con la Dictynna,
stente sulla bocca del poeta, che accentua il carattere sacrale del concetto Calvo con 1’Io, Cecilio, un poeta ricordato da Catullo, con la Magna Mater)
appellandosi a due valori cardinali dell’ideologia e dell’ordinamento sociale anche lui si cimenta nel nuovo genere epico, l’epillio: il c. 64 ne costituirà
romano, la fides, che garantisce il patto stipulato vincolando moralmente quasi il modello esemplare per la cultura latina. Questo celeberrimo poemet­
i contraenti, e la pietas, virtù propria di chi assolve ai suoi doveri nei con­ to (di 408 esametri) narra il mito delle nozze di Peleo e Teti, ma nella vicen­
fronti degli altri, specialmente dei consanguinei, nonché della divinità. Egli da principale contiene — incastonata mediante la tecnica alessandrina del-
cerca di fare di quella relazione irregolare un aeternum... sanctae foedus Vékphrasis e della digressione, che figura ricamata sulla coperta nuziale —
amicitiae (109,6), nobilitandola con la tenerezza degli affetti familiari {pater un’altra storia, quella dell’abbandono di Arianna a Nasso da parte di Teseo
ut gnatos diligit et generos, 72,4), ma l’offesa ripetuta del tradimento produ­ (un motivo che conosce grande diffusione nella letteratura greca e latina:
ce in lui una dolorosa dissociazione fra la componente sensuale (amare) e su questo modello saranno improntate le Heroides ovidiane). L’intreccio delle
quella affettiva (bene velie)·, celebre esempio di questo conflitto interiore due vicende d’amore, amore infelice di Arianna e amore felice di Peleo e
è il c. 72, che analizza con lucida amarezza la scomparsa di ogni stima Teti, istituisce fra di esse una serie di relazioni che hanno il loro nucleo
e affetto per quella donna che continua, ancor più intensamente, ad accen­ nel tema della fides, la virtù cardinale del mondo etico catulliano, quella
dere la passione dell’innamorato (iniuria talis / cogit amare magis, sed bene fides di cui, nella lontana età degli eroi, gli stessi dèi si facevano garanti
velie minus, 7 seg.). E celeberrimo è il c. 85, che condensa in un ossimòro e che nella corrotta età presente è violata e vilipesa insieme agli altri valori
la dolorosa sensazione del poeta stupito di fronte al dissidio che lo lacera: religiosi e morali. Il mito si fa cioè, qui come altrove, proiezione e simbolo
delle aspirazioni del poeta, del suo bisogno perennemente inappagato di an­
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. corare un amore tanto precario a un vincolo più saldo, a un foedus duraturo.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
132 LA POESIA NEOTERICA E CATULLO CATULLO 133

Il carme 63 Un epillio è in realtà anche il carme 63 : si ispira alla vicenda del giovane la relazione che li lega), che riassume i temi principali della poesia di Catul­
frigio Attis che, nel delirio religioso, si mutila della sua virilità per farsi lo, come l’amicizia e l’amore, l’attività poetica e la sua connessione con
sacerdote di Cibele, la grande madre degli dèi (il culto orgiastico di questa Roma, il dolore per la morte del fratello. Il ricordo dei primi amori, furtivi,
divinità, con musica ossessiva e danze cruente, fu introdotto a Roma nel con Lesbia sfuma nel mito, nella vicenda di Protesilào e Laodamìa (unitisi
205-4 a.C.), e una volta libero dall’invasamento lamenta il folle gesto. Del- prima che fossero celebrate le nozze e perciò puniti con la morte di lui appe­
l’epillio il c. 63 non ha però il metro tradizionale, l’esametro: è scritto bensì na sbarcato a Troia) che si fa archetipo esemplare della vicenda di Catullo
in galliambi, un metro lirico alessandrino usato per esprimere la frenesia Verso l’elegia e Lesbia, di un coniugium anch’esso imperfetto e precario. Una menzione
orgiastica del culto di Cibele. latina particolare il c. 68 merita per il suo destino nella storia letteraria latina:
I due epitalami: Epitalami, cioè canti nuziali, sono i carmi 61 e 62 (si è già accennato il largo spazio concesso al ricordo e alla vita vissuta, proiettata miticamente,
a) il carme 61 all’importanza del tema delle nozze nei carmina docta). Il primo è composto in un componimento che andava ben al di là delle dimensioni dell’epigram­
per il matrimonio di L. Manlio Torquato con Vinia (o Iunia) Aurunculeia, ma, dovevano farlo apparire come il progenitore della futura elegia soggetti­
e si immagina cantato durante la deductio, la processione che accompagna va latina.
la sposa: dopo l’inno a Imeneo, dio delle nozze, c’è l’invito alla sposa a
uscire dalla casa paterna e a recarsi, fra il risuonare dei canti fescennini,
in corteo a quella del marito che la accoglie nel talamo. Il componimento Lo stile
consta di 47 strofe, e riunisce insieme il carattere eminentemente greco, sul
piano formale, di questo genere letterario fiorito da Saffo all’età alessandri­ Eleganza ed Quella di Catullo, si è detto, è una cultura letteraria ricca e complessa,
na, e una serie di elementi tipicamente italico-romani per quanto riguarda espressività in cui accanto all’influsso dominante della letteratura alessandrina, con la
il rito nuziale, con le sue implicazioni etiche e sociali. catulliana sua eleganza talora preziosa, è sensibile anche quello della lirica greca arcai­
b) il carme 62 L’altro epitalamio, il c. 62, è costituito da una serie di strofe, in esame­ ca, dell’intensa affettività di Archiloco e di Saffo. La lingua catulliana è
tri, cantate alternativamente («a contrasto») da due cori di giovani e fanciul­ il risultato di un’originale combinazione di linguaggio letterario e sermo fa-
le sul tema del matrimonio e della verginità. Non è composto però per un’oc­ miliaris: il lessico e le movenze della lingua parlata vengono assorbite e fil­
casione reale di nozze: non mancano anche qui accenti di sensibilità romana, trate da un gusto aristocratico che le raffina e le impreziosisce, senza per
ma in generale il componimento rivela una più marcata impronta letteraria questo isterilirne le capacità espressive. Il filtro del gusto callimacheo non
e una maggiore adesione ai caratteri formali del genere (evidente soprattut­ produce insomma un’eleganza esangue, e lascia spazio, ad esempio, alla cru­
to, nella struttura e nei topoi, l’influsso di Saffo). da espressività di certi volgarismi che non vanno intesi come un tratto di
Il carme 66: la Nel ciclo dei carmina docta è compreso anche un componimento (c. lingua autenticamente popolare, ma ricondotti piuttosto allo snobistico com­
traduzione da 66) che è un omaggio al poeta principe dell’alessandrinismo, Callimaco: si piacimento di un 'élite colta che ama esibire il turpiloquio accanto all’erudi­
Callimaco tratta della traduzione in versi latini di un’elegia famosa del poeta greco, zione più raffinata. Particolarmente frequenti, fra i tratti di sermo familia-
nota come Chioma di Berenice, che pare occupasse la parte finale del IV ris, i diminutivi, che nella loro stessa mollezza fonica e formale (flosculus,
libro degli Aitia e che a noi è rimasta in forma mutila e frammentaria. labella, turgiduli ocelli, molliculus, pallidulus, tenellulus, ecc.) sembrano ri­
In essa Callimaco celebrava in versi la cortigiana escogitazione di Conone, velare l’adesione a quell’estetica del lepos, della grazia, che accomuna la
l’astronomo alla corte di Tolomeo III Evèrgete, re d’Egitto, che aveva identifi­ cerchia degli amici e ne condiziona anche i modi espressivi, oltre a ridefinir­
cato una nuova costellazione da lui scoperta con il ricciolo offerto come ne la gerarchia dei valori etici.
ex-voto dalla regina Berenice per il ritorno del marito dalla guerra, e succes­ Unità e diversità Uno stile composito, insomma, e sempre vitale, con un’ampia gamma
sivamente scomparso. Nel tradurre, liberamente, la vicenda del catasteri- tra nugae e di modalità espressive che vanno dallo sberleffo irridente, dall’invettiva sfer­
smo, cioè della trasformazione del ricciolo di Berenice in costellazione, Ca­ carmina docta zante e scurrile alle morbidezze del linguaggio amoroso, dalla baldanza gio­
tullo introduce o accentua temi centrali della sua ideologia e particolarmente vanile che dilata le immagini in iperboli alla grazia leggera, alla pacata ma­
insistenti nei carmi maggiori: esaltazione della fides, della pietas, condanna del­ linconia, agli abbandoni di certi momenti elegiaci, soprattutto nei carmi più
l’adulterio e celebrazione delle virtù eroiche, dei valori tradizionali (vi si ricon­ tardi. La vitalità del linguaggio affettivo e l’intensità del pathos non sono
duce anche il c. 67, in cui una porta racconta le vicende non proprio edifi­ assenti nemmeno nei carmina docta: giustamente la critica ha reagito da
canti di cui è stata protagonista la singolare famiglia che abita in quella casa). tempo all’idea di una netta distinzione fra i carmi brevi, più vivacemente
Il carme 65 Al c. 66 è strettamente collegato il 65, che è un biglietto (in distici) espressivi, e dove è dominante la componente affettiva e autobiografica,
all’amico Ortensio Ortalo per accompagnare appunto la traduzione da Calli­ e i componimenti maggiori, dove più evidenti sono la dottrina e l’elabora­
maco: Catullo giustifica l’invio della semplice traduzione, in luogo del car­ zione stilistica. Ma se la distinzione non va troppo marcata, non va tuttavia
me promesso, con la disperazione per la morte del fratello, che gli inaridisce nemmeno annullata: vari elementi, come ad esempio la selezione di un lessi­
la vena creativa. co generalmente più ricercato e la presenza di stilemi e movenze della poesia
Il carme 68: Particolarmente complesso è il c. 68 (su cui grava la questione irrisolta «alta», della tradizione enniana (come gli arcaismi, i composti, le clausole
amore e della sua unità: si discute se questo carme, trasmesso come unico nei codici, allitteranti, ecc.), concorrono a dare ai carmina docta un carattere più spic­
archetipo mitico si debba in realtà distinguere in due componimenti, e quale sia in tal caso catamente letterario..
134 LA POESIA NEOTERICA E CATULLO

La fortuna

Catullo ebbe un successo vasto e immediato: esercitò un influsso pro­


fondo sui più grandi poeti augustei (si pensi soprattutto agli elegiaci) e anche
LUCREZIO
sulla poesia imperiale (particolare l’onore resogli da Marziale, che lo consi­
dera il punto di riferimento costante della propria poesia). Fu invece pochis­
simo noto nel Medioevo: nel secolo IX, proprio nella sua Verona, il vescovo
Raterio recuperò un codice contenente i carmi di Catullo che sarebbe poi
scomparso di nuovo e riemerso solo nel secolo XIII (da esso dipende tutta
la nostra tradizione). Da allora la fama di Catullo fu sempre altissima: dopo
Petrarca, che lo amò e lo imitò, lo ammirarono i poeti umanisti (soprattutto
il Panormita e il Pontano); più tardi, nella poesia italiana, basterà ricordare
Vita e La notizia biografica più ampia su Lucrezio compare nella traduzione del
Foscolo (che ne tradusse la Chioma di Berenice e si ispirò al c. 101 per
testimonianze Chronicon di Eusebio fatta da S. Girolamo, che vi inserì anche notizie su vari
il sonetto In morte del fratello Giovanni) e il poemetto latino Catullocalvos scrittori latini tratte dal De poetis di Svetonio: Titus Lucretius poeta nascitur: qui
(un titolo neòterico, alla maniera di Levio), con cui Pascoli rendeva omag­ postea amatorio poculo in furorem versus, cum aliquot libros per intervalla insa-
gio a uno dei poeti più cari. niae conscripsìsset, quos postea Cicero emendavit, propria se manu interfecit
anno aetatis XLIV, «Nasce il poeta Tito Lucrezio. Costui in seguito, indotto alla
pazzia da un filtro d’amore, dopo avere scritto alcuni libri negl’intervalli di lucidità
che gli lasciava la follia (libri che furono poi riveduti da Cicerone), si uccise di
Bibliografìa I fram m enti dei poeti preneoterici 1958;
e H . B a r d o n , Stuttgart 19732. Fra propria mano a 43 anni di età». Non è facile datare questa notizia, e neppure
neoterici sono editi da W. M o r e l , Frag- i commenti, ottim o W. K r o l l , Stuttgart accordarla con quella fornita da Donato nella sua Vita Vergili: si può affermare
m enta poetarum L atinorum , Leipzig 19685; ottim o anche, m a incompleto, C. con certezza solo che il poeta nacque negli anni 90, e morì verso la metà degli
19272; K. B u c h n e r , Fragmenta poetarum J. F o r d y c e , O xford 1961; in Italia, F . anni 50.
Latinorum , Leipzig 1982; A . T r a g l ia , D ella C o r t e , Milano 1977; F . C a v ig lia , Alcuni manoscritti di Girolamo collocano la nascita nel 96, altri nel 94: la
Poetae novi, Rom a 19742 (con annota­ Roma-Bari 1983. Fra gli studi più recen­ data di morte oscillerebbe così tra il 53 e il 51. Ma il grammatico Elio Donato
zioni). Per le questioni generali si ve­ ti si segnalano F. D ella C o r t e , Perso­
dano L. A l f o n s i , Poetae novi, Como sostiene che Lucrezio morì quando Virgilio, a 17 anni, indossò la toga virile, ed
naggi catulliani, Firenze 1976, e vari ar­
1945; E. C a s t o r in a , Questioni neoteri- ticoli di A. T r a in a raccolti in P oeti lati­ erano consoli — come nel 70, anno di nascita di Virgilio — Pompeo e Crasso.
che, Firenze 1968; J. G r a n a r o l o , D ’En- ni (e neolatini), I, Bologna 19862; II, Questi, però, furono consoli per la seconda volta nel 55, non nel 53; si è quindi
nius à Catulle, Paris 1971; sugli aspetti Bologna 1981 (ma cfr. anche la sua In ­ supposto che sia corrotta l’indicazione d’età di Virgilio (che avrebbe avuto 15
stilistici si veda A . L u n e lli , Aerius, Roma troduzione a Catullo, I canti, M ilano anni, non 17). La data che così si ricava (15 ottobre 55), può coincidere con
1969. 19862). Sullo stile si veda A . R o n c o n i , la notizia di Girolamo, ammettendo che questi abbia confuso il nome dei consoli
F ra le edizioni di Catullo si veda Studi catulliani, Brescia 19712; D . O. del 94 e del 98, anno in cui si dovrebbe collocare la nascita. Oggi 98 e 55 sono
quella di M . S c h u s t e r - W. E is e n h u t , Ross, Style and Tradition in Catullus, generalmente ritenute le date più verosimili, ma permangono notevoli incertezze.
Leipzig 19583; R. A. B. M y n o r s , Oxford Cambridge (Mass.) 1969. Va con ogni probabilità respinta la notizia geronimiana sulla follia di Lucrezio,
mai ricordata prima, neppure da Lattanzio, che pure, metaforicamente, accusa il
poeta di «delirare», e che non avrebbe mancato di accennare ad un elemento così
importante se solo lo avesse conosciuto. L’accusa dovrebbe essere nata in am­
biente cristiano nel IV secolo al fine di screditare la polemica antireligiosa di Lucre­
zio: alcuni critici contemporanei le accordano ancora valore per poter sostenere
l’improbabile tesi di una disperazione lucreziana a sfondo patologico-depressivo
(con la quale tentare di contrapporre certi tratti di «pessimismo» lucreziano all’«otti-
mismo» di Epicuro). Nulla di concreto si può affermare sulla provenienza del poe­
ta: si è pensato che fosse campano, poiché a Napoli era fiorente una scuola epicu­
rea, e la Venus fisica venerata a Pompei ha tratti simili a quella cui Lucrezio dedi­
ca il proemio dell’opera. Bisogna ammettere che tanto questa ipotesi, quanto quella
di chi vuole il poeta nato a Roma per via di alcuni pochi riferimenti a luoghi precisi
dell'urite, sono prive di basi convincenti. Sarebbe interessante determinare la classe
sociale di provenienza di Lucrezio, ma dal tono delle parole che rivolge all’aristo­
cratico Memmio nel corso dell’opera non è possibile capire se egli si collocasse
sullo stesso livello o non fosse, piuttosto, un liberto (è in ogni caso fuori discussio­
ne l’ampiezza della cultura ricevuta). Qualche notizia più approfondita su questi
temi è in verità presente nella cosiddetta Vita Borgiana, una Succinta biografia com­
posta dall’umanista Gerolamo Borgia e scoperta nel 1894. In essa si sostiene che
il poeta visse «in stretta intimità» con Cicerone (dal quale avrebbe accolto suggerì-
136 LUCREZIO LUCREZIO E L’EPICUREISMO ROMANO 137

menti stilistici), Attico, M. Bruto, C. Cassio, cioè con le personalità di maggior rilie­ re una discreta diffusione negli strati elevati della società romana. Un perso­
vo della prima metà del l secolo a.C. La gran parte degli studiosi moderni ritiene naggio di rango consolare, Calpurnio Pisone Cesonino, si presentava come
però che la Vita sia un falso di epoca umanistica. L’unico riferimento a Lucrezio protettore di filosofi epicurei: nella sua villa di Ercolano teneva lezione Filo­
nell’opera di Cicerone è in una lettera al fratello Quinto del febbraio 54 (Ad Quin-
demo di Gàdara; un altro cenacolo epicureo sorgeva a Napoli, dove sotto
tum fratrem II 9.3): Lucreti poemata, ut scribis, ita sunt, multis luminibus ingeni,
muitae tamen artis l . Alcuni deducono dal tono della frase che il poeta doveva
la guida di Sirone studiarono giovani di diversa estrazione sociale, fra i quali
essere morto da poco (forse nell’ottobre 55), e Cicerone leggesse allora per la i discendenti di alcune famiglie nobili, e futuri poeti come Virgilio e, proba­
prima volta il manoscritto che gli era stato affidato per la pubblicazione (Yemenda- bilmente, Orazio. Sappiamo anche delle propensioni epicuree di Attico —
vit di Girolamo), ma la supposizione è labile. l’amico di Cicerone —, di Cesare, e del cesaricida Cassio; il che è sufficiente
a provare come l’epicureismo reclutasse i suoi adepti in ambedue le fazio­
Opere L’epicureismo ni che si scontravano nella vita politica. Meno sappiamo sulla penetrazione
Il poema in esametri De rerum natura, in sei libri (ogni libro va da un minimo
di quasi 1100 versi a un massimo di quasi 1500 per un totale di 7415 esametri),
nelle classi delle dottrine epicuree nelle classi inferiori; ma è interessante un passo di
inferiori Cicerone, il quale, nelle Tusculanae dìsputationes (IV 7), ci informa del fat­
forse non finito o comunque mancante dell'ultima revisione. È dedicato all’aristo­
cratico Memmio, verisimilmente da identificare col Gaio Memmio che fu amico to che le divulgazioni dell’epicureismo in cattiva prosa latina, dovute ad
e patrono di Catullo e Cinna. Girolamo, nello stesso passo del Chronicon in cui Amafinio (età incerta; forse fine del II, inizi del I secolo a.C.) e a Cazio
riferisce le notizie biografiche su Lucrezio, asserisce che il De rerum natura, dopo (I secolo a.C.) circolavano presso la plebe, attratta dalla facilità di compren­
la morte del poeta, venne rivisto e pubblicato ad opera di Cicerone. · sione di quei testi e dagli inviti al piacere in essi disseminati. In effetti lo
Il testo del De rerum natura è conservato integralmente da due codici del stesso Epicuro raccomandava l’estrema chiarezza e semplicità dell’espressio­
IX secolo (detti — per la loro forma — Oblongus e Quadratus [in sigla 0 e Q], ne: senza cedere ad antistoriche forzature in senso «democratico», va ricor­
ora conservati a Leida); alcune parti si leggono anche in schedae (fogli di codice)
dato l’universalismo del messaggio epicureo, che intendeva rivolgersi non
conservate a Copenhagen e Vienna. Un certo numero di codici umanistici ripro­
duce il testo tratto dal codice che Poggio Bracciolini riscoprì nel 1418, durante
a una élite rigorosamente selezionata, ma a persone di ogni rango sociale,
un viaggio in Germania. La prima edizione a stampa fu eseguita nel 1473 da e anche — cosa quasi inaudita nell’antichità — alle donne.
Ferrando da Brescia. L’epicureismo e Lucrezio si mosse tuttavia su una strada radicalmente diversa da quella
la poesia di un Amafinio o di un Cazio; per divulgare in Roma la dottrina epicurea
egli scelse infatti la forma del poema epico-didascalico. Ciò dovè destare
sorpresa: Epicuro aveva condannato la poesia, soprattutto quella omerica,
base dell’educazione greca, per la sua stretta connessione col mito, per il
1. Lucrezio e l’epicureismo romano
mondo di belle invenzioni in cui irretiva pericolosamente i lettori, allonta­
nandoli da una comprensione razionale della realtà. Gli epicurei successivi
Antiepicureismo A parte il rigore intollerante di Catone il Censore (cfr. p. 74), la si attennero scrupolosamente alle direttive del maestro, coltivando tu tt’al
della classe via scelta dalla classe dirigente romana nei confronti della penetrazione La scelta di più, come Filodemo, la poesia scherzosa o di puro intrattenimento. Nella
dirigente romana del pensiero greco era stata quella di un filtraggio attento, che eliminasse Lucrezio: sua scelta, Lucrezio fu probabilmente guidato dal desiderio di raggiungere
gli elementi potenzialmente pericolosi per l’assetto istituzionale della res pu- motivazioni e gli strati superiori della società con un messaggio che, anche quanto ad at­
blica o potenzialmente corrosivi nei confronti del mos maiorum. Fu la via modelli trattive letterarie, non avesse niente da invidiare alla «bella forma» di cui
battuta dalla élite scipionica, e successivamente da Cicerone. Non è ora un talora si ammantavano le altre filosofie; quasi alPinizio del poema, Lucrezio
caso che l’accorto eclettismo filosofico di quest’ultimo eriga un argine insor­ afferma del resto esplicitamente che suo proposito è «cospargere col miele
montabile proprio nei confronti dell’epicureismo (cfr. p. 168 seg.); questo delle Muse» una dottrina apparentemente amara: come si fa con i fanciulli,
è visto come dissolutore della morale tradizionale soprattutto perché, predi­ cospargendo di miele gli orli della coppa che contiene l’assenzio amaro desti­
cando il piacere come sommo bene e suggerendo la ricerca della tranquillità, nato a guarirli. Non è perciò un caso che Lucrezio — in divergenza radicale
tende a distogliere i cittadini dall’impegno politico in difesa delle istituzioni. dal suo maestro Epicuro — ostenti ammirazione per Omero; ma modelli
Non minori pericoli presentava la posizione epicurea sulle divinità: negando importanti egli trovava anche in tutta la tradizione epico-didascalica, in par­
il loro intervento negli affari umani, tendeva a creare impicci a una classe ticolare in Empedocle, il poeta-filosofo del V secolo a.C., che proprio nell’e­
Penetrazione dirigente che usava la religione ufficiale come strumento di potere. Ma se tà di Lucrezio stava conoscendo a Roma un periodo di rinnovato interesse.
dell’epicureismo nel II secolo a.C. si era arrivati anche a un provvedimento di espulsione Di Empedocle Lucrezio certo respingeva l’ispirazione filosofica misticheg-
in Roma nel nei confronti di due filosofi epicurei, Alceo e Filisco, che volevano diffonde­ giante; ma venne probabilmente affascinato dal suo ardore di apostolato,
I secolo a.C. re la loro dottrina a Roma, nel I secolo l’epicureismo era riuscito a effettua­ dall’atteggiamento profetico di rivelatore della verità.
Cicerone e Con la forma poetica scelta da Lucrezio per la divulgazione del suo
Lucrezio messaggio si è pensato di dover spiegare anche lo strano atteggiamento di
1 Anche se è difficile trovare il senso esatto di questa form ulazione (e tra gli interpreti
non si è ancora raggiunto un consenso definitivo) è probabile che si debba intendere: «Nei Cicerone nei suoi confronti. Già abbiamo accennato alla notizia geronimia-
poemi dì Lucrezio, come tu mi scrivi, ci sono davvero i bagliori del talento, m a anche i segni na che vuole Cicerone editore del De rerum natura·, evidentemente Cicerone
di una grande arte letteraria». non poteva condividere gli ideali filosofici di Lucrezio e resta il fatto che
IL POEMA DIDASCALICO 139
138 LUCREZIO
desiderio. A questo punto Lucrezio introduce una celebre digressione sulla passione
una decina di anni dopo la supposta pubblicazione del De rerum natura, d ’am ore e in versi carichi di dissacrante sarcasmo indica la causa unica di questa
cioè fra il 46 e il 44, quando intraprende nei suoi trattati filosofici una passione nella attrazione fisica.
violenta polemica contro l’epicureismo, egli non fa più alcun cenno del poe­ La terza coppia di libri ha per oggetto la cosmologia: il libro V dim ostra la m ortalità
del nostro m ondo — uno degli innumerevoli m ondi esistenti — analizzandone il
ma di Lucrezio, mentre menziona con tono sprezzante le opere di Amafinio processo di form azione; viene quindi trattato il problem a del m oto degli astri e delle
e di Cazio. Forse proprio l’eccezionaiità della forma poetica, che faceva sue cause. U na sezione fam osa tra tta della origine ferina dell’um anità. Il libro VI
della sua opera un unicum nella letteratura epicurea, spingeva Cicerone a si sforza di fornire spiegazioni assolutamente naturali di vari fenomeni fisici, come
non tenere conto di Lucrezio (tanto più che egli preferiva rifarsi direttamen­ i fulmini o i terrem oti, estrom ettendone la volontà divina. Sulla descrizione di vari
te alle fonti greche dell’epicureismo), ma il motivo determinante di tale stra­ eventi catastrofici si innesta la narrazione della terribile peste di Atene del 430 —
che già era stata n arrata dallo storico greco Tucidide — con la quale l’opera si
no silenzio si dovrà pur sempre riconoscere nella volontà di non concedere chiude piuttosto bruscamente.
spazio e credibilità di interlocutore a chi aveva scritto un’opera con forti Si è già detto che il De rerum natura non ha probabilm ente ricevuto l’ultim a revisio­
valenze disgregatrici per la società artistocratica cui Cicerone si rivolgeva. ne da parte dell’autore: lo dim ostrano alcune ripetizioni di versi, e qualche incon­
gruenza. Problem i particolari h a destato il finale del poema. Poiché nel libro V
Lucrezio annuncia la descrizione delle sedi beate degli dei, m a non mantiene poi
fede alla promessa, si è pensato che proprio questa descrizione, e non quella della
peste di Atene, fosse la chiusa progettata del D e rerum natura. Se si dovesse acco­
2. Il poema didascalico gliere questa supposizione, il poem a avrebbe dovuto concludersi con una n o ta serena
— che avrebbe fatto da pendant al gioioso inno a Venere col quale si apre — e
non con il terrificante quadro della peste di Atene. M a probabilm ente risponde me­
Titolo e data del Il titolo del poema lucreziano, De rerum natura, traduce fedelmente quello glio ai reali intenti di Lucrezio la supposizione che la fine progettata del poema
De rerum natura dell’opera più importante di Epicuro, il perduto Perì physeOs in trentasette fosse proprio la peste di Atene, e non altro: Lucrezio potrebbe aver voluto contrap­
libri. Da esso erano state tratte una Piccola Epitome (che corrisponde forse porre l'ouverture e il finale come una sorta di «trionfo della vita» e di «trionfo
alla Lettera ad Erodoto, conservata), e una Grande Epitome (perduta), pro­ della m orte», per m ostrare come non esista alcuna conciliazione del contrasto eterno
di queste due potenze.
babilmente la traccia principale seguita da Lucrezio, che pure dovette avere
presenti anche altri testi dello stesso Epicuro. La data di composizione del
poema non è sicura. In I 41 l’autore afferma che Memmio non può sottrarsi Il genere Prima del De rerum natura la letteratura latina non aveva prodotto ope­
alla cura del bene comune «in un momento difficile per la patria»; tutta didascalico a re di poesia didascalica di grande impegno. Ennio (cfr. p. 60) scrisse in
la prima metà del secolo è funestata da eventi bellici, ma si tende a pensare Roma e in settenari l 'Epicharmus (mentre l’Euhemerus era probabilmente in prosa);
che il riferimento sia alle turbolenze interne degli anni successivi al 59, anche Grecia
10 stesso metro impiegò Accio nei suoi Pragmatica, mentre i temi storico­
perché Memmio fu pretore nel 58: non è però impossibile pensare a date letterari affrontati nei Didascalica erano esposti in un misto di versi e prosa.
anteriori. La letteratura ellenistica, seguendo l’autorevole esempio di Esiodo, Parme­
nide ed Empedocle, aveva al contrario impiegato il verso tipico dell’epos,
Riassunto del Il D e rerum natura è chiaramente articolato in tre gruppi di due libri (diadi). Nel l’esametro, nel quale erano scritti sia i Fenomeni e pronostici di Arato di Soli
poema I libro, dopo l'ouverture del poem a con l’inno a Venere, personificazione della forza (ca. 320-250 a.C.), una trattazione dell’astronomia e delle tecniche di previ­
generatrice della natura, sono esposti i principi della fisica epicurea: gli atomi (parti sione del tempo, che gli Alexipharmaca e i Thèriaca di Nicandro (II secolo
minime di m ateria, indistruttibili, imm utabili, infinite), muovendosi nel vuoto infini­
to, si aggregano in modi diversi e danno origine a tutte le realtà esistenti; successiva­
a.C.). Tutte queste opere furono tradotte a Roma più di una volta, ed anche
mente interviene la disgregazione. Nascita e m orte sono costituite da questo processo 11 giovane Cicerone (negli anni 80) curò una versione degli Aratea in esametri
di continua aggregazione e disgregazione. A lla fine del libro Lucrezio passa in rasse­ latini di cui Lucrezio mostra di avere conoscenza. Non è possibile collocare
gna, criticandole, le dottrine degli altri naturalisti, E raclito, Empedocle, Anassagora. con maggior precisione tal Egnazio, autore di un De rerum natura di cui
Nel II libro (vv. 216-93) è illustrata la teoria del clinamen, il tratto più originale Macrobio cita alcuni versi: si è supposto che fosse lo stesso personaggio di­
di Epicuro rispetto a Democrito: nel m oto degli atom i interviene u na «inclinazione»
minima che perm ette una grande varietà di aggregazioni (e rende ragione della libertà leggiato da Catullo nel carme 39, ma nulla si sa della sua opera e della sua
del volere um ano). I mondi possibili sono molti, e sono soggetti al ciclo di nascita vita. A modelli greci più antichi si rifacevano invece gli Empedoclea di Sallu­
e morte. stio (è improbabile si tratti dello storico, cfr. p. 202), purtroppo perduti.
I libri III e IV costituiscono una seconda coppia, che espone l’antropologia epicurea. Empedocle e La tradizione latina non offriva dunque esempi di poesia .didascalica
II libro III spiega come il corpo e l’anim a siano entram bi costituiti d a atomi aggrega­ Lucrezio
ti, m a di form a diversa (quelli che danno luogo all’anima sono più leggeri e lisci);
di grande respiro; d’altra parte, rispetto ai poeti ellenistici che abbiamo ri­
l’anim a non può perciò sottrarsi al processo di disgregazione che investe tutte le cordato, Lucrezio si differenzia nettamente in quanto ambisce a descrivere,
realtà consistenti di atomi; di conseguenza essa m uore con il corpo, e non c’è da ma soprattutto a spiegare, ogni aspetto importante della vita del mondo
attendersi un destino ultraterreno di premio o di punizione. Il libro IV prende in e dell’uomo, e di convincere il lettore — con argomentazioni e dimostrazioni
esame il procedim ento della conoscenza, trattando la teoria dei simulacro: una specie
di sottili m em brane, com poste di atom i, che si staccano dai corpi di cui m antengono
serrate — della validità della dottrina epicurea. La tradizione ellenistica, che
la form a, e arrivano fino gli organi di senso. La testim onianza dei sensi è sempre rivive nelle Georgiche di Virgilio, ricerca invece la sua ispirazione in argo­
veritiera, e l’errore può derivare solo da una sua errata interpretazione. I simulacra menti tecnici (ma distaccati dalla loro originaria dimensione pratica, quasi
vaganti servono anche a spiegare le immagini che vediamo nei sogni; sono parim enti idealizzati), e in gran parte sprovvisti di implicazioni filosofiche. Non a caso
all’origine della reazione dei dorm ienti di fronte all’immagine degli oggetti del loro
140 LUCREZIO IL POEMA DIDASCALICO 141

il modello cui Lucrezio guarda con dichiarata simpatia è il Perì physeos re il suo destinatario dalla schiavitù del piacere facile: «Io seguo strade mai
di Empedocle, che, per il tipo di argomento trattato, l’organizzazione del prima percorse e comunque ardue», «Dico verità troppo amare, di quelle
materiale, e alcuni caratteri formali (come appunto l’uso dell’esametro), è che fanno ritrarre con orrore la gente impreparata»). La nuova forma, che
molto vicino al De rerum natura: ad Empedocle, le cui posizioni — pure il genere didascalico assume in Lucrezio, trova il suo necessario corrispettivo
— sono lontane da quelle di Epicuro, va il fervido omaggio del poeta alla nella creazione di un destinatario che sappia adeguarsi alla forza sublime
fine del I libro (v. 705 seg.). di un’esperienza sconvolgente. La dottrina degli atomi è descritta in sé ma
Il rapporto con il La consapevolezza dell’importanza della materia determina il tipo di rap­ è anche vista nelle reazioni di vertigine che può produrre nel destinatario.
destinatario porto che Lucrezio instaura con il lettore-discepolo, il quale viene continua- Diciamo allora che forma sublime del testo e forma sublime del destinatario
mente esortato, talora minacciato, affinché segua con diligenza il percorso (l’immagine cioè che il testo si fa del suo lettore ideale) sono i segni della
educativo che l’autore gli propone. È questa una ulteriore, fondamentale trasformazione che il genere didascalico ha dovuto accettare quando ha scel­
differenza rispetto alla poesia didascalica ellenistica, che si limita per lo più to di farsi mezzo per comunicare un iter morale: una scommessa tra il maestro-
a descrivere fenomeni, mentre quella di Lucrezio ne indaga le cause, e pro­ vate e il destinatario-discente, una scommessa che potrebbe anche fallire.
pone al lettore una verità, una ratio sulla quale è obbligato ad esprimere Quel che nel genere didascalico tradizionale è una cornice — il rapporto
un chiaro giudizio di consenso o rifiuto. docente-allievo — diventa nel De rerum natura un centro di tensione e un
Procedimenti L’ethos del genere didattico ellenistico (vale a dire l’intenzione che reg­ tema problematico. La traduzione del genere in discorso didascalico è conti­
retorici nel De geva quella forma di poesia didascalica) era stato un ethos eminentemente nuamente inseguita dal dubbio della propria irrealizzabilità. E per capire
rerum natura encomiastico: esso rendeva lode alle cose e suggeriva che l’oggetto della de­ quanto questo sia nuovo, basterà pensare per contrasto a quanto fosse paci­
scrizione era di per sé anche meraviglioso. Al contrario, in Lucrezio, non fica e priva di tensione la struttura didascalica dei poemi ellenistici sul vele­
est mirandum e nec mirum sono le formule che spesso articolano l’argomen­ no dei serpenti, sulle costellazioni o sulla gastronomia.
tazione: «non c’è di che meravigliarsi» davanti a questo o a quel fenomeno Da questo discendono alcune delle caratteristiche essenziali del poema,
perché esso è connesso necessariamente con questa o quella regola oggettiva, prima fra tutte la rigorosa struttura argomentativa. Tra i procedimenti di­
e non può trarne stupore chi abbia capito i principi delle cose e i loro conca­ mostrativi Lucrezio non trascura il sillogismo, strumento principe dell’argo­
tenamenti. Alla “ retorica del mirabile” («ammira e stupisci, tu che ascolti») mentazione filosofica, che nella particolare forma in cui generalmente lo
Lucrezio sostituisce la “ retorica del necessario” , che è di fatto il contrario adopera il poeta dimostra per assurdo la falsità di tesi o possibili obiezioni
del miracoloso; e così necesse est sarà un’altra delle formule più frequenti avversarie. Uno spazio assai considerevole occupa anche l’analogia, grazie
Lo stile sublime nell’argomentare lucreziano. Il destinatario, fatto direttamente responsabile, alla quale si tenta di ricondurre al noto, al visibile, ciò che è troppo lontano
con le sue reazioni agli insegnamenti, diventa consapevole della propria gran­ o piccolo per essere osservato direttamente, come ad esempio i fenomeni
dezza intellettuale. È questa la radice del sublime lucreziano. Il sublime di­ astronomici (libro VI) o l’esistenza degli atomi e del vuoto in cui essi si
venta non solo una forma stilistica che rispecchia, per l’autore che costruisce muovono (libri I e II).
il suo discorso, una forma di interpretazione del mondo; ma anche, simme­ Struttura del Il libro che forse più di ogni altro testimonia la perizia argomentativa
tricamente, una forma di percezione delle cose, per il lettore che assiste allo libro III di Lucrezio è il III, dedicato alla confutazione del timore della morte. La
spettacolo grandioso dell’universo e delle sue leggi. Il sublime, coinvolgendo sua struttura complessiva è semplice: all’introduzione (vv. 1-93), che si apre
colui che è lettore del testo e perciò spettatore della grande ed emozionante con un inno ad Epicuro, segue la parte centrale della trattazione (vv. 94-
descrizione lucreziana, gli suggerisce un bisogno morale. Ecco che allora 829), suddivisa in due sezioni: prima si dimostra che l’anima è materiale,
il sublime, per il destinatario, funziona anche come un invito all’azione. cioè composta — come ogni altro corpo — di atomi (estremamente sottili
Attraverso la rappresentazione del sublime il poeta esprime con ansia un’e­ e quindi mobilissimi) e vuoto (vv. 94-416); si affronta poi il problema-chiave:
sortazione al lettore: che scelga per sé, anche lui, un modello di vita alta se materiale, l’anima deve essere anche mortale, soggetta al ciclo di nascita
e forte. E tutto il De rerum natura si configura allora come un protreptikòs e morte proprio di tutti i corpi (vv. 417-829). In questi quattrocento versi
lògos, come un insegnamento che contiene insieme un drammatico consiglio: Lucrezio propone ben 29 diverse prove per sostenere il suo assunto, di diver­
Il «lettore tu stesso, lettore, devi divenire quasi lo specchio di questa sublimità univer­ so peso, e non tutte egualmente solide: ma il loro accumularsi, il dispiego
sublime» sale, maestosa e terribile, che io cerco di rappresentare adeguatamente con di strumenti retorici, l’elaborazione nella scelta degli esempi e delle immagi­
questo mio stile sublime; tu stesso devi trasformarti in «lettore sublime», ni, creano un insieme di innegabile forza persuasiva.
emozionarti e trovare dentro di te la forza dell’accettazione e dell’adegua­ Pur avendo dimostrato scientificamente la mortalità dell’anima, e il fatto
mento. che con la morte cessa per noi ogni forma di sensibilità, positiva o negativa,
Nel progetto didascalico lucreziano, insomma, il genere stesso diventa Lucrezio si rende conto che questo non è sufficiente a distogliere l’uomo dal
una forma problematica: il testo prevede un lettore pronto a ingaggiare qua­ dolore di dover abbandonare la vita. Per convincerlo, allora, dà la parola,
si una lotta con un insegnamento che è duro e aspro, un lettore agonistico nel finale del libro (vv. 830-1094), alla voce della Natura stessa, che si rivolge
capace di fare di se stesso e delle proprie reazioni emotive un contenuto direttamente all’uomo (v. 940 seg.): se la vita trascorsa è stata colma di gioie
del poema, quasi uno spettacolo drammatico che il testo mette in scena (sem­ questi può ritrarsene come un convitato sazio e felice dopo un banchetto; se,
bra che Lucrezio, attraverso la difficile esperienza del sublime, voglia libera­ al contrario, è stata segnata da dolori e tristezze, perché desiderare che essa·
142 LUCREZIO
IL CORSO DELLA STORIA 143
prosegua? Solo gli stulti vogliono ad ogni costo continuare a vivere, anche
se nulla di nuovo li può attendere, perché eadem sunt omnia semper (III 945). può essere venerato quasi come un dio, perché ha liberato gli uomini da
Il De rerum In questo libro è particolarmente chiaro un ultimo carattere dell’opera, enormi sofferenze morali: tranne il II e il IV tutti i libri dell’opera si aprono
natura e la il suo contatto con la letteratura diatribica. La diàtriba si era sviluppata con una appassionata celebrazione dei meriti di Epicuro. Questi credeva che
letteratura in Grecia in età ellenistica, e Bione di Boristene (ca. 325-255 a.C.), un filo­ gli dei fossero figure dotate di vita eterna, perfette e felici nella pace degli
diatribica sofo viaggiante che esponeva al popolo, per la strada, argomenti di carattere intermundia (la zona tra terra e cielo in cui abitavano), incuranti delle vicen­
filosofico-morale, ne era stato il rappresentante più noto. Anche se il suo de della terra e dell’uomo: a loro poteva andare la pietas dei terrestri, essi
orientamento filosofico era prevalentemente cinico, egli aveva contribuito potevano costituire un punto di riferimento ideale. Era invece radicalmente
a sviluppare uno schema di presentazione semi-drammatica del contenuto, esclusa l’ipotesi che l’uomo fosse soggetto agli dei in un rapporto di dipen­
con frequenti spunti satirici assai vivaci e il concorso di più personaggi fittizi denza, che da essi, suoi padroni, egli potesse attendersi benefici o punizioni.
(che avevano lontani e illustri progenitori nei partecipanti ai dialoghi plato­ Anche Lucrezio recupera questo senso intimo della religiosità, intesa come
nici), poi ripreso anche indipendentemente dai contenuti originari. capacità di vivere serenamente e contemplare ogni cosa con mente sgombra
da pregiudizi (V 1203).
L’origine storica Nell’ambito del V libro una sezione della storia dell’umanità (vv. 1161-
della religio 1240) è dedicata alla nascita del timore religioso, che sorge spontaneo per
3. Studio della natura e serenità dell’uomo ignoranza delle leggi meccaniche che governano, per esempio, il corso per­
fettamente regolare degli astri, o per lo spavento causato dal fulmine e dalle
La confutazione Subito dopo il proemio con l’invocazione a Venere e una sommaria espo­ tempeste (a torto considerati segni di una punizione divina) che invece colpi­
della religio sizione del piano dell’opera, Lucrezio si rivolge al lettore invitandolo a non scono indiscriminatamente colpevoli e innocenti proprio perché dovuti a fe­
considerare empia la dottrina che egli si accinge a trattare, e a riflettere, nomeni naturali che la fisica epicurea si incarica di spiegare. A torto si è
piuttosto, su quanto crudele e davvero empia fosse la religio tradizionale, voluto vedere in questi versi un atteggiamento diverso di Lucrezio nei con­
che, per esempio, aveva imposto ad Agamennone il sacrificio della figlia fronti della religione, quasi un cedimento a quei timori e a quelle paure
Ifigenia per assicurare la partenza della flotta greca alla volta di Troia. Al­ che tenta di combattere: sua intenzione è invece di delineare, in questa circo­
l ’assassinio della fanciulla è dedicata una scena tra le più elaborate del poe­ stanza, l’origine storica di un fenomeno del quale, appunto, non è difficile
ma (I 80-101), impostata su un tono volutamente molto patetico. Così — ricostruire le cause, ma che nondimeno va — nel presente — combattuto
prosegue Lucrezio — la religione è in grado di opprimere sotto il suo peso ed eliminato.
la vita degli uomini, turbare ogni loro gioia con la paura: ma se gli uomini
sapessero che dopo la morte non c’è che il nulla, se diventassero, perciò,
insensibili alle minacce di pene eterne profferite dagli indovini, smetterebbe­
ro di essere succubi della superstizione religiosa e dei timori che essa com­
4. Il corso della storia
porta. A tal fine è quindi necessaria una conoscenza sicura — resa possibile
dal poema — delle leggi che regolano l’universo, e rivelano la natura mate­ Le origini del Lo sforzo di Lucrezio, come abbiamo già accennato, è di evitare che
riale e mortale del mondo, dell’uomo e dell’anima stessa. mondo e su argomenti di grande rilievo la egestas rationis, la mancanza di spiegazioni
dell’umanità razionali in termini epicurei, riconduca il lettore ad accettare le spiegazioni
Potenzialità Si vede come già dai primi versi Lucrezio descriva con chiarezza il nesso
rivoluzionaria del tra superstizione religiosa, timore della morte, e necessità di speculazione tradizionali della mitologia e della superstizione. Oltre a temi affini a quelli
messaggio di scientifica; e il suo messaggio sarà di fatto ignorato non solo per l’intrinseca trattati dagli antichi filosofi naturalisti, come la natura della materia e la
Lucrezio difficoltà dell’opera, ma anche, si deve pensare, perché potenzialmente ca­ formazione dei corpi, ed altri di ispirazione etica e morale (la religione, la
pace di mettere in discussione i fondamenti culturali — e, indirettamente, paura della morte, l’amicizia, l’amore), Lucrezio dedica una ampia parte
sociali e politici — dello stato romano, che della relìgio aveva fatto un es­ dell’opera alla storia del mondo, del quale era stata anzitutto chiarita la
senziale elemento di coesione. natura mortale, originato com’è da una casuale aggregazione di atomi e
Gli dei in Epicuro Se l’insistenza sui «terribili detti» (I 103) dei vates costituisce probabil­ destinato alla distruzione (II 1024-1174). Tutta la seconda metà del libro
e in Lucrezio mente una accentuazione polemica ispirata dal clima culturale del suo tem­ V (vv. 772-1457) tratta invece dell’origine della vita sulla terra e della storia
po, Lucrezio resta peraltro fedele alle teorie di Epicuro in materia di religio­ dell’uomo. Né gli animali né gli esseri umani sono stati creati da un dio,
ne. Il filosofo greco era stato il primo uomo che «osò levare gli occhi contro
la religione che incombeva minacciosa dal cielo» (I 66) 2. Per questo egli
sui tratti del guerriero om erico impegnato in un duello eroico: il rituale delle «scene di sfida»
codificate nell’Iliade, con le varie movenze che preludono allo scontro fra guerrieri (guardare
il nemico negli occhi, disporsi di fronte a lui saldam ente, ecc.) costituisce il modello implicito
2 A parte certi diffusi accenti genericamente «prom eteici» che suggeriscono nella figura della descrizione che Lucrezio fa del suo cam pione im pegnato contro quell’avversario temibile
di Epicuro il cam pione della liberazione um ana, fin dall’inizio nel poem a (I, 62-79) l’immagine che è il m ostro gigantesco della superstizione (mortales lollere centra / est oculos ausus, primus-
del filosofo (arm ato di vivida vis anim i e forte della ratio naturae) si m odella apertam ente que obsistere contro). Segno, questo, dell’intonazione epico-eroica che Lucrezio voleva aggiun­
gere all’ardore didascalico della sua poesia di genere sublime.
l ’i n t e r p r e t a z i o n e d e l l ’o p e r a 145
144 LUCREZIO
ze, si allontani dalle tensioni della vita politica (Epicuro consigliava: làthe
ma si sono formati grazie a particolari circostanze: il terreno umido e il biòsas, «vivi in disparte»), si dedichi a coltivare lo studio della natura
calore hanno spontaneamente generato i primi esseri viventi (v. 797 seg.). con gli amici più fidati, somma ricchezza della vita umana: «Di tutti
Notevole attenzione viene riservata alla confutazione delle tradizioni su esse­ quei beni che la saggezza procura per la completa felicità della vita il
ri mitici che avrebbero popolato l’alba della terra (v. 878 seg.): a tali fanta­ più grande di tutti è l’acquisto dell’amicizia» (Sentenze Capitali 27, trad.
sticherie Lucrezio oppone la saldezza delle leggi naturali della fisica epicu­ Arrighetti).
rea, che dimostrano l’impossibilità che due esseri di natura diversa (l’uomo Nel proemio del II libro (vv. 1-61), i saggi che vivono mettendo in prati­
e il cavallo, ad esempio) si congiungano e generino, appunto, il centauro: ca i precetti di Epicuro sono paragonati a coloro che, al sicuro sulla terrafer­
è questo uno degli insegnamenti basilari di Epicuro, la cui dottrina ha inse­ ma, osservano distaccati il mare in tempesta, l’altrui pericolo: Lucrezio vuo­
gnato «cosa può nascere, cosa non può, ed infine in base a quale principio le insegnare a tutti gli uomini come raggiungere «le alte e serene regioni
ogni cosa ha un potere delimitato ed un termine profondamente infisso» ben fortificate dalla scienza dei saggi» (II 7-8).
(I 75-77). È invece possibile che la natura, non governata da esseri superiori,
commettesse alcuni «sbagli» dando vita a uomini mancanti di parti vitali
del corpo (v. 837 seg.). I primi uomini conducevano una vita agreste, al
di fuori di ogni vincolo sociale: la natura forniva il poco di cui c’era davvero 5. L ’interpretazione dell’opera
bisogno; non per questo erano privi di pericoli: le fiere sbranavano molti
di loro (v. 925 seg.). La «voce La confusione tra la figura storica dell’autore e l’immagine del «narra­
Il progresso Fra le tappe del progresso umano che Lucrezio tratta in seguito (vv. narrante» nel De tore» che prende la parola all’interno del poema continua a nuocere alla
umano 1010-1457), quelle positive — la scoperta del linguaggio, quella del fuoco, rerum natura lettura critica del De rerum natura. Le due figure non devono essere sovrap­
dei metalli, della tessitura e dell’agricoltura — sono alternate ad altre di poste meccanicamente: nessuno penserebbe, ad esempio, di far coincidere
segno negativo come l’inizio ed il progresso dell’attività bellica o il sorgere sic et simpliciter il Dante-personaggio della Commedia con l’uomo Alighieri;
del timore religioso. Spesso è stata la natura che ha casualmente mostrato il narratore, pur assumendo molti tratti propri dell’autore, non è in realtà
agli uomini come agire: del metallo surriscaldato da un incendio fortuito, che una persona tra le altre, che gioca il suo ruolo all’interno del sistema
e raccoltosi in una buca del terreno, può ad esempio aver indicato la tecnica di valori e dei temi del poema. Anche solo per questo motivo non possono
della fusione. La necessità di comunicare ha invece spinto l’uomo a creare essere accettate le tesi di quanti hanno affannosamente ricercato nel De re­
le prime forme di linguaggio: caso e bisogno materiale sono i fattori di avan­ rum natura tracce di uno squilibrio mentale di Lucrezio, ora nella forma
zamento della civiltà. di crisi maniaco-depressive, ora come generica «angoscia» esistenziale. In
Effetti negativi È evidente in tutta la trattazione il desiderio del poeta di contrapporsi tali letture ha avuto certo un peso determinante la famigerata notizia geroni-
del progresso e alle visioni teleologiche del progresso umano assai diffuse nella cultura del miana, della quale non è peraltro difficile, come già si è detto, comprendere
limitazione dei tempo: la natura segue le sue leggi, nessun dio la piega ai bisogni dell’uomo. le motivazioni ideologiche. Ma anche una tesi più recente (e ancora fortuna­
desideri Ovviamente Lucrezio non poteva credere nell’esistenza di una mitica età feli­ ta), quella che ricerca a tutti costi nell’opera un «Antilucrezio» scettico che
ce in cui l’uomo viveva come in un paradiso terrestre dal quale il degenerare per primo il Lucrezio «ufficiale» si affannerebbe a persuadere, fu formulata
delle razze (secondo il famoso mito esiodeo) lo ha irrimediabilmente allonta­ per la prima volta, nel 1868, da un critico profondamente avverso al credo
nato. Il progresso materiale, fin quando è stato ispirato al soddisfacimento materialista del poeta e intenzionato a dimostrare l’intrinseca debolezza del
dei bisogni primari, è valutato positivamente, mentre le riserve di Lucrezio suo messaggio, il francese Patin.
si concentrano sull’aspetto di decadenza morale che il progresso ha portato La tensione Una lettura non preconcetta dell’opera induce a constatare che la tensio­
con sé: il sorgere dei bisogni innaturali, della guerra, delle ambizioni e cupi­ «illuministica» di ne dell’autore (che in questo senso può a ragione essere definita illuministi­
digie personali ha corrotto la vita dell’uomo. Ma quella di Lucrezio non Lucrezio ca), è sempre rivolta a conseguire il convincimento razionale del suo lettore,
è una visione sconsolata e pessimistica: a questi problemi l’epicureismo è a trasmettergli i precetti di una dottrina di liberazione morale nella quale
in grado di fornire una risposta invitando a riscoprire che «di poche cose egli stesso profondamente crede. È indubbio che nel poema hanno una loro
ha davvero bisogno la natura del corpo» (II 20). Epicuro aveva prescritto parte anche descrizioni a tinte fosche, violentemente drammatiche, delle quali
di evitare i desideri non naturali e non necessari, e di badare solo al soddi­ vanno però ritrovate volta a volta le motivazioni contestuali. L ’accesa con­
sfacimento di quelli naturali e necessari: «Grida la carne: non aver fame futazione della tesi stoica di una natura provvidenziale, ad esempio, spiega
non aver sete non aver freddo; chi abbia queste cose e speri di averle [in perché Lucrezio insiste a lungo sull’idea che la natura è del tutto incurante
futuro], anche con Zeus può gareggiare in felicità» (Gnomologio Vaticano delle esigenze dell’uomo: «la natura non è preparata per noi dal volere divi­
33, trad. Arrighetti). no: di una colpa così grande è infatti gravata» (V 198-199); questa culpa
Il «progetto Si comprende come l’epicureismo sia stato spesso considerato a torto, è evidente (V 200 segg.) nelle asperità del terreno, nelle difficoltà di lavorar­
sociale» del già in antico, una forma di edonismo sfrenato, non cogliendo così lo spirito lo, nella durezza del clima, nel gran numero di animali nocivi all’uomo che
saggio epicureo' dei suoi precetti fondamentali, tutti volti alla limitazione dei bisogni e alla la terra nutre; e, poi, «perché il volgere degli anni porta le malattie? Perché
ricerca di piaceri naturali e semplici. Il «progetto sociale» di Epicuro e Lu­ si aggira la morte prematura?» (vv. 220-221).
crezio è coerente con queste premesse: il saggio abbandoni le inutili ricchez­
146 LUCREZIO
LINGUA E STILE D I LUCREZIO 147
La condanna Quando invece, nel finale del libro IV, Lucrezio si scaglia aspramente
della passione contro le insensatezze della passione amorosa, è probabilmente mosso dalla eliminare l’angoscia dell’uomo di fronte all’idea che la sua vita deve avere
amorosa volontà di ribadire che il saggio epicureo (modello cui il lettore-discepolo un termine, ed è proprio a questo punto che Lucrezio si irrigidisce: se la
va accostato) deve tenersi lontano da una passione irrazionale che non ha vita trascorsa è stata piacevole — la Natura stessa si rivolge all’uomo in
alcuna giustificazione nei dettami della natura (la condanna del poeta non questi termini —, nulla di diverso può essere esperito in futuro (eadem sunt
coinvolge infatti il sesso). In questo particolare caso, inoltre, avranno agito omnia semper, 945), conviene semmai allontanarsi come un convitato sazio,
anche stimoli culturali diversi, quali la volontà di contrapporsi all’ideologia di buon grado (aequo animo, 939, un’espressione tipicamente epicurea che
erotica dei neòteroi (Catullo) e l’orientamento della morale tradizionalista ritroveremo in Orazio); in caso contrario, meglio comunque concludere un’e­
a condannare con severità gli amanti che sconsideratamente dissipavano le sperienza ricca solo di dolore. Proprio questa rigidità, il supporre — para­
loro sostanze in doni e lussi (IV 1123-1124: «e intanto il patrimonio si dis­ dossalmente — che il non essere mai nati non sarebbe stato un male per
solve, si trasforma in tappeti babilonesi; i doveri sono trascurati, la reputa­ l’uomo (V 174 quidve mali fuerat nobis non esse creatis?), l’insistere sull’i­
zione vacilla e soffre»). Più in generale, alla base di questi quadri fortemen­ dea che prolungare la vita non sottrae neppure un giorno alla morte che
te espressivi del poema è radicata l’inclinazione a ricercare un registro stili­ ci attende, l’invito epicureo al carpe diem (957), contrastano vivamente con
stico elevato ed efficace, che, come abbiamo visto, accoglie e «brucia» nella la precisa, approfondita descrizione dell’uomo in preda all’angoscia irrazio­
grandezza di uno stile sublime elementi propri della diatriba e della satira. nale che Lucrezio stesso ci offre verso la fine del libro.
Esaltazione Il problema del pessimismo di Lucrezio — della distanza che sembra Le contraddizioni Alcuni critici, esagerando forse la portata di questa differenza d’intona­
incomposte di zione, non hanno esitato a proporre l’immagine di un Lucrezio intimamente
della ratio a volte separarlo dalla serenità del credo di Epicuro — non manca tuttavia
Lucrezio dissidente nei confronti di un sistema filosofico dall’aspetto troppo sereno,
di occupare un ruolo centrale in buona parte della critica, e si deve ammette­
re che non è facile giungere ad una valutazione equilibrata che tenga conto troppo lineare, ma impotente di fronte ad angosce primordiali: da qui ad
di tutte le sfumature, dei toni talora diversi tra una parte e l’altra del poe­ un Lucrezio cripto-religioso, assetato di fede o peggio, il passo è stato talora
ma. Da un lato, come abbiamo avuto occasione di notare, si devono certo troppo breve. Senza sposare tesi di tal fatta, però, non si può fare a meno
respingere i tentativi di rintracciare in molti luoghi dell’opera tracce di con­ di notare che esempi come quello ora citato sono arricchimenti del testo:
traddizioni sistematiche e clamorose rispetto ad Epicuro, toni troppo cupi danno in più, alla personalità poetica di Lucrezio, alla sua energia di profeta
e pessimistici, addirittura i frutti di una mente insana. Lucrezio ripete molto ardente fino all’entusiasmo, una dimensione di insoddisfazione amara, se­
spesso che la ratio da lui esposta è foriera — per chi ben la assimili — gno oggettivo di una interiorità tormentata. E forse i luoghi più eloquenti
di serenità e libertà interiori, che traggono origine dalla comprensione razio­ dell’opera potranno essere riconosciuti proprio nelle ferite che le varie con­
nale dei meccanismi di nascita, vita e morte dell’uomo e del cosmo. Lucrezio traddizioni incomposte hanno lasciato dentro il corpo della dottrina.
offre al suo lettore la possibilità di guardare tutt’intorno con occhio indifeso
e invita all’accettazione consapevole di ogni cosa in quanto esistente: la vita
col suo rinnovato sorridere e la morte continuamente vicina {De rer. nat. 6. Lingua e stile di Lucrezio
II 75 segg.) ...sic rerum summa novatur / semper, et inter se mortales mu­
tua vivunt. / Augescunt aliae gentes, aliae minuuntur, / inque brevi spatio
mutantur saecla animantum / et quasi cursores vitai lampada tradunt “ così Lucrezio e Il breve giudizio sul De rerum natura contenuto nella lettera al fratello
la somma delle cose si rinnova sempre, e i mortali vivono di un mutuo Virgilio Quinto (riportato sopra tra le informazioni biografiche) testimonia che Cice­
scambio. Alcune specie si accrescono, altre declinano, in breve spazio si rone ammirava in Lucrezio non solo l’acutezza del pensatore, ma anche
mutano le generazioni dei viventi, e simili a corridori si trasmettono la fiac­ grandi capacità di elaborazione artistica. La critica moderna ha a lungo esi­
cola della vita” ; cfr. II 575 segg. Nuric hic nunc illic superant vitalia re­ tato a sottoscrivere la seconda delle due affermazioni, giudicando lo stile
rum / et superantur item. Miscetur funere vagor / quem pueri tollunt visen- del poeta (soprattutto in base al confronto col modello «classico» per eccel­
tes luminis oras; / nec nox ulla diem neque noctem aurora secutast / quae lenza, Virgilio) troppo rude e legato all’uso arcaico, a tratti prosaico e ripeti­
non audierit mixtos vagitibus aegris / ploratus mortis comites et funeris atri tivo. Da qualche tempo gli studiosi hanno modificato questa prospettiva,
“ Ora qui ora là, le forze vitali riportano vittoria; poi sono vinte a loro ricollocando sia Lucrezio che Virgilio nella loro giusta dimensione storica
volta. Ai gemiti funebri si mescolano i vagiti dei neonati appena giunti alle e valutando appieno le fondamentali divergenze di impostazione che inter­
spiagge della luce; nessuna notte si è avvicendata al giorno, nessuna aurora corrono tra il De rerum natura ed anche l’opera virgiliana ad esso più vici­
alla notte che non abbia inteso, mescolati ai vagiti dolorosi, i pianti e i na, le Georgiche.
lamenti, compagni della morte e dei foschi funerali.” Esigenze Anche lo stile, come l’organizzazione complessiva della materia, doveva
Ma questo stesso razionalismo, a tratti, mostra i suoi limiti. Nel terzo espositive e stile piegarsi al fine di persuadere il lettore. Si spiegano in questa luce le frequen­
I limiti del
lucreziano: ti ripetizioni, nelle quali si è a lungo visto un segno di «immaturità» stilistica
razionalismo libro, ad esempio, l’autore insiste sul fatto che la morte nihil est ad nos
a) ripetizioni di Lucrezio: alcuni concetti andavano riassunti in brevi formule facilmente
neque pertinet hilum (830), perché con la morte la nostra sensibilità si perde
del tutto, e per sempre; sarebbe stolto temere un oltretomba che non esiste, ricordabili, come già raccomandava Epicuro, collocate più di una volta in
e che comunque non potremmo esperire. Tutto questo, però, non basta ad punti chiave del poema. Così, per esempio, il principio essenziale che «ogni
cosa che esce — modificata — dai suoi confini, costituisce immediatamente
148 LUCREZIO LA FORTUNA D I LUCREZIO 149

la morte di ciò che c’era prima», cioè che l’incessante divenire degli aggrega­ nel proemio del IV libro (gli stessi versi sono ripetuti anche in I 925 seg.),
ti è possibile solo grazie al loro continuo disfacimento, è ripetuto quattro Lucrezio si presenta come il poeta che raggiunge per primo «gli impervi
b) formule di volte (I 670; I 792; II 753; III 519). Anche l’invito all’attenzione del lettore terreni delle muse Pieridi» per attingere a una nuova fonte di poesia e con­
transizione doveva essere reiterato spesso; e alcuni termini tecnici della fisica epicurea, quistare la gloria, riproducendo così il gesto di consapevolezza che Callima­
nonché i nessi logici di grande uso (ad esempio le formule di transizione co aveva reso un luogo tradizionale nella poesia ellenistica.
tra argomenti diversi: adde quod, quod superest, praeterea, deniqué) dove­ Patrii sermonis Ma certamente il tratto distintivo dello stile lucreziano va individuato
vano restare il più possibile fissi per consentire al lettore di familiarizzarsi egestas e nella concretezza dell’espressione. Evidenza e vivacità descrittiva, visibilità
c) tecnicismi con un linguaggio non certo facile. Non va neppure trascurato il fatto che impulso alla e percettibilità degli oggetti intorno a cui si ragiona, «corporalità» dell’im­
alla lingua latina mancava la possibilità di esprimere certi concetti filosofici, creazione poetica maginario: questi caratteri dell’esposizione sono come gli effetti obbligati
e Lucrezio si trovò quindi costretto a ricorrere a perifrasi nuove (quali semi­ che derivano dalla mancanza (più volte denunciata dallo stesso poeta) di
na, primordia, o corpora prima per designare gli atomi), a coniazioni, talora un linguaggio astratto già pronto, già di per sé disponibile a significare le
a calchi diretti dal greco (come homoeomeria): è appunto in questa circo­ idee e a dare forma filosofica al discorso. Paradossalmente l’espressione —
stanza che egli lamenta la «povertà del vocabolario avito» (I 832: patrii quasi trovasse un compenso a quella povertà — trae da ciò un guadagno
sermonis egestas). formale: si fa vivida in quanto deve supplire i vuoti verbali ricorrendo a
Gli arcaismi di La povertà della lingua non si estendeva però al di fuori del lessico L’«entusiasmo» una gamma vastissima di immagini e di «esempi» esplicativi. Ma le imma­
Lucrezio strettamente tecnico: Lucrezio sfrutta una gran mole di vocaboli poetici che poetico gini di cose evocate per spiegare pensieri ed idee, e così anche le similitudini
la tradizione arcaica (soprattutto enniana) gli fornisce specie nel campo degli che devono chiarire (per analogia con le cose note) i meccanismi delle
aggettivi composti (per esempio suaviloquens, altivolans, navigerum, frugi- cose ignote o nascoste, non restano solo mezzi destinati ad illustrare in
ferens), e molti ne crea egli stesso rivelando una spiccata propensione per modo comprensibile l’argomentazione astratta: le immagini e gli esempi
nuovi avverbi (filatim, moderatim, praemetuenter) e perifrasi (natura diventano il risvolto emozionale di un discorso intellettuale che sceglie
animi = animus; equi vis = equus, su modello omerico). Dalla tradizione en­ di farsi soprattutto descrizione di grande efficacia poetica. Descrizione rav­
niana, e genericamente dal patrimonio della «poesia elevata» romana, egli vicinata e curiosa, altre volte descrizione stupita a distanza; certe volte
trae le più caratteristiche forme dell’espressione (più che dallo stile alessan- contemplazione delle cose grandi e altre volte di ciò che è piccolissimo;
drineggiante contemporaneo): di qui un intensissimo uso di allitterazioni, può esserci incanto per la maestosità della natura immobile e anche ammi­
di assonanze, di costrutti arcaici, e in generale di effetti di suono propri rato sgomento dinanzi alle forze potenti che muovono la natura (il «subli­
del gusto espressivo-patetico dei più antichi poeti di Roma. me dinamico»).
Al contrapporsi di cose umili e grandi, di statico e dinamico, corri­
In campo gramm aticale i due fenomeni sicuramente più vistosi sono il gran numero sponde nell’espressione il contrasto efficace tra le movenze di una lingua
di infiniti passivi in -ier (più arcaico di -i), ed il prevalere della desinenza bisillabica viva e colloquiale (che parla di cose quotidiane) e la scelta di uno stile
-ai nel genitivo singolare della prim a declinazione (anziché -aè), esclusa ormai ai grande e sublime. Anche se i livelli di questo stile sono molti e diversi
tempi di Lucrezio dalla lingua d ’uso, e considerata quindi un arcaism o che contribui­
sce alla elevazione del tono del discorso.
(dall’energia del «parlato» alla preziosità della dizione epico-tragica), il
L ’esametro lucreziano si differenzia nettam ente da quello arcaico di Ennio, rispetto registro che li unifica è uno solo e continuo: è il registro dell’enthusiasmòs
al quale predilige l’incipit dattilico che sarà usuale nella poesia augustea. Un segno poetico posto al servizio di una missione didattica vissuta con ardore ecce­
di scarsa capacità di sfruttam ento delle possibilità espressive dell’ordine delle parole zionale. Il risultato è uno stile severo, capace di durezze e di eleganze,
è stato spesso visto nella tendenza a com porre il verso di due parti quasi equivalenti pronto alla commozione e alla meraviglia ma anche all’invettiva profetica:
{et magis in prom ptu / prim aque in fro n te locata, I 879; tangere enim non quit
/ quod tangi non licei ipsum, V 152; dissoluunt nodos om nis / et vincla relaxant, comunque sempre grandioso, senza che mai si perda nell’ampollosità e
VI 356) piuttosto che a ricercare un ordine «chiuso» {nec calidae citius decedunt nella magniloquenza vana.
corpore febres, II 34) o, per esempio, chiastico (del tipo ab-ba), molto diffusi in
Virgilio ed Ovidio. Va osservato che questa disposizione, e il m oderato ricorso al-
1’enjam bem ent (peraltro diffuso nelle sezioni in cui si intende accentuare il pathos),
annullano, soprattutto nelle parti tecniche e argom entative, la tensione che si crea
7. La fortuna di Lucrezio
all’interno del verso e tra un verso e l’altro, perm ettendo una più pacata e lineare
comprensione del contenuto e accentuando il senso di accumulazione di fatti e prove
convincenti. Gli autori latini e Le prime fasi della fortuna di Lucrezio sono oggetto di discussione:
Lucrezio è sicuramente strana la completa assenza del poeta dalle opere filosofiche
Lucrezio e la Lucrezio dimostra di possedere una vasta conoscenza della letteratura di Cicerone, dove pure la confutazione dell’epicureismo ha larga parte. Si
letteratura greca greca, come testimoniano le riprese di Omero, Platone, Eschilo (il quadro è pensato (ma le ipotesi sono molteplici) che Cicerone abbia voluto, in tale
di Ifigenia), Euripide (i versi II 991-1001 traducono, per esempio, un fram­ sede, appositamente ignorare il De rerum natura e sminuirne così il valore
mento del Crisippo)·, tutta la descrizione della peste di Atene, nel libro VI, (cfr. p. 137). Tutto sommato scarsa è la presenza di Lucrezio negli autori
è naturalmente basata sul racconto tucidideo. Neppure mancano i segni del­ del I secolo a.C., anche se Virgilio, Orazio e Ovidio non mancano di ripren­
la frequentazione dei poeti ellenistici più raffinati (Callimaco, Antipatro): derne alcuni aspetti e di tributargli alte lodi. La lettura del poema continua
BIBLIOGRAFIA 151
150 LUCREZIO
e l ’epicureismo, trad. it. Brescia 1970. Su do antico, Milano 19824. Sullo stile L. F e r ­
anche nei secoli successivi, come testimoniano Seneca, Quintiliano, Stazio aspetti specifici G . S a sso , Il progresso e r e r ò , Poetica nuova in Lucrezio, Firenze
(cui si deve la bella definizione dodi furor arduus Lucreti di Silvae II 7,76), la morte. Saggi su Lucrezio, Bologna 1979 1949; G. B. C o n t e , H ypsos e diatriba nello
(sul libro V); F. G ia n c o t t i , I l preludio stile di Lucrezio, in «Maia», 18,1966; idem
Plinio.
di Lucrezio e altri scritti lucreziani, Fi­ Il trionfo della m orte e la galleria dei gran­
I Cristiani e la Gli autori cristiani leggono Lucrezio e ne criticano apertamente le posi­ renze 1979; L. C a n a l i , Lucrezio poeta di trapassati in Lucrezio I I I 1024-1053, in
riscoperta zioni, ma a partire dai secoli successivi incominciano a perdersi le tracce della ragione, Rom a 19853; molto discu­ «Studi italiani di filologia classica», 37,
umanistica dell’opera. Nel 1418 Poggio Bracciolini scopre in Alsazia un manoscritto tibili le tesi di L. P e r e l l i , Lucrezio p o e­ 1965. Si veda anche la prefazione di G.
del De rerum natura e lo invia a Firenze perché sia copiato: è l’inizio della ta dell’angoscia, Firenze 1969. S ul senti­ B. C o n t e (Insegnamenti per un lettore su­
mento religioso A. J. F e s t u g iè r e , Epicu­ blime) a Lucrezio, L a natura delle cose,
rinnovata fortuna dell’opera in epoca moderna. Alla prima edizione a stam­ ro e i suoi dei, trad. it. Brescia 1952; B. trad. it. di L. C a n a l i , note di com m ento
pa (Brescia 1473) e al fiorire dell’attività filologica sull’opera (studiata tra F a r r in g t o n , Scienza e politica nel m on­ di I. D io n ig i , M ilano 1989.
gli altri da Marnilo, Avancio, soprattutto Lambino) si affianca la ripresa
d’interesse da parte dei dotti dell’epoca, anche di tendenze filosofiche diver­
se, come Pontano o Poliziano (anche da alcune Stanze di quest’ultimo, ispi­
rate alla Venere di Lucrezio, Botticelli trasse spunto per la sua Primavera).
Nel Cinquecento appaiono le prime «confutazioni di Lucrezio», opere in
versi che riprendono da vicino la lingua e lo stile latino dell’autore per pro­
pugnare tesi sovente opposte a quelle materialiste del De rerum natura, e
che avranno l’esempio più famoso m ìì’Anti-Lucretius, sive de Deo et Natu­
ra del Cardinale di Polignac (1747).
L’età moderna Il filosofo francese Gassendi (1592-1655) riporta in auge in pieno Sei­
cento, con il suo empirismo, la dottrina di Epicuro (e di Lucrezio) conci­
liandola con la presenza di un Dio creatore. Molière ne traduce nel Misan­
tropo il celebre passo del IV libro sui difetti delle donne; l’illuminismo
confesserà la sua ammirazione per l’arte e (non sempre) per la filosofia
del poeta.
La prima traduzione italiana dell’opera è del dotto Alessandro Marchet­
ti, pubblicata a Londra nel 1717 dopo il divieto ricevuto in patria. Non
si può affermare con certezza una lettura integrale di Lucrezio da parte di
Giacomo Leopardi, anche se alcune tracce indicano comunque un certo gra­
do di conoscenza diretta (ad esempio, i vv. 111-114 della Ginestra: «Nobil
natura è quella / che a sollevar s’ardisce / gli occhi mortali incontra al
comun fato», riprendono forse I, 65-66, Graius homo mortalis tollere con­
tro / est oculos ausus primusque obsistere contro).
Nel 1850 l’edizione critica del De rerum natura curata da Karl Lach-
mann è il banco di prova del moderno metodo filologico basato sulla valuta­
zione dei rapporti tra i vari rami della tradizione, individuati grazie alla
presenza di errori-guida che li accomunano o separano.

Bibliografia Edizioni moderne: K. L a c h m a n n , Ber­ ne nell’antologia curata da E. P a r a t o r e e


lin 1850 (l’edizione che fondò la m etodolo­ U. P iz z a n i , Rom a 1960; com menta finali
gia m oderna della critica testuale: vedi S. e proemi F. G ia n c o t t i , L ’ottim ism o rela­
T im pa n a r o , La genesi del metodo del Lach­ tivo nel «De rerum natura» di Lucrezio, T o­
m ann, Padova 19853); A. E r n o u t , Paris rino 19612.1 testi di Epicuro (sul quale vedi
1920 (19662), con commento di A. E r n o u t e D. P e s c e , Saggio su Epicuro, Bari 1974, e
L. R o b in , Paris 1925-28; C. B a iley , Oxford Introduzione a Epicuro, Bari 1981) si leg­
1947, con commento fondamentale. L ’uni­ gono nell’edizione (con testo, trad. e com­
co commento completo in italiano è quello mento) di G . A r r ig h e t t i , Torino 19722.
di C. G iu ss a n i , Torino 1896-98, ancora as­ Studi: Saggi di vari autori sono rac­
sai utile; una traduzione affidabile si deve colti in Lucrézio. Letture critiche, a cura
ad A. F e l l in , Torino 19762; ricca scelta di di L. P e r e l l i , M ilano 1977. U na tratta­
passi con commento e am pia introduzio­ zione d ’insieme è P . B o y a n c é , Lucrezio
TRADIZIONE E INNOVAZIONE NELLA CULTURA . ROMANA 153

senatui gratias egit (57); Cum populo gratias egit (57); De domo sua (57); De
CICERONE haruspicum responso (56); Pro Sestio (56); In Vatinium (56); Pro Caelio (56); De
provinciis consularìbus (56); Pro Balbo (56); In Pisonem (55); Pro Piando (54);
Pro Scauro (54); Pro Rabirio Postumo (54); Pro Milone (52); Pro Marcello (46);
Pro Ligario (46); Pro rege Deiotaro (45); Philippicae (44-43). Queste le orazioni
giunteci per tradizione diretta (anche se alcune sono incomplete). Ci restano inol­
tre una trentina di titoli e vari frammenti di orazioni perdute. Tra queste la Pro
Cornelio (del 65) e la In toga candida (del 64, anno in cui appunto Cicerone
si candidava al consolato), che possiamo ricostruire dal commento di Asconio
Pediano (vedi sotto).
Opere retoriche: De inventione (circa 84); De oratore (55); Partitiones orato-
riae (circa 54); De optimo genere oratorum (52); Brutus (46); Orator (46); Topica (44).
Vita Marco Tullio Cicerone nasce nel 106 a.C. ad Arpino, da agiata famiglia eque­ Opere politiche: De re publica (54-51); De legibus (52-?).
stre; compie ottimi studi di retorica e filosofia a Roma, e inizia a frequentare Opere filosofiche: Paradoxa Stoicorum (46); Academica (45); De finibus bo-
il foro sotto la guida del grande oratore Lucio Licinio Crasso e dei due Scevola, norum et malorum (45); Tusculanae disputationes (45); De natura deorum (45);
l’Augure e il Pontefice. Stringe con Tito Pomponio Attico un’amicizia destinata De divinatione (44); De fato (44); Cato maior de senectute (44); Laelius de amici-
a durare tutta la vita. Nell’89 presta servizio militare nella guerra sociale agli tia (44); De officiis (44).
ordini di Pompeo Strabone, il padre di Pompeo il Grande. Nell’81, o forse anche Epistolario: Ad familiares (16 libri); Ad Atticum (16 libri); Ad Quintum fratrem
prima, debutta come avvocato; nell’80 difende la causa di Sesto Roscio, che (27 lettere); Ad Marcum Brutum (2 libri, di autenticità controversa).
10 mette in conflitto con importanti esponenti del regime sillano. Tra il 79 e il Opere poetiche (solo frammenti): Juvenilia; Aratea; De consulatu suo; De
77 compie un lungo viaggio in Grecia e in Asia: studia filosofia e (sotto la guida temporibus suis; Marius; Limon.
di Molone di Rodi) retorica. Al ritorno sposa Terenzia, dalla quale gli nascono Opere in prosa perdute: Consolatio (45); Hortensius (45); Laus Catonis (45);
Tullia, nel 76, e Marco nel 65. Nel 75 è questore in Sicilia; nel 70 sostiene trion­ De gloria (44); De virtutibus; De auguriis; De consiliis suis. Si hanno inoltre notizie
falmente l’accusa dei siciliani contro l’ex governatore Verre, e si conquista fama di un’opera geografica (Chorographial) e di una di curiosità (Admiranda).
di oratore principe. Nel 69 è edile; nel 66 pretore, e dà il suo appoggio alla propo­ Traduzioni: del Timeo di Platone (conservata in parte), del Protagora di Plato­
sta di concedere a Pompeo poteri eccezionali per la lotta contro il re del Ponto ne, dell’Economico di Senofonte (scarsi frammenti).
Mitridate. Nel 63 è console, e reprime la «congiura» di Catilina. Dopo la formazio­
ne del primo triumvirato (cui egli guardava con preoccupazione: l’alleanza tra
11 potere militare di Pompeo, la grande ricchezza di Crasso e la popolarità cre­
Fonti Per la conoscenza della vita e delle opere di Cicerone, le fonti principali
sono rappresentate dalle sue stesse opere, soprattutto dall’epistolario, dal Bru­
scente di Cesare — proprio perché realizzata come patto privato — gli appariva
tus, dai proemi di alcuni dialoghi e trattati, da diverse delle orazioni (ad alcune,
insidiosa per l’autorità senatoria), il suo astro inizia a declinare; nel 58 deve re­
in età neroniana, dedicò un commento storico Asconio Pediano: cfr. p. 481). Im­
carsi in esilio, con l’accusa di avere messo a morte senza processo i complici
portante anche la biografia di Cicerone scritta da Plutarco.
di Catilina; la sua casa viene rasa al suolo. Richiamato a Roma, vi torna trionfal­
mente nel 57. Fra il 56 e il 51 tenta una difficile collaborazione con i triumviri,
e continua a svolgere attività forense. Compone il De oratore, il De re publica,
e inizia a lavorare al De legibus. Nel 51 è governatore in Cilicia, ma accetta
di malavoglia di allontanarsi da Roma. Allo scoppio della guerra civile, nel 49, 1. Tradizione e innovazione nella cultura romana
aderisce con lentezza alla causa di Pompeo. Si reca in Epiro con gli altri senatori,
ma non è presente alla battaglia di Farsàlo. Dopo la sconfitta di Pompeo, ottiene
il perdono di Cesare. Nel 46 scrive il Brutus e l’Orafor; divorzia da Terenzia e Cicerone e la Cicerone, è stato detto, è il personaggio del mondo antico che conoscia­
crisi della mo meglio: attraverso le sue opere riconducibili a «generi» diversi (orazioni,
si unisce in matrimonio con la sua giovane pupilla Publilia, dalla quale divorzierà
repubblica trattati retorici, politici e filosofici), ma anche attraverso il ricco epistolario
dopo pochi mesi. Nel 45 muore la figlia Tullia; inizia la composizione di una lunga
serie di opere filosofiche, mentre il dominio di Cesare lo tiene lontano dagli affari che spesso permette di riannodare le fila tra le esperienze personali (in più
pubblici. Nel 44, dopo l’uccisione di Cesare, torna alla vita politica; inizia, a parti­ di un caso confidate agli amici con piena sincerità) e la loro rielaborazione
re dalla fine dell’estate, la lotta contro Antonio (Filippiche). Dopo il voltafaccia in opere destinate ad un pubblico più vasto. Ciò sarebbe ancora poco, se
di Ottaviano, che, abbandonata la causa del senato, si stringe in triumvirato con Cicerone non fosse un personaggio particolarmente «interessante» per la po­
Antonio e Lepido, il nome di Cicerone viene inserito nelle liste di proscrizione. sizione che occupa nella cultura romana e per il valore straordinario della
Viene ucciso dai sicari di Antonio il 7 dicembre del 43. sua esperienza intellettuale: protagonista e testimone della crisi che porta
al tramonto della repubblica, egli elabora un progetto etico-politico nel vano
La retorica come tentativo di porvi rimedio. La sua rimane, naturalmente, un’ottica di parte,
Opere Orazioni: Pro Quinctio (81); Pro Roscio Amerino (80); Pro Roscio comoedo
(77?); Pro Tullio (72 o 71); Divinatio in Q. Caecilium e Verrinae (70); Pro Fonteio
strumento politico legata al progetto di egemonia di un blocco sociale (sostanzialmente dei ceti
(69); Pro Caecina (69 o 68); Pro Cluentio (66); De imperio Cn. Pompei o Pro lege possidenti): un’ottica che, per rendersi accetta alla comunità nel suo com­
Manilla (66); De lege agraria (63); Pro Rabirio perduellionis reo (63); Pro Murena plesso, deve saper profittare anche degli artifici più efficaci che possono
(63); Catilinariae (63); Pro Sulla (62); Pro Archia poeta (62); Pro Fiacco (59); Cum offrire le tecniche di comunicazione. Cicerone, grande avvocato, superbo
154 CICERONE CARRIERA POLITICA E PRATICA ORATORIA 155

manipolatore delle parole ai fini della persuasione, mette a frutto tali artifici Il padre di Sesto Roscio era stato ucciso su m andato di due suoi parenti, in com butta
nelle orazioni e li teorizza nei trattati retorici: ricollocata nel proprio tempo, con Lucio Cornelio Crisogono, potente favorito e liberto di Siila, che aveva poi
la sua ars dicendi si spoglia dei tratti di vana ampollosità di cui l’ha rivestita fatto inserire il nom e dell’ucciso nelle liste di proscrizione allo scopo di poterne ac­
il ciceronianesimo umanistico e scolastico, per rivelarsi, fra l’altro, una tec­ quistare all’asta, a un prezzo irrisorio, le cospicue proprietà terriere. Gli assassini,
per avere le mani libere, cercarono di sbarazzarsi anche del figlio dell’ucciso, ricor­
nica sapiente e produttiva, funzionale al dominio dell’uditorio e alla regìa rendo all’espediente di accusarlo del parricidio.
delle sue passioni. (Si riflette, d’altronde, in ciò una condizione di fondo
della cultura romana, per la quale l’oratoria costituiva il modello fondamen­
La difesa, per essere efficace, non doveva tacere le responsabilità di
tale non solo di un’educazione elevata ma anche, in notevole misura, dell’e­ Crisogono, che era stato il vero regista di tutta la faccenda; ma ovvi motivi
spressione letteraria stessa). di prudenza e di opportunità politica invitavano il giovane avvocato a cerca­
Oratoria e Al proprio progetto politico-sociale Cicerone ha cercato di dare concre­
re di coinvolgere il meno possibile Siila, allora dittatore e detentore di poteri
filosofia al tezza di applicazioni pratiche anche con adattamenti, talora opportunistici,
praticamente assoluti, che di Crisogono era l’influentissimo protettore. Cice­
servizio del alla situazione contingente (di ciò stanno a testimonianza diverse orazioni);
progetto rone, per quanto probabilmente provasse disgusto per gli aspetti più ripu­
ma, procedendo negli anni e nelle delusioni, ha progressivamente sentito
ciceroniano gnanti del regime sillano, come le proscrizioni e gli arbitri di ogni genere,
sempre più forte la necessità di riflettere, rifacendosi al pensiero ellenistico, non potè fare a meno di coprire Siila di lodi di maniera. Egli si faceva
sui fondamenti della politica e della morale. Il fine delle sue opere filosofi- in realtà portavoce di quella parte della nobiltà che, pur apprezzando l’ope­
che è lo stesso che ispira alcune delle orazioni più significative: dare una rato di Siila nella repressione della parte «democratica» e «popolare», si
solida base ideale, etica, politica a una classe dominante il cui bisogno di
doleva di aver dovuto pagare ciò con la delega del potere nelle mani di
ordine non si traduca in ottuse chiusure, cui il rispetto per la tradizione un solo uomo e con l’ascesa sociale di personaggi come Crisogono.
nazionale (mos maiorum) non impedisca l’assorbimento della cultura greca;
una classe dominante che l’assolvimento dei doveri verso lo stato non renda
Lo stile oratorio della Pro Roscio A m erino non è ancora quello del Cicerone m atu­
insensibile ai piaceri di un otium nutrito di arti e di letteratura, né, in gene­ ro. L ’oratore si m ostra legato agli schemi dell’asianesimo allora alla moda: le frasi
rale, di quello stile di vita garbatamente raffinato che si riassume nel termine scorrono veloci e sonore, con cadenza vivace, piene di neologismi e quasi poetica-
di humanitas: quella coscienza culturale che è frutto dell’incivilimento, che m ente lussureggianti di m etafore. Negli anni successivi Cicerone si sarebbe dato m ol­
è capacità di distinguere e di apprezzare ciò che è bello e conveniente. to da fare per «lim are» il proprio stile. Già pienamente ciceroniana è invece la capa­
cità ritrattistica, di dipingere personaggi e ambienti in quadri ricchi di colore, spesso
Spinte In questo senso, gran parte dell’opera di Cicerone può essere letta come
con una felice vena satirica. Spicca fra tutti il ritratto di Crisogono: l’uom o che
contrastanti nel la ricerca di un difficile equilibrio fra istanze di «ammodernamento» e ne­ Siila aveva com prato schiavo sul mercato di Deio ora p o rta i capelli inanellati e
pensiero di cessità di conservazione dei valori tradizionali. Dietro la vicenda intellettuale im pom atati, si m ostra spesso nel foro con un num eroso seguito, abita in una lussuo­
Cicerone di Cicerone si profila una società attraversata da spinte contrastanti, spesso sa casa sul Palatino (il quartiere più elegante di Rom a), o rn ata di vasi corinzi, di
laceranti: l’afflusso di ricchezze dai paesi conquistati ha da tempo reso ana­ statue e di tappeti. Dalla sua dim ora la notte si sente fin da lontano lo strepito
dei suoi conviti fastosi m a privi di vera eleganza. È il prim o di un a lunghissima
cronisticamente improponibile la rigida moralità delle origini; ma il veloce serie di quadri satirici: fino, nelle Filippiche, a quello di A ntonio e del suo seguito
distacco dalle virtù e dai valori che avevano fatto la grandezza di Roma di personaggi sregolati.
mette ora in forse la stessa sopravvivenza dello stato repubblicano.
Le Verrìnae Dopo il successo della difesa di Roscio, Cicerone si allontanò da Roma
per un paio d’anni, per motivi di salute, o forse perché temeva la vendetta
di Siila e di Crisogono. Compì un viaggio di studio in Grecia e in Asia,
2. L’egemonia della parola: carriera politica e pratica oratoria che gli servì a perfezionare la propria eloquenza. Rientrato a Roma dopo
la morte di Siila, ricoprì la questura in Sicilia nel 75. Si conquistò fama
di governatore onesto e scrupoloso, tanto che pochi anni dopo, nel 70, i
L ’attività oratoria di Cicerone si intreccia indissolubilmente con le vi­
siciliani gli proposero di sostenere l’accusa nel processo da essi intentato
cende politiche di Roma nell’ultimo cinquantennio della repubblica: si impo­
contro l’ex governatore Verre, il quale aveva sfruttato la provincia con in­
ne, per la nostra trattazione, il rispetto di una sequenza cronologica che,
credibile rapacità. Cicerone, rivelando grande energia, raccolse le prove in
pur senza eccedere in particolari, renda comprensibile lo sfondo storico sul
tempo brevissimo, il che gli permise di anticipare i tempi del processo, che
quale egli si trovò a operare, le circostanze con cui dovette misurarsi. altrimenti si sarebbe svolto in condizioni politicamente molto più favorevoli
a Verre (uno dei consoli designati per il 69, Quinto Ortensio Ortalo, il cele­
berrimo avvocato di scuola asiana, era infatti il difensore di Verre nel pro­
I prim i successi e il processo di Verre
cesso). Al dibattimento, Cicerone non fece in tempo a esibire per intero
l’imponente massa di prove e di testimonianze che aveva raccolto e organiz­
Pro Roscio Cicerone aveva già al suo attivo alcune cause quando nell’80 assùnse zato, e potè pronunciare solo la prima delle sue actiones in Verrem: dopo
Amerino la difesa in un processo che, per i suoi risvolti politici, ebbe vasta risonanza solo pochi giorni, infatti, Verre, schiacciato dalle accuse, fuggì dall’Italia
nella società romana (Pro Roscio Amerino). e venne condannato in contumacia.
156 CICERONE CARRIERA POLITICA E PRATICA ORATORIA 157

Cicerone pubblicò successivamente, in form a di orazione accusatoria, la cosiddetta dell’ordine equestre, dal quale lo stesso Cicerone proveniva. M a non per questo è
A ctio secunda in Verrem, divisa in cinque libri, che rappresenta, fra l’altro, un docu­ lecito considerare Cicerone come il rappresentante dei grandi affaristi equestri all’in­
mento storico.di prim aria im portanza per conoscere i metodi di cui si serviva l’am mi­ terno del senato di Roma; è vero piuttosto che egli aveva bisogno del loro sostegno
nistrazione rom ana nelle province (quello di Verre costituiva certo un caso clam oro­ per cementare quella concordia dei ceti abbienti (senatori e cavalieri) nella quale
so m a lo sfruttam ento esaustivo era com unque la regola). Gli aristocratici rom ani incominciava a scorgere la via d ’uscita dalla crisi che minacciava la repubblica. Per
avevano bisogno di ingenti quantità di denaro per finanziarie le form e di «liberalità» realizzare il suo progetto, gli era d ’altronde necessario ascendere alla più alta carica
(cioè di corruzione dei singoli e delle masse) necessarie a prom uovere la loro carriera dello stato: anche da questo punto di vista il sostegno del ceto equestre era vitale
politica, e avevano inoltre bisogno di incrementare i propri consumi e usi privati per Vhom o novus, cui la nobiltà non guardava certo con favore. La convergenza
per reggere il passo con i nuovi standard di com portam ento che si erano imposti con Pom peo si spiega col fatto che, in questo periodo, anch’egli mirava all’appoggio
a partire dall’età delle conquiste; il governatorato di un a ricca provincia era u n ’occa­ degli equites. M a se Pom peo era disposto a corteggiare i tribuni della plebe, che
sione di cui era facile profittare. talora davano espressione alle aspirazioni degli strati più poveri, non altrettanto lo
era Cicerone, che fu sempre dichiaratam ente avverso a progetti di legge' agraria o
Stile delle La vittoria su Ortensio, il difensore di Verre, fu anche una vittoria in di sgravio dei debiti.
Verrinae campo letterario: di fronte alla naturalezza con la quale il giovane competi­
tore padroneggiava tutte le sfumature della lingua, l’esasperato manierismo Il consolato di Fu proprio contando sulla natura fondamentalmente «moderata» (in senso
asiano di Ortensio dovè risultare alquanto stucchevole. Lo stile delle Verrine Cicerone e la politico) di Cicerone che una parte della nobiltà decise di coalizzarsi con
«congiura» di il ceto equestre, e di appoggiare nella candidatura al consolato il brillante
è già pienamente maturo; Cicerone ha eliminato alcune esuberanze e ridon­
Catilina homo novus di Arpino. Intanto i bisogni delle masse proletarizzate di Roma
danze, ma senza per questo accostarsi all’eloquenza secca e scarna degli atti-
cisti. Il periodare è per lo più armonioso, architettonicamente complesso; e di alcune regioni d’Italia trovavano un loro ambiguo campione in un ari­
ma la sintassi è estremamente duttile, e Cicerone non rifugge, quando è stocratico di origine sillana, Catilina, anch’egli aspirante alla suprema magi­
il caso, da un fraseggio conciso e martellante. La gamma dei registri è domi­ stratura. Console nel 63, Cicerone soffocò la «congiura» di Catilina; da
nata con piena sicurezza, dalla narrazione semplice e piana al racconto ricco allora in poi, sarebbe stato il teorizzatore di quella concordia ordinum che
di colore, dall’ironia arguta al pathos tragico. E anche qui Cicerone si rivela 10 aveva portato al potere.
maestro nell’arte del ritratto: di alcuni personaggi più o meno squallidi del-
Nell’anno del consolato Cicerone tenne di fronte al senato e al popolo quattro ora­
l 'entourage del governatore, ma soprattutto dello stesso Verre, raffigurato zioni (ne rim angono tre) in cui si oppose al progetto di legge agraria presentato
come un tiranno avido degli averi e del sangue dei suoi sudditi, e contempo­ dal tribuno Rullo, forse m anovrato da Cesare (De lege agraria), e prese nuovamente
raneamente come un dissoluto pigramente disteso nella propria lettiga, sem­ posizione contro i «popolari» nella difesa di Gaio Rabirio (Pro Rabirio perduellionis
pre intento ad annusare una reticella di rose. reo), un anziano cavaliere contro il quale venivano rivangati fatti di trentasette anni
prim a, relativi all’uccisione del tribuno sedizioso Saturnino.

Le Catilinarie Ma le più celebri fra le orazioni «consolari» di Cicerone sono, natural­


Il progetto di concordia dei ceti abbienti mente, le quattro Catilinarie, con le quali egli svelò le trame sovversive che
11 nobile decaduto aveva ordito una volta vistosi sconfitto nella competizione
Pro lege Manilla Entrato in senato dopo la questura, Cicerone nel 66, l’anno della sua elettorale, lo costrinse a fuggire da Roma e giustificò la propria decisione
pretura, parlò in favore del progetto di legge presentato dal tribuno Manilio, di far giustiziare i suoi complici senza processo. Sul piano artistico spicca
che prevedeva la concessione a Pompeo di poteri straordinari su tutto l’O- forse la prima Catilinaria, nella quale Cicerone attaccò Catilina di fronte
riente: un provvedimento reso necessario dall’urgenza di affrontare in modo al senato riunito. I toni sono veementi,-minacciosi e ricchi di pathos·, Cicero­
efficace la minaccia costituita da Mitridate, re del Ponto, che disturbava ne fece anche ricorso a un artificio retorico che in precedenza non aveva
gravemente gli interessi economici di Roma nei territori orientali (Pro lege mai impiegato: l’introduzione di una «prosopopea» (personificazione) della
Manilla o De imperio Cn. Pompei). Patria, che è immaginata rivolgersi a Catilina con parole di aspro biasimo.
Nemmeno si può dimenticare, nella seconda Catilinaria, il ritratto di Catili­
Cicerone, parlando di fronte al popolo in favore della proposta del tribuno M anilio, na e dei suoi seguaci corrotti dal lusso e dai vizi.
e appoggiando così Pom peo al quale Manilio chiedeva fossero affidate le operazioni
contro M itridate, re del P onto, insistè soprattutto sull’im portanza dei vectigalia (tri­ Pro Murena Nei giorni che intercorsero fra la prim a e la seconda Catilinaria, quando cioè l’esito
buti) che affluivano dalle province orientali: di tale beneficio la popolazione di Ro­ dello scontro era ancora indeciso, Cicerone si trovò a dover difendere da u n ’accusa
m a sarebbe stata privata se M itridate avesse continuato indisturbato nella sua azio­ di corruzione elettorale Lucio Licinio M urena, console designato per l’anno successi­
ne. Nella De imperio Cn. Pom pei, successivamente «ripudiata» dallo stesso Cicero­ vo (Pro M urena). In M urena Cicerone sperava di trovare un valido continuatore
ne, si è voluto vedere il suo punto di massimo avvicinamento alla politica dei populares, della propria politica di resistenza all’eversione, quella politica che saldava in u n ’al­
indirizzata a gratificare e a corrom pere le masse cittadine con elargizioni, e contem ­ leanza difensiva l’ordine senatorio e l’ordine equestre. M a era intervenuta l’accusa
poraneam ente a prevaricare sull’autorità del senato. Viceversa, il ceto aristocratico di corruzione, mossa dal candidato risultato sconfitto, Servio Sulpicio Rufo, e sor­
vedeva come estremamente pericoloso per la propria stabilità il concentrarsi di enor­ retta dal prestigio di cui godeva un discendente di Catone il Censore, Catone il Gio­
mi poteri nelle mani di suoi singoli membri. Più che gli interessi del popolo, Cicero­ vane (il futuro Uticense). Q uest’ultim o, del resto, contribuiva anche in altri modi
ne difendeva tuttavia quelli dei pubblicani, i titolari delle compagnie di appalto delle a incrinare la politica di concordia ordinum : nel suo rigorismo m orale, ispirato ai
imposte, le cui lucrosissime attività nelle province orientali erano gravemente ostaco­ princìpi della tradizione stoicheggiante, egli assumeva infatti una posizione partico­
late dall’operato di M itridate. I pubblicani costituivano un gruppo leader all’interno larm ente intransigente nelle questioni che riguardavano il rapporto fra lo stato e gli
CARRIERA POLITICA E PRATICA ORATORIA 159
158 CICERONE

L’avvicinamento nel De re publica (cfr. p. 164). In quest’ottica si spiega probabilmente l’avvi­


interessi economici privati: ciò lo portava a trovarsi spesso in conflitto con i pubbli­
cani e con il ceto equestre. ai triumviri cinamento ai triumviri che Cicerone compie in questi anni, nella speranza
Cicerone scelse la via dell’ironia e dello scherzo: canzonò il vuoto form ulario giuridi­ di condizionarne l’operato, e di far sì che il loro potere non prevarichi su
co che era alla base della formazione intellettuale di Servio, sostenendo che le glorie quello del senato ma si mantenga nei limiti delle istituzioni repubblicane:
militari di M urena costituivano, ai fini del consolato, un titolo ben maggiore; prese l’avvicinamento non significa pertanto un tradimento della nobilitas.
garbatam ente in giro l’anacronistico rigorismo stoicheggiante di Catone. La Pro M u ­
rèna è una fra le orazioni più divertenti di Cicerone: egli — che nonostante tutto
Il periodo della collaborazione con i triumviri è tuttavia, per Cicerone,
aveva sincera stim a sia di Servio che di Catone — ha saputo trovare qui i toni un periodo di grosse incertezze e oscillazioni politiche. Da un lato continua
di una satira lieve e arguta, che non scade mai nella derisione o nella beffa volgare. ad attaccare Clodio e i popolari (per esempio nella In Pisonem, una violenta
M a l’orazione è interessante anche per altri motivi: prendendo posizione nei confron­ invettiva contro il suocero di Cesare, ritenuto da Cicerone uno dei responsa­
ti dell’arcaico moralismo di C atone, Cicerone incomincia infatti a tratteggiare le li­
bili del suo esilio); dall’altro dà il suo appoggio alla politica dei triumviri:
nee di un nuovo modello etico la cui definizione lo occuperà fino ai suoi ultimi
anni: un modello in cui il rispetto per il m os m aiorum sia contem perato da quel nel 56 parla in favore del rinnovo del comando di Cesare in Gallia {De
tanto di «addolcim ento» dei costumi, di apertura alle gioie della vita, che ormai provinciis consularibus), e inoltre difende vari personaggi legati a Cesare
concedono i nuovi standard della società. {Pro Balbo, nel 56, Pro Rabirio Postumo, nel 54, ecc.).

Cicerone in esilio Negli anni successivi Cicerone non cessò di esaltare la funzione storica La difesa di Marco Celio: Cicerone e la gioventù romana
del proprio consolato (che celebrò anche in un’opera poetica: cfr. p. 175)
e della lotta contro Catilina. Si ritenne un «padre della patria» (titolo che Pro Caelio F ra le orazioni «anticlodiane» un ruolo particolare occupa quella in difesa di Marco
gli venne effettivamente decretato), e quasi, dopo Romolo, un secondo fon­ Celio Rufo, un giovane brillante, amico personale di Cicerone {Pro Caelio·. 56 a.C .).
datore di Roma. La formazione del cosiddetto primo triumvirato fra Cesa­ Celio era stato l’am ante di Clodia, sorella del tribuno (la Lesbia di Catullo), una
delle dame eleganti e corrotte di cui abbondava la Rom a aristocratica del tempo.
re, Pompeo e Crasso segnò tuttavia un rapido declino delle sue fortune poli­ Contro Celio era stata accum ulata una congerie di accuse, fra cui quella di un tenta­
tiche. Un tribuno «popolare», Clodio, che aveva verso Cicerone anche ran­ tivo di avvelenamento nei confronti di Clodia. Fu un processo in cui i rancori perso­
cori di origine personale, presentò nel 58 una legge in base alla quale doveva nali di tutte le parti in causa si intrecciarono strettam ente con questioni politiche
essere condannato all’esilio chi avesse fatto mettere a morte dei cittadini di rilevanza m olto più generale. A ttaccando Clodia, in cui indicò l’unica regista di
romani senza processo. La legge mirava a colpire l’operato di Cicerone nella tutte le m anovre contro Celio, Cicerone ebbe m odo di sfogare il suo astio anche
nei confronti del fratello: la donna è dipinta come una volgare meretrice, e accusata
repressione dei catilinari. Non più sostenuto dalla nobiltà, che allontanatosi perfino di rapporti incestuosi con Clodio. L ’orazione, per la pittoresca varietà dei
il pericolo catilinario poteva fare a meno di lui, abbandonato anche da Pom­ toni — che spaziano da quello disincantato dell’uom o di m ondo al pathos funereo
peo, che doveva tener conto delle esigenze dei triumviri suoi alleati, Cicero­ — è fra le più riuscite di Cicerone. Non solo la felice vena satirica avvicina la Pro
ne dovè soccombere all’attacco di Clodio. Richiamato dall’esilio nel 57, tro­ Caelio alla Pro M urena, m a anche il m aturare della proposta di nuovi modelli etici:
rievocando le tappe della vita di Celio, Cicerone ha m odo di dipingere uno spaccato
vò Roma in preda all’anarchia: si fronteggiavano, in continui scontri di stra­ della società rom ana nel suo tem po, e si sforza di giustificare agli occhi dei giudici
da, le opposte bande di Clodio e di Milone (quest’ultimo, difensore della i nuovi costumi che la gioventù ha assunto da tem po e che possono destare scandalo
causa degli ottimati, e amico personale dello stesso Cicerone). solo agli occhi di arcigni moralisti troppo attaccati al passato. Le virtù che un tempo
Pro Sestio: dalla Fu in questo clima che nel 56 Cicerone, trovandosi a difendere Sestio, hanno reso grande lo stato rom ano, non si trovano più nemmeno nei libri. È ormai
concordia un tribuno accusato da Clodio di atti di violenza (.Pro Sestio), espose una tempo di allentare le briglie ai giovani, purché essi non perdano di vista alcuni prin­
ordinum al cìpi fondam entali; verrà il m om ento in cui, sbolliti gli ardori, sapranno tornare sulla
nuova versione della propria teoria sulla concordia dei ceti abbienti. In quanto nobile via del m os m aiorum. Se il divario fra il rigore «arcaizzante» e le nuove
consensus semplice intesa fra il ceto senatorio ed equestre, la concordia ordinum si opportunità offerte da una società «affluente» si approfondisse troppo, si correrebbe
omnium bonorum
era rivelata fallimentare: Cicerone ne dilata ora il concetto in quello di con­ il rischio di una dissoluzione di tutto il connettivo ideologico della società: i giovani
sensus omnium bonorum, cioè la concordia attiva di tutte le persone agiate andrebbero incontro a un totale rovesciamento di valori, che finirebbe col sostituire
la ricerca dei piaceri al servizio verso la com unità. Il modello culturale che Cicerone
e possidenti, amanti dell’ordine politico e sociale, pronte all’adempimento propone m ira a ricondurre i nuovi com portam enti all’interno di una scala di valori
dei propri doveri nei confronti della patria e della famiglia. I boni — una che continui a essere dom inata dalle virtù della tradizione, spogliate tuttavia del
categoria che attraversa verticalmente gli strati sociali esistenti, senza identi­ loro eccesso di rigore e rese più flessibili alle esigenze di un mondo in trasformazione.
ficarsi con alcuno di essi in particolare — saranno d’ora in poi il principale
destinatario della predicazione etico-politica di Cicerone. I nemici dell’ordi­
ne sono d’altra parte identificati in coloro che soprattutto l’indigenza o l’in­ Discorsi reali e discorsi scritti: la difesa di Milone
debitamento spinge a desiderare rovesciamenti sovversivi.
Pro Milone Gli scontri fra le bande di Clodio e di Milone si protrassero a lungo:
Il dovere dei boni Dovere dei boni sarà non rifugiarsi egoisticamente nel perseguimento
dei propri interessi privati, ma fornire sostegno attivo agli uomini politici nel 52 Clodio rimase ucciso. Cicerone si assunse la difesa di Milone {Pro
che rappresentano la loro causa. L’esigenza, largamente avvertita in Roma, Milone). L’orazione è considerata uno dei suoi capolavori, per l’equilibrio
di un governo più autorevole, spinge tuttavia Cicerone a desiderare che il delle parti e l’abilità delle argomentazioni, basate sulla tesi della legittima
senato e i boni, per superare le loro discordie, si affidino alla guida di perso­ difesa e sulla esaltazione del «tirannicidio». Ma, nella forma in cui ci è
naggi «eminenti, di grande autorevolezza: una teoria che verrà approfondita conservata, si tratta di una radicale rielaborazione compiuta in tempi succes­
160 CICERONE
LE OPERE RETORICHE 161

sivi al processo. Di fronte ai giudici, Cicerone fece un «fiasco» colossale


(e Milone dovè fuggire in esilio): gli cedettero i nervi a causa della situazione Il secondo La manovra politica di Cicerone era destinata al fallimento. Con un
triumvirato e brusco voltafaccia, Ottaviano si sottrasse alla tutela del senato, e strinse
di estrema tensione in cui si trovava la città, messa a razzìa dai partigiani
l’uccisione di un accordo con Antonio e un altro capo cesariano, Lepido (secondo trium­
di Clodio, con le truppe di Pompeo che cercavano di imporre l’ordine. Cicerone virato). I tre divennero così i padroni assoluti di Roma. Antonio pretese
ed ottenne la testa di Cicerone, il cui nome venne inserito nelle liste di pro­
Dalla guerra civile alla dittatura di Cesare scrizione. Venne raggiunto dai sicari presso Formia, dopo che aveva inter­
rotto un tentativo di fuga, ai primi di dicembre del 43.
Le orazioni Nel 49, allo scoppio della guerra civile, Cicerone aderì senza entusiasmo
«cesariane» alla causa di Pompeo: era consapevole che, qualunque fosse stato l’esito,
Significato del progetto politico di Cicerone
il senato sarebbe risultato indebolito di fronte al dominio schiacciante del
vincitore. Dopo la vittoria di Cesare, Cicerone ne ottenne il perdono: nella
speranza di contribuire a renderne il· regime meno autoritario, ricercò, in Coerenza del Nonostante le molte oscillazioni, la carriera politica di Cicerone seguì
un primo periodo, forme di collaborazione, e accettò di perorare di fronte
progetto un filo coerente. L ’homo novus si accostò alla nobilitas nel contesto di un
ciceroniano generale riavvicinamento fra senato ed equites, ed anche in seguito rimase
al dittatore le cause di alcuni pompeiani «pentiti». Le orazioni cosiddette
«cesariane» (Pro Marcello, Pro Ligario, Pro rege Deiotaro: quest’ultimo fedele all’ideale della concordia e alla causa del senato; il tentativo di colla­
era una tetrarca della Galazia sospettato di avere attentato alla vita di Cesa­ borazione con i triumviri fu una risposta al diffuso bisogno di un governo
re) si collocano fra il 46 e il 45. Cicerone, per quanto si adoperasse per autorevole, e anche in questo caso Cicerone si preoccupò di salvaguardare
una causa non ignobile — la concessione del perdono a pompeiani che da il prestigio e le prerogative del senato. Anche il momentaneo riavvicinamen­
tempo avevano deposto le armi — mancò probabilmente la misura della to a Cesare, dopo la guerra civile, fu dettato dal desiderio di mitigarne le
vera dignità: le orazioni «cesariane» abbondano di elogi a Cesare la cui tendenze autocratiche, e di mantenerne il potere nel solco delle tradizioni
completa sincerità è piuttosto difficile ammettere. La Pro Marcello si sforza repubblicane.
tuttavia anche di additare a Cesare un programma politico di riforma dello Il fallimento del Il progetto di concordia dei ceti abbienti (concordia ordinum, poi con-
stato nel rispetto delle forme repubblicane e delle prerogative del senato. progetto sensus omnium honorum) significò in ogni caso un tentativo almeno em­
ciceroniano brionale di superare, in nome del superiore interesse della collettività — o
Già allora, probabilmente, Cicerone si faceva poche illusioni; e il passaggio
di Cesare alla dittatura perpetua le avrebbe ben presto dissipate. di quella che Cicerone riteneva la sua parte «sana» —, la lotta di gruppi
e di fazioni che dominava la scena politica romana. Il fallimento del proget­
to ebbe motivi molteplici. Da un lato a Cicerone mancarono le condizioni
La lotta contro Antonio per crearsi il seguito clientelare o militare necessario a far trionfare la sua
linea politica; dall’altro egli — e non fu il solo fra i suoi contemporanei
Le Filippiche e le Dopo l’uccisione di Cesare, che salutò con giubilo, Cicerone tornò ad — sottovalutò il peso che gli eserciti personali avrebbero avuto nella soluzio­
speranze in essere un uomo politico di primo piano. I pericoli per la repubblica non ne della crisi. E forse si fece troppe illusioni sui boni: al tempo della guerra
Ottaviano erano finiti: il più stretto collaboratore di Cesare, Antonio, mirava infatti civile i ceti possidenti ritennero, in larga parte, che le loro esigenze fossero
ad assumerne il ruolo, mentre sulla scena politica romana si affacciava an­ meglio garantite dalla politica di Cesare; anche successivamente alla morte
che il giovane Ottaviano, erede di Cesare, con un esercito ai propri comandi. di Cicerone, non fecero mancare il loro consenso alla dominazione di Augu­
La manovra politica di Cicerone tendeva a staccare Ottaviano da Antonio, sto, che segnò definitivamente la morte delle istituzioni repubblicane.
e a riportare il primo sotto le ali protettrici del senato. Per indurre il senato
a dichiarare guerra ad Antonio e a dichiararlo nemico pubblico Cicerone
pronunciò contro di lui, a partire dall’estate del 44, le orazioni Filippiche,
in numero forse di diciotto (ne restano quattordici; il titolo, di controversa
3. L’egemonia della parola: le opere retoriche
paternità ciceroniana — alcuni scrittori antichi le chiamano Antonianae, men­
tre il nome Filippiche venne effettivamente usato da Cicerone nella sua cor­
rispondenza privata, ma in senso scherzoso — allude alle celeberrime requi­ Una risposta alla Quasi tutte le opere retoriche di Cicerone sono state scritte a partire
sitorie di Demostene contro Filippo di Macedonia). Per la veemenza dell’at­ crisi dal 55, un paio d’anni dopo il ritorno dall’esilio. Come il De re publica,
tacco e i toni di indignata denuncia, si distingue soprattutto la seconda e le successive opere filosofiche, esse nascono dal bisogno di una risposta
Filippica (l’unica che non venne effettivamente pronunciata, ma solo fatta politica e culturale alla crisi.
circolare privatamente nella redazione scritta): un’orazione che spira odio,
dove Antonio, con una violenza satirica pari solo a quella di certi passaggi
della In Pisonem, viene presentato come un tiranno dissoluto, un ladro del Eloquenza e filosofia
denaro pubblico, un ubriacone «che vomita in tutto il tribunale pezzi di
cibo fetidi di vino». Il De inventione Il problema se l’oratore dovesse accontentarsi della conoscenza di un
certo numero di regole retoriche, o gli fosse invece necessaria una larga cui-
LE OPERE RETORICHE 163
162 CICERONE

che servono a illustrare le teorie greche). A sintetizzare la tesi principale


tura nel campo del diritto, della filosofia e della storia, era da tempo dibat­
dell’opera potrebbe valere un’espressione di Sulpicio, uno dei partecipanti
tuto in Grecia. In gioventù Cicerone aveva iniziato, senza portarlo a termi­
al dialogo: «Non l’eloquenza è nata dalla teoria retorica, ma la teoria retori­
ne, un trattatello di retorica, il De inventione (inventio indica il reperimento
ca dall’eloquenza» (I 146).
dei materiali da parte dell’oratore), per il quale aveva largamente attinto
L’oratore vir In questa ottica, il talento, la tecnica della parola e del gesto e la cono­
alla quasi contemporanea Rhetorica ad Herenniurn (su cui cfr. p. 105). Un
bonus scenza delle regole retoriche non possono ritenersi bastevoli per la formazio­
interesse particolare presenta il proemio, dove il giovane avvocato si pro­
ne dell’oratore: si richiede, invece, una vasta formazione culturale. È la tesi
nuncia in favore di una sintesi di eloquenza e sapientia (cioè cultura filosofi­
di Crasso, il quale lega strettamente la formazione culturale (soprattutto fi­
ca), quest’ultima ritenuta necessaria alla formazione della coscienza morale
losofica, con privilegiamento della filosofia morale) dell’oratore alla sua af­
dell’oratore: l’eloquenza priva di sapientia (cioè quella dei demagoghi e degli
fidabilità etico-politica. La versatilità dell’oratore, la sua capacità di sostene­
agitatori popolari) ha portato più di una volta gli stati alla rovina. La solu­
re il prò e il contro su qualsiasi argomento, riuscendo sempre a convincere
zione ciceroniana è pensata esplicitamente per la società romana: molti anni
e a trascinare il proprio uditorio, possono costituire un pericolo grave, qua­
dopo, egli ritornerà sulle stesse tematiche nel De oratore.
lora non vengano controbilanciate dal correttivo di virtù che le mantengano
Riassunto del De II De oratore venne com posto nel 55, durante un periodo di ritiro dalla scena politi­ ancorate al sistema di valori tradizionali, in cui la «gente perbene» si ricono­
oratore ca, mentre R om a era sconvolta dalle bande di Clodio e di Milone. In form a di sce. Crasso insiste perché probitas e prudentia siano saldamente radicate
dialogo, è am bientato nel 91, al tempo dell’adolescenza di Cicerone, e vi prendono nell’animo di chi dovrà apprendere Parte della parola: consegnarla a chi
parte alcuni fra i più insigni oratori dell’epoca, fra i quali spiccano Marco A ntonio
mancasse di queste virtù equivarrebbe a mettere delle armi nelle mani di
(143-87 a.C:), nonno del trium viro, e Lucio Licinio Crasso (quest’ultim o sostanzial­
mente il portavoce dello stesso Cicerone). Nel I libro Crasso sostiene, per l’oratore, Coincidenza tra forsennati (III 55). La formazione dell’oratore viene in tal modo a coincide­
la necessità di una vasta form azione culturale. A ntonio gli contrappone l’ideale di formazione re con quella dell’uomo politico della classe dirigente: un uomo di cultura
un oratore più «istintivo» e «autodidatta», la cui arte si fondi sulla fiducia nelle retorica e politica non specialistica (gli uomini del ceto dirigente non devono esercitare alcuna
proprie doti naturali, sulla pratica del foro e sulla dimestichezza con l’esempio degli professione: per queste ci sono i liberi di condizione inferiore, e gli schiavi),
oratori precedenti. Nel libro II si passa alla trattazione di questioni più analitiche,
ed A ntonio espone i problem i concernenti la inventio, la dispositio e la memoria.
ma di vasta cultura generale, capace di padroneggiare Parte della parola
Com pare anche un personaggio spiritoso e caustico, Cesare Strabone, al quale è e di persuadere i propri ascoltatori. Egli dovrà servirsi della sua abilità non
assegnata una lunga e piacevole digressione sulle arguzie e i m otti di spirito. Nel per blandire il popolo con proposte demagogiche, ma per piegarlo alla vo­
III libro Crasso discute le questioni relative alla elocutio e alla pronuntiatio, cioè lontà dei boni·, nel De oratore Cicerone ha esposto, in realtà, lo statuto
in genere all 'actio (quasi «recitazione») dell’oratore, non senza ribadire la necessità ambiguo di un 'ars continuamente oscillante fra la sapientia etico-politica
di una vasta cultura generale e della formazione filosofica.
e la nuda tecnica del dominio.
L’Orator Nel 46 Cicerone (il quale, intanto, aveva scritto nel 54 per suo figlio
L’ambientazione La scelta dell’anno 91, per Pambientazione del dialogo, ha un significa­
una sorta di manuale scolastico di retorica, le Partitiones oratoriae, concepi­
del De oratore; to preciso: è Panno stesso della morte di Crasso (pochi giorni dopo quelli
l’imminenza della
to in forma di domande e risposte) riprese le tematiche del De oratore in
in cui si immagina avvenuto il dialogo), e precede di poco la guerra sociale
catastrofe un trattato più esile, P Orator, aggiungendovi una sezione sui caratteri della
e i lunghi conflitti civili fra Mario e Siila, nel corso dei quali soccomberanno
prosa ritmica. Disegnando il ritratto dell’oratore ideale, Cicerone sottolinea
crudelmente alcuni altri degli interlocutori principali, fra cui lo stesso Anto­
i tre fini ai quali la sua arte deve indirizzarsi: probare (prospettare la tesi
nio. La crisi dello stato è un’ossessione incombente su tutti i partecipanti
con argomenti validi), delectare (produrre con le parole una piacevole im­
al dialogo, e stride volutamente con Pambiente sereno e raffinato in cui
pressione estetica), flectere (muovere le emozioni attraverso il pathos). Ai
essi si riuniscono per tenere le loro conversazioni, la villa tuscolana di Cras­
tre fini corrispondono i tre registri stilistici che l’oratore dovrà sapere alter­
so. La consapevolezza della terribile fine di tutti i partecipanti al dialogo
nare: umile, medio, e elevato o «patetico» (quest’ultimo particolarmente op­
conferisce una nota tragica ai proemi che precedono i singoli libri.
portuno nella peroratio finale).
Il modello Cercando di conservare la verosimiglianza della caratterizzazione dei pro­
platonico e i pri personaggi, Cicerone si è sforzato di ricreare l’atmosfera degli ultimi
contenuti romani giorni di pace dell’antica repubblica. Il modello a cui si ispira è sostanzial­ Storia dell’eloquenza e polemiche di stile
mente quello del dialogo platonico: con gesto «aristocratico», alle strade
e alle piazze di Atene viene tuttavia sostituito il giardino della villa di cam­
Fuori dagli La rivendicazione della capacità di muovere gli affetti come compito
pagna di un nobile romano.
schemi sommo dell’oratore nasceva dalla polemica nei confronti della tendenza «at­
La ripresa del modello platonico per un’opera di retorica costituiva un
dell’asianesimo e ticistica», i cui sostenitori rimproveravano a Cicerone di non avere preso
notevole scarto rispetto agli aridi manuali greci del tempo e a quelli usciti
deH’atticismo sufficientemente le distanze dall’«asianesimo»: le accuse si riferivano alle
dalla scuola dei cosiddetti «retori latini», che si limitavano a enunciare rego­
ridondanze del suo stile oratorio, al frequente uso di «figure», all’accentua­
le: Cicerone ha saputo creare un’opera viva e interessante, che, per quanto
zione dell’elemento ritmico, all’abuso di facezie; gli avversari di Cicerone
basata su una perfetta conoscenza della letteratura specialistica greca, si nu­
privilegiavano invece uno stile semplice, asciutto e scarno, di cui individua­
tre dell’esperienza romana e conserva uno strettissimo rapporto con la prati­
vano i modelli negli oratori attici e principalmente in Lisia. Sul contrasto
ca forense (dalla vita romana e dal foro sono tratti quasi tutti gli esempi
164 CICERONE UN PROGETTO D I STATO 165
Cicerone prese posizione (lo stesso anno 46) nel dialogo Brutus, non a caso condizioni estremamente fram m entarie in cui il dialogo ci è stato conservato: una
dedicato, come YOrator, a Marco Bruto, uno dei principali rappresentanti parte cospicua venne ritrovata, agli inizi del secolo scorso, dal futuro cardinale A n­
delle tendenze atticistiche. gelo Mai (allora solo monsignore) in un palinsesto vaticano; alcuni brani di altre
sezioni si sono trasmessi attraverso le citazioni di scrittori antichi come Agostino
Il Brutus Nel Brutus Cicerone, assumendosi il ruolo di principale interlocutore ecc., mentre indipendentemente dal resto ci è giunta la sezione finale dell’opera,
(gli altri due sono lo stesso Bruto e Attico), disegna una storia dell’eloquen­ il cosiddetto Som nium Scipionis). Nel prim o libro Scipione parte dalla dottrina ari­
za greca e romana, dimostrando doti di storico della cultura e di fine critico stotelica delle tre forme fondam entali di governo (m onarchia, aristocrazia, dem ocra­
letterario. Dato il carattere fondamentalmente autoapologetico del Brutus, zia) e della loro necessaria degenerazione nelle form e «estreme», rispettivamente del­
si comprende come la storia dell’eloquenza culmini in una rievocazione delle la tirannide, della oligarchia e della oclocrazia (governo della «feccia» del popolo).
Riprendendo una tesi dello storico greco Polibio, Scipione m ostra come lo stato
tappe della carriera oratoria dello stesso Cicerone, dal ripudio dell’asianesimo rom ano dei maiores si salvasse d a quella necessaria degenerazione per il fatto di
giovanile, al raggiungimento della piena maturità dopo la questura in Sicilia. aver saputo contemperare le tre form e fondam entali: l’elemento m onarchico si ri­
L ’ottica in cui Cicerone guarda al passato dell’oratoria è quella di una specchia nell’istituzione del consolato, l’elemento aristocratico nell’istituzione del se­
rottura degli schemi tradizionali che contrapponevano i generi di stile cui nato, l’elemento dem ocratico nell’istituzione dei comizi. Il libro II si occupava dello
svolgimento della costituzione rom ana. Il libro III trattav a della iustitia, ed era in
asiani ed atticisti erano tenacemente attaccati. La rottura rispecchia una ten­ larga parte dedicato a un tentativo di confutazione dell’acutissima critica che l’acca­
denza di fondo della pratica oratoria di Cicerone: le varie esigenze, le diver­ demico Cam eade aveva svolto delPimperialismo rom ano: la critica si incentrava so­
se situazioni richiedono il ricorso all’alternanza di registri diversi; e il succes­ p rattu tto sul concetto di «guerra giusta», ricorrendo al quale i Rom ani, col pretesto
so dell’oratore di fronte all’uditorio è il criterio fondamentale in base al di soccorrere i propri «alleati» (cioè sudditi) in difficoltà, avevano progressivamente
quale valutare la sua riuscita stilistica. Gli atticisti sono criticati per il carat­ esteso il proprio dominio ed am pliato la propria sfera d ’influenza. Il IV libro si
occupava dell’educazione dei cittadini e dei princìpi che devono regolare i loro rap­
tere troppo freddo e intellettualistico della loro eloquenza, che di rado riesce porti. Nei libri IV e V Cicerone introduceva la figura del rector et gubernator rei
a essere efficace: essi ignorano l’arte di trascinare gli ascoltatori. La grande publicae, o princeps (è questa un a delle parti più lacunose dell’opera). Nel VI libro
oratoria «senza schemi» ha il suo modello principe in Demostene: anch’egli il dialogo si concludeva con la rievocazione, da parte di Scipione Emiliano, del sogno
un «attico», ma di tendenze ben diverse da quelle di Lisia o di Iperide. in cui tempo addietro gli era apparso l’avo, Scipione A fricano, per mostrargli, dal­
l’alto del cielo, la piccolezza e l’insignificanza di tutte le cose um ane, anche della
gloria terrena, e rivelargli tuttavia la beatitudine che attende nell’al di là le anime
De optimo Contem poranea al Brutus, e in un certo senso com plementare ad esso, è u n ’altra dei grandi uomini di stato.
genere oratorum breve opera di argom ento retorico, il D e optim o genere oratorum. Essa doveva costi­
tuire l’introduzione alla versione latina di due celebri orazioni contrapposte — Sulla 11 regime «misto» La teoria del regime «misto» risaliva, attraverso Polibio, al peripatetico
corona di Demostene e Contro Ctesifonte di Eschine — pronunciate nel corso di
uno stesso processo, tenutosi in A tene nel 330. N on sappiam o se Cicerone tradusse
Dicearco e allo stesso Aristotele. Nella versione di Scipione, il contempera­
davvero le due orazioni. N ell’opera si sostiene l’eccellenza dei due oratori, soprattut­ mento delle tre forme fondamentali non avviene tuttavia in proporzioni pa­
to di Demostene: in lui appunto si riconosce il più perfetto modello dell’eloquenza ritetiche. All’elemento democratico Scipione guarda con evidente antipatia,
attica. considerandolo soprattutto come una «valvola di sicurezza» per far scaricare
Topica Nel 44, infine, ultima delle sue opere di teoria retorica, Cicerone compone i e sfogare le passioni «irrazionali» del popolo. L’elogio del regime misto
Topica, ispirati all’opera om onim a di Aristotele, i quali trattan o dei topoi, i luoghi
comuni ai quali può far ricorso l’oratore alla ricerca degli argomenti da sviluppare si risolve, pertanto, in un’esaltazione della repubblica aristocratica dell’età
nel discorso. M a, come si capisce bene, i topoi non sono utilizzabili solo nell’o rato ­ scipionica.
ria: se ne può servire anche il filosofo, lo storico, il giurista (appunto agli argomenti La figura del Date le condizioni lacunose in cui ci è giunta la parte relativa dell’opera,
giuridici è riservato notevole spazio nei Topica)·, persino il poeta deve im parare a princeps è difficile precisare in che modo veniva delineata la figura del princeps, e
servirsene. L ’opera, scritta in pochi giorni e con intenti divulgativi, non ha grandi
pretese letterarie.
come essa si collocava nell’organismo statale. Alcuni punti, tuttavia, posso­
no ritenersi assodati: il singolare si riferisce al «tipo» dell’uomo politico
eminente, non alla sua unicità; in altre parole, Cicerone sembra pensare
a una élite di personaggi eminenti che si ponga alla guida del senato e dei
4. Un progetto di stato boni, e si raffigura probabilmente il ruolo del princeps sul modello di quello
che nella repubblica romana aveva ricoperto proprio Scipione Emiliano. Ciò
Il De re publica Il modello del dialogo platonico ritorna con la maggiore evidenza nel significa che Cicerone non prefigura esiti «augustei» (anche se interpretazio­
e la proiezione De re publica, al quale Cicerone lavorò lungamente fra il 54 e il 51. Non ni in questo senso non sono mancate), ma intende mantenere il ruolo del
nel passato cercò, tuttavia, di costruire a tavolino uno stato ideale, come Platone aveva princeps all’interno dei limiti della forma statale repubblicana: non pensa
fatto nella Repubblica: con gesto che gli diventerà sempre più consueto, a una riforma costituzionale, ma alla coagulazione del consenso politico in­
Cicerone si proiettò nel passato, per identificare la migliore forma di stato torno a leader prestigiosi. L’autorità del princeps non è alternativa a quella
nella costituzione romana del tempo degli Scipioni. del senato, ma ne è il sostegno necessario per salvare la res publica.
L’utopia del Perché la sua autorità non travalichi oltre i limiti costituzionali, il prin­
Riassunto del De princeps «asceta» - ceps dovrà armare il proprio animo contro tutte le passioni «egoistiche»,
Il dialogo si svolge nel 129, nella villa suburbana di Scipione Emiliano, che con
re publica l’amico e collaboratore Lelio è uno dei principali interlocutori. La ricostruzione della principalmente contro il desiderio di potere e il desiderio di ricchezza: è
tram a è purtroppo resa fortem ente ipotetica, soprattutto per alcune sezioni, dalle questo il senso del disprezzo verso tutte le cose umane che il Somnium Sci-
166 CICERONE UNA MORALE PER LA SOCIETÀ ROMANA 167

pìonis addita ai reggitori dello stato (sulla questione Cicerone ritornerà nel logici, ebbero una doppia redazione: la prima, i cosiddetti Academica prio­
De officiis, trattando della magnitudo animi: cfr. p. 172). Cicerone disegna ra, in due libri, la seconda, gli Academica posteriora, in quattro libri. Ci
così l’immagine di un dominatore-asceta, rappresentante in terra della vo­ restano il libro II della prima redazione, intitolato Lucullus (perché in esso
lontà divina, rinsaldato nella dedizione al servizio verso lo stato dalla sua è Lucullo l’interlocutore di Cicerone), e il libro I della seconda redazione,
despicientia verso le passioni umane. L’ideale ciceroniano era tuttavia di il Varrò, in cui è Varrone ad esporre le sue teorie, avendo come interlocutori
difficile realizzabilità. Come abbiamo visto (cfr. p. 156 seg.), probabilmente Attico e Cicerone (questo libro manca della parte finale).
proprio la convinzione della necessità di un governo di maggiore autorevo­ De finibus Il De finibus bonorum et maiorum, dedicato a Bruto, è considerato
lezza, e d’altra parte la consapevolezza dei pericoli che comportava l’accen­ bonorum et da alcuni il capolavoro di Cicerone filosofo: certo è tra le sue opere più
tramento di enormi poteri nelle mani di pochi capi, spinsero Cicerone a maiorum eleganti ed armonicamente costruite. Tratta questioni etiche, e cioè il proble­
tentare un avvicinamento a Pompeo e ai triumviri, nella speranza di mante­ ma del sommo bene e del sommo male (come indica il titolo), che è affron­
nerne l’operato sotto il controllo del senato: ma le stesse forze storiche che tato in cinque libri, comprendenti tre dialoghi: nel primo (libri l-II) è espo­
innalzavano i «signori della guerra», avrebbero rapidamente portato alla dis­ sta la teoria degli epicurei, cui segue la confutazione di Cicerone; nel secon­
soluzione dello stato repubblicano. do (libri III-IV) si mette a confronto la teoria stoica con le teorie accademica
e peripatetica; nel terzo (libro V) è esposta la teoria eclettica di Antioco
Il De legibus Ispirandosi ancora al modello di Platone, che alla Repubblica aveva fatto seguire di Ascalona, maestro di Cicerone e di Varrone, la più vicina al pensiero
le Leggi, Cicerone completò il dialogo sullo stato col D e legibus, iniziato nel 52
e probabilm ente non pubblicato durante la vita di Cicerone. Se ne sono conservati dell’autore.
i primi tre libri e fram m enti del IV e del V. L ’azione stavolta non è posta in u n ’epo­ Tusculanae Ancora di questioni etiche tratta un’altra fra le maggiori opere filosofi-
ca estinta, m a nel presente, e interlocutori sono lo stesso Cicerone, il fratello Q uinto, disputationes che di Cicerone e certo la più appassionata, le Tusculanae disputationes,
e l’amico Attico. L ’am bientazione è nella villa di Cicerone ad A rpino e nei boschi dedicate anch’esse a Bruto e ambientate nella villa di Cicerone a Tuscolo
e nelle campagne circostanti, raffigurati secondo un a m odulazione del motivo del
locus amoenus che ha il suo modello soprattutto nel Fedro di Platone. I personaggi
(donde il titolo). L’opera, in cinque libri, che segna il punto di massimo
sono caratterizzati con naturalezza e realismo: così Q uinto è raffigurato come un avvicinamento di Cicerone alle tesi dello stoicismo più rigoroso, è condotta
ottim ate estremista, Cicerone come un conservatore m oderato, Attico come un epi­ in forma di dialogo tra Cicerone e un anonimo interlocutore (quasi un mo­
cureo che quasi si vergogna delle proprie opzioni filosofiche. Nel libro I Cicerone nologo interiore, quindi). Nei singoli libri sono trattati, rispettivamente, i
espone la tesi stoica secondo la quale la legge non è sorta per convenzione, m a temi della morte, del dolore, della tristezza, dei turbamenti dell’animo e
si basa sulla ragione innata in tutti gli uomini ed è perciò data da dio. Nel libro
successivo l’esposizione delle leggi che dovrebbero essere in vigore nel migliore degli della virtù come garanzia della felicità: siamo dunque di fronte a una grande
stati si basa — qui sta la differenza principale da Platone — non su una legislazione summa dell’etica antica, a un vasto trattato sul tema della felicità. Nelle
utopistica, m a sulla tradizione legislativa rom ana, che ha i suoi punti di riferimento Tusculanae Cicerone cerca una risposta anche ai suoi personali interrogativi,
nel diritto pontificio e sacrale. Nel libro III Cicerone presenta il testo delle leggi una soluzione ai suoi dubbi: di qui la profonda partecipazione emotiva del­
riguardanti i m agistrati e le loro competenze.
l’autore agli argomenti trattati, che conferisce allo stile un’appassionata so­
lennità e fa raggiungere a talune pagine un’intensità lirica che trova pochi
riscontri nella prosa latina.
De natura deorum, Di argomenti religiosi e teologici trattano tre dialoghi, il De natura
5. Una morale per la società romana De divinatione, deorum, in tre libri, anch’esso dedicato a Bruto; il De divinatione, in due
De fato libri, e il De fato, giuntoci incompleto. Le due ultime opere sono presentate
esplicitamente dall’autore come integrative e complementari rispetto alla
Gli incentivi alla In gioventù Cicerone aveva seguito le lezioni dei filosofi più diversi, prima.
filosofia e ad interessarsi di filosofia continuò praticamente per tutta la vita: a scri­ Cato maior e Ricordiamo ancora il Cato maior de senectute e il Laelius de amicitia,
verne, tuttavia, incominciò solo nel 46, con l’operetta sui Paradossi degli Laelius due brevi dialoghi in cui i precetti filosofici trovano incarnazione in due
Stoici, dedicata a Marco Bruto (un’esposizione delle tesi stoiche maggior­ figure della tradizione romana. Perdute sono altre opere come il De gloria,
mente in contrasto con l’opinione comune). Ma è nel 45 che i lavori filosofi­ il De virtutibus, il De auguriis. A partire dall’autunno del 44 Cicerone inizia
ci si infittiscono in maniera quasi incredibile, e ciò in coincidenza con eventi la stesura del De officiis, quasi il suo testamento filosofico.
dolorosissimi nella vita di Cicerone. Nel febbraio di quell’anno gli morì in­ Compilazione e Lo sforzo di Cicerone si muove, in generale, nel senso di ripensare tutto
fatti la figlia Tullia, ed egli, per lenire l’acutissimo dolore, scrisse una Con­ originalità in il corpus di metodi, riflessioni, teorie, cresciuto entro le scuole filosofiche
solatio, per noi perduta. Ma non erano solo le vicende private a spingerlo Cicerone filosofo ellenistiche per ricomporlo in un blocco di senso comune: egli intende così
verso la filosofia: la dittatura di Cesare lo aveva infatti privato di qualsiasi offrire un punto di riferimento alla classe dirigente romana, nella prospetti­
possibilità di intervento negli affari pubblici. Divenuto quasi indifferente va di ristabilirne l’egemonia sulla società. Non guarda solo ai problemi im­
alle vicende politiche, vive in solitudine, e si tuffa completamente nella com­ mediati, ma si pone questioni che riguardano i fondamenti stessi della crisi
posizione delle proprie opere filosofiche. sociale, politica e morale della società romana, e tenta di escogitare soluzio­
Hortensius e L ’Hortensius, perduto, era un’esortazione alla filosofia, sul modello del ni di lungo periodo. Non è il caso di interrogarsi sulla «originalità» filosofi­
Academica Protrettico di Aristotele. Gli Academica, che trattavano di problemi gnoseo­ ca di Cicerone. Anche la rapidità della composizione delle sue opere filosofi­
168 CICERONE UNA MORALE PER LA SOCIETÀ ROMANA 169

che sta a dimostrare che si tratta soprattutto di compilazioni da fonti greche. ne e confutazione sono dedicati, per esempio, i primi due libri del dialogo
Ma originale Cicerone è nella scelta dei temi, nel taglio degli argomenti, De finibus bonorum et malorum. I motivi dell’avversione ciceroniana verso
perché nuovi e originali sono i problemi che la società pone, e nuovi gli l’epicureismo sono soprattutto due, fra loro strettamente connessi: in primo
interrogativi che egli pone ad essa: si tratta di «ricucire» le membra lacerate luogo la filosofia epicurea conduce al disinteresse per la politica, mentre
del pensiero ellenistico, per trarne fuori una struttura ideologica efficace­ dovere dei boni è l’attiva partecipazione alla vita pubblica; inoltre l’epicurei­
mente operativa nei confronti della società romana. smo esclude la funzione provvidenziale della divinità (per quanto non ne
neghi l’esistenza) e indebolisce così i legami con la religione tradizionale,
che per Cicerone rimane la base fondamentale dell’etica.
La teoria della conoscenza
I dialoghi di Queste considerazioni spiegano, almeno in parte, il senso dei dialoghi di argomento
argomento religioso e teologico. Nel D e natura deorum viene esposta e confutata la tesi epicurea
La teoria della In sede di teoria della conoscenza Cicerone aderì, nei suoi anni m aturi, al probabili­ religioso dell’indifferenza degli dei rispetto alle cose um ane (libro I). Successivamente viene
conoscenza nel smo degli Accademici, una sorta di scetticismo pragm atistico che, senza negare l’esi­ presa in esame la tesi stoica del panteism o provvidenziale (libro II), mentre nel libro
metodo filosofico stenza di una verità oltre i fenomeni, si preoccupa principalmente di garantire la III, lacunoso, Cicerone sembra schierarsi in favore dello scetticismo accademico.
ciceroniano possibilità di una conoscenza probabile, utile a orientare l’azione e ad essa funziona- Più interessante, anche perché più direttam ente legato alla situazione rom ana, è il
lizzata. Nel libro II degli A cadem ica Lucullo rim provera a Cicerone di distruggere D e divinatione, un dialogo in due libri fra Cicerone e il fratello Q uinto, dove l’au to ­
la stessa possibilità della conoscenza rifiutandosi di am mettere l’esistenza di criteri re si m ostra esitante fra la denuncia della falsità della religione tradizionale e la
sicuri delle nostre percezioni: se tutto è opinabile, non vi sarà più né certezza, né necessità del suo m antenim ento al fine di conservare il dominio sui ceti sociali infe­
verità. Cicerone replica che anche un dubbio generalizzato non com porta la negazio­ riori, facilmente strumentalizzabili per la loro credulità (per esempio, la dichiarazio­
ne della verità; nemmeno pensa, come gli scettici, che esistano molteplici verità. ne di auspici sfavorevoli poteva servire a interrom pere o a rim andare assemblee di
Egli e le sue fonti accademiche (e in parte peripatetiche) hanno ben compreso la carattere politico).
necessità di guardarsi da errori opposti, di evitare sia il dogmatism o radicale, che
rifiuta di dubitare di determinate «apparenze», sia il radicale scetticismo, che spinge
il dubbio fino a mettere in questione la possibilità stessa di qualsiasi conoscenza.
Il De finibus Il confronto fra i diversi sistemi filosofici si esplica attraverso l’intero
Più saggio è il metodo che si sforza di definire le condizioni reali dell’esperienza corpus dei dialoghi ciceroniani, ma trova uno sviluppo particolarmente este­
um ana, e di avvicinarsi al vero attraverso le apparenze e la probabilità- Ciò serve so nel De finibus bonorum et malorum. Dopo che sono state confutate le
anche a definire il metodo adottato da Cicerone nei confronti dei più gravi problem i tesi epicuree, Catone il Giovane si assume nel III libro la difesa dello stoici­
filosofici, compresi quelli m orali. smo tradizionale, nei confronti del quale la posizione ciceroniana fu sempre
di sostanziale perplessità (ricordiamo la Pro Murena: cfr. p. 157). Cicerone
riconosceva che lo stoicismo forniva la base morale più solida all’impegno
Sistemi etici a confronto: l ’eclettismo filosofico di Cicerone dei cittadini verso la collettività; ma da uno stoico intransigente come Cato­
ne, o da un accademico dalla morale rigorosa come Bruto, si sentiva lontano
per cultura e per gusti: il loro rigore etico gli appariva anacronistico, scarsa­
Eclettismo ed In un celebre passo delle Tusculanae (V 83) Cicerone definisce il metodo mente praticabile in una società che, dopo l’epoca delle grandi conquiste,
humanitas che egli segue nel trattare dei problemi di maggiore importanza: astenendosi era andata incontro a radicali trasformazioni. L’eclettismo ciceroniano si­
dal formulare egli stesso un’opinione recisa, si sforza di esporre le diverse gnifica anche apertura e simpatia verso filosofie moderatamente aperte al
opinioni possibili, e di metterle a confronto per vedere se alcune siano più piacere, come quella peripatetica; e il probabilismo accademico forniva la
coerenti e probabili di altre. L’eclettismo filosofico dì Cicerone obbedisce base teoretica al suo tentativo di conciliare tendenze diverse. Il De finibus
alle esigenze di un metodo rigoroso, che si sforza di stabilire fra le diverse può essere visto quasi come un dialogo «aporetico»: verso la conclusione
dottrine un dialogo dal quale sia bandito ogni spirito polemico. La stessa Cicerone, a proposito del problema del sommo bene, sembra infatti esitare
ideologia della humanitas, alla cui elaborazione Cicerone dette un contri­ fra le tesi di Antioco di Ascalona (un accademico che aveva reagito energica­
buto notevolissimo, invitava a un atteggiamento intellettuale di aperta tol­ mente allo scetticismo dei suoi maestri, ritornando verso posizioni «dogma­
leranza. Ciò si riflette anche nella regìa dei dialoghi filosofici ciceroniani, tiche») e un atteggiamento più critico.
che del resto rispecchia i comportamenti della buona società romana; lo
spuntarsi della vis polemica, la rinuncia a qualsiasi asprezza nel contrad­
dittorio, la tendenza a presentare le proprie tesi solo come opinioni per­ La vecchiezza e l ’amicizia
sonali, l’uso insistito di formule di cortesia, l’attenzione a non interrompere
l’altrui ragionamento: sono tutti tratti rivelatori dei costumi di una cerchia Il Cato maior e U n posto particolare, fra le opere filosofiche di Cicerone, occupano i due brevi dia­
sociale elitaria, preoccupata di elaborare un proprio codice di «buone ma­ l’idealizzazione di loghi Cato m aior de senectute e Laelius de amicitia, entram bi composti nel 44 e
niere». Catone dedicati ad A ttico. In ambedue l’autore mette in scena figure famose della tradizione
rom ana. Al Cato maior Cicerone lavora nei primi mesi del 44, poco prim a dell’ucci­
L'antiepicureismo Ma c’è un caso in cui il contraddittorio e la confutazione, pur senza
sione di Cesare, in un periodo di forzata inattività politica: nel personaggio di C ato­
di Cicerone scadere nella zuffa, si fanno talora più violenti e indignati: l’eclettismo cice­ ne il Censore, che sceglie a proprio portavoce, Cicerone trasfigura l’am arezza per
roniano mostra una chiusura radicale verso l’epicureismo, alla cui esposizio­ una vecchiaia la quale, oltre al decadimento fisico e all’imminenza della m orte, sem­
170 CICERONE UNA MORALE PER LA SOCIETÀ ROMANA 171

bra soprattutto temere la perdita della possibilità di intervento politico. L ’azione La conciliazione Nel De officiis Cicerone afferma di rivolgersi in primo luogo ai giovani:
è posta nel 150, l’anno precedente la morte di Catone. Proiettandosi nella figura fra teoria ciò conferma la funzione «pedagogica» che egli in generale attribuisce al
di un anziano che conserva intatti autorità e prestigio, Cicerone ha m odo di rifugiar­ filosofica e prassi suo lavoro di divulgazione filosofica. Per rendere accetto il suo programma,
si in un passato ideale, di eludere la propria inattività imm aginando di vestire i panni politica dovè superare molte resistenze: la cultura romana era tradizionalmente av­
dell’antico Censore. Nel raffigurare quest’ultim o, egli si è concesso molte libertà
rispetto alla sua immagine storicam ente accertabile (cfr. p. 74). Il personaggio ap­ versa al pensiero filosofico e speculativo, nel quale vedeva un’indebita eva­
pare come addolcito e am mansito: il rude agricoltore della Sabina, caparbiamente sione dai doveri verso lo stato e la collettività. Il compito che Cicerone si
attaccato ai propri profitti, ha ceduto il posto a un raffinato cultore della humanitas assunse fu proprio quello di mostrare come, in tempi profondamente muta­
e della socievolezza che, con una punta di estetismo, arriva perfino ad anteporre ti, l’assolvimento di quei doveri non fosse possibile senza avere assorbito
il «bello» all’«utile». Nella sua vecchiaia si arm onizzano in m aniera perfetta il gusto
e meditato la riflessione filosofica dei Greci. In Panezio, il quale aveva inte­
per 1’otium e la tenacia dell’impegno politico, due opposte esigenze che Cicerone
ha cercato invano di conciliare lungo tutto l’arco della propria vita. so fornire agli aristocratici romani un modello di vita che avesse salde radici
Il Laelius e le Diversa, più com battiva, è l’atm osfera che si respira nel Laelius, il quale, all’indo­ nei loro costumi nazionali, egli potè trovare uno stabile punto di riferimento
nuove basi mani dell’uccisione di Cesare, accom pagna il rientro di Cicerone sulla scena politica. per un discorso in grado di eseguire con agilità continui spostamenti fra
dell’amicizia Il dialogo è imm aginato svolgersi nel 129, lo stesso anno del D e re publica: pochi la riflessione teorica e l’enunciazione di precetti validi per la vita di tutti
giorni dopo la misteriosa m orte di Scipione nel corso delle agitazioni graccane. Rie­
vocando la figura dell’amico scomparso, Lelio ha m odo di intrattenere i propri inter­ i giorni.
locutori sulla natura e sul valore dell’amicizia stessa. Am icitia, per i Rom ani, era
soprattutto la creazione di legami personali a scopo di sostegno politico. Nascendo Riassunto del De I tre libri in cui il De officiis è diviso trattan o rispettivamente dell’honestum ,
dal tentativo di superare la tradizionale logica clientelare e di fazione propria dello officiis dell 'utile e del conflitto fra di essi. Per i prim i due libri la fonte è il trattato
stato aristocratico, il dialogo muove tuttavia, sulla traccia delle scuole filosofiche Sul conveniente (Perì toù kathèkontos) di Panezio di Rodi, m entre il terzo risulta
greche, alla ricerca dei fondam enti etici della società nel rapporto che lega fra loro da una compilazione relativamente eclettica da fonti diverse. Panezio, che aveva
le volontà degli amici. La novità dell’impostazione ciceroniana consiste soprattutto fatto parte del cosiddetto circolo di Scipione Em iliano, aveva impresso alla dottri­
nello sforzo di allargare la base sociale delle amicizie al di là della cerchia ristretta na stoica una svolta in senso marcatam ente aristocratico — è anzi probabile che
della nobilitasi a fondam ento deH’amicizia sono posti valori come virtus e probitas il destinatario del suo trattato fossero proprio i ceti dirigenti rom ani — , cercando
riconosciuti a vasti strati della popolazione. Cicerone scrive per quella «gente perbe­ di liberarla dai tratti «rozzi» e «plebei» (come l’ingiunzione di «chiam are le cose
ne» alla cui centralità politico-sociale ha affidato d a tempo le sorti del suo program ­ con i loro nom i», cioè di non evitare i termini osceni), e soprattutto di addolcirne
m a di rigenerazione dello stato (ricordiamo la fondam entale Pro Sestio: cfr. p. 158). l’originario rigorismo morale, in modo da renderla praticabile da parte di una
La fiducia in un rinnovato sistema di valori, in cui l’amicizia occupi un ruolo centra­ classe dirigente ricca, colta e raffinata. Rispetto alla Stoa antica, la dottrina di
le, deve servire a cementare la coesione dei boni', m a l’amicizia propagandata dal Panezio si distingueva soprattutto per un giudizio assai più positivo sugli istinti,
Laelius non è solo u n ’amicizia politica: si avverte, in tu tta l’opera, un disperato che dalla ragione non devono essere oppressi, m a piuttosto corretti e disciplinati.
bisogno di rapporti sinceri, quali Cicerone, preso nel vortice delle convenienze im po­ Le tradizionali virtù cardinali stoiche (giustizia, sapienza, fortezza, temperanza)
ste dalla vita pubblica, potè forse provare solo con Attico. Rimane aperto, tuttavia, venivano reinterpretate in modo da essere viste come organico sviluppo di questi
lo iato fra una concezione elevata della morale e della virtù e l’imprescindibile realtà istinti fondam entali.
della prassi politica: Pamicitia rivela alcune am biguità, nel mostrarsi insieme come
ideale di una vita allietata da affetti fraterni, e come proposta di form e più o meno
velate di connivenza fra i sostenitori dell’ordine sociale.
Il sistema delle virtù

I doveri della classe dirigente La beneficentia La virtù fondamentale era costituita, per Panezio, dalla socialità, in cui
alla tradizionale virtù cardinale della giustizia si affiancava la beneficenza:
Il De officiis e lo La stesura del De officiis venne iniziata probabilmente nell’autunno del se alla prima spetta di «dare a ciascuno il suo», la seconda ha il compito
stoicismo di 44: si tratta stavolta di un trattato, non di un dialogo, dedicato al figlio di collaborare positivamente al benessere della comunità, e di mettere a di­
Panezio Marco, allora studente di filosofia ad Atene. L ’opera è il prodotto di una sposizione dei concittadini la persona e gli averi del singolo. La beneficenza
elaborazione rapidissima, per lo più contemporanea alla composizione di teorizzata da Panezio corrispondeva perfettamente allo stile di vita degli ari­
alcune delle Filippiche (cfr. p. 160): mentre combatte colui che ai suoi occhi stocratici romani, che — attraverso gli officia e l’elargizione nei confronti
sta portando la patria alla rovina definitiva, Cicerone cerca nella filosofia dei concittadini — sapevano procurarsi un seguito politico capace di innal­
i fondamenti di un progetto di vasto respiro, indirizzato alla formulazione zarli alle più alte cariche dello stato; naturalmente la beneficentia, già per
di una morale della vita quotidiana che permetta all’aristocrazia romana Panezio, poneva seri problemi, e problemi ancora più gravi essa poneva
di riacquistare il controllo sulla società. La base filosofica viene offerta dal­ al tempo di Cicerone: troppe volte si era visto come la largitio, o in generale
lo stoicismo moderato di Panezio: fondandosi su princìpi chiari e saldi, ben la corruzione delle masse mediante proposte demagogiche, potesse essere un
decisa nel rifiuto dell’edonismo epicureo e della conseguente etica del disim­ mezzo pericolosissimo nelle mani di individui senza scrupoli, decisi a fare
pegno, rispettosa della tradizione e dell’ordine politico-sociale, ma senza fa­ dello stato un loro possesso privato (come esempi di benefici «ingiusti» Ci­
natismi e rozzezze «arcaiche», la filosofia di Panezio per di più fornisce cerone ricorda le leggi agrarie e le proposte di sgravio dei debiti). Perciò
la minuziosa casistica necessaria a regolare i comportamenti quotidiani dei Cicerone sottolinea con forza che la beneficenza non deve essere posta al
membri dei gruppi dirigenti. servizio delle ambizioni personali.
172 CICERONE LINGUA E STILE 173

La magnitudo Alla virtù cardinale della fortezza Panezio aveva sostituito la magnani­ inizio a una tradizione di «galateo» destinata ad avere grande fortuna nella cultura
animi mità («grandezza d’animo»), una virtù «signorile» che scaturisce da un na­ occidentale; è d a sottolineare, tuttavia, che al tem po di Cicerone il «galateo» non
turale istinto a primeggiare sugli altri, e risplende nella capacità di imporre è ancora arrivato a costituire un genere letterario a sé stante: i precetti ciceroniani
sono solo una delle articolazioni interne di un trattato il quale si propone di costrui­
il proprio dominio di cui da tempo il popolo romano ha dato prova di re, fondandolo su solide basi filosofiche, un modello del vir bonus tale da abbraccia­
fronte al mondo (all’interno dello stesso popolo romano, la magnitudo ani­ re i più vari aspetti della sua esistenza.
mi è eminentemente virtù dei suoi gruppi dirigenti). Si assiste, tuttavia, a
una specie di paradosso: a fondamento della magnitudo animi il De officiis
pone un disprezzo quasi ascetico per tutti i beni terreni, come gli onori, Flessibilità e pluralismo dei valori
la ricchezza, il potere; il conquistare vantaggi agli amici o allo stato ha come
presupposto, in chi li conquista, un energico controllo del desiderio persona­ La pluralità delle Una delle novità più interessanti del modello etico proposto nel De offi­
le. In ciò è evidente la volontà di sottoporre a forti vincoli una virtù che, possibili scelte di ciis è il fatto che il concetto di decorum permette di fondare anche la possi­
vita bilità di una pluralità di atteggiamenti e di scelte di vita. L ’appropriaiezza
se non adeguatamente imbrigliata, può divenire la passione specifica della
tirannide, e ritorcersi contro la res publica e l’egemonia senatoria: mentre delle azioni e dei comportamenti che si pretende dall’individuo, ha infatti
Cicerone scriveva, l’esempio di Cesare era ancora sotto gli occhi di tutti. le sue radici nelle qualità personali, nelle disposizioni intellettuali e morali
L’istinto guidato L’esempio della magnitudo animi mostra con chiarezza il rapporto che di ognuno. Come gli attori del teatro, ognuno dovrà recitare nella vita la
dalla ragione nel pensiero di Panezio, e soprattutto nella sua rielaborazione ciceroniana, parte che meglio si addice al proprio talento: di qui la legittimazione di
lega il logos (ragione) agli istinti naturali, e il progetto sociale entro il quale scelte di vita anche diverse da quella tradizionale del perseguimento delle
una tale teoria si inserisce. Compito della ragione è di controllare gli istinti, cariche pubbliche, purché chi le intraprende non dimentichi i suoi doveri
di trasformarli in virtù, svuotandoli di quanto in essi c’è di egoistico e ten­ verso la collettività. Vengono così rivalutate scelte di vita largamente «so­
denzialmente prevaricatorio (ricordiamo il Somnium Scipionis: cfr. p. 165 spette» nella società romana, come quella di dedicarsi esclusivamente agli
seg.); una volta trasformato in virtù, l’istinto può mettersi al servizio della affari economici o alla cura del proprio patrimonio, o quella di obbedire
collettività e dello stato, contribuire attivamente a rendere la patria ancora a una vocazione intellettuale o scientifica. Si fa trasparente Γimproponibilità
più grande e gloriosa; se la trasformazione non avviene, è aperta la strada ormai consolidata del modello aristocratico arcaico, che vedeva nella politi­
all’anarchia e alla tirannide. La dialettica di ragione e istinti esprime anche ca e nel servizio verso lo stato l’unica attività veramente degna di un Roma­
la contraddizione fra la naturale aggressività che il populus Romanus deve Flessibilità della no. Le nuove esigenze della società hanno conferito una dignità prima im­
dimostrare verso le nazioni soggette (un’aggressività che in un’epoca civile filosofia pensabile a una molteplicità di figure sociali. Il pluralismo di modelli di
e raffinata può anche velarsi dei panni della tolleranza e della humanitas), vita ammesso dall’ultimo Cicerone rispecchia, evidèntemente, le diverse vo­
e la necessità di non lasciar prevalere, con esiti necessariamente autodilace- cazioni e attività di quei boni di tutta l’Italia di cui egli aveva incominciato
ranti, tali tendenze aggressive al proprio interno. a parlare fino dalla Pro Sestio (cfr. p. 158): in parte attivamente impegnati
nella politica, in parte, per quanto assorbiti da altre attività, sicuro sostegno
dei politici che si adoprano a garantire l’ordine sociale. Dei mutamenti in­
Le prime origini del galateo tervenuti la filosofia non può che prendere atto: suo compito specifico re­
sta quello di ritessere la trama dei valori, di trasformare e rendere più dut­
11 decorum Nel sistema etico del D e officiis, il regolatore generale degli istinti e delle virtù, tile l’antico modello, in modo da far sì che le nuove figure «emergenti»
che permette loro di integrarsi in un tu tto arm onico, è costituito dall’ultim a virtù, non ne restino escluse, ma ne vengano assorbite e possano agevolmente inte-
la temperanza: all’estem o, agli occhi degli altri, essa si m anifesta in u n ’apparenza
di appropriata arm onia dei pensieri, dei gesti, delle parole, che assume il nom e di grarvisi.
decorum. Ciò significa un ideale di aequabilitas, quasi di uniform ità, possibile solo
per chi abbia saputo sottom ettere i propri istinti al saldo controllo della ragione.
L ’autocontrollo che. Cicerone caldeggia persegue un fine ben determ inato: l’approva­
zione degli altri, che il decorum permette di conciliarsi con l’ordine, la coerenza,
la giusta m isura nelle parole e nelle azioni. La costante attenzione a ciò che gli 6. Cicerone prosatore: lingua e stile
altri possono pensare, la preoccupazione di non urtarne la suscettibilità sono un
portato necessario della fitta rete di obblighi sociali in cui a Rom a si trovano inseriti
Un galateo ante i membri degli strati superiori. Cicerone non rifugge dall’addentrarsi in una m inuta Purismo Accingendosi a scrivere il proprio poema, già Lucrezio aveva dovuto
litteram precettistica relativa ai com portam enti da tenere nella vita quotidiana e nell’abituale linguistico e lamentare l’inadeguatezza della lingua romana a «rendere» la terminologia
commercio con gli altri: in una lunga sezione del D e officiis (I 126-140) egli, moven­ neologismi
do dal pudore col quale è necessario trattare le parti «oscene» del corpo, si sofferm a
filosofica dei greci (cfr. p. 148). Cicerone si è trovato di fronte a problemi
dettagliatam ente sui gesti e le positure in cui il decorum si m anifesta o si rinnega, analoghi nelle sue opere filosofiche; e anche in quelle retoriche, ha dovuto
dà consigli sulla toilette e sulPabbigliamento, e fornisce quindi una lunga serie di elaborare una terminologia letteraria adeguata. Come quella di Lucrezio,
precetti per la conversazione d ’intrattenim ento, parzialm ente suggeriti dalle regole l’opzione di Cicerone era fondamentalmente «puristica»: evitare il grecismo.
già da tempo codificate per l’oratoria. Descrive, infine, quale debba essere la casa Di qui una costante e accanita sperimentazione lessicale nella traduzione dei
dell’aristocratico rom ano: am pia ed elegante tanto da giovare al prestigio del suo
proprietario, m a esente da sfarzi o lussi eccessivi. Con questi precetti, Cicerone dava termini greci, della quale alcune testimonianze ci restano nell’epistolario con
174 CICERONE
LE OPERE POETICHE 175

Attico (si possono ricordare, per esempio, le lunghe perplessità dopo le quali analisi al modello di Isocrate (che all’arte del periodare ampiamente costrui­
Cicerone si risolse a rendere con officium il greco kathèkon, o, per passare to aveva saputo affiancare l’uso di brevi proposizioni «numerose» in serie).
alla terminologia retorica, i vari tentativi di scovare un equivalente latino
del tecnico perìodos). Risultato di questa sperimentazione fu l’introduzione
nel latino di molte parole nuove; Cicerone gettò in tal modo le basi di quel
lessico astratto destinato a divenire patrimonio della tradizione culturale eu­
ropea: per esempio qualitas (poiòtes), quantitas (posòtes), essentia (ousìa), 7. Le opere poetiche
e così via.
Cicerone modello L’attenta scelta delle parole era di importanza estrema per il raggiungi­ Giudizi antichi su «Coll’andare del tempo — scrive Plutarco nella Vita di Cicerone —
della prosa mento della chiarezza espressiva; ma il contributo più notevole di Cicerone Cicerone poeta egli credette di essere non solo il più grande oratore ma anche il più grande
occidentale all’evoluzione della prosa europea fu nella creazione di un tipo di periodo poeta di Roma... ma, quanto alla sua poesia, essendo venuti dopo di lui
complesso e armonioso, fondato su perfetto equilibrio e rispondenza delle molti grandi talenti, è rimasta completamente ignorata, completamente spre­
parti, il cui modello, fin dalle orazioni, egli trovò in Isocrate e in Demoste­ giata». C’era solo lui, Cicerone, a farsi illusioni sul proprio conto, e sul
ne. Dato il sempre presente modello oratorio, le esigenze dell’orecchio e proprio destino di poeta. Già i contemporanei gli concessero poco apprezza­
del ritmo hanno spesso la prevalenza: ma il periodo ciceroniano è in genere mento, le generazioni successive niente del tutto: Marziale ne farà un para­
anche una rigorosa architettura logica. La creazione di un simile periodo digma di velleitarismo fallimentare (Epigrammi II, 89,3 seg.): «Tu fai versi
comportava l’eliminazione delle incoerenze nella costruzione, degli anacolu­ senza alcuna ispirazione delle Muse, senza alcuna assistenza di Apollo. Bra­
ti, delle «costruzioni a senso» e delle molte altre forme di incongruenza vo: questa virtù la hai in comune con Cicerone». Cominciò molto presto
Architettura logica che la prosa arcaica latina aveva ereditato dal linguaggio colloquiale. Veniva e continuò per quasi tutta la vita.
e ipotassi poi l’organizzazione delle frasi in ampie unità che manifestassero un’accura­
ta ed esplicita subordinazione delle varie parti rispetto al concetto principa­ La produzione In gioventù compose poemetti alessandrineggianti di argom ento mitologico (Glau-
le: in altre parole, la sostituzione della paratassi (coordinazione) con l’ipo- poetica di cus, in tetram etri trocaici, A lcyones, ecc.). Il L im o n , probabilm ente u n ’opera miscel­
tassi (subordinazione). A una perfetta capacità di dominio della sintassi si Cicerone lanea (si pensi ai Prata di Svetonio: cfr. p. 453), conteneva fra l’altro una raccolta
di giudizi in versi su poeti: ne è conservato, in un fram m ento, uno su Terenzio.
deve la possibilità di organizzare i periodi lunghi e complessi, eppure sempre L ’opera poetica più fortunata di Cicerone furono probabilm ente gli A ratea, una
lucidi e coerenti, di cui abbondano le pagine ciceroniane. traduzione in esametri dei Fenom eni di A rato, dei quali rim angono porzioni di una
Varietà dello stile Se questi sono i tratti che meglio definiscono il profilo esterno della certa estensione (Cicerone tradusse anche la seconda sezione del poem etto di A rato,
ciceroniano costruzione ciceroniana del discorso, l’aspetto che più colpisce il lettore è sotto il titolo Prognostica).
sicuramente la varietà dei toni e dei registri stilistici che entrano in gioco Resta da parlare dei poemi epici: il Marius, che cantava le gesta dell’altro grande
arpinate (opera giovanile, più difficilmente della m aturità), e il D e consulatu suo,
con grande mobilità di effetti. Ciascuna delle tre gradazioni di stile (sempli­ in tre libri, com posto intorno al 60 per celebrare l’anno della gloriosa battaglia con­
ce, temperato, sublime) sa convenientemente essere impiegata a seconda del­ tro Catilina (un am pio brano di questo poem a ci è stato conservato dallo stesso
le esigenze discorsive corrispondenti: probare, delectare, movere (e si tratta, Cicerone nel D e divinatione). Fu l’opera più sbeffeggiata di Cicerone, già dai con­
ovviamente, di sapere dove e quando, secondo il canonico principio greco tem poranei, e poi dalla critica letteraria del I secolo d.C . (oltre che per il suo .non
grande valore poetico, per le stucchevoli lodi che l’autore vi si autoprodigava). A
del prèporì). Ad ogni livello di stile, ad ogni diverso registro espressivo, bersaglio vennero presi soprattutto due versi: cedant arma togae, concedat laurea
corrisponde una collocazione delle parole adeguata, un’opportuna sonorità laudi, in cui Cicerone contrapponeva le proprie glorie come m agistrato civile agli
fatta di armonia e di euritmia (Vornatus suavis et adfluens trova il suo pun­ allori dei com andanti militari, e o fortunatam natam m e consule R o m a m ! Diverso
to di forza nella forma ipsa e nel sonus delle parole); soprattutto, va detto da questo poem a, m a ugualmente autoelogiativo, doveva essere il D e temporibus
suis, cui Cicerone accenna in alcune lettere.
che la disposizione verbale è sempre accuratamente tale da realizzare il nu­
Il numerus e la merus. Nella pratica, il numerus agisce come un sistema di regole metriche
I due periodi Per quel che appare dai resti della sua produzione giovanile in versi,
prosa ritmica adattate alla prosa (Cicerone teorico sosteneva legittimamente di avere dedi­
della produzione le prime prove poetiche di Cicerone (varie per metro e per argomento) lo
cato più attenzione a questo aspetto del discorso di quanto non facesse la
poetica di farebbero definire un precursore dei neoterici, incline a un certo sperimenta­
trattatistica greca), in modo che i pensieri gravi trovino un andamento solen­ Cicerone lismo artistico anche se non propriamente «callimacheo»: poeta di tipo elle­
ne e sostenuto, e invece il discorso piano un’intonazione familiare. La sede
nistico, insomma, ma non molto lontano da quella che era stata la poetica
specializzata per questi effetti metrico-ritmici è la clausola, quella parte fina­
di un Lucilio. Ben presto i suoi gusti dovettero farsi più tradizionalistici
le del periodo in cui l’orecchio dell’ascoltatore deve sentirsi impressionato
(vincolandosi soprattutto al modello arcaico di Ennio) fino all’ostilità più
dagli effetti suggeriti dalla successione dei piedi (per esempio, il dattilo e
o meno aspra verso i «poeti moderni» (neòteroi o poetae novi appunto,
il peone per il tono sostenuto oppure l’andamento giambico per il tono di­
chiamava egli stesso con qualche fastidio i rappresentanti della nuova poesia
scorsivo e familiare). Della varietà efficace ed abilissima delle clausulae cice­
che andava affermandosi). Forse si possono distinguere due periodi: il perio­
roniane non si può qui trattare in dettaglio; basti sapere, comunque, che
do della primissima produzione, di gusto e modi sostanzialmente alessandri­
nella «prosa periodizzata» Cicerone, originale interprete dei Greci, seppe
neggianti perché dedicato a componimenti brevi e a contenuto erudito o
tenersi lontano dagli eccessi «asiani» di un Ortensio e più vicino in ultima
didascalico, e il periodo dei poemi epico-storici di tipo enniano (o almeno
FORTUNA DI CICERONE 177
176 CICERONE

ma in cui ci è stato tramandato, di 16 libri A d familiares (parenti e amici:


arcaizzante); fra queste due fasi è probabile si debba collocare la traduzione le lettere vanno dal 62 al 43 a.C.), 16 libri A d Atticum (fino dalla gioventù,
L’influsso degli eruditissimi Fenomeni di Arato. La sua influenza di versificatore non e per tutta la vita, il migliore amico di Cicerone: l’epistolario abbraccia il
sull’esametro dovette però essere insignificante, almeno per gli aspetti tecnico-artistici: egli
latino
periodo dal 68 al 44), 3 libri A d Quintum fratrem (dal 60 al 54) e 2 libri
contribuì non poco a regolarizzare l’esametro latino (posizione delle cesure A d Marcum Brutum (di autenticità controversa: le lettere sono tutte del 43),
nel verso e specializzarsi di certe forme metrico-verbali in clausola); anzi per un totale di circa novecento lettere. Queste vanno dunque dal 68 al lu­
dai suoi esercizi poetici l’esametro uscì più elegante, certamente più duttile glio del 43 (mancano tuttavia lettere dell’anno del consolato) e furono pub­
e vivace nel ritmo, già molto vicino per certi aspetti alla strutturazione che blicate in una data incerta, successivamente alla morte di Cicerone (forse,
assumerà in età augustea: echi (soprattutto dagli Aratea) si avvertono in almeno le A d familiares, a cura del fedele liberto Tirone).
Enjambement e Lucrezio, in Virgilio georgico, finanche in Orazio ed Ovidio. Se per la tecni­ Varietà di L ’epistolario ciceroniano è ricco e vario: si va da biglietti buttati giù
mobilità nel verso ca esametrica Cicerone fu un precursore, il suo esempio fu probabilmente contenuti e toni frettolosamente, a vivaci resoconti degli avvenimenti politici, a lettere elabo­
ciceroniano determinante per quel che riguarda la conquista di una maggiore libertà espres­ rate che assomigliano a brevi trattati (ricordiamo quella al fratello Quinto
siva nella disposizione delle parole e per la spinta impressa al discorso oltre sul «buon governo» di una provincia, e quella a Lucceio sul modo di scrive­
i rigidi confini del verso: il maestro dell’ampio e articolato periodare prosa­ re la storia, un invito a celebrare la lotta contro Catilina). La varietà dei
stico favorì in poesia lo sviluppo dell 'enjambement e della tecnica dell’«in- contenuti, delle occasioni e dei destinatari si rispecchia in quella dei toni:
castro verbale» 1. Pur senza raggiungere gli effetti espressivi del mobilissimo Cicerone è a volte scherzoso, a volte preoccupato fino all’angoscia per le
esametro augusteo, l’esametro ciceroniano riuscì a conquistarsi una struttura vicende politiche e i problemi personali, a volte sostenuto e impegnato.
metrico-sintattica molto meno «immobile» di quella di stampo arcaico. Un «epistolario Si tratta, è bene sottolinearlo, di lettere «vere»: quando le scrisse Cice­
Cicerone Le prove migliori dell’arte poetica di Cicerone saranno quelle di tradut­ reale» rone non pensava a una loro pubblicazione (come sarà invece il caso dell’e­
traduttore tore dai poeti greci, per quanto egli risultò spesso più magniloquente che pistolario di Seneca); perciò esse ci mostrano un Cicerone «non ufficiale»,
capace di vero pathos. Anche in questo caso comunque, a parte certi difetti che nelle confidenze private rivela apertamente i retroscena a volte poco
di enfasi, Cicerone perseguì e riuscì a realizzare il suo costante programma edificanti della sua azione politica, i dubbi, le incertezze e le esitazioni fre­
di latinizzazione della cultura greca; e anche questo va a suo merito. quenti, gli alti e bassi del suo umore. Il carattere di «epistolario reale» ha
i suoi riflessi anche sullo stile, che è molto diverso da quello delle opere
destinate alla pubblicazione: Cicerone non rifugge da un periodare spesso
ellittico, gergale, denso di allusioni talora «cifrate» (di qui, per i moderni,
8. L’epistolario gravi difficoltà di interpretazione), abbondante di grecismi e di colloquiali­
smi; la sintassi denuncia molte paratassi e parentesi, il lessico è costellato
di parole pittoresche, come diminutivi (aedificatiuncula, ambulatiuncula, die-
Rassegna Per la conoscenza della personalità di Cicerone disponiamo di uno stru­
dell’epistolario
cula, vulticulus, bellus, integellus, ecc.) e ibridi greco-latini (tocullio, «stroz­
mento di impareggiabile valore: si è infatti conservata una cospicua quantità
ciceroniano zino», dal greco tokos, «interesse»). È una lingua che rispecchia piuttosto
delle lettere che egli scrisse ad amici e conoscenti, insieme ad alcune lettere
fedelmente il sermo cotidianus delle classi elevate di Roma.
di risposta di questi ultimi. L’epistolario ciceroniano si compone, nella for­
Valore storico Non va dimenticato, infine, l’eccezionale valore storico dell’epistolario
dell’epistolario ciceroniano, che a volte, quasi come un giornale quotidiano dei nostri tem­
pi, permette di seguire giorno per giorno l’evolversi degli avvenimenti politi­
1 Grazie alVenjam bem ent il compim ento logico-sintattico del pensiero è rinviato al verso ci. Grazie all’epistolario di Cicerone, l’epoca in cui egli visse è quella di
successivo, coll’anticipare o ritardare ad arte alcune parole e col risultato di allargare il «respi­ tutta la storia antica che ci è nota nella maniera più dettagliata. A ragione
ro» della frase: superata la statica coincidenza tra unità metrica (i sei piedi delPesam etro) e
unità di senso (la frase com piuta), la sequenza dei pensieri sa efficacem ente debordare dalla
Cornelio Nepote ( Vita di Attico 16) potè parlare di quell’epistolario come
chiusa m isura del verso andando «a capo» e invadendo, per così dire, lo spazio del verso di una vera e propria historìa contexta eorum temporum.
successivo. Un altro effetto di intensificazione artistica è realizzato dall’«incastro verbale»,
in cui due parole strettam ente legate tra loro sono separate per l’interposizione di altre parole:
il caso più complesso e più elegante è quello di versi come «aestiferos validis erum pit fla tib u s
ignes» o «extremas m edio contingens corpore terras» o anche «corniger est valido conjxus 9. F o rtu n a di Cicerone
corpore Taurus», in cui la disposizione dell’aggettivo ad inizio di verso e del sostantivo in
chiusa realizza una sensibile divaricazione espressiva fra parole collegate e insieme chiude «in
cornice» l’intero verso (secondo una struttura artefatta di tecnica propriam ente alessandrina Alternanza di La fortuna di Cicerone è tema di per sé vastissimo, che coinvolge il
m a destinata a trovare fortuna anche presso Virgilio). Resta solo da notare, perché si colga giudizi giudizio di molti secoli sia sui gusti stilistici dell’Arpinate, sia sulla sua opera
l’efficacia del m odello stilistico ciceroniano, che tu tt’e tre i versi appena citati sono buoni nell’antichità
esempi di quella disposizione artefatta delle parole (di ascendenza alessandrina) che sarà cara
politica e, in generale, sulla sua figura umana. Già i contemporanei si divise­
alla tecnica versificatoria di età augustea: due aggettivi nella prim a parte del verso, i due so­ ro fra stimatori e detrattori di Cicerone: fra i secondi vanno ricordati, oltre
stantivi corrispondenti nell’ultim a parte e in mezzo il verbo che fa da cerniera, secondo lo agli oratori di tendenza «atticista», almeno Asinio Pollione (cfr. p. 317)
schema abCBA·, qualche filologo lo chiam a «versus argenteus», lasciando alla variante di sche­ e, soprattutto per i gusti stilistici, Sallustio (cfr. p. 209). Il I secolo d.C.
m a abC A B il nom e di «versus aureus».
178 CICERONE
BIBLIOGRAFIA 179

vide il nuovo modello senecano, fondato sul periodare nervoso, rapido, e Bibliografia Edizioni moderne: le opere di Cice­ 1954; G . B o is s ie r , Cicerone e i suoi am i­
punteggiato di sententiae, rivaleggiare con quello ciceroniano; ma quest’ulti­ rone sono pubblicate, a opera di vari au ­ ci, trad. it. M ilano 1959; A. M ic h e l ,
mo venne ben presto riportato a una posizione di predominio quasi esclusivo tori, nelle principali collezioni di testi clas­ Rhétorique et philosophie chez Cicéron,
— almeno nella tradizione scolastica — dalla reazione classicistica che trovò sici. Numerosi i commenti a singole ope­ Paris 1960; G . L o t it o , Modelli etici e ba­
re e orazioni; ne segnaliamo qui alcuni se economica nelle opere filosofiche di Ci­
uno dei suoi centri di diffusione nella scuola di Quintiliano. Gli arcaizzanti particolarm ente pregevoli: Pro Roscio cerone, in Società romana e produzione
del secondo secolo, come Gellio e Frontone, continueranno a tributare alla A m erin o : G. L a n d g r a f , Leipzig 19142; schiavistica, a cura di A. G ia r d in a e A.
prosa di Cicerone un omaggio di maniera; ma i loro gusti si indirizzeranno Pro Caelio: R. G. A u s t in , Oxford I9603; S c h ia v o n e , voi. Ili, Bari-Roma 1981; E.
verso l’ideale di uno stile più asciutto e meno magniloquente. Brutus·. A . E. D o u g la s , O xford 1966; N a r d u c c i , I l «Cato maior», o la vec­
Cicerone nel Per il Medioevo cristiano Cicerone è uno dei massimi mediatori delle D e re publica: K. B u c h n iìr , Heidelberg chiezza dell’aristocrazia romana, saggio
1983; Epistolario·. R. Y. T y r r e l l - L . C. introduttivo a Cicerone, La vecchiezza,
Medioevo idee e dei valori della civiltà antica, maestro di filosofia e di arte retorica. P u r s e r , Dublin 1885-1933; D. R. S h a c k - Milano 1983; I d ., L e ambiguità dell’«ami-
Dante, che pure non lo colloca fra i sommi prosatori, ne ricorda spesso l e t o n B a il e y , Cambridge 1965-1981; citia», saggio introduttivo a Cicerone,
soprattutto le opere filosofiche. Col primo umanesimo (e la scoperta, ad Fram m enti po etici: J. S o u b ir a n , Paris L ’amicizia, M ilano 1985; I d ., Una m o­
opera di Petrarca, di parte dell’epistolario ciceroniano), l’interesse — spesso 1972. rale per la classe dirìgente, saggio intro­
Studi: K . K u m a n ie c k i , Cicerone e la duttivo a Cicerone, I doveri, Milano 1987;
anche aspramente critico — per la figura umana e la personalità storica crisi della repubblica romana, trad. it. Ro­ M . B e l l in c io n i , Struttura e pensiero del
di Cicerone va ad aggiungersi all’ammirazione per lo scrittore. Ma in perso­ m a 1972; S. L . U t c e n k o , Cicerone e il «Laelius» ciceroniano, Brescia 1970; M .
naggi come Petrarca, Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, la riflessione sul­ suo tem po, trad. it. Rom a 1975; E. L e ­ P o h l e n z , L ’ideale di vita attiva secondo
l’esperienza ciceroniana alimenta anche la tensione sempre viva fra vita atti­ p o r e , Il «princeps» ciceroniano e gli ideali Panezio nel «De officiis» di Cicerone,
politici della tarda repubblica, Napoli trad. it. Brescia 1970.
Ciceroniani e va e vita contemplativa, impegno politico e ritiro negli studi filosofici. L ’U­
anticiceroniani: la manesimo e il Rinascimento conoscono anche una lunga polemica di stile
questione della fra ciceroniani e anticiceroniani: i primi (fra i quali vi era Poggio Braccioli:
lingua ni) additavano in Cicerone l’unico modello di prosa latina, l’unico autore
da imitare; gli anticiceroniani, che si rifacevano in modo più o meno esplici­
to a Lorenzo Valla (fra gli anticiceroniani si annoveravano intellettuali di
prim’ordine, come Poliziano o Erasmo, che nel Ciceronianus mise in ridico­
lo i raccoglitori di vocaboli e di espressioni ciceroniane), si pronunciavano
piuttosto per una pluralità di modelli. Il ciceronianesimo fanatico morì ab­
bastanza presto, dopo avere trovato un autorevole campione in Pietro Bem­
bo; la successiva cultura europea, se non erediterà il ciceronianesimo, come
teoria restrittiva, erediterà tuttavia l’idea del primato dell’eloquenza e della
retorica, il culto e l’imitazione dei classici latini: anche di qui le difficoltà
della formazione di una vera prosa storica e scientifica.
L’età moderna: il Un’ampia trattazione richiederebbero gli influssi di Cicerone sul pensie­
teorico del ro storico e politico moderno: in generale si può dire che egli, come del
moderatismo resto altri autori antichi, ha contribuito soprattutto ad alimentare il modera­
tismo politico: l’odio per la tirannia unito al disprezzo per il volgo, il culto
della libertà unito al rifiuto dell’eguaglianza e al disprezzo per la democra­
zia; ma la lezione di Cicerone è stata importante, come si è accennato, anche
per la ricerca di un equilibrio fra impegno politico e libertà interiore.
L’età Negli ultimi due secoli, la fortuna di Cicerone ha risentito degli effetti
contemporanea e di numerosi fattori: la svalutazione della cultura latina nei confronti di quel­
la «riscoperta» di la greca, attuata dal romanticismo soprattutto tedesco; l’interpretazione sto­
Cicerone rica di Theodor Mommsen, che ne fece il campione di un’eloquenza ricca
di parole ma povera di pensiero, e vide in lui un politicante sostanzialmente
opportunista. Nuove tendenze si sono fatte strada negli ultimi decenni: tra­
montato il ciceronianesimo scolastico, è possibile apprezzare nelle sue reali
dimensioni, valutandola nel quadro delle tendenze del tempo, la grandezza
di Cicerone come forgiatore della prosa latina; mentre anche l’interpretazio­
ne della sua figura storico-politica riceve nuova attenzione sullo sfondo della
crisi drammatica che egli si trovò ad affrontare.
TITO POMPONIO ATTICO E VARRONE 181

2. Tito Pomponio Attico studioso di antiquaria e «organizzatore di


FILOLOGIA, BIOGRAFIA cultura»

E ANTIQUARIA Il «circolo» di Le nostre fonti lasciano intravedere quale importante funzione, come
Attico luogo di incontro di quelli che in questo periodo erano i protagonisti della ri­
ALLA FINE DELLA REPUBBLICA cerca storico-antiquaria, ebbe la casa che sul Quirinale possedeva Attico, l’ami­
co di Cicerone: in essa si incontravano, fra gli altri, lo stesso Cicerone, Var­
rone, probabilmente Cornelio Nepote. Tito Pomponio Attico (110-32 a.C.),
di condizione equestre, si era allontanato da Roma, per motivi di sicurezza,
al tempo delle proscrizioni sillane, ed aveva soggiornato ad Atene per oltre
venti anni: di qui il suo soprannome. Rientrato a Roma verso il 65, continuò
tuttavia a risiedere all’estero, soprattutto in Epiro, per lunghi periodi. Rifiu­
tò sempre l’impegno politico diretto (perciò si accontentò della condizione
di eques) e visse occupandosi dei suoi affari, di arte, di letteratura, di anti­
quaria. Si occupò, fra l’altro, della divulgazione di alcune opere di Cicero­
1. Studi di antichità e nostalgia del passato romano 1 Il Liber annalis e ne, fra le quali diverse orazioni. Scrisse un prontuario storico, il Liber anna­
le altre opere lis, pubblicato nel 47, che abbracciava il complesso della storia romana fino
al 49; svolse ricerche genealogiche su alcune famiglie della aristocrazia; pub­
Nascita e fioritura Gli studi di storia e di antiquaria erano incominciati verso la fine del blicò — probabilmente a imitazione di un’analoga opera di Varrone (cfr.
degli studi II secolo a.C., avvalendosi talvolta del contributo della filologia latina tutto­ p. seg.) — una specie di album di grandi uomini romani, dove ciascun ritrat­
filologico-antiquari ra in formazione (cfr. p. 108). Quest’ultima, se nei metodi si rifaceva, com’è L’epicureismo di to era accompagnato da un epigramma di quattro o cinque versi. Attico
ovvio, alla filologia greca, rivolgeva tuttavia i propri interessi principalmente Attico fu, a quanto sappiamo, di fede epicurea; ma è sintomatico che Cicerone
alla cultura nazionale. La ricerca delle etimologie era, nello stesso tempo, tessa una volta (De finibus II 67) un elogio dell’amico in quanto scrupoloso
ricerca delle origini di costumi e istituzioni; lo studio della lingua mirava raccoglitore di memorabilia (imprese e gesta importanti di personaggi della
a ricostruire le remote antichità romane. tradizione romana) da additare alla imitazione dei lettori; ed è importante
È tuttavia nell’ultimo secolo della repubblica che gli studi filologico- che lo faccia nel contesto di una polemica antiepicurea, ottenendo l’effetto
antiquari conoscono un primo periodo di grande fioritura. Diversi e conver­ di «sganciare» l’amico dalla filosofia dell’edonismo per assegnargli una mis­
genti sono i fattori che ad essa contribuiscono: la rapida modificazione dei sione culturale che va in senso diametralmente opposto, coerente con i pro­
costumi, e la conseguente crisi generale dei valori, inducono un desiderio positi di esaltazione della virtus e dell’impegno politico, e di restaurazione
— che in più di un caso assume venature nostalgiche — di confronto col della morale dei padri. Forse Attico riusciva a conciliare un moderato epicu­
passato, con la tradizione romana; ma anche con le istituzioni e i costumi reismo, lontano da ogni ostentazione, con il culto per le antichità romane;
delle civiltà straniere, in primo luogo di quella greca (e ciò porta, in certi negli anni successivi alla morte di Cicerone, la devozione al mos maiorum
casi, a una riflessione almeno embrionale sul «relativismo» dei valori, cioè costituirà per l’anziano cavaliere un punto di incontro con Ottaviano, il nuovo
sul loro carattere storicamente contingente). Inoltre, l’emergere di nuovi ce­ principe desideroso di presentarsi come il restauratore dei valori della tradi­
ti, talora privi di una approfondita formazione intellettuale ma destinati ad zione.
assumere responsabilità politiche, spinge alla composizione di opere di siste­
mazione divulgativa cui i membri di una classe dirigente rinnovata possano
attingere per un rapido orientamento culturale.
Culto del passato Nella tarda repubblica la ricerca antiquaria, nelle sue varie forme, si
e apporti stranieri presenta con caratteristiche in parte contraddittorie: predomina la venerazio­ 3. Varrone
ne del passato nazionale, tanto da costituire un impedimento allo sviluppo
di un senso storiografico davvero critico; d’altra parte, almeno nel caso di Vita Marco Terenzio Varrone nacque nel 116 a.C., quasi certamente a Rieti. Fu
Varrone, il culto per l’antichità non significa un disconoscimento degli ap­ allievo dell’antiquario L. Elio Stilone e del filosofo Antioco di Ascalona. Fu questo­
porti stranieri di cui si è nutrita la civiltà romana. Queste considerazioni re probabilmente nell’85, e successivamente, in data incerta, tribuno della plebe
vanno tenute presenti anche per comprendere il modo, a prima vista para­ e pretore. Nel 78-77 combattè nella campagna di Dalmazia. Fu al seguito di Pom­
dossale, in cui la venerazione per i valori tradizionali si intreccia, nelle bio­ peo nella guerra contro Sertorio (76-71) e in quella contro i pirati (a partire dal
grafie di Cornelio Nepote, con un moderato relativismo culturale, quel po’ 67). Nel 59 fece parte della commissione vigintivirale per la ripartizione delle ter­
almeno che è implicito nel fatto stesso che si mettono a confronto, nelle re. Nella guerra civile fu legato di Pompeo in Spagna; raggiunse l’esercito pom­
loro specifiche categorie di «eccellenza», i più insigni uomini romani e i peiano a Durazzo e tornò in Italia dopo la catastrofe di Farsàlo. Riuscì fortunosa­
più insigni rappresentanti di culture straniere. mente a ricuperare le sue proprietà. Nel 46 Cesare gli affidò l’incarico di allestire
182 FILOLOGIA, BIOGRAFIA, ANTIQUARIA ALLA FINE DELLA REPUBBLICA VARRONE 183

una grande biblioteca; nel 43 venne proscritto, ma fu salvato da Fufio Caleno. La composizione delle opere antiquarie di Varrone cade, come si vede,
Morì in età molto avanzata, nel 27 a.C. più o meno negli stessi anni in cui Cicerone si dedicava alla stesura delle
sue opere retoriche e filosofiche: pare convincente l’ipotesi che, al pari di
Opere Nel corso della sua lunga vita Varrone scrisse un numero incredibile di opere Cicerone, anche Varrone si proponesse il compito di fornire una risposta
(alcune fonti parlano di oltre 600 libri). Qui di seguito si dà un elenco parziale, Il «passatismo» di intellettuale e culturale alla crisi che Roma andava attraversando. L’amore
comprensivo dei titoli più significativi. Varrone per il passato era profondamente venato di nostalgia: Varrone vede come
Opere conservate: De lingua Latina (restano sei libri mutili su venticinque). decadenza la storia romana almeno dell’ultimo secolo e guarda all’espansio­
Venne completato dopo il luglio del 45 e prima della morte di Cicerone, cui erano ne dei consumi come a un pericoloso fattore di corruzione (anche se l’ostilità
dedicati i libri dal V in poi; De re rustica, in tre libri (più precisamente il titolo
per l’eccessivo lusso contemporaneo è da ricondursi ad un comune atteggia­
dell’opera è Rerum rusticarum libri tres), completato nel 37 a.C. ma forse scritto
a più riprese nei precedenti venti anni. mento culturale, che esaltava il valore morale e politico della semplicità dei
Opere di cui possediamo solo frammenti o interamente perdute: costumi, più che a «passatismo» conservatore: di fatto il modello di vita
In versi o prosimetriche: Saturae Menippeae, in centocinquanta libri (conser­ varroniano è piuttosto quello del signore di campagna capace di trarre buoni
viamo una novantina di titoli e circa seicento frammenti), composte in età piutto­ redditi dalle sue vaste proprietà e insieme piacere da uno stile di vita). L’at­
sto giovanile. Inoltre libri di componimenti poetici, di satire, di tragedie. taccamento alle tradizioni romane è comunque in lui molto forte, forse an­
In prosa: La valutazione cora più forte che in Cicerone. Ma Cicerone, che pure dette uno dei contri­
a) Storia, geografia, antiquaria: Antiquitates, divise in venticinque libri Rerum degli apporti buti più importanti all’ellenizzazione della cultura romana, era per altri versi
humanarum (composti per primi) e in sedici libri Rerum divìnarum; l’opera fu pro­ culturali stranieri molto più restìo di Varrone ad ammettere l’importanza degli apporti stranie­
babilmente completata e dedicata a Cesare pontefice massimo nel 47; De vita
ri (greci, italici, etruschi) alla formazione della civiltà romana. Si è supposto
populi Romani, in quattro libri, dedicato ad Attico; De gente populi Romani, in
che sottolineando la funzione di «amalgama» culturale svolta da Roma, Var­
quattro libri (fra il 43 e il 42); De familiis Troianis; due opere autobiografiche:
tre libri De vita sua e tre di Legationes; Annales; Ephemerìs navalis ad Pompeium rone si ponesse sulla linea tracciata dal filosofo greco Posidonio di Apamea,
(probabilmente del 77); De ora marìtima. il quale avrebbe individuato le ragioni della superiorità dei Romani nella
b) Lingua e storia letteraria: De antiquitate litterarum ad L. Accium ; De origi­ loro capacità di assimilare il meglio delle civiltà straniere con le quali erano
ne linguae Latinae; De similitudine verborum; De sermone Latino (in cinque libri, successivamente venuti in contatto. U n’idea, questa, già piuttosto diffusa
dopo il 46); Quaestiones Plautinae, in cinque libri; De comoediis Plautinis; De ai tempi di Polibio e di Catone: ma Varrone, recuperando un secolare pro­
scaenicis originibus, in tre libri; De actionibus scaenicis, in tre libri; De poematis, cesso di interpretazione della civiltà romana a cui avevano collaborato intel­
in tre libri; De poetis (fondamentale cronologia letteraria); Hebdomades vel de lettuali greci e latini, probabilmente dette all’idea maggior chiarezza e orga­
imaginibus (in quindici libri, probabilmente ultimato nei 39). nicità.
c) Retorica e diritto: dodici libri di Orationes\ Laudationes; De iure civili, in
Le Antiquitates Nell’opera varroniana, in particolare nelle Antiquitates (salutate come
quindici libri.
una rivelazione dal contemporaneo Cicerone), trovava illustrazione e ordi­
d) Filosofia e scienza: De philosophia; De forma philosophiae-, settantasei
libri di Logistorici, dialoghi su argomenti filosofici e storici con duplice titolo (cono­ ne quasi tutto il patrimonio della civiltà latina: il proposito era quello
sciamo undici titoli interi più otto titoli frammentari), composti in età avanzata; di una rassegna sistematica della vita romana — secondo le testimonianze
nove libri di Disciplinae (forse scritti fra il 34 e il 33). offerte dalla lingua, dalla letteratura e dai costumi — nelle sue connessioni
con il passato. Si capisce che l’eredità varroniana fu preziosissima per
Fonti Fonti principali per la vita e le opere di Varrone, oltre alla Cronaca di Girola­ la cultura augustea e per tutta la successiva ricerca antiquaria ed erudita
mo, sono lo stesso Varrone e i suoi contemporanei: Cicerone (nelle opere pubbli­ dei Romani.
cate e nell’epistolario), Cesare, ecc. Inoltre passi dello storico Appiano e dell’eru­
dito Gellio, ecc. Le A ntiquitates (lo schema architettonico dell’opera ci è stato preservato da Agosti­
no nel D e civitate D ei) si articolavano secondo un disegno che com prendeva quattro
esadi (gruppi di sei libri) nella prim a parte, dedicata alle Res humanae, e cinque
triadi (gruppi di tre libri) nella seconda parte, dedicata alle R es divinae. Sia la prim a
Erudizione antiquaria, filologia e studi linguistici che la seconda parte erano precedute da un libro introduttivo. Le quattro sezioni
delle Res humanae trattavano successivamente degli uom ini, dei luoghi, dei tempi,
delle cose. La stessa suddivisione era m antenuta nelle prime quattro sezioni della
La risposta di Gli interessi filologici e antiquari accompagnarono Varrone fino dalla
seconda parte dell’opera (le Res divinae), nel senso che le cerimonie religiose sono
Varrone alla crisi giovinezza: il De antiquitate litterarum, che affrontava problemi di storia celebrate dagli uom ini, in luoghi e in tempi determ inati. La quinta e ultim a sezione
dell’alfabeto latino, per essere dedicato ad Accio, sarà ovviamente stato pub­ aveva per oggetto gli stessi dei.
blicato prima della morte di quest’ultimo negli anni 80; e niente vieta di Le Res humanae Le R es humanae incontrarono eccezionale successo presso i contem poranei, i quali
retrocedere anche di diversi anni. Tuttavia, le opere più impegnative di que­ vedevano per la prim a volta fissati con autorevolezza alcuni punti fermi delle origini
di Rom a (si pensi, solo per fare un esempio, alla data della fondazione della città,
sto genere (come le Antiquitates rerum humanarum et divinarum e il De che da V arrone in poi è definitivamente fissata al 754 a.C .). Cicerone ne tesse un
lingua Latina) furono composte dopo i sessant’anni; c’è da credere che, in entusiastico elogio nel proemio degli Academ ica posteriora, e lo stesso Virgilio, che
precedenza, il tempo per gli studi eruditi fosse limitato dall’attività politica già nelle Georgiche doveva molto al D e re rustica, le utilizzò certam ente per costitui­
e dall’impegno letterario. re la leggenda dell’Eneide.
184 FILOLOGIA, BIOGRAFIA, ANTIQUARIA ALLA FINE DELLA REPUBBLICA
VARRONE 185

Le Res divinae Nelle Res divinae (di cui possiamo farci u n ’idea migliore, grazie all’enorme fortuna ridotto a venticinque il numero delle commedie di sicura paternità plautina;
che l’opera incontrò presso i P adri della Chiesa, soprattutto A gostino, i quali ne Varrone compilò un catalogo più sistematico, dividendo in tre gruppi le com­
fecero un bersaglio polemico assumendola un p o ’ come il testo-base della teologia
pagana) V arrone distingueva tre modi di concepire la divinità: una teologia «favolo­ medie tramandate sotto il nome di Plauto: le sicuramente spurie (novanta),
sa», com prendente i racconti della mitologia e le loro rielaborazioni a opera dei le incerte (diciannove) e le ventuno sicuramente plautine, quelle che anche
poeti; una teologia «naturale», cioè l’insieme delle teorie dei filosofi sulla divinità: a noi sono pervenute. A quanto pare, per l’attribuzione Varrone si affidava
essa deve restare possesso esclusivo degli intellettuali della classe dirigente, e non principalmente alla sua sensibilità per la lingua e lo stile di Plauto; il suo
essere diffusa fra il popolo, perché potrebbe m inare il concetto di «santità» delle
istituzioni statali; infine la teologia «civile», che concepisce la divinità nel rispetto
gusto arcaizzante forse favorì la predilezione della critica successiva per la
di u n ’esigenza politica, ed è pertanto utile allo stato. V arrone riprendeva dalla teolo­ poesia di sapore arcaico, contro la quale Orazio si troverà a lottare. Altre
gia stoica questa sistemazione della religione, m a la piegava a interessi attuali: la opere dedicate al teatro arcaico erano il De scaenicis originibus, il De actio-
necessità politica di conservare il patrim onio culturale della religione rom ana, anche nibus scaenicis, il De personis (Sulle maschere), il De descriptionibus (un’o­
senza accettarne il credo. La stessa struttura delle A ntiquitates, che premette le Res
pera sui caratteri dei personaggi teatrali).
humanae alle R es divinae, m ostra come per Varrone la religione, con i suoi culti
e i suoi rituali, fosse una creazione degli uomini. Con problemi in parte simili Cice­ Il De lingua La sensibilità per lo stile e l’interesse per i fatti linguistici portarono
rone si sarebbe confrontato, pochissimi anni dopo la pubblicazione delle A n tiq u ita ­ Latina Varrone ad occuparsi anche di storia della lingua latina, spesso partendo
tes rerum divinarum, nel D e divinatione. da problemi e metodologie della cultura ellenistica. Il De lingua Latina era
una trattazione sistematica ed esaustiva, che muoveva dai problemi di origi­
La storia in La storia, come è concepita nelle Antiquitates, e successivamente nel ne della lingua e di etimologia per affrontare successivamente la morfologia,
Varrone De vita populi Romani, è soprattutto storia di costumi, di istituzioni, anche la sintassi e la stilistica. Sappiamo che Varrone dava forte rilievo all’assimi-
di «mentalità»; è la storia collettiva del popolo romano sentito come un lazione di elementi stranieri nella formazione della lingua latina, secondo
organismo unitario in evoluzione. Solo nel quadro di questa vicenda colletti­ un concetto che era cardinale anche nella sua ricerca antiquaria. Dei libri
va i magni viri, i singoli eroi della storia romana, trovano il loro posto che ci restano (V-X), tre sono dedicati all’etimologia, e tre alla questione
e hanno diritto alla memoria dei posteri. Si è pensato all’influsso di conce­ dell’analogia e della anomalia. Le etimologie varroniane sono spesso bizzar­
zioni organicistiche della storia diffuse nella cultura greca, in particolare re e fantasiose, fondandosi sull’idea, di matrice stoica, che i nomi delle cose
nell’opera di Dicearco. Ma quest’influsso, se anche si fece sentire su Varro­ contengano in sé una recondita verità, cioè che i segni linguistici siano non
ne, resta secondario rispetto alla secolare esperienza del popolo romano abi­ già arbitrari (imposti per convenzione) bensì «motivati» (la parola contiene
tuato a sentirsi come un organismo unitario raccolto intorno alla élite sena­ dentro di sé il senso di ciò che designa, per cui la forma apparente del
toria. Che lo stato romano fosse creazione del popolo intero attraverso le significante «assomiglia» a quello che è il suo significato). A proposito della
generazioni era del resto anche l’idea di Cicerone nel De re publica: un’idea contesa allora Vivace fra analogisti (che pretendevano dalla lingua una rego­
che in ultima analisi risaliva a Catone (cfr. p. 72). larità razionale: dalla loro parte era schierato Cesare, che scrisse un trattato
La biografia in Ciò non toglie che Varrone si dedicasse anche a ricerche biografiche: De analogia in difesa della purezza linguistica) e anomalisti (che accettavano
Varrone oltre a brevi biografie di poeti romani, compose una raccolta di Imagines le molte irregolarità dell’uso; cfr. p. 200), Varrone tentò una equilibrata
(detta anche Hebdomades perché si articolava per gruppi di sette imagines·. conciliazione, fondata sull’idea di complementarità di analogia e anomalia,
la scelta del numero sette e dei suoi multipli è dovuta a influssi pitagorici, e additando l’ideale di una lingua oculata nell’accogliere le innovazioni, ma
presenti in tutta l’opera di Varrone): in questa raccolta i settecento ritratti senza grette chiusure puristiche.
figurativi di uomini famosi di ogni categoria, sia romani che greci (statisti,
poeti e filosofi, ma anche danzatori e sacerdoti) erano accompagnati ciascu­
no da un epigramma che caratterizzava il personaggio. È possibile che al
testo poetico si affiancassero inoltre eruditi commenti in prosa. Nelle Heb­ Opere letterarie e filosofiche
domades, completate intorno al 39, Varrone trasformava in modo rivoluzio­
nario la tradizione delle imagines e dei tìtuli degli antenati, nella quale dal Le Menippeae e La composizione delle Saturae Menippeae (un misto di prosa e versi,
punto di vista tipologico intendeva collocarsi. Grazie alla sua opera, le ima­ la decadenza dei di argomento vario, in centocinquanta libri) dovè cominciare abbastanza pre­
gines cessavano di essere il privilegio di una ristretta aristocrazia: Greci e costumi sto (intorno all’80 a.C.), e si protrasse a lungo. I riferimenti ad eventi con­
Romani che si fossero distinti in qualsiasi attività «nobile» vi avevano ugual­ temporanei non sono abbastanza numerosi ed espliciti da consentire una
mente diritto. datazione sicura: l’ultima allusione accertata riguarda fatti del 67 a.C., ma
Varrone filologo Varrone affiancò gli studi antiquari a quelli di filologia: nella sua epoca,
al 60 rimanderebbe il Trikaranos («Il mostro a tre teste»), pamphlet diretto
del resto, non esisteva un confine marcato fra questi due tipi di ricerche.
contro il primo triumvirato, se si fosse sicuri che si tratta di una menippea.
Con grande cura si occupò del teatro arcaico, e in particolare di Plauto, Dell’opera ci restano frammenti (purtroppo spesso molto brevi) per un tota­
di cui trattò in due opere, le Quaestiones Plautinae (che dovevano essere le di circa seicento versi, e una novantina di titoli, dai quali possiamo farci
una specie di commento linguistico-grammaticale alle commedie plautine) un’idea approssimativa degli argomenti trattati da Varrone. Le Eumenides
e il De comoediis Plautinis, dove affrontò il problema delle numerosissime erano indirizzate soprattutto contro i filosofi alla moda; Marcipor era forse
commedie (centotrenta) che erano attribuite a Plauto. Già Elio Stilone aveva
la descrizione di un viaggio, secondo una moda letteraria inaugurata da Lu­
186 FILOLOGIA, BIOGRAFIA, ANTIQUARIA ALLA FINE DELLA REPUBBLICA VARRONE 187

cilio; Marcopolis conteneva la descrizione di una città utopistica; nel Sexage- raria e di un genere ben diversi dalla classica tradizione satirica rom ana. Quintiliano
non teneva alcun conto di ciò, m a le nostre testimonianze (se consideriamo attenta­
sis Varrone raccontava di un personaggio che, addormentatosi da ragazzo, m ente le distinzioni lessicali della critica letteraria antica) non m ancano di denuncia­
si svegliava a sessant’anni per accorgersi che a Roma tutto era mutato in re il rapporto di imitazione ed emulazione che lega V arrone a M enippo: (parla Var­
peggio. I titoli del genere della satira menippea, come si vede, sono spesso rone negli Academ ica ciceroniani, I 8) in illis veteribus nostris quae M enippum imita­
fantasiosi ed enigmatici (si pensi alle tante interpretazioni che sono state ti, non interpretati, quadam hilaritate conspersimus... («in quei nostri antichi scritti,
date di Apokolokyntosis, il titolo della «satira menippea» scritta da Seneca); che, facendo il verso a M enippo, non traducendolo, abbiam o cosparso di una certa
com icità...»); (Gellio, N octes A tticae II 18,7) <M enippi> libros M . Varrò in saturis
molti sono espressioni proverbiali, parecchi in greco. Non di rado, inoltre, aemulatus est, quas alii “cynicas”, ipse “m enippeas” appellai («M. V arrone imitò
si incontrano titoli paratragici, coerenti con l 'ethos burlesco-parodico del­ gli scritti di M enippo nelle sue satire, che altri chiamano “ ciniche” , lui “ menip-
l’intera collezione: Oedipothyestes, Ajax stramenticius, Pseudaeneas, Cata- pee” »). Sotto la sigla menippea si classificano allora una serie di testi che, per affini­
mitus. tà di caratteristiche formali e tematiche, paiono richiamarsi ad uno stesso modello
Il tema della tristezza dei tempi e della decadenza dei costumi romani essenziale. Così, per esempio, sembra «menippea» una certa costanza di temi fanta­
stici e ultraterreni che ricorre tra Lucilio, V arrone e V A pokolokyntosis di Seneca:
doveva essere effettivamente diffuso nelle Menippeae·, la satira acre dei vizi il concilio degli dei, la discesa agli inferi.
dei contemporanei era l’altro risvolto dello sguardo commosso e nostalgico La struttura M a il più im portante fattore di identità sembra affidato alla tecnica del prosim etro,
Modelli e temi che l’antiquario Varrone rivolgeva al passato romano. Così Varrone, pur prosimetrica quell’irregolare successione di prosa e verso alPinterno della narrazione che è del
delle Menippeae senza essere certamente un Cinico — il rifiuto delle convenzioni sociali lo tu tto abnorm e alla pratica consueta; un effetto di forte straniam ento, del quale gli
avrebbe sicuramente disgustato — veniva a trovarsi inaspettatamente vicino autori esibiscono una sicura consapevolezza: così Luciano (Bis accusatus, 33) rim ­
provererà a M enippo, eponimo del genere, l’invenzione di un mostruoso «ippocen­
ad alcune tematiche della predicazione popolare dei filosofi ellenistici. Trovò tauro», una form a dialogica paradossale. Ciò che soprattutto distingue la menippea
perciò un modello in Menippo di Gàdara in Siria, un liberto, filosofo vagan­ da altre forme occasionalmente e diffusamente prosimetriche nella letteratura classi­
te, che nel III secolo a.C. aveva composto satire di stampo cinicheggiante, ca — il rom anzo, per esempio, o certi dialoghi filosofici ricchi di citazioni poetiche
le quali rompevano violentemente con le tradizioni aristocratiche della cultu­ — è la sostanziale integrazione del verso nel contesto narrativo della fabula·, l’episo­
ra greca. Altri modelli, e più vicini, Varrone aveva naturalmente nelle Satu­ dio metrico, insom m a, non si lim ita di solito a com mentare «liricamente» lo svolger­
si degli eventi raccontati. Proprio questa particolarità strutturale permetteva al gene­
reie di Ennio e di Lucilio. A quest’ultimo rimandano eloquenti analogie for­ re di sperim entare u n ’am pia gam ma di registri e livelli stilistici, e ogni tipo di miscu­
mali, coincidenze linguistiche e lessicali che spesso hanno l’aria di citazioni glio e di dissonanza. Se la satira di Seneca dà tu tta, molto in generale, l’impressione
precise, spunti tematici di rilievo: il Periplous, per esempio, era probabil­ di un fondo colloquiale più costante, appare veramente vario e irriducibile, talvolta
mente ispirato all 'Iter Siculum luciliano. Fortissimo è poi l’influsso della addirittura funam bolico, l’im pasto linguistico di V arrone, e lo stesso intricatissimo
stile dei tardi epigoni Fulgenzio e M arziano Capella.
commedia: molti frammenti ripetono la struttura dei prologhi plautini, e
Il virtuosismo varroniano si traduce in u n ’inesauribile creatività verbale di stam po
di Plauto (l’autore più citato nelle Menippeae) potrebbero essere molti nomi plautino (testim oniata da fantasiosi hàpax legomena, soprattutto fantasiosi aggettivi
e molte colorite espressioni — una competenza che non stupisce nel filologo ed altisonanti e bizzarri composti) in cui l’interprete riconosce la cifra di scrittura del
Varrone. Ma è soprattutto da Menippo che egli dovè trarre la mescolanza genere letterario. M a autentico segnale di genere (ed insieme eredità residua di un
di realismo crudo e libera immaginazione fantastica, ed anche il tono amaro bagaglio ellenistico originario) è il ricorso ad una folla di stilemi greci, che connotano
convenzionalmente la form a di un apparente parlato estem poraneo: di qui, tu tto un
e tagliente della predicazione popolare. Gli argomenti dovevano essere molto
ricco vocabolario di term ini tecnici o aulici, am algam ato dall’intenzione costante della
vari, spaziando dalla mitologia all’attualità romana; e alla varietà dei sog­ parodia. Nella ricerca comica della menippea sta inscritto, infatti, anche un continuo
getti corrispondeva la varietà dei registri e delle tonalità dello stile: il lin­ effetto m etaletterario: il testo satirico, con consapevolezza critica e con distaccata m a­
guaggio era colorito e ricco di inventiva, abbondante di giuochi di parole, lizia, guarda ironico ai modelli della poesia «grande» e alle regole secondo cui sono
arcaismi, volgarismi; le parti in prosa si alternavano, secondo il modello costruiti. D a V arrone a Seneca, questo genere di scrittura fa della letteratura «seria»
un proprio repertorio costante e di sicuro im patto, denunciato anche da un alto num e­
di Menippo, a quelle in versi, anche queste ultime in una ricchissima varietà ro di citazioni ed allusioni esplicite. Ut ait Ennius, ut ait Horatius, H om erus dicit
di metri (endecasillabi, sotadei, gliconei, scazonti, ecc.). Nella letteratura sono alcuni tra i molti segnali di ironica autenticazione, rim andi continuam ente sospet­
latina, le Menippeae dettero inizio al genere letterario al quale si ricolleghe­ ti — presi in giochi di parodia e riuso, spinti fino all’assurdo e al nonsense — che
ranno il Satyricon di Petronio e ancora più da vicino la Apokolokyntosis coinvolgono autore, personaggi e lettori. In bilico tra la form a del libello satirico e
di Seneca. la tradizione della favola allegorico-moralistica, la satira menippea frequenta spesso
temi di vivace attualità rom ana, dalla polemica letteraria alla critica politica.
Il genere della M a, se il titolo delle Saturae M enippeae rim onta direttam ente a V arrone, l’etichetta
del genere letterario appartiene soltanto ai m oderni, e sfugge sostanzialmente alla I Logistorici Interam ente in prosa erano i Logistorici, che svolgevano per lo più argomenti morali
satira menippea
teorizzazione antica (accennata in Gellio, Cicerone, Quintiliano). Così Quintiliano, illustrandoli con esempi tratti dalla storia e dal m ito. I titoli erano doppi, e indicava­
nell’ottica interpretativa di una satira tota nostra, ignorava ogni precedente greco no il personaggio principale, dal quale era condotta l’esposizione, e l’argom ento di
di Varrone (M enippo, appunto) e, risalendo al di là di Orazio e Lucilio, trovava sua competenza: M arìus de fortuna, Catus de liberis educandis, Orestes de insania,
nella satira énniana (fatta di m etri e temi vari) quel modello latino che V arrone Curio de cultu deorum, A tticu s de numeris («sulla cronologia»), Pius de pace. H a
si sarebbe lim itato ad arricchire di pochi tratti (Instit. X 1,95): alterum illud etiam fatto pensare a somiglianze di genere letterario con gli ultimi dialoghi ciceroniani
prius saturae genus, sed non sola carmìnum varietate m ixtum , condidit Terentius — il Cato maior de senectute e il Laelius de amicitia — soprattutto il doppio titolo
Varrò... («quell’altro tipo di satira, ancora precedente, di carattere miscellaneo non dei logistorici varroniani, che Cicerone potrebbe avere inteso riprodurre; ma, a quanto
solo per varietà metrica, lo inaugurò Terenzio V arrone...»). In realtà, il ricorrere pare, V arrone era solito m ettere in scena personaggi contem poranei, oppure scom­
di tratti m arcatam ente «greci» rim anda con sicurezza ai caratteri di una form a lette­ parsi da poco, non figure consacrate da una lunga tradizione come Catone o Lelio.
188 FILOLOGIA, BIOGRAFIA, ANTIQUARIA ALLA FINE DELLA REPUBBLICA NIGIDIO FIGULO 189

Le Disciplinae Nell’ultimo decennio della sua vita, con i nove libri delle Disciplinae, Fortuna di Varrone
Varrone organizzò tutto il sapere della scienza antica in una forma che con­
dizionò il futuro ordinamento degli studi nell’Europa occidentale: egli prefi­ Della sterminata produzione di Varrone ben poco ci è rimasto, e quel
gurò infatti la distinzione delle arti liberali in quello che nelle scuole medie­ poco attenua nel lettore moderno il rimpianto per quel che si è perduto,
vali sarebbe stato il Trivium (grammatica dialettica retorica) e il Quadrìvium se si considera che è scritto in stile sciatto e spesso oscuro: sembra quasi
(geometria aritmetica astronomia musica); soltanto nei due ultimi libri egli incredibile che negli stessi anni Cicerone e Cesare stessero elaborando le
trattava medicina e architettura, le due arti più tecniche che venivano di loro prose perfette, che Virgilio e Orazio si apprestassero a realizzare capo­
fatto escluse dalle arti liberali. lavori di poesia. Eppure Varrone incontrò durante tutta l’antichità una for­
tuna incredibilmente vasta e continua, tale che può essere paragonata soltan­
to a quella di Cicerone e Virgilio. Fin dal loro apparire le sue opere furono
accolte come insuperabili monumenti di cultura e di erudizione. Cicerone
Agricoltura ed espansione dei consumi salutava in termini entusiastici l’uscita delle Antiquitates: «In questa nostra
patria noi eravamo come ignari e stranieri; i tuoi libri ci hanno ricondotti
I Rerum Scritti nel 37, i Rerum rusticarum libri sono opera della vecchiaia di nella nostra casa antica. Tu della nostra patria ci hai rivelato le età, le ripar­
rusticarum libri Varrone; in tre libri, hanno forma dialogica. tizioni dei tempi, i santi riti del culto, i sacerdoti, il costume domestico,
la disciplina militare, i luoghi, le religioni, i monumenti...» (Academica po-
Il I libro è dedicato a Fundania, moglie di Varrone, che h a com prato un podere e steriora 1,9). Virgilio deve all’opera agricola di Varrone, in buona misura,
ha chiesto al m arito di guidarla nella conduzione di esso: tratta delPagricoltura in
l’idea e la disposizione della materia delle Georgiche, e tlqIV Eneide è Varro­
generale. Il II libro, dedicato a un allevatore di bestiame, T urranio Nigro, tratta de
re pecuaria; il III libro, dedicato a un vicino di cam pagna, Q uintino Pinnio, tratta ne la fonte principale sulle antiche popolazioni italiche.
dell’allevamento di animali da cortile, di api, di pesci (de villaticapastìone). Nel dialo­ Quanto agli eruditi successivi, il loro debito verso Varrone è eccezional­
go intervengono vari personaggi, fra i quali lo stesso Varrone e Tito Pom ponio Attico. mente vasto. Citeremo soltanto tre nomi di età diverse, i quali, direttamente
o indirettamente, furono a loro volta bacini di raccolta e tramiti di cultura
La concezione varroniana della produzione agricola accentua tendenze per tutta la tarda antichità e il Medioevo: Verrio Fiacco, Plinio il Vecchio,
già presenti in Catone, col cui trattato sull’agricoltura (cfr. p. 72 seg.) Svetonio, i tre grandi enciclopedisti dell’età imperiale. Anche la linguistica,
il confronto viene spontaneo (non a caso dobbiamo a uno stesso manoscrit­ la filologia, il commento dei testi classici delle età successive sono grande­
to la conservazione di entrambe le opere). Varrone — la cui opera presup­ mente indebitati a Varrone.
pone il processo di concentrazione delle terre — ha in mente villae e la­ Il trionfo del Cristianesimo dette nuovo lustro alla fama di Varrone:
tifondi di più vaste dimensioni, sfruttati attraverso l’uso intensivo della ma­ fu lui il bersaglio polemico di Girolamo e Agostino, lui il teorizzatore più
no d’opera servile. La villa varroniana riserva un certo spazio a produzioni perfetto della religione pagana, l’autore che doveva essere conosciuto a fon­
lussuose ed eleganti, come uccelliere e piscine, che vengono incontro alle do perché potesse meglio essere combattuto. Così, negli stessi secoli, la fama
richieste del mercato cittadino; il resto è impiegato per forme di produzione di Varrone si rimoltiplica su due filoni paralleli: da un lato i Padri della
e di allevamento su vasta scala, più tradizionalmente lucrative. Nella villa Chiesa e dall’altro i vari Gellio, Censorino, Macrobio, Servio, fino a Isidoro
di Varrone si incontrano utilità e piacere, utilitas e voluptas dell’agricoltu­ di Siviglia, citano Varrone come una somma autorità, spesso senza avere
ra; tale convergenza esprime l’autoconsapevolezza di un ceto proprietario più una conoscenza diretta delle sue opere, che, troppo vaste e difficili, so­
sostanzialmente aperto alla dinamica economica e commerciale, e ai nuovi pravvivevano ormai nell’opera dei compilatori più tardi.
bisogni che questa induce. Si capisce che il vero proposito dell’opera è Il Medioevo ha in eredità questa fortuna, e Petrarca definirà Varrone
quello di dare una soddisfacente immagine di sé al signorotto di campagna, «il terzo gran lume romano», dopo Cicerone e Virgilio: al sommo oratore
desideroso di vedere ben realizzato un dignitoso e comodo modello di e al sommo poeta è accostato il sommo erudito, il massimo conoscitore
vita piuttosto che di imparare le tecniche minute che sono necessarie a ed espositore della cultura romana.
lavorare produttivamente la terra e a curare l’allevamento di animali (d’al­
tra parte, per il fango dei campi e per i vapori grevi delle stalle c’erano
gli schiavi e i loro sovraintendenti). Così, non destinato all’istruzione prati­
ca del fattore (se non nelle apparenze), ma scritto piuttosto per alimentare 4. Nigidio Figlilo
e compiacere l’ideologia del ricco proprietario terriero, il De re rustica
in qualche modo «estetizza» la vita agricola. E la vera destinazione dell’o­ Nigidio e Varrone Gli autori dell’età imperiale ponevano con ammirazione accanto al no­
pera si ripercuote significativamente nella forma del discorso, che spesso me di Varrone quello di Publio Nigidio Figulo, l’altro grande erudito dell’e­
si apre a digressioni, e nello stile, che pare più artefatto e meno trascurato tà di Cesare. In effetti, le due personalità possono essere accostate per più
di quello, per esempio, del De lingua Latina : si affaccia ogni tanto la di un aspetto, data la comunanza di interessi scientifici. Una delle opere
ricerca di ornamento e non mancano tratti di vivacità: qualche aneddoto più celebrate di Nigidio erano infatti i Commentarii grammatici, imponente
spiritoso, qualche arguta saggezza. opera in almeno ventinove libri, che si caratterizzava per l’accostamento di
190 FILOLOGIA, BIOGRAFIA, ANTIQUARIA ALLA FINE DELLA REPUBBLICA CORNELIO NEPOTE 191

argomenti grammaticali e antiquari, così tipico della produzione varro-


niana. Fonti La data di nascita di Cornelio Nepote si ricava da alcune notizie indirette:
Ma, diversamente da Varrone, Nigidio Figulo aveva prevalenti interessi Girolamo, nella Cronaca, colloca il culmine della fama letteraria di Nepote nel
filosofici, cosmologici, storico-naturali. L’origine del suo cognome (figulus in 40 a.C., probabilmente nella maturità più che avanzata. Di una fama dì storico
piuttosto consolidata Nepote doveva del resto godere quando Catullo gli dedicò
latino vuol dire «vasaio») ne è una testimonianza: infatti, di ritorno da un viag­
una raccolta di componimenti, sicuramente prima del 54, anno della morte dello
gio in Grecia, che doveva essere stato fondamentale per la sua formazione, Ni­
stesso Catullo, ma forse anche diversi anni prima. Per la data della morte, ci
gidio affermò che il mondo girava su se stesso alla velocità di una ruota di vasaio. si affida generalmente a Plinio il Vecchio, il quale in due luoghi (Naturalis historia
Nigidio filosofo Nigidio è comunemente classificato tra i filosofi neopitagorici. In realtà IX 137 e X 60) afferma che Cornelio Nepote morì «sotto il principato di Augusto»;
gli argomenti delle sue ricerche erano considerati astrusi già dai contempora­ sicuramente dopo il 31, l’anno della battaglia di Azio, e forse anche dopo il 27,
nei. Basti citare alcuni titoli tramandati di sue opere: De sphaera graecanica, perché solo dopo i mutamenti costituzionali di quell’anno il regime poteva essere
De sphaera barbarica. De diis, De augurio privato, De extis, De somniis, detto davvero un «principato».
De vento, De terris, De animalibus, ecc.
I contemporanei non capivano bene certo tipo di interessi, e ben presto
Valori tradizionali e relativismo culturale nelle biografie di Cornelio
di Nigidio Figulo si parlò come di un mago; inoltre, politicamente Nigidio
Nepote
(che fu pretore nel 58) fu sempre avverso alla parte cesariana (fin dal 63
era stato vicino a Cicerone durante la repressione della congiura di Catilina). Gli interessi antiquari diffusi nella cerchia di Attico dovettero incorag­
Sta di fatto che Cesare lo esiliò, e in esilio egli morì nel 45. giare Nepote nelle sue vaste compilazioni storico-aneddotiche.
Lucano, nel finale del I libro del Bellum civile, presenta Nigidio che
formula foschi presagi all’inizio della guerra civile. Nell’età successiva, come La prim a notorietà dovè venirgli dai Chronica, u n ’esposizione sistematica della cro­
I Chronica
abbiamo detto, la figura di Nigidio perse un po’ la sua aura fosca; ma nografia universale, con particolare attenzione al sincronismo fra gli avvenimenti
la vastità, e soprattutto l’oscurità, della sua produzione fecero sì che, come della Grecia, di Rom a e dell’Oriente. Analoghe compilazioni greche, che pure esiste­
e più di Varrone, alla generale ammirazione dei posteri per questa interes­ vano da tem po, non si occupavano estesamente della storia rom ana: la novità si
deve, probabilm ente, proprio a Cornelio Nepote. Non è troppo azzardata l’ipotesi
sante figura di erudito-filosofo-scienziato-mago non corrispondesse la con­ che l’im pianto dei Chronica tradisse l’esigenza di mettere a confronto la civiltà ro ­
servazione di un congruo numero di frammenti. m ana con altre civiltà, la quale diverrà esplicita nelle Vitae. Pochi fram m enti soprav­
vivono della raccolta di Exem pla (forse concepita come «repertorio» per gli oratori,
dove presumibilmente si affollavano notizie rimarcabili e curiosità di ogni genere).
M a ben presto gli interessi principali di Nepote dovettero rivolgersi alla biografia.
5. Cornelio Nepote
La biografia Quanto ci rimane del De viris iliustribus è solo una piccola parte di
Vita Cornelio Nepote nacque nella Gallia Cisalpina (per la località, gli studiosi oscil­ come confronto quella che dove essere l’impresa più vasta e ambiziosa di Cornelio Nepote:
lano fra Ostiglia e Pavia), probabilmente intorno al 100 a.C. Si stabilì abbastanza di civiltà una grande raccolta di biografie costruita con l’intento di fare di questo
presto a Roma, ma non vi ricercò cariche politiche, preferendo dedicarsi a una
vita di studi. A schiudergli le porte della buona società fu probabilmente Tito Pom­
genere letterario il veicolo di un confronto sistematico fra civiltà greca e
ponio Attico. Ebbe rapporti con Cicerone: nell’antichità erano noti due libri di lettere
romana. In questo senso, egli sviluppava l’idea di biografia che già caratte­
di quest’ultimo a Cornelio Nepote, probabilmente una corrispondenza soprattutto rizzava le Imagines di Varrone (cfr. p. 184). Cornelio Nepote raggruppava
intellettuale. Prima del 32 a.C. Nepote pubblicò la prima edizione della sua opera i suoi personaggi secondo categorie «professionali» (re, condottieri, filosofi,
principale, il De viris iliustribus. Morì sotto il principato di Augusto, forse dopo il 27. storici, oratori, grammatici...); ogni categoria doveva occupare due libri,
in cui venivano rispettivamente trattati i suoi esponenti stranieri (soprattutto
Opere Sono andati perduti un’opera di cronografia in tre libri, i Chronica, una rac­ greci) e romani. Anche se la consuetudine di raggruppare i personaggi secon­
colta di Exempla in almeno cinque libri, e forse un’opera di geografia, che alcuni do categorie era ben attestata nella biografia ellenistica, il raffronto sistema­
vorrebbero tuttavia identificare con gli Exempla-, inoltre una biografia di Catone tico fra romani e stranieri sembra costituire il non trascurabile apporto ori­
il Censore e una di Cicerone. ginale di Cornelio Nepote.
Si è conservata una parte dell’opera più vasta di Cornelio Nepote, il De viris
Si è pensato che l’intento fondamentale di un tale confronto fosse di
iliustribus (a volte chiamato comunemente Vitae), una raccolta di biografie che
suggerire la superiorità dei Romani in ogni campo. Ma quanto ci rimane
doveva abbracciare almeno sedici libri; ci rimangono il libro sui comandanti mili­
dell’opera di Cornelio Nepote non pare aduggiato da pregiudizi nazionalisti­
tari stranieri [De excellentibus ducibus exterarum gentium); e le biografie di Cato­
ne e di Attico, tratte dal libro sugli storici latini (la vita di Catone è il sunto piutto­
ci: fra tutti gli scrittori latini, egli è per esempio quello che rappresenta nella
sto sommario di una biografia più vasta andata invece perduta: vedi qui sopra). luce migliore la figura di Annibaie, il nemico più terribile che Roma si fosse
La dedica ad Attico fa presumere una pubblicazione prima del 32 a.C., anno mai trovata ad affrontare.
della morte di quest’ultimo; ma proprio nella biografia di Attico l’autore segnala Il «relativismo Il progetto di Nepote è semmai sintomatico di un’epoca in cui i Romani
l’aggiunta di alcuni capitoli alla parte già pubblicata mentre Attico era in vita. culturale» incominciano a interrogarsi sui «caratteri originali» della loro civiltà, e con­
Si è perciò pensato a una seconda edizione dopo il 32. temporaneamente ad aprirsi all’apprezzamento dei valori di tradizioni diver-
192 FILOLOGIA, BIOGRAFIA, ANTIQUARIA ALLA FINE DELLA REPUBBLICA
BIBLIOGRAFIA 193
se. Addirittura di una forma moderata di «relativismo culturale» si può par­
lare a proposito della breve praefatio che Cornelio Nepote premette al libro Bibliografia Va r r o n e tica Dublin-Ziirich 1967), con ampio com­
Edizioni moderne: A . T r a g l i a , T o­ m ento; A . M . G u il l e m in , Paris 19612;
sui generali stranieri. I concetti di «moralmente onorevole» e «moralmente E. M a l c o v a ti , Torino 19643; P. K. M a r ­
rino 1974 {De lingua Latina, Res rustì-
turpe», egli precisa, non sono gli stessi presso Greci e Romani: la distinzione cae e frammenti grammaticali); G . G o e t z s h a ll , Leipzig 1977.
dipende dai maiorum instituta (le tradizioni nazionali) di ciascun popolo. - F. S c h o e l l , Leipzig 1910 (De lingua L a­ Studi: A . M o m ig lia n o , L o sviluppo
Alla biografia di Epaminonda viene premesso l’avvertimento di non giudica­ tina)·, W. D. H o o p e r - Η . B. A s h , Cam ­ della biografia greca, trad. it. Torino
bridge (Mass.) - London 1935 (Res rusti- 1974; A . L a P e n n a , M obilità dei m odel­
re i costumi di altri popoli sulla misura dei propri: musica e danza, disdice­ li etici e relativismo dei valori: da Corne­
voli per un princeps (cittadino eminente) romano, non lo sono altrettanto cae); A . R ie se , Leipzig 1865 (Saturae M e­
nippeae)·, F. B u e c h e l e r - W. H e r a e u s lio N epote a Valerio Massimo e alla Laus
per un personaggio di spicco in una città greca, dove anzi procurano favore (Saturae M enippeae, in Petronii saturae, Pisonis, in Società romana e produzione
e reputazione. Si tratta, tutto sommato, di un relativismo piuttosto banale, Berlin 1922, pp. 177-250). schiavistica, voi. Ili, a cura di A . G i a r -
Studi: F. D e l l a C o r t e , L a filologia d i n a e A . S c h i a v o n e , Bari-Roma 1981,
che non si propone certo il fine di corrodere le basi ideologiche della società
latina dalle origini a Varrone, Firenze p. 127 segg.; E. N a r d u c c i , Cornelio N e­
romana: la diversità fra i maiorum instituta dei singoli popoli serve a dare p o te e la biografia romana, introduzione
19812; I d ., Varrone, il terzo gran lume
ragione di costumanze divergenti, non a propagandare un’incondizionata ade­ romano, Firenze 1970; AA.VV., Varron, a C o r n e l i o N e p o t e , Vite dei massimi
sione agli usi stranieri. Per di più, il «relativismo» della prefazione non è F ondation H ard t, Genève 1963; A tti del condottieri, M ilano 1986.
quasi per niente operante nelle biografie, dove spesso i personaggi sono giu­ Congresso Internazionale di Studi Var- Traduzioni italiane: L. A g n es (C o r ­
roniani, Rieti 1976; A . M o m ig lia n o , L o n e l io N e p o t e , Opere), Torino 1977, con
dicati secondo il metro di valori «assoluti», identici per la Grecia e per Ro­
sviluppo della biografia greca, trad. it. testo a fronte; L. C a n a l i (C o r n e l io N e ­
ma: pietas, abstinentia, industria, diligentia, prudentia, ecc. Torino 1974. p o t e , Gli uom ini illustri, Bari-Roma
Nepote scrittore Cornelio Nepote resta, nel complesso, uno scrittore mediocre: nonostan­ 1983), con testo a fronte; C . V ita li (C o r ­
te che la novità del suo progetto di raccolta biografica sia oggi sempre più C o r n e l io N e p o t e n e l io N e p o t e , Vite dei massimi con­
largamente riconosciuta, la qualità dell’esecuzione non può dirsi pari al pro­ Edizioni moderne: K. N ip p e r d e y - dottieri, M ilano 1986), con testo a
getto (il quale forse, più che a Nepote, potrebbe essere dovuto ad Attico H . W i t t e , Berlin 1913 (ristam pa anasta­ fronte.
o a qualche altro membro della sua cerchia): il suo merito maggiore è certo
quello di avere influenzato le Vite Parallele di Plutarco. Per ampiezza di
orizzonti intellettuali, Nepote non poteva competere con Varrone o con Ci­
cerone; inoltre, può darsi che si rivolgesse a un pubblico culturalmente meno
preparato: hanno portato a supporlo la relativa semplicità — a volte quasi
trasandata — dello stile (che tuttavia si concede saltuarie ricercatezze, ma
più fastidiose che efficaci), e soprattutto il carattere sbrigativamente somma­
rio di parecchie biografie, che sembra presupporre lettori provvisti di un
ridotto bagaglio di conoscenze. D’altronde egli stesso aveva coscienza pro­
grammatica che non agli storici era destinata la sua opera, ma a persone
di livello culturale comune (cfr. per esempio De viris illustribus 16,1,1): de­
stinatari insomma bisognosi di un’esposizione assai semplificata e più attrat­
ti da curiosità aneddotiche che non interessati all’accuratezza dell’informa­
zione o a giudizi critici e meditati.

La biografia di La più «originale», e probabilm ente la più riuscita fra le biografie di Cornelio N epo­
Attico te, è senza dubbio quella che egli dedicò al suo amico e protettore Attico. L ’argo­
mento era stimolante e difficile, perché si trattava di affrontare non una figura di
epoche lontane, m a un uom o dei tempi presenti; e per di più un uom o le cui scelte
di vita — l’astensionismo politico in prim o luogo — potevano suscitare varie perples­
sità. N arrando la vicenda um ana di A ttico, N epote ha voluto indicare ai propri letto­
ri l’esempio di una felice quanto difficile conciliazione fra virtù «arcaiche» e valori
«modernizzanti», fra esigenze di fedeltà alla tradizione rom ana e ricerca della tran ­
q u illità personale. Creando il «personaggio» di A ttico, Cornelio Nepote addita, alle
generazioni destinate a vivere sotto il principato, un nuovo modello etico il quale
si sforza di conferire dignità a scelte di vita non più imperniate sulla partecipazione
all’attività politica.
LE CAMPAGNE IN GALLIA 195

Opere spurie: oltre al libro ottavo del De bello Gallico, le ultime tre opere

CESARE del cosiddetto Corpus Caesarìanum, e cioè Bellum Alexandrinum, Bellum Afri-
cum, Bellum Hispaniense, resoconti degli ultimi avvenimenti della guerra civile,
composti in realtà da ignoti ufficiali di Cesare.

Fonti Le opere autentiche e spurie dello stesso Cesare; la Vita di Cesare di Sveto-
nio e quella di Plutarco; orazioni e lettere di Cicerone; Appiano, Bellum civile;
Dione Cassio, libri XXXVI-XLIV.

1. Il commentarius come genere storiografico


Vita Gaio Giulio Cesare nacque a Roma il 13 luglio del 100 a.C. da una famiglia
patrizia di antichissima nobiltà. Poiché tuttavia era imparentato con Mario e
con Cinna, venne in gioventù perseguitato dai sillani. Dopo la morte di Siila Autori di Il termine commentarius, che ricalcava il greco hypòmnema, indicava
(78 a.C.) ritornò a Roma dall’Asia, dove aveva servito nell’esercito, e incominciò commentarii un tipo di narrazione a mezzo fra la raccolta dei materiali grezzi (nel caso
la carriera forense e politica: fu questore nel 68, edile nel 65, pontefice massimo di Cesare, gli appunti personali, i rapporti al senato sull’andamento delle
nel 63, pretore nel 62, propretore nella Spagna Ulteriore nel 61. Nel 60 stipulò campagne galliche, e così via) e la loro elaborazione nella forma artistica
con Pompeo e Crasso l’accordo segreto cosiddetto del «primo triumvirato», in — cioè arricchita degli ornamenti stilistici e retorici — tipica della vera
vista della spartizione del potere. Rivestì per la prima volta il consolato nel e propria storiografia. Abbiamo già .accennato alla composizione di com­
59, carica che esercitò con energia e prevaricazione sul collega Bibulo. A partire
mentarii da parte di uomini politici importanti, come Scauro o Siila (cfr.
dall’anno seguente Cesare ottenne il proconsolato nella lllirìa e nella Gallia ro­
p. 107); e anche Cicerone compose vari commentarii, sia in latino che
manizzata (la Cisalpina e la Narbonese). Prendendo a pretesto presunte provo­
cazioni o sconfinamenti, nel territorio gallico posto sotto la sua giurisdizione,
in greco, sul proprio consolato, nell’intento di offrire a un qualche storico
da parte di tribù impegnate in vasti movimenti migratori, intraprese l’opera di — che tuttavia non riuscì mai a trovare — il materiale da plasmare e
sottomissione dell’intero mondo celtico, presentandola come un’operazione so­ organizzare in una narrazione propriamente storica nel senso che abbiamo
prattutto difensiva e preventiva. La conquista delle Gallie si protrasse per sette visto.
anni; con essa Cesare si procurò la base di un vastissimo potere personale. Carattere dei Cesare intendeva senza dubbio inserirsi in questa tradizione: sia Cicero­
Ostacolato con cavilli giuridici dai suoi avversari, che cercavano di impedirgli Commentarii di ne (Brutus 262), sia Irzio nella prefazione al libro ottavo del De bello Galli­
il passaggio diretto dal proconsolato in Gallia al secondo consolato, Cesare inva­ Cesare co parlano dei Commentarii di Cesare come di opere composte per offrire
se l’Italia alla testa delle sue legioni, dando in tal modo inizio alla guerra civile ad altri storici il materiale sul quale impiantare la propria narrazione. Come
(10 gennaio 49). Nell’agosto del 48 sconfisse a Farsàlo in Tessaglia l’esercito nel caso di Cicerone, ma per motivi diversi, questi storici non si trovarono:
senatorio guidato da Pompeo; successivamente soffocò altri focolai di resistenza
Cicerone e lo stesso Irzio sottolineavano che nessuno avrebbe osato provarsi
pompeiana in Africa (battaglia di Tapso, 46 a.C.) e in Spagna (battaglia di Mun-
da, 45 a.C.). Intanto, divenuto padrone assoluto di Roma, aveva ricoperto, talora
a riscrivere quanto Cesare già aveva detto con ineguagliabile semplicità. In
contemporaneamente, la dittatura e il consolato a partire dal 49. Il 15 marzo realtà, l’atteggiamento di Cesare celava forse una certa «civetteria»: sotto
del 44 veniva tuttavia assassinato da un gruppo di aristocratici di salda fede la veste dimessa, il commentarius, come egli lo concepiva e lo praticava,
repubblicana, preoccupati per le tendenze autocratiche e regali che Cesare an­ andava probabilmente avvicinandosi alla historia. Lo dimostrano la dram­
dava dimostrando. matizzazione di certe scene, il ricorso, in alcuni passi, ai discorsi diretti.
Ma Cesare usa una ammirabile sobrietà nel conferire al proprio racconto
efficacia drammatica, evitando gli effetti grossolani e plateali e soprattutto
Opere Opere conservate: Commentarti de bello Gallico, in sette libri, più un libro
ottavo composto probabilmente dal luogotenente di Cesare, Aulo Irzio, per com­ i pesanti fronzoli retorici: in questa direzione va anche l’uso della terza per­
pletare il resoconto della campagna gallica; Commentarii de bello civili, in tre sona, che distacca il protagonista dall’emozionalità dc\l’ego e lo pone come
libri; un epigramma in versi su Terenzio (è il frammento 91 dei Fragmenta Poeta- personaggio autonomo nel teatro della storia.
rum Latinorum del Morel).
Opere perdute: diverse orazioni (in una di esse, l’elogio funebre della zia
Giulia, si affermava la discendenza della gens lulia da lulo-Ascanio e quindi da
Enea e Venere); un trattato su problemi di lingua e stile (De analogia), terminato
nell’estate del 54; vari componimenti poetici giovanili (un poema, Laudes Hercu- 2. Le campagne in Gallia nella narrazione di Cesare
lis, e una tragedia, Oedipus; inoltre una raccolta di detti memorabili, i Dieta col-
lectanea) e un poema (Iter) sulla spedizione in Spagna nel 45; un pamphlet in
due libri contro la memoria di Catone Uticense (Anticato), scritto in polemica con Riassunto del De L ’opera che comunemente si indica col titolo di De bello Gallico si chia­
l’elogio di Catone composto da Cicerone (Laus Catonis: cfr. p. 153). bello Gallico mava probabilmente in origine C. Iulii Caesaris commentarii rerum gesta-
196 CESARE LA NARRAZIONE DELLA GUERRA CIVILE 197

rum; il sottotitolo col riferimento alla campagna gallica sarà stato aggiunto 3. La narrazione della guerra civile
in seguito, successivamente alla morte dell’autore, per meglio distinguere
questi commentarii da quelli sulla guerra civile e dagli altri confluiti nel
Corpus Caesarìanum. Il De bello civili: Il De bello civili si divide in tre libri, di cui i primi due narrano gli
a) data di eventi del 49, e il terzo quelli del 48, senza tuttavia arrivare a coprire intera­
I sette libri dell’opera coprono il periodo dal 58 al 52, in cui Cesare procedé alla composizione mente gli avvenimenti di quest’ultimo anno. I tempi della composizione e
sistematica sottomissione della Gallia; la conquista si svolse secondo fasi alterne, pubblicazione sono ancora più incerti che per il De bello Gallico: si è addi­
registrando anche pesanti scacchi che il racconto di Cesare attenua o giustifica, m a rittura dubitato se il racconto della guerra civile sia stato pubblicato da Ce­
non nasconde. Il I libro, relativo agli avvenimenti del 58, tratta della campagna
contro gli Elvezi, che con i loro movimenti migratori avevano offerto a Cesare il
sare vivo, o da qualcun altro solo dopo la sua morte. Quest’ultima ipotesi,
pretesto per imbarcarsi nella guerra, e contro il capo germanico Ariovisto; il libro anche se non sembra si debba accettare, può farsi forza del fatto che l’opera
II racconta la rivolta delle tribù galliche, il III la cam pagna contro le popolazioni appare incompiuta: la narrazione, infatti, lascia in sospeso l’esito della guer­
situate sulla costa atlantica; il IV libro registra le operazioni contro le infiltrazioni ra di Alessandria. A parte questa e altre minori difficoltà, in genere si pensa
dei popoli germanici, che avevano passato il Reno (Usipeti e Tencteri, massacrati che il De bello civili sia stato composto nella seconda metà del 47 e nel
spietatamente) e contro i capi gallici ribelli, Induziom aro e Ambiorige. Sempre nel
libro IV, e poi nel V, Cesare fornisce un resoconto delle sue due spedizioni contro 46, pubblicato poi nello stesso anno 46.
i Britanni (nel 55 e nel 54), accusati di fornire aiuti ai Galli ribelli. La conquista b) tendenze Dall’opera affiorano naturalmente le tendenze politiche di Cesare, che
della Gallia non è infatti del tutto salda: soprattutto le popolazioni della Gallia Belgi­ politiche non si lascia sfuggire le occasioni per colpire la vecchia classe dirigente,
ca oppongono u n a energica resistenza, che Cesare riesce a stroncare solo con una rappresentata come una consorteria di corrotti. Cesare ricorre all’arma di
cam pagna di sterminio e di devastazione, n arrata nei libri V e VI. A ppena soffocata
questa rivolta, esplode tuttavia nel 52 l’insurrezione generale, guidata dal re degli
una satira sobria — una novità stilistica rispetto al De bello Gallico — per
Arverni, Vercingetorìge. D opo una nuova cam pagna di devastazioni e massacri da svelare le basse ambizioni e i meschini intrighi dei suoi avversari, per esem­
parte dei Rom ani, la resistenza gallica ha term ine con l’espugnazione di Alesia, dove pio di uomini come Catone o Lentulo Crure, che si riempiono la bocca
Vercingetorìge viene catturato (libro VII). di parole come giustizia, onestà, libertà, mentre sono mossi da rancori per­
sonali o avidità di guadagno. La rappresentazione satirica culmina nel qua­
Data di Sui tempi della composizione del De bello Gallico, vi ,è disaccordo fra dro del campo pompeiano prima della battaglia di Farsàlo: sicuri della pros­
composizione e gli interpreti: secondo alcuni sarebbe stato scritto di getto nelPinverno del sima disfatta di Cesare, i suoi avversari stabiliscono le pene da infliggere,
stile del De bello 52/51; altri preferiscono pensare a una composizione anno per anno, duran­ si aggiudicano i beni di coloro che stanno per proscrivere, si contendono
Gallico te gli inverni, nei periodi in cui erano sospese le operazioni militari. Questa le cariche politiche, talora arrivando ad accapigliarsi.
•seconda ipotesi ha a suo favore l’esistenza di alcune contraddizioni interne c) la Non si trovano tuttavia, nel De bello civili, i punti precisi di un pro­
all’opera, che in parte sono state esagerate, ma che restano comunque diffi­ rassicurazione dei gramma di rinnovamento politico dello stato romano: Cesare aspira soprat­
cilmente spiegabili se si ammette invece una redazione avvenuta in un breve «benpensanti» tutto a dissolvere di fronte all’opinione pubblica l’immagine che di lui dava
lasso di tempo; inoltre questa ipotesi, meglio dell’altra, sembra dare ragione la propaganda aristocratica, presentandolo come un rivoluzionario, un con­
della sensibile evoluzione stilistica che si è creduto di poter riscontrare nei tinuatore dei Gracchi o, peggio ancora, di Catilina; vuole mostrarsi come
Commentarii. Tale evoluzione sembra procedere dallo stile scarno e disador­ colui che si è sempre mantenuto nell’ambito delle leggi, che le ha difese
no del commentarius vero e proprio in direzione di concessioni progressiva­ contro gli arbitrii dei suoi nemici. Il destinatario della sua propaganda è
mente maggiori a taluni ornamenti tipici della historia; così, per esempio, lo strato «medio» e «benpensante» dell’opinione pubblica romana e italica
nella seconda parte dell’opera si fa più frequente l’uso del discorso diretto, (lo stesso a cui si rivolgerà Cicerone nel De officiis: cfr. p. 170 seg.), che
e si nota anche il ricorso a una maggiore varietà di sinonimi, il che determi­ vede nei pompeiani i difensori della costituzione repubblicana e della legali­
na un certo ampliamento del patrimonio lessicale (nella prima parte del De tà, e che teme i sovvertimenti sociali. È uno strato sul quale la propaganda
bello Gallico Cesare si mostra invece indifferente al ricorrere delle stesse aristocratica fa sentire pesantemente il suo influsso, ma che dal partito ari­
parole, ripetute anche più di una volta e anche a breve distanza: c’è chi stocratico può anche essere sganciato: proprio questo è il tentativo che Cesa­
ha voluto spiegare la cosa con l’adesione di Cesare linguista alle teorie ana- re intraprende. Ciò spiega, in più di un passo, la tendenza a rassicurare
logiste — per cui cfr. il paragrafo 6 — che l’avrebbero portato verso una i ceti possidenti, per esempio a proposito di una questione scottante come
rigorosa «proprietà» terminologica: ogni cosa doveva essere designata con quella dei debiti che gravavano sia sulla plebe sia su membri dissoluti dell’a­
un solo nome). ristocrazia; Cesare dà ragione di alcuni suoi provvedimenti di emergenza,
Non è tuttavia facile, né metodologicamente opportuno, sbarazzarsi del­ ma contemporaneamente mette in risalto come da parte sua non ci si debba­
la esplicita testimonianza di Irzio (sempre nella prefazione al libro V ili) sulla no attendere tabulae novae, cioè provvedimenti di cancellazione dei debiti
rapidità con la quale Cesare aveva composto i suoi Commentarii·, è comun­ del tipo di quelli proposti a suo tempo da Catilina. La volontà di rassicurare
que possibile che Cesare, per comodità compositiva, abbia redatto separata- i creditori traspare anche dall’ampiezza con cui Cesare si intrattiene sulla
mente, magari in forma più o meno abbozzata, i resoconti delle varie campa­ repressione del movimento che chiedeva provvedimenti ben più drastici in
gne, e li abbia poi in un secondo momento riordinati e coordinati: la testimo­ favore dei debitori, sollevato da Celio Rufo (il personaggio che Cicerone
nianza di Irzio potrebbe riferirsi proprio a questa seconda fase della redazione. aveva difeso nella Pro Caelio: cfr. p. 159).
1E TEORIE LINGUISTICHE DI CESARE 199
198 CESARE

nia. Nel De bello civili Cesare sottolinea come la sua azione si sia sempre
d) pax e Sottolineando di essersi sempre mantenuto nei limiti della legalità repub­
clementia
mossa nel solco delle leggi, si presenta come un politico moderato, dal quale
blicana, Cesare trova modo anche di insistere sulla propria costante volontà
non ci si devono certo attendere accessi rivoluzionari.
di pace: lo scatenarsi della guerra si deve solo al rifiuto, più volte ripetuto, In ambedue le opere, egli mette in luce le proprie capacità di azione
Carisma e
di trattative serie da parte dei pompeiani. Un altro fondamentale motivo fortuna militare e politica, ma — forse diversamente da quanto faceva nelle forme
dell’opera è la clemenza di Cesare verso i vinti, contrapposta alla crudeltà di propaganda non scritta, che si rivolgevano a un pubblico popolare, meno
degli avversari; dopo Mario e Siila, molti si aspettavano nuove proscrizioni, colto e smaliziato, — non alimenta Palone carismatico intorno alla propria
nuovi bagni di sangue. Cesare si preoccupa di rassicurare la popolazione, figura. La fortuna è un elemento largamente presente nella sua narrazione,
e) l’esaltazione e insieme di disarmare l’odio dei suoi nemici. Non si può infine dimenticare
dei soldati
ma non viene presentata come una divinità protettrice; è piuttosto un con­
il vero e proprio monumento che in questi commentarli, come già in quelli
cetto che serve a spiegare cambiamenti repentini di situazione, un fattore
sulla guerra gallica, Cesare eleva alla fedeltà e al valore dei propri soldati, imponderabile che talora aiuta anche i nemici di Cesare; è soprattutto ciò
dei quali contraccambia l’attaccamento con affezione sincera. Probabilmen­ che sfugge alle capacità di previsione e di controllo razionale dell’uomo.
te l’elogio che Cesare fa dei componenti del suo esercito non può essere Cesare cerca infatti di spiegare gli avvenimenti secondo cause umane e natu­
staccato dal processo di promozione sociale, fino all’ammissione nei ranghi rali, di coglierne lucidamente la logica interna; e non fa praticamente mai
del senato, degli homines novi di provenienza militare; ma è anche pensando ricorso all’intervento della divinità.
ai posteri che Cesare tramanda nella sua opera i nomi di centurioni o di
semplici soldati distintisi in atti di particolare eroismo.

5. I continuatori di Cesare
4. La veridicità di Cesare e il problema della «deformazione storica»
Irzio, Bellum Il luogotenente di Cesare Aulo Irzio compose il libro V ili del De bello
Alexandrinum, Gallico, per congiungere la narrazione di quest’ultimo con quella del De
Oggettività e Lo stile scarno dei Commentarii cesariani, il rifiuto degli abbellimenti Bellum Africum, bello civili tramite il racconto degli avvenimenti degli anni 51 e 50. Sempre
tendenziosità nei retorici tipici della historia vera e propria, la forte riduzione del linguaggio Bellum a Irzio si deve probabilmente il Bellum Alexandrinum. Si può presumere
Commentarli valutativo, contribuiscono moltissimo al tono apparentemente oggettivo e Hispaniense che queste opere dall’andamento sobrio e scarno rispettino la tradizione sti­
impassibile della narrazione cesariana. Sotto questa impassibilità la critica listica del commentario in modo più aderente di quelle del Cesare autentico:
moderna ha tuttavia creduto di scoprire interpretazioni tendenziose e defor­ la maniera di scrivere cesariana, come abbiamo visto, spingeva talora il com­
mazioni degli avvenimenti a fini di propaganda politica. È indubbio che mentario verso la historia, senza tuttavia rinunciare in niente alPesigenza
su questa via ci si è spinti parecchio oltre la misura opportuna; ma altrettan­ di sobrietà, e attingendo livelli di lapidaria eleganza e suggestione che resta­
to indubbia è la connessione dei Commentarii con la lotta politica. La con­ rono ignoti a Irzio e agli altri continuatori. Tuttavia il genere del commenta-
nessione è più immediata nel caso del De bello civili — dove l’urgenza delle rius non era, a quanto pare, molto stabile, e in questi continuatori di Cesare
tematiche scottanti del presente è viva ed evidente — che non nel caso del si apre a diverse sollecitazioni: il Bellum Africum si riveste con una certa
De bello Gallico·, è indubbiamente una forzatura l’interpretazione che vuole frequenza di una patina arcaizzante, mentre il Bellum Hispaniense, generan­
quest’ultima opera scritta e divulgata al fine di appoggiare la candidatura do squilibri e discrepanze di tono, dissemina sporadiche ricercatezze di stile
di Cesare al secondo consolato. su un fondo linguistico popolareggiante e colloquiale, non scevro di tratti
In ambedue le opere la presenza di procedimenti di deformazione è co­ decisamente volgari. A ragione si è indicato il suo anonimo autore in un
munque innegabile: non si tratta mai di falsificazioni vistose, ma di omissio­ homo militaris non privo di un rudimentale tirocinio retorico che ne alimen­
ni più o meno rilevanti, di un certo modo di presentare i rapporti tra i ta le vane velleità letterarie.
fatti. Cesare fa ricorso ad artifici abilissimi, dissimulati quasi perfettamente:
attenua, insinua, ricorre a lievi anticipazioni o posticipazioni, dispone le ar­
gomentazioni in modo da giustificare i propri insuccessi.
La guerra gallica Coerentemente con queste tendenze della narrazione cesariana, il De bello
come guerra Gallico, nel suo complesso, non può essere letto come un’esaltazione della 6. Le teorie linguistiche di Cesare
difensiva conquista. Come abbiamo visto, Cesare mette invece in rilievo le esigenze
difensive che lo hanno spinto a intraprendere la guerra; era del resto consue­ La perdita delle orazioni di Cesare è uno dei danni più gravi subiti dalla
Cesare oratore
tudine consolidata dell’imperialismo romano presentare le guerre di conqui­ letteratura latina, a starsene ai giudizi sempre entusiastici di quelli fra gli
sta come necessarie a proteggere lo stato romano e i suoi alleati da pericoli antichi che poterono leggerle, come Quintiliano, Tacito, ecc. Nel passo del
provenienti da oltre confine. Oltre che ai Romani, Cesare si rivolge all’ari­ Brutus che abbiamo già ricordato, Cicerone sembra in qualche misura con­
stocrazia gallica per assicurarle la sua protezione contro i facinorosi che, trapporre lo stile del Cesare dei Commentarii a quello delle sue orazioni,
sotto gli sbandierati ideali di indipendenza, celano l’aspirazione alla tiran-
200 CESARE BIBLIOGRAFIA 201

cui non avrebbero fatto difetto gli ornamenti retorici; è un giudizio sul quale Fu questa praticamente l’ultima volta che al mito nascente di Cesare
non si può giurare, perché l’intenzione di Cicerone (cfr. p. 163 seg.) — uomo di stato sembrò aggiungersi l’ammirazione dei lettori per lo scrittore
che non poteva negare l’efficacia dello stile oratorio di Cesare — era proba­ più asciutto della latinità, per lo stilista cui l’economia espressiva e l’essen­
bilmente di ricondurre questo stile a matrici diverse da quelle atticistiche, zialità della scrittura parevano gli unici mezzi di parlare oggettivamente, più
insistendo sugli ornamenti retorici e minimizzando la elegantìa come fonte con la forza delle cose dette che con il gioco artefatto delle retoriche discor­
del successo di fronte all’uditorio. Probabilmente lo stile oratorio di Cesare sive. Già Quintiliano, quando rivolgeva la sua attenzione al Cesare ‘lettera­
avrà evitato i «gonfiori» (tumores) e i colori troppo sgargianti, ma l’uso to’, era l’oratore che lodava, senza mostrare interesse alcuno per lo scrittore
accorto degli ornamenta lo avrà salvato dagli estremismi di uno stile scarno di storia.
e «digiuno» caro agli atticisti più spinti. Sembra perciò quasi il segno di una nuova sensibilità stilistica l’attenzio­
Cesare analogista Lo stesso Cicerone comunque è pronto a riconoscere che Cesare agì ne che Montaigne tributa, ammiratissimo, alla forma del discorso cesariano:
da «purificatore» della lingua latina, «correggendo un uso difettoso e cor­ «Eh, Dio sa di che grazia e di che bellezza quest’uomo ha circondato la
rotto con un uso puro e irreprensibile». Cesare espose le proprie teorie lin­ sua ricca materia: uno stile così puro, così delicato, così perfetto, che a
guistiche nei tre libri De analogia (sul concetto cfr. p. 109), composti nel mio gusto non si è scritto al mondo nulla di paragonabile in questo campo».
54 e dedicati proprio a Cicerone, che certo non condivideva quelle teorie. Il nuovo gusto del Rinascimento francese s’affaccia qui nell’ammirazione
Dal trattato emergeva, a quanto pare, l’opzione per un trattamento raziona­ di Montaigne, e pare preludere ai lucidi ideali di limpidità e di ordine espres­
le e «ascetico» del latino. I pochi frammenti conservati mostrano come Ce­ sivo che di lì a poco avrebbero trovato in Cartesio il rappresentante emble­
sare ponesse a base dell’eloquenza l’accorta scelta delle parole, per la quale matico.
il criterio fondamentale è la «analogia», la selezione razionale e sistematica, E sulla nitidezza del racconto e la perfezione del linguaggio anche Man­
contrapposta alla «anomalia», l’accettazione di ciò che diviene man mano zoni, tormentato cesellatore della parola narrativa, darà un giudizio di som­
consueto nel sermo cotìdianus. La selezione deve limitarsi ai verba usitata, mo elogio: accanto a Virgilio, poneva come scrittore perfetto Cesare «per
le parole già nell’uso; Cesare consigliava di fuggire, come il nocchiero fa la dignitosa urbanità dello stile e per la sapienza storica». Ma la stessa straor­
con uno scoglio, le parole strane e inusitate. È evidente la coerenza di queste dinaria eleganza, l’essenzialità della costruzione discorsiva, la nuda semplici­
prescrizioni con lo stile asciutto e preciso dei Commentarii. L ’analogismo tà del periodare ordinato e perspicuo, avrebbero condannato presto questi
di Cesare è cura della semplicità, dell’ordine, e soprattutto della chiarezza, testi raffinati a divenire terreno privilegiato di apprendimento e di esercizio
alla quale talora egli arrivava a sacrificare la grazia. Abbiamo visto come della lingua latina per molte generazioni di studenti ginnasiali, ostacolando
Cicerone avesse riconosciuto la grandezza dei Commentarii·. ma nel comples­ il piacere educato e maturo di uno stile narrativo assolutamente eccezionale.
so le teorie linguistiche di Cesare non potevano certo trovarlo consenziente,
e il fatto che proprio a lui Cesare dedicasse il suo trattato è altrettanto
poco una prova di comunanza di convinzioni letterarie quanto lo è, da parte
di Cicerone, la dedica all’atticista Bruto di opere come il Brutus o YOrator Bibliografia Edizioni moderne: A. K l o t z , Leip­ A. L a P e n n a , Tendenze e arte del «Bel­
(cfr. p. 163 seg.). zig 1921-1926; L. A. C o n sta n s - P . Fa- lum civile» d i Cesare, in A sp etti del p e n ­
b r e , Paris 1926-1936; O. S e e l , Leipzig siero storico latino, Torino 1978; G. P a ­
1961 (De bello Gallico). Commento a cura s c u c c i , Interpretazione linguistica e stili­
di F. K r a n e r - W. D it t e n b e r g e r - H. stica del Cesare autentico, in A ufstieg und
M e u s e l , Berlin 1913-1920, per il D e bel­ Niedergang der ròmischen Welt, I 3, Ber­
lo Gallico, e di F. K r a n e r - F. H o fm a n n illi - New York 1973, p. 488 segg.; G.
7. Fortuna di Cesare scrittore - H . M e u s e l , Berlin 1906, per il D e bello P e r r o t t a , Cesare scrittore, in «M aia»,
civili (rist. anastatica con aggiunte biblio­ 1, 1948, pp. 5-32; M. R a m b a u d , L ’art
grafiche, Berlin 1959-1960). Commento de la déform ation historique dans les
Il giudizio che Cicerone espresse sui Commentarii di Cesare appare tan­ del Bellum Hispaniense a cura di G. P a ­ Commentaires de César, Paris 19662.
to più importante se si considera la profonda differenza di stile che separa s c u c c i , Firenze 1965. F ra le numerose biografie, ne ricor­
la forma di scrittura cesariana da quella ciceroniana (Brutus 262): «Ha scrit­ Studi: F. E. A d c o c k , Caesar as Man diamo una che costituisce anche un p a­
o f Letters, Cambridge 1956; L. C a n a l i , noram a dell’epoca: J. C a r c o p in o , Giu­
to dei commentari veramente degni d’ogni elogio: sono nudi, schietti e pieni
Personalità e stile di Cesare, Rom a 1963; lio Cesare, trad. it. M ilano 1975.
di grazia, spogliati di ogni abbellimento oratorio come un corpo senz’abito;
ma volendo preparare dei materiali per quelli che intendessero scrivere di
storia, forse ha fatto un piacere a quegli sciocchi che si sforzeranno di ac­
conciare con riccioli le chiome del testo; quelli sani di mente li ha piuttosto
scoraggiati dallo scrivere». Aggiungeva Irzio, l’ufficiale di Cesare che conti­
nuò la stesura dei commentari (De bello Gallico V ili pr.): «Noi siamo anco­
ra più stupiti degli altri lettori, giacché loro sentono la perfezione di questo
stile così castigato, mentre noi sappiamo anche con quanta facilità e rapidità
questo libro sia stato scritto».
LA CONGIURA DI CATILINA 203

1. La monografia storica come genere letterario


SALLUSTIO
I proemi Ad ambedue le sue monografie Sallustio antepone proemi di una certa
sallustiani: estensione, nei quali si sforza di giustificare il fatto di essersi ritirato dalla
storiografia e vita politica, dedicandosi alla composizione di opere storiche. Anche se si
prassi politica nutrono di luoghi comuni della filosofia divulgativa, i proemi sallustiani ri­
spondono all’esigenza profonda di dare conto della propria attività intellet­
tuale di fronte a un pubblico come quello romano, fedele alla tradizione
per cui fare storia è compito più importante che scriverne. Giustificazioni
analoghe aveva più volte dovuto fornire Cicerone — anch’egli in testi proe­
Vita Gaio Sallustio Crispo nacque ad Amiternum, nella Sabina (oggi press’a poco miali — a proposito delle sue opere filosofiche; ma in Cicerone la rivaluta­
L’Aquila), il 1° ottobre dell’86 a.C., da famiglia facoltosa che però non aveva zione dell’attività intellettuale è compiuta con un orgoglio senz’altro supe­
mai dato magistrati allo stato (homo novus, perciò, come il suo conterraneo Cato­ riore a quello di Sallustio, che alla storiografia attribuisce un valore di gran
ne il Censore, che fu per lui importante esempio ideologico e letterario). Compì lunga inferiore a quello della politica, e comunque non le conferisce un si­
probabilmente gli studi a Roma, dove i suoi interessi cominciarono presto a gravi­ gnificato «autonomo»: per Sallustio la storiografia resta infatti strettamente
tare verso la politica. Una notizia non troppo certa lo vuole questore nel 55 o
legata alla prassi politica, e la sua maggiore funzione è individuata nel con­
nel 54. Si legò inizialmente ai populares: tribuno della plebe nel 52, condusse
tributo alla formazione dell’uomo politico.
una campagna accanita contro l’uccisore di Clodio, Milone, e Cicerone che lo
appoggiava. Poco dopo dovè subire la vendetta degli aristocratici: nel 50 venne La monografia I pochi cenni autobiografici contenuti nei proemi di Sallustio sono volti
espulso dal senato per indegnità morale. Dopo lo scoppio della guerra civile com­ come indagine a spiegare l’abbandono della vita politica con la crisi che ha irrimediabil­
battè dalla parte di Cesare, e fu riammesso nel senato dopo la vittoria di quest’ul­ sulla crisi mente corrotto le istituzioni e la società. Sallustio — e in ciò si fa evidente
timo: la sua carriera ripartì rapida, tanto che nel 46 era già arrivato a essere il contrasto fra la pagina scritta e quanto sappiamo della sua vita — denun­
pretore. Una volta sconfitti i pompeiani in Africa, Cesare nominò Sallustio gover­ cia l’avidità di ricchezza e di potere come i mali che avvelenano la vita
natore della provincia di Africa nova, costituita con la maggior parte del regno politica romana. Ma la cosa più importante è che la stessa storiografia sallu-
di Numidia, tolto a Giuba che aveva appoggiato i pompeiani. Sallustio dette tutta­ stiana tende a configurarsi come indagine sulla crisi. Ciò serve a dare conto
via prova di malgoverno e di rapacità; al ritorno dalla provincia venne colpito dell’impianto monografico delle sue due prime opere storiche, che costituiva
da un’accusa di malversazione. Per evitargli la condanna e la nuova espulsione
una novità quasi totale nella storiografia romana (l’unico precedente di qual­
dal senato, probabilmente Cesare lo consigliò di ritirarsi una volta per tutte dalla
che peso è quello di Celio Antipatro: cfr. p. 106). L’impostazione monogra­
vita politica. Fu da questo momento in poi che Sallustio si dedicò alla storiografia.
La morte lo colse nel 35 o nel 34, nella sua lussuosa residenza con grande parco
fica serviva in maniera eccellente a delimitare e a mettere a fuoco un singolo
tra il Quirinale e il Pincio (i cosiddetti Horti Sallustiani), facendo sì che restasse problema storico sullo sfondo di una visione organica della storia di Roma.
incompiuta la sua opera maggiore, le Historiae. Così il Bellum Catilinae illumina il punto più acuto della crisi, il delinearsi
di un pericolo sovversivo di qualità finora ignota allo stato romano; il Bel­
lum Iugurthinum affronta direttamente, attraverso una vicenda paradigma­
Opere Due monografie storiche: Bellum Catilinae (o De Catilinae coniuratione, co­ tica, il nodo costituito dall’incapacità della nobilitas corrotta a difendere
me la chiama Sallustio stesso in 4.3) e Bellum lugurthlnum, composte e pubblica­
lo stato, e insiste sulla prima resistenza vittoriosa dei populares. Contempo­
te probabilmente negli anni fra il 43 e il 40. Un’opera di più vasto respiro, le
raneamente, l’impianto monografico risentiva dell’esigenza di opere brevi
Historiae, iniziata intorno al 39 e rimasta incompiuta al libro V; l’opera copriva
il periodo fra il 78 e il 67 (dalla morte di Siila alla fine della guerra di Pompeo di raffinata fattura stilistica, acuitasi dopo l’esperienza neoterica. La scelta
contro i pirati): ne restano numerosi frammenti, fra i quali alcuni di vaste dimen­ della monografia portò Sallustio ad elaborare un nuovo stile storiografico
sioni (buona parte del proemio, quattro discorsi completi e due lettere). (cfr. il paragrafo 5).
Opere spurie: due Epistulae ad Caesarem senem de re publica, e Ylnvectiva
in Ciceronem.
È per lo più considerata improbabile la notizia che Sallustio avrebbe compo­
sto un poema dal titolo Empedoclea in cui confluivano dottrine empedoclee e
pitagoriche (si tratta probabilmente di autore omonimo: verosimilmente Gneo Sal­ 2. La congiura di Catilina e il timore dei ceti subalterni
lustio, amico di Cicerone).

Il piano di Catilina, la cui «congiura» Cicerone console aveva represso nel 63 (cfr.
Fonti Per la data di nascita ci si basa sulla Cronaca di Girolamo; per le altre vicende Catilina p. 157), aveva intravisto la possibilità di coalizzare una sorta di «blocco
della vita e della carriera politica, si fa ricorso a cenni sparsi in varie fonti storiogra­ sociale» avverso al regime senatorio: il proletariato urbano, i ceti poveri
fiche ed erudite (soprattutto Dione Cassio 40,63 e 43,9). Per il ritiro dalla vita politi­ di alcune zone dell’Italia, i membri indebitati dell’aristocrazia, forse masse
ca è importante la testimonianza dello stesso Sallustio in Bellum Catilinae 3.3-4.2.
più o meno ampie di schiavi.
204 SALLUSTIO LA CONGIURA D I CATILINA 205

Riassunto del Dopo il proem io (1-4), Sallustio muove dal ritratto di Catilina: la personalità di consolidare e ampliare i propri privilegi. Sallustio vede un legame organico
Bellum Catìllnae questo aristocratico corrotto è messa a fuoco sullo sfondo generale della decadenza fra la faziosità dei partiti contrapposti e il pericolo di sovversione sociale;
dei costumi rom ani, dovuta allo stesso accrescersi della potenza dell’im pero e al abolire la «conflittualità» diffusa è necessario per mettere i ceti possidenti
dilagare del lusso e delle ricchezze. A pprofittando di questa degradazione morale,
Catilina raggruppa intorno a sé personaggi che per i motivi più diversi, per sfuggire definitivamente al riparo da quel pericolo. La condanna del «regime dei
alla miseria o ai tribunali, auspicano un cambiamento di regime (5-18). La nobilitas, partiti» è in questo senso coerente con le aspettative che Sallustio ripone
che grazie ad alcune indiscrezioni comincia a subodorare il com plotto, sotto l’effetto in Cesare; da parte di quest’ultimo, lo storico auspicava probabilmente l’at­
dei tim ori da esso suscitati decide di affidare il consolato ad A ntonio e ad un hom o tuazione di una politica per certi aspetti non diversa da quella che Cicerone
novus, Cicerone. Catilina continua i suoi preparativi, estendendoli a tu tta l’Italia.
Grazie a un proprio accolito, M anlio, raduna a Fiesole un esercito com posto in
si riprometteva dal suo princeps: un regime autoritario che sapesse porre
larga parte di disperati e gente piom bata nella miseria (18-25). Catilina, sconfitto fine alla crisi dello stato ristabilendo l’ordine nella res publica, rinsaldando
nelle elezioni consolari, compie alcuni attentati alla vita di Cicerone, che vanno a la concordia fra i ceti possidenti, restituendo prestigio e dignità a un senato
vuoto. Cicerone ottiene dal senato i pieni poteri per soffocare la ribellione; l’8 no­ ampliato con uomini nuovi provenienti dalla élite di tutta l’Italia. La diver­
vembre del 63 accusa apertam ente Catilina in senato (I Catilinaria). Catilina fugge genza principale dell’ideale di Sallustio dalla politica effettivamente perse­
da Roma, e va a raggiungere M anlio e il suo esercito; il senato dichiara entram bi
nemici pubblici (26-36). A questo punto Sallustio introduce un excursus sui motivi
guita da Cesare riguardava probabilmente la funzione che questi aveva attri­
della degenerazione della vita politica e sulle condizioni che hanno favorito l’attività buito all’esercito: Sallustio — anche qui non troppo diversamente da Cicero­
di Catilina (37-39). La narrazione riprende con le varie vicende grazie alle quali Cice­ ne — sarà stato disgustato dall'«inquinamento» del senato con l’immissione
rone arriva ad avere in mano le prove tangibili del com plotto. Cicerone fa incarcera­ di personaggi provenienti dai ranghi militari.
re i complici di Catilina rimasti in città, e il senato si riunisce per deliberare sulla
loro sorte. D opo che Decimo Giunio Silano si è pronunciato per la condanna a La deformazione Questa impostazione generale spiega la parziale deformazione che nel
m orte, si contrappongono i discorsi di Cesare e di Catone il Giovane: il prim o chiede del personaggio Bellum Catilinae Sallustio ha compiuto del personaggio di Cesare, purifican­
una pena più mite, il secondo ribadisce con vigore la necessità della condanna a di Cesare dolo, per così dire, da ogni contatto e legame con i catilinari ed evitando
m orte (40-52). D opo averne riportato i discorsi, Sallustio introduce un parallelo tra la condanna esplicita della sua politica come capo dei populares. Sallustio
Cesare e Catone, due personaggi dalle virtù opposte e com plem entari, i soli grandi stacca il fenomeno catilinario dalla politica sana dell’opposizione antiaristo­
uomini del tem po (53-54). I complici di Catilina vengono giustiziati. Catilina, a capo
della sua arm ata, tenta di rifugiarsi nella Gallia Transalpina, m a viene intercettato cratica e indica nella corruzione della gioventù la causa prima della congiu­
dall’esercito regolare e costretto al com battim ento nei pressi di Pistoia (gennaio 62). ra. Nel riferire la seduta del senato in cui viene decisa la condanna a morte
L ’arm ata ribelle viene annientata, e lo stesso Catilina, dopo avere com battuto valo­ dei complici di Catilina, Sallustio fa pronunciare a Cesare un discorso che,
rosamente, trova la m orte nella battaglia (55-61). per sconsigliare la condanna a morte, fa largo appello a considerazioni lega­
litarie; il discorso «rifatto» da Sallustio non è, a quanto pare, una sostanzia­
La paura dei ceti Il fenomeno catilinario suscitò nei gruppi dirigenti timori che possono le falsificazione: ma l’insistenza sulle tematiche legalitarie, se anche trovava
possidenti apparire eccessivi: ma senza la paura dei ceti possidenti nei confronti degli qualche appiglio nel discorso effettivamente tenuto da Cesare in quell’occa­
strati inferiori, mal si spiega l’importanza che alla «congiura» venne attri­ sione, è soprattutto coerente con la propaganda cesariana degli ultimi anni,
buita. Sallustio, come molti suoi contemporanei, vedeva del resto nel perico­ quale ce la mostrano i Commentarii (cfr. p. 198), e con l’ideale politico
lo catilinario uno dei sintomi della ben più grave malattia di cui soffriva di Sallustio. La preoccupazione per l’ordine e la legalità conteneva, agli oc­
la società romana; ad essa lo storico, interrompendo la narrazione, dedica chi dello storico, un valore perenne: mostrandola operante nel pensiero di
L’«archeologia» un ampio excursus, quasi all’inizio del Bellum Catilinae. Si tratta della co­ Cesare fino dal 63, Sallustio implicitamente suggeriva la coerenza e la conti­
siddetta «archeologia», che, con ispirazione tucididea, traccia una rapida nuità della sua linea politica.
storia dell’ascesa e della decadenza di Roma. Il punto di svolta è individuato 11 confronto tra Immediatamente dopo la narrazione della seduta del senato, Sallustio
nella distruzione di Cartagine, a partire dalla quale — con la cessazione del Cesare e Catone delinea i ritratti di Catone e di Cesare, che in quell’occasione avevano dato
metus hostilis, il timore verso i nemici esterni che in precedenza aveva man­ pareri opposti. L ’idea del confronto fra i due personaggi non è senza rap­
tenuto salda e compatta la collettività cittadina — Sallustio fa incominciare porti con la polemica su Catone che si era sviluppata dopo il suo suicidio
il deterioramento della moralità romana. In questo processo di degenerazio­ in Utica, e alla quale aveva preso parte lo stesso Cesare con VAntìcato (cfr.
ne, il «democratico» Sallustio attribuisce un ruolo di rilievo alla figura del p. 194). Sallustio sembra essere stato il primo a tentare una riflessione sere­
dittatore aristocratico Cornelio Siila, al cui esempio si ispirano gli individui na, che approda a una sorta di ideale «conciliazione» fra i due personaggi.
della risma di Catilina: lo storico insiste infatti sull’orrore delle proscrizioni Il ritratto di Cesare si sofferma da un lato sulla sua liberalità, munificentia,
sillane, in cui Catilina si era tristemente distinto all'inizio della sua carriera. misericordia, e dall’altro sulla infaticabile energia che sorregge la sua brama
La condanna del Un secondo excursus, collocato al centro dell’opera, denuncia la degene­ di gloria. Le virtù tipiche di Catone sono invece quelle, radicate nella tradi­
«regime dei razione della vita politica romana nel periodo che va dalla dominazione di zione, di integritas, severitas, innocentia, ecc. Differenziando i mores dei
partiti» e le Siila alla guerra civile fra Cesare e Pompeo. La condanna coinvolge in pari due personaggi, Sallustio voleva affermare che entrambi erano positivi per
speranze in lo stato romano, anzi nelle loro virtù individuava virtù complementari; in
modo le due parti in lotta, i populares e i fautori del senato: da un lato
Cesare
demagoghi che con elargizioni e promesse alla plebe ne aizzano l’emotività particolare, nei princìpi etico-politici affermati da Catone, Sallustio — al
per farne il piedistallo delle proprie ambizioni; dall’altro aristocratici che di là dei dissensi sul ruolo del ceto nobiliare cui Catone dava voce — ricono­
si fanno velo della dignità del senato, ma combattono in realtà solo per sceva un fondamento irrinunciabile della res publica.
206 SALLUSTIO IL BELLUM LUGURTHINUM: SALLUSTIO E L’OPPOSIZIONE ANTINOBILIARE 207

La svalutazione Indicando in Cesare e in Catone i più grandi romani dell’epoca, Sallu­ La polemica Nella narrazione sallustiana, la guerra contro l’usurpatore numida ac­
di Cicerone stio non perseguiva certo l’intento di denigrare Cicerone; ma è un fatto che, contro la nobiltà quista rilievo sullo sfondo della rappresentazione della degenerazione della
dalla narrazione del Bellum Catilinae, la figura del console che si era trovato vita politica: l’opposizione antinobiliare, cui Sallustio si riallaccia, rivendica­
a reprimere la congiura appare alquanto ridimensionata a chi abbia presenti va, contro la nobiltà corrotta, il merito della politica di espansione, della
i vanti che lo stesso Cicerone si era largamente prodigato. Il Cicerone di difesa del prestigio di Roma. Come nella precedente monografia, Sallustio
Sallustio non è il politico che domina gli eventi grazie alla lucidità della introduce al centro dell’opera un excursus che indica nel «regime dei partiti»
propria mente, ma un magistrato che fa il suo dovere pur non essendo un (mos partìum et factionum) la causa prima della dilacerazione e della rovina
eroe, superando inquietudini e debolezze. della res publica; ma la condanna è probabilmente più sfumata e, per così
Il ritratto Attinge invece una sua grandezza, sia pure una grandezza malefica, il dire, meno equanime che nel Bellum Catilinae. Nella seconda monografia,
«moralistico» di personaggio di Catilina, del quale Sallustio delinea un ritratto a tinte forti il bersaglio principale di Sallustio è la nobiltà, e dall’excursus traspare, per
Catilina e contrastanti, sottolineandone da un lato l’energia indomabile, dall’altro esempio, la preoccupazione di non condannare la politica dei Gracchi in
la facile consuetudine con ogni forma di depravazione. Il ritratto è domina­ maniera globale, bensì solo nei suoi eccessi.
to dall’esigenza moralistica: mentre tratteggia il suo personaggio, Sallustio Per certi aspetti, il quadro che emerge dal Bellum lugurthinum è piut­
lo giudica. Il moralismo di Sallustio è del resto coerente con il suo moderati­ tosto deformante: al fine di rappresentare la nobiltà come un blocco uni­
smo politico; indicando le cause del fenomeno catilinario in una degenera­ co guidato da un gruppo corrotto, Sallustio trascura di parlare dell’ala del­
zione morale che investe ormai numerosi membri della classe dirigente, lo l’aristocrazia favorevole a un impegno attivo nella guerra, l’ala più lega­
storico può evitare di spingere lo sguardo più a fondo, fino a vedere in ta al mondo degli affari e più incline alla politica di imperialismo espansio­
quel fenomeno una conseguenza logica e necessaria della crisi: ciò, più che nistico.
ad una condanna, sarebbe stato quasi equivalente a una giustificazione del La politica dei Le linee direttive della politica dei populares sono esemplificate nei di­
movimento eversivo. Ma dai discorsi che Catilina pronuncia nella monogra­ populares: i scorsi che Sallustio fa tenere dal tribuno Memmio per protestare contro la
fia sallustiana affiorano più di una volta — probabilmente al di là delle discorsi di politica inconcludente del senato, e successivamente da Mario, quando que­
stesse intenzioni dello storico — i motivi profondi della crisi che da tempo Memmio e di st’ultimo convince la plebe ad arruolarsi in massa. Per Sallustio, ambedue
travaglia lo stato romano: da una parte pochi potenti che monopolizzano Mario i discorsi sono rappresentativi dei migliori valori etico-politici espressi dalla
cariche politiche e ricchezze, sfruttando i popoli dominati, dall’altra una «democrazia» romana nella sua lotta contro la nobiltà. Memmio invita il
massa senza potere, coperta di debiti e priva di vere prospettive future. popolo alla riscossa contro l’arroganza dei pauci, l’oligarchia dominante;
enumera i mali del regime aristocratico: il tradimento degli interessi della
res publica, la dilapidazione del denaro pubblico, la monopolizzazione delle
ricchezze e delle cariche. Nel discorso di Mario, d’altra parte, il motivo cen­
trale è fornito dall’affermazione di una nuova aristocrazia, l’aristocrazia della
3. Il Bellum lugurthinum·. Sallustio e l’opposizione antinobiliare
virtus, che si fonda non sulla nascita, ma sui talenti naturali di ciascuno
e sul tenace impegno a svilupparli. Mario si richiama ai valori antichi che
All’inizio della sua seconda monografia, Sallustio spiega che la guerra hanno fatto la grandezza di Roma, quei valori che in un’epoca remota han­
contro Giugurta (svoltasi tra il 111 e il 105) fu la prima occasione in cui no permesso di emergere agli stessi capostipiti delle casate aristocratiche,
«si osò andare contro l’insolenza della nobiltà». In effetti, il Bellum Iugur- ormai tralignanti e caratterizzate solo da inettitudine.
thinum è largamente indirizzato a mettere in luce le responsabilità della clas­ Il giudizio su Il discorso di Mario esprime soprattutto le aspirazioni della élite italica
se dirigente aristocratica nella crisi dello stato romano. Mario ad una maggiore partecipazione al potere; tuttavia il giudizio complessivo
di Sallustio su Mario rimane segnato da ambivalenze e sfumature spesso
Riassunto del G iugurta, dopo essersi im padronito col crimine del regno di N um idia, aveva corrotto difficili da apprezzare nella loro reale portata. L’ammirazione per l’uomo
Bellum col denaro gli esponenti deU’aristocrazia rom ana inviati a com batterlo in A frica, che seppe opporsi all’arroganza nobiliare è in qualche modo limitata dalla
lugurthinum ed era pertanto riuscito a concludere una pace vantaggiosa. Metello, inviato in A fri­
ca, ottiene successi notevoli, m a non decisivi; M ario, luogotenente di Metello, dopo consapevolezza delle responsabilità che in futuro Mario si sarebbe assunto
lunghe insistenze ottiene da questi il permesso di recarsi a Rom a per presentare la nelle guerre civili; ma già l’arruolamento dei capite censi getta ombre inquie­
candidatura al consolato. Eletto console per il 107, riceve l’incarico di portare a tanti sulla sua figura: Sallustio non sembra approvare il provvedimento —
termine la guerra in A frica. M ario modifica la composizione dell’esercito arruolando in cui si individuava comunemente l’origine degli eserciti personali e profes­
i capite censi La guerra in A frica riprende con varie vicende; si conclude solo
quando il re di M auritania, Bocco, tradisce G iugurta, suo precedente alleato, e lo
sionali che avrebbero distrutto la repubblica — e pare anzi che egli veda
consegna ai Romani. come inquinata dall’affermarsi del proletariato militare quell’aristocrazia della
virtus che Mario (con piena coscienza di homo novus) esalta nel proprio
discorso. Il fondamentale moderatismo fa sì che Sallustio non possa accan­
tonare importanti riserve sull’uomo che nella lotta antinobiliare non aveva
1 Si trattava di proletari non soggetti a tassazione perché privi di averi e perciò «censiti
per testa», vale a dire che erano registrati nelle liste del censore non per il loro censo ma
esitato ad agitare la feccia plebea, e a porre quasi le sorti dello stato nelle
solo per la persona fisica. mani dèi proletariato militare.
LO STILE DI SALLUSTIO 209
208 SALLUSTIO

venturieri, demagoghi e nobili corrotti. In generale, il pessimismo sallustiano


Il ritratto di Non si può abbandonare la trattazione del Bellum Iugurthinum senza sembra acuirsi nell’ultima opera; dopo l’uccisione di Cesare, e la frustrazio­
Giugurta accennare al ritratto di Giugurta: come già nei confronti di Catilina, Sallu­ ne delle aspettative riposte nel dittatore, lo storico non ha più una parte
stio non nasconde la propria perplessa ammirazione per l’energia indomabile dalla quale schierarsi, né aspetta più alcun salvatore.
che è sicuro segno di virtus, anche se di una virtus corrotta. Una differenza
importante rispetto al ritratto di Catilina è che la personalità del re barbaro
è rappresentata, per così dire, in evoluzione: la sua natura non è corrotta
fino dall’inizio, ma lo diviene progressivamente. Il seme della corruzione
viene gettato in Giugurta durante l’assedio di Numanzia, da nobili e homi- 5. Lo stile di Sallustio
nes novi romani. Per il suo personaggio, Sallustio non ha comunque scusan­
ti o attenuanti, né si sforza mai di illuminare la situazione dal punto di La storiografia L ’epoca che aveva visto da un lato il rinnovamento dell’oratoria e della
vista di Giugurta: quest’ultimo, una volta che la sua indole si è corrotta, secondo Cicerone prosa artistica operato da Cicerone, e dall’altro il travaglio dei neòteroi per
è solo un piccolo tiranno perfido, ambizioso e privo di scrupoli. Non è certo ottenere la più perfetta elaborazione formale, si aspettava anche la nascita
l’eroe dell’indipendenza numidica che alcuni interpreti hanno creduto di rav­ di un nuovo stile storico. Cicerone, che alcuni auspicavano desse la sua im­
visare in lui: agli occhi di Sallustio le ragioni dell’imperialismo erano tanto pronta anche alla storiografia, pensava, com’era nei suoi gusti, a uno stile
evidenti da apparire indiscutibili. armonioso e fluido: più esattamente egli pensava a una «scrittura» storio­
grafica che fosse un opportuno adattamento del modello deH’oratoria, quale
egli stesso aveva perfezionato, e concepiva perciò la storia come opus orato-
rium maxime (un’idea, questa, sostanzialmente ellenistica, basata su canoni
4. Le Historiae e la crisi della res publica retorici isocratei; d ’altronde la cosa appare comprensibile se si considera
che a Roma l’oratoria aveva raggiunto la sua maturità almeno una genera­
zione prima della storiografia).
Le Historiae e il La maggiore opera storica di Sallustio rimase incompiuta per la morte A condizionare in larga misura — anche se non esclusiva — la futura
Sallustio
ritorno delPautore: le Historiae iniziavano col 78 a.C., riallacciandosi alla nar­ fondatore dello evoluzione stilistica della storiografia latina fu invece Sallustio, che, nutren­
all’annalistica razione di Sisenna (cfr. p. 107), ma non sappiamo fino a che punto Sal­ stile storiografico dosi di Tucidide e di Catone il Censore, elaborò uno stile fondato sull’/«co«-
lustio si ripromettesse di condurre il racconto (i frammenti che ci re­ latino: cinnitas (il contrario della ricerca ciceroniana di simmetria, il rifiuto di un
stano non vanno comunque oltre il 67 a.C.). Dopo gli esperimenti mono­ a) Yinconcinnitas discorso ampio e regolare, proporzionato), sull’uso frequente di antitesi, asim­
grafici, Sallustio si cimentava ora in un’impresa di vasto respiro: si impone­ metrie e variationes di costrutto: il difficile equilibrio, fra questo dinamismo
va il ritorno alla forma annalistica, che del resto anche in seguito avrebbe inquieto da una parte e un vigoroso controllo che sa frenarlo dall’altra,
dato prova di tenace vitalità nella storiografia latina. L’opera (per noi produce un effetto di gravitas austera e maestosa, un’immagine di meditata
perduta, ma nota almeno fino al V secolo) influenzò molto la cultura d’età essenzialità di pensiero. «Pensieri troncati e brusche interruzioni e una con­
augustea. cisione che tocca l’oscurità» (anputatae sententiae et verba ante exspectatum
Discorsi e lettere Alcuni dei frammenti che ci restano delle Historiae sono particolarmen­ cadentia et obscura brevitas): così Seneca definiva lo stile di Sallustio (Epi-
nelle Historiae te ampi. Si tratta di quattro discorsi (per esempio quello del tribuno Licinio stulae ad Lucilium 114,17), mentre derideva i goffi eccessi di chi voleva
Macro per la restaurazione dei poteri tribunizi, nel 73; quello di Lepido imitarlo («In Sallustio — continua Seneca — questi tratti di stile sono disse­
contro il sistema di governo dei Sillani; quello di Marcio Filippo, una violen­ minati con parsimonia, nel suo imitatore Arrunzio si moltiplicano e figura­
ta reazione a quegli elementi che nel discorso di Lepido più palesemente no quasi senza interruzione: Sallustio infatti trovava queste maniere espressi­
miravano alla sobillazione demagogica), e di un paio di lettere, una di Pom ­ ve sulla sua strada, l’altro ne andava in cerca»).
peo e una di Mitridate. Di queste lettere ha particolare importanza quella b) l’«arcaismo Alla gravitas austera di questo stile contribuisce parecchio la ricca pati­
che Sallustio immagina scritta da Mitridate: dalle parole del sovrano orien­ innovatore» na arcaizzante. L ’arcaismo, però, non è solo nella scelta di parole desuete,
tale che combattè lungamente contro i Romani, affiorano chiaramente i mo­ segnate dalla dignità dell’antico, ma anche nella ricerca di una concatenazio­
tivi delle lagnanze dei popoli soggiogati e dominati da Roma. Il solo motivo ne delle frasi che è di tipo paratattico. I pensieri così si giustappongono
che i Romani hanno di portare guerra a tutte le altre nazioni — scrive Mitri­ l’uno all’altro come blocchi autonomi di una costruzione; è evitato il perio­
date — è la loro inestinguibile sete di ricchezze e di potere. Possediamo dare per subordinazione sintattica, in cui un pensiero dipende da un altro
anche parecchi frammenti di carattere geografico ed etnografico, a conferma come un’espansione ordinata gerarchicamente; sono evitate le strutture bi­
di un interesse già presente nella monografia maggiore. lanciate e le clausole ritmiche care al discorso oratorio elaborato. Estrema
Il pessimismo Le Historiae dipingono un quadro in cui dominano le tinte cupe: la è l’economia dell’espressione (asindeti e una più generale omissione di lega­
dell’ultimo corruzione dei costumi dilaga senza rimedio; a parte poche nobili eccezioni mi sintattici, ellissi di verbi ausiliari); ma alla condensazione del discorso,
Sallustio (fra le quali Sallustio ammira particolarmente Sertorio, campione della liber- reso essenziale, reagisce il gusto per l’accumulo asindetico di parole quasi
tas che, ribelle a Siila e al prepotere degli optimates, aveva fondato in Spa­ ridondanti (con effetto di intensità). L ’allitterazione frequente dà colore ar­
gna una nuova repubblica) sulla scena politica si affacciano soprattutto av­
210 SALLUSTIO FORTUNA DI SALLUSTIO - BIBLIOGRAFIA 211

caico, ma potenzia anche il senso delle parole. Uno stile arcaizzante, insom­ e, combattendo la corruttela dei nobili, concili le fazioni e restituisca pace
ma, ma innovatore, perché il suo andamento spezzato è del tutto anticon­ e libertà. La questione dell’autenticità è ancora molto controversa tra filolo­
venzionale e perché lessico e sintassi contrastano di fatto quel processo di gi e storici, ma sembra verosimile giudicare queste operette come il frutto
standardizzazione che stava verificandosi nel linguaggio letterario. delle scuole di retorica della prima metà del I secolo d.C.: si ricordi l’uso
La sobrietà Sul piano della tecnica narrativa, l’esigenza di sobrietà e di austerità dilagante delle suasoriae, quelle declamazioni deliberative su cui scherzano
«tragica» imponeva la rinuncia a tutta una serie di effetti drammatici tipici della sto­ Persio (3,45: Catone che pronuncia un discorso in cui spiega le ragioni e
riografia «tragica» (cfr. p. 107), incline a suscitare emozioni e perciò ispirata la decisione di morire suicida) e Giovenale (1,1,16; tema da svolgere: si dia­
a uno stile di narrazione vivace e per così dire «realistico». Ma la limitazione no a Siila dittatore consigli perché deponga il potere e si ritiri a vita privata),
approda a una drammaticità più intensa proprio perché più controllata, me­ e di cui Seneca il Vecchio ci conserva esempi.
no effusa. I protagonisti delle due monografie, Catilina e Giugurta, sono
personaggi «tragici»; e gli argomenti delle due opere, oltre che per il loro
interesse come sintomi rivelatori della crisi, sono scelti anche in funzione
della varietà e della drammaticità dei casi che lo storico può mettere in sce­ 7. Fortuna di Sallustio
na. Lo stile elaborato nelle due monografie doveva acquisire più piena ma­
turità artistica nelle Historiae, tanto da costituire uno dei modelli canonici
della successiva storiografia latina. Sallustio Nell’antichità la fortuna di Sallustio fu in genere salda, anche se l’ecces­
nell’antichità so di arcaismo gli fu rimproverato da uno storico come Asinio Pollione;
per lo stesso motivo fu invece uno degli autori prediletti quando, nell’età
antoniniana, il gusto arcaizzante riprese nuovo vigore. Fra gli storici, il mag­
giore ammiratore di Sallustio fu probabilmente Tacito, che da lui desunse
6. Le Epistulae e l'Invertiva molti umori di moralismo austero, e che dello stile di Sallustio si nutrì per
modellare il proprio.
Immediato Le opere di Sallustio ottennero un successo immediato e rilevante: il Medioevo ed età Nel Medioevo Sallustio continuò ad essere ammirato (per esempio viene
successo di pubblico romano ebbe la felice sensazione di possedere ora uno storico ca­ moderna citato da Brunetto Latini). U n’influenza ragguardevole esercitò sulla storio­
Sallustio pace di soddisfare le aspettative per un genere di letteratura che suscitava grafia degli umanisti: la presenza di Sallustio è importante nella storiografia
interessi culturali assai vivi. Lo stesso stile di scrittura, personalissimo ed e nel pensiero politico di Leonardo Bruni, e si avverte anche nell’opuscolo
efficace, provocava ammirazione. Le scuole retoriche non potevano restare composto dal Poliziano sulla congiura dei Pazzi. Spesso la sua influenza
insensibili al desiderio di emulare il suo modo di scrivere, immaginando per si combinò con quella di Tacito, al quale lo avvicinavano molti tratti dello
esempio il grande autore di opere storico-politiche impegnato in situazioni stile; ma l’avere avuto un imitatore così grande finì più di una volta per
suggestive: o nel contrasto con Cicerone e con i suoi tanto diversi ideali arrecare danno alla fama di Sallustio. In epoca successiva, Sallustio fu uno
politico-culturali, o in esortazioni e consigli rivolti a Cesare vincitore (gioca­ degli autori più amati dall’Alfieri, che lo tradusse con grande impegno; tut­
va in ciò il solito gusto scolastico di colmare, con abili e verosimili autosche- tavia non sembra avere esercitato un’influenza importante sulla formazione
L’Invectiva in diasmi, i periodi vuoti del curriculum biobibliografico di un autore). I ma­ di Alfieri come prosatore.
Ciceronem noscritti di Sallustio ci conservano una Invectiva in Ciceronem, che anche
Quintiliano (IV 1,68 e IX 3,89) considerava autentica; ma è probabile che
l’autore sia un retore di età augustea (l’operetta vuol sembrare scritta nel
54 a.C.; anche questo, però, fa difficoltà). Suo evidente pendant sarebbe Bibliografia Edizioni moderne: A. K urfess , Leip­ scia 1968; A. L a P e n n a , Sallustio e la
YInvectiva in Sallustium che si attribuiva a Cicerone (questa sicuramente zig 19573; A. E r n o u t , Paris 1967. Com ­ «rivoluzione romana», Milano 19733; I d .,
menti: al Bellum lugurthinum di E. K o e - Per una ricostruzione delle Historiae di
un falso confezionato nelle scuole di retorica: vi si accusa Sallustio di aver Sallustio, in «St. It. Fil. Cl.», 1963; V.
s t e r m a n n , Heidelberg 1971; al Bellum
sfruttato vergognosamente, a scopo di arricchimento personale, la nuova Catilinae di K . V r e t s k a , H e id e lb e rg P a l a d in i , Sallustio, M ilano-M essina
provincia di Numidia, di cui Cesare gli aveva affidato il governo). Ugualmente 1976, e d i E . M a l c o v a t i , Torino 1971. 1948; C. D e M e o , Ideologia e stile in Sal­
Le Epistulae ad spurie sono da ritenersi le Epistulae ad Caesarem senem de republica, tra­ I frammenti delle Historiae (oltre 500) so­ lustio, Bologna 1970; F. G ia n c o t t i ,
Caesarem smesse anonimamente in un codice che contiene lettere e discorsi tratti dalle no editi da B. M a u r e n b r e c h e r , Leipzig Struttura delle monografie di Sallustio e
1891-1893. di Tacito, Messina-Firenze 1971; C. Q u e ­
opere storiche di Sallustio. Lo stile è quasi più sallustiano di quello di Sallu­ Studi: E. P a so li , L e «Historiae» e st a , Sallustio, Tacito e l ’imperialismo ro­
stio (Γineliminabile difetto di ogni falsario, prigioniero del modello che deve le opere m inori di Sallustio, Bologna m a n o , in « A tti M em . A rc a d ia » ,
fedelmente contraffare, e molto meno libero di ogni autentico autore): ma 1964; R. Syme, Sallustio, trad. it. Bre­ 1975-1976.
oltre che risultare eccessivamente arcaizzante, la scrittura pare impropria alle
forme letterarie del discorso oratorio e dell’epistola. Il contenuto è prevedi­
bilmente scontato: irrisione violenta di Cicerone, della sua linea politica e
delle sue ambizioni; suggerimenti a Cesare che scelga la via della clementia
Parte III

L’ETÀ DI AUGUSTO
43 a.C. - 17 d.C.:
CARATTERI DI UN PERIODO

1. Introduzione

Problemi di Sotto il nome di «età augustea» gli storici della letteratura comprendono
periodizzazione in genere la produzione letteraria che va dalla morte di Cesare alla morte
di Augusto (o, se vogliamo due delimitazioni cronologiche più specifiche,
dal 43 a.C. — morte di Cicerone — al 17 d.C., morte di Ovidio). In tutto
questo periodo — dai funerali di Cesare sino all’ultimo giorno di vita —
Gaio Giulio Cesare Ottaviano è al proscenio della politica romana, e tra­
smette meritatamente a tutta la stagione culturale di Roma il suo impegnati­
vo cognomen, Augusto.
Vi sono certamente alcuni problemi di imprecisione. L ’appellativo Au-
gustus, che dà nome al periodo, viene in realtà assunto da Ottaviano solo
nel 27 a.C.; ma soprattutto, su un piano meno nominalistico e formale,
è pur sempre vero che in tutto il primo decennio del periodo considerato
(quanto meno sino al 36, con la disfatta di Sesto Pompeo a Nàuloco) il
potere e il carisma del giovane Ottaviano non sono certo assoluti. Nessun
Romano immerso in queirincerta atmosfera avrebbe potuto dire con sicu­
rezza che Ottaviano era destinato a trionfare sul grande Antonio e a concen­
trare nelle sue mani un potere senza precedenti. Del resto, come vedremo
subito, la letteratura di questo primo periodo ha caratteri marcatamente a
sé stanti. Questo tipo di periodizzazione ha però dei vantaggi molto attraenti
sul piano della cronologia letteraria. Fra 44 e 43 muoiono Cesare e Cicero­
ne, le due figure guida della politica e della cultura nell’età della tarda re­
pubblica. La voce di Cicerone si spegne nel dicembre del 43; e a partire
dal 42, secondo le nptizie antiche, il giovane Virgilio lavora alle Bucoliche.
Da questo momento in poi, tutte le figure dominanti della nuova poesia
hanno precisi e documentati rapporti con Augusto e il suo entourage. La
carriera poetica di Virgilio e Orazio ci conduce, come una strada maestra
delle lettere, sino agli anni del principato e, con l’ultimo Orazio, sino alle
soglie dell’era cristiana. Nel frattempo, senza nette fratture, Ovidio si affer­
ma e tiene ininterrottamente la scena sino all’esilio e poi alla morte, che
cade solo tre anni dopo quella di Augusto. Lo stesso anno di Ovidio scom­
pare Tito Livio, che era stato il principale storico del periodo augusteo.
La «poesia Una periodizzazione «dagli inizi di Virgilio alla fine di Ovidio» è eviden­
augustea» temente uno strumento utile per organizzare il nostro studio della poesia
romana: perciò ci sembra che la definizione di «poesia augustea» possa e
INTRODUZIONE 217
2 16 43 a .c . -17 d .c .: cara tteri d i u n p e r io d o

debba restare valida. Non si deve naturalmente farne un uso meccanico; di Orazio, pubblicata nel 23; e persino sull’Eneide, là dove la guerra fra
uscendo dal campo della poesia, i conti non tornano altrettanto bene. Il Troiani e Latini viene rappresentata con i toni dolenti e addirittura assurdi
fatto è che i generi letterari hanno tempi «relativi» di sviluppo molto diversi. di una vera e propria guerra civile.
Gli effetti delle Il ricordo della guerra civile, presente come esperienza diretta nelle Bu­
Gran parte dell’opera di Sallustio cade dopo la morte di Cesare, e quindi,
guerre civili coliche e negli Epodi, e condizionante poi in tutta la letteratura augustea
a norma dei termini che ci siamo dati, in età «augustea»: ma l’opera storica
di Sallustio è una riflessione retrospettiva, tutta orientata sulle vicende della sino alla generazione ovidiana, ha una funzione complessa, non facile da
più tarda repubblica e sull’ascesa di Cesare. Nella riflessione sallustiana i sintetizzare. Poeti come Virgilio e Orazio sono da annoverare fra le tante
nuovi problemi dell’età augustea non giocano alcun ruolo: perciò si usa trat­ vittime della crisi; figli di piccoli proprietari italici, hanno avuto seri proble­
tare di questo storico (morto poco dopo la battaglia di Nauloco e prima mi nella stretta delle discordie: Virgilio ha perso e poi, in circostanze ecce­
di Azio) nel contesto della letteratura di età cesariana. Altre gravi sfasature zionali, riacquistato i suoi terreni; Orazio, giovanissimo, ha combattuto dal­
la parte «sbagliata» a Filippi, nel 42, ed è negli anni successivi un reduce
nascerebbero se ci si fermasse a considerare minutamente autori che ebbero
allo sbando e senza una posizione definita. La politica ha portato in queste
grande importanza (ben più che il giovane Virgilio e il giovane Orazio) negli
anni 40 e 30, ma di cui abbiamo solo frammenti e testimonianze indirette: vite soltanto delusioni e amarezze. Questi poeti trovano nel loro coetaneo
ad esempio Cornelio Gallo, Vario Rufo, Asinio Pollione. Alcuni di questi Ottaviano protezione e sostegno. Ottaviano non solo permette loro una tran­
autori mostrano più continuità con il passato, altri sono per così dire figure quilla carriera poetica: si presenta come la promessa di un ordine e di una
di transizione: Gallo (cfr. p. 278 seg.) ci appare insieme un tardo poeta ricostruzione nazionale, che dovrà passare attraverso la nuova guerra civile
neoterico e un anticipatore dell’elegia augustea. contro Antonio e si coronerà dopo la grande vittoria del 31 ad Azio.
Virgilio e Orazio Virgilio e Orazio, come abbiamo visto, ci offrono un terreno più sicuro.
Il dopo-Azio e i Dopo il 31 Ottaviano non è più quello che era stato, cioè un agitatore
letterati politico, il capo di una fazione in lotta; i suoi nuovi poteri annunciano una
Lo sviluppo della loro opera accompagna le sorti politiche di Ottaviano Au­
gusto in modo così perspicuo da rendere accettabile la nostra periodizzazio- nuova stagione politica, che da un lato guarda alla restaurazione di certe
ne. Fra il 39 e il 38, Orazio e Virgilio sono già assorbiti, tramite l’amicizia tradizioni, dall’altro — e molto più concretamente — getta le basi del princi­
con Mecenate, nell’ambiente politico ottavianeo. Entrambi sono già poeti pato, dello stabile comando di un uomo solo sulla res publica. Quale la
di grande ispirazione: le Bucoliche di Virgilio e gli Epodi di Orazio presup­ funzione dei letterati in questo processo? La posizione di Virgilio e Orazio
pongono solo a sprazzi l’influsso di Ottaviano. Piuttosto, entrambi questi è abbastanza chiara. Essi non sono saliti all’ultimo momento sul carro del
vincitore: la loro speranza in Ottaviano coincide con la speranza in qualcuno
testi risentono profondamente della crisi generale in cui è precipitata la so­
cietà italica; quella crisi che è terreno di coltura per lo sviluppo del «partito che — le Georgiche traboccano di questo sentimento — porterà la pace e
di Ottaviano». metterà fine alle guerre civili.
Il periodo della Il tema dominante delle opere composte tra la morte di Cesare e la [.'«ideologia Si apre così, all’incirca dopo Azio, una fase di concordia e di ricostru­
augustea» zione. Non sembra che Augusto e Mecenate esercitassero un vero e proprio
«grande paura» battaglia di Azio si potrebbe definire quello della «grande paura». Fenomeni
di angoscia incontrollabile attraversano non più solo Roma, da tempo insta­ controllo sulla letteratura. I più grandi poeti romani erano già, oggettiva­
bile e squassata dalle vendette politiche, ma anche il mondo un tempo tran­ mente, legati a Mecenate e al partito di Ottaviano: e i loro interessi perso­
quillo della provincia. Anche le speranze di rinascita suonano confuse, irra­ nali, di piccoli proprietari italici, coincidevano spontaneamente con il parti­
zionali. Gli eserciti dei cesaricidi, di Antonio, di Ottaviano, hanno sparso to del princeps. Questa gente non ha nessun rimpianto per la res publica
sangue e desolazione in tutto il paese. La guerra civile ha raggiunto ormai aristocratica di Cicerone; essi hanno sentito sulla loro pelle il bagno di
eccessi disumani, andando a colpire, quasi di rimbalzo, innocue popolazioni sangue provocato dai «repubblicani» uccisori di Cesare. Ciò che noi chia­
di agricoltori che avevano vissuto a lungo al riparo da qualsiasi mutamento miamo «ideologia augustea» non è certo il meccanico prodotto di un Mini­
politico. Le cicatrici della «grande paura» vissuta negli anni 43-40 restano stero della Propaganda che manovra direttamente le penne dei letterati;
a lungo dolenti nella letteratura augustea, una letteratura che spesso è lodata è una cooperazione politico-culturale in cui i poeti hanno spesso un ruolo
soprattutto per il calmo e solare equilibrio e l’attenuazione dei contrasti. attivo e individuale. La nuova ideologia produce opere di straordinario
Contrasti e lacerazioni, invece, permangono là dove ancora si fa sentire la equilibrio classico, come le Odi oraziane e i capolavori di Virgilio: ma
memoria delle guerre civili. Virgilio iscrive nelle Georgiche, pubblicate dopo non è una formazione stabile e priva di contraddizioni. Il nuovo potere
il 30 in un clima di pacificazione generale, un forte memento sulle guerre trae la sua legittimazione dalla necessità di estinguere le guerre civili: ma
civili: è il finale del primo libro, che illustra il cataclisma seguito alla morte Ottaviano, prima che uomo di pace e fondatore del nuovo equilibrio, è
di Cesare. È chiaro che Virgilio crede nella missione di Ottaviano, ma non stato un distruttore, un protagonista di quello scontro apocalittico. Il nuo­
vuole che si dimentichi il passato. Negli stessi anni di pace, il poeta umbro vo eroe epico, Enea, celerà nel suo animo tormentato gravi contraddizioni:
Sesto Properzio pubblica il primo libro di un canzoniere d’amore; alla fine è chiamato a fondare la città del futuro, ma per farlo deve farsi portatore
del libro, inattesi dopo tante elegie di corteggiamento e di schermaglia amo­ di guerra, e affrontare sensi di colpa. Enea, sottolinea Virgilio, non provo­
rosa, due brevi componimenti, bruscamente, ricordano il sangue romano ca la guerra, ma non può neppure evitare di farsi vendicatore; dovrà persi­
sparso dalle guerre civili e i sacrifici umani che hanno devastato le pacifiche no, e sarà la prova più dura, uccidere con furia un nemico che sembra
città dell’Umbria. Gravi ombre pesano ancora sulla prima raccolta delle Odi chiedere clemenza.
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INTRODUZIONB 219

Poeti augustei e Il ricordo delle guerre civili sarà, alla fine, cancellato dalla propaganda zione della materia secondo la logica dell’argomentazione rigorosa s’accom­
Res gestae di augustea: secondo le Res gestae — il testamento politico in cui Augusto pagnava con l’esigenza «alessandrina» del libro come unità artistica, segnata
Augusto dà l’interpretazione ufficiale e autorizzata dei fatti — ciò che è successo da corrispondenze e alternanze. La poesia augustea porterà questo processo
porta nomi diversi e più onorevoli: un giovane ha vendicato l’assassinio del a piena maturazione. L’attenzione per la struttura diventerà uno dei suoi
padre adottivo (a Filippi, dove nel 42 a.C. furono disfatti i cesaricidi Bruto tratti caratteristici, come uno strumento di significazione aggiuntivo con cui
e Cassio); il capo dell’Italia unita ha combattuto una guerra giusta contro i poeti moderni mostrano di assumersi piena responsabilità verso la forma
la regina dell’Oriente, Cleopatra (è la grande battaglia navale di Azio in letteraria adottata.
cui, nel 31, fu sconfitto Antonio). Nel distacco fra le Res gestae e i poeti I poeti ellenistici I poeti greci di età ellenistica (per esempio, Callimaco e Teocrito)
augustei possiamo misurare lo iato che corre fra propaganda e ideologia. e le avevano davanti agli occhi un sistema letterario ampiamente articolato
contaminazioni e chiaramente definito, ordinato per differenziazioni interne. Per loro,
La stagione dei Sul piano strettamente letterario, la caratteristica più saliente della pro­ delle forme poeti dodi, i generi letterari erano punti di riferimento precisi, modellizza-
capolavori duzione augustea è la sua eccezionale, irripetibile densità di capolavori. Fer­ letterarie
zioni possibili del senso e della forma. Così, proprio operando per contami­
mandoci alla poesia, nel giro di un ventennio sono attivi Virgilio, Orazio, nazione, travalicando i confini tra i diversi generi e le diverse codificazioni
Properzio, Tibullo, Ovidio. Questi autori elaborano testi che rimangono — letterarie, gli alessandrini guadagnavano a se stessi nuove possibilità di espres­
ognuno nel suo genere — i classici della cultura romana; possiamo aggiunge­ sione.
re Tito Livio per la storiografia (sarebbe bello se ci fosse rimasto anche Asi- I poeti neoterici, pur riattualizzando il principio alessandrino della poi-
nio Pollione). L ’oratoria fa eccezione e si capisce perché: è l’unica arte che kilìa (cfr. p. 100) e quindi praticando la libera contaminazione delle forme,
non poteva trarre alimento dalla severa «pacificazione» imposta da Augusto. si erano dedicati all’esercizio continuato di singoli modi compositivi più che
La «ricreazione» Ancora più curioso è il fatto che questi capolavori sono voluti e attesi, a una varietà di esperimenti diversi. C’era, però, per loro una differenza
dei capolavori in un certo senso persino pianificati. Anche qui, bisogna però respingere importante: lavoravano com? gli alessandrini, ma non possedevano quel pre­
greci l’idea di un onnipresente Ministero della Propaganda, guidato da Mecenate. supposto di riferimenti costanti (rispetto a cui tentare libere intersezioni)
I rapporti tra letteratura e ideologia sono molto meno totalitari. Il tratto che per gli alessandrini era rappresentato dal corpus dei diversi generi anti­
forse più vistoso di questa fioritura di capolavori è la volontà di competere chi: l’epos eroico di Omero, la poesia didascalica di Esiodo, le varie forme
con la Grecia classica. Ogni testo poetico di questo periodo si sceglie modelli meliche e liriche. Per loro, era ancora tutto da costruire un sistema letterario
illustri; non sempre, però, i modelli dichiarati sono anche direttamente imi­ canonico come quello che nella cultura greca aveva storicamente «deposita­
tati. Virgilio guarda a Omero, Orazio ad Alceo, Properzio a Callimaco — to» una pluralità di singole codificazioni letterarie, pure e ben riconoscibili
ma non esattamente nel senso in cui Accio «ripropone» VAntigone di Sofo­ l’una dall’altra. I generi, in quanto forme diversificate di discorso letterario,
cle, o Terenzio «dichiara» i suoi modelli menandrei. Il rapporto di imitazio­ erano un obiettivo ancora da raggiungere.
ne che caratterizza la letteratura augustea è molto più libero e complesso. Sulla via dei neoterici, ma con un’ambizione maggiore e una maggiore
In realtà, questi poeti annunciano di voler «rifare» Omero, Alceo, Callima­ consapevolezza, i poeti della generazione di Cornelio Gallo e di Virgilio si
co; di voler produrre qui ed ora, nelle mutate condizioni di storia, lingua, impegneranno in una progettualità più vasta. Toccherà a loro di definire,
mentalità e cultura, qualcosa che stia sullo stesso piano del modello, un all’interno delle possibilità della letteratura, i tratti «forti» pertinenti al ge­
equivalente romano che sappia proporsi insieme come trasformazione del nere prescelto, sia dal punto di vista dell’espressione (struttura metrica e
modello, e come sua continuazione, ma soprattutto che sappia assumerne compositiva, livelli e registri linguistici, stile) sia dal punto di vista dei conte­
la funzione di riferimento e di guida. Virgilio lavora con terribile accanimen­ nuti (selezione e combinazione di temi e immagini, costruzione di singole
to formale a ricreare in sé un nuovo stile epico nutrito di Omero; ma la particolari «forme di mondo», rappresentazione di valori e scelte di vita).
sua scommessa non è solo quella di un’emulazione formale: l’intenzione è Gli augustei e la In un certo senso, allora, i poeti latini di età augustea lavorano in direzione
di creare un testo epico che abbia a Roma la stessa centralità culturale che costruzione di un sostanzialmente inversa rispetto ai modelli alessandrini, da cui pure parte
Omero ha avuto per i Greci. Questo è un po’ il paradosso della poesia augu­ sistema dei la loro poetica. In tutti i dipartimenti poetici di derivazione o di ispirazione
generi letterari alessandrina, partendo da una realtà letteraria mistiforme, senza rinnegare
stea: rispetto a Ennio e Plauto, Virgilio e Orazio sono insieme «più fedeli»
e «più autonomi» nei confronti del modello greco. Per gli augustei la grande la ricchezza espressiva derivante dalla poikilìa, operano per selezione, re­
letteratura greca è tutta, nel suo complesso, viva e compresente: la «gran­ stringendo il campo tematico e delimitando i linguaggi, cercando dominanti
dezza» patetica di Omero, la sottigliezza di Euripide, la forza di Archiloco, intorno alle quali costruire forme organiche di discorso letterario, cioè co­
come pure la perfezione formale degli Alessandrini. struendo generi. Così, Virgilio lavorava su un’edizione di Teocrito che com­
prendeva Idilli di varia natura: bucolici, mimici, encomiastici o genericamen­
te narrativi (che fossero autentici o spuri, non è problema valido per Virgi­
Una matura consapevolezza letteraria: il sistema dei generi lio). Non c’è dubbio però che le Egloghe costruiscono un mondo pastorale
coerente, restringono le possibilità della Musa siracusana, intesa come poe­
Già con Lucrezio la consapevole volontà artistica aveva voluto manife­ sia esametrica di livello medio-basso: ogni eccezione (penso alla quarta eglo­
starsi nella costruzione di un poema di architettura complessa: l’organizza­ ga) sarà anzi presentata come tale: paulo maiora canamus («cantiamo qual­
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INTRODUZIONE 221

La poesia cosa che sia di livello un po’ più elevato»). La poesia bucolica si costruisce
modello di poeta appunto cui tocca tradizionalmente il titolo di vates. Sia
bucolica e la insomma come un genere dotato di senso e forma autonomi, in cui ogni
poesia elegiaca
Virgilio che Orazio rappresenteranno un momento di valorizzazione del
elemento rispecchia organicamente il mondo pastorale e il suo immaginario: «poeta-vate», segno della funzione nuova che la cultura augustea voleva as­
dai personaggi al paesaggio, dalle azioni dei protagonisti ai loro desideri, segnare all’attività e alPimpegno poetico (anche l’ultimo Properzio rientrerà,
ogni cosa entra nel testo delle Egloghe solo se accetta di essere «parlata»
ambiguamente, in questa tendenza). L’idea che vates fosse un’antica parola,
nel linguaggio del mondo dei pastori. una più antica parola per designare il poeta inteso come ispiratore e voce
Non diversamente, rispetto alla varietà multiforme della poesia elegiaca della sua comunità, doveva radicarsi negli interessi antiquari tardo-
ellenistica, l’elegia romana, per opera di Gallo, di Properzio e di Tibullo,
repubblicani. Sembrano varroniane le due etimologie proposte per questa
è certamente individuata da un progetto unitario che seleziona e trattiene
parola: a versibus viendis («dall’intrecciare versi»), e l’altra, a vi mentis («dal
solo quei tratti che, messi in relazione sistematica, consentono di dare coe­
vigore della mente»). È probabilmente questa seconda interpretazione quella
rente rappresentazione a un rapporto amoroso tormentato e ineguale. I poe­ che fu più fruttuosa per l’immaginario lucreziano, se è vero che può essere
ti augustei dell’elegia cercano di fissare alcune dominanti in base alle quali
ritrovata nella sua ardente dichiarazione di poetica (De rerum natura 1,924
selezionano i ricchi materiali della tradizione ellenistica subordinandoli a un seg. ... amorem / Musarum, quo nunc instinctus mente vigenti / avia Pieri-
progetto organico. Così gli élegi diventano soprattutto poesia d’amore, e dum peragro loca..., «l’amore per le Muse, pungolato dal quale, ora, con
allora il poeta può fare della sua passione la ragione esclusiva della propria
vivida mente, percorro i luoghi solitari delle Pieridi...»). Ma valorizzare la
esistenza e della propria poesia. Tratti forti della codificazione letteraria sa­ connotazione di primitivismo poetico, implicito nella reverenziale etichetta
ranno il servitium amoris — la sottomissione del poeta ai capricci di una
di vates, significa anche e soprattutto modificare l’immagine alessandrina
domina raffinata e frivola, oculata dispensatrice di favori e infedeltà ;— e del fare poesia per fare posto a un ideale di poeta ispirato dalle cose e
la scelta di una vita degradante con cui il poeta-amante rifiuta ogni ricono­
fortemente impegnato nella sua società. In questo la poesia augustea opera
scimento o successo sociale (carriera onorata o acquisizione di ricchezze). addirittura un rovesciamento della concezione neoterica, senza peraltro ri­
Di qui una poesia che oscilla fra sofferenze e gioie, esultanze e querimonie: nunciare alle raffinate conquiste dello stile, anzi perfezionandole.
una «forma di mondo» totalizzante, assoluta, che propone una sua ideolo­
gia autarchica contrapposta ai valori ufficiali della civitas. Insomma, la co­
struzione del codice elegiaco è il risultato di un processo di selezione. La Autenticità dei poeti e ideologia augustea
tradizione letteraria viene decantata come attraversando un filtro e lascia
Nacquero così alcuni testi che avevano un profondo rapporto con le
passare — del suo ricco tesoro di miti, simboli, parole marcate — solo que­
tendenze dell’ideologia augustea. Lo sforzo di competere con i grandi classi­
gli elementi che possono essere orientati verso nuove funzioni e verso un
ci greci comportava anche uno sforzo di allargamento dei temi e delle espe­
nuovo senso.
rienze — non più, come era stato per i poetae novi, uno sforzo soprattutto
Il corpus della Insomma, nel giro di un quarantennio circa, diversi scrittori riuscirono
letteratura latina
formale ed espressivo. Virgilio dà forma al grande mito della campagna
nell’impresa straordinaria di realizzare un corpus di opere paragonabile a
italica; Orazio parla nelle Odi Romane alla comunità dei cittadini, su grandi
quello della letteratura greca. Furono mossi da un comune impegno di piani­
temi civili e morali. Il dibattito della critica sulla «sincerità» di questi atteg­
ficazione culturale; ma ognuno di loro aveva le sue personali preferenze
giamenti è ancora aperto. Sappiamo che Augusto condivideva questi sforzi.
letterarie: di qui il bisogno frequente che sentivano di pronunciare dichiara­
L ’ideologia augustea si propone di ritrovare la via di uno sviluppo; si richia­
zioni di poetica, di mettere in discorso le proprie scelte, di fare recusationes
mano in vita le tradizioni della «repubblica dei contadini», con i suoi due
polemiche. Li accomunava fin dall’inizio l’orgoglio del compito che sì erano
pilastri, la famiglia e la proprietà terriera; si combattono gli influssi orienta­
dati, orgoglio che andò crescendo man mano che nuove realizzazioni poeti­
li, i consumi di lusso, la licenziosità. Molta parte di questa ideologia restava
che venivano compiute (Properzio non trattenne il suo entusiasmo per il
uno sventolio di bandiere senza effetti pratici. Il ritorno alla «repubblica
grande poema epico che Virgilio stava componendo e annunziò VEneide in
dei contadini» — se mai questa era esistita — èra impossibile, in un regime
un verso famoso: «sta nascendo qualcosa più grande dell’Iliade»). La lette­
politico che non si fondava più sulla partecipazione diretta. Fa un effetto
ratura mirava ormai consapevolmente a organizzarsi in un sistema articolato
un po’ irreale sentire Orazio che arieggia nei suoi versi il legame di un poeta
di generi, possedeva un’ampia varietà differenziata di linguaggi, era matura
greco arcaico con la propria polis. Il più vero messaggio della poesia di
per coprire tutte le diverse esigenze di rappresentazione ed espressione. Il
Orazio andava in tu tt’altra direzione; Mecenate era una figura esemplare
possesso di mature categorie formali si accompagnava all’ambizione neces­
della nuova epoca. Egli esercitava un potere senza nome e senza definizione,
saria a servirsene. Per i poeti, con una nuova più forte coscienza dei compiti
restando un cavaliere, un benestante privato cittadino; e mostrava che si
affidati alla letteratura, nasce fors’anche un nuovo stato culturale: non più
poteva essere attivi e impegnati negli affari pubblici senza sacrificare Vo-
Il poeta-vate e solo abili «facitori» di versi, non più solo artisti, ma vates, cantori ispirati
l’ideale di una
tium, la cultura, il piacere, il lusso. E Orazio approfondisce, dando il meglio
destinati a trovare un ascolto emozionato e diffuso. Già Lucrezio aveva an­
poesia di sé, i temi del privato: la ricerca della saggezza, il passare del tempo,
ticipato l’ideale di un poeta impegnato, «maestro di verità», detentore di
«impegnata» i piaceri, i ricordi privati, il senso della morte, il rapporto con la natura.
grandi segreti da comunicare solennemente; e certo nella sua poesia dovette Elegia e regime Lo sviluppo della dimensione «privata» è senz’altro il fenomeno saliente
trovare un importante precedente l’ideale augusteo di poeta «utile», quel augusteo della società romana nel trapasso fra repubblica e principato. È questo svi­
LA LETTERATURA, LO SFONDO POLITICO E I CIRCOLI POETICI 223
222 43 a .c . -17 d .c .: cara tteri di un p e r io d o

mondo augusteo: la frattura fra certe tendenze in atto —■tendenze reali,


luppo a spiegare il grande slancio del genere elegiaco, poesia che presuppo­
che investivano persino i comportamenti sessuali nella casa di Augusto! —
ne, appunto, un modello di vita tutto ripiegato sul privato, estraneo ai dove­
e la continua proclamazione di valori ideologici (di impegno civile, purifica­
ri e alla partecipazione politica. Un ripiegamento che è, naturalmente, l’altra
zione dei costumi, compressione del lusso, restaurazione religiosa) che appa­
faccia del nuovo modello politico. Non esiste un necessario e immediato
rivano fondamentali nella costruzione della nuova società. Forse per questo
conflitto tra ideologia ufficiale e ideologia «elegiaca»: c’è piuttosto una cer­
finì la sua carriera sulle sponde del Mar Nero, anticipando così un secolo
ta divisione dei ruoli. Il poeta può rivolgersi ad Augusto con gratitudine,
di difficili rapporti tra letteratura e potere assoluto.
come a colui che garantisce la pace e regge con sicurezza lo stato; grazie
a chi si occupa delle cose «serie», l’Amore può essere, finalmente, l’unica
cosa seria. Il nuovo modello della vita d’Amore non è però favorito ufficial­
mente dal regime; Properzio tiene, nell’ambiente intorno a Mecenate, un 2. La letteratura, lo sfondo politico e i circoli poetici
ruolo più modesto, e Tibullo gravita in un circolo indipendente, raccolto
intorno a Messalla. (In altri casi, si può pensare a forme di vita quasi schizo­ li tessuto Lo studio dei capolavori prodotti nell’età augustea può facilmente eclis­
freniche: pare che Cornelio Gallo, prima di bruciare la sua vita cadendo connettivo della sare una considerazione più minuta del tessuto connettivo di quest’epoca:
in disgrazia, riuscisse a essere un ottimo ufficiale e un originale poeta d’A­ cultura augustea i letterati minori — alcuni, minori solo ai nostri occhi, per la perdita dei
more, dividendosi così tra esperienze contrastanti). Questi poeti respingono
loro testi — e soprattutto la vita intellettuale della capitale, con i suoi «dilet­
qualsiasi esaltazione «epica» del valore nazionale e della missione civilizza­
tanti» di talento: Mecenate, Messalla, Asinio Pollione. L ’importanza di que­
trice di Roma: «Amore è dio di pace». Essi tuttavia fanno omaggio al prin­
sto connettivo non va in nessun modo sottovalutata.
cipe di una forma poetica curiosamente esitante e contraddittoria, la cosid­
Sulla letteratura «perduta» di questo periodo torneremo più minutamente
detta recusatio: si scusano di non poter cantare i temi «epici»; talvolta ne
in seguito, dopo esserci soffermati sulle figure principali dell’età augustea
offrono un breve saggio, quasi per gioco, ma senza mai smentire la propria
(sulla poesia minore della generazione ovidiana cfr. p. 356 seg.). Dobbiamo
esclusiva vocazione.
Questi poeti, attivi nella fase centrale del regno di Augusto, hanno un però fare un’eccezione per due autori che ebbero diretta influenza già sul
giovane Virgilio e che quindi non possono in nessun modo essere classificati
rapporto ambiguo e irrisolto con l’ideologia augustea. Properzio, ad esem­
come epigoni dei classici augustei,
pio, non manca di punte conflittuali. Ma l’unico poeta a entrare in collisio­
Cornelio Gallo A giudicare dalle testimonianze indirette, Cornelio Gallo è senz’altro
ne con il potere sarà, paradossalmente, il più spoliticizzato e disimpegnato
un’eminente voce poetica nel periodo storico tra la morte di Cesare e la
di tutti: Ovidio.
battaglia di Azio. Gallo è già un autore affermato ai tempi delle Bucoliche
La seconda fase L ’ultima fase del regno di Augusto fu tempestosa, anche se in modo
di Virgilio, e sembra che la sua produzione sia il più importante tramite
del principato di coperto e a volte subdolo. Anche il clima letterario fu diverso; dopo Virgi­
Augusto
fra la poesia neoterica e la poesia d ’amore dell’età augustea. Pur essendo
lio, la poesia sembra dividersi in una netta forbice: o è celebrativa (come
coetaneo di Virgilio, Gallo terminò prestissimo e immaturamente la sua atti­
certi episodi poco felici nel IV libro delle Odi oraziane) o è apolitica e disim­
vità letteraria: suicida nel 26, sparì di scena proprio mentre fioriva la genera­
pegnata. Anche i tentativi di rivitalizzare la funzione sociale della letteratura
zione degli elegiaci augustei. Noi ne tratteremo, più estesamente in connessio­
sembrano appannarsi. Nessun risultato di qualità corona gli sforzi di rico­
ne con la poesia elegiaca, a cui i suoi Amores fornirono un impulso assai
struire un teatro nazionale romano; una forma d’arte che era stata così im­ profondo (cfr. p. 278 seg.).
portante negli anni della repubblica, come momento di riflessione collettiva Vario Rufo Poco più vecchio di Virgilio, ma più longevo di lui, fu Vario Rufo. Ne ab­
e di identificazione culturale, non riesce più, nel nuovo clima, a imporsi.
biamo pochi frammenti, ma ogni volta che entra in scena lascia una sua
Orazio, nel II libro delle Epìstole, analizza in modo esemplare le difficoltà
precisa impronta. È lodato da Virgilio già nelle Bucoliche (9,35); fu lui a
del teatro. Dopo la morte di Orazio (preceduto da Mecenate) viene a manca­
introdurre Orazio presso Mecenate (Orazio, Satire 1,6,55); è tra gli amici
re qualsiasi tramite fra l’ambiente del principe — sempre più separato e
che Orazio cita più volentieri in tutto il primo libro delle Satire-, è l’uomo
segnato da oscure manovre di palazzo — e il mondo della ricerca letteraria.
che Augusto scelse per il delicato compito di pubblicare il testo dell ’Eneide
Ovidio, sorridente Il faro poetico di quest’ultima fase, Ovidio, è una sorta di sorridente distrut­
dopo la scomparsa di Virgilio. Vario è chiaramente un protagonista dell’am­
distruttore tore. I generi letterari da lui praticati — vari tipi di elegia e di epica —
biente letterario ottavianeo-augusteo, e ciò che sappiamo della sua produzio­
finiscono per trasformare in modo imprevedibile la loro identità tradiziona­
ne stimola la nostra curiosità. Si occupò in qualche modo di epica e sicura­
le. L’elegia amorosa non si basa più sulPAmore come scelta di vita, ma
mente compose una tragedia, un Thyestes, rappresentato nel 29 a.C.; cultu­
si adatta con brillante virtuosismo alla vita di una società galante. Ovidio L’epicureismo di ralmente sembra che fosse di gusti epicurei, e questa non è una sorpresa.
compie anzi il tentativo più maturo mai compiuto a Roma di fornire dignità Vario Forti coloriture epicuree segnano la prima produzione di Virgilio, e un po’
letteraria a una cultura modernizzante: per la prima volta, libera da morali­
tutta l’opera di Orazio; e un’atmosfera epicurea contorna anche la vita pri­
smi e ritorni alle origini. Ovidio canta i piaceri, gli spettacoli, i lussi, il
vata di Mecenate. L ’epicureismo di Vario ci sarebbe senz’altro più chiaro
libero amore, e insieme, perché no, esalta il principe che ha reso possibile
se avessimo il suo misterioso poema De morte, di cui restano pochi fram­
quest’era di felicità nella metropoli. Certo senza volerlo, e con suo grave
menti, brevi ma di notevole ispirazione, e per lo più conservati perché forni­
danno, Ovidio finì per toccare una contraddizione che restava aperta nel
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LA LETTERATURA, LO SFONDO POLITICO E I CIRCOLI POETICI 225

rono spunti a Virgilio (sono citati, cioè, in commenti antichi all’opera di


l’eroe di Sofocle) era morto di spugna (la spugna da cancellare). Non cercò
Virgilio). A giudicare dal titolo, il De morte sembrerebbe un testo di poesia quindi pubblicità per i suoi privati divertimenti letterari. Una certa circola­
didascalica; e sappiamo (fra l’altro, da Lucrezio e da Filodemo) quale im­
zione ebbe invece una sua autobiografia, incompiuta, che probabilmente
portanza avesse il problema della morte nella filosofia epicurea. Ma sembra
fu utilizzata dagli storici di età imperiale. Si ha l’impressione che Augu­
che Vario non si limitasse alla speculazione filosofica: uno dei frammenti
sto avesse una cultura media e fosse in grado di scrivere con proprie­
contiene un chiaro attacco politico al grande nemico di Ottaviano, Marco tà, ma senza particolari compiacimenti letterari. Aveva però, come il suo
Antonio. Sembra che Vario rinfacciasse ad Antonio sete di ricchezze e pas­
Mecenate, un forte senso della propaganda: il suo vero autoritratto è con­
sione smodata per il lusso: forse anche questa polemica aveva accenti epicu­
segnato alle Res gestae, concluse poco prima della morte, avvenuta nel
rei, perché il nesso tra ambizione politica e incontrollata cupidigia è un tipi­
14 d.C.
co bersaglio di Lucrezio e Filodemo. In ogni caso, Vario sembra un coerente L’opera è di estremo interesse storico e ideologico, e non vuole in nes­
Le Res gestae di
adepto del partito di Ottaviano; più tardi compose anche un Panegirico del Augusto sun modo competere con la diffusa narratività dei Commentarii di Cesare.
principe. Egli è di certo uno dei più intimi fra i letterati che gravitano intor­ Si tratta infatti di un testo destinato a essere riprodotto in pubbliche iscrizio­
no a Mecenate.
ni, e noto a noi, appunto, per via epigrafica. La testimonianza per noi più
Mecenate e il Come già si è visto per più accenni, Mecenate è il vero centro di attra­
importante viene dal cosiddetto Monumentum Ancyranum, ritrovato nel si­
suo «circolo» zione di tutta la generazione poetica augustea: una generazione di cui (nato
to della moderna Ankara, in Anatolia. Sappiamo che, nelle versioni destina­
intorno al 70 e morto nell’8 a.C.) fu più o meno esattamente coetaneo.
te ai paesi ellenizzati, il testo era accompagnato da una versione greca. In
Nativo di Arezzo, in paese etrusco, era insieme un aristocratico e un «bor­ uno stile asciutto ed efficace, apparentemente semplice ma calcolatissimo
ghese»: era cioè di nobilissima famiglia etrusca ma, in quanto cittadino ro­ nei toni, Augusto dichiara di aver liberato la repubblica romana dalle mi­
mano, non andò mai — per sua libera scelta — oltre lo stato di cavaliere: nacce degli assassini di Cesare e della regina egiziana. Le guerre civili sono
e non occupò mai vere e proprie cariche ufficiali. Tutto questo finì per ali­ schematicamente riassunte in una «liberazione» dell’Italia dai tiranni e dalle
mentare un vero e proprio mito personale, che troviamo più volte riflesso
minacce esterne. Il principe pone particolare cura — è questo il punto più
nella poesia di Orazio, Virgilio e Properzio. Negli anni infuocati delle guerre
delicato nel congegno del suo potere — a spiegare che la fonte delle sue
civili Mecenate era stato un importantissimo consigliere diplomatico e politi­
cariche è la volontà del senato e del popolo; ed enumera molto diffusamente
co di Ottaviano. Dopo il trionfo del partito ottavianeo e la costituzione tutti i benefici e i doni distribuiti a Roma e ai cittadini. Le Res gestae Divi
del nuovo regime, Mecenate continuò ostentatamente a non «integrarsi» nel Augusti sono un testo di propaganda ideologica e politica esemplare per
tradizionale sistema politico romano — quel sistema di cui Augusto assicu­
densità e capacità persuasiva.
rava per qualche aspetto la continuità. Aristocratico per nascita, comune
Pollione La ricchezza culturale dell’età augustea non si esaurisce tutta nella cer­
cittadino per scelta, e grande uomo di potere nella realtà politica (cioè nella organizzatore di chia di Augusto e Mecenate. Un personaggio come Asinio Pollione è testi­
costituzione «non scritta» che sottostava alle forme ufficiali), Mecenate cultura mone della vitalità di una cultura non integrata nel nuovo regime. In creati­
fu una sorta di simbolo vivente dei tempi nuovi. Il tratto più costante del­
vità e ingegno, Pollione ha poco da invidiare a un Mecenate: ma aveva
la sua opera è proprio la rottura con le tradizioni della repubblica. Il ri­
scelto, in politica, la parte sbagliata. Dopo aver militato nella parte antonia-
fiuto delle cariche ufficiali si salda in lui con un’intensa attività «sotto-
na, Pollione chiuse la sua significativa carriera politica prima del disastro.
coperta» e con un ironico distacco dalle «pubbliche virtù» del tradizio­
Ritirato a vita privata, esercitò una sorta di fronda culturale al nuovo regi­
nale uomo politico romano. Ostentava gusto del lusso e dei piaceri privati,
me, distinguendosi per senso critico e impegno letterario. Fondò la prima
estetismo, culto dell’amicizia privata; e non si curava di mascherare il carat­
biblioteca pubblica di Roma nell’atrio del Tempio della Libertà e incoraggiò
tere personale della sua devozione al principe. Nello stesso tempo, con straor­
la pratica delle recitationes, conferenze pubbliche che servivano a divulgare
dinaria lucidità, Mecenate promosse una letteratura «nazionale»; non natu­
in anteprima nuovi testi. Doveva essere viva in lui la preoccupazione per
ralmente una letteratura di massa (le masse non leggevano libri), ma comun­
il crollo della tradizione oratoria, che era naturale conseguenza del nuovo
que una letteratura a forte impegno ideale: le Georgiche, ΓEneide, le Odi
assetto politico.
e le Epistole di Orazio. Il suo circolo, fondato su stretti legami privati
Pollione storico e Pollione è lodato da Orazio e da Virgilio nelle Bucoliche (mentre, non
e individuali, guardava però a una letteratura di grande diffusione, non critico letterario a caso, è assente in tutta la successiva opera virgiliana) come autore di trage­
più ripiegata (come era stato l’ambiente dei poetae novi) su temi privati
die. La sua opera più significativa furono comunque le Historiae, una delle
e su difficili elaborazioni d’avanguardia. Personalmente (ancora un parados­
più dolorose perdite nel panorama della letteratura storica latina. Pollione
so) Mecenate coltivava invece una poesia nugatoria, intimistica e ironica.
ebbe il coraggio di affrontare il periodo di storia fra il primo triumvirato
Come letterato non ebbe fortuna, e certamente non era questa la sua ambi­
e la battaglia di Filippi (42 a.C.), cioè in pratica tutto il declino della repub­
zione.
blica romana: un tema che, negli anni del regime augusteo, scottava ancora.
Augusto letterato Ancora più scarse erano le ambizioni letterarie del principe. Augusto
Si segnalò, a quanto pare, per senso critico e anticonformismo, opponendosi
era un protagonista politico troppo lucido e disincantato per illudersi sui
alla crescente diffusione di memoriali tendenziosi, cioè scritti, naturalmente,
propri talenti letterari. Parlava anzi con ironia di un suo esperimento poeti­
dal versante dei vincitori: ma per notizie più dettagliate sulla sua opera stori­
co, la tragedia Aiace: diceva che il suo Aiace invece che di spada (come
ca rimandiamo a p. 317 seg. Di Pollione si ricordano giudizi, non si sa se più
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cattivi o più lucidi, su Cesare e Cicerone, su Sallustio e su Livio. Non sap­


piamo se la sua opera, tutta rivolta alla tradizione dell’atticismo di età re­ VIRGILIO
pubblicana, fosse all’altezza delle sue doti di critico letterario e di polemista.

Valerio Messalla Un po’ più sfumata è la posizione di Marco Valerio Messalla (64 a.
e il suo «circolo» C. - 8 d.C.), noto alla storia delle lettere soprattutto per il suo legame con
il poeta Tibullo. Messalla aveva precedenti politici complicati (militò prima
con i repubblicani uccisori di Cesare e poi anche con Antonio), ma scelse
al momento opportuno un aggancio con Ottaviano: lo ritroviamo come uo­
mo pubblico in tutta l’età augustea, anche se non sembra collegato alla più
intima cerchia del principe. Esercitò un suo autonomo patronato letterario Vita Publio Virgilio Marone nacque presso Mantova (il sito preciso è controverso)
e non a caso il più noto dei suoi protetti, Tibullo, è un poeta di ispirazione il 15 ottobre del 70 a.C. da piccoli proprietari terrieri. I luoghi della sua educazio­
appartata, poco inserito nelle tendenze dominanti della letteratura augustea. ne devono essere stati Roma e Napoli, ma tutta la cronologia del suo periodo
La sua influenza non è assolutamente paragonabile a quella di Mecenate: giovanile è discussa. Un’informazione di particolare interesse si ricava da una
più di Mecenate, però, si dedicò in proprio alla produzione letteraria. Pare poesiola attribuita a Virgilio, la quinta della raccolta Catalepton (cfr. p. 361); vi
che Messalla sia stato soprattutto un notevolissimo oratore; ma sono testi­ si allude a una scuola che il giovane Virgilio avrebbe frequentato, a Napoli, pres­
moniati anche numerosi scritti di carattere erudito, grammaticale e retorico. so il filosofo epicureo Sirone. Il valore della testimonianza è discusso, perché
Sembra che componesse anche poesie bucoliche in greco, il che è significati­ la poesia potrebbe anche essere, da un punto di vista qualitativo, opera di un
Virgilio giovane, ma il contenuto autobiografico potrebbe altrettanto bene derivare
vo sia per i suoi rapporti con Tibullo, sia per testimoniare il suo grado
dall’opera di un falsario, ansioso di riempire un vuoto nella carriera del giovane
di raffinatezza letteraria. Si può presumere che tutti i testi, tibulliani e non
poeta. D’altra parte il primo testo che Virgilio ha sicuramente composto, le Bucoli­
(cfr. p. 283), raccolti nel Corpus Tìbullianum, abbiano a che fare con la che, denuncia chiaramente frequentazioni epicuree.
cerchia di questo personaggio: in suo onore è composto il Panegirico tra­ La datazione delle Bucoliche è, nelle sue linee generali, accertata (cfr. sotto),
mandato nel Corpus, uno scritto d’occasione di media qualità, dovuto certa­ ma si collega a un episodio non del tutto chiaro. Virgilio allude più volte nell’ope­
mente a uno dei suoi protetti. ra ai gravi avvenimenti del 41, quando nelle campagne del Mantovano ci furono
confische di terreni, destinate a ricompensare i veterani della battaglia di Filippi.
Il periodo, in effetti, è segnato da gravi disordini, e Virgilio riecheggia il dramma
dei contadini espropriati. Una notizia, formatasi già in età classica, e largamente
sviluppata dai commentatori antichi di Virgilio, vuole che Virgilio stesso avesse
perso nelle confische il suo podere di famiglia, e l’avesse poi riacquistato. Per
intervento di chi? Le notizie antiche non sono chiare in proposito: si è pensato
a Ottaviano in persona, o ad alcuni personaggi citati direttamente nelle Bucoliche
e che tutti, in qualche modo, erano coinvolti nell’amministrazione del territorio
transpadano (i primi due sono, fra l’altro, ben noti uomini di cultura): Asinio Poliio-
ne, Cornelio Gallo, Alfeno Varo. Sul nucleo originario della notizia si formò poi
un romanzo biografico, che coinvolge l’interpretazione allegorica di numerosi passi
delle Bucoliche: oggi è molto difficile districare un fondo di verità.
È certo invece che le Bucoliche non recano alcuna traccia di quello che sarà
il grande amico e protettore di Virgilio, Mecenate; mentre vi ha notevole rilievo
la figura protettiva di Politone, che poi sparirà del tutto dall’opera di Virgilio. Subi­
to dopo la pubblicazione delle Bucoliche, Virgilio entra nella cerchia degli intimi
di Mecenate e quindi anche di Ottaviano; poco dopo, anche Orazio vi si inserisce.
Nei lunghi anni di incertezza e di lotta politica che vanno sino alla battaglia di
Azio (31 a.C.), Virgilio lavora alla raffinata elaborazione del poema georgico, in
piena sintonia con l'ambiente di Mecenate. Non sembra però che amasse Roma;
la chiusa delle Georgiche parla di Napoli come amato luogo di ritiro e di impegno
letterario.
Tutta la vita di Virgilio che conosciamo è straordinariamente povera di eventi
esterni e raccolta su un tenace lavoro poetico. Nel 29 Ottaviano che torna vincito­
re dallOriente si ferma ad Atella, in Campania, e lì si fa leggere da Virgilio le
Georgiche appena compiute (esistono però indizi, piuttosto controversi, che spo­
stano poco più avanti la vera e propria pubblicazione del poema; cfr. p. 233).
Di qui in avanti, il poeta fu tutto assorbito dalla composizione deW’Eneide: sembra
228 VIRGILIO LE BUCOLICHE 229

che Augusto seguisse con grande partecipazione lo sviluppo del lavoro, come ne erano i pastori, e insieme a loro un paesaggio ricco ma statico: tutto
sappiamo anche da un frammento di lettera. Virgilio visse abbastanza da leggere sospeso in una vita quotidana rarefatta ma illuminata dalla poesia. Il nuovo
al principe alcune parti del poema, ma non abbastanza da poter dire chiusa l’o­
genere offre risorse meno monotone di quanto appare: può trattare anche
pera (pare che scrupoli, pentimenti e rifacimenti fossero tìpici del suo carattere
e del suo metodo). L'Eneide fu pubblicata per volere di Augusto e per cura di
di grandi temi, ma lo fa, per scelta obbligata, in modo semplice ed estrania­
Vario Rufo: il poeta era morto il 21 settembre del 19 a.C. a Brindisi, di ritorno to. Il pubblico raffinato della città può ammirare in ogni dettaglio il delicato
da un viaggio in Grecia. Virgilio fu sepolto a Napoli. La fortuna dell’opera, che equilibrio fra dottrina poetica e gusto del particolare descrittivo.
già negli anni precedenti al 19 era attesa e preannunciata negli ambienti letterari, Virgilio si L ’incontro di Virgilio con questo genere, che è anche un mondo immagi-
fu immediata e consacrante. appropria di nario, fu straordinariamente felice. Il giovane poeta disponeva di una riserva
Teocrito sentimentale molto forte, e rileggeva attraverso Teocrito il mondo rurale in
Opere Bucolica, dieci brevi componimenti in esametri (vanno da un mìnimo di 63 cui era cresciuto. Tocchi di realismo e slanci di nostalgia facevano parte della
versi a un massimo di 111 versi, per un totale di 829 esametri), chiamati anche ricetta poetica di questo genere. D’altra parte, lo spingeva verso Teocrito
egloghe e composti fra il 42 e il 39 (cronologia dei singoli testi molto controversa);
un forte senso della letteratura, una sorta di tendenza autoriflessiva. I pastori-
Georgica, poema didascalico in quattro libri di esametri (ciascun libro contiene
un po’ più di 500 versi: in totale 2188), completati nel 29; Aenèis, poema epico
poeti degli Idilli si presentavano facilmente come possibilità di approfondire,
in dodici libri, nel metro proprio del genere, l’esametro. I singoli libri vanno da
per rispecchiamento, tutta una vocazione letteraria. Imitare Teocrito signifi­
700 a 950 versi: in totale poco meno di 10.000 esametri. L’opera fu edita dagli cò, alla fine, una sorta di simbiosi che non ha precedenti nella letteratura
esecutori del testamento. Restano, a segnare la mancanza dell’ultima mano, qual­ romana, e neppure forse, se si guarda all’intensità, veri continuatori. Virgilio
che incongruenza e qualche ripetizione compositiva; restano, come più appari­ non si limitò a conoscere a fondo il corpus teocriteo — e accanto ad esso,
scenti segni d’incompiutezza, alcuni versi incompleti (58 per l’esattezza), che Vir­ è probabile, i bucolici minori del II-I secolo, e persino i commentatori di
gilio stesso chiamava tibicines, «puntelli» per sostenere un edificio in costruzione. Teocrito; si trasferì all’interno di questo genere letterario, ne imparò i codici
I testi poetici complessivamente noti come Appendix Vergiliana sono in gran par­ come si fa pratica in una lingua straniera. Il risultato non si può ridurre
te spuri (cfr. p. 360 segg.); solo un paio di brevi componimenti della raccolta ad un semplice processo imitativo. Non esiste, in pratica, una singola egloga
Catalepton hanno buona probabilità di essere autentici, e in tal caso appartengo­
virgiliana che stia in rapporto «uno ad uno» con un singolo idillio. La pre­
no alla produzione giovanile.
senza di Teocrito è stata risolta in una trama di rapporti talmente complessa
Fonti Oltre alle testimonianze ricavabili dai testi autentici, abbiamo una serie di che la nuova opera, realmente, sta alla pari con il modello. In questo senso
Vitae, tardoantiche e medioevali, in cui è presente un nucleo risalente all’attività le Bucoliche — così neoteriche per dottrina, stilizzazione, culto della poesia
biografica di Svetonio (cfr. p. 454 segg.), che è naturalmente degno della massi­ — sono davvero il primo testo della letteratura augustea: già ne interpretano
ma considerazione: la più famosa di queste Vitae si deve a Elio Donato, il grande l’esigenza di fondo, «rifare» i testi greci trattandoli come classici.
grammatico del IV secolo (cfr. p. 527). Tutte le opere autentiche sono ampiamen­
te commentate sin dal l secolo d.C.; fra i testi conservati, di particolare importan­
za il commentario di Servio (IV-V secolo d.C.), che contiene anche informazioni Il libro delle Egloghe
storiche, di valore oscillante.
Originalità delle II titolo d’insieme Bucolica, «canti dei bovari», racchiude il tratto fon-
Bucoliche damentale di questo genere, che rievoca uno sfondo pastorale in cui i pastori
stessi sono messi in scena come attori e anche creatori di poesia. Al singola­
1. Le Bucoliche
re (per una tradizione che risale ai grammatici latini) si preferisce il termine
egloga («poemetto scelto»). Non si deve pensare, naturalmente, che immagi­
Teocrito e Virgilio ni o temi pastorali mancassero in assoluto nella poesia latina: ma l’originali­
Il mondo poetico Sino alla pubblicazione del libro delle Bucoliche virgiliane, Teocrito era tà di Virgilio (cfr. VI 1-2: «La mia Musa fu la prima a non disdegnare
di Teocrito stato, fra i grandi autori ellenistici frequentati dalla cultura romana, certa­ il verso siracusano, e accettò di abitare nei boschi») è già garantita dalla
mente il meno popolare e fortunato. Il suo mondo, insieme semplice, delica­ scelta di dedicare a questo genere un libro intero, sostenuto da una meditata
to e artificioso, non era forse il più adatto a colpire l’immaginazione dei architettura compositiva. Nessun altro libro poetico antico a noi noto, pri­
poetae novi. La sua poetica non si prestava a «manifesti» innovatori e speri­ ma di Virgilio, esibisce lo stesso livello di complessità architettonica e di
mentali. La nuova cultura romana, così fortemente urbana, si rivolgeva più unitarietà. Il piano dell’opera è il seguente.
volentieri ad altri modelli. Curiosamente, Teocrito era stato, a suo modo,
Riassunto delle I. Dialogo fra due pastori, Titiro e Melibeo. Contrasto di destini; il prim o, benefica-
un poeta cittadino, addirittura metropolitano. La poesia degli Idilli è tutta Bucoliche to a Rom a da un giovane divino, godrà la sua vita tranquilla; il secondo vagherà
rivolta alla ricostruzione, nostalgica e dotta, di un mondo pastorale tradizio­ lontano, spossessato.
nale: spettacolo destinato al gusto di un pubblico inurbato, cosmopolita, II. Lam ento d ’am ore del pastore Coridone che si strugge per il giovanetto Alessi.
e. di una società di corte. Scenari come la Sicilia e la lontana isola di Cos III. Tenzone poetica fra due pastori, svolta in canti alternati (in form a detta amebèa,
a botta e risposta).
servono a Teocrito da fondale per il suo teatro d’ombre. Una forte patina IV. Canto profetico per la nascita di un fanciullo che vedrà l’avvento di una nuova,
dorica contribuisce a distanziare il linguaggio poetico. Protagonisti dell’azio- felice stagione cosmica.
230 VIRGILIO LE BUCOLICHE 231

V. Lam ento per la m orte di D afni, eroe pastorale divinizzato; è diviso fra due pasto­ Autobiografia Il dramma dei pastori esuli nelle egloghe I e IX contiene certamente
ri, Menàlca e M opso. nelle Bucoliche un nucleo di esperienza personale. Negli anni 42-41 a.C. confische di terre
VI. Il vecchio Sileno, catturato da due giovani, canta un catalogo di scene mitiche
e naturalistiche, in cui campeggia la consacrazione poetica del grande elegiaco C or­
a favore dei veterani colpirono gli agricoltori intorno a Cremona e poi a
nelio Gallo. L ’egloga è preceduta da una dichiarazione di poetica, che evidentemente Mantova. Secondo la tradizione biografica antica, Virgilio era stato dappri­
(all’uso alessandrino) serve a introdurre la seconda m età del liber. ma anche lui spossessato, poi reintegrato nella proprietà ad opera di perso­
VII. Melibeo racconta in prim a persona una gara fra due poeti, i pastori arcadi naggi influenti: Asinio Pollione, Alieno Varo, Cornelio Gallo (tutti in qual­
Tirsi e Coridone.
che modo presenti nella raccolta bucolica). Intorno a questo nucleo, che
V ili. Dedicata ad Asinio Pollione, è una gara di canto, divisa in due lunghe storie
d ’am ore infelice: il lamento di Dam one, che sceglierà la m orte, e le pratiche magiche sembra accettabile, si sviluppò poi tutta una ricostruzione storica, una sorta
di una donna innam orata. di romanzo allegorico. A partire dall’identificazione di Titiro con Virgilio
IX. Dialogo fra due pastori-poeti, con richiami alla realtà della cam pagna m antova­ — un presupposto anch’esso molto discutibile — interpreti antichi e moder­
na e alle espropriazioni seguite alle guerre civili. no hanno visto dietro a tutte le figure del mondo pastorale una ridda di
X. C onforto del poeta bucolico Virgilio alle sofferenze d ’am ore del poeta elegiaco
Cornelio Gallo.
allusioni storiche. Questo modo di spiegare le egloghe è insoddisfacente, ed
è chiaro che Virgilio, quando realmente vuole alludere a uno sfondo storico,
non ricorre ad allegorie: sicura è la presenza implicita di Ottaviano nella
Architettura delle I criteri di ordinamento delle poesie nel libro sono stati molto discussi I egloga (che secondo alcuni, proprio per il ruolo che vi gioca Ottaviano,
Bucoliche dalla critica. Il numero di dieci potrebbe risalire a una raccolta di dieci Idilli non può essere stata scritta nel periodo delle confische, ma deve essere più
teocritei (non tutti peraltro genuini) usata da Virgilio. Sicura è l’esistenza tarda); chiara anche (al di là della precisa interpretazione del contesto) l’esi­
di numerosi parallelismi fra singoli carmi. Al primo posto sta quello che stenza di un riferimento storico concreto nella IV egloga. Il resto è quasi
contiene un omaggio ad Ottaviano; all’ultimo l’egloga dedicata a Gallo; i tutto congettura poco stringente.
due posti centrali (V e VI) sono occupati da un’egloga che allude alla scom­ Interpretazioni Ciò che importa, è cogliere l’originalità di ispirazione con cui Virgilio
parsa di Giulio Cesare (se è vera la diffusa interpretazione allegorica) e da dell’egloga IV «legge» attraverso il linguaggio bucolico l’epoca delle guerre civili. Questo
una che affronta questioni di poetica ed è dotata di una sorta di proemio. avviene, come si è visto, nelle «teocritee» egloghe I e IX, e nella celebre
Alcune egloghe sono concepite a coppie, e poste a distanza per evidente IV. Come annuncia l’esordio (paulo maiora canamus) il poeta si solleva
amore di varietà: I e IX (riferimenti alla guerra civile in Italia); II e V ili oltre la sfera pastorale (ancora avvertibile nello stile e nella scelta di alcune
(monologhi amorosi); III e VII (tenzoni poetiche); IV e VI, fra loro non immagini) per cantare un grande evento. Per una beffarda congiuntura
troppo legate, sono però i due componimenti meno «pastorali» del libro. storica, questo componimento, in sé estremamente chiaro, ha dato luogo
Si potrebbe continuare a lungo: alcune delle simmetrie proposte dalla critica ad un enigma. Chi è il puer che con il suo avvento riporta l’età dell’oro
sono decisamente troppo sottili e astratte (si basano talora su giochi mate­ sul mondo in crisi? L’identificazione tardoantica del puer con Gesù Cristo
matici, e su presupposti allegorici). è solo la più coraggiosa delle tante congetture avanzate. L’egloga si inseri­
sce nelle aspettative di rigenerazione tipiche dell’età di crisi fra Filippi
e Azio, ed ha un chiaro parallelo nell’epodo XVI di Orazio. Possiamo
I confini del genere bucolico distinguere bene i filoni culturali che nutrono questa poesia visionaria:
le poesie in onore di nozze e nascite avevano una loro tradizione retorica;
Varietà di tenni in II carattere miscellaneo della raccolta di Teocrito aveva consacrato una inoltre Virgilio ha attinto anche a fonti non poetiche, dove si mescolano
Teocrito certa varietà di temi: il nuovo Teocrito, per essere veramente bucolico, dove­ influssi filosofici e presenza di dottrine messianiche, aspettative di un Sal­
va abbandonare qua e là i confini del mondo pastorale. La raccolta di Teo­ vatore. Secondo la maggioranza degli interpreti, però, la figura di questo
crito, quale noi la leggiamo, contiene incursioni nel mondo della città, e giovane salvatore del mondo deve pur avere un referente prossimo e con­
anche poesie celebrative, legate ad occasioni storiche e dedicate a regali pro­ creto: l’egloga è datata chiaramente al consolato di Asinio Pollione, nel
tettori (Idilli XVI e XVII). Inoltre, una certa varietà di ambientazione, con 40 a.C. L ’ipotesi migliore (perché fra l’altro spiega l’oscurità del riferimen­
sparsi accenni a località siciliane e greche, o magnogreche, era realizzata to, chiaro per i lettori del momento, e misterioso già qualche anno dopo)
anche nelle scenette più strettamente pastorali. è che il bambino dell’egloga fosse atteso in quell’anno, ma non sia nato
Paesaggio italico Virgilio sfrutta al massimo queste aperture. Da un lato, alcuni spunti mai. In quell’anno molte speranze seguivano un patto di potere — che
e paesaggio permettono di acclimatare le egloghe nel paesaggio italico familiare al poeta; doveva rivelarsi effimero — fra Ottaviano e Antonio; Antonio, di gran
ideale dall’altro (e questo è un grande apporto di Virgilio alla tradizione della pa­ lunga l’uomo più potente del momento, prendeva in moglie la sorella
storale europea) vi sono accenni, soprattutto nella decima, a un particolare di Ottaviano. Il matrimonio durò poco e non vi furono figli maschi. Ma
paesaggio ideale, PArcadia. Vi sono allusioni a questo mondo beato di pa­ l’egloga, proprio per il suo linguaggio sfumato e oracolare, non perse
stori, isolato fra le montagne e ancora frequentato da presenze divine, già di valore: fu mantenuta al suo posto ed ebbe grande fortuna come docu­
nella cultura greca anteriore, ma il mito dell’Arcadia come terra della poesia mento di un’aspettativa e di un clima morale. Senza saperlo, Virgilio apriva
deve moltissimo a Virgilio. L ’altro, e più sostanzioso, contributo di Virgilio così la strada all’interpretazione cristiana della sua poesia, così importante
alla tradizione bucolica sta nel libero riuso di spunti autobiografici. nel Medioevo.
232 VIRGILIO DALLE BUCOLICHE ALLE GEORGICHE - LE GEORGICHE 233

Le egloghe per Altre due egloghe, la VI e la X, permettono a Virgilio di allargare gli sce. Virgilio, secondo i suoi biografi, lavorava con accanimento su ogni parti­
Gallo e la orizzonti del canto bucolico. La VI è forse l’opera più alessandrina di Virgi­ colare, e si correggeva molto. D ’altra parte, le Georgiche presuppongono una
definizione del lio: le rivelazioni di Sileno spaziano fra immagini mitologiche e cosmologia; straordinaria ricchezza di letture: grande poesia greca (Omero e anche i tragi­
genere bucolico il carme ha al suo centro un omaggio al poeta Cornelio Gallo, in cui il ci, gli Alessandrini), e romana (Lucrezio, Catullo, ecc.), certo, ma anche fonti
quadro bucolico si piega ad accogliere simbologie della poetica alessandrina, tecniche in prosa, e trattati filosofici d’ogni tipo. Un lungo processo composi­
probabilmente già filtrate attraverso la poesia dell’amico. Gallo ritorna co­ tivo è denunciato anche dalla scalatura delle allusioni storiche disseminate nel­
me poeta d’amore nella X egloga; si tratta per la verità di un componimento l’opera. Il finale del I libro evoca un’Italia in preda alle guerre civili, in cui
bucolico (e non potrebbe essere altrimenti, data la sua funzione di congedo l’ascesa di Ottaviano è solo una speranza insidiata da molti pericoli: lo scena­
del libro). Tipicamente bucolico è lo scenario dell’Arcadia, così come l’idea rio ha senso solo se è concepito in anni intorno al 36 a.C., quando il potere
che la poesia possa medicare le pene d’amore avvicinando l’uomo alla natu­ di Ottaviano non è ben assestato neppure in Italia, e sono recenti le devasta­
ra. Ma anche qui Virgilio non rinuncia ad allargare l’orizzonte. Gallo è rap­ zioni della guerra civile. In molti altri luoghi il poema mostra già il principe
presentato come l’incarnazione di un’altra poesia: il canto elegiaco, che è trionfatore dell’universo pacificato. Non si tratta certo di una discrepanza pas­
anche (come sarà per Properzio e Tibullo) una scelta di vita. Il poeta elegia­ sivamente recepita; Virgilio ha voluto inglobare nel suo poema, accanto alla
co Gallo, provato dall’amore infelice che è la sua scelta di vita, cerca rifugio vittoria del nuovo ordine, anche le lacerazioni che lo hanno preparato.
nella poesia bucolica dell’amico. Il confronto di questi due mondi permette, La data di pubblicazione del poema coincideva dunque con il triplice
a Virgilio di rendere omaggio a un grande amico, ma anche di precisare grandioso trionfo di Ottaviano: ma questo pone un delicato problema.
a fondo (esplorando i confini — somiglianze e differenze — del genere bu­ Secondo u n ’altra notizia antica, tram andata dal com mentatore Servio, Virgilio avrebbe
Il problema del
colico e del genere elegiaco) la propria personale dimensione poetica. doppio finale alterato il testo del poem a, sopprim endo una parte, e sostituendovi la storia di Ari-
Poesia e Nel complesso, le Bucoliche rivelano non solo la maturità poetica rag­ steo (o, secondo una variante, la sola vicenda di O rfeo ed Euridice): causa del fatto,
autobiografia giunta da Virgilio, ma anche il maturare delle sue scelte di vita. La poesia l’improvviso suicidio dell’amico Cornelio Gallo. La disgrazia di Gallo presso A ugu­
nelle Bucoliche è vissuta come un rifugio contro i drammi dell’esistenza; la vita ritirata dei sto e la sua m orte sono avvenimenti del 26 (o, meno probabilm ente, dell’anno suc­
cessivo). Che cosa esattamente fu soppresso? La nostra fonte parla di «lodi» di
pastori accoglie stemperate tonalità epicuree. Le passioni sono presenti con Gallo. «Lodi» di Pollione, di Augusto, di Mecenate, sono frequenti in Virgilio, ed
intensità anche lacerante, ma la poesia è anche un modo di superarle attra­ è chiaro perciò cosa dobbiam o immaginarci. Vi sono però due grosse obiezioni. Se
verso l’armonia. A fianco del poeta si intravedono le figure di grandi protet­ l ’opera cominciò a circolare nel 29, come sembra necessario, è strano che questi
tori, che rendono possibile la sua vita di otium poetico: Pollione (cui è dedi­ versi siano scomparsi nel nulla senza lasciare traccia. D ’altra parte, l’epillio di Ari-
steo è lungo più di 200 versi. Se il brano soppresso era di lunghezza paragonabile
cata l’egloga V ili), e poi — ma solo implicitamente — Ottaviano, che sarà — come è praticam ente obbligatorio, dato che i libri delle Georgiche sono tutti quan­
per Virgilio la decisiva scelta di campo. Di un’altra figura nelle Bucoliche titativam ente bilanciati in un delicato equilibrio — cos’altro avrà contenuto il IV
non c’è traccia: sarà l’ispiratore diretto delle Georgiche, Mecenate. libro nella «prim a edizione»? E a cosa si riattaccava la lode di Gallo? U na delle
La poesia elegiaca vuole che il poeta sperimenti sino in fondo le pene ipotesi più attraenti si fonda su IV 290-3, un brano che tratta dell’Egitto in rapporto
d’amore; ma nel genere bucolico il canto d’amore è consolazione e riconci­ con la bugonia (la nascita spontanea delle api dalla carcassa di un bue). Il testo
è piuttosto sconnesso e mal tram andato; l’Egitto era la provincia di Cornelio Gallo.
liazione con la natura. Lo scenario bucolico riassorbe e media in sé il con­ T utto questo farebbe pensare ad una breve citazione di Gallo. Sarebbe stato più
trasto di modelli: come ha scritto il grande umanista Giulio Cesare Scalige­ facile eliminarla, senza dover ricorrere a frettolose riscritture. M a allora l’epillio di
ro, «il genere bucolico richiama a sé e riassorbe ogni elemento della realtà». Aristeo e Orfeo sarà davvero u n ’aggiunta di seconda mano?

Come si vede, la notizia del rifacimento pone gravi problemi; d’altra parte
nessuno ha dimostrato chi possa averla inventata dal nulla, e perché. Ciò che
2. Dalle Bucoliche alle Georgiche (38-26 a.C.) invece è sicuro — perché risale alla comune e fondata esperienza dei lettori di
Virgilio — è che la «digressione» narrativa su Aristeo (in qualsiasi momento sia
Virgilio è Nel 38 a.C. le Bucoliche sono ormai (è verosimile) completate, e già stata scritta) non ha nulla di posticcio o di improvvisato; non solo perché è in
Mecenate Virgilio ha un nuovo influente protettore: Mecenate. In quest’anno, il giova­ se stessa un esempio di grande poesia, ma soprattutto perché robusti fili la colle­
ne Orazio entra a far parte della cerchia di amici, e vi trova già insediato gano alla trama dell’opera e persino alla strutturazione didascalica del contesto.
Virgilio. Mecenate non chiede ai giovani letterati di talento nessuna parteci­
pazione diretta alle fortune del partito di Ottaviano. Ma la sua influenza
è evidente in una nuova generazione di opere poetiche — gli Epodi di Ora- 3. Le Georgiche
zio, le Georgiche di Virgilio.
La lunga La composizione costò a Virgilio quasi dieci anni di lavoro; una spinta L e Georgiche come poem a didascalico
elaborazione delle importante fu forse (nel 37 a.C.) la diffusione dell’opera di Varrone sull’a- Evoluzione Il titolo Georgica prometteva al lettore colto romano qualcosa di molto
Georgiche gricoltura. Nel 29 a.C., per quanto ne sappiamo, il poema era giunto ad ellenistica del più limitato rispetto alle reali ambizioni dell’opera. Come già per le Bucoli­
uno stadio definitivo, e fu recitato al principe che tornava vittorioso dalle genere che (ma in misura molto meno intensa), Virgilio parte da un aggancio imme­
campagne contro Antonio e Cleopatra. Una durata tanto lunga non stupi­ didascalico diato con la poesia greca ellenistica. Arato, Eratostene, Nicandro: autori
234 VIRGILIO
LE GEORGICHE 235

vissuti fra III e II secolo, che avevano compiuto una svolta di gusto e di La conciliazione Più alessandrino (e neoterico) di Lucrezio, Virgilio si sente comunque
poetica entro la tradizione del genere didascalico. Fenomeni e Pronastici virgiliana tra più vicino a Lucrezio che agli alessandrini. Certamente non gli è estraneo
Lucrezio e gli il gusto delle cose tenui, lo sforzo per trasformare in poesia dettagli fisici
(di Arato), Georgikà e Alexiphàrmaka (di Meandro) sono opere che, come
alessandrini e realtà minute, in apparenza refrattarie alla dizione poetica: forse è questo
il titolo promette, di fatto contengono un messaggio di insegnamento, o
comunque di informazione, quale è previsto dalle norme della poesia dida­ l’aspetto in cui Lucrezio e gli alessandrini si lasciano meglio conciliare. Le
scalica. Ma questo messaggio è estremamente specializzato e ridotto nelle Georgiche, non a caso, devono parte del loro fascino a immagini come que­
sue aspirazioni; si pensi a cos’è il genere didascalico per Esiodo, per Empe­ ste: le incrostazioni dell’olio in una lucerna (I 391), il comportamento delle
docle o Parmenide. Non a caso spesso questi poeti ellenistici usano come api ammalate (IV 252), la consistenza della terra sbriciolata fra le dita ( I I
falsariga dei trattati scientifici in prosa: chi fosse profondamente interessato 248). È il contributo di Virgilio per allargare gli orizzonti della letteratura
ai soli contenuti, teorici o pratici, poteva rivolgersi direttamente a queste aguzzando la percezione e rielaborando in poesia realtà in apparenza trascu­
fonti tecniche (è la prosa, ormai, il veicolo ufficiale delPinformazione e della rabili. In tenui labor (IV 6) 1 è un programma poetico che deve molto alla
manualistica). Questi poeti non pretendono di insegnare a un destinatario, ricerca formale alessandrina e alla poetica di Callimaco. Molti brani del
più o meno ideale, mettendo al servizio di grandi contenuti la propria arte poema rivelano addirittura emulazione diretta di poeti come Arato, Erato-
letteraria. La stessa figura del destinatario, nei loro carmi, è più che altro stene, Nicandro, Varrone Atacino. Fonti tecniche in prosa (Varrone Reati­
una sopravvivenza formale, di genere; allo sforzo di argomentare e persua­ no, ma non solo lui) sono ampiamente saccheggiate là dove il discorso si
dere (così sentito nella poesia greca arcaica) subentra ormai la passione di fa pratico e la trattazione sistematica.
descrivere. Lucrezio e Tuttavia, l’impulso di fondo delle Georgiche è partito da un dialogo
Virgilio con Lucrezio. «Felice chi ha potuto investigare le cause delle cose e mettere
Prevalenza della Anche questa passione, del resto, è ormai relativa. La raffinatezza della
forma sul ricerca formale, il virtuosismo del fare versi, sbilanciano queste opere sul sotto i piedi le paure tutte, il fato inesorabile, il risuonare dell’avido Ache­
contenuto nel versante della forma: operazioni svolte quasi contro i contenuti stessi dell’«in- ronte. Fortunato anche colui che conosce gli dei agricoli, Pan e il vecchio
genere segnamento» (contro l’aridità, o la modestia, dei temi affrontati). Si preferi­ Silvano e le Ninfe sorelle. Quell’uomo non lo possono piegare né i fasci
didascalico popolari né la porpora dei re, la discordia che inquieta i fratelli sleali o
scono temi «freddi» (carmi sulla geografia astronomica, sulle fasi lunari)
alessandrino i Daci che calano dal Danubio, non le vicende di Roma e i regni condannati
o tecnici e minuti (il veleno dei serpenti, certi tipi di caccia). Arato, cantore
dei fenomeni celesti, ha informazioni poco profonde sull’astronomia; ma alla distruzione; e non soffre mai pietà per il povero o invidia per il ricco.
adopera con rara sottigliezza le convenzioni della lingua poetica. Il suo stile I frutti portati dai rami, prodotti volentieri e spontaneamente dalle sue cam­
è intriso di manierati richiami omerici. L’unità dell’opera è garantita dall’u­ pagne, se li raccoglie: nulla sa delle leggi di ferro, dei deliri del foro, dei
niforme controllo dello stile e dalla specializzazione «monografica» dell’ar­ pubblici archivi» (II 490-502). Un nuovo messaggio di salvazione e di sag­
gomento, più che dalla sincerità di un’impostazione didattica. Il rigore for­ gezza: non coincide, né si oppone direttamente, con la dottrina di Lucrezio,
male di questa poesia è per Virgilio una lezione da meditare. L’alternanza ma si misura rispetto ad essa, andando a occupare uno spazio più ritirato
di cataloghi, descrizioni, digressioni narrative, è di una ben studiata varietà. e modesto. Vi sono chiare analogie: la saggezza del contadino, che media
Ma le Georgiche risulteranno ben altro che la «messa in poesia epica» di la fatica del lavoro e la spontanea generosità della terra, conduce ad una
trattazioni tecniche. forma di autosufficienza, materiale e spirituale. Questa autarchia risponde
Lucrezio e la La tradizione della poesia didascalica si era spezzata, e nuovamente all’incombere della crisi sociale e culturale della repubblica romana: così,
rivalutazione dei rivoluzionata, in ambito romano, sotto il forte impulso di Lucrezio. Ricer­ il saggio lucreziano si liberava insieme dalle paure superstiziose e dalla pres­
contenuti ca formale e gusto letterario sono, naturalmente, patrimonio anche di Lu­ sione della storia. Vi sono anche delle nette differenze. Lo spazio georgico
crezio. Nella stessa sua epoca, la tradizione didascalica «aratea» aveva tro­ di Virgilio accoglie più largamente la religiosità tradizionale; anzi fa corpo
vato interpreti come Cicerone giovane o più tardi Varrone Atacino. Ma con essa; e la ricerca intellettuale dei meccanismi cosmici, tesa a liberare
Lucrezio se ne era distaccato decisamente, ritrovando per altra via, spinto dall’angoscia di vivere, cede il passo ad un sapere più debole, ancorato al
dal suo personale indirizzo di pensiero, il filone della «grande» poesia dida­ ritmo della vita quotidiana. Si ha l’impressione che Lucrezio guardi alle cau­
scalica: la poesia di Esiodo, di Parmenide, di Empedocle, veicolo di espres­ se naturali come retroscena della cultura umana; Virgilio invece sembra ap­
sione per un messaggio individuale rivolto ad una larga comunità, orientato pigliarsi pazientemente a tutto ciò che incivilisce e umanizza la natura —
a ben precisi scopi di trasformazione della vita, di liberazione, di rifonda­ e da qui nasce in gran parte la poesia delle Georgiche.
zione della saggezza: messaggi di salvazione attraverso il sapere. Investita
da questo slancio missionario, la poesia di Lucrezio supera le esigenze del
gioco poetico. Descrizioni, digressioni, similitudini, si vogliono strettamente
funzionali alla struttura dell’opera, e alla sua ideologia. La bellezza della
forma è miele, accessorio alla severità della medicina filosofica. L ’impegno 1 «È esile il tem a della m ia fatica»: labor allude (come in greco pònos) al concetto della
del poeta verso i contenuti del proprio messaggio di salvezza si fa responsa­ poesia come travaglio form ale; tenue è il m ondo delle api, m a il termine ha connotazioni
bilità formale: è l’istanza che controlla tutta la costruzione del discorso critico-letterarie come il greco leptòm un genere di poesia «sottile» che rifugge dai temi elevati
e ricerca la massima perfezione della form a.
poetico.
236 VIRGILIO
LE GEORGICHE 237

L o sfondo augusteo 110 al «mito nazionale» dell’unità italica deve essere stato molto sensibile.
La cosiddetta ideologia augustea non è solo un apparato ideologico prefor­
Ottaviano nelle Lo spazio georgico del poema ha una sua cintura protettiva. Il giovane mato, che il poeta si limita a rispecchiare; è anche, in certa misura, il risulta­
Georgiche Ottaviano si profila come l’unico che può salvare il mondo civilizzato dalla to di singoli apporti intellettuali.
decadenza e dalla guerra civile (I 500 segg.): siamo nell’età di crisi prima La complessità di questo mondo ideologico risulterà più evidente se si
di Azio, nell’incertezza che nasce dalla morte di Cesare e da Filippi. Altrove, esamina la struttura compositiva del poema.
egli appare già come trionfatore e portatore di pace: il trionfo di Ottaviano
nel 29 (III 22 segg.); Cesare Augusto che respinge i popoli orientali (II 170
Struttura e composizione
segg.; IV 560 segg., il sigillo dell’opera), la figura divina che vigila sul mon­
do e protegge la vita dei campi (I 40 segg.).
Le Georgiche e Il nuovo principe assicura le condizioni di sicurezza e prosperità entro Argomento dei I temi dei quattro libri sono, rispettivamente, il lavoro dei campi, l’ar-
singoli libri boricultura, l’allevamento del bestiame, l’apicultura. Sono quattro attività
l’età del cui il mondo dei contadini può ritrovare la sua continuità di vita. Per questo
principato tipo di cornice ideologica, le Georgiche si possono considerare il primo vero fondamentali del contadino, non le uniche; il confronto, ad esempio,
documento della letteratura latina nell’età del principato. Il primo proemio con il De re rustica varroniano, mostra che Virgilio ha operato una se­
ne è un chiaro esempio: vi compare — con netta frattura verso la tradizione lezione ben precisa. L’ordine in cui questi lavori sono collocati nel testo
politica romana — la figura del principe quale sovrano divinizzato, sviluppo descrive una curva, per cui l’apporto della fatica umana diviene sempre
esplicito di una tradizione ellenistica che tanto aveva faticato per affermarsi meno accentuato, e la natura (vista, comunque, in funzione dell’uomo)
a Roma. Il principe Augusto, e accanto a lui il suo consigliere Mecenate, è sempre più protagonista. Allo sforzo incessante dell’aratore, nel libro
sono accolti nell’opera non solo come illustri dedicatari (il Memmio di Lu­ I, risponde, nel libro IV, la terribile operosità delle api, animali che,
crezio), ma anche come veri e propri ispiratori. Sia pure per brevi accenni per le loro caratteristiche, si fanno quasi sostituti dell’impegno umano.
(I 40 segg.: Augusto; III 41: tua, Maecenas, haud mollia iussa) Virgilio la­ La struttura del poema sembra orientata dal grande al piccolo, dalle leggi
scia capire che (provando a «tradurre» in termini lucreziani) questi perso­ cosmiche del lavoro agricolo sino al microcosmo degli alveari: ma proprio
naggi tengono il ruolo di Epicuro, e non quello di Memmio: ispiratori del­ il piccolo mondo delle api è quello che più riavvicina la natura alla cultura
l’insegnamento piuttosto che interlocutori, o tanto meno discepoli. Il ruolo dell’uomo.
di destinatario della comunicazione didattica è assegnato invece alla figura Architettura delle L’opera è dunque impostata su una serie di libri dotati di chiara autono­
Georgiche mia tematica e collegati da un piano complessivo, ciascuno introdotto da
collettiva d q\Yagricola. Dietro a questo destinatario, assorbito nel testo come
orientamento didascalico, si profila invece il destinatario reale dell’opera: un proemio e dotato di sezioni digressive. Anche qui è evidente la lezione
un pubblico che conosce la vita delle città e le sue crisi. Rivolto formalmente di Lucrezio. Con due importanti differenze: da un lato, Virgilio tende a
alla vita dei campi, il poema finisce per affrontare di scorcio anche i proble­ indebolire le costrizioni logiche del pensiero,-i forti nessi argomentativi, i
mi della vita urbana e i più generali problemi del vivere. collegamenti fra un tema e l’altro; al contrario, l’architettura formale del
Virgilio e il «mito È abbastanza difficile credere che le Georgiche siano direttamente ispi­ poema si fa più regolata e simmetrica. Nasce così una nuova struttura poeti­
nazionale» rate da un «programma augusteo» di risanamento del mondo agricolo. Se ca; il discorso fluisce naturale e talora capriccioso, nascondendo i passaggi
mai un tale programma fu concepito in quegli anni, non ha lasciato impron­ logici, muovendo per associazioni di idee o contrapposizioni; nello stesso
ta di sé nella storia economica; per di più, l’immagine dell’economia rurale tempo, il suo dinamismo finisce per trovare equilibrio in una studiatissima
che traspare dal poema è una idealizzata costruzione regressiva, inadeguata Proemi e architettura d’insieme. Questa è soprattutto trasparente nelle simmetrie fra
digressioni finali libro e libro. Ogni libro delle Georgiche è dotato di una «digressione» con­
alla realtà dell’epoca. L ’eroe del poema, se così si può dire, è il piccolo
proprietario agricolo, il coltivatore diretto: Virgilio ha al massimo pallidi clusiva, di estensione piuttosto regolare: le guerre civili (I 463-514); la lode
accenni per le grandi trasformazioni in corso: l’estensione del latifondo, lo della vita agreste (II 458-540); la peste degli animali nel Norico (III 474-566);
spopolamento delle campagne, le assegnazioni di terre ai veterani, il trasferi­ la storia di Aristeo e delle sue api (IV 315-558). Hanno chiaro valore di
mento di certe produzioni agricole dall’Italia alle province. Più notevole an­ cerniera i proemi: due volte lunghi, ed esorbitanti rispetto al tema georgico
cora è la mancanza di qualsiasi accenno al lavoro schiavile, vero cardine dei singoli libri (1,111); due volte brevi e strettamente introduttivi (II e IV).
dell’economia agricola. L’idealizzazione del colonus ha, evidentemente, un Queste somiglianze formali hanno anche una funzione più profonda: I e
puro significato morale. Più facile è cogliere, a questo livello, precise con­ 111 libro risultano così accoppiati, e lo sono anche nelle grandi digressioni
vergenze tra Virgilio e la propaganda ideologica augustea. Ad esempio, l’e­ finali: guerre civili e pestilenza degli animali si richiamano quasi a specchio,
saltazione delle tradizioni dell’Italia contadina e guerriera, sentita come mondo e gli orrori della storia corrispondono ai disastri della natura. Rispetto a
unitario, ha come sfondo il clima della guerra contro Antonio: il partito questi finali «oscuri», rasserenante è l’effetto delle altre digressioni: l’elogio
di Ottaviano la presentava come uno scontro fra Occidente e Oriente, soste­ della vita campestre si oppone alla minaccia della guerra, e la rinascita delle
nuto dalla spontanea concordia dell’Italia che riconosceva in Ottaviano il api replica allo sterminio della pestilenza (anche se, con allusività tipicamen­
proprio capo carismatico. Tuttavia, non va trascurata l’autonomia con cui te virgiliana, la rinascita collettiva delle api non è scissa dalla tragedia indivi­
Virgilio rielabora questo patrimonio di idee. Il contributo personale di Virgi- duale del poeta Orfeo). Queste grandi polarità fra temi di morte e temi
238 VIRGILIO
DALLE GEORGICHE ALL’EN EID E - V ENEIDE 239
di vita danno un senso all’architettura formale, la tramutano in un chiaro­ La storia di Ma tutta la costruzione narrativa è, a sua volta, chiusa nell’impianto
scuro di pensieri che suscita riflessione nel lettore. Orfeo e Aristeo del poema didascalico. Virgilio invita il lettore a rintracciare una continuità.
I contrasti nelle Infatti le Georgiche, oggetto di culto nelle epoche di classicismo, sono all’interno del Alcuni temi fondamentali del poema si ritrovano ora sotto mutata veste,
Georgiche anche un’opera di contrasti e di incertezze. Lo splendido equilibrio dello genere cioè sotto specie non più didattica ma narrativa. La figura di Orfeo fonde
stile e la simmetria della struttura non nascondono l’irrompere di inquietudi­ didascalico
insieme le grandi possibilità dell’uomo, che col suo canto arriva persino a
ni e conflitti. La fatica dell’uomo è inviata dalla Provvidenza divina per
dominare la natura, e il suo scacco, l’impossibilità a vincere la legge naturale
una sorta di necessità cosmica (I 121 segg.); ma l’ideale del contadino si
della morte. L’altro eroe civilizzatore, Aristeo, indica una diversa strada:
richiama al mito dell’età dell’oro — quando il lavoro non era necessario la paziente lotta contro la natura (già nella tradizione mitica Aristeo «inven­
perché la Natura rispondeva da sola ai bisogni. La vita semplice e laboriosa ta» la caccia, il caglio del latte, la raccolta del miele, ecc.) è sostenuta da
del contadino italico ha portato alla grandezza di Roma: ma Roma è anche
una tenace obbedienza ai precetti divini e conduce fino alla rigenerazione
la Città, vista come luogo di degenerazioni e di conflitti, polo opposto all’i­
delle api. Così la digressione narrativa illumina — secondo i modi allusivi
deale georgico. Il paziente eroe contadino Aristeo perviene, secondo i consi­
e cangianti del mito — la sostanza del messaggio didascalico, e a sua volta
gli divini, a rigenerare il suo sciame; ma da un suo gesto poco avveduto,
ne viene illuminata. Senza offrire una soluzione precettistica, Virgilio lascia
intanto, è nata l’irrimediabile infelicità del disobbediente poeta Orfeo.
che il suo racconto sia attraversato dal contrasto fra differenti modelli di vita.

La storia dì Aristeo e Orfeo


Riassunto della La digressione finale del IV libro ha, a differenza delle altre, carattere 4. Dalle Georgiche all ’Eneide
storia di Aristeo narrativo. È introdotta come àition alla maniera alessandrina: «origine»,
e Orfeo e spiegazione, di un fatto mirabolante, la bugonìa. Le fonti naturalistiche Le Georgiche L ’esperienza delle Georgiche permette a Virgilio di «pensare in grande»
antiche parlano spesso di questa proprietà delle api, che possono nascere magistero di senza abbandonare i requisiti della poetica nuova; il poema si misura con
dalla corruzione di una carcassa bovina. Virgilio ora racconta una storia forma e di stile un ampio concertato di temi, organizzati in continuità, senza per questo
sulla scoperta di questa meraviglia. soggettivo rinunciare alla cesellatura formale. Nello stesso tempo, Virgilio approfondi­
Aristeo — personaggio mitico, grande civilizzatore e scopritore di tecniche — ha sce la natura «soggettiva» del suo stile: quando descrive (e quando narra,
perso le sue api per u n ’epidemia. Con l’aiuto della madre, la ninfa Cirene, l’eroe come nel «piccolo epos» di Aristeo) il poeta immerge oggetti e personaggi
contadino scopre l’origine del m orbo: senza volerlo egli aveva causato la m orte di nella sua partecipazione soggettiva, oppure si immerge, per un momento,
Euridice, la sposa del cantore O rfeo. Un veggente racconta ora ad Aristeo la triste nella prospettiva di altri soggetti; descrive e narra senza rinunciare alle emo­
storia del poeta: sceso all’Ade, aveva saputo riportare in vita la moglie con la forza zioni.
del suo canto; poi, per un fatale errore, l’aveva di nuovo, e per sempre, perduta.
Segue la sconsolata m orte del poeta Orfeo: m a da questo racconto Aristeo trae un L’attesa di un L’aspettativa di un nuovo epos era forte nella cultura augustea. Il poeta
insegnamento prezioso. Con un sacrificio di buoi viene placata la maledizione: e epos nella cultura che nelle Bucoliche rifiutava di cantare reges et proelia (VI 3) accetta ora
dalle vittime del sacrificio, m iracolosamente, si sviluppa la vita di nuove api. augustea di affrontare questo peso, ma porta con sé una sensibilità nuova. Nel proe­
mio al mezzo delle Georgiche Virgilio lascia intendere persino di voler canta­
Tecnica dei Virgilio ha collegato due miti abbastanza diversi fra loro, ripensandoli re le gesta di Augusto (III 46-48). La tradizione «enniana» avversata dai
racconti a entrambi (come prova l’analisi delle fonti mitologiche), e disponendoli in poetae novi non si era del resto mai estinta del tutto: ma l’epica serviva
incastro una struttura a cornice. In questo pesa molto una tradizione della poesia per lo più alla celebrazione di imprese contemporanee. I contemporanei do­
alessandrina e neoterica, quella dei racconti a incastro: l’esempio più visto­ vevano tendere, perciò, ad aspettarsi una sorta di nuova Cesareide-, il risulta­
so, e il più presente a Virgilio, era certo il carme 64 di Catullo. Era impor­ to non mancò di stupire.
tante che i due racconti non fossero solo meccanicamente collegati (per mez­
zo di una descrizione, o di un racconto dentro il racconto): le due storie
dovevano in qualche modo richiamarsi a vicenda. In questo Virgilio dispiega
grande virtuosismo: i due racconti sono collegati da sottili parallelismi nar­
5. L ’Eneide
rativi. Il contadino Aristeo e il poeta Orfeo affrontano entrambi una serie
di peripezie: il primo è calato entro un fiume sino alla favolosa origine delle
acque; il secondo scende addirittura nell’abisso dell’Oltretomba. L’eroe con­ Omero e A ugusto (I)
tadino e il poeta, per diverse vie, finiscono entrambi a lottare contro la
morte. Paralleli nello sviluppo (la ricerca di un mezzo per superare una pri­ Il confronto con In realtà la nuova epica non si proponeva di continuare Ennio ma di
vazione), i due racconti sono opposti nelle conclusioni: fallisce l’impresa Omero: «sostituirlo»; perciò era inevitabile un confronto diretto con Omero. Secon­
di Orfeo, che non rispetta una prescrizione divina; ha successo la missione corrispondenze e do i grammatici antichi l’intenzione àùVEneide sarebbe duplice: imitare Omero
di Aristeo, che invece si distingue per scrupolosa obbedienza. opposizioni e lodare Augusto «partendo dai suoi antenati».
L ’ ENEIDE 241
240 VIRGILIO

steo per una distanza quasi siderale. Gli antichi ponevano un intervallo di
Un primo sguardo all’opera mostra che si tratta di una semplificazione
circa quattro secoli fra la distruzione di Troia e la fondazione di Roma.
ragionevole. I dodici libri sono anzitutto concepiti come una risposta ai qua­
Gli eventi dell’Eneide sono trattati come «storici», ma non si tratta, tecnica-
rantotto libri dei due poemi omerici.
mente parlando, neppure di storia romana. I lettori romani di Virgilio si
Eneide I-VI racconta il travagliato viaggio di Enea da Cartagine alle
trovano immersi in un mondo «omerico», a una distanza leggendaria di
sponde del Lazio, con una retrospettiva sulle vicende che avevano portato
più di un millennio dal presente che hanno familiare.
Enea da Troia a Cartagine. Con l’inizio del libro VII i Troiani sono ormai
Questo spostamento permette a Virgilio di guardare il mondo di Augu­
giunti alla foce del Tevere, luogo assegnato dal Destino, e comincia la narra­
sto da lontano·, un po’ come nelle Georgiche lo spostamento verso il mondo
zione di una guerra (VII 42: dicam acies) che si concluderà solo con la morte
senza storia della campagna consentiva al poeta una prospettiva più ampia
di Turno all’ultimo verso del libro XII. Perciò si usa parlare di una metà
e distaccata. L 'Eneide è attraversata da scorci profetici che conferiscono
«odissiaca» deìYEneide (I-VI) e di una metà «iliadica» (VII-XII). Si vuole
alla storia un orientamento «augusteo»; ma non cessa per questo di essere
alludere con questo ad una grande partizione strutturale, senza dubbio volu­
omerica.
ta dal poeta: non per questo mancheranno singoli influssi de\Y Odissea sulla
Tecniche Infatti sono omeriche le tecniche narrative che permettono a Virgilio
parte finale del poema, o déiY Iliade su quella iniziale. Ma se guardiamo
narrative di guardare da lontano la Roma augustea. Nell’Iliade Zeus profetizza il de­
alle grandi linee del progetto di Virgilio, la scelta di fondo è chiara. UIliade
omeriche e Roma stino degli eroi e la distruzione di Troia; nelYEneide (I 257-296, e altrove)
narra le vicende che portano alla distruzione di una città; YOdissea narra, augustea Giove traguarda non solo il destino di Enea ma anche la futura grandezza
facendo seguito a questa guerra, il ritorno a casa di uno dei distruttori.
di Augusto che riporterà finalmente l'età dell’oro. NelVOdissea Odisseo scende
Queste due storie epiche, queste fabulae, si ripresentano in Virgilio in se­
verso l’Ade e ottiene così uno scorcio sul suo destino; nùYEneide Enea im­
quenza rovesciata: prima i viaggi, poi la guerra; ma questo comporta anche
para dal regno dei morti non solo il suo personale futuro, ma anche i grandi
un’inversione dei contenuti. Il viaggio di Enea non è un ritorno a casa come
momenti della storia di Roma (VI 756-886). NelYIliade, poema della forza
quello di Odisseo; è fondamentalmente un viaggio verso l ’ignoto. La guerra
guerriera, la descrizione dello scudo di Achille introduce una sorta di visione
di Enea non serve a distruggere una città, ma a costruire una città nuova
cosmica (scene naturali, immagini di città); mlYEneide la descrizione dello
(che sarà l’antenata di Roma). Questa complessa trasformazione dei modelli
scudo di Enea è finalizzata all’immagine della Città di Roma, colta nei mo­
omerici non ha precedenti nella poesia antica. Già Apollonio Rodio, in certa
menti critici del suo sviluppo storico (Vili 626-728). Si sperimenta così un
misura, aveva «contaminato» sequenze narrative tratte da ambedue i poemi
difficile equilibrio fra la tradizione dell’epos eroico e il bisogno di un’epica
omerici; e sembra di capire che il Bellum Poenicum di Nevio si ispirasse
storico-celebrativa.
&\YOdissea per il viaggio di Enea e all’Iliade per le narrazioni di guerra:
ma si tratta solo di spunti lontani (per Nevio cfr. p. 33).
Contaminazione e Si potrebbero distinguere, per comodità, diversi livelli nel rapporto di La leggenda di Enea
continuazione di trasformazione. L'Eneide è anzitutto, come si è visto, una particolare conta­
Omero minazione dei due poemi omerici. In secondo luogo, vi è anche una conti­
Leggende italiche Il momento di sintesi fra dimensione omerica e dimensione augustea
nuazione di Omero. Infatti le imprese di Enea fanno seguito aWIliade —
e storia di Enea fu dato a Virgilio da una vecchia leggenda. L’Italia antica conosceva una
il II libro di Virgilio racconta l’ultima notte di Troia, che nell’Iliade veniva
serie di «leggende di fondazione» collegate alla guerra di Troia. Eroi di par­
solo profeticamente intravista — e si riallacciano all’Odissea — nel III libro
te greca e di parte troiana, sbandati o esuli, sarebbero stati i fondatori,
Enea segue in parte la traccia delle avventure di Odisseo, affrontando peri­
o insomma i colonizzatori, di località italiche. Fra queste storie, in un lungo
coli che l’eroe greco ha già attraversato. In questo senso, Virgilio riprende
processo esteso fra il IV e il II secolo a.C., acquistò particolare peso la
l’esperienza dell’epos ciclico: la catena di narrazioni epiche che «integrava­
leggenda di Enea. Egli era in Omero un importante, ma non principale,
no» la poesia di Omero in una sorta di continuum.
Ripetizione e
eroe troiano: la sua casata sembra destinata a regnare su Troia dopo l’estin­
In terzo luogo, YEneide racchiude in sé una sorta di ripetizione di Ome­
superamento zione della stirpe di Priamo (Iliade XX, 307 segg.). In seguito invece divenne
ro. Ad esempio, la guerra nel Lazio è spesso vista come una «ripetizione»
della guerra popolare, anche nell’arte figurativa, la fuga di Enea da Troia in fiamme,
della guerra di Troia. Ma non si tratta certo di un rispecchiamento passivo.
omerica con il padre Anchise sulle spalle. Si stabilì ben presto un collegamento con
All'inizio, i Troiani si trovano assediati, e vicini alla sconfitta: come se fos­
il Lazio antico: da un lato lavorava in questo senso una tradizione letteraria
sero condannati al loro destino. Alla fine, però, i Troiani sono vincitori,
greca, dall’altro (come ci hanno rivelato recenti scoperte archeologiche) il
ed Enea uccide il capo avversario, Turno, come Achille uccide Ettore: nella
culto di Enea come eroe fondatore è attestato a Lavinium, a sud di Roma,
nuova Iliade i Troiani sono vincitori. Ma si vede bene che la ripetizione
sin dal IV secolo.
è anche un superamento di Omero. La guerra, pur attraverso lutti e soffe­
Potenza romana Non sembra che Enea sia mai stato considerato il fondatore di Roma,
renze, porterà non alla distruzione, ma alla costruzione di una nuova unità.
e fortuna del né che avesse un particolare culto nella Roma arcaica. Tra il II e il I secolo,
Alla fine, Enea riassume in sé l’immagine di Achille vincitore e, soprattutto, mito di Enea però, la sua figura acquistò crescente fortuna fra i Romani. Le motivazioni
quella di Odisseo che dopo tante prove conquista la patria restaurando la pace.
sono politiche, e non facili da districare. Anzitutto, il mito dell’origine troia­
La preistoria di Questo ci riporta all’altra intenzione di Virgilio: «lodare Augusto par­
Augusto na dei Romani ne traeva sostegno: il più nobile eroe troiano scampato alla
tendo dai suoi antenati». Il poema di Virgilio si distacca dal presente augu-
242 VIRGILIO
L ’ENEIDE 243

catastrofe sarebbe stato connesso, per via genealogica, a Romolo, il fonda­ re di una piccola nazione di Àrcadi. Insieme al figlio di Evandro, Pallante, Enea trova
tore della città. Questo permetteva alla cultura romana di rivendicare una poi un potente alleato: la coalizione etrusca sollevata contro Mezenzio, crudele tiran ­
sorta di autonoma parità con i Greci, proprio nel tempo in cui Roma acqui­ no di Cere ora messo al bando, e alleato di Turno. L ’aiuto divino ad Enea si comple­
siva l’egemonia del Mediterraneo greco. I Troiani erano consacrati dal mito ta nel dono di u n ’arm atura vulcania; lo scudo è istoriato con il futuro di Roma.
omerico come grandi antagonisti dei Greci; da Roma sarebbe nata la loro IX. Il campo troiano, assente Enea, si trova in una situazione critica. T urno e i
rivincita. (Anche il terzo grande potere del Mediterraneo, Cartagine, venne suoi alleati ottengono parziali successi: il coraggioso sacrificio dei giovani troiani
opportunamente ricollegato alla leggenda di Enea tramite la regina Didone). Eurìalo e Niso in spedizione n o ttu rn a non dà esito.
Così Roma legittimava il suo nuovo potere attraverso uno sfondo storico X. Enea con gli alleati irrom pe sulla scena e sposta la bilancia della guerra. Ma
Enea antenato di profondissimo. Un secondo fattore della popolarità di Enea dipende da una T urno in singoiar tenzone uccide il giovane Pallante, alleato di Enea e suo protetto,
Augusto circostanza di politica interna. Attraverso la figura del figlio di Enea Asca- e lo spoglia del balteo; indossa il balteo come ricordo della superba vittoria. In
nio/Iulo, una nobile casata romana, la gens lulìa, rivendicava per sé nobilis­ cambio Enea uccide Mezenzio, il fortissimo alleato di Turno.
sime origini. Un esponente di questo clan, Giulio Cesare, e più tardi il suo XI. Dopo la prim a vittoria, Enea piange il m orto Pallante. Le sue offerte di pace
figlio adottivo, Ottaviano Augusto, si trovarono successivamente a governa­ non hanno successo; T urno tenta ancora la sorte delle armi. In una grande battaglia
re l’impero mondiale di Roma. Qui venne a saldarsi il cerchio tra Virgilio, equestre cade un altro eroe di parte latina, la vergine guerriera Camilla.
Augusto e l’epica eroica. X II. P rovato dagli insuccessi, T urno deve accettare un duello decisivo con Enea.
La ninfa G iuturna, spinta da Giunone, fa cadere anche questo patto. La battaglia
Riassunto L'Eneide svolge la leggenda di Enea dall’ultimo giorno di Troia sino riprende; quando ormai è certa la vittoria dei Troiani, G iunone si riconcilia con
àeW’Eneide Giove e ottiene che nel nuovo popolo non resti più traccia del nom e troiano. Enea
alla vittoria di Enea e alla fusione di Troiani e Latini in un unico popolo. sconfigge T urno in duello; esita se risparmiargli la vita ma, scorgendo su di lui il
Il piano dell’opera è il seguente. balteo del giovane Pallante, in uno slancio di indignazione lo uccide.

I. Giunone non può dimenticare il suo odio per quello che resta del popolo troiano. Da ciò che sappiamo sulle fonti storico-antiquarie usate da Virgilio, ri­
Rielaborazione
U na tem pesta, provocata dalla dea, decima le navi di Enea e lo costringe ad appro­
dare in A frica, presso Cartagine. Favorito dalla m adre Venere, l’eroe trova buona delle fonti sulta chiaro che il poeta ha profondamente ristrutturato i dati tradizionali
accoglienza presso la regina della città fenicia, la vedova Didone. L a regina (anch’es- storico-antiquarie sulla venuta dì Enea nel Lazio. Le variabili notizie su una guerra con i
sa u n ’esule) chiede al suo ospite di narrare la fine di Troia. Latini, o parte di essi, seguita da un’alleanza, sono state rifuse in un’unica
II. Racconto di Enea: nella distruzione della città, attraverso la protezione divina, sequenza di guerra, chiusa da una storica conciliazione. La guerra è stata
l’eroe trova la forza di fuggire con il vecchio padre, il figlioletto e i Penati, simbolo rappresentata da Virgilio come scontro fra Troiani e Latini; coalizzati questi
della continuità di una stirpe; gli è strappata, però, la moglie Creùsa. ultimi con numerosi popoli italici (che vantano significativamente ascenden­
III. Racconto di Enea: partiti dalla T roade, i T roiani si rendono conto, attraverso za greca, in molti casi); i primi invece con gli Etruschi e con una piccola
incertezze e misteri, che una nuova patria li aspetta in Occidente. Il racconto retro­ popolazione greca stanziata sul suolo della futura Roma. Nello sforzo di
spettivo si chiude, dopo alcune peripezie meravigliose, con la morte del vecchio Anchise. creare una vera epica nazionale romana, Virgilio muove nello spazio delle
origini tutte le grandi forze da cui nascerà l’Italia «moderna». Nessun popo­
IV. La tragica storia dell’am ore di Didone. La regina cartaginese, abbandonata da
E nea che deve seguire il corso voluto dal Fato, si uccide, maledicendo Enea, e profe- lo è radicalmente escluso da un contributo positivo alla genesi di Roma; gli
tizzando eterno odio fra Cartagine e i discendenti dei Troiani. stessi Latini, dopo molti sacrifici, saranno riconciliati e anzi formeranno il ner­
bo della nuova gente; la grande potenza etrusca, estesa dalla Mantova di Virgi­
V. I Troiani fanno tappa in Sicilia. Quasi tutto il libro è occupato dai giochi funebri
in onore di Anchise. lio sino al Tevere, si vede riconoscere un ruolo costruttivo; persino i Greci, tra­
dizionali avversari dei Troiani, forniscono un decisivo alleato, l’arcade Pal­
VI. Giunto a Cum a, in Cam pania, Enea viene spinto a consultare la Sibilla e a lante; e soprattutto si presentano come la più nobile «preistoria» di Roma.
guadagnare l ’accesso nel m ondo dei m orti. Lì incontra un a parte del suo passato: UEneide è perciò un’opera di denso significato storico e politico; non
Deìfobo caduto a Troia, Didone m orta per causa sua, lo sfortunato pilota Palinuro, e L'Eneide non è
soprattutto il padre Anchise. M a Anchise gli schiude il lontano futuro; il m ondo dei poema storico è però un poema storico. Il taglio dei contenuti è dettato da una selezione
m orti cela in sé anche gli eroi del futuro, i condottieri che faranno la storia di Roma. «drammaturgica» del materiale, che ricorda più Omero che Ennio. Nono­
stante le aspettative create dal titolo, l’opera non traccia nemmeno un qua­
VII. Fortificato dalla visione e dagli avvertimenti del padre, Enea sbarca alla foce dro completo della biografia di Enea. Lasciamo il protagonista prima ancora
del Tevere e riconosce da segni prestabiliti la terra promessa. Instaura allora un
patto con il re Latino. G iunone lancia contro il p atto il dèmone della discordia A let­ che possa assaporare il suo trionfo: non è neppure ben chiaro se vivrà ancora
to; invasati da A letto, la moglie di Latino, A m ata, e il principe rùtulo Turno, pro­ a lungo, e il suo futuro di eroe divinizzato viene solo intravisto di scorcio.
messo sposo della figlia di L atino, fom entano la guerra. Al prim o incidente, si rom ­
pe il patto con Enea, e va in fum o il m atrim onio dinastico tra Enea e Lavinia,
figlia di L atino. U na potente coalizione di popoli italici m arcia sul cam po troiano. Il nuovo stile epico
Lavinia, nuova Elena, è al centro della discordia.
La più nuova e grande qualità dello stile epico virgiliano sta nel concilia­
V III. In grave difficoltà, Enea per consiglio divino risale il Tevere con un piccolo re (come era uso dire lo studioso tedesco Friedrich Klingner) il massimo
distaccamento. Qui — nel luogo dove sorgerà R om a — trova l’appoggio di Evandro,
di libertà con il massimo di ordine.
244 VIRGILIO l'b n e id b 245

Rigidità lux aena: «luce di bronzo». Alcuni di questi nessi ci sono familiari, anche
Virgilio ha lavorato sul verso epico, l’esametro, portandolo insieme al
dell’esametro per il forte influsso dì Virgilio sulla tradizione letteraria occidentale; ma
massimo di regolarità e al massimo di flessibilità. La ricerca neoterica aveva
neoterico dovevano colpire il lettore romano come la rivelazione di nuove possibilità
affermato dure restrizioni nell’usare delle cesure, nell’alternanza di dattili
e spondei, nel rapporto fra sintassi e metro. Il carme 64 di Catullo rappre­ del linguaggio. Altri nessi sono più difficili da tradurre, perché forzano il
senta, in questo senso, un caso estremo: reazione estrema all’«anarchia» senso e la sintassi: rumpit vocem (non «spezza la voce», ma «il silenzio»);
eripe fugam («strappa la fuga» sul normale se eripere, «sottrarsi»). Questo
ritmico-verbale della poesia arcaica, reazione naturalmente influenzata dalla
tipo di elaborazione del linguaggio quotidiano non ha precedenti nella poe­
disciplina formale degli Alessandrini. Questa disciplina comportava anche
degli effetti di monotonia, che diventano tanto più sensibili quanto più lun­ sia latina: il pensiero corre piuttosto a Sofocle o a Euripide. La sperimenta­
go è il testo narrativo: la collocazione delle parole è non solo artificiale zione sintattica lavora su di un lessico che sa mantenersi semplice e diretto;
ma soprattutto irrigidita (tipici gli esametri formati da due coppie esso risulta però quasi rinnovato nei suoi effetti; le parole subiscono un
attributo + sostantivo in collocazione simmetrica); l’unità ritmica del verso processo di «straniamento» che dà rilievo e nuova percettività al loro senso
rifiuta al suo interno nette pause di senso, con un effetto di rigidità poco contestuale.
mossa. Formularità Il nuovo stile epico sa anche piegarsi ad una serie di requisiti tradizio­
Ordine e libertà Virgilio plasma il suo esametro come strumento di una narrazione lunga neW’Eneide nali. La narrazione — sin da Omero — deve essere graduale, senza vuoti
dell’esametro e continua, articolata e variata. La struttura ritmica del verso si basa su intermedi, per così dire «piena». Azioni ricorrenti e ripetute si prestano
virgiliano a ripetizioni verbali. Epiteti stabili, «naturali», accompagnano oggetti e
un ristretto numero di cesure principali, in configurazioni privilegiate. Si
personaggi quasi a fissarne il posto nel mondo. Il numero dei guerrieri
ha così quella regolarità di fondo che è indispensabile allo stile epico. Nello
stesso tempo, la combinazione di cesure principali e di cesure accessorie per­ e delle navi, il nome dei personaggi, l’origine degli oggetti, sono tutti ele­
mette una notevole varietà di sequenze. E la frase si libera da qualsiasi schia­ menti da catalogare con precisione. Virgilio accetta questa tradizione: YE­
neide — a differenza degli altri suoi testi — dà largo spazio a procedimenti
vitù nei confronti del metro. Il periodare può essere ampio o breve, scaval­
care o rispettare la coincidenza con le unità metriche. L ’esametro si adatta «formulari».
così ad una varietà di situazioni espressive: ampie e pacate descrizioni, bat­ La nuova La tendenza di Virgilio è conservare questi moduli e insieme caricarli
tute concitate e patetiche. Il ritmo della narrazione può trovare un indice
funzione degli di nuova sensibilità. Gli epiteti, ad esempio, tendono a coinvolgere il lettore
epiteti nella situazione e spesso anche nella psicologia dei personaggi che sono sulla
formale nella diversa proporzione di dattili e spondei. L ’allitterazione, pro­
cedimento formale tipico della poesia latina arcaica, diventa in Virgilio un scena. La narrazione suggerisce più di quello che dice esplicitamente. Ad
uso regolato e motivato: sottolinea momenti patetici, collega fra loro parole- esempio, in I 469-71 Enea sta guardando le pitture che gli ricordano la tragi­
chiave, produce effetti di fonosimbolismo, richiama fra loro diversi momen­ ca guerra di Troia. Fra le altre scene, ecco il greco Diomede che compie
ti della narrazione. un massacro notturno:
Arcaismi e Le tradizioni del genere epico richiedevano un linguaggio elevato, stac­ niveis tentoria velis
poetismi cato dalla lingua d’uso. È naturale quindi che YEneide sia l’opera virgiliana adgnoscit lacrimans, primo quae prodita somno
ne\YEneide più ricca di arcaismi e di poetismi (due categorie spesso, ma non sempre, Tydides multa vastabat caede cruentus.
coincidenti fra loro). Alcuni degli arcaismi sono omaggi alla maniera di En­
nio, o alla forte espressività della tragedia arcaica, altri fanno parte del lin­ («Enea riconosce, piangendo, i nivei veli delle tende, tradite dal primo son­
guaggio letterario istituzionalizzato; poetismi non arcaici sono ad esempio no, e il Tidide che le devastava, insanguinato di strage»). Il lettore percepi­
i calchi dal greco e i neologismi. Nel complesso, però, non è questo il più sce il bianco intenso delle tende solo per vederle macchiare di sangue: ma
significativo tratto dello stile virgiliano. Un contemporaneo (citato dalla vita il rosso della carneficina non è detto apertamente dal testo, sta tutto nell’e­
donatiana di Virgilio, par. 44) disse che Virgilio aveva inventato una nuova piteto cruentus. E la percezione di questi dettagli intensifica la partecipazio­
cacozelìa, un nuovo «manierismo»: «un manierismo sfuggente, né gonfio, ne allo stato d’animo di Enea: più intensamente quanto più il lettore deve
Nuovi né sottile, ma fatto di parole normali». Parole normali: una forte percentua­ collaborare, esplicitare gli accenni, integrare gli spazi vuoti.
collegamenti di le del lessico virgiliano consta di termini non marcatamente poetici 2. La Lo stile Caratteristica fondamentale dello stile epico di Virgilio è dunque l’au­
parole novità sta nei nuovi collegamenti fra le parole. Recentem caede locum\ «un «soggettivo» e mento di «soggettività»: maggiore iniziativa viene data al lettore (che deve
l’intervento del rispondere agli stimoli), ai personaggi (il cui «punto di vista» colora a
luogo recente di strage»; tela exit: «esce dai dardi (li schiva)»; frontem rugis
poeta tratti l’azione narrata), al narratore (che è presente a più livelli nel raccon­
arai: «ara la fronte di rughe»; caeso sanguine: «sangue [di] ucciso»; flumen:
«fiume [di lacrime, che scorrono]»; ventis dare vela: «dare le vele al vento»; to). Questo aumento di soggettività rischierebbe di disgregare la struttura
epica del racconto se non venisse in più modi controllato. La funzione
oggettivante è garantita dall’intervento del poeta, che lascia emergere nel
testo i singoli punti di vista soggettivi, ma si incarica sempre di ricomporli
2 Per così dire parole «neutre», in circolazione nella prosa e nella lingua d ’uso quotidiana in un progetto unitario. Riconoscere e studiare la complessità dello stile
(s intende con questo il latino parlato a Rom a dalle classi colte). I grecismi, gii arcaismi, le
significa toccare la complessità stessa del discorso ideologico che prende
neoform azioni letterarie, sono tu tti fenomeni di «scarto» che sì O ppone a questo livello medio
delia lingua: diversi per origine, m a accom unati dalla loro funzione stilistica. forma ne\VEneide.
246 VIRGILIO
CENNI SULLA FORTUNA D I VIRGILIO 247

Omero e A ugusto (II): le ragioni dei vinti ziale della storia, e la soggettività tragica 4, disputa di ragioni individuali
e di relative verità.
La soggettività Lo sviluppo della soggettività (che si può contrapporre, schematizzando In questa luce è facile capire perché la fortuna dell’opera si è mantenuta
ideologica molto, alP«oggettività» omerica) interessa non solo lo stile epico e la tecnica vitale e problematica a lunga distanza dall’estinzione del suo messaggio «au­
óett’Eneide del narrare, ma anche l’ideologia del poema virgiliano. L’Eneide è la storia gusteo».
di una missione voluta dal Fato, che renderà possibile la fondazione .di Ro­
ma e la sua salvazione per mano di Augusto. II poeta è garante e portavoce
di questo progetto, e focalizza il suo racconto su Enea, il portatore di questa
missione fatale. (È ovvio perciò che Enea non sia un personaggio come gli 6. Cenni sulla fortuna di Virgilio
altri). In questo senso, Virgilio si assume in pieno l’eredità dell’epos storico
romano: il suo poema è un’epica nazionale, in cui una collettività deve ri­
Immediata fortuna Pur amando poco la pubblicità, e coltivando un’arte assai difficile e
specchiarsi e sentirsi unita.
di Virgilio severa, Virgilio era già in vita un personaggio popolare e, a detta di molti,
Eppure l'Eneide non si esaurisce in questo progetto. Sotto la linea «og­
il più dotato poeta romano. Il grammatico Epirota (cfr. p. 480) iniziò già
gettiva» voluta dal Fato si muovono personaggi in contrasto fra loro; la
prima del 20 a.C. a tenere lezioni sui suoi versi. Eppure la sua opera più
narrazione si adatta a contemplarne le ragioni in conflitto. I sentimenti dei
illustre non era ancora, a quell’epoca, di pubblico dominio. È singolare ri­
personaggi (non solo dei personaggi «positivi» come Enea) sono costante-
cordarlo, ma VEneide doveva, per volontà del suo autore, essere distrutta,
mente in primo piano.
a) le ragioni di
quasi fosse un testo ancora abbozzato e mal rifinito. A quanto se ne sa,
Per esempio, Didone. La cultura romana nell’età delle conquiste rappre­
Didone
Augusto intervenne direttamente per salvare il poema (di cui almeno alcune
sentava le guerre puniche come uno scontro fra diversi: l’identità romana
parti gli erano sicuramente già note tramite private recitazioni), e affidò
si fondava nella grande opposizione a Cartagine. Il nemico è infido, crudele,
la cura del manoscritto a Vario, un ben noto poeta (cfr. p. 223) amico perso­
amante del lusso, dedito a riti perversi. Per Virgilio, invece, la guerra con
nale di Virgilio. La portata dei ritocchi effettuati da Vario è discussa, ma
Cartagine non nasce da una differenza-, riportata al tempo delle origini, la
sicuramente non è molto rilevante. L 'Eneide cominciò a esercitare la sua
guerra è nata da un eccessivo e tragico amore fra simili. Didone è vinta
maestosa influenza, tra gli omaggi dei poeti e dei critici; e ben presto ebbe
dal destino (come lo sarà Cartagine), ma il testo accoglie in sé le sue ragioni
in sorte due chiari contrassegni di classicità: l’adozione come libro di scuola,
e le tramanda.
Le «fruste di e l’attività di suoi accaniti detrattori o «fruste». Il fatto stesso che venissero
b) Turno supplice È anche il caso di Turno. La guerra che Enea conduce nel Lazio non
ed Enea Virgilio» alla luce delle «fruste di Virgilio» come c’erano state delle «fruste di Ome­
è vista come un sacrificio necessario. I popoli divisi dalla guerra sono
vendicatore ro» (Homeromastiges) dice quanto la fama del poeta fosse consacrata. I
fin dall’inizio sostanzialmente simili e vicini fra loro 3. La guerra è un
detrattori si dedicarono a raccogliere i furta di Virgilio, frasi e concetti «ru­
tragico errore voluto da potenze demoniache: è in sostanza (questo è un
bati» ai predecessori tanto greci che latini. Queste ricerche (a prescindere
tema martellante dell'Eneide prima ancora che della poesia neroniana e
dalle intenzioni malevole che potevano ispirarle) finirono per avere un bene­
flavia) una guerra fratricida. L ’uccisione di Turno, preparata dalla morte
fico effetto sullo sviluppo della filologia latina. Liste di «fonti» di Virgilio
di Pallante, appare necessaria. Ma Virgilio non fa nulla per rendere facile sono poi confluite fino ad autori tardi che possediamo, come Macrobio e
questa scelta. Turno è disarmato, ferito, e chiede pietà. Enea ha imparato
Servio, e costituiscono per noi una splendida riserva di informazioni.
da suo padre a battere i superbi e a risparmiare chi si assoggetta: Turno Con una rapidità che ha pochi paralleli nella storia universale delle lette­
Virgilio «classico»
è un eroe superbo, ma ora è anche subiectus. La scelta è difficile. Enea di Roma re, Virgilio divenne il classico di Roma. I declamatori di età augustea e
uccide solo perché, in quell’attimo cruciale, la vista del balteo di Pallante tiberiana, conservatici da Seneca il Vecchio, tengono appassionate dispute
lo travolge in uno slancio d’ira funesta. Così, nell’ultima scena del raccon­ sulla sua poesia. Grammatici come Giulio Igino, capo della biblioteca Pala­
to, il pio Enea assomiglia al terribile Achille che fa vendetta su Ettore. tina, si dedicano a chiarire minuti dettagli antiquari citati da Virgilio. Petro­
L 'Iliade termina invece, come tutti sanno, con un Achille pietoso, che si nio imbastisce variazioni (anche assai oscene) sui versi àz\VEneide. Una pleia­
ritrova uguale a Priamo.
c) il '
de di poeti minori si dette a imitare i più vari aspetti della tecnica virgilia­
È chiaro che Virgilio chiede molto ai suoi lettori. Essi devono insieme na, e una parte di questo lavoro fluì, nel corso del I secolo d.C., entro il ba­
coinvolgimento apprezzare la necessità fatale della vittoria, e ricordare le ragioni degli scon­
del lettore cino di raccolta della cosiddetta Appendix Vergiliana — che noi tratteremo
fitti; guardare il mondo da una prospettiva superiore (Giove, il Fato, il nar­ nella IV parte, nel quadro del periodo in cui quei testi pseudovirgiliani si
ratore onnisciente) e partecipare alle sofferenze degli individui; accettare in­
sono formati. Ma anche persone di modesta cultura, come certi cittadini
sieme l’oggettività epica, che contempla dall’alto il grande ciclo provviden­

4 Anche a questo livello (e non solo, dunque, sul livello dello stile) Virgilio m ostra di
3 Per accentuare questo punto, Virgilio arriva a sostenere che i Troiani, attraverso il
aver profondam ente rim editato la lezione dei tragici greci: il suo poem a trae da questo influsso
progenitore D ardano, hanno origini italiche. In questo senso anche Enea, come Odisseo, è
uno che «ritorna». un grado di «apertura» problematica molto forte, che lo fa diverso da un tipico «epos nazionale».
248 VIRGILIO
BIBLIOGRAFIA 249

di Pompei, si divertono a incidere motti virgiliani sui muri. Soprattutto, Il nazionalismo e L’importanza culturale di Virgilio ha persino aspetti pericolosi: m epo­
la presenza di Virgilio nella letteratura «alta» trova nell’età dei Flavi una Virgilio che di culto dello stato e di imperialismo nazionalista, l’augusteismo dell’ii-
consacrazione definitiva: Stazio, congedandosi dalla sua ambiziosa Tebaide, neide è diventato per molti una forma ideale: i regimi fascisti europei hanno
le raccomanda, comunque, di seguire «a distanza» la divina Eneide, e di spesso alimentato con forme di arte «classica» uno speciale culto autoritario
adorarne le impronte. Silio Italico è non solo un fanatico imitatore di Virgi­ e bellicoso della romanità. D’altra parte, la costitutiva ricchezza dell’opera
lio, ma un collezionista di cimeli virgiliani: arrivò a comprarsi il terreno di Virgilio — che è coesistenza a volte persino ambigua di valori e tendenze
su cui sorgeva il sepolcro del poeta. diverse — si è offerta anche a rilettùre meno offensive. Già nel bimillenario
Virgilio nella Anche il gusto arcaizzante del II secolo non produsse significative limi­ del 1930, in cui dominavano Virgilio poeta della razza italica e poeta della
tarda antichità tazioni nella fortuna del poeta. Anzi è questa l’epoca in cui, da Valerio missione augustea, isolate e coraggiose voci si levavano a ricordare un Virgi­
Probo in poi (cfr. p. 482 seg.), si gettano i fondamenti dell’esegesi virgilia­ lio più pacifico e umano — divenuto poi per unanime consenso (certo grazie
na. Le ricerche dei filologi si depositano progressivamente in veri e propri al mutato clima politico!) al bimillenario del 1982 un rassicurante Virgilio
commentari perpetui ad uso degli studenti: le opere che abbiamo, il grande «poeta della pace».
commento di Servio, le raccolte minori di scolli, e il curioso commento
«retorico» di Tiberio Donato, risalgono al IV secolo, ma preservano, per
fortuna, molti frutti degli studi anteriori. Analoga importanza hanno le
dissertazioni su Virgilio ospitate dai Saturnalia di Macrobio. Nel frattempo, Bibliografia L ’edizione critica più ricca e aggior­ mento a tu tta VEneide di E. P a r a t o r e ,
e in parallelo, Virgilio offre spunto non solo all’educazione retorico­ nata è quella di M. G e y m o n a t , Torino 6 voli., Milano 1977-1983; comprende an­
grammaticale, ma anche a una sorta di «poesia scolastica»: esercizi su 1973, preceduta da quella, sempre pre­ che u n ’elegante versione di L. C a n a l i .
temi virgiliani, e in stile virgiliano, e soprattutto il filone dei «centoni» gevole, di R . S a b b a d in i , Rom a 1930 P urtroppo non sono tradotti alcuni
(2 voli.). studi fondam entali su Virgilio: R. H e in -
(cfr. p. 513).
Commenti scientifici all’opera inte­ z e , Vergils epische Technik, Leipzig-
I Cristiani e L ’emergere a Roma di una cultura cristiana segnò un passaggio decisivo ra di Virgilio non sono stati più intrapresi Berlin 19153 (fondamentale per VEneide)·,
Virgilio nella fortuna di Virgilio. L ’alta considerazione di figure come Girolamo e dopo la m età del secolo scorso; da ricor­ B. O t is , Virgil. A Study in Civilized Poe-
Agostino è solo la punta di un fenomeno più vasto: lo sforzo di assimilare dare almeno quello in 3 voli, di J. C o n ­ try, O xford 1963; F. K l in g n e r , Virgil.
in g to n - H . N e t t l e s h ip , London 1881- B ucolica G eorgica A e n e is, Z iirich-
la letteratura pagana alla nuova cultura trovò proprio in Virgilio il suo mi­
18833, rist. Hildesheim 1963; lavoro in­ S tuttgart 1967; V. P ò sc h l , Die Dicht-
gliore punto di attacco. Tra i più vistosi fenomeni di assimilazione si può telligente, vivo e problem atico, anche se kunst Virgils. B ild und Sym bol in der A e ­
citare l’interpretazione cristiana della IV egloga, riletta come un simbolico bisognoso di aggiornamenti. neis, Berlin - New York 19773. In italia­
annuncio dell’avvento del Redentore sulla terra. Di qui procede un grande Commenti a singole opere o parti di no, per posizioni critiche aggiornate, si
filone della cultura medioevale, che trasforma Virgilio in un sapiente, un opere: Georgiche a cura di W. R i c h t e r , vedano G. B. C o n t e , Virgilio. Il genere e
Munchen 1957; numerosi buoni commenti i suoi confini, Milano 1984; A. B a r c h ie -
mago, un profeta, un santo, trovando alimento in nuove letture condotte a singoli libri dell 'Eneide, tra cui: Libro s i , L a traccia del modello. E ffe tti omeri­
secondo il filtro dell’allegoria. Intanto, dovunque si faccia poesia epica, Vir­ I di R. G. A u s t in , O xford 1971; II di ci nella narrazione virgiliana, Pisa 1985.
gilio è presente: che il soggetto sia la Bibbia, o le imprese contro i barbari, R . G. A u s t in , O xford 19662; I li di R . Come introduzioni generali in italia­
o le gesta degli imperatori, la prevalenza del codice epico virgiliano non D. W illiam s , O xford 1962; IV di A . S. no, si possono vedere: K. B i j c h n e r , Vir­
P e a s e , Cambridge (Mass.) 1935, rist. gilio, trad. it. Brescia 1963 (sintesi molto
I generi subisce eclissi. Tra IX e XII secolo, lo stesso avviene per nuovi generi di ricca m a non sempre perspicua), e A.
D arm stadt 1967 (uno dei commenti più
medioevali e epica, mitologica, cavalleresca, e persino filosofica. È superfluo rilevare la ampi mai dedicati a un testo classico), L a P e n n a , Virgilio e la crisi del m ondo
Virgilio continuità dell’ispirazione virgiliana in autori come Dante, il poeta nazionale e R . G. A u s t in , O xford 1955; V di R . antico, introduzione a Virgilio. Tutte le
portoghese Camòes, Tasso e Milton. La riflessione di poetica deH’Umanesi- D. W illiam s , O xford 19652; VI di E . opere, Firenze 1966. Un saggio che è sta­
mo cinquecentesco trasforma l’opera di Virgilio in uno stabile canone di N o r d e n , Leipzig 19263, rist. D arm stadt to im portante per gli studi virgiliani in
1957 (considerato il miglior commento a Italia (la prim a edizione è del 1945) è
Il confronto tra riferimento, esplorandone minutamente le qualità. Nel frattempo si fa sensi­ Virgilio, è fra l’altro prezioso per la sto­ quello di É. P a r a t o r e , Virgilio, Firenze
Omero e Virgilio bile la presenza diretta, nella cultura europea, del riscoperto Omero. Il con­ ria della lingua poetica latina in genere), 19613. Uno strum ento di consultazione
fronto Omero-Virgilio, che già era stato in auge nella cultura romana di e di R . G. A u s t in , Oxford 1977; VII-VIII eccezionalmente ricco è VEnciclopedia
età classica, torna attuale, e gli esiti del confronto sono spie importanti per di C. J. F o r d y c e , O xford 1977 (incom­ Virgiliana (per ora 4 voli, editi dall’isti­
piuto); V ili di P . T. E d e n , Leiden 1975. tuto dell’Enciclopedia Italiana, Roma
seguire le evoluzioni del gusto. I commenti virgiliani del Cinque-Seicento Insoddisfacente, nel complesso, il com ­ 1984-89).
svolgono il confronto a tutto detrimento di Omero; sarà il movimento ro­
mantico, come è noto, a capovolgere questa linea di tendenza. L ’esaltazione
di una poesia «spontanea» e nazionale operava a sfavore di un poeta che
può sembrare eccessivamente libresco e cortigiano. Ma anche le polemiche
del Romanticismo, con le aspre discussioni sull’«origmalità» di Virgilio, non
sembrano aver spento né la fortuna di Virgilio come testo di scuola, né
il suo sempre vivo influsso sulle nuove generazioni poetiche (da Baudelaire
a Pascoli, a Valéry e T.S. Eliot).
OPERE 251

formando con esso un distico. Orazio li chiama iambi facendo riferimento al ritmo
ORAZIO che prevale negli Epodi e, insieme, alludendo al recupero di quel tono aggressivo
che fin dalle origini era tradizionalmente associato alla poesia giambica greca.
La raccolta è ordinata secondo il criterio editoriale metrico invalso a partire dall’e­
tà alessandrina: i componimenti 1-10 sono in trimetri e dimetri giambici alternati:
Γ11 in trimetri giambici ed elegiambi alternati, nei componimenti 12-16 l’esametro
si alterna con un altro verso (per lo più il trimetro); infine un componimento (il
17) non epodico, in trimetri giambici. La raccolta è caratterizzata da una varietà
di argomenti. Oltre al componimento proemiale, indirizzato a Mecenate (Orazio
si dichiara pronto a condividere con l’amico qualunque pericolo: forse quelli con­
nessi alla spedizione di Azio?) si possono distinguere vari gruppi: i carmi di invet­
tiva (Γ8 e il 12 contro una donna vecchia e vogliosa, il 5 e il 17 contro la strega
Vita Quinto Orazio Fiacco nacque Γ8 dicembre del 65 a.C. a Venosa, una colonia Canidia, il 4 contro un arricchito, il 6 contro un ignoto maledico, il 10 contro
militare romana, al confine fra Apulia e Lucania. La sua famiglia era modesta: un poetastro; il 3 è un’invettiva scherzosa contro l’aglio e Mecenate che glielo
il padre era un liberto (probabilmente un ex-schiavo pubblico) e a Venosa posse­ ha imbandito); gli epodi erotici (11,14,15); gli epodi civili (il 7 e il 16 deprecazioni
deva una piccola proprietà: più tardi, trasferitosi a Roma, vi esercitò il mestiere della guerra fratricida, il 9 celebrazione della battaglia di Azio); isolati l’epodo
di esattore nelle vendite aN’asta. Nonostante la modesta condizione sociale, a «gnomico» 13 (un invito a bere in una giornata d’inverno) e l’ambiguo epodo 2
Orazio fu assicurata la migliore educazione: compiuti i primi studi nella scuola (un elogio della vita rustica sulle labbra ipocrite di un usuraio).
locale, il padre lo portò a Roma, dove Orazio potè frequentare la scuola del gram­
Satire - Un primo libro di 10 componimenti (da un minimo di 35 esametri a
matico Orbilio: ammiratore dei poeti arcaici, costui usava le nerbate per convince­
un massimo di 143), dedicato a Mecenate, fu pubblicato forse nei 35 (e comunque
re i suoi scolari a studiare I’Odusia di Livio Andronico (Orazio escogiterà per
entro il 33). Nel 30, insieme agli Epodi, appare il secondo libro (8 satire soltanto,
lui l’epiteto plagosus). Attorno ai vent’anni, come facevano i giovani di buona
ma la terza, considerevolmente più lunga del solito, conta ben 326 versi). In totale
condizione, Orazio si recò in Grecia a perfezionare gli studi. Ad Atene approfondì
le Satire contano più di 2000 versi. Difficile la cronologia interna: sono ritenute
le sue conoscenze filosofiche, ascoltando le lezioni di maestri come Cratippo di
fra le più antiche le satire 1,7 e 1,2: alla satira 1,2 fa riferimento 1,4 che sicura­
Pergamo, filosofo peripatetico, e di Teomnesto, accademico. Ma la sua carriera
mente è anteriore a 1,10. Gli argomenti sono vari: alcune satire sono di argomento
di studente fu traumaticamente interrotta. La Grecia era allora teatro di storici
letterario-programmatico (oltre a 1,4, una satira di commiato e una proemiale: 1,10
avvenimenti: gli uccisori di Cesare ne avevano fatto la loro principale base di
e 2,1); 1,1 tratta dell’incontentabilità umana e dell’avarizia; 1,2 contro l’adulterio;
operazione, e fu naturale che il giovane Orazio, fresco di studi filosofici, fosse
1,3 sull’indulgenza nei confronti dei difetti; 1,5 è, sul modello del luciliano iter Si-
attratto dagli ideali della libertas (nonché lusingato da brillanti prospettive di car­
culum, un diario di viaggio (Orazio, insieme ad altri amici del circolo, aveva accom­
riera): egli si arruolò nell’armata repubblicana di Bruto, ricevendo il comando di
pagnato Mecenate in una missione diplomatica a Brindisi); 1,6 è una riflessione
una legione con il titolo di tribuno militare (il che non era poco per il figlio di
sulla propria condizione sociale e i rapporti con Mecenate; 1,7 rievoca un battibec­
un liberto). La rotta di Filippi (42 a.C.) interruppe la sua carriera militare: con
co fra un mercante greco e un proscritto di Preneste; in 1,8 una statua di Priapo
amara autoironia egli dirà poi di avervi abbandonato (come Archiloco, Alceo e
racconta una notte di incantesimi; 1,9 è una specie di vivacissimo mimo: il poeta
Anacreonte) lo scudo. Potè tornare a Roma nel 41 a.C., grazie a una amnistia:
mette in scena se stesso alle prese con un seccatore per le strade di Roma; 2,2
ma il fondo di Venosa era stato confiscato dai triumviri, ed egli dovette impiegarsi
espone le argomentazioni di un contadino di Venosa, Ofello, contro il lusso della
come scriba quaestorius, per guadagnarsi di che vivere. Cominciò anche a scri­
mensa; 2,3 un dialogo fra il poeta e Damasippo, neofita dello stoicismo, che riferi­
vere versi, entrando in contatto con poeti e letterati. Probabilmente attorno alla
sce una lunga predica del filosofo Stertinio contro i quattro vizi capitali, per dimo­
metà del 38 a.C. Virgilio e Vario lo presentano a Mecenate, ministro di Ottaviano,
strare il paradosso stoico secondo cui tutti gli uomini, meno il filosofo, sono pazzi;
uomo di lettere e protettore di letterati. Nove mesi più tardi, Mecenate lo ammette
in 2,4 Cazio espone la sua teoria gastronomica; 2,5 ha un’ambientazione mitologico-
nel circolo dei suoi amici. Probabilmente nel 33 a.C. Mecenate gli dona un pode­
fantastica di tipo «menippeo»: Tiresia insegna ad Ulisse come rifarsi un patrimonio
re nella campagna sabina, che gli darà tranquillità economica e gli assicurerà
andando a caccia di eredità; in 2,6, come nella satira corrispondente del I libro,
un apprezzato rifugio dagli affanni e dalle scomodità della vita romana. Da quel
Orazio riflette su se stesso e i suoi rapporti con il patrono Mecenate; 2,7 è ancora
momento, la sua vita scorre senza eventi significativi, scandita soltanto dalla pub­
un dialogo fra il poeta e il suo servo Davo, che dimostra (riferendo di seconda
blicazione delle sue opere sotto il patronato di Mecenate e più tardi, con il pro­
mano gli insegnamenti dei filosofo Crispino) un altro paradosso stoico: tutti gli uo­
gressivo ritirarsi di Mecenate dalla scena, del principe stesso. Con Augusto, Ora-
mini, meno il saggio, sono schiavi. In 2,8 Fundanio racconta ad Orazio una cena
zio fu in relazione abbastanza stretta, fatta di devota cordialità, ma senza servili­
in casa del ricco Nasidieno, che ha pretese di gastronomo (qualcosa di simile era
smi: quando il principe gli chiederà di diventare suo segretario personale, Orazio
in Lucilio e da questa satira trarrà spunto Petronio per la Cena Trìmaichionis).
potrà declinare, con garbo e fermezza, l’offerta. Nell’8 a.C. Mecenate morì, rac­
comandando affettuosamente il poeta alla benevolenza di Augusto. Ma Orazio, Odi (in latino, Carmina) - Una raccolta di tre libri (88 carmi in tutto) venne
doveva seguirlo nella tomba solo due mesi più tardi, il 27 novembre. pubblicata nel 23 a.C. Orazio vi aveva lavorato per circa sette anni: fra i componi­
menti databili, il più antico è 1,37 (un canto di gioia per la morte di Cleopatra,
avvenuta nel 30 a.C.). Alla poesia lirica doveva tornare sei anni più tardi, per
Opere Epòdi - Sono diciassette componimenti, scritti in un arco di tempo fra il 41 comporre, su incarico di Augusto, l’inno che un coro di ventisette fanciulle e
e il 30 e pubblicati insieme al II libro delle Satire. Il nome rimanda alla forma altrettanti giovinetti avrebbe eseguito nelle celebrazioni dei ludi saeculares (è il
metrica: epodo è propriamente il verso più corto che segue a un verso più lungo, cosiddetto Carmen Saeculare, in metro saffico: una invocazione agli dei, soprat­
GLI EPODI COME POESIA DELL ECCESSO 253
tutto Apollo e Diana, perché assicurino prosperità a Roma e al regime augusteo).
mondo; 1,19, a Mecenate, è di argomento letterario: Orazio polemizza contro gli imi­
Orazio si dedicò poi ancora alla poesia lirica e aggiunse ai precedenti un IV libro
tatori servili e difende la propria poesia lirica; 1,20, rivolta al libro stesso, è un com­
di Odi (15 componimenti): l’ultima databile (4,5) fa riferimento al ritorno di Augu­
miato dalle Epistole ed una previsione sull’accoglienza che ad esse sarà riservata.
sto dal Settentrione (luglio del 13 a.C.). La lirica oraziana sperimenta metri vari:
Il II libro, forse pubblicato postumo, fu composto negli anni fra il 19 e il 13.
dominanti sono la strofe alcaica (37 componimenti su 103), la strofe saffica mino­
Contiene due lunghe epistole di argomento letterario: la prima, ad Augusto, criti­
re (25 componimenti), la strofe asclepiadea nelle sue varie forme (34 componi­
ca l’ammirazione per i poeti arcaici e esamina lo sviluppo della letteratura roma­
menti). Gli altri metri sono per lo più rappresentati in esempi isolati. In totale,
na; la seconda, a Giulio Floro, più personale, è una specie di congedo dalla
i quattro libri delle Odi contano 3034 versi, cui si aggiungono i 76 versi del Car­
poesia, con un quadro memorabile della vita quotidiana del letterato romano e
men Saeculare. Ci sono odi brevissime (la famosa 1,11 e 1,38 hanno per esem­
un’ampia riflessione sulla ricerca della saggezza filosofica.
pio solo 8 versi), odi brevi (di 16, 20 o 24 versi); ci sono odi più lunghe, fino
Nel II libro molti fanno rientrare l’epistola ai Pisoni, detta Ars poetica, sulla
a un massimo di 80 versi (l’ode 3,4).
cui datazione si discute parecchio (probabilmente è posteriore al 13, data dell’e­
Merita attenzione la disposizione dei componimenti all’interno della raccolta
pistola ad Augusto, ma alcuni la collocano tra il I libro delle Epistole e il Carmen
(lo spunto era venuto dalle edizioni alessandrine dei lirici greci). In poesia alessan­
Saeculare). L’Ars poetica è un trattato di 476 esametri, che espone fondamental­
drina e, per imitazione, in poesia romana, i libri poetici erano organizzati artistica­
mente teorie peripatetiche sulla poesia, soprattutto drammatica (secondo Portino­
mente, ordinati in una struttura architettonica significativa. Le odi di apertura e di
ne, fonte di Orazio era Neottolemo di Pario, un grammatico-poeta del III secolo
chiusura sono indirizzate a personaggi di riguardo (1,1 e 2,20 a Mecenate; 2,1 a
a.C.). Con una certa difficoltà è stata rintracciata una struttura interna dell’opera:
Pollione; 4,1 a Paolo Fabio Massimo e 4,15 ad Augusto) e spesso, secondo una
i vv. 1-294 parlano dell’ars, i vv. 295-476 deìì’artifex-, a sua volta, la prima sezione
tradizione consolidata, trattano questioni di «poetica» (1,1, 2,20 e 3,30 sono i casi
sembra bipartita tra la trattazione della poesis (il contenuto dell’opera, vv. 1-44)
più noti). Anche il secondo posto, il penultimo, nonché la posizione centrale, sono
e la trattazione del poema (lo stile, vv. 42-294).
sedi privilegiate. Spesso il poeta giustappone carmi di contenuto simile (ad esem­
pio 4,8 e 4,9 sull'immortalità assicurata dalla poesia) e in un caso costituisce un
vero e proprio ciclo (3,1-6) segnalato da un proemio (3,1) e da un proemio mediano Fonti Fonte principale è Orazio stesso, le cui opere sono disseminate di notizie
(3,4) e dedicato ai temi dell’ideologia nazionale (sono le cosiddette «odi romane»). autobiografiche e di allusioni relative alla realtà contemporanea (in questi casi
Ma il criterio favorito di organizzazione del libro sembra essere quello della variatio: è in genere utile consultare le spiegazioni dei commentatori antichi). Alcuni im­
sia dal punto di vista metrico-formale (i primi nove componimenti del I libro sono portanti manoscritti oraziani riportano una Vita Horati, dedotta dal De vlris illustri-
in nove differenti metri e in un altro metro ancora è l’ode 1,11: quasi un’esposizione bus di Svetonio: in genere la si premette alle moderne edizioni critiche del poeta.
in catalogo delle possibilità metriche oraziane), sia di tono e di contenuto (alternan­
za di temi politici e temi privati, stile alto e stile leggero). A differenza della lirica
moderna, le odi di Orazio raramente danno voce a libere meditazioni o introspezio­
ni: quasi sempre hanno un’impostazione dialogica, sono rivolte ad un «tu» che può 1. Gli E podi come poesia dell’eccesso
essere un personaggio reale (è il caso relativamente più frequente, anche se meno
frequente che nella poesia neoterica), immaginario (sono considerati tali le figure Gli Epodi e la La produzione giambica di Orazio sembra legata, come il poeta stesso
femminili e i personaggi maschili di nome greco), un dio o la Musa, una collettività, fase «giovanile» dichiarerà, alla fase «giovanile» della sua attività poetica e alle particolari
perfino un oggetto inanimato. della poesia condizioni di vita che caratterizzarono il periodo immediatamente successivo
oraziana all’esperienza di Filippi {Epistole 2,2,50 segg.):
Epistole - Il I libro delle Epistole è pubblicato nel 20 a.C. Orazio vi ha lavora­
to tre anni, dopo la pubblicazione di Odi l-lll. La raccolta comprende 20 componi­ decisis humilem pennis inopemque paterni
menti in esametri: si va dai 16 versi della quarta epistola ai 112 di 1,18. I versi
et laris et fundi, paupertas impulit audax
sono in totale poco più di mille.
ut versus facerem
L’epistola proemiale è dedicata a Mecenate ed è una specie di presentazione-
giustificazione della nuova forma letteraria; 1,2, a Lollio, è una riflessione sugli («... ero a terra, le ali tarpate, privato della casa e del fondo di mio padre:
insegnamenti morali ricavabili dalla lettura di Omero; 1,3, a Floro, chiede informa­ sfacciata la povertà mi spinse a fare versi»),
zioni sull’attività letteraria degli amici di Tiberio; 1,4, ad Albio (Tibullo) contiene A questa situazione di disagio è quasi naturale collegare asprezze pole­
precetti epicurei aH’amico poeta; 1,5, a Torquato, è un invito a cena; 1,6, a Numi-
miche, toni carichi, linguaggio poetico violento. Ciò, per molti aspetti, fa
cio, sul tema filosofico della impassibilità; 1,7, a Mecenate, è una garbata rivendi­
cazione di autonomia (e soprattutto del diritto di vivere lontano da Roma); 1,8, ad
degli Epodi un caso isolato nella produzione poetica oraziana e ci consegna
Albinovano Celso, suN’inquieto torpore che affligge il poeta; 1,9, a Tiberio, è un un’immagine del poeta molto diversa da quello stereotipo (buon gusto, affa­
biglietto di raccomandazione; 1,10, a Fusco, su vita di città e vita di campagna; bilità, umanità cordiale, distacco dalle passioni, senso della misura) cui è
1.11, a Bullazio, sulla mania dei viaggi e la strenua inertia («smanioso torpore»): stata sempre collegata la fortuna di Orazio nella cultura europea.
1.12, a ledo, amministratore dei beni di Agrippa, che si interessa di filosofìa; 1,13, Gli Epodi e i loro Parecchi interpreti oraziani esitano però giustamente a mettere in collega­
contiene istruzioni a Vinnio, che è incaricato di consegnare ad Augusto i primi modelli mento troppo immediato (e soprattutto meccanico) gli Epodi e questa espe­
tre libri delle Odi; 1,14, al fattore della villa sabina, sulla vita di campagna in con­ rienza autobiografica. Bisogna anzitutto saper valutare quanti, fra i tratti distin­
fronto alia vita di Roma; 1,15, a Numonio Vaia, chiede informazioni per un soggior­ tivi di questa poesia, risalgano alle regole del genere, alla «imitazione» dei mo­
no a Salerno e Velia; 1,16, a Quinzio, sull’ideale del vir bonus; 1,17, a Sceva, delli — quella letterarietà non soltanto implicita, ma consapevole e dichiarata,
e 1,18, a Lollio, contengono una serie di consigli su come trattare con i potenti del
che caratterizza complessivamente la poetica oraziana (Epistole 1,19,23 segg.):
LE SATIRE 255
254 ORAZIO

Parios ego primus iambos I Giambi di Anche per influsso dei Giambi di Callimaco (un altro dei modelli greci
Callimaco e la importanti per gli Epodi) Orazio, in ogni modo, doveva sentire connaturata
ostendi Latio, numerosque animosque secutus
ricerca di varietà a una raccolta giambica l’esigenza della varietà. Lavorando contemporanea­
Archilochi, non res et agenda verba Lycamben.
mente a Satire ed Epodi, egli sembra riservare a questi ultimi quella molte­
(«Io per primo trapiantai nel Lazio i giambi del poeta di Paro, seguendo plicità di temi, di toni e di livelli stilistici, che la tradizione romana assegna­
i ritmi e gli spiriti di Archiloco, non gli argomenti e le parole che perseguita- va piuttosto all’ambito della satira. Un gruppo ben individuato è costituito,
vano Licambe»). per esempio, dagli epodi «erotici», poesie d’amore che svolgono motivi e
Della «imitazione» in Orazio e nei poeti augustei in genere diremo più situazioni della lirica erotica ellenistica, e ne riproducono anche il linguaggio
avanti, a proposito delle Odi. Importa adesso osservare come questa dichia­ e l’intonazione patetica, mentre la tradizione dell’idillio rustico (insieme a
razione, rispettosa ed orgogliosa ad un tempo, rivendica anzitutto l’abilità motivi ideologici più specificamente romani) si risente dietro l’ambiguo elo­
versificatoria, il merito di aver trasferito in poesia latina i metri di Archiloco gio della campagna dell’epodo 2. E anche dal punto di vista dell’espressione,
(e in effetti la maggior parte degli schemi epodici oraziani ha riscontro con nonostante che resti caratteristico degli Epodi un linguaggio teso e carico,
Orazio e quanto ci è testimoniato nei frammenti del poeta di Paro). Ma Orazio riven­ che indugia sugli aspetti più crudi e talvolta ripugnanti della realtà, la poesia
Archiloco: dica esplicitamente anche i diritti dell’originalità: egli afferma di aver mu­ giambica di Orazio può ospitare anche una dizione più sorvegliata: accanto
dipendenza e tuato da Archiloco i metri (numeri) e l’ispirazione aggressiva (animi), ma al poeta degli eccessi, intravediamo il poeta della misura.
originalità non i contenuti (res) e «le parole che perseguitavano Licambe» (Licambe
era padre di Neobuie, la fidanzata di Archiloco: secondo la tradizione, le
invettive del poeta portarono padre e figlia al suicidio). Orazio non vuol 2. Le Satire
dire soltanto che gli Epodi non sono traduzioni e che egli attinge a una
realtà romana e personale, ma probabilmente vuole anche segnalare alcune
Un genere tutto romano: Orazio e Lucilio
peculiarità della sua ispirazione archilochea. Se una sensibilità esasperata
da disagi e amarezze poteva fargli sentire delle affinità con la passionalità Lucilio modello di Secondo il giudizio di Quintiliano, satura tota nostra est: egli non riusciva
accesa e il feroce spirito polemico archilocheo, non dovevano sfuggire nean­ Orazio cioè a indicare autori greci che fossero serviti come punto di riferimento agli
che a lui le differenze. Archiloco dava voce agli odi e ai rancori, alle passio­ autori di questo genere letterario. E anche Orazio, nei componimenti program­
ni civili e alle tristezze di un aristocratico greco del VII secolo a.C. Orazio matici che forniscono le coordinate della sua poesia satirica, indica in Lucilio
scriveva nella Roma dominata dai triumviri e sarebbe entrato presto ne\Y en­ l’inventore del genere. Il che non era affatto scontato. Lasciando pure da par­
tourage di Ottaviano; era figlio di un liberto, era appena uscito da una diffi­ te l’antica satura drammatica, su cui siamo poco informati (doveva essere un’a­
cile e rischiosa esperienza politica. L’aggressività di Orazio non può rivol­ zione scenica rudimentale, accompagnata dal flauto, con mimica, danza e ag­
gersi che contro bersagli «minori»: personaggi scoloriti, anonimi, o addirit­ gressioni buffonesche), aveva scritto satira Ennio. Anche qui manchiamo di
tura fittizi (un usuraio, un arricchito, una fattucchiera, una signora notizie sufficienti: si ritiene in genere che le sue Satire fossero caratterizzate
invecchiata). Tutto ciò ha contribuito a dare un’impressione di artificiosità dalla varietà (di metro, stile, contenuto) e prevedessero spunti autobiografici,
letteraria, e si è detto anche che talvolta sono proprio le res a venire da riflessioni gnomiche, aneddoti, favole, dialoghi (molti elementi che torneran­
Archiloco, senza che Orazio riesca e ricrearne gli animi. no nei poeti satirici successivi). Ma Orazio non nomina Ennio e anche Quinti­
liano lo escluderà dalla linea che da Lucilio va ad Orazio, Persio, Giovenale.
L’epodo 10 U n esempio fam oso è l’epodo 10. In una specie di propem ptìkòn (carme di buon L’aggressività Lucilio era quindi identificato come colui che aveva fissato i tratti costi­
viaggio) a rovescio, Orazio augura a Mevio di fare naufragio. Il modello è qui un della satira tutivi della poesia satirica. A lui risaliva un elemento fondante (soprattutto
carme di Archiloco, di cui fortunam ente ci è giunto un significativo fram m ento (il
cosiddetto «epodo di Strasburgo»). M a dal modello Orazio risulta abbastanza lonta­ nella cultura letteraria degli antichi): la scelta dell’esametro come forma me­
no: non tanto perché non sia capace di riprodurre la serietà e la drastica ferocia trica della satira. Ma soprattutto Lucilio aveva praticato questo genere lette­
dell'invettiva archilochea, quanto perché, a differenza di Archiloco (il cui nemico rario come strumento dell’aggressione personale, della critica mordace. L’ag­
è un ex-amico che lo ha offeso e tradito), Orazio lascia in sordina proprio il carattere gressività pareva ad Orazio un elemento tanto caratteristico che egli si sentiva
personale dell’invettiva (non viene detto chi sia Mevio e perché Orazio ce l’abbia
con lui). In questo, come in altri casi, la violenza delle minacce e delle maledizioni di mettere Lucilio in collegamento (piuttosto che con Ennio) con i poeti della
suona un p o ’ a vuoto e talvolta può sembrare addirittura giocosa (come è chiaram en­ commedia greca «antica», Eupoli, Cratino, Aristofane (Satire 1,4,3 segg.):
te nell’epodo dell’aglio, il 3°).
siquis erat dignus describi, quod malus ac fur,
quod moechus foret aut sicarius aut alioqui
Ma non c’è dubbio che lo spirito archilocheo (indipendentemente dalla famosus, multa cum libertate notabant.
questione del carattere reale o fittizio dei singoli bersagli) doveva sembrare Hinc omnis pendet Lucilius...
ad Orazio opportuno per esprimere le ansie e le passioni, le paure e le indi­
gnazioni di tutta una generazione: si pensi ad esempio all’epodo 4, che reagi­ («se c’era uno che meritava d’essere messo in berlina, perché furfante o
sce ai repentini rivolgimenti sociali connessi alla «rivoluzione romana», o ladro o adultero o sicario o altrimenti famigerato, lo bollavano senza tanti
alle inquietudini espresse negli epodi relativi alle guerre civili. riguardi. Da qui Lucilio dipende tutto...»).
256 ORAZIO LE SATIRE 257

Secondo questo tratto orientante Lucilio organizzava dunque la rappre­ parassiti, artisti, imbroglioni, filosofi di strada, affaristi, popolo minuto).
sentazione della società contemporanea, soprattutto del ceto dirigente. Nella Come gli aveva insegnato suo padre, impara da chi gli sta vicino, da quelli
sua poesia aveva però posto una grande varietà di temi e di interessi: c’erano che incontra per strada (Satire 1,4, 105 seg.).
polemiche letterarie, discussioni filosofiche, questioni linguistiche o gram­
... insuevit pater optimus hoc me
L’elemento maticali o lettere, conversazioni. Più importante di tutti era l’elemento auto-
ut fugerem exemplis vitiorum quaeque notando.
autobiografico biografico. La satira luciliana ospitava fatti, personaggi e osservazioni con­
nesse alla vita personale del poeta. Anche in questo Orazio sarà consapevole («quel galantuomo di mio padre me l’ha insegnato, a fuggire i vizi, facendo­
di raccogliere l’eredità del maestro (Satire 2,1,30 segg.): meli conoscere uno a uno con degli esempi»).
Orazio e la La morale oraziana ha dunque radici nell’educazione, nel buon senso
Ille velut fidis arcana sodalibus olim diàtriba: autàrkeia tradizionale (e Orazio rivendica con orgoglio la componente italica e conta­
credebat libris, neque si male cesserat, usquam e metriòtes dina della sua saggezza), ma è costruita con i materiali elaborati dalle filoso­
decurrens alio, neque si bene: quo fit ut omnis
fie ellenistiche, che giungono ad Orazio anche attraverso il filtro della diàtri­
votiva pateat veluti descripta tabella
ba (la tradizione di letteratura filosofica popolare, illustrata da dialoghi e
vita senis...
aneddoti).
(«Come a fedeli compagni, ai libri egli soleva affidare i suoi segreti, né Gli obiettivi fondamentali della ricerca oraziana sono Vautàrkeia (cioè
altrove ricorreva se le cose gli andavano male, né se gli andavano bene: l’autosufficienza interiore) e la metriòtes (cioè la moderazione, il giusto mez­
perciò avviene che tutta la vita di questo vecchio ci sta davanti agli occhi, zo). Nessuno di questi concetti appartiene a una specifica «setta» (e nella
come fosse dipinta su un quadretto votivo...»). tradizione della diàtriba le distinzioni dottrinarie erano molto sbiadite). U au­
tàrkeia è nel patrimonio di quasi tutte le scuole, impegnate a proteggere
l’individuo dai contraccolpi della fortuna e dalla schiavitù dei beni esterni:
Satira e diatriba: la morale oraziana se le formulazioni estreme sono di marca stoico-cinica, l’esigenza àdYautàr­
keia poteva non risultare estranea anche all’epicureismo, che limitava i dirit­
Aggressività e Nella coscienza letteraria di Orazio, la sua satira era dunque «luciliana» ti della voluptas alla soddisfazione di pochi bisogni naturali. La morale del
ricerca morale perché da Lucilio ereditava i due segni distintivi dell’aggressività e dell’auto- giusto mezzo aveva avuto con la scuola peripatetica la formulazione più
biografia. Ma Orazio stesso non sottovalutava le differenze che lo separava­ coerente, ma il concetto apparteneva alla più antica saggezza greca, né la
no àaìì’inventor del genere: egli però sottolineava principalmente quelle relative ricerca del piacere poteva essere confusa dagli epicurei rigorosi con una pra­
allo stile, criticando in Lucilio (soprattutto nelle satire 1,4 e 1,10) la sciatta Le satire e tica degli eccessi. Insistiamo sull’epicureismo perché è caso mai questa la
e abbondante facilità. Importanti differenze c’erano però anche dal punto l’epicureismo tradizione filosofica che ha un peso specifico maggiore nella satira di Ora-
di vista della forma dei contenuti. In Lucilio, che pure dedicava attenzione zio. L’empirismo e il realismo della morale oraziana (ciò che ha impresso
ai temi della riflessione morale, e riformulava motivi della tradizione diatri­ alle Satire quella bonaria, cordiale ragionevolezza apprezzata in ogni epoca)
bica, non era chiaro il rapporto tra diatriba e aggressività. Caratteristico non poteva non entrare in conflitto con il rigorismo e l’astrattezza degli
della satira di Orazio è invece proprio un collegamento stabile e organico Stoici (a questa polemica è dedicata ad esempio la satira 1,3).
di queste due componenti. In Orazio, l’attacco personale è sempre collegato
con una intenzione di ricerca morale. Al piacere gratuito dell’aggressione Satire D irettamente all’epicureismo si collega la satira 1,2 contro l’adulterio e le sue inutili
(un tratto «aristofanesco» ancora vivace in Lucilio) Orazio sostituisce l’esi­ «filosofiche» e follie (si raccom anda il soddisfacim ento naturale del bisogno sessuale) e soprattutto
genza di analizzare i vizi (gli eccéssi, la stoltezza, l’ambizione, l’avidità, l’in­ satire «descrittive» il rilievo che nelle Satire hanno i problemi dell’amicizia e la rappresentazione del
costanza) mediante l’osservazione critica e la rappresentazione comica delle gruppo degli amici. L ’affinità intellettuale, l’indulgenza, la dedizione, la com unanza
di vita, la com pattezza nei confronti delFesterno: tutto ciò risente delle teorie epicu­
Satira oraziana e persone. Questa ricerca morale empirica non si propone il proselitismo, non
ree e richiama il valore che la philìa aveva nel sistema di pensiero di Epicuro e
«circolo di cerca di convertire gli altri a un modello prefabbricato di virtù, né di rifor­ dei suoi seguaci.
Mecenate» mare il mondo, ma soltanto di individuare una strada per pochi (per se La ricerca m orale non caratterizza soltanto le satire che si potrebbero chiamare «dia-
stesso e un gruppo illuminato di amici) attraverso le storture di una società tribiche», quelle cioè in cui è sviluppata, alla m aniera della diàtriba, una discussione
in crisi. In questo senso la satira oraziana è intimamente collegata (più anco­ (con argomenti, obiezioni, esempi, aneddoti) su uno specifico problem a morale (ad
esempio 1,1; 1,2; 1,3), m a anche quelle in cui il poeta — sul modello del Lucilio
ra della lirica) al circolo di poeti, letterati e uomini politici che si raccoglie­ «autobiografico» — rappresenta una scena, racconta un episodio, descrive una situa­
vano intorno alPintelligente guida di Mecenate. L’aggressività luciliana è vi­ zione. In questi casi, l’interesse m orale non è separabile dalla rappresentazione stes­
stosamente convertita proprio mentre se ne rivendica l’eredità. Lucilio attac­ sa: è come la lente attraverso cui il poeta osserva fatti e personaggi (gli esempi più
cava con virulenza i cittadini eminenti, avversari di cui condivideva la felici sono la satira del viaggio e la satira del seccatore). E non m anca qualche caso
in cui diàtriba e rappresentazione sono coniugate in un medesimo com ponimento:
I bersagli della condizione. Ciò non sarebbe stato possibile al figlio di un liberto: ma, quel
la satira 1,6, ad esempio, passa dall’autobiografia (origine del poeta, presentazione
satira di Orazio che più conta, per trarre insegnamento dalla condotta dei propri simili criti­ a Mecenate) all’argomentazione sul valore della nascita e sull’ambizione, per tornare
candone gli errori non era necessario scegliere bersagli di elevato livello so­ di nuovo alla rappresentazione autobiografica (rievocazione dell’infanzia e del padre,
ciale. Orazio guarda piuttosto a un piccolo mondo di irregolari (cortigiane, diario di una giornata rom ana).
LE ODI 259
258 ORAZIO

Il I I libro e il nuovo assetto della satira oraziana richiede cure raffinate e pazienti, non meno faticose di più apprezzati livelli
della produzione letteraria. Questa esigenza è avvertita da Orazio con chia­
Distacco tra Il meccanismo fondamentale del genere satirico nella prima raccolta di rezza programmatica ed è il solo punto in cui egli tiene a distinguersi punti­
poeta e «voce Orazio consisteva nel confronto fra un modello positivo (l’obbiettivo della gliosamente da Lucilio. Orazio mira a una lingua disciplinata e semplice.
satirica» ricerca morale del poeta e dei suoi amici) e tanti modelli negativi (i tipi Di fronte allo stile rigoglioso e «fangoso» (lutulentus) di Lucilio (che dava
spazio alla più alata parodia letteraria, ma anche alla durezza del sermo
della società romana che sono bersaglio di aggressione comica). Questo as­
vulgaris) egli cerca di ottenere effetti vigorosi con un grande risparmio di
setto si rivela tuttavia estremamente precario, tanto che già la seconda rac­
mezzi espressivi. Il poeta delle Satire mostra di avere ben assimilato l’essen­
colta di Satire mostra dei mutamenti sostanziali. Registriamo anzitutto un
ziale degli insegnamenti di Callimaco. Egli chiede alla satira uno standard
brusco regresso della componente rappresentativo-autobiografica (nonostan­
te un proemio impegnato in questa direzione, in pratica non c’è che la satira espressivo tutt’altro che accessibile, pretende concentrazione e duttilità (Sati­
2,6). Nelle satire argomentative risulta poi dominante la forma del dialogo re 1,10,9 segg.):
(ben 6 componimenti su 8) e per di più, nella distribuzione delle parti, il est brevitate opus, ut currat sententia neu se
ruolo dominante non spetta al poeta, bensì all’interlocutore cui egli stesso inpediat verbis lassas onerantibus aures,
concede la ribalta. Neanche in 2,2 (che non è dialogica) la parola spetta et sermone opus est modo tristi, saepe iocoso,
al poeta: le riflessioni sulla temperanza e la semplicità della vita sono con­ defendente vicem modo rhetoris atque poetae,
dotte da un certo Ofello di Venosa. La coincidenza fra il poeta e la «voce interdum urbani, parcentis viribus atque
satirica» (quella che argomenta e confuta) aveva assicurato un punto di rife­ extenuantis consulto...
Il moralista si rimento alla ricerca morale del I libro. Ora che il poeta si ritira in secondo
arrende piano non resta più la possibilità di estrarre un senso unitario dalle contrad­ («ci vuole brevità, perché il pensiero scorra via e non s’impacci con parole
dizioni della realtà. Tutti gli interlocutori sono depositari di una loro verità, che appesantiscano e stanchino le orecchie; e ci vuole un tono ora austero,
anche se non tutte le verità sono equivalenti e parecchi discorsi si confutano spesso giocoso, che sostenga la parte ora dell’oratore, ora del poeta, ora
da soli nella figura di una involontaria ironia. Ma il poeta non sembra rite­ dell’uomo di mondo che risparmia il suo vigore e ad arte lo attenua...»).
nere più che la satira possa essere il luogo di una ricerca morale capace Mobilità e varietà E appunto mobilità e varietà sono le caratteristiche prime dello stile
di individuare empiricamente un sistema di condotta soddisfacente. L’equili­ di stile delle Satire, che di volta in volta si modella docilmente sui soggetti: ora
brio fra autàrkeia e metriòtes, che assicurava un buon punto di osservazione familiare, ora grave e oratorio, ora solenne e poetico (a volte ironicamente
del reale, sembra perduto: il poeta non rappresenta ormai la propria capaci­ solenne). A ciò bisogna aggiungere un’affettazione di negligenza prosastica
tà di vivere fra la gente senza perdere la propria identità morale, ma permet­ (ripetizioni, costruzioni libere, giustapposizione di incisi). Per quanto riguar­
te piuttosto ai suoi interlocutori di denunciare (anche ingiustamente) le de­ da l’andamento complessivo dell’argomentazione, Orazio ha imparato dal­
bolezze e le incoerenze delle sue scelte. L’unico rifugio è ormai la villa sabi­ l’eloquenza popolare, efficace, della diàtriba: la conferenza cede continua-
na (Satire 2,6), dove Vautàrkeia si giova dell’isolamento e non deve mente al dialogo, coinvolge gli interlocutori, anticipa le obiezioni, introduce
continuamente fare i conti con le contraddizioni della vita di Roma. scene drammatiche, esempi del mito o della storia, parodie, aneddoti, giochi
di parole.

L o stile del sermo oraziano

Satira e prosa La satira, dice Orazio, non è vera poesia: per essere definito poeta, 3. Le Odi
ci vuole ispirazione divina e una voce capace di suoni sublimi (Satire 1,4,
40 segg.):
I presupposti culturali e letterari della lirica oraziana
... neque enim concludere versum
dixeris esse satis, neque si qui scribat, uti nos, La lirica oraziana non può essere intesa a prescindere dal rapporto orga­
Orazio e Alceo:
sermoni propiora, putes hunc esse poetam. Vimitatio nella nico con la tradizione greca. Ciò, in realtà è vero per gran parte della poesia
(«né infatti fare un verso conchiuso diresti che sia sufficiente: né uno che poesia latina latina, e per la poesia augustea in particolare. In questi poeti la coscienza
scriva, come noi, più vicino alla prosa, tu lo riterresti poeta»). della dipendenza dai Greci è talmente viva da essere esibita in esplicite di­
La satira è dunque letteratura più vicina alla prosa, distinta da questa chiarazioni di poetica: se negli Epodi Orazio si dichiarava erede di Archilo-
solo per il vincolo del metro. Ma Orazio non va preso troppo alla lettera, co, per quel che riguarda la sua produzione lirica egli rivendica orgogliosa­
e soprattutto non se ne deve dedurre che lo stile delle Satire sia frutto di mente il titolo di Alceo romano (Carmina 1,1,34; 1,26,11; 1,32,5). Ma simili
La travagliata facile improvvisazione. Il linguaggio della conversazione colta che egli si pro­ dichiarazioni possono essere facilmente fraintese dal lettore moderno: esse
ricerca stilistica pone di riprodurre ad arte è quello adeguato ad esprimere le confidenze rimandano in realtà a un rapporto di imitatio che significa soprattutto obbe­
di un uomo di mondo elegante ed istruito. Ma, in realtà, la Musa pedestris dienza alla lex operis (le regole che organizzano il genere letterario in cui
260 ORAZIO
LE ODI 261

il poeta vuole operare) e quindi rispetto del decorum letterario, nonché crea­ («Intona, suvvia, un carme latino, o lira modulata per la prima volta dal
zione, nel destinatario, di un coerente sistema di attese. L’imitazione, com’è cittadino di Lesbo che, valoroso guerriero, tuttavia tra una battaglia e l’al­
intesa da un poeta latino, implica insomma la messa in opera delle vaste tra, o se aveva legato all’umida riva la nave sbattuta, cantava Libero e le
possibilità espressive offerte dalle diverse forme di memoria poetica: è una Muse e Venere e il fanciullo che sempre le è accanto, e Lieo bello dì neri
componente del linguaggio poetico e non un ostacolo all’originalità della occhi e neri capelli»).
creazione.
Per la comprensione di queste caratteristiche della poesia latina le Odi
offrono un punto di osservazione privilegiato. Non a caso la fortuna di Alceo, per di più, come sappiam o meglio dai rinvenimenti papiracei, era stato anche
Il tema del Orazio lirico è sempre stata collegata strettamente alla questione più genera­ poeta gnomico: a lui è dunque naturale collegare la forte com ponente moraleggiante
primus ego della lirica oraziana, anche se essa deve certam ente di più a tradizioni culturali più
le dell’originalità della letteratura latina nei confronti di quella greca. Del recenti.
resto gli stessi poeti romani, e Orazio più degli altri, così come erano consa­ Il «motto» Un tratto caratteristico del m odo in cui Orazio intende il rapporto con la lirica greca
pevoli della loro genealogia letteraria, erano altrettanto gelosi del loro origi­ arcaica, e con Alceo in particolare, è la ripresa dello spunto iniziale di un com poni­
nale contributo creativo e non mancavano di farsene vanto {Epistole 1,19,21 mento. Diverse odi di Orazio partono con una ripresa evidente (a volte quasi una
citazione che funziona da m otto): poi però il poeta procede in m aniera sua propria
segg.):
e il modello viene quasi dimenticato (i casi più noti sono 1,9; 1,10; 1,14; 1,18; 1,37;
libera per vacuum posui vestigia princeps, 3,12). La fam osa ode a Taliarco (1,9) si apre, ad esempio, con un paesaggio inverna­
le che ricorda un fram m ento di Alceo: ad esso, come in Alceo, è connesso un invito
non aliena meo pressi pede... al bere. M a poi il com ponimento si sviluppa in riflessioni gnomiche, per finire in
un quadro di vita galante cittadina vicino al gusto del realismo alessandrino.
(«Io per primo posi i miei liberi passi per libero suolo, e non calcai col Del resto, se im portanti sono i tratti che accom unano Orazio e Alceo, certo non
Alceo e Orazio:
mio piede le orme degli altri...»). poesia «militante» meno significative sono le differenze: i versi di Alceo erano espressione degli amori
Ciò, naturalmente, è vero anzitutto per il rapporto con Alceo. Latinus e poesia di otium e degli odi di un aristocratico di Lesbo, im pegnato in prim a persona nelle aspre
fidicen («cantore lirico») Orazio è orgoglioso di averne divulgato per primo lotte politiche della sua città. Legata com ’è a vere e proprie occasioni sociali (un
i modi: per ciò egli ha diritto all’apprezzamento che spetta a colui che apre simposio, una festa religiosa), la lirica di Alceo aspira conseguentemente ad una
eseguibilità che implica semplicità di temi e di linguaggio. In O razio invece l’interesse
vie sconosciute {Epistole 1,19,32 segg.). Queste orgogliose rivendicazioni (che per la res publica è vivace, m a è quello di un intellettuale che, dopo un effimero
finiscono per costituire un luogo comune della poesia augustea, il cosiddetto coinvolgimento nelle tempeste civili, vive al riparo dei potenti signori di Roma. Per
motivo del primus ego) fanno riferimento soprattutto alle difficoltà tecniche Orazio dunque la poesia come ristoro dall’impegno, come pausa in mezzo alle batta­
del trasferire da una lingua all’altra strutture metriche ed espressive. In real­ glie, era poco più che u n ’immagine letteraria. T anto più perché l’aspetto «privato»
della sua poesia non era separabile da quella ricerca della felicità interiore, fatta
tà, il poeta si comportava, nei confronti dei suoi «modelli», ben più libera­ di autàrkeia e di tranquillitas animi, che era stato l’insegnamento principale delle
mente: nonostante temi, occasioni, situazioni spesso tradizionali, non manca filosofie ellenistiche. La lirica oraziana è inoltre scritta per la lettura, descrive spesso
mai un’ambientazione e una sensibilità romana, né manca un linguaggio situazioni imm aginate o almeno fortem ente stilizzate, e aspira a un grado assai eleva­
poetico specificamente oraziano. to di raffinatezza e di sofisticazione letteraria.
Le molteplici Nel richiamarsi ad Alceo, Orazio comunque non rispettava soltanto un’e­ Altri modelli delle L ’altro grande rappresentante della lirica eolica, Saffo, ha lasciato una traccia m ino­
suggestioni del odi: re nella poesia di Orazio. In u n ’ode fam osa egli imm agina Saffo ed Alceo che affa­
sigenza del classicismo augusteo, ma approfittava dell’auctoritas del suo mo­ scinano con il loro canto uno stupito m ondo infernale. Le om bre sem brano preferire
modello a) Saffo
dello per avvalorare la coniugazione di componenti diverse (non sempre fa­ Alceo cantore delle tempeste civili a Saffo e i suoi appassionati lamenti (2,13,24
cilmente conciliabili) del suo mondo lirico: l’attenzione alle vicende della segg.): Orazio certam ente ne condivideva il giudizio. La poetessa che aveva cantato
comunità e un canto più legato alla sfera privata (l’amore, l’amicizia, il la bellezza e gli sconvolgimenti della passione, solo episodicamente sembra suggerire
spunti all’eròtica oraziana. L ’ode della gelosia, già «tradotta» da Catullo, si risente
convito). Invocando la cetra eolica, simbolo della lirica alla maniera di Al­ in 1,13 e accenti saffiani caratterizzano, come spesso avviene, la rievocazione della
ceo, Orazio stesso indica la molteplicità di suggestioni che potevano venirgli poetessa in 4,9,10 segg. (cfr. anche 1,22,23 seg.). È invece la poesia elegiaca rom ana
dal modello (Carmina 1,32,3 segg.): che a Saffo deve qualcosa di più per la propria rappresentazione dell’amore.
b) Anacreonte Più significativo il debito di Orazio nei confronti di un altro lirico monodico, A na­
... age die Latinum creonte (1,27 e 1,23 sono i casi più vistosi): la grazia delicata ed elegante del poeta
barbite carmen, di Teo, la sua m alinconia per la giovinezza perduta, sem brano avere non poche
affinità con i corrispondenti motivi della lirica oraziana.
Lesbio primum modulate civi, c) la lirica corale Un ruolo notevole è svolto anche dalla lirica corale. N onostante che Orazio stesso
e Pindaro lo nomini con am mirazione, Stesicoro non sembra esercitare un influsso cospicuo,
qui ferox bello tamen inter arma, e lo stesso si può dire di Simonide (Carmina 2,1,39; 4,9,8). Di più h a contato Bacchi-
sive iactatam religarat udo lide, da cui prende spunto l’ode mitologica 1,15, con la profezia di Nereo a Paride
litore navem, rapitore di Elena. Orazio probabilm ente, soprattutto in una prim a fase della sua
produzione, deve aver pensato a una lirica che ospitasse, a un livello stilistico più
Liberum et Musas Veneremque et illi elevato, una m ateria simile a quella dell’epillio alessandrino e neoterico: in questa
semper haerentem puerum canebat direzione può aver agito l’imitazione di Bacchilide. M a non c’è dubbio che il posto
et Licum nigris oculis nigroque di maggior rilievo fra i lirici corali auctores di Orazio spetti a P indaro. Nel ricono­
scerne la grandezza, Orazio avverte tutti i pericoli cui si espone 1’aemulatio di un
crine decorum. poeta tanto audace e difficile (Carmina 4,2,1 segg. «Chi vuole imitare P indaro si
262 ORAZIO
LE ODI 263

espone a un volo rischioso come quello di Icaro ...» ; cfr. Epìstole 1,3,10). S oprattut­ le Satire finiscono, con una raccolta meditazione su poche fondamentali con­
to nel IV libro, rispondendo anche a sollecitazioni culturali augustee, Orazio tenta
una lirica «pindarica». M a anche nei libri precedenti (cfr. ad esempio il m otto di quiste della saggezza (soprattutto epicurea). A queste nozioni elementari,
1,12, o la 4 a ode rom ana) la ricerca oraziana del sublime, soprattutto nella poesia che devono parecchio anche al buon senso comune, Orazio ha saputo dare
di argomento civile, sembra nutrirsi di suggestioni provenienti da Pindaro: periodi una formulazione tanto nitida e incisiva da consegnarle all’eredità della cul­
am pi, di andam ento impetuoso, solenne gravità della gnom e (la sentenza breve e tura europea, che spesso ha attinto alla poesia oraziana come a un tesoro
concettosa di valore morale), am monimenti improvvisi, transizioni audaci. E da P in­
daro vengono ad Orazio idee im portanti, come la coscienza dell’alta funzione della
di massime.
poesia, la capacità del poeta di conferire l’im m ortalità, l’apprezzamento della sag­ La brevità della Il punto centrale è la coscienza della brevità della vita, che comporta
gezza etico-politica. Da un punto di vista formale si può dire infine che se dalla lirica vita la necessità di appropriarsi delle gioie del momento, senza perdersi nell’inu­
monodica vengono i metri più largamente usati nelle Odi, all’influenza della lirica tile gioco delle speranze, dei progetti o delle paure. Più famosa di tutte
corale si deve probabilm ente la complessità strutturale dell’ode oraziana. è l’esortazione a Leuconoe (1,11,6 segg.):
... sapias, vina liques, et spatio brevi
L’esperienza della Il richiamarsi di Orazio alla lirica greca arcaica aveva indubbiamente spem longam reseces. Dum loquimur fugerit invida
poesia le caratteristiche di una precisa scelta programmatica ed esprimeva la volon­ aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
alessandrina tà consapevole di distinguersi dall’alessandrinismo dei neòteroi. Ciò non si­
gnifica naturalmente però che Orazio non sia poeta «moderno» e che la («... sii saggia, filtra il vino; e, poiché il tempo è breve, riduci la lunga
sua lirica prescinda dall’esperienza ellenistica. Da qui viene un vasto reperto­ speranza. Mentre parliamo sarà già fuggita la vita invidiosa: cogli il giorno,
rio di temi, immagini, situazioni (relative soprattutto alla sfera dell’amore, e non credere al domani»).
della relazione galante, ma anche di feste e cerimonie pubbliche, del convito, Aveva detto Epicuro (Gnomologio Vaticano 14): «Si nasce una volta
del paesaggio). Non soltanto: al mondo ellenistico Orazio attinge elementi sola, due volte non è concesso, in eterno non saremo più. Tu, pur non
centrali della sua cultura, della sua ideologia e della sua sensibilità di poeta. essendo padrone del tuo domani, rimandi la gioia: la vita così trascorre
L ’importanza e la ricchezza del rapporto con questa poesia è oggi un dato in questo indugiare e ciascuno di noi muore senza aver goduto della quiete».
acquisito (e la filologia italiana ha dato importanti contributi in questa dire­ Il saggio affronterà gli eventi, quali che siano, e saprà accettarli: egli conta
zione): resta più incerto se gli elementi ellenistici largamente presenti in Ora- solo sul presente, che cerca di cogliere nella sua fugacità, e si comporta
zio risalgano a un contatto diretto con lirica alessandrina per noi in massima come se ogni giorno della sua vita fosse l’ultimo. Il carpe diem non va
parte perduta, o non piuttosto a contatti con tradizioni letterarie diverse quindi frainteso come un banale invito al godimento: in Orazio (come era
ma contigue, come quelle dell’epigramma e dell’elegia. anche in Epicuro) l’invito al piacere non è separato dalla consapevolezza
Ma, come l’esempio di Alceo poeta civile incontrava in Orazio una esi­ acuta che quel piacere stesso è caduco, come caduca è la vita dell’uomo.
genza attuale di attenzione appassionata per le vicende della res publica, Non resta che fabbricarsi, di fronte all’incalzare della morte o della sventu­
così neanche la poesia alessandrina è pura suggestione letteraria: essa è la ra, la solida protezione dei beni già goduti, della felicità già vissuta (3,29,41
«forma» della vita quotidiana di Roma metropoli ellenizzata: una mondani­ segg.):
tà fatta di amori, feste, conviti, danze, poesia.
... ille potens sui
Importante, anche se spesso trascurata, è la parte che nella cultura di
laetusque deget, cui licet in diem
Orazio lirico gioca la letteratura prosastica: non solo, com’è ovvio, la tradi­
dixisse «vixi: cras vel atra
zione della diàtriba filosofica, ma anche trattati ellenistici sul buon governo,
nube polum Pater occupato
scritti di panegiristica, trattatistica retorica.
vel sole puro; non tamen irritum,
quodcumque retro est, efficiet neque
Temi e caratteristiche della lirica oraziana diffinget infectumque reddet,
quod fugiens semel hora vexit».
Meditazione e È consolidata l’immagine di Orazio poeta dell’equilibrio sereno, del di­ («... vivrà padrone di sé, felice, chi di giorno in giorno potrà dire: ho vissu­
cultura filosofica stacco dalle passioni, della moderazione: e l’immagine tradizionale è, in que­
nelle Odi to: domani il padre Giove occupi pure il cielo di nera nube o di sole splen­
sto come in altri casi, abbastanza rispettosa della realtà. Essa fa intuire, dente; non renderà però vano tutto quanto è alle spalle, né cancellerà o
prima di tutto, il ruolo centrale che nella lirica oraziana è svolto dalla medi­ disfarà ciò che l’ora, nel suo fuggire, ha già portato»).
tazione e dalla cultura filosofica. È naturale pensare qui al poeta delle Satire La faticosa Questa meditazione può talvolta tradursi in canto della propria serenità:
e all’assimilazione, anche attraverso la tradizione diatribica, di concetti e conquista della la felicità dt\Yautàrkeia, la condizione del poeta-saggio, libero dai tormenti
problemi delle scuole filosofiche ellenistiche: il che rende sostanzialmente saggezza della follia umana e benedetto dalla protezione degli dei. Il favore divino
diverse la gnomica oraziana da quella della lirica greca arcaica. Non si tratta si manifesta trasfigurando in miracolo circostanze dell’esistenza quotidiana
tuttavia più di una vera e propria ricerca morale fondata sull’osservazione (vari episodi di scampato pericolo, dall’infanzia all’attualità), ed è sempre
critica degli altri. In un certo senso si può dire che le Odi cominciano dove intimamente connesso con la vocazione di poeta: gli dei e le Musa salvano
264 ORAZIO LE ODI 265

Orazio per riservarlo a quel destino. E tuttavia saggezza, serenità, equili­ nel più odioso dei nemici (celebre il quadro di Cleopatra che affronta impa­
brio, padronanza di sé, Vaurea mediocrìtas di chi sa fuggire tutti gli eccessi vidamente la morte in 1,37). E poi perché Orazio poeta della comunità sa
e adattarsi a tutte le fortune, niente di tutto ciò è un possesso sicuro, acqui­ spesso farsi interprete di incertezze e timori, di scoraggiamenti e poi di im­
sito una volta per sempre. Il poeta delle Odi non ignora la forza insidiosa provvise gioie liberatrici: dei sentimenti e delle aspirazioni profonde della
e attraente delle passioni, conosce le debolezze deH’animo, e sa che ciò cui società contemporanea. Anche la lode del principe in genere sfugge alle mo­
egli aspira e che consiglia agli amici va conquistato e difeso in ogni momen­ venze cortigiane dell’encomio ellenistico, per dar voce alla sincera ansiosa
to. La saggezza si scontra così con i dati immutabili della condizione del­ ideologia gratitudine nei confronti del pacificatore dell’impero. Dell’ideologia augu­
l’uomo nel mondo: la fugacità del tempo, la vecchiaia, la morte (questi temi augustea e stea, la lirica civile oraziana condivide l’impostazione moralistica: la crisi
animano alcune delle odi più belle: 1,4; 2,3; 2,14; 4,7). Nessuna saggezza moralismo era derivata dalla decadenza dei costumi, dall’abbandono di quel coerente
ha la capacità di eliminare tanto peso negativo: contro le angosce e contro oraziano sistema di antichi valori etico-politici e religiosi che aveva fatto la grandezza
il dolore della vita si può soltanto ingaggiare una lotta virile (che richiede di Roma. Questa poesia moralistica può incontrare a tratti la ricerca morale
energia e conosce qualche eroismo), per trasformare l’inquietudine e l’ama­ «oraziana»: nella critica del lusso, di stravaganze e follie, nell’ammirazione
rezza in accettazione del destino (4,7,7 segg.): per l’autosufficienza della virtus, nell’apprezzamento della razionalità con­
tro le forze del caos (ma, in genere, nella poesia civile suona una nota meno
immortalia ne speres, monet annus et almum vitale, irrigidita in qualche durezza di saggio stoico). Più facile era la conci­
quae rapit hora diem
liazione — o meglio la convivenza — fra sfera «pubblica» e sfera «privata»,
quando risultassero dominanti alcuni tratti «ellenistici» della poesia civile.
damna tamen celeres reparant caelestia lunae:
La pubblica ricorrenza (una festa, una cerimonia, un evento lieto) può esse­
nos ubi decidimus re anche occasione di gioia privata: il poeta festeggia con un convito, con
quo pater Aeneas, quo Tullus dives et Ancus,
un incontro galante. Orazio inaugura così una maniera che sarà importante
pulvis et umbra sumus.
per altri poeti dell’età di Augusto, per Properzio e soprattutto per Ovidio.
(«a non nutrire speranze immortali ti ammonisce l’anno e l’ora che trascina Varietà di temi La polarità cui abbiamo accennato è naturalmente una semplificazione,
via il giorno datore di vita... tuttavia nel cielo le rapide lune ripristinano nelle Odi che finisce per oscurare la varietà e la vitalità tematica della poesia lirica
ciò che hanno perso: noi invece, una volta caduti dove il padre Enea, dove di Orazio. Una varietà che corrisponde spesso alle diverse categorie in cui
Tulio potente e Anco, siamo polvere e ombra»). si articolava l’antica lirica greca (funzionali a «occasioni» diverse, esse sa­
La poesia civile L’altro polo della lirica oraziana, la poesia impegnata sui temi civili ranno classificate normativamente come veri e propri «generi» dalla più tar­
e nazionali, con la celebrazione di personaggi, avvenimenti e miti del regime da trattatistica retorica). Abbiamo così carmi conviviali (che rimandano ai
di Augusto, risulta per molti versi lontano dai temi «privati»; pur se in sympotikà, i carmi conviviali, di Alceo, ma devono molto anche all’epi­
Orazio, con una differenza importante rispetto alla lirica neoterica, tutta gramma ellenistico): inviti, descrizioni dei preparativi, con il tradizionale ap­
la sfera privata aspira sempre a una validità generale, ad esprimere la condi­ parato del simposio ellenistico-romano (vino, fiori, musica). Quasi un quar­
zione complessiva dell’uomo. La lirica civile, molto discussa nei suoi risulta­ La poesia to delle Odi possono essere classificate come «erotiche». La poesia amorosa
ti, non manca certo di originalità. La poesia celebrativa legata ai monarchi amorosa di Orazio, a differenza di quella di Catullo e degli elegiaci, sembra nutrirsi
ellenistici non fornisce più che qualche tratto esteriore: su questo tronco del distacco ironico dalla passione. A parte qualche eccezione, l’amore viene
(e naturalmente su quello della lirica greca arcaica) Orazio ha saputo inne­ analizzato come un rituale il cui canovaccio è piuttosto scontato: serenate,
stare spunti nazionali, suggestioni provenienti dall’epica e dalla storiografia. incontri, giuramenti, schermaglie, vita galante e sportiva, conviti. Spesso
L ’operazione era ambiziosa e rispondeva anche a profonde esigenze perso­ il poeta osserva con un sorriso la credulità del giovane amante, la serietà
nali, ben radicate in una generazione che, dopo le lacerazioni delle guerre con cui ciascuno interpreta la sua parte, giura l’esclusività e l’eternità del
civili, guardava con speranza, entusiasmo, e qualche angoscia mal sopita, proprio sentimento. Ma l’ironia oraziana non ignora la passione: ne conosce
al principe vincitore e garante della pace. Non bisogna perciò pensare sol­ la crudeltà, la rievoca con malinconia, la sente inopinatamente risorgere (4,1,30
tanto alle pressioni energiche della politica culturale augustea. L’immagine segg.):
di Orazio cantore della grandezza di Roma e dei «valori eterni» delPImpero
può essere oggi finalmente valutata al di fuori del sospetto che nel nostro iam nec spes animi credula mutui
Ideologia del secolo ha proiettato su di essa la retorica della romanità. La lirica civile nec certare iuvat mero
principato e di Orazio conosce la celebrazione, l’encomio, l’ufficialità, ma non può esse­ nec vincire novis tempora floribus.
autenticità di re liquidata come propaganda in versi. Anzitutto perché, anche dove riflette Sed cur heu, Ligurine, cur
Orazio con fedeltà (preziosa per il sociologo e lo storico) i temi e le successive fasi manat rara meas lacrima per genas?
dell’ideologia del principato, sa approfittare dell’ampiezza e della flessibilità cur facunda parum decoro
di quella stessa ideologia per evitare chiusure dogmatiche ed esaltare il subli­ inter verba cadit lingua silentio?
me della magnanimità: ad esempio, la lealtà verso la causa «repubblicana» nocturnis ego somniis
e i suoi eroi sventurati (2,7; 1,12; 2,1) o l’ammirazione per la virtus anche iam captum teneo, iam volucrem sequor
266 ORAZIO LE ODI 267

te per gramina Martii ispiratrici (Mercurio, Bacco, Apollo): attraverso la topica ellenistica, egli espri­
campi, te per aquas, dure, volubilis. me entusiasmo per la sua missione, orgoglio per la sua opera.
Lo stile delle La perfezione dello stile è uno dei marchi caratteristici della lirica ora­
(«ormai non mi piace né la credula speranza di amore corrisposto, né fare Odi: ziana: una raffinatezza che deve molto alla lezione di Callimaco e del calli-
a) la perfetta machismo. Orazio usa un vocabolario molto semplice, che lascia spazio an­
a gara, col vino, né avvincere le tempie di fiori freschi. Ma perché, Liguri-
semplicità che a parole sentite come prosaiche in altre tradizioni di poesia. La semplici­
no, perché rara una lacrima scende per le mie guance? perché la mia lingua
eloquente interrompe a mezzo le parole e cade in un silenzio poco dignitoso? tà e l’essenzialità guida anche la scelta dell’aggettivazione, il moderato impiego
Nei sogni, di notte, ecco, ti ho preso, ti tengo, ecco, ti inseguo che voli delle figure di suono, la cautela delle metafore e delle similitudini. Meno
per l’erba del campo di Marte, o per l’acqua — tu duro — volubile»). scontata, ma pur sempre abbastanza semplice, la sintassi, che ama le ellissi,
L’inno Ben rappresentato nella lirica oraziana è anche l’inno. Qui naturalmente le costruzioni greche, l’iperbato, ì’enjambement. L ’elevatezza dignitosa del­
le differenze con la lirica greca arcaica sono cospicue, anche perché la lirica lo stile è ottenuta con una sorvegliata riduzione dei mezzi espressivi, con
religiosa oraziana (a parte il Carmen Saecularé) è priva del legame con una una dizione libera da ogni ridondanza, asciutta e levigata. L’espressività è
occasione e una esecuzione rituale: dell’inno conserva spesso formulario e garantita anche dal virtuosismo metrico e dall’arte (che già era di Alceo)
andamento (l’invocazione in 2a persona, le epiclesi del dio, l’illustrazione della collocazione delle parole.
di prerogative e sedi del culto, gli inviti alla presenza, le stipulazioni e le b) l’arte della Collocare accortamente le parole nel verso vuol dire seguire una strate­
richieste) ma è intessuto di riferimenti e sviluppi di carattere letterario. iunctura gia che, mentre lega le parole nella tessitura della frase, alcune le accosta
La Non sempre però è facile collocare un’ode oraziana in un tipo ben defi­ fra di loro, altre le allontana e lascia che si richiamino a distanza; sicché
contaminazione nito, anche perché il poeta ama spesso contaminare, in un medesimo com­ parole usuali, ricevendo una propria evidenza, vengono percepite come se
delle categorie ponimento, categorie liriche diverse (secondo il procedimento alessandrino fossero «nuove», come se fossero ora pronunciate per la prima volta: i loro
liriche significati, liberati dalla patina opaca dell’abitudine, trovano nuova lumino­
dell’«incrocio fra i generi»): ad esempio un propemptikòn (carme di buon
viaggio) e un carme mitologico (3,27); un inno e un carme mitologico (3,11); sità nel testo. La configurazione strategica che assumono gli elementi del
un epigramma sulla primavera e una poesia conviviale (1,4). discorso rivitalizza il senso esaurito di parole e di immagini che rischierebbe-
Temi ricorrenti Esistono poi temi ricorrenti che attraversano largamente carmi di natura ro quasi di essere «in-significanti». Per esempio: un aggettivo, staccato dal
nelle odi: diversa. La campagna è di solito stilizzata secondo il modulo del locus amoe- sostantivo che vuole completare o determinare, e dislocato in un punto della
a) il paesaggio nus, un gradevole paesaggio italico, che ospita il convito, il riposo, la sem­ sequenza metrico-ritmica che in qualche modo lo metta in rilievo (può essere
plice vita rustica; ma Orazio conosce anche il fascino del paesaggio «dioni­ anticipato o anche ritardato al verso successivo, per enjambement), figura
siaco»: una natura montana, selvaggia e aspra, fatta di rupi, boschi e fonti, come isolato nella frase e ritrova così tutta la sua risonanza originaria. Altre
non domata dall’uomo. volte, l’aggettivo (o il participio o l’avverbio) può aggiungersi a parola che
b) Yangulus come Ma i luoghi più propriamente oraziani sono quelli individuati dallo spa­ non è il suo referente proprio, e crea allora effetti nuovi o associazioni inso­
luogo della zio limitato e racchiuso del piccolo podere personale: spazio caro perché lite, lascia emergere significati impliciti, fa germinare immagini latenti o ri­
poesia noto e sicuro, inattaccabile perché appartato e volutamente modesto (1,17,17 propone sensi dimenticati. Orazio stesso, teorizzando, ricordava tra i proce­
hic in reducta valle, cfr. Satire 2,6,1 modus agri·, ma per ritrovarsi gli basta dimenti più efficaci questo semplice artificio della callida iunctura (Ars 47
qualche volta un qualunque pezzo di quieta campagna o una solitaria spiag­ seg. dixeris egregie, notum si callida verbum / reddiderit iunctura novum,
gia sul mare). Questo spazio privilegiato funziona nel testo come una figura «ti esprimerai in modo personale se un accorto abbinamento renderà nuova
simbolica dell’esistenza del poeta (è la forma dei suoi affetti), ma è anche c) sobrietà e una parola nota») x. La massima economia di inventività linguistica (cioè
figura simbolica della sua esperienza poetica (ne è la forma estetica, in quan­ limpidezza lo sforzo innovativo è ridotto al minimo: Orazio fa uso parsimonioso di
to spazio che vuole rappresentare un ordine e un senso). Questo «luogo- neoformazioni) per avere il massimo di espressività: il suo stile di composi­
rifugio» si fa figura letteraria nel tema dell’angulus (2,6,13 terrarum mihi zione confida piuttosto su nuove analogie, preferisce affidarsi a nitide corri­
praeter omnes / angulus ridet, «quell’angolo di terra mi sorride più di ogni spondenze contestuali (membri ordinati in parallelo, elementi disposti sem­
altro»). L’angulus è il luogo deputato al canto, al vino e alla saggezza. E plicemente per contrasto o per antitesi): strutture ben disegnate, in cui le
per quanto il tema possa parere convenzionale, è pur vero che esso trova singole parole — le singole cose — per azione reciproca riacquistano intatta
in Orazio nuove funzioni, diventa il nucleo generativo di molta poesia in la propria energia comunicativa. Un effetto, insomma, di sobrietà e di lim­
quanto si associa a due altri grandi temi: al tema della morte (anche il pen­ pidezza classica, cui contribuisce non poco la struttura del singolo componi­
siero della morte che si avvicina col tempo, in questo spazio privilegiato,
si fa meno amaro, si attenua in malinconia) e soprattutto al tema delPamici-
c) l’amicizia zia. L’amicizia, nelle Odi, come del resto in tutte le opere del poeta, ha 1 Così basta un semplicissimo accostam ento verbale a generare l’effetto di «messa in rilie­
vo»: credulus aurea in Carmina 1,5,9 (qui nunc te fru itu r credulus aurea, «lui che ora credulo
un ruolo fondamentale e fornisce ai singoli poemi un ampio ventaglio di gode della tua bellezza risplendente»); sim plex m unditiis («semplice nella ricercatezza»), ibid.
destinatari, ciascuno con la sua specificità di amico: e a ciascuno viene dedi­ 1,5,5; palluit audax («impallidì della sua audacia»), ibid. 3,27,28. Q uintiliano (10,1,96) espri­
d) la vocazione cata un’attenzione affettuosa. Ma importante è anche il motivo della voca­ meva così la sua am m irazione per uno stile di scrittura sobrio m a efficacissimo: insurgit ali-
poetica zione poetica: il vates si sente in rapporto con le Muse e le altre divinità quando et plenus est iucunditatis et gratiae et varius figuris et verbis felicissim e audax.
268 ORAZIO LE EPISTOLE: PROGETTO CULTURALE E ANACORESI FILOSOFICA 269

mento, progettato in modo unitario e compatto. Il che non significa sem­ L’angulus mento verso una periferìa rustica (1’angulus delle Odi, come diremo) che
pre secondo simmetria: la variatio è principio stilistico non meno impor­ appartato del risuona di memorie filosofiche. È così che vocazione più vera di ogni singolo
tante. poeta e componimento, e dell’intera prima raccolta, è quella protrettica. I destinata-
l’esortazione alla ri sono invitati a ripetere una scelta sapienziale che Orazio visualizza in figu­
sapienza ra di viaggio verso 1’angulus — un cammino, questo, che significa metafori­
4. Le Epistole: progetto culturale e anacoresi filosofica camente e metonimicamente tutto un iter mentale. La persona poetica delle
Epistole è ritratta sullo sfondo di un paesaggio appartato che, se talvolta
Il ritorno al Dopo la grande esperienza della poesia lirica, Orazio ritorna alPesame- rimanda al rifugio sabino di singoli componimenti lirici, ripropone il tra­
sermo tró della conversazione. Dovette essere difficile per gli antichi commentatori guardo epicureo del De rerum natura lucreziano. L ’angulus trascrive nel les­
oraziani (lettori-grammatici, custodi di regole, generi letterari e definizioni) sico oraziano l’esperienza dei sapientum tempia serena proposta da Lucrezio
inventare una formula critica che sapesse distinguere le Epistole dalle due ai suoi lettori.
raccolte di Satire. Non era forse il poeta, in fondo, a chiamare sermones, Il presupposto Anche così, la raccolta elabora un discorso didascalico che rinnova il
«conversazioni», entrambe le opere, accomunate almeno così da uno stesso lucreziano poema lucreziano mutuandone tratti significativi. Tanto più che gli statuti
registro stilistico «più vicino alla prosa»? Una buona definizione, in ultima stessi della lettera assicurano una situazione ben lucreziana: quella (forte­
analisi, fu quella che rilevava due diverse situazioni pragmalinguistiche o, mente innovativa rispetto al genere) che coinvolgeva in continuazione il de­
come altrimenti si può dire, la diversa intensità delle due «voci»: (Epistole stinatario nelle scelte del testo. Il rapporto autore-lettore, vivo e drammatico
e Satire) hoc solum distare videntur ... quod hic quasi ad absentes ibi autem nel De rerum natura, viene qui imposto dall’evidenza di un impianto comu­
quasi ad praesentes loquitur (Pseudoacronis scholia in Horatium vetustiora). nicativo tutto rivolto verso l’ingiunzione e l’esortazione. Ecco che così il
In tal modo, il giudizio antico, mentre riconosce, sapientemente, anche la rapporto autore-lettore diventa esso stesso tema del discorso fino ad assume­
vocazione mimico-drammatica delle Satire, sottolinea bene la specifica con­ re le forme della consapevolezza metaletteraria. Il progetto delle Epistole,
figurazione epistolare dell’opera più tarda. E infatti, proprio come raccolta allora, sviluppa al suo interno (vale a dire: nei singoli episodi che lo realizza­
di lettere (tali sono i messaggi agli «assenti» dello Pseudoacrone), le Epistu­ no) il modello di un educatore lucreziano che insegna ai suoi discepoli l’a­
lae acquisiscono la loro prima, importante identità: tutti i componimenti more di una vita ritirata. Ma dove l’opera mostra più evidenti i tratti tipici
hanno un destinatario, e della lettera vengono talvolta esibiti i segnali carat­ del moderato classicismo augusteo (comuni, questi, a Virgilio e ad Orazio)
teristici (formule di saluto e di commiato). Si discute anche del carattere è nella malinconica perplessità che essa scopre proprio riguardo a una reale
Componente «reale» di queste epistole: nessuno crede naturalmente a una vera e propria efficacia didascalica del suo messaggio: non sempre i destinatari si mostre­
epistolare e funzione privata, ma non si può neppure escludere che singole lettere, pur ranno ricettivi alla proposta di un nuovo mondo filosofico, per certi aspetti
intonazione pensate come opera di letteratura e destinate al pubblico dei lettori, siano affine a quello, più fantastico-letterario delle Bucoliche.
personale Ma anche altre, sempre dal punto di vista della forma dei contenuti,
state di volta in volta inviate, come omaggio letterario, ai rispettivi destina­ La revisione del
tari. Ad ogni modo, la componente epistolare assicura al sermo oraziano modello sono le differenze vistose dalle Satire (continuiamo a seguire questa traccia,
una intonazione più personale, nonché la varietà di modi e atteggiamenti lucreziano la più immediata da sempre): manca ad esempio alle Epistole quell’aggressi­
che è richiesta dall’attenzione nei confronti del destinatario. vità comica che, ancora per Orazio, era la marca evidente del genere satiri­
L’epistola in Dal punto di vista formale le Epìstole erano quasi certamente una co. La riflessione morale non procede ora attraverso una osservazione criti­
versi: un nuovo novità: in quello che ci è rimasto (o di cui abbiamo notizia precisa) ca della società contemporanea. La morale oraziana sembra prendere co­
genere letterario della letteratura greca e latina, non troviamo niente di davvero simile. scienza sempre più netta delle proprie debolezze e contraddizioni: l’equilibrio
Sappiamo di epistole in versi (ce n’erano ad esempio nelle satire di Lucilio, fra autàrkeia e metriòtes, su cui si reggeva la possibilità stessa della
e sono dichiaratamente lettere alcune poesie di Catullo, come il carme satira, appare ormai irrecuperabile, e non si intravede nessun equilibrio di­
68), ed erano ben note trattazioni filosofiche sotto forma di epistole in Ricerca morale e verso. Che sia proiettata verso se stessa — in una lucida e a volte spietata
prosa (basti pensare alle lettere di Platone e più ancora a quelle di Epicuro necessità della introspezione — o che si realizzi nel dialogo con l’interlocutore e il suo
ai suoi discepoli). Ma una raccolta sistematica di lettere in versi come saggezza punto di vista, la ricerca morale è vivacemente animata, nelle Epistole, dalla
quella di Orazio è probabilmente sperimentazione originale, né, in questo necessità della saggezza. La sensibilità oraziana per il trascorrere inesorabile
caso, il poeta si richiama, come altre volte, ad un inventor del genere del tempo, acuita dall’impressione di una precoce vecchiaia, fa sentire la
da lui praticato. conquista della saggezza come urgente, improcrastinabile. Ma, al tempo stesso,
Ma il fattore che più contribuisce ad allontanare, innovativamente, le Orazio non sembra più in grado di costruirle (né per gli altri né per se stesso)
Epìstole dalle raccolte satiriche lo dà una distanza fisica, un diverso scenario un modello di vita soddisfacente. La rinuncia alla vita sociale e all’ottimi­
sul quale si leva a parlare la persona assunta dall’autore. La satira era ap­ smo etico è simboleggiata dalla fuga da Róma verso il raccoglimento della
partenuta essenzialmente ad un ambiente cittadino, che corrispondeva ai bi­ campagna sabina: un ritiro inquieto, ma per lo meno lontano da impegni,
sogni sociali del genere in quanto apriva all’opera spazi di circolazione fra sollecitazioni, passioni, nei confronti delle quali il poeta si sente adesso indi­
i ceti colti — gli equites — e offriva facile materia all’immaginazione comica feso. L’esigenza dell 'autàrkeia — quel «bastare a se stessi» in cui più di
del poeta. Tutte le lettere oraziane, al contrario, presuppongono lo sposta­ una scuola filosofica poneva il segreto della felicità umana — è adesso più
270 ORAZIO
LE EPISTOLE: PROGETTO CULTURALE E ANACORESI FILOSOFICA 271
vivace che mai: ma neanche Vautàrkeia sembra garantire al poeta un atteg­ fidis offendar medicis, irascar amicis,
giamento coerente e costante. Egli sembra oscillare, senza individuare mai cur me funesto properent arcere veterno,
davvero un punto di plausibile equilibrio, tra un rigore morale che lo attrae quae nocuere sequar, fugiam quae profore credam,
ma lo spaventa e un edonismo di cui avverte insieme concretezza e fragilità. Romae Tibur amem ventosus, Tibure Romam.
Nella epistola che fa da proemio, Orazio si dichiara indipendente da ogni
ortodossia filosofica (Epistole 1,1,14 segg.): («se ti chiederà cosa faccio, digli così: io, che molte e belle cose minacciavo,
non vivo né secondo virtù né secondo piacere: non perché la grandine m ’ha
nullius addictus iurare in verba magistri, ammaccato le viti o il caldo ha morso le olive, né perché il bestiame è mala­
quo me cumque rapit tempestas, deferor hospes. to in pascoli lontani; ma perché, infermo nell’animo più che nel corpo tutto,
Nunc agilis fio et mersor civilibus undis, non voglio ascoltare, non voglio imparare quel che potrebbe alleviare il mio
virtutis verae custos rigidusque satelles, male, mi urto coi medici fidati, mi adiro con gli amici, perché s’affannano
nunc in Aristippi furtim praecepta relabor a liberarmi dal mortale torpore; inseguo quello che, già lo so, mi fa male;
et mihi res, non me rebus subiungere conor. fuggo quello da cui m ’aspetto giovamento; sono come il vento: a Roma
mi piace Tivoli, a Tivoli Roma»).
(«io non sono impegnato a giurare secondo la formula di alcun maestro;
L’impostazione Alla esibita debolezza della propria posizione etico-filosofica fa riscon­
dovunque il vento mi trascina, mi faccio portare come un ospite. Ora mi didascalica tro — quasi paradossalmente — una accresciuta impostazione didascalica
faccio uomo d’azione e mi immergo nelle tempeste civili, custode e difensore
del discorso oraziano. La forma epistolare stessa infatti corrisponde in qual­
inflessibile della vera virtù. Ora, senza parere, torno a scivolare nei precetti
che modo alla posizione di un intellettuale eminente e rispettato, che è inter­
di Aristippo e cerco di sottomettere le cose a me, non me alle cose»).
locutore e anche punto di riferimento dell’élite sociale augustea. Nel rappor­
Le incertezze Non si tratta qui tanto di rivendicare una originale mediazione fra con­
della morale di to a due che è proprio di una lettera c’è spazio per confessare, ma anche
cetti e posizioni attinte a tradizioni filosofiche diverse (o magari alla tradi­
Orazio per ammonire e insegnare, soprattutto se la persona di un destinatario ine­
zione «sincretistica» della predicazione diatribica). Orazio parla, program­
sperto (molte delle epistole sono indirizzate a giovani amici) sembra in qual­
maticamente, delle oscillazioni che caratterizzano la morale delle Epistole,
che maniera richiederlo (.Epistole 1,17,3 segg.):
in cui vengono, ad esempio, accostate l’epistola 16, di impronta più chiara­
mente stoica, centrata sul tema della libertà interiore e sul vero ideale del disce docendus adhuc quae censet amiculus, ut si
vir bonus, e la coppia costituita dalle epistole 17 e 18, che presentano «dida­ caecus iter monstrare velit, tamen adspice siquid
scalicamente» una serie di consigli e di riflessioni sulla maniera di vivere et nos quod cures proprium fecisse loquamur.
accanto ai potenti e di assicurarsene il favore. («impara quello che sentenzia il tuo amico che avrebbe bisogno lui, ancora,
L’insoddisfazione Alle aporie della ricerca morale oraziana sembra da collegare lo spazio di insegnamenti; è come se un cieco volesse mostrare la via: guarda però
di sé: la strenua notevole ora accordato al tema diatribico (già mirabilmente svolto da Lucre­ se non dico anch’io qualcosa che potresti avere interesse a far tua»).
inertia zio e affiorato nel II libro delle Satire) dell’insoddisfazione di sé, dell’inco­ Orazio critico Questo aspetto didascalico si accentua nelle epistole del II libro e soprat­
stanza, della noia angosciosa e impaziente. L ’inquietudine è presentata come letterario tutto ne.\YArs poetica. La società augustea è anche una società di letterati
una specie di male del secolo (Epistole 1,11,27 segg.): e di amanti della letteratura: i problemi di critica letteraria, di poetica e
di politica culturale sono fra quelli di più viva attualità. Orazio interviene
caelum non animum mutant qui trans mare currunt.
Strenua nos exercet inertia: navibus atque nel dibattito con l’autorità che gli è garantita da un sicuro prestigio e anche
quadrigis petimus bene vivere. Quod petis, hic est, dal suo personale rapporto col principe. È proprio anzi Augusto l’interlocu­
est Ulubris, animus si te non deficit aequus. tore primario (esplicito o implicito) di questi discorsi sull’arte e la letteratu­
ra. Per assicurare una più ampia base ideologica e culturale al difficile com­
(«cambia cielo, non animo, chi corre di là dal mare. Un torpore smanioso promesso sociale del principato, Augusto vedeva con favore una produzione
ci logora, noi che cerchiamo con navi e quadrighe la vita felice: quello che letteraria nazionale e popolare. Alla richiesta di un poema epico-storico,
cerchi è qui, è ad Ulubre, se non ti manca l’equilibrio delPanimo»). che interpretasse l’austera ideologia dei maiores e cantasse il destino impe­
Ma il poeta non si sente affatto al riparo, né i propositi di saggezza riale di Roma, VEneide aveva dato una risposta, anche se solo parziale.
sembrano capaci di assicurargli la guarigione dall’insidiosa e tenace malattia La questione del Restava aperta (ed urgente agli occhi del principe) la questione del teatro
(Epistole 1,8,3 segg.): teatro latino latino: la generosa ricompensa concessa al Tieste di Vario dimostra quanta
importanza venisse annessa ad una forma d’arte cui si accreditavano le più
si quaeret quid agam, die multa et pulchra minantem larghe possibilità di penetrazione ideologica, in quanto più capace di rappre­
vivere nec recte nec suaviter: haud quia grando sentare valori e modelli culturali.
contuderit vitis oleamve momorderit aestus, La questione del teatro è centrale nelle epistole letterarie di Orazio: nel­
nec quia longinquis armentum aegrotet in agris; l’epistola ad Augusto (2,1) il poeta polemizza contro il favore indiscriminato
sed quia mente minus validus quam corpore toto nei confronti dei poeti del teatro romano arcaico. In una specie di disputa
nil audire velim, nil discere, quod levet aegrum;
«degli antichi e dei moderni», Orazio si schiera decisamente dalla parte di
272 ORAZIO LA FORTUNA DI ORAZIO - BIBLIOGRAFIA 273

questi ultimi, in nome del principio callimacheo dell’arte colta e raffinata. più tarda, posteriore a Porfirione e al commento virgiliano di Servio); (3)
Egli resiste, su questo punto importante, alle preferenze di Augusto stesso il commentator Cruquianus, una sospetta raccolta di scoli di incerta autenti­
e raccomanda soprattutto al signore di Roma una attenzione benevola per cità messa insieme dall’umanista olandese J. van Cruyck, sulla base di ma­
la poesia destinata alla lettura, l’unica che possa raggiungere, secondo lui, noscritti (e anche edizioni) oggi perduti.
i livelli di eccellenza formale che la cultura e il prestigio stesso della Roma Il Medioevo: Nel Medioevo, Orazio fu ben conosciuto a partire dall’età carolingia
augustea richiedono necessariamente. Orazio non mostra di nutrire fiducia «Orazio satiro» (a cui risalgono i nostri primi manoscritti), anche se il suo ruolo fu certa­
in una vera rinascita del teatro, anche perché un pubblico meno selezionato mente più modesto rispetto a quello di Virgilio. Si apprezzava il poeta mora­
e raffinato di quello cui si rivolge la letteratura scritta non sembra disposto leggiante, da cui era possibile estrarre massime di saggezza per i florilegi,
ad apprezzare una produzione drammatica di qualità e predilige invece il e si leggevano soprattutto le Epistole e le Satire (mentre le Odi avevano
fasto spettacolare o le dozzinali buffonerie di mimi e acrobati. una circolazione assai più limitata). La fortuna medievale del sermo orazia­
L'Ars poetica: L’Ars poetica sembra tuttavia orientare la sua analisi dell’arte e della no (legata anche ad una persistente presenza del poeta nella tradizione della
a) teorie poetiche poesia sui problemi della letteratura drammatica (non solo la tragedia e la scuola) è consacrata nella Divina Commedia, dove «Orazio satiro» è fra
sul dramma commedia, ma addirittura il dramma satiresco, della cui vitalità a Roma i poeti del limbo.
non è rimasta traccia). Ciò dovrà essere messo in rapporto con il posto Riscoperta di Orazio lirico invece, già imitato dal Petrarca, venne esaltato a partire
privilegiato che il dramma aveva nelle trattazioni di ascendenza peripatetica Orazio lirico: dall’età rinascimentale, con punte significative nei poeti della Plèiade e delle
(a partire proprio dalla Poetica di Aristotele), a cui Orazio si riconnette Orazio in età «Anacreontee». Orazio diveniva così modello incontrastato della letteratura
in maniera problematica, ma sicura. Non bisogna però pensare alla ricezione moderna di stampo classicista, anche perché l’autore àùYArs poetica restava un pun­
passiva di una fonte greca: dopo le perplessità e le resistenze espresse nell’e­
pistola ad Augusto, Orazio accetta di offrire con VArs poetica (la cronologia to di riferimento insostituibile nelle discussioni di poetica e di letteratura
è discussa, ma la posteriorità della lettera ai Pisoni è assai probabile) il pro­ dagli Umanisti in avanti. Sotto Luigi XIV, il Boileau consacrò la preminen­
prio contributo di teorico, se non di poeta militante, alla questione del tea­ za di Orazio componendo Satire, Epistole, e soprattutto un 'Arte poetica,
tro. Egli comunque resta fedele neWArs ai suoi principi, predicando un’arte vero e proprio manifesto del classicismo francese. Il Settecento fu un vero
raffinata (v. 291: si raccomanda di perfezionare con il labor limae il proprio e proprio «secolo oraziano»: la cultura illuminista e arcadica ammirava il
prodotto), paziente (v. 389: è meglio tenere i propri scritti nel cassetto per poeta lirico elegante e raffinato, il razionalista arguto, il moralista pungente.
nove anni, prima di renderli pubblici), colta (v. 268: bisogna leggere e rileg­ Come altri poeti classici, soprattutto latini, Orazio subì in età romantica
gere i grandi modelli greci), attenta (i principi fondamentali sono quelli della una decisa svalutazione, ma restò sempre caro ai poeti di formazione classi­
coerenza e della convenienza o decorum). ca, come il nostro Leopardi. Giosue Carducci poi, con le Odi barbare, inau­
b) una storia Nel quadro di queste riflessioni Orazio ha occasione tra l’altro di dise­
letteraria e
gurerà una nuova stagione della fortuna oraziana.
gnare preziosi tracciati di storia della cultura e della letteratura sia greca
culturale che romana, nonché di aprire interessanti squarci sulla «vita quotidiana»
del letterato romano e dei circoli letterari della capitale (importante in que-
st’ultima direzione è l’epistola a Floro, di intonazione più personale).
Bibliografia Le edizioni critiche più importanti so­ Sulle Satire: A . C a r t a u l t , Étude sur
no teubneriane: K eller - H o l d e n , Leipzig les Satires d ’Horace, Paris 1899; R. H e in -
1899-19252; K lin g n e r 19593; e ora B o r z - z e , De H oratio Bionis imitatore (Diss.),
sak 1984 e S h a c k l b t o n B a il e y , Stutt­ Bonn 1899; R . H e l m , L ukian und M e-
5. La fortuna gart 1985. Fondam entali i commenti di nipp, Leipzig 1906; A . O l t r a m a r e , Les
K ie s s l in g -H e in z e alle opere complete origines de la diatribe romaine, Lausan­
(Berlin 1914-30); di L e ja y alle Satire (Pa­ ne 1926; G. C . F is k e , Lucilius and H o ­
Orazio libro di Nonostante qualche incomprensione e qualche freddezza, già il pubblico ris 1911) e di N is b e t -H u b b a r d alle Odi race. A Study in Classical Theory o f Imi-
testo: i dei contemporanei riconobbe in Orazio —- cui il favore del principe garanti­ (Libro I, O xford 1970; Libro II, ibid. tation, M adison 1920; N. T e r z a g h i , Per
commentatori 1978). la storia della satira, Torino 1932; W. J.
va una posizione di «poeta laureato» — uno dei grandi della letteratura In generale su Orazio: W . Y. S e l ­ A n d e r s o n , The R om an Socrates. H ora­
antichi
romana. La fortuna di Orazio comincia prestissimo e conosce, fino ai nostri l a r , The R om an Poets o f thè Augustan ce and his Satires, in Satire, a cura di
giorni, poche significative cadute. Come egli stesso aveva ironicamente pro­ Age. Horace and thè Elegiac Poetry, Ox­ J. P. S u l l iv a n , London 1963, p. 1 segg.;
fetizzato, Orazio entrò già nella prima età imperiale fra i testi che si leggeva­ ford 18992; N . T e r z a g h i , Orazio, Roma N. R u d d , The Satires o f Horace, Cam ­
1930; W. W il i , H oraz und die augustei- bridge 1966. In italiano, degno di nota
no a scuola: una diffusione che fu naturalmente accompagnata da una in­ sche Kultur, Basel 19652; E. F r a e n k e l , il saggio con cui M. L a ba te introduce
tensa attività di editori e commentatori, a partire dall’edizione curata in Horace, O xford 1957; J. P e r r e t , Hora­ l’edizione B U R delle Satire (Milano 1981).
età neroniana dal famoso grammatico Marco Valerio Probo. Questo prezio­ ce. L ’hom m e et l ’oeuvre, Paris 1959; E. Sulle Odi e gli Epodi·. G. P a sq u a l i ,
so lavoro esegetico attorno al testo di Orazio non è andato perso del tutto. C a s t o r in a , L a poesia di Orazio, Roma Orazio lirico, Firenze 1920; R. H e in z e ,
1965; A. L a P e n n a , Orazio e la morale Die horazische Ode, in Vom Geist des
Sono giunti fino a noi: (1) il commentario di Pomponio Porfirione (III seco­ R óm ertum s, D arm stadt I9603, p. 172
mondana europea, Firenze 1968; C . D.
lo d.C.), il più antico e importante; (2) il cosiddetto pseudo-Acrone (una N . C o st a , Horace, London-Boston 1973; segg.; V. Pòschl, H oraz und die Politik,
raccolta anonima di scoli, attribuita arbitrariamente in età rinascimentale D. R. S h a c k l e t o n B a il e y , Profile o f in «Sitzungber. der Heidelberger Akad.
a un grammatico del II secolo d.C., Elenio Acrone, ma sicuramente molto Horace, London 1982. der W iss.», Philos.-hist. Kl., 4, 1956; A.
L a P e n n a , Orazio e l ’ideologia del prin­ 43, 1919, p . 305 segg.; A. L a P e n n a ,
cipato, Torino 1963; S. C o m m a g e r , The Schizzo d i u n ’interpretazione di Orazio,
Odes o f Horace. A Criticai Study, New
H aven-London 1962; Η . P . S y n d ik u s ,
D ie L y rik des H oraz. Eine Interpretation
partendo dal I libro delle Epistole, in
«Annali della Scuola Normale di Pisa»,
18, 1949, p . 14 segg.; C . B e c k e r , Das
L’ELEGIA: TIBULLO E PROPERZIO
der O den, voi. I: D arm stadt 1972; voi. Spàtw erk des H oraz, Gòttingen 1963; M .
II: ibid. 1973; K. Q u in n , Horace: The J. M c G a n n , Studies in H orace’s fir st
Odes, London 1980. B o o k o f Epistles, Bruxelles 1969; C. O.
Sulle Epistole: E . C o u r b a u d , H ora­ B r i n k , Horace on Poetry: Prolegomena
ce. Sa vie et sa pensée à l ’époque des Épì- to thè Literary Epistles, Cambridge 1963;
tres: étude sur le premier livre, Paris 1914; The «A rs Poetica», ibid. 1971; Epistles
R . H e in z e , H orazens Buch der Briefe, B o o k II: The Letter to Augustus and Flo-
in «Neue Jahrbb. fiir das klass. A lt.», rus, ibid. 1982.

Il giudizio degli Una celebre affermazione di Quintiliano (elegia quoque Graecos provo-
antichi sull'elegia camus, X 1,93) documenta l’orgogliosa consapevolezza che la cultura lette­
latina raria latina ben presto matura sull’alto livello toccato a Roma dal genere
elegiaco, e ci fornisce anche il «canone» (secondo un gusto diffuso nell’anti­
chità) dei suoi autori più rappresentativi: Gallo, Tibullo, Properzio, Ovidio
(già quest’ultimo, in Tristia IV 10,53 seg., designa se stesso come il più
giovane dell’ideale catena). Il periodo di massima fioritura dell’elegia, che
a Roma si caratterizza soprattutto come poesia d’amore, dai tratti marcata-
mente soggettivi, è quindi la seconda metà del I secolo a.C.; ma complessa,
e difficilmente individuabile, è l’origine e il processo di formazione di questo
genere letterario che, nel periodo suddetto, pur con le sue «aperture» pre­
senta caratteri abbastanza netti di omogeneità e compattezza.
Versatilità del Elegia, nell’antica letteratura greca, indicava un componimento poetico il
genere elegiaco cui metro era 1’èlegos (cioè il distico elegiaco, costituito da esametro e penta­
greco metro dattilico), ma di questa parola si ignora l’etimologia esatta (per alcuni
sarebbe il nome frigio, o comunque di altra lingua orientale, del flauto,
il cui suono accompagnava la recitazione dei componimenti poetici). Origi­
naria della Ionia, dal VII secolo in poi vediamo l’elegia diffondersi e trovare
impiego in svariate occasioni della vita pubblica ma anche privata: accanto
a componimenti di carattere guerresco, esortatorio, polemico (Gallino, Tir-
teo, Archiloco) abbiamo quelli di tipo politico e moraleggiante (Solone, Teo-
gnide, Focilide, Senofane) e più spiccatamente erotico (Mimnermo). Ma l’e­
legia doveva essere usata anche come espressione di lutto, nelle lamentazioni
funebri (l’associazione dell’elegia al pianto sarà poi topica: cfr. ad esempio
Orazio, Ars poetica 75 segg.; Ovidio, Amores III 9,1 segg.): non abbiamo
una documentazione antica in tal senso, ma tracce cospicue di questo uso
non mancano, ad esempio nell’Andromaca euripidea; e anche Antimaco di
Colofone (V-IV secolo a.C.), nella Lide (dal nome della donna amata, mor­
Antimaco di ta), sembra rifarsi a tale tradizione. L’opera di Antimaco, anzi, costituisce
Colofone: la probabilmente un nodo di grande importanza nello sviluppo di questo gene­
connessione tra re letterario: la vicenda personale, cioè la morte della donna amata, gli servi­
autobiografia e va per rievocare e narrare diversi miti di amore tragico, istituendo così la
mito connessione (per quanto tenue ed esteriore probabilmente qui ancora fosse)
fra autobiografia e mito, e al tempo stesso introducendo nell’elegia, col mi­
to, quello che ne sarebbe poi stato un elemento costante e caratterizzante.
È infatti sul modello di Antimaco (e già di Mimnermo, che pare avesse
chiamato Nanno una sua raccolta elegiaca, dal nome della donna amata),
che alcuni poeti ellenistici riunirono componimenti elegiaci sotto il titolo
di un nome di donna, come Fileta (con la Bìttide) e Ermesianatte, il quale
l ’e l e g i a 277
276 l ’e l e g ia

nella sua Leonzio dava un catalogo di poeti innamorati, istituendo probabil­ è fatta, naturalmente, di rare gioie e di molte sofferenze (oltre a tradire
mente un collegamento con la sua vicenda personale. e ingelosire l’amante, gli si concederà a fatica: è la situazione tipica del
La questione Tutto ciò è rilevante ai fini di una questione, le origini dell’elegia latina, paraklausìthyron, in cui l’innamorato respinto lamenta di fronte alla porta
dell'origine che è tra le più dibattute nella storia degli studi di filologia classica, e alla chiusa la crudeltà di lei); eppure il poeta, malato immedicabile della sua
dell’elegia latina: quale qui ci limitiamo ad accennare cursoriamente. La tesi di chi sosteneva passione, si abbandona a una sorta di compiaciuta acquiescenza al dolore,
a) dall’elegia una derivazione diretta dell’elegia latina da quella ellenistica (tesi propugna­ a una voluttà della sofferenza (solo occasionalmente egli arriva al gesto,
ellenistica
ta soprattutto dallo studioso tedesco F. Leo, che, notando certe affinità La proiezione nel velleitario, della ribellione: è la situazione della renuntiatio amoris). Le ama­
fra Commedia Nuova ed elegia latina, le riconduceva a un ipotetico tramite, mito rezze e le continue delusioni lo portano a proiettare la propria vicenda nel
per noi perduto, cioè appunto la presunta elegia ellenistica a carattere erotico- mondo puro del mito o nella felice innocenza di un’età dell’oro, a sublimar­
soggettivo) è oggi generalmente rifiutata: il tratto distintivo dell’elegia lati­ la assimilandola agli amori eroici della letteratura, a trasferirla cioè in un
na, l’impostazione fortemente soggettiva, autobiografica, non ha precedenti universo ideale e pienamente appagante. Prigioniero di un amore irregolare,
in nessuno dei poeti elegiaci ellenistici (né in Callimaco, che esclude ogni di una passione alienante e infamante (anche socialmente), egli pratica una
elemento autobiografico dalle elegie degli Aitia, riservandolo invece agli epi­ vita di nequitia, una vita di «degradazione», di «dissipazione», perché tutti
b) dall’epigramma grammi; né in quel che leggiamo di Fanocle o Ermesianatte). A tale tesi l’avrebbero appunto giudicata priva di qualità positive: egli ripudia i suoi
greco si è contrapposta quella (di F. Jacoby) che considerava l’elegia latina un doveri di civis, i valori gloriosi del cittadino-soldato, contrapponendo alle
ampliamento e sviluppo dell’epigramma greco, dal quale essa avrebbe deri­ durezze della guerra (e alle altre forme di degradazione ad essa associate,
vato carattere soggettivo, situazioni e motivi: in effetti l’influenza dell’epi­ all’avidità e all’ambizione) le mollezze dell’amore, e a questa sfera trasferi­
gramma è ben evidente, ma sembra avvertirsi in alcune elegie particolari, sce tutto il suo impegno morale, fino alla dedizione assoluta (eroe non di
più che nel genere come tale, e soprattutto non riesce a spiegare la presenza guerra, ma — ossimoricamente — d’amore).
e la funzione del mito nell’elegia latina, dove esso illumina la situazione Elegia e mos È singolare, in proposito, il fenomeno per cui l’elegia, dichiaratamente
personale e al tempo stesso la nobilita. maiorum ribelle ai valori consolidati della tradizione, al mos maiorum, di fatto recu­
L’elemento Ora, se la caratterizzazione in senso soggettivo dell’elegia latina, di fronte pera quei valori (ne resta prigioniera: è in ciò una contraddizione e una
autobiografico al tono oggettivo, non autobiografico, di quella greca, è innegabile, l’oppo­ delle ragioni più vistose dell’instabilità del sistema elegiaco, evidente ad esem­
sizione non va però marcata eccessivamente, tanto da escludere tratti comu­ pio nell’opera di Properzio) trasferendoli nel proprio universo. E vedremo
ni: il soggettivismo dell’elegia latina sarà stato sì nuovo come aspetto carat­ allora (come già, in qualche modo, in Catullo) che la relazione d’amore,
terizzante, come marchio distintivo, ma non doveva essere assente del tutto «istituzionalmente» irregolare (coinvolge solo cortigiane o donne comunque
in quella greca (né arcaica né soprattutto alessandrina). L ’elegia mitologica «libere», mai della società rispettabile), tende a configurarsi come legame
di Antimaco, Fileta, Ermesianatte, doveva probabilmente — come s’è accen­ coniugale, vincolato quindi dalla fides, salvaguardato dalla pudicitia, diffi­
nato sopra — contenere in nuce un elemento autobiografico, un collegamen­ dente della luxuria e delle raffinatezze cittadine.
to, forse appena esplicitato, tra le avventure degli eroi del mito e le vicende La poesia come In questa sorta di bohème che è la vita del poeta elegiaco, le ragioni
personali del poeta. L’elegia latina svilupperà fortemente questo aspetto, mezzo di dell’amore e dell’attività poetica naturalmente si identificano, delimitano lo
corteggiamento stesso universo: la poesia che nasce dall’esperienza diretta del poeta-amante,
conservando però a sua volta certi tratti oggettivi, gnomici, che generalizza­
no la storia personale in una visione più ampia, e darà spazio a elementi che somiglia alla sua vita, deve al tempo stesso assolvere a una funzione
assorbiti da altri generi letterari, come la commedia, l’epigramma, la trage­ pratica, servire come mezzo di corteggiamento (Ite procul, Musae, si non
dia, la lirica e la bucolica, fino a configurarsi nei suoi specifici tratti distintivi. prodestis amanti, dice Tibullo II 4,15), cooperare a sedurre l’amata col mi­
L’universo Poesia dichiaratamente (spesso polemicamente) autobiografica, che insi­ raggio della fama e di una gloria immortale. Va da sé che ne consegue una
elegiaco ste nel proclamare il suo radicamento nella concreta esperienza soggettiva precisa scelta di poetica, il rifiuto della poesia elevata (secondo il modulo
del poeta, l’elegia tende in realtà a inquadrare le singole esperienze in forme tradizionale della recusatio, in cui il poeta giustifica tale rifiuto come scelta
e situazioni tipiche, secondo modalità ricorrenti (il che mette in guardia dai obbligata, dovuta alla sua incapacità) in favore della musa leggera, di toni
rischi del biografismo). Si può parlare cioè di un universo elegiaco, con e contenuti ispirati alPimmediatezza della passione.
ruoli e comportamenti convenzionali, e di un suo codice etico, di un’ideolo­ Neoteroi ed Si vede qui chiaramente quale enorme debito la poesia elegiaca abbia
gia aggregata attorno ai suoi valori fondanti (la sua forma più caratteristica elegia nei confronti di Catullo e della poesia neoterica. Con essa condivide in pri­
è rappresentata nel I libro di Properzio). mo luogo la rivoluzione del gusto letterario: la poetica callimachea, la ricer­
Il servitium Poesia d’amore, anzitutto: perché l’amore è per il poeta elegiaco l’espe­ ca della raffinatezza formale, dell’eleganza concisa, più volte riaffermata
amoris rienza unica e assoluta, che riempie l’esistenza e le dà senso; è il suo àristos dagli elegiaci (specialmente da Properzio), è ormai un’acquisizione definitiva
bìos, la «perfetta forma di vita» da lui scelta che si contrappone orgogliosa­ per la cultura letteraria latina. Ma da Catullo, soprattutto, l’elegia eredita
mente agli altri modelli etici proclamando la sua superiorità e la raggiunta il senso della sua rivolta morale, il gusto deìl’otium, della vita estranea al­
autàrkeia, l’appagante autosufficienza vagheggiata dalle filosofie del tempo. l’impegno civile e politico, tesa a coltivare gli affetti privati e a farne l’og­
La vita del poeta, tutta dedita all’amore, si configura come servitium, come getto dell’attività poetica. È quindi proprio la connessione dei suoi due tratti
schiavitù di fronte alla domina, capricciosa e infedele. La relazione con lei caratterizzanti, eleganza formale e intensa partecipazione affettiva, che l’ele-
278 l ’e l e g i a TIBULLO 279

già deriva dal neoterismo e specialmente da Catullo, nel quale essa poteva sembrano fornire indicazioni interessanti a conferma di una serie di ipotesi
trovare anche l’abbozzo della nuova forma compositiva (è soprattutto nel che, in mancanza di concreti riferimenti testuali, gli studiosi avevano fino
carme 68, in cui ha una funzione rilevante anche l’elemento mitologico, che ad ora formulato. In lui, ad esempio, si sospettavano già, in nuce, alcuni
si indica spesso l’«incunabolo» del futuro genere letterario). Di questa conti­ temi fondanti dell’elegia latina: la donna amata come fonte d’ispirazione
nuità con la tradizione neoterico-catulliana la stessa poesia elegiaca si mo­ e destinataria della poesia; l’identificazione poesia-vita; il servitium amoris,
stra più volte apertamente consapevole, rendendo il debito omaggio ai suoi cioè la condizione di schiavitù del poeta nei confronti della domina capric­
progenitori (Properzio II 34,85; Ovidio, Amores III 9,61 segg.). ciosa e tiranna; la coscienza dolente del poeta per la sua vita di nequitia,
che tradisce un conflitto interiore nella contrapposizione al sistema dei valo­
ri tradizionali. Tutto questo, accanto alla comparsa di quella poetica del
corteggiamento mediante la poesia che avrà una funzione importante negli
1. Cornelio Gallo altri elegiaci, emerge dai pochi versi tornati alla luce. Gallo, l’erede — attra­
verso Euforione e Partenio — della poesia alessandrina, conferma così la
Vita di Gallo C. Cornelio Gallo (è soprattutto Svetonio a informarci sulla sua vita) sua grande importanza come mediatore fra neoterismo ed elegia augustea:
era nato da umile famiglia forse nel 69 a.C., nella Gallia Narbonese, a Fo­ fu probabilmente lui a dare a questo genere la sua forma propria, dotandola
rum Iulii (oggi Fréjus). Condiscepolo di Virgilio a Roma (lo avrebbe poi di un respiro e un movimento compositivo più ampio rispetto al breve giro
aiutato, una volta iniziata la carriera politica, a conservare le proprietà man­ dell’epigramma, fondendo in essa la dottrina mitologica dell’elegia alessan­
tovane al tempo delle distribuzioni ai veterani, dopo Filippi), si schierò con drina e la propria esperienza autobiografica. Con lui insomma la nuova ele­
Ottaviano contro Antonio, combattendo nel 30 in Egitto. Subito dopo la gia latina, di cui gli antichi lo consideravano creatore, acquista autonomia
vittoria fu nominato praefectus Aegypti, carica che avrebbe rivestito con formale e il suo carattere distintivo di poesia d’amore; ma della voce di
eccessiva indipendenza e orgoglio, spingendosi a parlare con scarso riguardo Gallo, della sua opera tanto esaltata e apprezzata ai suoi tempi (ma più
dello stesso Augusto. Cadde perciò in disgrazia, subendo la condanna all’e­ tardi Quintiliano lo giudicherà durior in confronto a Tibullo e Properzio),
silio e la confisca dei beni: non gli restò quindi che uccidersi (26 a.C.). a noi è giunta purtroppo solo un’eco riflessa.
Gli amici di È nota l’amicizia che legò Gallo a Virgilio: questi gli dedicò l’egloga
Gallo: Virgilio e decima, desumendo accenti e motivi dai versi dell’amico, e con le sue lodi
Partenio pare che si concludesse il quarto libro delle Georgiche, elogio che più tardi 2. Tibullo
Virgilio — una volta caduto Gallo in disgrazia — avrebbe sostituito, per
ordine di Augusto, con la favola di Aristeo che leggiamo noi (ma cfr. p.
Vita e Sulla vita di Albio Tibullo non abbiamo informazioni ampie e precise: ciò
233). Importante è anche l’amicizia di Gallo con il poeta greco Partenio testimonianze che sappiamo ci viene da una vita trasmessaci adespota nei più antichi codici
di Nicea (venuto a Roma attorno al 73), che svolse un’importante funzione tibulliani (alcuni la fanno risalire al De poetis di Svetonio), il resto da accenni
mediatrice fra cultura ellenistica e poesia neoterica (cfr. p. 125): Partenio delle sue elegie o di altri poeti, (soprattutto un epigramma funebre di Domizio
gli dedicò una raccolta in prosa di racconti di miti d’amore (Erotikà pathè- Marso, poi l’epistola I 4 di Orazio e l’epicedio ovidiano di Amores III 9).
mata) cui ispirarsi per i suoi versi. Con buona approssimazione datiamo la sua morte, di poco posteriore a quel­
Gallo ed Sappiamo infatti che Gallo fu autore di quattro libri di elegie, pubblicate la di Virgilio (del settembre del 19 a.C.), quindi risalente agli ultimi mesi dello
Euforione sotto il titolo di Amores, in cui cantava la sua passione per Licòride (il consue­ stesso anno o ai primi del 18. La nascita, sulla base di labili indizi, si colloca
to pseudonimo poetico della donna amata, sotto cui pare si celasse la mima fra il 55 e il 50 a.C., nel Lazio rurale, forse a Gabii o a Pedum; la famiglia,
Volumnia, in arte Citeride, che avrebbe amato anche Antonio). L ’elemento agiata, apparteneva al ceto equestre (anche se egli lamenta rovesci economici
e povertà, motivo quésto comune ad altri poeti elegiaci).
erotico era quindi centrale nella poesia di Gallo, ma doveva svolgervi un ruolo
Il punto di riferimento centrale della sua biografia è il rapporto di amicizia
rilevante anche l’erudizione mitologica. È importante ricordare, in proposito, e protezione che lo legò a Messalla Corvino, nobile uomo politico repubblicano
che come ci attesta la stessa decima egloga virgiliana (v. 50) Gallo fu cultore che conservò una posizione di prestigio anche sotto il regime augusteo (cfr. p.
di Euforione di Calcide, il poeta greco (III secolo) di cui Cicerone deplorava 226). Tibullo seguì il suo patrono in alcune delle spedizioni militari affidategli da
la nefasta influenza sul gusto poetico dei suoi tempi (cfr. p. 120): anche Gallo Augusto: partecipò ad esempio a quella in Aquitania il cui esito vittorioso valse
sarà stato fra i cantores Euphorionis. E che la squisita dottrina mitologica a Messalla l’onore del trionfo (settembre 27), celebrato nell’elegia I 7 dal poeta.
e la minuta erudizione geografica di Euforione (che gli valsero la fama di Un’altra elegia (I 3) ci informa che Tibullo intraprese, nello stato maggiore di
poeta ermetico) dovessero avere una parte di rilievo nella poesia di Gallo pare Messalla, anche un’altra missione in Oriente (non databile), ma la malattia lo
confermarlo un suo verso, quel pentametro (uno tellures dividit amne duas, trattenne a Corcìra (Corfù), prima del forzato ritorno in Italia. Gli ultimi anni della
detto di un fiume scitico, YHypanis, che separa Asia e Europa) che fino a sua vita li visse forse nella campagna del suo Lazio, dove Orazio lo ritrae appar­
tato e malinconico.
poco tempo fa era tutto quanto ci restava della sua opera.
Il «nuovo» Gallo: Nel 1979, infatti, un fortunato ritrovamento papiraceo nelle sabbie egi­
il progenitore ziane ci ha restituito una decina di versi (sulla cui autenticità e attribuzione Opere Sotto il nome di Tibullo l’antichità ci ha trasmesso una raccolta eterogenea
dell’elegia qualcuno però ha avanzato sospetti) che pur nella loro forma frammentaria di elegie — il cosiddetto Corpus Tibullianum — in 3 libri (diventati 4 con la divi-
280 l ’e l e g i a TIBULLO 281

sìone del terzo in due parti, in età umanistica), di cui solo una parte si attribuisce non è senza importanza a proposito di un poeta per cui tanto si è discusso
oggi con certezza al nostro poeta, cioè i primi due libri. Suoi dovrebbero essere di biografia reale o biografia inventata —; spicca fra questi la bella immagi­
inoltre gli ultimi due componimenti dell’attuale quarto libro, e anche i cinque (da ne di Tibullo bambino che corre per casa in I 10,15 sg. «Voi proteggetemi,
2 a 6 dello stesso IV libro) sull’amore di Sulpicia (nipote di Messaila) per un Lari dei miei padri: voi pure mi avete nutrito quando, bambino, correvo
tal Cerinto; per gli altri componimenti cfr. più sotto. ai vostri piedi»:... aluistis et idem / cursarem vestros cum tener ante pedes.
Il I libro, iniziato dopo il 32 e pubblicato nel 26 o 25 a.C., è dominato soprat­
Vagheggiamento È forte in lui questo bisogno del rifugio, di uno spazio intimo e tran­
tutto dalla figura di Delia (nome che, secondo Apuleio, risulterebbe dall’ellenizza-
della pace quillo in cui proteggere e coltivare gli affetti di fronte alle insidie e alle
zione di quello reale della donna, Plania: cioè planus = dèlos), alla quale sono
dedicate cinque (1,2,3,5,6) delle dieci elegie che lo compongono. Questi compo­ tempeste della vita (ne è uno splendido emblema il quadro tracciato in I
nimenti — conformemente alla topica del genere elegiaco — descrivono una don­ 1,45-48). E a tale bisogno risponde l’altro tema dominante della poesia di
na volubile, capricciosa, amante del lusso e dei piaceri mondani, e una relazione Tibullo, quello della pace. L ’antimilitarismo, l’esecrazione della guerra e dei
tormentata, sempre insidiata dai rischi del tradimento. Alle elegie per Delia si suoi orrori (che trova corrispondenza con una diffusa esigenza di pace av­
alternano quelle per un giovinetto, Màrato (8,9 e 4, che illustra l’arte di conquista­ vertita dalla cultura del tempo, dopo la lunga tragedia delle guerre civili),
re i pueri), dal tono meno sofferto, venato di giocosa ironia; ma i contorni di si accorda col vagheggiamento di questo anti-mondo ideale, popolato da
questa relazione, che forse si interseca fugacemente o si sovrappone a quella persone semplici, riscaldato dall’amore di una donna fedele. Dietro i tratti
con Delia, restano molto sfumati. Completano il I libro un’elegia (7) per il com­ di idillio bucolico (si avverte l’influenza virgiliana), la campagna di Tibullo
pleanno di Messaila e quella conclusiva (10) che celebra la pace e la vita campestre.
rivela il suo carattere italico, col patrimonio di antichi valori agresti celebrati
Tre delle sei elegie del II libro (3,4,6), forse incompiuto, sono invece dedicate
dall’ideologia arcaizzante del principato: in ciò, nell’intima adesione ai valo­
alla donna che ne è la nuova protagonista, Nèmesi («Vendetta», cioè colei che
ha scalzato Delia dal cuore del poeta), una figura dai tratti più aspri, una cortigia­ ri tradizionali, nell’atteggiamento antimodernista, Tibullo rappresenta forse
na avida e spregiudicata. Delle rimanenti, una canta il compleanno deN’amico il caso più vistoso di quella contraddizione che la poesia elegiaca, dichiarata-
Cornuto (2), la prima descrive la celebrazione di una festa agricola, gli Ambarva- mente così anticonformista e ribelle, cova in se stessa. Non a caso Ovidio
lia, un’altra (5) celebra la nomina di Messalino, primogenito di Messaila, ne! colle­ (il quale affronterà e a suo modo scioglierà quella contraddizione: cfr. pp.
gio sacerdotale dei quindecemviri sacris faciundis. Non c’è traccia, in ciò che 292 seg. e 295 seg.), nel ringraziare la sorte di averlo fatto nascere nella
di Tibullo ci è giunto, della Glìcera di cui Orazio (Carmina 1,33) lo dice infelice- Roma opulenta dei suoi giorni, sembrerà rovesciare proprio il rimpianto di
mente innamorato. Tibullo per la mitica felice età di Saturno (I 3,35 segg.).

Il m ito della pace agreste Tibullo poeta doctus

Pace agreste e Tibullo è comunemente noto come poeta dei campi, della serena vita Tibullo e la Mentre Properzio guarda a Callimaco e Fileta come ai maestri dell’ele­
vita cittadina agreste. Eppure non manca, nemmeno in lui, lo scenario abituale della poe­ poesia ellenistica gia e, preso da emulazione per i modelli della poesia d’amore greca, procla­
sia elegiaca, la vita cittadina, che fa da sfondo all’intrecciarsi degli amori ma di sentirsi il Callimaco romano, Tibullo non inclina a simili dichiarazioni
e degli intrighi, degli incontri furtivi e dei tradimenti, dei momenti cioè e di poetica; ma questo non significa affatto che l’opera dei grandi poeti ales­
delle occasioni attorno a cui ruota la commedia della società galante. È quindi sandrini non fosse familiare a lui quanto a Properzio stesso. Le nostre cono­
in un altro senso, più preciso, che si può sostenere la centralità del mondo scenze della poesia alessandrina sono oggi tali che ci consentono di ritrovare
agreste nel suo universo poetico. nell’opera di Tibullo molti dei tratti distintivi della poesia ellenistica; e, no­
Il mondo agreste Abbiamo già accennato a una tendenza, a una spinta tipica della poesia nostante che in lui manchino tracce di quella erudizione sottile esibita dagli
come sostituto elegiaca, quella di costruirsi un mondo ideale, uno spazio di evasione, di Alessandrini e sia quasi assente l’evocazione di miti preziosi che decorino
del mito rifugio dalle amarezze di un’esistenza tormentata, dalle delusioni di una re­ la composizione, senza dubbio anche a Tibullo compete l’etichetta di poeta
lazione mai pienamente appagante. Questa lacerante tensione trova il suo Lo stile di Tibullo doctus. Il suo stile rivela in ogni punto, e con una straordinaria regolarità,
sfogo nel mondo del mito, dove il poeta elegiaco proietta idealmente la pro­ lo sforzo di una scrittura attentissima, dove la semplicità stessa è il risultato
pria esperienza, assimilandola ai grandi paradigmi eroici. In Tibullo però laborioso di una scelta artistica, è anzi il segno visibile di una fiducia attri­
il mondo del mito è assente (è un tratto che lo differenzia fortemente dagli buita alle parole e alla loro forza espressiva, senza che a rafforzarle occorra­
altri elegiaci), e la sua funzione è svolta dal mondo agreste. La campagna no torsioni del discorso o intensificazioni patetiche. L’espressione limpida
tibulliana è uno spazio di idillica felicità, di vita semplice e serena, armonio­ sembra frutto di immediatezza, lo sforzo del comporre resta nascosto sotto
samente rispondente ai ritmi della natura, e pervasa da un senso di rustica la superficie levigata di una scrittura apparentemente spontanea. Alla limpi­
religiosità ancestrale. Tibullo fa di questo spazio ideale il luogo del rimpian­ dità dell’espressione corrisponde una voce misurata, senza esasperazioni: un’in­
to e del desiderio, lo vagheggia come lo scenario perduto di una remota tensità senza grida, la discrezione del «sottovoce». Il ritmo ha una certa
e felice età dell’oro e insieme come l’approdo sperato a cui ancorare un’esi­ lieve cantabilità, una cadenza regolare, che spesso acquista quasi la risonan­
stenza sofferta e precaria. In uno spazio solitamente convenzionale e stiliz­ za di una rima quando — bilanciata la distribuzione delle parole tra la pri­
zato colpiscono alcuni accenni indubbiamente autobiografici — la questione ma e la seconda parte del pentametro — il suono che chiude la seconda
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IL CORPUS TIBULLIANUM 283
metà del verso riecheggia la chiusa della prima: una forma dell’espressione,
3. Il C orpus Tibullianum
questa, che non mancherà di influenzare vistosamente la tecnica del distico
elegiaco ovidiano (anche se la tersa semplicità tibulliana ignora le acutezze
di una scrittura manieristica quale sarà propria dello stile di Ovidio). I due codici più importanti di Tibullo, YAmbrosiano e il Vaticano (del
Tersus atque «Terso ed elegante», come lo definisce Quintiliano (X 1,93) che vede secolo XIV), ci hanno trasmesso, come s’è detto, una raccolta di componi­
elegans in lui il classico della poesia elegiaca romana, Tibullo è ammirato già dagli menti poetici di cui solo una parte sono da attribuire al poeta sotto il cui
antichi per il suo stile semplice e luminoso, sciolto e raffinato. La purezza nome ci sono giunti (e a cui, fin verso la fine del XVIII secolo, erano attri­
lessicale, la fluida movenza dei pensieri (armoniosamente collegati fra di buiti): questa raccolta è appunto il cosiddetto Corpus Tibullianum. Esso
loro, senza gli scarti bruschi della scrittura properziana), i toni tenui e deli­ era diviso in tre libri nei codici, ma gli umanisti divisero il III in due, e
cati, spesso mollemente sognanti, la stessa parsimonia di dottrina mitologi­ quindi noi oggi parliamo di quattro libri.
ca, il sorriso lievemente ironico, danno alla sua poesia il fascino della matu­
rità stilistica e della naturalezza espressiva. Ligdam o

La fo rtu n a Diversità tra I primi sei componimenti del III libro del Corpus, indirizzati a una don­
Ligdamo e na di nome Neèra, sono opera di un poeta che si denomina Lygdamo. Trat­
Tibullo tandosi di -uno pseudonimo (Lygdamus è nome greco, e come tale avrebbe
Parlare del successo di Tibullo richiede forse più spazio di quanto oc­
corra nel caso di altri poeti, perché la sua fortuna fu superiore a quella potuto portarlo solo uno schiavo; ma il poeta è un uomo libero e di antica
di chi (come probabilmente Properzio) appare al lettore odierno più merite­ famiglia romana, come ci dice egli stesso), si era creduto che sotto di esso
vole e pregnante. La singolarità balza agli occhi se si considera quanto fu si celasse lo stesso Tibullo. Fu il dotto tedesco J.H . Voss a rendersi conto
precoce il dibattito: Quintiliano al già citato giudizio su Tibullo faceva se­ però che Ligdamo fissa il suo anno di nascita nel 43 a.C. Egli indica tale
guire l’affermazione che certi preferivano Properzio (sunt qui Propertium data con il verso cum cecidit fa to consul uterque pari (III 5,18; lo usa allo
stesso scopo anche Ovidio in Tristia IV 10,6), quando appunto, nella batta­
malint). Era questo l’inizio, quasi profetico, di una storia della critica: si
glia di Modena, morirono ambedue i consoli Irzio e Pansa. Ora, il 43 a.C.,
intravvede il partito «classico» pronto ad ammirare l’equilibrio di Tibullo,
l’anno di nascita di Ovidio, non può esserlo anche di Tibullo, che in tal
e quello opposto, sensibile alla costruzione ruvida, improvvisa, ma infallibi­
le, dell’altro. Se i contemporanei sembrarono decretare il successo di Tibullo caso, al momento della spedizione in Oriente con Messalla (circa 30 a.C.),
(che ancora durava nel I sec. d.C.), la tarda antichità e il Medioevo ne avrebbe avuto solo 13-14 anni. Sicché Ligdamo non può identificarsi con
oscurarono la fama, che tornerà a brillare in età umanistica per durare fino Tibullo, come fin allora si era creduto. Ma chi è allora questo poeta?
L’identificazione Le ipotesi in proposito sono numerose (da poeti come Cassio Parmense
a tutto il Settecento e oltre (si vede in lui il classico dell’elegia sentimentale
di Ligdamo o Valgio Rufo, al fratello di Ovidio, a Messalino, figlio di Messalla), ma
e malinconica). Ricordiamo qui solo qualche episodio significativo di tale
fortuna, cominciando da quella Felicità dell’amore del cinquecentesco Luigi tutte variamente insoddisfacenti. La più ovvia, quella che identifica in Lìg-
damo il giovane Ovidio, il quale avrebbe poi nei Tristia ripreso un verso
Alamanni dove riecheggia l’incipit dell’intero Corpus:
già utilizzato in precedenza, è forse anche la più plausibile, ma si scontra
Chi desia d ’acquistar terreno ed oro, con diverse ragioni di segno contrario (soprattutto di tipo linguistico-stilistico);
Sia pur le notti e i giorni al caldo e al gelo inoltre i numerosi parallelismi fra Ligdamo e le altre opere ovidiane farebbe­
Soggetto e inteso al marz'ial lavoro. ro sospettare piuttosto un influsso di Ovidio su questo misterioso poeta.
II problema dell’identificazione di Ligdamo resta quindi aperto; proba­
Per continuare con testi ben più alti come il Goethe delle Elegie romane bilmente sarà stato un poeta della cerchia di Messalla. I suoi componimenti
(XVIII), evidentemente esemplato su Tibullo I 1,45-48. ruotano attorno alla dolorosa separazione dalla donna amata ed elaborano
motivi ricorrenti della poesia elegiaca: nonostante il ricorso a clichés conven­
Così godiamo delle lunghe notti, zionali e una certa immaturità stilistica, se ne apprezza una vena di fresca
e zitti ascoltiamo, stretti i nostri petti, sentimentalità, insidiata dal pensiero ossessivo della morte.
tem pesta, pioggia e rovesci.

E* concludere con la presenza forse più famosa, nei Mémoires di Cha­ Il Panegirico di Messalla e gli altri com ponim enti
teaubriand (II, cap. 3) dove l’autore ricorda l’insorgere dell’amore, in lui
appena adolescente; poi aggiunge: «Rubavo un Tibullo, e quando arrivavo
Il Panegyricus Alle sei elegie di Ligdamo fanno seguito, nei codici del Corpus Tibullia­
al Quam iuvat inmites ventos audire cubantem, questi sentimenti di melan­ Messallae num, un lungo carme di 211 esametri, il Panegyricus Messallae, e un gruppo
conia e di piacere sembravano rivelarmi la mia vera natura». È così che
la fama del poeta durò quasi senza interruzione fino ad oggi, e servì ad di altri 13 componimenti, che costituiscono l’attuale IV libro. Il mediocre
Panegirico di Messalla (composto probabilmente non molto dopo il 31, an­
ispirare poeti come Mòrike e Carducci.
no del suo consolato) costituisce, come dice il nome, un elogio di questo
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PROPERZIO 285

importante uomo politico (cfr. p. 226), di cui celebra le virtù e ripercorre dì quelle contenute nel libro III). Il IV libro, che sì differenzia dai precedenti anche
la brillante carriera. L ’autore, ignoto, sarà stato un poeta del circolo. per il contenuto, è più tardo, e non fa riferimento a fatti successivi all’anno 16
Sulpicia Degli altri 13 componimenti del IV libro, sono attribuiti per lo più a a.C., data che si assume come quella di pubblicazione.
Tibullo i primi cinque (2-6), sull’amore di Sulpicia (nipote del giurista Servio Ecco, sui quattro libri, alcuni dati analitici.
Sulpicio e dello stesso Messalla) per Cerinto (in cui si è voluto vedere il Libro I: 22 elegie, di lunghezza variabile da 10 a 52 versi per un totale di
nome ellenizzato di Cornutus, l’amico di Tibullo dell’elegia II 2), e gli ultimi circa 700 versi (perciò 350 distici elegiaci).
due (13-14: quest’ultimo è un epigramma): seppure più brevi rispetto alle Il libro si apre nel nome di Cinzia (1,1 Cynthia prima suis miserum me cepit
elegie sicuramente tibulliane, la maggiore consapevolezza stilistica e le tipi­ ocellis) e il fascino della donna colta e raffinata sul giovane innamorato dà vita,
che fluide movenze fanno supporre la mano del poeta. Le elegie 7-12 costi­ più o meno direttamente, a tutte le elegie di questo primo libro.
tuiscono invece un ciclo di brevi biglietti d’amore di Sulpicia per Cerinto, Tale componente autobiografica (o meglio testimonianza esistenziale di una
generazione e dì un ambiente) non sì affianca — sempre in questo primo libro
attribuiti alla mano della stessa Sulpicia.
— all’interesse per la società civile e per il nuovo assetto politico che Ottaviano
Ma indipendentemente dall’identità di alcuni degli autori, destinata a andava costruendo in Roma dopo la vittoria di Azio (31 a.C,): l’unico accenno
restare ignota o dubbia, l’intero Corpus Tibullianum è anzitutto documento alla dimensione politica è il ricordo — non certo gradito al nuovo regime — del
prezioso di quell’importante ambiente culturale e letterario che fu il circolo bellum Perusinum (e della morte trovata in quella tragica vicenda da un parente
di Messalla. del poeta) contenuto nel commiato (elegia 22), che costituisce una specie di sphra-
ghis (di «firma») del Monobiblos.
Libro II: 34 elegie (alcune divise dai critici in due sezioni), da 6 a 94 versi
con un totale di circa 1400 versi (poco meno di 700 distici elegiaci).
Pubblicato probabilmente nel 25, il libro II reca una traccia vistosa, nella
4. Properzio prima elegia, dell’incontro con l’ambiente ufficiale di Mecenate, cioè il rifiuto (re-
cusatio) della poesia epica, che è quanto dire della poesia celebrativa. Cinzia
con i suoi umori e i suoi amori, i suoi abbandoni e le sue ripulse, è sempre
Vita Sesto Properzio nacque in Umbria, molto probabilmente ad Assisi, fra il 49 al centro del libro. Ma già si insinua, con la decima elegia, l’omaggio poetico
e il 47 a.C. La famiglia, benestante, era di rango equestre, ma a seguito della al principe e ai suoi trionfi.
guerra di Perugia (la rivolta dei proprietari italici repressa da Augusto, nel 41-40) Libro III: 25 elegie, da 18 a 72 versi (un migliaio di versi in totale). Ancora
subì lutti e confische di terre. Ormai in condizioni disagiate, il giovane Properzio un libro dominato dalla figura di Cinzia, ma con l’ombra, ormai, dell’imminente
si trasferì quindi a Roma per tentare la carriera forense e politica; ma già nel discidium, del distacco definitivo. Tuttavia, accanto al tema dell’amore elegiaco,
29 lo vediamo non occupato nella formazione retorica, bensì inserito nei circoli compaiono, in questo libro, pubblicato probabilmente nel 22, altri motivi legati
mondano-letterari della capitale e legato a una donna elegante e spregiudicata, alle fortune e all’ideologia del regime augusteo: c ’è l’augurio per la spedizione
Cinzia (il cui vero nome, secondo Apuleio, era Hosf/a; sarebbe stata discendente contro i Parti, progettata nel 22 (quarta elegia); la promessa, nella nona elegia
di un poeta di nome Hostius, autore di un poema epico-storico — il Bellum Histri-
dedicata a Mecenate, della poesia impegnata che sarà materia delle «elegie ro­
cum: cfr. p. 96 — nella seconda metà del II secolo a.C.). Insieme alla relazione
mane» del libro IV; l’elogio di Roma e dell’Italia (elegia 22); l’epicedio (o «canto
con Cinzia, l’altro evento importante della biografia di Properzio è il contatto con funebre») per il giovane Marcello, morto nel 23, figlio adottivo e genero di Augu­
Mecenate e il suo famoso circolo. L’awicinamento a tale circolo ha luogo proba­ sto (anche Virgilio lo aveva ricordato nel libro VI dell’Eneide). C’è inoltre, in que­
bilmente nel 28, dopo la pubblicazione del primo canzoniere, e la familiarità con sto libro, un’attenzione nuova, da parte di Properzio, per la moralità antica, una
gli altri poeti (soprattutto con Virgilio) che ne facevano parte è da allora ripetuta- disponibilità maggiore di fronte ai temi graditi agli ambienti ufficiali: un chiaro
mente documentata (ma i suoi legami furono stretti soprattutto con Ovidio, vicino indizio del percorso che il poeta stava compiendo verso la sua «integrazione diffi­
da giovane al circolo di Messalla). cile» al regime.
La vita di Properzio fu breve (come quella di Catullo e di Tibullo): non abbia­
mo nei suoi versi riferimenti cronologici posteriori al 16 a.C., e a quella data, Libro IV: 11 elegie di maggiore impegno e di maggiore lunghezza rispetto
o poco dopo, deve risalire anche la sua morte. a quella dei libri precedenti (si va dai 48 versi della decima elegia ai 150 versi
della prima: in totale quasi un migliaio di versi).
Due sole elegie sono dedicate ancora a Cinzia: l’ottava in cui è rappresenta­
Opere Di Properzio possediamo 4 libri di elegie. Il I libro, pubblicato nel 28 a.C., ta l’affascinante violenza di una Cinzia gelosa e vittoriosa; la nona, in cui
è noto anche col nome greco, trasmesso da alcuni manoscritti, di Monòbiblos Cinzia, ombra del regno dei morti ma sempre amara e aggressiva, appare
(«libro singolo»). Quanto ai libri II e III, non è certo se furono pubblicati insieme in sogno al poeta. Le altre elegie sono per lo più una concessione, ma limitata
o singolarmente, anche se si ritiene probabile una pubblicazione separata, in e sorvegliata, alle direttive della cultura ufficiale. Non si tratta tuttavia di poesia
tempi successivi, dei due libri, rispettivamente verso il 25 e il 22 a.C. Ma c’è celebrativa: Properzio non tradisce i canoni della poetica alessandrina e la
anche chi pensa che furono pubblicati in un’unica raccolta nel 22 a.C.; è certo Musa tenuis della elegia, ma seguendo la via segnata dagli Aitia («Le cause»,
d ’altra parte che l’ordine in cui questi libri si susseguono ripete l’ordine stesso «Le origini») di Callimaco (il poeta di Cirene del III secolo a.C.), volle illustrare
in cui furono composti (diversamente da quel che accade nello stesso periodo miti e riti della tradizione romana e italica (il dio Vertumno; il tradimento della
coi primi tre libri delle Odi di Orazio, la cui architettura è il frutto finale di un vergine Tarpea; la dedica del tempio di Apollo Palatino; la leggenda di Ercole
arrangiamento strategico e unitario che è indifferente alla reale cronologia di com­ e Caco; il culto di Giove Feretrio): lo seguirà, in forma — al solito — più
posizione. Tutte le elegie del II libro di Properzio sono state invece scritte prima sistematica, l’Ovidio autore dei Fasti.
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Unità di vita e di Un’esistenza dedita aìYotium, al servitium nei confronti dell’amata, fa
Fonti Molti riferimenti autobiografici sono nelle stesse elegie di Properzio (sulla poesia tu tt’uno con l’attività letteraria del poeta-amante, che della sua vita fa mate­
patria e la giovinezza vedi soprattutto I 22 e IV 1,121 segg.); vari altri accenni
ria di poesia e di questa si serve come strumento per corteggiare la donna,
in Ovidio (ad esempio Trìstia IV 10,45 seg. e 51 segg.). Non abbiamo di
lui biografie antiche. Sulla figura reale di Cinzia, come delle altre donne cantate
come la sola arma di seduzione che il povero poeta elegiaco ha a disposizio­
dai poeti d’amore, ci informa Apuleio, Apologia 10. ne nella gara con gli altri danarosi corteggiatori. È evidente che le ragioni
della vita, della convenienza pratica, si accordano qui perfettamente con
le scelte di fondo della poesia elegiaca: la scelta callimachea per la poesia
«tenue», in opposizione ai paludamenti dell’epos, si impone anche in virtù
N el nom e di Cinzia: il p rim o canzoniere della sua ben maggiore efficacia ai fini del corteggiamento (I 9,11 plus in
amore valet Mimnermi versus Homero: «in amore il verso [distico elegiaco]
Il nome di Cinzia Era consuetudine già dei poeti alessandrini, passata poi a Roma tra i di Mimnermo vale più della poesia di Omero»).
neòteroi, dare a una raccolta di componimenti il nome della donna che vi Cinzia e i valori Eppure l’amore di Properzio, il tipo di relazione che egli idealmente
era celebrata. A quest’uso obbedì anche il giovane Properzio quando, nel della tradizione persegue, non è l’amore libertino, la disinvolta commedia delle avventure
28 a.C., pubblicò nel nome di Cynthia il I libro di elegie (noto anche come galanti che sarà l’arte del dongiovanni ovidiano: egli sogna per sé e Cinzia
Monòbiblos, alla greca). La figura di questa donna straordinaria vi campeg­ i grandi amori del mito, le passioni esclusive ed eterne, fin oltre la morte
gia, in effetti, fin dall'inizio, dalla prima parola dell’elegia proemiale, che (,traicit et fa ti litora magnus amor, I 19,12). Per Cinzia, la brillante e spre­
descrive la condizione del poeta: giudicata cortigiana, egli vagheggia i modelli e i valori della tradizione, e
vorrebbe — come già Catullo con Lesbia — configurare l’amore con lei
Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis, come un foedus, un saldo vincolo interiore garantito dagli dèi e sostanziato
contactum nullis ante cupidinibus (I 1,1 seg.). Dilacerazione e di castitas, pudor, fides, i capisaldi dell’etica matronale. La realtà natural­
rifugio nel mito mente è ben altra, e il poeta elegiaco si lacera nella contraddizione di cui
(«Cinzia per prima mi ha preso, infelice, coi suoi occhi: e nessuna passione
mi aveva prima toccato»). è prigioniero: è sedotto dal fascino, dall’eleganza mondana della donna amata,
La degradazione Egli si presenta come prigioniero, da un anno, della passione per lei e al tempo stesso però cerca in lei semplicità, fedeltà, dedizione assoluta.
sociale (la sua prima passione), e irrimediabilmente destinato, a causa sua, a una È da questa insoddisfazione, da questa tensione irrisolta, che nasce il biso­
vita dissipata (nullo... consiliò). Cinzia, come s’è accennato, è donna elegan­ gno di fuga, di evasione nel mondo puro del mito: «trasfigurati» in perso­
te, raffinata, ricca di cultura letteraria e musicale (emblematico lo stesso naggi mitici, il poeta-innamorato e la sua donna vivrebbero amori esempla­
pseudonimo creato dal poeta, derivato dal Cinto, un monte di Deio sacro ri, incontaminabili sogni.
ad Apollo), che vive da cortigiana negli ambienti mondani, frequentati da
uomini politici e letterati. Legarsi a una tale donna, una donna «libera» Il canzoniere maggiore e il distacco
del demi-monde, significa per Properzio compromettersi socialmente, con­
travvenire al codice di rispettabilità cui un uomo della sua condizione è tenuto.
La nuova Il successo ampio e immediato del primo libellus proiettò Properzio sul-,
Il compiacimento Ma della degradazione cui il poeta elegiaco si condanna, rinunciando raccolta: la la scena letteraria, sollecitando l’interesse di Mecenate per il nuovo talento.
della alla carriera e al decoro sociale, egli fa una rivendicazione e un vanto. Il recusatio
degradazione
Il raffinato e accorto «ministro della cultura» di Augusto cerca di orientare
rapporto con la donna amata, altera e capricciosa, tirannica e infedele, si
Properzio verso forme poetiche nuove, di guadagnarlo come collaboratore
configura come servitium, come schiavitù: ma il poeta-amante rivendica or­
alla politica culturale promossa dal regime. Di queste pressioni, e della resi­
gogliosamente la sua diversità, si compiace della sua sofferenza (si è parlato
stenza opposta dal poeta, troviamo tracce evidenti nella nuova e più ampia
di atteggiamento da «poeta maledetto»). Dell’amore egli fa il centro e il
raccolta (libri II e III) che vide la luce probabilmente nel 22 a.C. Il II libro
valore assoluto della vita, e Cinzia diventa per lui la ragione unica dell’esi­
si apre infatti con una recusatio, un elegante ma fermo rifiuto (di tradizione
stenza, che le dà senso e appagante pienezza:
callimachea) da parte del poeta che si dichiara impari ad affrontare la Musa
Tu mihi sola domus, tu, Cynthia, sola parentes, sublime del poema epico-storico, a sostenere il ruolo di vate, e ribadisce
omnia tu nostrae tempora laetitiae (I 11,23-24). Il disagio di l’unità di poetica e stile di vita. Eppure, rispetto al libro I, nel II l’atteg­
Properzio giamento di Properzio è più complesso, meno lineare: da un lato si acui­
La rivolta etica di Properzio porta all’estremo e coerentemente «teorizza» quella che era sce il senso di disagio per la vita di nequitia che insinua talora la coscienza
Properzio già stata la rivolta di Catullo, il rifiuto del mos maiorum, del primato dei dolente di un’incompiutezza, di un’esistenza irrisolta, e dall’altro si fa più
valori della civitas, per un’esistenza totalmente dedita all’amore (I 6,27-30). sofferto il rapporto con Cinzia, maggiore il bisogno di idealizzazione della
Questa convinta accettazione del proprio diverso destino assume talvolta, sua figura, evidentemente impari al confronto coi grandi paradigmi mitici.
nel contrapporsi ai modelli etici dominanti (e soprattutto alla degradazione Il libro III e il Tale processo (cui si accompagna la sperimentazione di forme composi­
morale, alla corruzione che inquina la vita pubblica), il carattere di una distacco di tive più complesse) raggiunge uno stadio più avanzato nel III libro, dove
scelta di vita quasi di tipo filosofico, capace cioè di fornire l’autosufficienza Properzio si nota soprattutto la presenza di una materia più varia, di temi meno stret­
interiore, Vautàrkeia promessa dalle filosofie greche.
288 l ’e l e g i a PROPERZIO 289

tamente legati all’amore per Cinzia. Le elegie amorose sono meno frequenti, aspetto importante, nel IV libro (soprattutto nell’elegia 3, la lettera di Are-
e soprattutto l’atteggiamento di Properzio è meno appassionato: i tratti au­ tusa al marito lontano Licota, e nella 11, il celebre epicedio di Cornelia),
toironici, presenti già nel I libro, si fanno più vistosi, il poeta guarda a è la rivalutazione dell’eros' coniugale, l’esaltazione degli affetti familiari e
se stesso con maggiore distacco, spesso con arguta leggerezza. Distacco che delle virtù domestiche, della castità e della tenerezza. Spunti in tale direzione
si rivela anche in un ampliamento di prospettiva, nell’accentuarsi dell’atteg­ erano già nei neoterici, in Catullo e Calvo: in Properzio è uno dei segni
giamento gnomico-didascalico (che si ispira talora a temi diatribici). La scel­ più vistosi di quel processo sofferto verso 1’«integrazione» che accompagna
ta per la Musa tenue, e il rifiuto dell’epos, è ancora ribadita, ma (come la sua carriera poetica.
mostra significativamente l’elegia proemiale) non è più strettamente associa­
ta a uno stile di vita, è motivata solo con ragioni estetico-letterarie, non
più in quanto funzionale all’amore. Il libro si chiude, emblematicamente, L a densità dello stile
con il definitivo discidium, l’addio a Cinzia, concludendo il ciclo che nel
nome di lei si era aperto. Concentrazione e Properzio ha fama di poeta difficile, talora oscuro. Di fronte alla cri­
oscurità stallina naturalezza di Tibullo, il suo stile si caratterizza per la concentrazio­
ne, la densità metaforica, la sperimentazione costante di nuove possibilità
L ’elegia civile espressive. L’eredità callimachea, evidente nella dottrina mitologica e nella
raffinatissima coscienza letteraria, si manifesta anche nella ricerca attenta
L’elegia La crisi (che pare irrimediabile) del rapporto con Cinzia e l’abbandono della iunctura insolita, spesso audace, della struttura sintattica complessa,
svincolata dell’elegia d ’amore hanno luogo in un momento in cui la poesia d’impegno tesa e talora sforzata fino all’oscurità. Queste caratteristiche dello stile e
dall’eros: il civile, rispondente alle esigenze ideologiche e culturali del regime augusteo, dello sviluppo compositivo dell’elegia properziana hanno contribuito ai gua­
«Callimaco sta maturando il suo frutto più alto, VEneide: Properzio stesso ne aveva dato, sti da cui è complicata, e spesso irrimediabilmente sfigurata, la tradizione
romano» anni prima, l’annuncio solenne (nescio quid maius nascìtur Iliade, II 34,66). manoscritta del poeta (soprattutto quella del II libro): non si tratta soltanto
Gli eventi esterni, le pressioni di Mecenate e forse di Augusto stesso, insieme di corruttele, lacune, trasposizioni, ma spesso è anche arduo fissare con cer­
alla crisi che ha intimamente disgregato la precaria coesione dell’elegia eroti­ L’aspra eleganza tezza i confini tra un’elegia e la successiva. È questo infatti il tratto più
ca, spingono Properzio — dopo qualche anno di silenzio — a un diverso tipo di Properzio tipico dello stile di Properzio: quell’esordire ex abrupto (I 8: Tune igitur
di poesia. Egli non rinnega il callimachismo, non si piega alla poesia epico­ demens...']·, I 17: E t merito...), quel procedere per movimenti improvvisi,
storica, ma svincola (sviluppando fin in fondo il processo già in atto soprat­ per scatti, immagini e concetti senza esplicitare i collegamenti, ma seguendo
tutto nel terzo libro) l’elegia dall’eros, ne fa un genere autonomo.' Properzio una logica interna e segreta. In questa forma espressiva che alterna e mesco­
sarà il «Callimaco romano» (IV 1,64), sarà — come il suo maestro di stile la ironia e pathos (sensibile ad esempio nell’abbondanza di interrogazioni,
— attento indagatore delle «cause»: sul modello degli Aitia, egli studierà e esclamazioni, interiezioni), nella sua aspra eleganza, nonché nella complessi­
canterà appunto le «origini» dei nomi, dei miti, dei culti di Roma (IV 1,69). tà degli atteggiamenti psicologici, sono le ragioni principali del fascino eser­
Poesia civile e Il suo IV libro di elegie (che dovrebbe aver visto la luce nel 16 a.C.) nasce citato dalla poesia di Properzio sul gusto dei lettori moderni.
ironica grazia quindi sotto la spinta di un impegno nuovo, ambizioso (vi si riallaccerà l’O-
vidio dei Fasti: cfr. p. 304 segg.), ma la poesia civile di Properzio non avrà
generalmente la pesantezza, la gravitas, la seriosità di tanta poesia naziona­ L a fortuna
le. La Roma arcaica, il mondo del mito, sono per lo più interpretati secondo
il gusto callimacheo, che dà spazio alla grazia, all’ironia, talora a una legge­
Il successo di Properzio fu immediato (contendeva a Tibullo il primato
ra e garbata comicità (come nell’elegia 9, su Ercole). E accanto a prove
fra gli elegiaci) e duraturo, come dimostra il grande influsso sulla poesia
impegnate e solenni (come le elegie 6 e 10) non mancano elegie in cui è
dei secoli successivi. Nel Medioevo le tracce della sua presenza sono deboli
sensibile il pathos, il lirismo della poesia d’amore (come nella quarta, sul
e sporadiche, per farsi di nuovo sensibili nella poesia umanistica. Dopo Ario­
mito di Tarpea: adattando tale mito — quale era conservato nella tradizione
sto, Tasso, Ronsard, è soprattutto nel Settecento neoclassico che la poesia
che ci testimonia Livio I 11,6 — al modello della drammatica storia di amo­
di Properzio conosce più ampia diffusione e fortuna, per toccare con Goe­
re di Scilla per Minosse, e facendo così della passione amorosa per il nemico
the il suo punto più alto. Nel nostro secolo, da segnalare 1’Homage to Sex-
re sabino Tito Tazio la causa per cui l’eroina romana tradisce la sua gente).
tus Propertius tributatogli dal poeta americano Ezra Pound.
L’amore nel L’amore infatti non è assente dall’ultima raccolta di Properzio (della manca­
libro IV ta omogeneità del libro fa testo l’elegia proemiale, in cui l’astrologo Horos
rileva il contrasto fra le ambizioni di Properzio e la sua naturale vocazione
alla poesia erotica), e non è assente nemmeno Cinzia, ma la sua figura ri­
compare qui nella luce fosca — eppur seducente — del vizio e della corru­ Bibliografia F ra gli studi sull’elegia si veda: W . filo di Properzio, Torino 1977; R. O. A.
S t r o h , Die ròmische Liebeselegie als wer- M . L y n e , The Latin L ove Poets, O xford
zione, oppure torna, come ombra dopo la morte, a rievocare l’amore di bende Dichtung, Amsterdam 1971; A. L a 1980; M . L a b a t e , L ’arte di fa rsi amare.
un tempo e a ribadirne l’eternità tante volte proclamata dal poeta. Ma un P e n n a , L ’integrazione difficile. Un prò- M odelli culturali e progetto didascalico
nell’elegia ovidiana, Pisa 1984; G. B. l’edizione com m entata di F. D e l ia C o r ­
C o n t e , L ’amore senza elegia. IR e m ed ia
amoris e la logica di un genere, introdu­
t e , M ilano 1980. Uno studio im portante
è F. C a ir n s , Tibullus. A Hellenistic P oet
OVIDIO
zione a O v id io , R im edi contro l ’amore, at R om e, Cambridge 1979.
Venezia 1986. Fra le e d iz io n i c ritic h e d i Properzio,
Il fram m ento recentemente scoperto si v e d a E. A. B a r b e r , O xford I9602; fr a
di Gallo è edito a cura di R. D. A n d e r ­ i c o m m e n ti c o m p le ti, M. R o t h s t e in , B e r­
s o n - P . J. P a r so n s - R. G. M. N is b e t , lin 19202; Η . E. B u t l e r - E. A. B a r b e r ,
Elegiacs by Gallus fr o m Qasr Ibrim , in O xford 1933; f r a q u e lli a sin g o li libri, P.
«Jóurn. Rom. Stud.», 69, 1979; in pro­ F e d e l i (I), F ire n z e 1980; P . J. E n k (II),
posito cfr. A. B a r c h ie si , Notizie sul «nuo­ Leiden 1962; P . F e d e l i (III), Bari 1985;
vo Gallo», in «Atene e Rom a», 1981. P. F e d e l i (IV), Bari 1965. S tu d i d ’in sie ­
U na buona edizione critica dell’inte­ m e: J. P. B o u c h e r , Études sur Proper-
ro Corpus Tibullianum è quella di F. W. ce, Paris 1965; J. P. S u l l iv a n , Próper- Vita e Publio Ovidio Nasone (è lui stesso, soprattutto nell’elegia IV 10 dei Tristia,
L e n z - G . K. G a l in s k y , Leiden 1971; un tius. A criticai Introduction, C a m b rid g e testimonianze a darci molte notizie sulla sua vita) nasce a Sulmona, città dei Peligni (nell’attuale
ottim o commento di Tibullo quello di K. 1976; A. L a P e n n a , L ’integrazione d if­ Abruzzo), da agiata famiglia equestre, il 20 marzo del 43 a.C. Frequenta a Roma
F. S m it h , New York 1913; si veda anche ficile cit. le migliori scuole di retorica (Arellio Fusco, Porcio Latrane), in vista della carriera
forense e politica. Completa gli studi con il canonico soggiorno in Grecia, ma
al ritorno a Roma, appena esercitate alcune cariche minori, abbandona la carrie­
ra politica. Entra nel circolo letterario di Messalla Corvino e stringe rapporti coi
maggiori poeti di Roma. La sua vita, dopo le precoci e brillanti prove letterarie,
si avvia verso un tranquillo e pieno successo; verso i quarant’anni, con la terza
moglie trova anche la serenità coniugale. Proprio all’apice del successo lo coglie,
nell’8 d.C., l’improvviso provvedimento punitivo di Augusto, che relega il poèta
sul Mar Nero, a. Tomi (oggi Costanza). Le cause della relegazione (che, a diffe­
renza dell’esilio, non comportava perdita dei beni e della cittadinanza) non sono
state mai pienamente chiarite (Ovidio vi accenna velatamente in Tristia II 207):
si sospetta che, dietro le accuse ufficiali di immoralità della sua poesia (soprattut­
to I’Ars amatoria), si volesse in realtà colpire un suo coinvolgimento nello scanda­
lo dell’adulterio di Giulia Minore, la nipote di Augusto, con Decimo Giunio Silano.
A Tomi Ovidio muore nel 17 (o 18) d.C. 1

Opere Molto problematica la datazione delle opere giovanili. Degli Amores, la sua
prima opera, Ovidio pubblicò, alcuni anni dopo il 20 a.C., un’edizione in 5 libri;
una seconda edizione in 3 libri, quella a noi pervenuta, dovette vedere la luce molti
anni più tardi, forse nell’1 d.C. Gli Amores comprendono 49 elegie (da una ventina
a un centinaio di versi ciascuna: complessivamente 2460 versi); il metro è quello
tipico del genere, cioè il distico elegiaco. Allo stesso periodo degli Amores si asse­
gna di solito anche la composizione della prima serie (epistole 1-15) delle Heroides
(letteralmente «Le eroine»), che avrebbe visto la luce attorno al 15 (ma qualcuno
le colloca fra il 10 e il 3); la seconda serie (epistole 16-21) va invece datata assai
più tardi, negli anni immediatamente precedenti l’esilio (4-8 d.C.). Le 21 epistole
(di 115 versi la più breve; di 378 la più lunga) contano in totale quasi quattromila
versi; il metro è il distico elegiaco.
Nel periodo fra il 12 e Γ8 a.C. potrebbe esser stata scritta la tragedia (perduta)
Medea, che riscosse grande successo.
Tra Γ1 a.C. e Γ1 d.C. si colloca la pubblicazione dei primi due libri dell’Ars
amatoria, seguita subito da quella del Ili libro e dei Remedia amoris. L'Ars com­
prende quindi 3 libri (più di 2.300 versi), i primi due dedicati agli uomini, il terzo
alle donne; il metro è il distico elegiaco, cosi come lo è per gli 814 versi dei Reme-

1 La Cronaca di S. Girolam o ci attesta la data del 17; m a nel libro I dei Fasti si fa riferi­
m ento a eventi rom ani della fine del 17, la cui notizia difficilmente poteva esser giunta in poco
tem po fino a Tomi; per questo c’è chi ritiene prudente spostare la data di un anno.
292 OVIDIO GLI AM ORES 293

dìa amoris. Nello stesso periodo si collocano anche i Medicamina faciei femineae Ovidio poeta in Ultimo dei grandi poeti augustei, Ovidio resta sostanzialmente estraneo
(«I cosmetici delle donne»), pure in distici elegiaci (ce ne restano solo 100 versi), un’età di pace alla sanguinosa stagione delle guerre civili: quando entra nella scena lettera­
menzionati già nel III libro delIVirs. ria quello spettro è ormai lontano, la pace è consolidata e cresce — con
Agli anni fra il 2 d.C. e Γ8 d.C. risale la composizione delle Metamorfosi (il
l’insofferenza per i modelli di vita arcaici proposti dal regime — l’aspirazio­
titolo latino è Metamorphòseon libri), poema epico in 15 libri (il più breve di 628
versi, il più lungo di 968, per un totale di quasi 12.000 esametri: l’esilio ne impedì
ne a forme di vita più rilassate, a un costume meno severo, agli agi e alle
la revisione finale) e dei Fasti, calendario poetico in distici elegiaci rimasto interrot­ raffinatezze che le conquiste orientali hanno fatto conoscere a Roma e che
to a metà: comprende infatti solo 6 libri (ciascuno dedicato a un mese, da gennaio informano la società mondana della capitale. Di queste aspirazioni Ovidio
a giugno) per quasi 5.000 versi complessivi. si fa interprete (senza tuttavia contrapporsi rigidamente al regime e alle sue
Delle cosiddette «opere delFesilio», tutte in distici elegiaci, i Trìstia compren­ direttive ideologiche: non convincono i ricorrenti tentativi di attribuire al
dono 5 libri, per un totale di quasi 3.500 versi: il I fu composto durante il viaggio poeta un ruolo di oppositore politico, un atteggiamento antiaugusteo), ed
verso Tomi; il II (un’unica lunga elegia di autodifesa, di 578 versi) nel 9, gli altri elabora un tipo di poesia che corrisponde in maniera sensibile al gusto, allo
dal 9 al 12 e pubblicati separatamente; dei 4 libri delle Epistulae ex Ponto (46 stile di vita dominato dal cultus e dalle sue raffinatezze.
elegie, in totale circa 3.200 versi) i primi tre vedono la luce nel 13, il IV esce proba­ Ciò avviene non solo sul piano dei contenuti ma anche, e non di meno,
Una poetica
bilmente postumo. Agli anni 11-12 risalirebbe il poemetto di invettive Ibis (322 versi). su quello formale. Anzitutto per ciò che riguarda la sua poetica, la concezio­
«moderna»
Sotto il nome di Ovidio ci sono anche giunti componimenti di autenticità dub­
ne della poesia che Ovidio ripetutamente manifesta, e che si caratterizza
bia, come il frammento (135 versi) di un poema didascalico in esametri sulla pesca
(Halièutica), o sicuramente spuri, come la Consolatio ad Liviam o l’elegia Nux. Ol­
come essenzialmente antimimetica, antinaturalistica, fortemente innovatrice
tre alla Medea sono andate perdute di Ovidio varie poesie leggere, o d’occasione, rispetto alla tradizione classica, alla linea aristotelico-oraziana (la poesia ovi-
e due poemetti per la morte o l’apoteosi di Augusto, di cui uno in lingua getica, diana si dice autonoma dalla realtà, e dichiara piuttosto — anzi esibisce
quella che si parlava a Tomi. — la sua natura letteraria, allude ai suoi modelli). Ma questa «modernità»
letteraria si rivela anche nel linguaggio poetico (che ormai è in larghissima
misura quello della poesia latina da Catullo in poi) e nelle altre qualità della
scrittura ovidiana, nello stile terso ed elegante, nella musicale fluidità del
1. Una poesia «moderna» verso (egli perfeziona il distico elegiaco, facendone il modello cui guarderan­
no tanti imitatori dei secoli successivi), nella ricchezza e audacia espressiva,
caratteristica coltivata e affinata negli anni di brillante frequentazione ddle
L’adesione Dopo Properzio, dopo Tibullo, nell’accostarsi a Ovidio si resta colpiti scuole retoriche.
«relativa» dalla vastità della sua produzione e dalla varietà dei generi poetici trattati. Il compiaciuto estetismo, la scettica eleganza di questa poesia sono an­
La scettica
all’elegia Quello che potrebbe sembrare un fatto esteriore, un puro problema di classi­ che l’espressione di un gusto che fa della letteratura un ornamento della vita.
eleganza
ficazione, è in realtà indizio di un diverso atteggiamento di fronte a scelte
letterarie che coinvolgono o riflettono anche scelte esistenziali. L ’adesione a
un genere come l’elegia erotica non significa per Ovidio, al contrario che per
i suoi predecessori, una scelta di vita assoluta, incentrata sull’amore; e so­ 2. Gli Am ores
prattutto non vuole delimitare un orizzonte, non esclude altre esperienze poe­
tiche (come accadeva nei poeti d’amore, vincolati a una pratica poetica fun­
zionale ai loro modi di vita, con il motivo topico della recusatio, della prote­ Ovidio e la L’esordio poetico di Ovidio, che dà le sue prime brillanti prove quando
stata incapacità di attingere soggetti e toni poetici di maggior dignità). tradizione non ha ancora vent’anni, è costituito da una raccolta di elegie di soggetto
La pratica poetica Quello sperimentalismo che lo porterà a tentare i generi poetici più diversi sen­ elegiaca amoroso, gli Amores, che mostra ancora ben visibili le tracce dei grandi
nuovo centro di za identificarsi in nessuno di essi è la conferma più vistosa dell’atteggiamento modelli e maestri dell’elegia erotica, Tibullo e soprattutto Properzio. Anche
vita di Ovidio, che fa della pratica poetica come tale (non limitata cioè a questa Ovidio dà voce, in prima persona, ai temi tradizionali del genere elegiaco:
o quella sfera, né subordinata ad altri valori) il centro della propria esperienza. accanto a poesie d’occasione (come l’epicedio per la morte di Tibullo) o
Relativismo e Questa forte autocoscienza letteraria si accorda, al tempo stesso, con di schietto stampo alessandrino (come l’elegia per la morte del pappagallo
apertura al nuovo la tendenza di Ovidio ad analizzare la realtà nei suoi aspetti più diversi, della sua donna), soprattutto avventure d’amore, incontri fugaci, serenate
senza esclusioni, col suo atteggiamento eminentemente relativistico: contra­ notturne, baruffe con l’amata, scenate di gelosia, proteste contro la sua
rio a scelte assolute, egli sa aderire alle varie facce della realtà, privilegiando venalità o i suoi capricci, le sue durezze e i suoi tradimenti, ecc. Ma accanto
quelle che gli sembrano più conformi al gusto, alle tendenze etico-estetiche alla maniera, ai temi e ai toni della tradizione, si avvertono già nettamente
del tempo (e sue proprie). Ciò spiega il tratto più significativo della sua i tratti nuovi, gli elementi propri e caratterizzanti dell’elegia ovidiana.
poesia, soprattutto quella giovanile, cioè l’accettazione convinta, spesso en­ La mancanza di Anzitutto — ed è forse la novità più vistosa — manca una figura
tusiastica, delle nuove forme di vita nella Roma dei suoi tempi (il che non una figura femminile attorno a cui si raccolgano le varie esperienze amorose, che costi­
esclude, specie nelle opere mature e più impegnative, un atteggiamento più unificante tuisca il centro unificante dell’opera e insieme della vita del poeta: i poeti
conciliativo e l’apertura ai valori della tradizione). d ’amore precedenti, Catullo, Gallo (a quel che sappiamo), Properzio, aveva­
294 OVIDIO
LA POESIA EROTICO-DIDASCALICA 295

no costruito la propria attività poetica attorno a un’unica donna, a un solo del poeta, ai cui occhi quella figura tanto deprecata dalla tradizione elegiaca (Proper­
grande amore che di quell’attività costituisse il fine e il senso. Con Ovidio zio IV 5) appare sotto una luce sostanzialmente positiva: il suo smaliziato realismo,
non è così: Corinna, la donna evocata qua e là con pseudonimo greco, è i suoi cinici avvertimenti, non suonano diversi dai precetti che lo stesso poeta im par­
tisce all’am ante nella sua opera didascalica. La lena è progenitrice del poeta didasca­
una figura tenue, dalla presenza intermittente e limitata, che si sospetta non lico, del m aestro d ’am ore, perché analoga è la concezione dell’eros che le due opere
avesse nemmeno una sua esistenza reale; non solo, il poeta stesso dichiara presuppongono; solo, negli A m ores il poeta, vincolato dalla convenzione elegiaca,
a più riprese di non sapersi appagare di un unico amore, di preferire due è anche am ante, è anche l’attore protagonista delle avventure d ’am ore, ruolo che
donne (II 10) o addirittura di subire il fascino di qualunque donna bella (II 4). deporrà ηε1Γν4« per fungere com piutamente da «regista» della relazione erotica, da
Amore e ironia Come la figura della donna ispiratrice, che non ha i contorni netti di sapiente supervisore del gioco delle parti.
una protagonista e tende ad apparire un residuo, una funzione convenziona­ Codice erotico e Perché di questo infatti si tratta: la relazione d’amore, perduto agli oc­
le del genere elegiaco, anche il pathos che aveva caratterizzato le voci della divertimento chi di Ovidio il suo carattere di passione devastante, costituisce ormai un
grande poesia d ’amore latina con Ovidio si stempera e si banalizza. Il dram­ galante gioco intellettuale, un divertimento galante, che va soggetto a un corpus
ma di Catullo, di Properzio, la loro intensa avventura esistenziale, diventa di regole sue proprie, a un codice etico-estetico che è quello ricavabile dall’e­
in Ovidio poco più di un lusus, e l’esperienza dell’eros è analizzata dal poeta legia erotica latina. Ruoli, situazioni, comportamenti sono tutti già previsti
con il filtro dell’ironia e del distacco intellettuale. Non meno significativa, e codificati, sono «scritti» nei testi letterari cui i protagonisti della società
in proposito, è la scarsa presenza negli Amores di un motivo centralissimo galante devono guardare come a modelli esemplari: il ruolo di Ovidio, or­
nella poesia elegiaca precedente, cioè il servitium amoris, la professione di mai, non può essere che quello di redigere un inventario dell’universo elegia­
totale dedizione dell’amante all’amata, ai suoi voleri e ai suoi capricci: in co, di scriverne il «libro di testo» alle cui norme uniformarsi.
Ovidio, si diceva, il motivo ha una funzione assai limitata, mentre è notevo­ L’Ars amatoria: la L’A rs amatoria è un’opera in tre libri, in metro elegiaco, che impartisce
le che un’intera elegia, e in posizione di spicco (I 2), sia dedicata alla profes­ strategia della consigli sui modi di conquistare le donne (I) e di conservarne l’amore (II);
sione di servitium nei confronti di Amore (non è più cioè la singola donna seduzione il III libro, aggiunto più tardi per risarcire scherzosamente le donne del dan­
La coscienza ma l’esperienza d’amore in sé che diventa centrale). Non solo: acquista an­ no procurato loro coi primi due, fornisce viceversa insegnamenti su come
letteraria del che peso, rispetto alla poesia elegiaca precedente, la coscienza letteraria del
poeta
sedurre gli uomini. Ovidio descrive i luoghi d ’incontro, gli ambienti monda­
poeta (cfr. soprattutto I 15 e III 12), che si manifesta nell’insistenza sulla ni della capitale (banchetti, teatri, spettacoli del circo, passeggiate), i mo­
poesia come strumento di immortalità e come autonoma creazione del poe­ menti di svago e passatempo, le occasioni più varie della vita cittadina (l’o­
ta, svincolata dall’obbligo di rispecchiare il reale. L’elegia ovidiana non si pera è un documento importante su usi e costumi quotidiani di Roma) in
presenta più come subordinata alla vita, suo fedele riflesso, ma rivendica cui mettere in atto la strategia della seduzione. La veste formale è quella
il suo primato, la sua centralità nell’esistenza del poeta. del poema didascalico (i grandi modelli romani erano soprattutto Lucrezio
e le Georgiche virgiliane), da cui Ovidio spiritosamente mutua moduli, mo­
venze, schemi compositivi; l’andamento precettistico è interrotto qua e là
da inserti narrativi di carattere mitologico e storico (quasi una prova delle
3. La poesia erotico-didascalica future Metamorfosi) tesi a illustrare a mo’ di exempla la validità dei precetti
impartiti.
L’ironia verso la La figura del perfetto amante delineata da Ovidio si caratterizza ovvia­
La precettistica La presenza negli Amores di alcune elegie di carattere didascalico (I
dell’amore
morale mente per i suoi tratti di disinvolta spregiudicatezza, di insofferenza e imper­
4 e più ancora I 8), che sviluppano spunti della poesia elegiaca precedente tradizionale tinente aggressività nei confronti della morale tradizionale, dell’antico costu­
(Properzio I 10 e IV 5, Tibullo I 4), e lo svuotamento ironico che l’esperien­
me quiritario (soprattutto in una sfera molto delicata come quella dell’etica
za dell’eros subisce in misura sensibile già nella prima opera ovidiana, spie­
sessuale e matrimoniale, cui l’impegno restauratore di Augusto annetteva
gano agevolmente il collegamento con il gruppo di opere erotiche costituito
particolare importanza: e lo scandalo àùYArs poteva perciò essere addotto
da A rs amatoria, Remedia amoris e Medicamina faciei femineae, che forma­
come atto d’accusa ufficiale al momento della cacciata del poeta da Roma).
no un vero ciclo di poesia didascalica (anche cronologicamente sono molto In realtà il carattere libertino e spregiudicato dellM ^, che ha attirato sull’o­
vicine). La stessa concezione, lo stesso progetto di scrivere un’opera come
pera le deplorazioni dei moralisti non solo antichi, non ne costituisce più
YArs (e i suoi corollari) in cui impartire una precettistica sull’amore, sem­
che la veste scintillante, provocatoriamente seducente: proprio nel suo farsi
brano anzi l’esito naturale, e insieme estremo, della concezione dell’eros già
lusus, divertita avventura dell’intelletto, l’eros ovidiano perde ogni impegno
delineata negli Amores (dopo di che l’elegia, esaurita, non poteva che estin­
etico, ogni velleità di ribellione contro la morale dominante. L’assolutezza
guersi).
dell’eros come scelta di vita su cui fondare nuovi valori, una nuova morale,
Il poeta «regista» U n aggancio im portante fra le due opere, si è detto, è costituito dall’elegia I 8 degli
il tratto più «rivoluzionario» della poesia elegiaca e già di Catullo, in Ovidio
e il gioco delle A m ores, dove il poeta rielabora un motivo già tradizionale nella poesia elegiaca, viene meno, e fa sì che il suo apparente libertinismo possa in realtà ricon­
parti quello della vecchia le m , l’astuta ed esperta mezzana che impartisce consigli a una dursi entro i confini dell’etica tradizionale e delle sue convenzioni: in cambio
giovane donna sul m odo migliore di mettere a frutto le proprie qualità con i vari di un’aperta rinuncia a ogni velleità conflittuale, l’eros ovidiano reclama
pretendenti. Assai diverso però, al di là dei tratti convenzionali, è l’atteggiamento solo una certa tolleranza, una zona franca, un settore del panorama sociale
296 o v id io LE HEROIDES 297

(il poeta si preoccupa più volte di delinearne lo spazio ristretto, quello degli storico, Saffo) ai loro amanti o mariti lontani: nell’ordine, Penelope a Ulis­
amori libertini, escludendone la società rispettabile) in cui sospendere la se­ se, Fillide a Demofoonte, Briseide ad Achille, Fedra a Ippolito, Enone a
verità di una regola morale ormai inadeguata al costume della metropoli Paride, Didone a Enea, Ipsipile a Giasone, Ermione a Oreste, Deianira a
ellenizzata. Ercole, Arianna a Teseo, Canace a Macareo, Medea a Giasone, Laodamia
La Nonché nutrire velleità di ribellione, l’elegia ovidiana coltiva piuttosto am­ a Protesilao, Ipermestra a Linceo, Saffo a Faone. La seconda serie, da 16
«riconciliazione» bizioni di segno contrario (è questo l’aspetto più recentemente focalizzato dalla a 21, è costituita dalle lettere di tre innamorati accompagnate dalla risposta
dell'elegia con la critica): nel negare l’impegno totalizzante della precedente poesia d’amore, nel delle rispettive donne: Paride ed Elena, Ero e Leandro, Aconzio e Cidippe.
società
neutralizzarne le spinte più aggressive, Ovidio tenta una sorta di «riconciliazio­ I due gruppi distinti (ma che nella tradizione sono sempre accomunati; ha
contemporanea
ne» della poesia elegiaca con la società in cui essa si radica indicando nell’ar- invece tradizione a sé la lettera quindicesima, quella di Saffo, sulla cui au­
moniosa complementarità delle forme di vita, della sfera privata e di quella tenticità si sono da sempre nutriti sospetti, ormai però quasi del tutto fugati)
civile, la via migliore per un’appagata adesione al presente. In realtà egli indivi­ testimoniano due diverse fasi di composizione: molto difficile da datare la
dua lucidamente, e a suo modo cerca di sciogliere, una vistosa contraddizione prima serie (si tende a farla coincidere con la composizione degli Amores,
della poesia elegiaca, che nel suo orgoglioso contrapporsi al sistema tradiziona­ entro il 15 a.C., ma c’è chi propone dal 10 al 3), probabilmente da collocare
le dei valori sociali e culturali non aveva saputo elaborare modelli etici alterna­ poco prima dell’esilio (cioè dal 4 all’8) la seconda.
tivi, ma proprio dalla tradizione aveva mutuato alcuni dei suoi moduli più ca­
ratteristici (cfr. p. 277). A questo atteggiamento contraddittorio, e tendenzial­ Il problema Si è detto dei sospetti sull’autenticità dell’epistola di Saffo; in verità, la quindicesima
mente arcaizzante, della poesia elegiaca Ovidio contrappone i valori della dell'autenticità non è la sola lettera la cui paternità ovidiana sia stata messa in dubbio: di tanto
modernità, un’accettazione entusiastica dello stile di vita della scintillante Ro­ in tanto qualche studioso, sulla base di presunte irregolarità metriche e stilistiche,
0 più genericamente, e discutibilmente, di presunte debolezze e difetti narrativi, to r­
ma augustea, della capitale del bel vivere e dei consumi, dello splendore urbani­
na ad approvare, in tutto o (soprattutto) in parte, il giudizio del Lachm ann, che
stico (aurea sunt vere nunc saecula: così egli argutamente rovescia il motivo considerava spurie non solo le epistole doppie, m a anche tutte quelle che Ovidio
dell’età dell’oro, caro a ogni rievocazione nostalgica del passato). non nom ina esplicitamente in A m ores II 18. In questa elegia viene garantita l’auten­
I Medicamina: la All’esaltazione convinta del cultus, degli agi e delle raffinatezze, rispon­ ticità di nove lettere, e cioè, nell’ordine, di quelle di Penelope, Fillide, Enone, Cana­
cosmesi de anche il poemetto (di cui ci restano solo 100 versi, in metro elegiaco) ce, Ipsipile e /o M edea (viene infatti menzionato il nome del destinatario, Giasone,
legittimata che è lo. stesso per entram be le epistole), A rianna, Fedra, D idone e Saffo (si capisce
sui cosmetici per le donne (Medicamina facìeì femìneaé), che si oppone al che i passi di A m o res II 18,26 e 34, in cui si accenna all’epistola di Saffo, sono
tradizionale rifiuto della cosmesi e illustra la tecnica di preparazione di alcu­ variamente ritenuti non validi dai sostenitori dell’inautenticità dell’epistola stessa).
ne ricette di bellezza. Viene tuttavia da chiedersi, data la sostanziale inconsistenza della maggior parte de­
1 Remedia amoris Il ciclo didascalico è concluso dai Remedia amoris, l’opera che — rove­ gli attacchi alla paternità di alcune di queste eroidi, se mai tali attacchi sarebbero
e la fine stati mossi, e se mai sarebbero stati mossi proprio a quelle e non ad altre lettere,
sciando alcuni precetti dellM rs — insegna come liberarsi dall’amore. Era se non ci fosse stato all’origine, a suscitare i sospetti, il brano degli Am ores: ma
dell’elegia un motivo topico della poesia erotica che per il male d’amore non esiste è chiaro, e tutti lo riconoscono, che nulla obbligava Ovidio in A m ores II 18 a nom i­
medicina, e di questa condanna alle pene del cuore il poeta elegiaco sembra­ nare tutte le epistole della sua raccolta.
va come compiacersi, incapace di liberarsene ma intimamente anche orgo­
glioso della sua dedizione totale, della sua scelta di nequitia: Ovidio rovescia Un genere Dell’originalità di quest’opera, con cui crea un nuovo genere letterario,
questa posizione affermando che dell’amore non solo si può, ma anzi ci nuovo: mito ed Ovidio si dice orgoglioso (Ars amatoria III 345): in effetti non abbiamo
si deve liberare se esso comporta sofferenza (egli riprende così un assunto elegia testimonianza prima di lui di opere simili, cioè di raccolte di lettere poetiche
della filosofia stoica ed epicurea che condannava l’amore come malattia del­ di soggetto amoroso. L ’idea della lettera in versi gli sarà venuta probabil­
l’anima, e che aveva già ispirato il IV libro di Lucrezio). Un’opera come mente da un’elegia dell’amico Properzio (IV 3, scritta da Aretusa al marito
i Remedia, che insegna a guarire dall’amore, costituisce l’esito estremo della lontano Licota), più volte evocata nelle Heroides-, il materiale letterario è
poesia elegiaca, e ne chiude simbolicamente la breve intensa stagione. variamente tratto soprattutto dalla tradizione epico-tragica greca, ma accan­
to ai modelli più lontani sono presenti anche Callimaco e la poesia ellenistica
nonché quella latina, in particolare Catullo e Virgilio. Se personaggi e situa­
zioni appartengono al grande patrimonio del mito, molti elementi sono mu­
4. Le Heroides tuati dalla tradizione elegiaca latina, dove sono ricorrenti motivi come la
sofferenza per la lontananza della persona amata, recriminazioni, lamenti,
suppliche, sospetti di infedeltà, accuse di tradimento, ecc. Ad esempio, tra
Il tema del mito Se l’eros è il tema unificante della produzione giovanile ovidiana, l’altra le epistole che più risentono del modello elegiaco (quanto a temi, situazioni,
grande fonte della sua poesia è il mito; prima delle Metamorfosi, l’opera atteggiamenti), c’è quella di Fedra a Ippolito, in cui l’eroina euripidea perde
che più di esso si alimenta sono le Heroides. Con questo titolo (quello origi­ 1 suoi tratti di nobile dignità tragica per assimilarsi a una dama spregiudicata
nale era probabilmente Epistulae heroidum) si designa una raccolta di lettere della società galante, tesa a sedurre il figliastro con le lusinghe di un facile
poetiche: la prima serie, da 1 a 15, è scritta da donne famose, eroine del furtivus amor e disinvolta assertrice di una nuova morale sessuale, beffarda­
mito greco (ma c’è anche la Didone virgiliana, e soprattutto un personaggio mente insofferente delle antiche convenzioni.
298 OVIDIO
LE HEROIDES 299

che scrive possa far riferim ento a eventi passati, m a che del suo futuro sia ignaro.
Modellizzazione Ovidio nelle Heroides fa del modello elegiaco un filtro attraverso cui Del preannuncio di eventi futuri si può quindi far carico solo l’autore (onnisciente
elegiaca di passano i materiali narrativi dell’epos, della tragedia, del mito. Ma la mo­ m a «fuori del testo»); egli, non potendo intervenire in proprio, si serve dello stru­
materiali dell’epos dellizzazione elegiaca non sta tanto in materiali e tecniche narrative (e nep­ mento delPironia per inserirsi nelle pieghe della voce del personaggio medesimo. E
e della tragedia pure solo nel tema unificante dell’amore); essa agisce piuttosto come una così il ricorso all’ironia tragica diventa il mezzo con cui più spesso nelle Heroides
prospettiva che seleziona e riduce al proprio linguaggio ogni altro possibile Ovidio si serve per ovviare alla contrazione dello spazio narrativo. «Sdoppiando»,
senza violare lo statuto della form a epistolare, la voce del personaggio, egli può
tema: è un’ottica ristretta, convenzionale, che porta le eroine ovidiane ad introdurre surrettiziamente anche la propria voce e allargare così la prospettiva ri­
imporre tagli «elegiaci» sul materiale narrativo dell’epos, della tragedia, del stretta dell’eroina verso una visione sinottica del m ito, verso una sua narrazione
mito. È un processo di deformazione, di sistematica reinterpretazione, di sintetica m a com pleta. Spetta poi alla collaborazione del lettore, alla sua competenza
riscrittura coerente. letteraria ricom porre in unità i vari segmenti della linea narrativa colmando le lacune
che li separano. Viene così spesso ad avere un ruolo di prim o piano il gioco delle
cronologie: Ovidio riesce a trarre notevoli effetti dal rapporto che intercorre tra il
Così, nella settim a epistola, Didone seleziona nel modello virgiliano gli elementi fun­ tempo del modello (il tempo durativo della storia) e il tempo della lettera (il tempo-
zionali alla sua intenzione persuasiva (convincere Enea a non partire): così si spiega m omento in cui il lettore immagina che l’eroina stia scrivendo).
tra l’altro l’insistenza su u n ’ipotesi come quella della gravidanza (7,133 segg.), che Le epistole «doppie» danno ad Ovidio nuove possibilità. In prim o luogo, la nuova
rovescia la form ulazione del m otivo nell 'Eneide, dove si trattav a di una speranza form ula consente un confronto di punti di vista diversi sulla stessa realtà, confronto
dolorosamente delusa. Nell’epistola nona l’arrivo della concubina di Ercole, Iole (9,121 che può rivelarsi talvolta molto interessante (come nei casi di Paride-Elena e, in
segg.), è descritto dalla D eianira ovidiana in term ini che contraddicono sistematica- particolare, di Aconzio e Cidippe, la cui coppia epistolare sembra costituirsi come
mente tutti i tratti che si trovano nella corrispondente scena delle Trachinie sofoclee. una vera e propria controversia giuridica), m a soprattutto perm ette una maggiore
Spesso gli stessi eventi vengono interpretati e valutati in m aniera diversa e anche libertà di movim ento, un campo narrativo più am pio. Inoltre, le tre coppie finali
opposta a seconda dei diversi punti di vista e delle diverse istanze persuasive delle forniscono, grazie al rispettivo contesto dram m atico, una piena motivazione della
varie eroine: un caso particolarm ente vistoso si può osservare nelle epistole di Ipsipi- form a epistolare (che non si può certo dire fosse sempre presente nelle epistole singo­
le e di M edea, le due rivali nell’am ore di Giasone, m a un buon esempio è anche le: basti pensare a un caso limite come quello di A rianna, che scrive dalla spiaggia
il m odo in cui è considerato da diversi punti di vista un evento come la guerra deserta di Nasso): lo scambio di lettere non è più una form a narrativa gratuita,
di Troia, o un personaggio come Elena. condannata a tradire, come spesso nelle epistole della prim a serie, la sua natura
artificiosa, o il difetto di verosimiglianza, m a diventa parte integrante dello sviluppo
drammatico della storia (è riconoscibile anche in questa contrapposizione di due punti
Ricodificando in termini elegiaci storie di eroine dell’epica e del dram­ di vista una certa affinità con le controversiae retoriche).
ma, non nate “ dentro” e “ per” il codice elegiaco, Ovidio introduce il letto­
re in un universo letterario nuovo, né antico né moderno, né epico o tragico Le Heroides C ’è ancora un altro aspetto da sottolineare. Le Heroides propriamente
o mitico né elegiaco, ma fondato sulla compresenza di codici e valori, sulla come poesia del sono poesia del lamento, sono l’espressione della condizione infelice della
loro interazione. L’operazione di riscrittura ovviamente comporta spesso si­ lamento donna, lasciata sola o abbandonata dallo sposo-amante lontano. Ma se a
gnificative deformazioni dei modelli; le divergenze diventano i segnali più causare la sofferenza è per lo più questo ritrovarsi abbandonate dall’amato,
evidenti della nuova codificazione letteraria. o anche solo la sua disaffezione, la temuta tiepidezza del suo amore, non
Vincoli imposti Certo la scelta della forma epistolare imponeva vincoli precisi al poeta, mancano altre cause di infelicità per le figure femminili delle Heroides: c’è
dal genere: la in particolare per quanto riguarda le epistole della prima serie: le varie lette­ la sofferenza di Laodamia per la brusca separazione, causa la guerra, da
monotonia delle re si configurano come monologhi (sono testi «chiusi», non attendono rispo­
Heroides
Protesilao; o quella tutta particolare di Fedra, o infine quella di Canace
sta) costruiti prevalentemente su una situazione-modello, il «lamento della e Ipermestra, vittime ambedue della spietata violenza paterna. Le eroine sof­
donna abbandonata» (un riferimento obbligato era in un celebre epillio lati­ frono insomma non solo in quanto innamorate tradite o non corrisposte,
no, l’Arianna del carme 64 di Catullo). La struttura della lettera non per­ ma anche, se non soprattutto, in quanto donne. È questa la condizione co­
metteva molte variazioni: data per nota al lettore colto la situazione di par­ mune (condizione di per sé sufficiente) che le condanna a un’esistenza segna­
tenza, l’andamento monologico (con l’alternanza delle varie fasi, dalla ricor­ ta dall’abbandono, dall’umiliazione, dalla propria debolezza, dall’inferiorità
rente disperazione dell’eroina all’invocazione del ritorno dell’amato, di chi deve subire senza potersi imporre. Nelle Heroides il genere elegiaco
all’esortazione a mantener fede alle promesse: è evidente l’influsso dell’eser­ sembra così tornare alle proprie origini di poesia del dolore e del lamento:
cizio retorico delle suasoriae) è solo interrotto qua e là da qualche flash-back si pensi alla frequenza di termini chiave del lessico elegiaco come queri,
della memoria, che evoca narrativamente vicende lontane, ma manca di uno querimonia e simili. Sono soprattutto le parole di Saffo a dar voce al rap­
sviluppo dinamico, drammatico. porto quasi obbligato tra il verso elegiaco e la condizione delle eroine infeli­
Ogni epistola si vuole inserita in un ben determinato taglio temporale, cemente innamorate: flendus amor meus est: elegi quoque flebile carmen
un istante fecondo che si determina in un continuum narrativo; il continuum («devo piangere sul mio amore, e l’elegia è un canto lacrimoso»).
è garantito dal richiamo di noti modelli, testi letterari, o più in generale Lo spazio per il Un tratto rilevante di quest’opera, in confronto al resto della produzio­
mitologici. pathos ne giovanile ovidiana, è l’assai più ampio spazio concesso al pathos rispetto
al lusus, all’atteggiamento ironicamente distaccato tipico soprattutto del poeta
Per un evidente motivo di econom ia dram m atica, le epistole sono molto più interes­ deipare amatoria. Ma se la spinta alla «modernizzazione» dell’antico mate­
santi se hanno sufficiente gioco non solo verso il passato, m a anche verso un futuro
non ancora deciso. O ra, ovvie ragioni di verosimiglianza esigono che il personaggio
riale letterario, e alla suà riduzione al registro elegiaco, è talora evidente,
300 OVIDIO LE METAMORFOSI 301

non è questo l’aspetto più tipico delle Heroides, in cui resta forte la tenden­ Composizione e struttura
za ai toni patetico-tragici.
La ricerca Piuttosto, l’operazione di «riscrittura» messa in atto da Ovidio è di al­ I criteri di All’interno dei due estremi cronologici, la struttura in cui si dispongono
psicologica tro tipo. Da un lato egli riprende grandi soggetti della tradizione letteraria associazione i contenuti è necessariamente flessibile: le circa 250 vicende mitico-storiche
privilegiandone situazioni e aspetti funzionali al nuovo contesto, dall’altro delle storie narrate nel corso del poema sono ordinate secondo un filo cronologico che
egli rielabora quei testi spostandone la prospettiva e dando voce alla donna subito dopo gli inizi si attenua fino a rendersi quasi impercettibile (diventerà
e alle sue ragioni, fin lì per lo più inespresse o sacrificate. Nell’approfondi­ più sensibile, com’è ovvio, quando dall’età vagamente acronica del mito si
mento della psicologia femminile (è forte in ciò l’influsso del modello euripi­ entrerà nella storia, con gli ultimi libri) per lasciar spazio ad altri criteri
deo) è anzi proprio uno degli aspetti più notevoli delle Heroides. di associazione. Le varie storie possono essere collegate, ad esempio, per
contiguità geografica (come le saghe tebane, dal III libro in avanti), o per
analogie tematiche (come gli amori degli dei, le loro gelosie, le loro vendet­
te), o invece per contrasto (vicende di pietà contrapposte ad altre di empie­
5. Le M etam orfosi tà), o per semplice rapporto genealogico fra i personaggi, o ancora per ana­
logia di metamorfosi, e così via.

Poema Dopo Virgilio, che con VEneide aveva realizzato il grandioso progetto Riassunto delle D opo il brevissimo proemio inizia la narrazione della nascita del m ondo dall’inform e
alessandrino e di un poema di tipo omerico, di un epos nazionale per la cultura romana, Metamorfosi caos originario e della creazione dell’uomo: il diluvio universale e la rigenerazione
poema epico nel tradurre in atto le sue ambizioni di un’opera ormai di grande impegno del genere um ano grazie a Deucalione e P irra segnano il passaggio dal tempo prim or­
(dopo la poesia d’amore che gli aveva dato il successo) Ovidio segue un’altra diale al tempo del m ito, degli dei e semidei, delle loro passioni e dei loro capricci:
di Apollo e D afne, con la m etam orfosi di questa in lauro; di Giove e Io, custodita
direzione. La veste formale sarà sì quella dell’epos (l’esametro ne è il mar­ da Argo coi suoi cento occhi (I); di Fetonte, che precipita col carro del sole e provo­
chio distintivo), e così le grandi dimensioni (15 libri), ma il modello, d’ispi­ ca l’incendio del m ondo (II); di Atteone tram utato da D iana in cervo e sbranato
razione esiodea (Teogonia, Catalogo), è quello di un «poema collettivo», dai suoi cani; di Narciso, che sdegna l’am ore di Eco e si consum a d ’am ore per
che raggruppi cioè una serie di storie indipendenti accomunate da uno stesso se stesso; dell’empio Penteo punito da Bacco (III). Segue poi l’am ore tragico di
tema. Questo tipo di poesia aveva trovato fortuna nella letteratura ellenisti­ Piram o e Tisbe, quello di Salmacide per Erm afrodito; Perseo che salva A ndrom eda
dal mostro m arino (IV); il ratto di Proserpina e le metam orfosi di Ciane e A retusa
ca: vi si ispiravano, ad esempio, gli Aitia di Callimaco (una serie di saghe (V); poi le gelosie degli dei, con la vendetta di M inerva su A racne tram utata in
eziologiche, in metro elegiaco) e un poema, per noi perduto, in esametri ragno; con l’eccidio dei figli di Niobe; la cupa storia di Tereo, Procne e Filomela
di Meandro di Colofone (II secolo a.C.) che raccoglieva appunto storie di (VI); gli incantesimi di Medea; l ’equivoco tragico di Cefalo e Procri (VII); il volo
metamorfosi. Al tempo stesso, però, proprio mentre opera questa scelta di fatale di Dedalo e Icaro; Meleagro e la caccia al cinghiale calidonio; la pietà prem ia­
ta di Filemone e Bauci e l’em pietà punita di Erisittone (V ili); le imprese di Ercole
poetica alessandrina (nei contenuti e nella forma che li organizza), Ovidio e l’am ore incestuoso di Biblide (IX); poi la vicenda di Orfeo e Euridice che incastona
rivela anche l’intenzione di comporre un poema epico, che la poetica calli­ altre storie d ’amore: Ciparisso, Giacinto, Pigmalione, M irra, Venere e A done, ecc.
Un’opera al di machea aveva notoriamente messo al bando. Questo sembra dire il brevissi­ (X). Con le nozze di Peleo e Teti, cui segue la patetica storia d ’am ore coniu­
sopra dei generi mo (e perciò più carico di senso) proemio (I 1-4): Ovidio prega ritualmente gale di Ceice e Alcione (XI), siamo ai margini della fluida cronologia mitica: i perso­
gli dei di ispirarlo nello scrivere un poema di metamorfosi (mutatas... for- naggi della guerra troiana ci introducono nella storia per arrivare fino all’età di
Augusto.
mas) ma alla maniera dell’epos (perpetuum deducite... carmen: termini tutti A bbiam o quindi le imprese di Achille e la battaglia fra Lapiti e Centauri (XII);
«occupati» nel lessico della polemica letteraria di scuola callimachea). L’am­ poi la contesa per le armi fra Aiace e Ulisse, la serie dei lutti troiani e l’amore
bizione di Ovidio quindi è grande, è di realizzare un’opera universale, al di Polifemo per G alatea (XIII). Sulle tracce dell O dissea e poi delle vicende di Enea
di sopra dei limiti segnati dalle varie poetiche. (anche Ovidio vuol com porre u na sua piccola Eneide, senza sovrapporsi al testo
Ne dà conferma lo stesso impianto cronologico del poema, illimitato (dal­ virgiliano) la scena si sposta nell’antico Lazio, con le sue saghe e le sue divinità
agresti (Pom ona e Vertumno). Orm ai siamo a Rom a coi suoi re (XIV): mediante
le origini del mondo ai giorni di Ovidio), che realizzava così un progetto da N um a è introdotto Pitagora e il suo lungo discorso sulla metam orfosi come legge
tempo vagheggiato e solo abbozzato nella cultura latina (vi si ispira la sesta universale (che dovrebbe costituire la base filosofica del poema); l’apoteosi di Cesa­
egloga virgiliana), e rispondeva anche, in qualche maniera, a una tendenza re, ultimo degli Eneadi, e la celebrazione di A ugusto concludono questa «storia del
diffusa del tempo, la sintesi di storia universale (ora che Roma dominava m ondo» (XV), mentre gli ultimi versi proclam ano l’orgogliosa sicurezza del poeta
di aver attinto l’im m ortalità della fama.
la scena del mondo), particolarmente sensibile nella storiografia ellenistica.
Il riavvicinamento Ciò permetteva anche, a Ovidio, di muoversi su terreni meno lontani
al principato dagli orientamenti del principato e di rispondere anzi, lui pure, a suo modo, Varietà dei Alla fluidità della struttura corrisponde la varietà dei contenuti. Molto
alle esigenze nazionali e augustee, facendo del nuovo regime il culmine e contenuti e variabili sono già le dimensioni delle storie narrate, oscillanti dal semplice
il coronamento della storia del mondo (notevole, in proposito, la sua «pic­ sapienza cenno allusivo, fortemente ellittico, allo spazio di qualche centinaio di
narrativa versi, che fa di molti episodi dei veri e propri epilli. Diversi soprattutto
cola Eneide» nella sezione finale del poema, concepita a margine del testo
virgiliano, di cui colma alcune ellissi narrative sviluppando episodi funziona­ sono i modi e i tempi della narrazione, che indugia sui momenti salienti,
li al contesto). si sofferma sulle scene e gli eventi drammatici, come è in genere l’atto
302 OVIDIO
LE METAMORFOSI 303
stesso della metamorfosi, minuziosamente, curiosamente descritta nel suo
Metamorfosi e sui tratti comuni fra la vecchia e la nuova forma). Nel poema ovidiano,
progressivo realizzarsi. La sapienza narrativa di Ovidio si rivela poi nella
teorie filosofiche come abbiamo detto, la metamorfosi è il tema unificante fra le tante storie
cura con cui sono accostate o alternate storie di contenuto e carattere
narrate: il poeta cerca anche, nel libro conclusivo, di dare retrospettivamen­
diverso: catastrofi cosmiche e delicate vicende d’amore, violente scene di
te dignità filosofica alla sua opera (e insieme accentuarne l’unitarietà) me­
battaglia e patetiche novelle di amore infelice, torbide passioni incestuose
e commovente eros coniugale, ecc. A quella dei temi e dei toni si accompa­ diante il lungo discorso di Pitagora che indica nel mutamento (omnia mu-
gna anche la mutevolezza dello stile, ora solennemente epico, ora liricamen­ tantur, nil interit, XV 165) la legge dell’universo, cui l’uomo deve docilmen­
te elegiaco, ora riecheggiante moduli di poesia drammatica o movenze te adeguarsi (ecco perciò, conseguente alla teoria della metempsicosi,
l’esortazione al vegetarianesimo). Ma su questa eclettica filosofia della storia
bucoliche: le Metamorfosi sono anche una sorta di galleria dei vari generi
(fatta di una base pitagorica che accoglie elementi stoici e platonici) Ovidio
letterari.
non sembra molto impegnarsi, e non troppo convinto pare il suo tentativo
La narrazione Ovidio non tende all’unità e all’omogeneità dei contenuti e delle forme,
continua
di fornire un’interpretazione filosofica al poema.
quanto piuttosto alla loro calcolata varietà; tende soprattutto alla continui­
L’amore nelle In realtà, anche se la metamorfosi costituisce il tema unificante (ma
tà della narrazione, al suo armonioso e fluido dipanarsi. Ne dà prova
Metamorfosi in alcune storie non compare nemmeno, o ha spesso una funzione molto
la stessa tecnica di divisione fra i vari libri del poema: diversamente dall’is-
marginale), l’argomento centrale dell’opera è rappresentato dall’amore, che
neide virgiliana, dove il singolo libro è dotato di una sua relativa compiu­
di tutta la poesia ovidiana precedente era stato la fonte ispiratrice. Certo,
tezza e autonomia, la cesura fra i vari libri delle Metamorfosi cade per
l’amore non è più ambientato nella vita quotidiana, nella Roma della società
lo più proprio nei punti «vivi», nel mezzo di una vicenda, a sollecitare
mondana (che peraltro Ovidio fa spesso profilare sullo sfondo, con arguti
e tener desta la curiosità del lettore anche nelle pause del testo, a non
sfasamenti anacronistici), ma — come già per le Heroides — nell’universo
allentare la tensione narrativa.
del mito, nel mondo degli dei e dei semidei, dei grandi eroi.
Il racconto «a È importante a tale scopo anche la stessa tecnica di narrazione delle varie
Il mito come Alla dimensione mitica non corrisponde però un ethos idealizzante, una
incastro»: la storie: non solo, come abbiamo detto, l’ordinamento cronologico è in genere
narrazione che si
elemento grandezza o solennità di valori. Il mito non ha per Ovidio la valenza religio­
piuttosto vago, ma esso viene continuamente perturbato dalle ricorrenti inser­ decorativo
autoriproduce sa, la profondità che ha per Virgilio: in ciò egli accentua una tendenza già
zioni narrative proiettate nel passato. Ovidio, il narratore principale, fa fre­
insita nella cultura ellenistica e fa del mito, delle figure che lo popolano,
quente ricorso alla tecnica, già alessandrina, del racconto a incastro, che gli
un ornamento della vita quotidiana, il suo decorativo scenario. Accade così
permette di evitare la pura successione elencativa delle varie vicende incasto­
che le divinità della tradizione religiosa greco-romana siano assimilate alla
nandone una o più all’interno di un’altra usata come cornice; ma sono il più
dimensione terrena e agiscano sotto la spinta di sentimenti e passioni assolu­
delle volte gli stessi personaggi a impadronirsi della narrazione per raccontare tamente umane, spesso non delle più nobili. Amori, gelosie, rancori, vendet­
altre vicende all’interno delle quali può ancora riprodursi lo stesso meccani­
te sono gli impulsi che li agitano e da cui gli esseri umani, vittime del loro
smo, in una proliferazione ininterrotta di racconti (interi libri sono costruiti capriccioso potere, vengono travolti.
secondo questa tecnica: particolarmente complessa la costruzione del X e so­ In realtà il mondo del mito, per il letteratissimo Ovidio, è anzitutto
Intertestualità
prattutto del V). Oltre a variare la forma di esposizione, questa complicazione delle Metamorfosi il mondo delle finzioni poetiche: e le Metamorfosi, la sua opera che più
della sintassi narrativa produce, col moltiplicarsi dei livelli e delle voci narran­ di ogni altra alla fonte del mito si alimenta, che ne costituirà una sorta
ti, come un effetto di vertigine, di fuga labirintica: il racconto sembra germo­ di grandiosa enciclopedia per i futuri millenni, sono anche una summa com­
gliare continuamente da se stesso e allontanarsi in una prospettiva infinita, pendiaria di testi, di uno sterminato patrimonio letterario che va da Omero
in una dimensione al di fuori del tempo. Ma la tecnica del racconto nel raccon­ ai tragici greci e latini, alla vasta e molteplice letteratura ellenistica fino
to ha anche un’altra funzione, quella di permettere al poeta di adattare talora ai poeti della Roma di Ovidio. Di questa sua natura complessa, intertestua­
toni, colore, stile del racconto alla figura del personaggio narrante: è il caso, le, il poema ovidiano è cosciente e orgoglioso, e ama esibire con frequenza
ad esempio, della storia solennemente epica del ratto di Proserpina raccontata Auto­ le proprie ascendenze, le fonti della propria memoria poetica. Tale compia­
proprio da Calliope, la musa dell’epos. compiacimento ciuta consapevolezza della propria letterarietà si traduce naturalmente anche
e autoironia in distaccato sorriso sul carattere fittizio dei propri contenuti, in garbata
La m etam orfosi e l ’universo mitico ironia sull’inverosimiglianza delle leggende narrate. Il poeta che tante volte
ha scherzato sulla fecunda licentia vatum (Amores III 12,41) sorride qua
e là sulla credibilità di ciò che racconta, sulla congenita infedeltà al vero
Metamorfosi ed La metamorfosi, la trasformazione di un essere umano in animale, in da parte dei poeti: nello scettico distacco dai suoi contenuti, dal mondo
eziologia pianta, in statua o in altra forma, era un tema presente già in Omero ma della veneranda tradizione mitologica cui si ispira, è il narcisistico trionfo
caro soprattutto, come s’è accennato, alla letteratura ellenistica (oltre a Ni- di questa poesia che vuole intrattenere e stupire.
candro, ne avevano trattato Partenio di Nicea e altri), della quale soddisfa­
ceva anche un gusto caratteristico, quello dell’eziologia, della dotta ricerca
delle cause (nel senso che la metamorfosi descrive l’origine delle cose e degli
esseri attuali da una loro forma anteriore: e Ovidio insiste sulla continuità,
304 OVIDIO I FASTI 305

Poesia come spettacolo pegna sul terreno della poesia civile: il progetto è quello di illustrare gli
antichi miti e costumi latini, seguendo la traccia del calendario romano.
Ambiguità e II carattere fondamentale del mondo descritto dalle Metamorfosi è la Erano quindi previsti dodici libri (in metro elegiaco), ognuno per un mese
illusorietà del sua natura ambigua e ingannevole, l’incertezza dei confini fra realtà e appa­ dell’anno, ma l’improvvisa relegazione del poeta interruppe a metà l’opera
mondo delle renza, fra la concretezza delle cose e l’inconsistenza delle apparenze. I perso­ (al VI libro, cioè al mese di giugno), che fu parzialmente rivista negli anni
Metamorfosi naggi del poema si aggirano come smarriti in questo universo insidioso, go­ dell’esilio.
Il modello Al di là del precedente immediato di Properzio, l’opera deve molto so­
vernato'dalla mutevolezza e dall’errore: travestimenti, ombre, riflessi, echi,
callimacheo e le prattutto al modello, comune ai due poeti, degli Aitia callimachei, sia nella
parvenze sfuggenti, sono le trappole in mezzo alle quali gli esseri umani
fonti antiquarie tecnica compositiva che nel carattere appunto eziologico, di ricerca delle «cau­
si muovono, vittime del gioco del caso o del capriccio degli dei. Il loro
incerto agire, la naturale attitudine umana all’errore, costituiscono l’oggetto se», delle origini della realtà attuale dal mondo del mito. Più ancora del
dello sguardo ora commosso ora divertito del poeta, lo spettacolo che il poeta amico (Properzio IV 1,64) Ovidio stesso vuol farsi il Callimaco roma­
poema rappresenta. (La lingua stessa, lo stile, si prestano a mostrare la na­ no, facendo un’opera compiuta, un nuovo genere poetico, di quelle che in
tura ambigua delle cose: esibendo la sua connaturata doppiezza, anche il Properzio erano prove sperimentali alternate al consueto argomento erotico.
linguaggio rivela la sua pericolosità, lo scarto fra l’illusorietà di ciò che ap­ In questa nuova veste di vate celebratore dell’idea di Roma, Ovidio si impe­
pare e la concretezza di ciò che è). gna in dotte e accurate ricerche di svariate fonti antiquarie: da Verrio Fiacco
L’intervento del I personaggi agiscono seguendo ognuno un pròprio punto di vista, con­ (il grammatico autore di un commento al calendario romano: cfr. p. 324),
narratore vinti tutti di padroneggiare la realtà: il poeta, solo depositario del «punto Varrone, Livio e altri ancora egli attinge una vastissima messe di dottrina
di vista vero», analizza questa moltiplicazione delle prospettive, segue i per­ antiquaria, religiosa, giuridica, astronomica che trova impiego nell’illustra­
sonaggi sulla strada che li allontana progressivamente dalla realtà mostrando zione di credenze, riti, usanze, nomi di luoghi, in quella riscoperta delle
al lettore l’esito fatale che li attende. Rifiutando l’impersonale oggettività antiche origini che costituiva un indirizzo fondamentale dell’ideologia augu­
del poeta epico, il narratore delle Metamorfosi interviene spesso per com­ stea.
Poesia civile e Ma naturalmente l’adesione di Ovidio al programma culturale del regime,
mentare il corso degli eventi, per chiamare in causa il lettore — interrom­
pendo la finzione narrativa — a condividerè il suo ironico distacco, il suo pathos elegiaco nonostante la sua insistenza sulla funzione della propria poesia civile (Fasti
divertito sorriso. II 9-10), resta piuttosto superficiale: sullo sfondo di carattere antiquario (che
La tecnica Al carattere spettacolare di questo universo, caratterizzato da eventi fa dei Fasti un documento di eccezionale importanza sulla cultura romana
narrativa straordinari, meravigliosi, corrisponde anche una tecnica narrativa che, co­ arcaica) egli inserisce materiale mitico di origine greca (come le leggende di
«fotografica» me s’è accennato, privilegia i momenti salienti di quegli eventi, ne isola sin­ Proserpina e di Callisto, trattate anche nelle Metamorfosi) o di carattere aned­
gole scene sottraendole alla loro dinamica drammatica e fissandole nella lo­ dotico, con frequenti accenni alla realtà e alle vicende contemporanee. Ciò
ro plastica evidenza. È notevole in tal senso l’insistenza sulla percezione gli permette di ovviare ai limiti imposti dalla natura del poema, di sottrarsi
soprattutto visiva della realtà, che si avverte in maniera particolare nella ai condizionamenti di un arido «calendario in versi», e soddisfare ad esempio,
descrizione dell’evento più ricorrente nel poema, la metamorfosi. Questa è in certi momenti idillici, il suo gusto per il pathos delicato, o di far spazio
generalmente caratterizzata dai tratti del «meraviglioso» ed è messa in scena all’elemento erotico, con qualche tratto di sapido realismo, e più in generale
«sotto gli occhi» di qualcuno: Ovidio la descrive soffermandosi sulle fasi ai toni giocosi, ironici, al suo sorridente scetticismo di fronte al mito.
intermedie del processo, sui confini incerti fra la vecchia e la nuova forma, Un’interpretazione Questa interpretazione dei Fasti tende ad alleggerire il poema da qualsiasi
sul paradosso dello sdoppiamento fra il nuovo aspetto e l’antica psicologia alternativa responsabilità verso l’ideologia augustea: Ovidio (come ha scritto un critico
degli esseri soggetti al mutamento. recente a nome di molti altri) pagherebbe «stancamente il suo debito facendo
Verso il Nella sua natura eminentemente visiva, nella sua immediata evidenza il proprio dovere di civis Romanus». È un’interpretazione che si sposa bene
manierismo plastica (qualità che contribuisce a spiegare la sua immensa fortuna di mo­ con l’interesse moderno per i Fasti come «fonte» di preziose informazioni
dello per le arti figurative), questa poesia curiosa dei paradossi che si anni­ antropologiche: l’Ovidio usato dall’antropologo inglese Frazer è sostanzial­
dano nella realtà, amante della spettacolarità spesso nelle sue forme più orri­ mente solo un tramite di storie tradizionali, e non ha molta importanza l’at­
de, anticipa caratteri importanti del gusto letterario del nuovo secolo, del teggiamento del poeta verso la tradizione. Ma studi ancora più recenti suggeri­
«manierismo» imperiale. scono qualche cautela. L’uso che Ovidio fa dello schema eziologico risulta
essere assai più malizioso di quanto si era pensato: il poeta gioca con il suo
compito di antiquario (precisamente secondo la lezione di Callimaco, che non
è solo formale, ma anche di forma dei contenuti e di «crisi del sapere»). Non
6. I Fasti è detto che la malizia del poeta si fermi al confine con l’ideologia augustea,
al di qua di essa, senza giungere a toccarla; nessuno può dimenticare quale
Ovidio poeta Molto più delle Metamorfosi, sono certo i Fasti l’opera ovidiana meno parte importante abbia la ricostruzione del passato nel progetto ideologico
civile lontana dalle tendenze culturali, morali, religiose del regime augusteo. Sulle di Augusto. Così, quando Ovidio decostruisce e mette in dubbiò il rapporto
orme dell’ultimo Properzio, delle sue «elegie romane», anche Ovidio si im­ fra presente e passato, il gioco minaccia di diventare serio. È la Romanità
306 OVIDIO
1E OPERE DELL ESILIO - LA FORTUNA 307

espressa dal calendario che viene insidiata e decentrata. La vera lacuna del
regolare delle formule proprie del genere (come a inizio e in chiusura di
poema — ovviamente dal punto di vista del principe — non è che Ovidio
lettera), nel riferimento alle lettere inviate in risposta dai destinatari (ormai
non riesca a prendere sul serio Augusto, ma (come è stato osservato) che non
tutti menzionati espressamente: la cautela dei Tristia non sembrava più ne­
riesce a prendere sul serio Romolo. I Fasti sono un poema su cui c’è ancora
cessaria) e soprattutto nell’infittirsi di una serie di topoi ricorrenti appunto
molto da indagare, sotto il profilo ideologico-letterario, e viene il dubbio che
nella letteratura epistolare (l’insistenza sulla lettera come colloquio fra amici
la critica sia stata frettolosa nel separare la forma dal contenuto del poema,
lontani, l’illusione della presenza nonostante il distacco, il conforto fornito
e il poema da tutto il resto del corpus ovidiano.
da questo strumento di comunicazione che lenisce la solitudine dell’esule, ecc.).
L’elegia come Le Epistulae rivelano in tal senso interessanti analogie con l’altra opera
poesia del pianto ovidiana di carattere epistolare, le Heroides (ad esempio nel parallelismo
7. Le opere dell’esilio fra la lontananza sofferta dalla donna abbandonata e dal poeta esiliato),
ma va notata, più in generale, nelle due maggiori opere dell’esilio la consa­
Il trauma
pevole riscoperta dell’elegia come poesia del pianto, del lamento, quasi un
L’improvviso allontanamento da Roma segna, com’è naturale, una bru­
dell’esilio ritorno alle funzioni originarie che nella letteratura greca si attribuivano a
sca frattura nella carriera poetica di Ovidio. Lui più di altri doveva accusare
questo genere tanto caro a Ovidio, e ora reso tragicamente attuale nella
la separazione dalla capitale, dalla società cui la sua poesia si rivolgeva, e
sua forma più autentica dall’esperienza del dolore. Costretto a diventare
di cui in gran parte si era alimentata, dagli ambienti mondani e letterari (era
oggetto della sua stessa poesia (sumque argomenti conditor ipse mei, Tristia
ormai da tempo il massimo poeta vivente): dal centro della scena si trova
V 1,10), il brillante cantore della mondanità romana, che stringendo con
confinato ai margini dell’impero, in mezzo a un popolo primitivo che non
il lettere/un patto di ammiccante complicità si era divertito a trattare con
parla nemmeno latino. Abituato al successo, all’appagante ammirazione di
, un distaccato sorriso tutto l’universo delle finzioni letterarie, proclama ora
un pubblico sedotto dal suo virtuosismo, di colpo Ovidio si ritrova solo, a
l’assoluta autenticità della sua materia poetica, e recupera i più famosi para­
comporre poesia per se stesso; e la sua condizione di artista senza pubblico,
digmi mitologici per affermare la portata eccezionale della sua tragedia. Nel­
senza contatto col destinatario, gli ispira la malinconica immagine di uno che
la poesia, diventata più che mai la dimensione totale dell’esistenza, l’unica
danza al buio (Epistulae ex Ponto IV 2,33 seg.).
in grado di dare una ragione di vita e insieme un conforto (tanto da ispirar­
I Tristia La prima opera composta lontano da Roma — e inviata non senza esita­
gli talora i commossi accenti dell’inno), Ovidio ripone ogni residua speranza
zione, come mostrano soprattutto le elegie proemiali del I e del III libro —
per il futuro: pur tanto lontano da Roma, senza l’esperienza e la partecipa­
è la raccolta dei Tristia, cinque libri la cui cifra comune, esplicitamente sottoli­
zione diretta agli avvenimenti, non rinuncia a celebrare coi suoi versi il suc­
neata (V 1,5 flebilis ut noster status est, ita flebile carmen, «come la nostra
cesso delle campagne militari di quegli anni (Tristia IV 2, Epistulae ex Ponto
condizione è lamentévole, così è la nostra poesia»), è il lamento sull’infelice
II 1). Ma questa sorta di anticipazione del suo possibile ruolo di poeta che
condizione del poeta esiliato; con pari insistenza ricorre l’appello agli amici
si fa interprete delle grandi emozioni collettive non valse a sottrarlo alla
e alla moglie per ottenere, se non una remissione completa della pena, almeno
desolante solitudine di Tomi.
un cambiamento di destinazione: le ripetute espressioni di rimpianto per la
L’Ibis Caduto in disgrazia, nel periodo dell’esilio Ovidio deve anche difendersi
patria infinitamente lontana, le diffuse descrizioni dell’inospitale e squallido
dagli attacchi dei suoi nemici: a tale scopo risponde un poemetto in distici
paesaggio circostante, dei pericoli per le continue scorrerie dei barbari, della
elegiaci, intitolato Ibis (dal nome di un uccello dalle abitudini coprofile),
desolazione di un’esistenza privata della sua linfa vitale, mirano a suscitare
esemplato sulPomonimo componimento perduto di Callimaco (diretto con­
un «movimento d’opinione» che possa far concedere al poeta esiliato le condi­
tro Apollonio Rodio) e costituito da una lunga serie di invettive contro un
zioni minime perché resti se stesso. Le elegie del I libro ripercorrono i momen­
suo detrattore. Al modello callimacheo è improntato l’impianto compositivo
ti del commiato da Roma e del lungo viaggio verso Tomi, la traversata inver­
e il carattere cripticamente erudito del poemetto.
nale dell’Adriatico e dell’Egeo, con le tempeste che rendono più difficile e
angosciosa la navigazione. Il II libro, costituito da un’unica lunga perorazione
rivolta ad Augusto, deve scagionare l’elegia erotica ovidiana dall’accusa di
immoralità: notevole anche per le questioni critico-letterarie che investe, que­
sta autodifesa puntigliosamente argomentata passa in rassegna sub specie amoris 8. La fortuna
i principali generi letterari sia greci che latini. Nei libri successivi si fanno
più numerose le elegie rivolte ad un destinatario preciso, non esplicitamente
Il successo La fortuna di Ovidio nella cultura europea, sia in campo strettamente
nominato, ma indicato talvolta attraverso segnalazioni indirette: un altro aspetto
travolgente di un letterario che nelle arti figurative, è stata immensa (inferiore appena a quella
di quell’incertezza che il poeta caduto in disgrazia e lontano dal suo pubblico poeta non «di di Virgilio) fino al Romanticismo. Criticato per ragioni di stile, per il suo
nutre riguardo alle possibili reazioni provocate dai suoi versi. scuola»
Le Epistulae ex
gusto del virtuosismo gratuito (emblematico il giudizio di Quintiliano), Ovi­
La forma epistolare caratterizza decisamente le elegie raccolte nei quat­
Ponto dio ebbe scarsa diffusione nelle scuole antiche di grammatica (non rientra
tro libri dell’altra raccolta dell’esilio, detta perciò Epistulae ex Ponto. Que­
fra gli autori canonici, come attesta tra l’altro la relativa povertà di attività
sta accentuazione del carattere epistolare si manifesta in vari modi: nell’uso
scoliastica sulle sue opere) e anche fra i retori. Ciò nonostante la sua popo-
308 OVIDIO

larità fu subito vastissima (lo documenta anche la presenza frequente dei


suoi versi fra i graffiti pompeiani): ebbe imitatori già in vita (come ad esem­
pio quel Sabino suo amico che compone lettere di risposta alle sue Heroides,
LIVIO
inaugurando una moda di componimenti apocrifi a nome di Ovidio destina­
ta a diffondersi ampiamente in età medioevale e umanistica), ed esercitò
un’influenza molto vistosa sui poeti immediatamente successivi (come ad
esempio sulla Ciris pseudo-virgiliana, o sul misterioso Lìgdamo) fino a tutta
la tarda antichità, da Seneca tragico a Lucano, da Stazio a Valerio Fiacco,
L’aetas Ovidiana da Ausonio a Claudiano (minore fu l’influsso sui poeti cristiani). Noto nel
Medioevo e in età carolingia (alla quale risalgono i più antichi manoscritti
ovidiani pervenutici), Ovidio vedrà fiorire la sua fortuna nei secoli successivi
Vita Tito Livio (il cognomen è ignoto) nacque a Padova nel 59 a.C. Venuto a
(soprattutto XII e XIII), che non a caso saranno definiti aetas Ovidiana
Roma, non partecipò alla vita pubblica, ma entrò in relazione con Augusto. I
per l’eccezionale favore di cui godranno le sue opere, il cui influsso si esten­
suoi interessi si rivolsero dapprima alla filosofia, ma ben presto, cioè tra il 27
derà da Dante, Petrarca, Boccaccio all’Ariosto, al Marino e oltre. Dopo
e il 25 a.C., Livio dovè concentrarsi interamente sulla sua grande opera storica.
il declino subito col Romanticismo, ellenizzante e «primitivo», Ovidio torne­ Si guadagnò notevole prestigio e ammirazione, e tra l’altro si occupò di guidare
rà ad affascinare D’Annunzio e a farsi nuovamente apprezzare dal gusto gli interessi storiografici del futuro imperatore Claudio. Alternò la vita a Roma
di questi ultimi decenni per la poesia elaborata e riflessa. con lunghi soggiorni nella natia Padova, dove morì nel 17 d.C.

Opere Ab urbe condita libri, storia di Roma dalla sua fondazione fino all’epoca con­
temporanea. Ab urbe condita libri è il titolo dato dai codici più autorevoli e da altre
Bibliografia L ’opera com pleta di Ovidio si può l ’elegia ovidiana, Pisa 1984. testimonianze antiche; l’autore indica la sua opera una volta con il nome di anna­
leggere, in numerosi volumi curati da vari Le Heroides si possono leggere nel­ les, altre volte, genericamente, con libri; Plinio il Vecchio, nella prefazione della
studiosi, nella collezione «Belles Lettres» l’edizione di H. D órree , Berlin-New York Naturalis historia, chiama l’opera di Livio historiae. L’opera comprendeva 142 libri,
(Paris 1924-1977). Nella vasta bibliogra­ 1971; tu tto ra utile il vecchio commento di cui si sono conservati i libri 1-10 e 21-45 (quest’ ultimo è tuttavia mutilo dell’ultima
fia, fra le opere generali si segnala H. di A. P a lm er , Oxford 1898; un buon sag­ parte) e scarsi frammenti degli altri libri, fra cui sono celebri quelli relativi alla morte
F r a n k e l , Ovid, A P oet between two gio d ’insieme H . J a c o b s o n , O vid’s H e­ di Cicerone e al giudizio di Livio sulla sua figura, tramandati da Seneca il Vecchio.
Worlds, Berkeley-Los Angeles 1945; L. roides, Princeton 1974.
P . Wn.KiNSON, O vid recalled, Cam bri­ I libri a noi rimasti sono di ineguale ampiezza: si va dai 23 capitoli che compongono
U n ’edizione recente delle M etam or­ il libro 43 ai 72 capitoli del libro 3 (la media è di 50 capitoli per libro).
dge 1955; A A .V V ., O vid (a cura di J. fo s i è curata da W . S. A n d e r s o n , Leip­
B in n s ), London-Boston 1973; in Italia, Si ha inoltre notizia di dialoghi storico-filosofici e altre opere filosofiche, tutte
zig 1982 ; completo ora il m onumentale
si veda S. M a r io t t i , L a carriera poetica commento di F. B ó m e r , in 7 volumi (Hei­ composte nella giovinezza.
di Ovidio, in «Belfagor» 1957 (ora pre­ delberg 1969-1986). U na buona introdu­
messo a O v id io , L ’arte d ’amare, Milano zione al poema è G . K . G a l in sk y , O vid’s
1977). Fonti Sulla vita e l’attività di Livio informano la Cronaca di Girolamo; Plinio Epistu-
M etam orphoses, O xford 1975; si veda
U n a b u o n a e d iz io n e c ritic a d e ll’in te ­ lae II 3, 8; alcuni passi di Quintiliano, di Tacito, ecc.
inoltre, soprattutto su questioni di poeti­
ro ciclo e ro tic o (tra n n e le Heroides) è c u ­ ca, G . R o sa ti , Narciso e Pigmalione. Il­
r a ta d a E. J. K e n n e y , O x fo rd 1961; dei lusione e spettacolo nelle M etam orfosi di
soli A m ores si v e d a a n c h e q u e lla di F . Ovidio, Firenze 1983.
M u n a r i , F ire n z e 19705. In v e c c h ia ti o r ­ La più recente edizione critica dei Fa­
m a i i c o m m e n ti d i P . B r a n d t agli A m o ­ sti è opera di E. H . A lt o n - D. E. W. 1. Il piano dell’opera di Livio e il suo metodo storiografico
res (L eipzig 1911; il so lo lib ro I o r a a W o r m ell - E. C o u r t n e y , Leipzig 1978;
c u ra d i J. B a r sb y , O x fo rd 1973) e a l l u r e per il commento si veda F . B o m e r , H ei­ Il ritorno Nei libri A b urbe condita Livio ritornava alla struttura annalistica che
amatoria (L eip zig 1902; u n b u o n c o m ­ delberg 1957-1958 (ma va ricordato il
m e n to al lib ro I è o r a q u e llo d i A . S. all’annalistica aveva caratterizzato fin dalPinizio la storiografia romana (cfr. p. 52 seg.),
commento, in più volumi, del grande an­
H o ia is , O x fo rd 1977). Sui Rem edia, d o ­ tro p o lo g o J. G. F r a z e r , L o n d o n rifiutando implicitamente l’impianto monografico delle prime opere di Sal­
p o i ricc h i c o m m e n ti, c o m p le m e n ta ri, di 1929-1931). lustio: la narrazione di ogni impresa, per esempio delle campagne militari,
H . J . G eisle r (B e rlin 1969) e C . L u c k e Il testo delle opere dell’esilio è dato si estende per l’arco di un anno, al compiersi del quale viene sospesa mentre
(B o n n 1982), si v e d a o r a R im edi contro da S. G. O w e n , O xford 1915; per un
l ’amore, a c u ra di G . B. C o n t e e C . L a z - ha inizio la narrazione di altri avvenimenti contemporanei; quindi viene adot­
commento dei Tristia si veda G. L u c ie ,
z a r in i , V e n ez ia 1986; sui M edicamina, Heidelberg 1967; edizione e commento tato lo stesso metodo narrativo nei confronti dei fatti dell’anno seguente,
c fr. I cosmetici delle donne, a c u ra d i G . del l’ib is a cura di A. L a P e n n a , Firenze riprendendo la narrazione di quanto lasciato in sospeso allo spirare dell’an­
R o sa t i , V e n ez ia 1985. S u lla p ro d u z io n e 1957 (editore anche degli scoli relativi, Fi­ no precedente, e così via.
ele g iac a si v e d a n o i sag g i d i N . S c rv o - renze 1959). S oprattutto sulle opere del­
i e t t o , M usa iocosa, R o m a 1976, e d i M . Piano dell’opera La narrazione liviana iniziava dalle origini mitiche di Roma, cioè con
l’esilio si fonda lo studio di un grande
L a b a t e , L ’arte di fa rsi amare. M odel­ storico, R . S y m e , H istory in Ovid, Ox­ e libri conservati la fuga di Enea da Troia, e arrivava, col libro 142, alla morte di Druso,
li culturali e progetto didascalico nel­ ford 1978. figliastro di Augusto, avvenuta in Germania nel 9 a.C., o forse anche fino
IL NUOVO REGIME E LE TENDENZE DELLA STORIOGRAFIA LIVIANA 311
310 LIVIO

risultati delle ricerche scrupolose degli antiquari della precedente generazio­


alla disfatta di Varo nella selva di Teutoburgo, nel 9 d.C. Non è escluso
ne, come Attico o Varrone. Di conseguenza, si è visto in lui abbastanza
che secondo il progetto di Livio, interrotto dalla morte, l’opera dovesse com­
spesso soprattutto un exornator rerum, principalmente preoccupato di am­
prendere 150 libri ed arrivare fino alla morte di Augusto, cioè al 14 d.C.
plificare e adornare la traccia che trovava nella propria fonte per mezzo
Si sono conservati i libri 1-10 (la cosiddetta «prima decade»), che arrivano
di una drammatizzazione piena di varietà e di movimento. Su questa strada,
fino alla terza guerra sannitica (più precisamente fino al 293 a.C.) e i libri
21-45 (la terza e la quarta «decade» e metà della quinta), che coprono gli si è arrivati al tentativo di escludere Livio dallo sviluppo della maggiore
storiografia latina da Sallustio a Tacito, cioè dalla grande storiografia senato­
avvenimenti dalla seconda guerra punica (218 a.C.) fino al termine della
guerra contro la Macedonia, nel 167 a.C. Dei libri perduti si sono conservate ria: si è visto insomma in Livio non lo storico senatore e uomo di governo,
(tranne che per i libri 136 e 137) le cosiddette Periochae, brevi riassunti che l’esperienza spesso amara e deludente della vita politica contemporanea
composti probabilmente fra il III e il IV secolo d.C., forse sulla base di mette in grado di formarsi un giudizio personale e approfondito anche sugli
eventi del passato, e al quale la posizione ricoperta facilita l’accesso a fonti
precedenti epitomi, o «compendi» dell’opera liviana.
riservate di documentazione come gli acta senatus, ecc.; ma lo storico lette­
La divisione in Il naufragio di vaste parti dell’opera liviana è probabilmente da spiegar­
decadi rato che lavora soprattutto di seconda mano sulla narrazione di storici pre­
si con la sua suddivisione in gruppi separati di libri, che andarono incontro
Livio storico cedenti. È una tesi che contiene vari elementi di verità, ma che non va spinta
a diverse vicende; alla divisione in decadi si fa cenno per la prima volta
«onesto» fino al punto di contrapporre frontalmente una storiografia senatoria fatta
verso la fine del V secolo d.C., ma è probabile che essa risalga parecchio
da chi sa come la storia viene fatta, e destinata a fornire una guida all’uomo
addietro; anzi, secondo taluni studiosi, potrebbe essere dovuta addirittura
politico, a una storiografia come esercitazione letteraria di uomini incapaci
allo stesso Livio: quest’ultimo infatti pubblicò la propria opera per gruppi
di libri comprendenti periodi distinti, premettendo dichiarazioni introduttive di fare storia, e di conseguenza viziata da insipido moralismo. Certo, Livio è
ad alcuni dei libri coi quali si apriva un nuovo ciclo. Una delle più cele­ probabilmente meno agguerrito di Tacito nell’uso delle fonti e dei documen­
bri è il proemio con il quale si apre la terza decade, che contiene la narrazio­ ti; non ha neppure il razionalismo e lo scetticismo di Sallustio o di Tacito,
la loro diffidenza verso gli slogan della propaganda: ma ciò non significa che
ne della seconda guerra punica: la presenza di un proemio in apertura di
egli non sia uno storico fondamentalmente «onesto», e nemmeno che scriva
una decade ha fatto pensare che questo tipo di suddivisione rispecchi sostan­
in una gioiosa esaltazione del regime augusteo, non incrinata da alcun dubbio.
zialmente le fasi della pubblicazione dell’opera da parte dello stesso Livio.
L’interesse per Come buona parte dei precedenti storici latini, a cominciare da Catone
l’epoca più (cfr. p. 71 seg.), Livio dilatava l’ampiezza della propria narrazione man
recente mano che si avvicinava all’epoca contemporanea: su 142 libri, 85 conteneva­ 2. Il nuovo regime e le tendenze della storiografia liviana
no la storia a partire dall’età graccana, cioè meno di un secolo e mezzo.
La dilatazione corrispondeva alle aspettative dei lettori, che mostravano mag­
giore interesse per le vicende più recenti, soprattutto per la narrazione della La Patavinitas A quanto pare, il regime augusteo non operò, nei confronti della storio­
tremenda crisi politico-sociale dalla quale era emerso il principato augusteo: grafia, un tentativo di egemonia paragonabile a quello attuato nei confronti
di questa impazienza del pubblico ci informa del resto lo stesso Livio nella della poesia. Livio non si collocava certamente all’opposizione, ma neppure
praefatio generale alla propria opera. svolgeva una propaganda di sostegno acritico. Sappiamo da Quintiliano che
Le fonti di Livio Le fonti utilizzate da Livio furono ovviamente numerose; per la prima Asinio Pollione (cfr. p. 318) coglieva in lui tracce di Patavinitas, di provin­
decade, contenente la storia più antica di Roma, c’erano a disposizione qua­ cialismo padovano; Pollione alludeva soprattutto a certi elementi dello stile
si esclusivamente gli annalisti, fra i quali Livio mostra una preferenza per liviano che per noi è ormai difficile individuare, come forse lo era già per
10 stesso Quintiliano. Più difficile è dire se nella Patavinitas si rispecchiasse
i più recenti: l’utilizzazione di Valerio Anziate, di Licinio Macro (un annali­
anche una determinata posizione politico-culturale, un legame particolarmente
sta di tendenze mariane, che scrisse dopo i conflitti civili degli anni ottanta
del I secolo a.C.) e di Claudio Quadrigario sembra molto più vasta di quella stretto con le tradizioni repubblicane, fortemente sentite — come testimonia
di Fabio Pittore. Nelle decadi successive, in cui veniva narrata l’espansione Cicerone nelle Filippiche — in una città di provincia dove ancora era vegeto
di Roma in Oriente, agli annalisti romani veniva ad affiancarsi il grande 11 mos maiorum e ancora non dilagavano le novità corruttrici del lusso e
storico greco Polibio, dal quale Livio attinse soprattutto la visione unitaria Livio «pompeiano» del vizio. Più esplicita sugli orientamenti di Livio è una testimonianza di
del mondo mediterraneo e dei legami fra Roma e i regni ellenistici; sporadi­ Tacito (Annales IV 34), secondo la quale Augusto avrebbe affibbiato allo
storico l’epiteto scherzoso di «pompeiano», per la nostalgica simpatia verso
ca pare invece essere stata l’utilizzazione delle Origines di Catone.
Acriticità nell’uso È stato spesso sottolineato il fatto che Livio non sembra procedere a gli ideali repubblicani che probabilmente si rifletteva anche nella sua opera:
delle fonti un attento vaglio critico delle proprie fonti: in certi casi, la facilità di acces­ il naufragio della sezione di quest'ultima relativa alle recenti guerre civili
so e di reperibilità sembra essere stato il criterio di scelta determinante; è rende impossibile farsi un’idea adeguata del modo in cui Livio narrava la
inoltre notevole la mancanza di sforzo di colmare le lacune della tradizione crisi della res publica, e soprattutto degli umori che dalla narrazione traspa­
rivano; ma sappiamo sempre da Tacito che Livio copriva di lodi Pompeo
storiografica con il ricorso a documentazione di altro genere, che pure sa­
e ostentava rispetto verso altri avversari di Cesare, fra i quali i suoi stessi
rebbe stata facilmente accessibile: Livio fa un uso estremamente scarso della
uccisori, Bruto e Cassio.
documentazione contenuta in manoscritti e antiche iscrizioni, come pure dei
312 LIVIO LO STILE DELLA NARRAZIONE LIVIANA 313

Culto della res Un atteggiamento del genere non destava, in età augustea, particolari La giustificazione e di integrità di costumi. Dalle parti conservate dell’opera di Livio emerge
publica e fastidi: Augusto, soprattutto dopo la riforma costituzionale del 27, era più dell’impero di con prepotenza la giustificazione dell’impero di Roma, alla cui edificazione
condanna della desideroso di presentarsi come il restauratore della repubblica che come l’e­ Roma hanno validamente cooperato una fortuna sostanzialmente non diversa dalla
demagogia rede di Cesare; di conseguenza tollerava, ed egli stesso in qualche misura provvidenza divina, e la virtus del popolo romano. A questo nessun altro
utilizzava, il culto dei martiri della res publica. Su alcuni temi si poteva popolo e nessun condottiero sono in grado di opporsi validamente, perché
perciò registrare un accordo sostanziale fra il regime e lo storico, senza che nessuno è in grado di esprimere una forza morale paragonabile a quella
su quest’ultimo venisse esercitata la minima pressione: il principale fra que­ su cui si fonda lo stato romano. Una volta Livio arriva addirittura a porsi
sti temi era probabilmente la condanna del disordine politico-sociale degli il problema di come sarebbero andate le cose se Alessandro Magno, il
ultimi decenni della res publica, dei conflitti fra i partiti, dell’avidità dei più grande conquistatore dell’antichità, invece che contro l’Oriente si fosse
ricchi ma ancora di più delle rivendicazioni dissennate dei ceti poveri. Il mosso contro Roma; e non ha alcun dubbio ad affermare che neanche
nuovo regime proclamava di avere ristabilito la concordia nel corpo della Alessandro sarebbe riuscito a sopraffare i Romani. Ipotesi del genere avran­
società eliminando i partiti: c’erano tutte le condizioni per l’incontro con no contribuito a consolare Livio dell’amarezza che gli ispiravano i tempi
uno storico che spesso troviamo impegnato nella esecrazione dei mali della presenti. Molto più impregnata del pessimismo che affiora dalla praefatio
demagogia; per cogliere questa tematica, data la perdita delle sezioni relative doveva infatti essere, come si è detto, la narrazione delle epoche più recenti.
alla storia recente, dobbiamo rifarci alla narrazione liviana dei conflitti in­ Forse ciò che in Livio appare come continuo orgoglio nazionalistico, costan­
terni dei primi secoli della repubblica, sui quali lo storico sembra tuttavia te e tenace esaltazione e abbellimento di tutte le gesta dei Romani — per
proiettare abbastanza spesso problematiche e moduli interpretativi legati a esempio nella narrazione della seconda guerra punica — potrebbe solo esse­
conflitti ben più recenti. Un altro importante fattore di convergenza ideale re dovuto alla sua generale tendenza a idealizzare il passato: probabilmente
col principe era costituito dalla politica augustea di restaurazione degli anti­ egli oscurava in adeguata proporzione il quadro dell’ultimo secolo della
chi valori morali e religiosi, una tematica comprensibilmente cara allo stori­ storia di Roma.
co patavino. Il passato come Quando Livio rivolge il suo sguardo a quel percorso di oltre sette
La presa di Si è già detto, tuttavia, che il consenso liviano verso il regime non si condizione e secoli che hanno portato una piccola città del Lazio al dominio del
distanza dal traduceva in una esaltazione incondizionata; ciò ci apparirebbe in tutta chia­ senso del mondo, egli mostra reverenza, quasi sgomento, davanti a tanto spazio
principato presente di tempo e di fatti. Nella rievocazione dell’imponente cammino, egli
rezza se possedessimo la narrazione degli eventi delle guerre civili e del prin­
cipato di Augusto; ma alcune tendenze di fondo si lasciano ugualmente in­ sente la pressione della storia, percepisce il peso e il condizionamento
dovinare dalla praefatio generale che Livio ha premesso alla propria opera. che le immagini del passato esercitano sulla coscienza del tempo presente.
Dalla praefatio traspare infatti una consapevolezza acuta della crisi che Ro­ Quelle immagini agiscono come modelli di comportamento sociale e indivi­
ma ha di recente attraversato, e che lo storico non sembra considerare come duale, sia positivi che negativi, sono inviti alla virtù o avvertimenti
risolta del tutto felicemente: «ormai non siamo più in grado di tollerare» contro le atrocità. Il grandioso passato indica la via della salvezza a
egli scrive «né i nostri vizi, né i rimedi contro di essi»; in realtà, Livio resta chi dovrà rinnovarne nel presente il prezioso esempio. La mitologia del
estraneo a tutta quella parte della ideologia augustea che insiste sul valore passato, insomma, non solo ha senso per gli uomini contemporanei,
«carismatico» del principato, presentandolo come la realizzazione di una ma anche dà senso al loro agire, in quanto sa illustrare esemplarmente
nuova età dell’oro. Se Virgilio, pur fra molte contraddizioni, finiva per giu­ i loro bisogni ideologici.
stificare un disegno provvidenziale il quale aveva sancito che alla pienezza
dei tempi si potesse giungere solo attraverso il molto sangue versato nelle
guerre civili, Livio probabilmente non riusciva a scorgere nella vittoria di
Augusto il rimedio miracoloso che aveva estinto una volta per tutte i germi 3. Lo stile della narrazione liviana
di corruzione che avevano provocato il declino dello stato romano.
La «fuga» dalla Più volte, sia nella praefatio che altrove, Livio accenna al fatto che
crisi la narrazione del glorioso passato di Roma è per lui un rifugio rispetto alla La lactea ubertas Nel gusto stilistico, Livio si oppose nettamente alla tendenza di Sallustio
cura che gli apporta la narrazione degli eventi più recenti e contemporanei: (cfr. p. 209 seg.), avvicinandosi piuttosto allo stile che Cicerone aveva vagheg­
un atteggiamento implicitamente polemico nei confronti della storiografia giato per la storiografia romana. Quintiliano, che riconosceva la superiore
sallustiana, che aveva posto la crisi di Roma al centro della propria indagi­ grandezza di Sallustio come storico, contrapponeva alla sua brevitas austera e
ne. Il pessimismo liviano, che pure esiste, non è altrettanto lucido di quello sentenziosa la lactea ubertas di Livio (Institutio oratoria X 1,32): uno stile
di Sallustio; pur riconoscendo il carattere «epocale» e non episodico della ampio, fluido e luminoso, senza artifici e senza restrizioni, che evita ogni
crisi, Livio rifiuta di concentrare l’interesse su di essa, sforzandosi invece asperitas, e dove i periodi scorrono con facilità. Sempre Quintiliano accenna
di non considerarla separatamente dal quadro generale della storia di Roma: Duttilità e varietà al condor, la limpida chiarezza dello stile liviano. Ma Livio sa conferire
riconosce che la corruzione e la decadenza dei costumi si sono fatte strada dello stile di Livio al proprio stile anche un’ammirevole duttilità e varietà; nella prima decade
anche in Roma, ma più tardi che in qualunque altro stato: complessivamen­ sono più cospicue le concessioni al gusto arcaizzante, conformemente alla
te, nessun altro popolo può offrire esempi più insigni di grandezza morale remota solennità degli eventi narrati; mentre nelle parti successive si fanno
FORTUNA DI LIVIO 315
314 LIVIO

Pathos e Ma la «pateticità» di Livio non ha nulla che sia paragonabile al


La predominanti i canoni del nuovo classicismo. La coloritura poetica è cospi­
maestà epica pathos acceso di Sallustio, alla forte passionalità di uno stile di scrittura
drammatizzazione cua e frequente. Ereditando una tendenza presente già da lungo tempo nella
del racconto storiografia latina (cfr. p. 107), ma che era stata fortemente ridotta da Sallu­ che aveva scandito la narrazione sul ritmo di giudizi acri e l’aveva serrata
stio, Livio lascia largo spazio alla drammatizzazione del racconto, senza tut­ in un pensiero sempre vigile e denso, severo. Quello di Livio è piuttosto
tavia permettere che essa soffochi l’impostazione pragmatica. Sono famosi un modo arioso di rappresentare e di narrare: un modo potremmo dire
i drammi, dove si susseguono scene ricche di pathos, di Lucrezia, leggenda­ «sentimentale» (c’è più ethos che pathos) il quale sa associare, al piacere
ria eroina della Roma arcaica, e di Sofonisba, la nobildonna cartaginese suscitato dal racconto, una certa grandezza delle raffigurazioni. E questo
figlia di Asdrubale e sposa di Massinissa, che preferì bere coraggiosamente non di rado ottiene l’effetto di aggiungere al testo una suggestione di
il veleno piuttosto che cadere preda dei Romani. Ma la drammatizzazione maestà epica: i personaggi acquistano spesso un carattere monumen­
è una tendenza praticamente onnipresente nella narrazione liviana: la ritro­ tale, mai tuttavia accademicamente manierato o eccessivamente enfatico.
viamo nella descrizione delle battaglie (spesso rappresentate secondo lo sche­ Il modello di stile storiografico elaborato da Livio divenne rapidamente
ma della peripezia, cioè del repentino rovesciamento in vittoria di una situa­ un «classico», e rivaleggiò a lungo con l’altro modello, quello appunto
zione inizialmente sfavorevole ai Romani), delle sommosse popolari, nei re­ di Sallustio, il quale esercitò tuttavia nell’antichità un influsso predomi­
soconti dei dibattiti in senato. nante.
Certo, la passione moralistica che contraddistingue la concezione liviana Livio seguace Se volessimo, in conclusione, tracciare i confini che racchiudono l’indi­
La storiografia
di Cicerone rizzo storiografico di Livio, sarebbe facile dire che egli, dichiarato opposi­
«tragica» della storia (non studio politico che spieghi atteggiamenti ed eventi, che ten­
ga conto di strategie di parti e di fazioni, di ideologie e di interessi materiali, tore di Sallustio, fu seguace di Cicerone. Seneca il Vecchio, in Controver-
bensì narrazione da condurre in termini di personalità umane e di singoli siae IX 1,13 seg., ci assicura che nello stile sallustiano Livio criticava
individui rappresentativi) risentiva parecchio della tradizione storiografica il gusto per l’espressione oltremodo concisa, quella ricerca di brevitas
ellenistica: era probabilmente questo il modo di interpretare la storia che con cui Sallustio voleva emulare Tucidide, fino quasi (questa l’accusa)
deve aver caratterizzato le opere perdute di storici come Eforo, e poi Duride a cadere nell’oscurità. In realtà, i precetti che Cicerone aveva dato per
e Filarco, quello stile storiografico che si usa chiamare appunto «tragico» 10 stile storiografico, Livio dovette sentirli buoni per sé, e vi si adeguò
(o anche, per l’influenza esercitata dal modello teorico di Aristotele, «peri- con facile disponibilità: lo stile dello storico doveva «avere varietà di
patetico»). Così la historia, più che «ricerca» della verità, poteva diventare toni» ma soprattutto doveva distinguersi per il «corso dolce e regolare
attività retorica, rientrare nella categoria del letterario (per taluni teorici era dell’espressione» (De oratore II 54). Più chiaramente ancora, Cicerone
cosa vicina all’oratoria, per altri alla poesia). Per sua esplicita ammissione, aveva auspicato «uno stile scorrevole e largo, che si riversi con dolcezza,
Livio fa passare avanti alla ricerca della verità per se stessa la concezione seguendo un corso piano e regolare» (ibidem 64: genus orationis fusum
La descrizione (e l’esposizione) drammatica della storia. Il suo scopo diventa quello di mo­ atque tractum et cum lenitate quadam aequabiliter profluens·, cfr. Orator
«drammatica» dei strare che qualità mentali e morali hanno un impatto decisivo sugli avveni­ 66): un grande fiume, maestoso, largo e pacato — tanto per intenderci
personaggi menti: l’atmosfera di una città agitata, i sentimenti di un popolo o di una — piuttosto che un torrente in corsa tumultuosa.
Un periodare Ma è pur vero che il periodare di Livio, confrontato con quello
folla, i pensieri e i desideri di un personaggio, le sue incertezze psicologiche
destinato alla del modello ciceroniano, risulta spesso carico, affollato, quasi lo impacci
e i suoi calcoli, tutto questo non è «obbiettività», non è il distacco impersona­
lettura 11 desiderio di accumulare troppi particolari importanti in un unico lungo
le che ogni teorico (antico e moderno) pretenderebbe da uno storico fede-
degno. Livio si immerge nelle cose e vuol dare, con tutta una serie di nota­ movimento discorsivo. Se il periodo ciceroniano è fatto per essere ascolta­
zioni parziali di cui sarebbe difficile garantire l’esattezza, l’impressione di to, quello liviano si attende invece di essere letto: in una felicissima analisi
un testimone che ha vissuto dentro il dramma che racconta. Scrivere la sto­ Madvig giudicava: «Livio, non solo è il rappresentante della lingua scritta
ria per Livio è innanzitutto far vivere gli uomini che la fanno: se Fautore vera e propria, ma per di più la sua lingua tende alla pesantezza, col
giudica i suoi personaggi, essi si giudicano anche l’un l’altro. E in questo, suo procedere metodico e calcolato, e a tratti diviene, per eccessiva arte,
le sue doti letterarie — sicuramente non comuni — Ottengono risultati di scorretta e innaturale nel rapporto fra la costruzione del periodo e il
grande effetto. Si può ammirare il senso della gradazione e della composi­ pensiero».
zione, l’arte della frase costruita, e soprattutto le qualità «impressionistiche»
I discorsi iri Livio di chi con le parole sa raffigurare grandi scene di massa. I frequenti discorsi
indiretti diventano la forma espressiva capace di evocare gli stati d’animo
segreti di folle e gruppi di persone; spesso abili discorsi diretti sono compo­ 4. Fortuna di Livio
sti, con efficace arte oratoria, per delineare i pensieri di singoli individui:
e la loro foga impetuosa sbocca — quasi se ne volessero rappresentare gli
Le epitomi Nonostante la prevalenza nell’antichità del modello sallustiano e poi ta­
effetti — nei commenti e nelle considerazioni degli spettatori-ascoltatori. Ca­ dell’antichità citiano, la fortuna di Livio fu molto grande: a lui attinsero gli storici poste­
pita anzi spesso che il punto estremo e più altamente «patetico» di un episo­
dio sia reso con un discorso diretto o indiretto, che ben caratterizza l’animo riori greci e romani, e poeti come Lucano e Silio Italico. L’enorme mole
dei protagonisti. dell’opera fece sì che presto se ne allestissero delle «epitomi», redazioni con­
316 LIVIO

cise e abbreviate: Marziale (XIV 190) ne conosceva una; nelle Perìochae


(«Sommari», come si intitola nei codici la raccolta di sommari che ci è giun­
ta: cfr. p. 544) è conservata la tradizione di questo Livio epitomizzato (pro­
ORIENTAMENTI
babilmente a scopo didattico). Dopo la fine del mondo antico, Livio conti­
nua a venire letto costantemente (anche se non tutto quello da noi oggi
DELLA STORIOGRAFIA
posseduto), nonostante un certo declino della sua fortuna nel primo Medioe­
Medioevo e vo. Dante lo collocò fra i grandi prosatori nel De vulgari eloquentia; Petrarca
Rinascimento ne trasse ispirazione per alcuni episodi άύΥAfrica-, un volgarizzamento della
terza e quarta decade compì molto probabilmente il Boccaccio. Le storie della
repubblica fiorentina composte in latino da Poggio Bracciolini e Leonardo
Bruni devono molti spunti alPispirazione liviana; Machiavelli compose in vol­
gare i Discorsi intorno alla prima deca, la prima riflessione moderna sulle
vicende di Roma, che si sforza di trarre da esse insegnamenti storici di validità
perenne. Gli umanisti si metteranno alla ricerca dei libri perduti: nel 1527 1. Asinio Pollione e la storia delle guerre civili
vennero ritrovati i libri 41-45, nel 1615 il libro 33. In varie epoche temi e
situazioni di tragedie vennero tratti in Italia e in Francia dal testo di Livio.
La tradizione della storiografia senatoria continua in età augustea con
Asinio Pollione, della cui importanza culturale nel suo tempo abbiamo già
trattato (cfr. p. 225).
Bibliografia Edizioni moderne: W . W eissen b o r n 1961; M . M a z z a , Storia e ideologia in Vita di Pollione Gaio Asinio Pollione (76 a.C. - 4 d.C.), proveniente da Teate (Chieti)
- M . M O ller - W . H e r a e u s , Leipzig L ivio, C atania 1966; E. B u r c k , D ie Er- nel paese dei Marrucini, era stato seguace prima di Cesare e poi di Antonio;
1887-1908; R. S, C o n w a y - C . F . W a l - zàhlungskunst des T. Livius, Berlin 19642; nel partito di quest’ultimo fu anzi il secondo personaggio per importanza;
t e r s - S. K. J o h n s o n - A. H . M c D o ­ E. P ia n e z z o l a , Tradizione e ideologia. console nel 40 e proconsole nel 39 (anno in cui riportò il trionfo su popola­
n a l d - R. M . O g il v ie , Oxford 1919-1974 Livio interprete d i Polibio, Bologna 1969;
(libri 1-35). Commenti: W . W eissen bo rn
zioni dalmatiche), successivamente si ritirò dalla vita politica, mantenendo
P . F e d e l i , Ideologia e stile: i poetism i
- H . J. M O l l e r , Berlin 19104; R. e gli arcaismi liviani, in «Quaderni di Sto­ sotto Augusto una posizione di notevole indipendenza. Il suo vario talento
M . O g il v ie , O xford 19692 (libri 1-5); ria», 1976; A. L a P e n n a , A spetti del pen ­ trovò espressione nel campo della politica, dell’oratoria, della storiografia,
J. B r is c o e , O xford 1973-1981 (libri siero storico latino, Torino 1978; A. D. della poesia, della protezione di poeti e della critica letteraria. In gioventù
31-37). L e e m a n , Orationis ratio. Teoria e prati­
era stato amico di Catullo e di Elvio Cinna; nell’anno del consolato, Virgilio
Studi: P. G. W a l s h , Livy. H is His- ca stilistica degli oratori, storici e filo so ­
torical A im s and M ethods, Cambridge f i latini, trad. it. Bologna 1974. gli aveva dedicato la quarta egloga (cfr. p. 231). Asinio fu autore di tragedie
ma fu celebre soprattutto come oratore: di tendenza atticistica, mantenne
sempre un atteggiamento di forte ostilità, anche personale, nei confronti
di Cicerone, non cessando neanche dopo la morte di denigrarne la memoria.
Asinio portava le proprie tendenze atticistiche anche nella critica letteraria:
sappiamo da Seneca il Vecchio (Controversiae IV, praefatio 3) che pochi
scrittori contemporanei sfuggivano alla censura del suo strictum et asperum
et nimis iratum iudicium.
Le Historiae di Le Historiae di Asinio Pollione, iniziate nell’anno della morte di Sallu­
Pollione stio, il 35 a.C., coprivano a quanto pare il periodo dal primo triumvirato
(60 a.C.) in poi: il periodo più tumultuoso della storia romana recente, che
comprendeva la guerra civile fra Cesare e Pompeo, la dominazione di Cesa­
re e i nuovi conflitti dopo la morte di quest’ultimo, forse fino alla battaglia
di Filippi: a ragione Orazio, nella prima ode del secondo libro, poteva affer­
mare che Asinio non esitava ad avanzare su un terreno incandescente e ad
occuparsi dei conflitti che ancora covavano sotto la cenere. Purtroppo delle
Historiae sono rimasti solo scarsi frammenti, il che rende estremamente dif­
ficile ricostruire le tendenze della storiografia di Pollione; probabilmente,
l’indipendenza ostentata nei confronti del nuovo principe non prendeva for­
ma di aperta opposizione.
I giudizi crìtici di Dal punto di vista stilistico, Pollione era, come si è accennato, rappre­
Pollione sentante di un atticismo esasperato, di una maniera tucididea «primitiva»;
318 ORIENTAMENTI DELLA STORIOGRAFIA POMPEO TROGO 319

i gusti di Pollione si esprimevano anche nei velenosi giudizi su altri scrittori: alle Historìae Philippicae, in 44 libri, perdute, ma delle quali sopravvi­
Cesare mancava, a suo avviso, di diligentia e di riguardo per la verità stori­ ve tuttavia il compendio compilato da un certo Giustino nel II ο III se­
ca; Sallustio eccedeva negli arcaismi, nelle oscurità, nell’uso dei traslati; Ci­ colo d.C.: sufficiente per renderci conto di alcune tendenze storiografi-
cerone mancava del senso della corretta e pura Latinitas, accumulava troppe che di Pompeo Trogo, ma non perché possiamo apprezzare le qualità del
metafore, e peccava di neglegentia; a Pollione risale anche la critica della suo stile.
Patavinitas, il «provincialismo padovano» di Livio (cfr. p. 311). La perdita Il cambiamento di Il titolo dell’opera di Pompeo Trogo riprendeva quello delle Storie Fi­
dell’opera di Pollione rende impossibile giudicare fino a che punto egli fos­ prospettiva lippiche dello storico greco Teopompo (IV secolo a.C.), che esaltavano le
se, come scrittore, all’altezza degli elevati requisiti che pretendeva dagli altri. imprese di Filippo di Macedonia. La struttura delle due opere era diversa,
Stile «secco» fino Ma l’idea che possiamo farci è quella di una affettata secchezza, di uno perché Teopompo si limitava alle vicende della Grecia e della Macedonia,
all’oscurità straniato mosaico verbale composto con cura meticolosa. Seneca accenna mentre Pompeo Trogo compose una vera e propria storia universale, che
una volta alla compositio salebrosa («scabra») di Asinio Pollione: in effetti andava dalle antichissime vicende di Babilonia fino ai tempi dell’autore. La
il frammento relativo alla morte di Cicerone, conservato da Seneca il Vec­ ripresa del titolo si giustifica tuttavia col fatto che alla storia della Macedo­
chio (che tuttavia sottolinea come non si tratti di un esempio paradigmatico nia era riservata la parte maggiore della narrazione (libri 7-40), mentre solo
dello stile di Pollione) colpisce per la stranezza dell’ordine delle parole, per i due ultimi libri si occupavano della storia di Roma e delle regioni occiden­
l’abbondanza di traiectiones («trasposizioni») che finiscono per renderlo scar­ tali.
samente perspicuo: e fa tornare alla mente la critica ciceroniana, nell O r a ­ Si intravede una concezione profondamente diversa da quella di Livio,
to/·, agli oratori latini di tendenza tucididea, che pronunciano frasi mozze per il quale Roma era il pernio intorno a cui ruotavano le vicende della
e sconnesse. storia universale, e gli altri popoli venivano presi in considerazione nella
misura in cui si trovavano a fronteggiare Roma e cadevano inesorabilmente
sotto il suo dominio. Probabilmente la stessa scelta del titolo sta a dimostra­
re che Pompeo Trogo considerava l’impero macedone come il più grande
2. Autobiografia e propaganda: Augusto che mai si fosse affacciato sulla scena del mondo; è comunque evidente
il ridimensionamento della funzione di Roma nella storia universale: agli
occhi di Pompeo Trogo, quella romana è solo una delle numerose egemonie
I Commentarii di Si è accennato in precedenza (cfr. p. 107) alla discreta fioritura di com­ che si sono succedute nei secoli.
Agrippa e mentarii autobiografici a partire dall’età sillana: la tradizione continua in L’impostazione Come fonte, Pompeo Trogo si avvaleva largamente dello storico greco
Augusto età augustea, quando Agrippa, stretto collaboratore e genero di Augusto, antiromana contemporaneo Timàgene, di tendenze notevolmente ostili a Roma e al prin­
scrive appunto un’autobiografia. Sappiamo inoltre di Commentarii de vita cipato. Se ne è voluto trarre la conclusione che anche le Historìae Philippi­
sua composti dallo stesso Augusto. Dalle poche testimonianze che ne riman­ cae fossero dominate da un’impostazione decisamente antiromana. In effet­
gono, si vede come in quest’opera il principe alimentasse l’alone carismatico ti, spunti di polemica antiromana affiorano qua e là nel compendio di Giu­
intorno alla propria figura, come già aveva fatto Siila: ricordava, infatti, stino: troviamo ricordate quasi con compiacimento alcune delle più gravi
prodigi e profezie che lo riguardavano. Di carattere molto diverso — in disfatte subite dai Romani; vediamo elogiati personaggi come Annibaie, Pir­
quanto il carattere ufficiale di questo documento faceva sì che gli elementi ro o Mitridate; mentre rilievo notevole è dato alle vicende di un popolo
carismatici fossero radicalmente emarginati — era l’iscrizione funebre che tradizionalmente nemico di Roma, i Parti, tornato a farsi particolarmente
Augusto compose per il proprio sepolcro, che ci è stata conservata nella temibile proprio all’epoca in cui Trogo scriveva. Ma, a quanto possiamo
doppia redazione greca e latina sull’epigrafe di un tempio dedicato ad Augu­ giudicare dal compendio di Giustino, non è probabile che la polemica anti­
sto e alla dea Roma-, ad Ancyra nell’Asia Minore (Monumentum Ancyra- romana costituisse l’ispirazione di fondo dell’opera di Pompeo Trogo, né
num), e della cui efficacia come opera di propaganda abbiamo trattato a che essa fosse condotta con quella sistematicità che alcuni interpreti hanno
p. 225. supposto.

I modelli di Si è detto che è molto difficile farci u n ’idea dello stile di Pom peo Trogo: a quanto
Trogo: Sallustio e possiamo vedere, egli era un im itatore di Sallustio, che tendeva tuttavia a sviluppare
Cesare il gusto sallustiano per le antitesi concise in quello per l’amplificazione patetica,
3. Pompeo Trogo e i riflessi dell’opposizione antiromana finendo in tal m odo per sfibrare l’originaria forza stilistica del modello. Sappiamo
anche che, quando doveva dar voce ai suoi personaggi, preferiva il discorso indiretto
a quello diretto. Questa tendenza, che contrastava con quella più largamente diffusa
Le Historìae Pompeo Trogo, all’incirca contemporaneo di Livio, originario della Gallia nella storiografia rom ana, derivava a Trogo probabilm ente da Cesare, il quale a
Philippicae Narbonese, veniva da una famiglia di fedeli collaboratori dei dominatori sua volta l’aveva tratta dalla tradizione dei rapporti militari e governativi. M a nella
romani: il nonno aveva combattuto agli ordini di Pompeo nella guerra con­ lunghezza dei discorsi indiretti, a quanto possiamo vederè — una lunga o rat io obli­
qua di M itridate è stata preservata da Giustino proprio perché il lettore potesse far­
tro Sertorio, il padre aveva militato sotto Cesare. Trogo compose, a quanto si u n ’idea dello stile delle Historìae Philippicae — , Trogo tendeva alla esagera­
pare, alcune opere di storia naturale; ma la sua fama è dovuta soprattutto zione.
320 ORIENTAMENTI DELLA STORIOGRAFIA VALERIO MASSIMO - STORIOGRAFIA DELL’OPPOSIZIONE SENATORIA 321

4. La storiografia del consenso: Velleio Patercolo e Valerio Massimo to della maturità: si tratta di un modello evolutivo «organicistico» che già
era stato applicato alla vita delle nazioni e degli imperi), si addentra anche
in divagazioni sull’aspetto architettonico delle città.
Vita di Velleio Il rapporto del principato con gli intellettuali si era incrinato già nell’ul­ L’opera di Valerio Un caloroso sostegno al regime tiberiano si esprime anche nei nove libri
Patercolo tima fase del dominio di Augusto (cfr. p. 222); per di più, a differenza Massimo Factorum et dictorum memorabilium che Valerio Massimo pubblicò proba­
di quest’ultimo, il secondo imperatore, Tiberio, mancava delle qualità di bilmente intorno al 31-32 d.C., poco dopo la caduta e l’uccisione di Seiano:
organizzatore del consenso intorno al regime. Ciò nonostante, egli trovò alle lodi che già Velleio prodigava a Tiberio si aggiunge infatti, da parte
un appassionato célebratore in Velleio Patercolo, originario di Aeclanum di Valerio, quella di avere salvato l’impero dalla rovina che Seiano gli anda­
nell’Irpinia. È lo stesso Velleio a darci notizie sulla propria biografia: rivela va preparando.
di discendere da una famiglia di buone condizioni, e di avere militato sotto Gli Exempla Della vita di Valerio non sappiamo praticamente niente oltre al pochissi­
Tiberio, come comandante della cavalleria, in Germania e in Pannonia; nel mo che egli ci dice di sé: non era ricco e apparteneva alla clientela di un
14 d.C. Tiberio lo designò pretore per l’anno seguente. Le informazioni Sesto Pompeo, console nel 14 d.C., al cui seguito aveva visitato nel 27 l’A­
autobiografiche di Velleio si fermano appunto all’anno 14; ma egli è certo sia Minore. L ’opera di Valerio Massimo — che solo per comodità e per
vissuto fino a dopo il 30, perché la sua opera, le Historiae, venne dedicata una certa affinità tematica abbiamo rubricato in una sezione dedicata alla
a Marco Vinicio in occasione del suo consolato, che è appunto di quell’anno. storiografia — è propriamente una raccolta di Exempla, un prontuario di
Le Historiae: Le Historiae, in due libri (le conserviamo con alcune cospicue lacune) muo­ modelli di vizi e virtù destinato all’uso delle scuole di retorica; gli Exempla
caratteri generali vevano dalle età remote per arrivare fino all’epoca contemporanea, ma le sono suddivisi per capitoli a seconda della materia che servono a illustrare
vicende di quest’ultima vi avevano una prevalenza ancora più spiccata di (De religione, De patientia, De humanitate et clementia, De severitate, De
quanto pure non fosse consueto nella precedente storiografia latina; mentre mutatione morum ac fo rtu m e , ecc.) e ogni capitolo è a sua volta di solito
le epoche più antiche sono trattate sinteticamente, quasi in forma di com­ ripartito in sezioni rispettivamente dedicate agli Exempla romani e stranieri;
pendio. Velleio non brilla né per doti di penetrazione storica, né per pregi in generale, si ha comunque l’impressione che Valerio guardi agli altri popo­
letterari; ma riesce a conferire abbastanza spesso alla propria narrazione L’esaltazione dei li con inconcutibile certezza della superiorità morale di Roma. Dalla raccol­
un andamento vivace che ne rende gradevole la lettura. valori tradizionali ta, composta in uno stile fiacco e piuttosto scialbo nonostante le ambizioni
Il panegirico di L’interpretazione della storia recente fa pernio sulla celebrazione dell’o­ retoriche, emerge, ovviamente, il sistema dei valori privilegiati da Valerio
Tiberio pera di risanamento sociale, di pacificazione interna e di soffocamento dei Massimo: coerentemente con l’ispirazione «catoniana» del regime di Augu­
conflitti civili, che è stata iniziata da Cesare e consolidata da Augusto, della sto e più ancora col grigio moralismo di quello di Tiberio, dominano i valori
cui politica Tiberio è visto come il continuatore e il perfezionatore. Quando tradizionali e arcaizzanti del mos maiorum, anche se alcuni capitoli sono
arriva a trattare di lui, la storia di Velleio si trasforma quasi in un panegiri­ dedicati a valori che fanno parte di un modello etico più aperto alle istanze
co: Tiberio è dipinto come un generale di immensa esperienza, un politico di «modernizzazione», come liberalitas e humanitas.
saggio e clemente, insomma la migliore guida che l’impero possa desiderare. Fortuna di Il carattere proprio dell’opera di Valerio Massimo, la quale riduceva
Nella storiografia senatoria covava sempre più o meno l’ostilità al principa­ Valerio Massimo la storia a una galleria di ritratti legati a un aneddoto da cui si potesse
to della classe aristocratica estromessa dal potere (ricordiamo la fosca imma­ agevolmente trarre una morale, ne propiziò la larga e costante fortuna in
gine tacitiana di Tiberio: cfr. p. 449 seg.); Velleio è piuttosto il portavoce tutte le epoche seguenti. Valerio Massimo è più volte usato e citato dagli
del lealismo verso il principato della classe militare dalla quale provenivano autori successivi; nel IV secolo dall’opera sua furono tratti due compendi;
i suoi antenati e lui stesso. Si comprende l’attenzione con cui egli segue uno, giuntoci integralmente, di Giulio Paride, l’altro, che si arresta al III
l’ascesa degli homines novi: spicca soprattutto, fra questi, lo stretto collabo­ libro, di Ianuario Nepoziano. In tutto il Medioevo la sua fortuna fu pari
ratore di Tiberio, il molto discusso Seiano, del quale Velleio traccia un ri­ a quella dei più celebri autori latini: Francesco Petrarca, ad esempio, lo
tratto altamente elogiativo. prese come modello, sia nella struttura che nel contenuto morale, dei suoi
Il ritratto Una particolare sensibilità Velleio dimostra verso l’emergere di nuovi Libri rerum memorandarum. Ancora nel Rinascimento, l’influsso di Valerio
«paradossale» valori e di personalità di tipo nuovo, riuscendo a dare vita, nella propria Massimo si estende fino nel campo delle arti figurative: cicli pittorici di no­
narrazione, a personaggi del tipo che è stato definito «paradossale», che tevoli artisti (Beccafumi, il Pordenone) sono sicuramente ispirati a sezioni
racchiudono in sé un inscindibile miscuglio di virtù e di vizi: ne è un esempio dei Factorum et dictorum memorabilium libri.
il ritratto di Mecenate, a un tempo politico energico e gaudente debosciato.
La storia La relativa finezza con la quale Velleio riesce a cogliere le modificazioni
culturale in del costume ha in un certo senso il suo corrispettivo nell’interesse col quale
Velleio Patercolo egli segue lo svolgersi della storia culturale, una tematica che la precedente 5. Storiografia dell’opposizione senatoria
storiografia non aveva mai affrontato in maniera sistematica: Velleio infor­
ma sulla penetrazione della cultura greca in Roma, sulla evoluzione dei gusti
del pubblico, sulle vicende dei generi letterari (in base all’ingenuo schemati­ Sotto il regime di Tiberio, la corrente più forte e più vitale della storio­
smo secondo il quale ogni genere declina rapidamente dopo il raggiungimen­ grafia era quella dominata dagli orientamenti ostili al principato. L’opposi­
322 ORIENTAMENTI DELLA STORIOGRAFIA CURZIO RUFO - BIBLIOGRAFIA 323

L’opposizione a zione, variegata, si esprimeva tanto nel culto dei martiri repubblicani, so­ diffuso nelle scuole di retorica, come sappiamo da Seneca il Vecchio e vedia­
Tiberio: Labieno prattutto di Catone Uticense, quanto nella letteratura favorevole a Germani­ mo dalla raccolta di Valerio Massimo, dove occupa un posto d’onore e figu­
e Cremuzio co e alla sua famiglia, in cui si coagulavano le illusorie speranze di una ra sotto le «rubriche» più diverse: amicitia, patientìa, iracundia, clementia,
Cordo conciliazione del principato con la libertà. Perduto il controllo sulla storio­ Alessandro eroe superbia, e, ovviamente, cupiditas gloriae. La figura di Alessandro non era
grafia, il regime si lascia andare a gesti di intolleranza repressiva, le cui da romanzo tuttavia solo un elemento della iconografia politica o materia di esercitazioni
prime avvisaglie si erano avute già verso la fine del principato augusteo, retoriche, perché da tempo si era conquistata un posto importante nella tra­
quando era stato decretato il rogo dell’opera storica — che evidentemente dizione della letteratura di intrattenimento: già la cultura ellenistica aveva
trattava di eventi recenti — di Tito Labieno (soprannominato Rabienus per fatto del sovrano macedone una specie di eroe da romanzo, dilettandosi
la sua animosità polemica). Labieno, che fu anche celebre oratore, non ac­ nel racconto delle sue avventurose conquiste nelle remote regioni orientali,
cettò di sopravvivere alla propria opera, e si suicidò, nel 12 d.C., nel sepol­ spesso avvolte di un alone fiabesco e meraviglioso. Della combinazione di
cro dei propri antenati. Sotto il regno di Tiberio, quando ancora era forte tutti questi aspetti della tradizione su Alessandro risente l’opera di Curzio
la potenza di Seiano, analoga sorte venne decretata agli Annales di Cremu­ Rufo, destinata a sua volta a influenzare largamente le diverse redazioni
zio Cordo, il quale, a quanto apprendiamo da Tacito, aveva esaltato Bruto del cosiddetto Romanzo di Alessandro, che avrebbe incontrato vasta fortuna
e definito Cassio l’ultimo dei Romani. L’opera storica di Cremuzio Cordo Il gusto del nella cultura del Basso Impero e del Medioevo (cfr. p. 549). Curzio Rufo,
venne salvata fortunosamente dal rogo, e pubblicata in seguito; mentre Cre­ narratore che scrive in uno stile intensamente ritmico e pieno di colore, con la facile
muzio prevenne col suicidio l’esito del processo che gli era stato intentato scorrevolezza che è tipica della tradizione liviana, ha inteso fare opera di
a opera di Seiano. narratore più che di vero storico, come dimostra l’usò abbastanza disinvolto
Altri storici di età La nostalgia per il passato repubblicano si esprimeva probabilmente an­ di fonti ellenistiche talora contrastanti, favorevoli e sfavorevoli ad Alessan­
tiberiana che nell’opera storica di Seneca il Vecchio (cfr. p. 340 seg.); più difficile dro: Curzio Rufo ricorda Clitarco e Timàgene, ma è evidente anche l’utiliz­
è precisare gli orientamenti degli Annales di Fenestella, che fu soprattutto zazione di altri autori. Dato il naufragio della copiosa produzione storiogra­
un erudito e un antiquario, vissuto nell’età di Augusto o in quella di Tibe­ fica ellenistica su Alessandro, l’opera di Curzio Rufo, indipendentemente
rio. In epoca tiberiana sono da collocarsi anche Servilio Nomano, storico dalle intenzioni dell’autore, si rivela qua e là anche una pregevole fonte
di opposizione, importante fonte di Tacito che dimostra nei suoi confronti di informazione. Coerentemente col fine di Curzio Rufo, che è soprattutto
grande rispetto, e probabilmente Aufidio Basso, autore di un’opera sulla quello di interessare il lettore e di colpirne la fantasia, il personaggio di
guerra contro i Germani, e di un’altra in cui era narrata la storia di Roma, Alessandro esce dalla sua opera come un misto di crudeltà e di generosità,
forse a partire dall’epoca di Cesare: a quest’ultima si ricollegherà l’opera di virtù e di corruzione. Le sue vicende sono soprattutto il pretesto a un
storica di Plinio il Vecchio, così come Sallustio nelle Historiae aveva fatto gusto del narrare e del favoleggiare che si trova pienamente a proprio agio
con Sisenna. con gli episodi romanzeschi, i paesaggi esotici, le scene dense di pathos.
Ne risulta un’opera per molti aspetti piacevole.

6. Storiografia come intrattenimento letterario: Curzio Rufo


Bibliografia Edizioni moderne: i frammenti di rò, Struttura e m etodo dell’epitom e di
Asinio Pollione e degli altri storici ricor­ Giustino, Torino 1957; L . C a s t ig l io n i ,
La datazione Quinto Curzio Rufo, un personaggio altrimenti sconosciuto (si è propo­ dati in questo capitolo si possono legge­ Studi intorno alle Storie Filippiche di Giu­
dell’opera di sto di identificarlo con un retore ricordato da Svetonio) compose delle H i­ re in H . P e t e r , H ìstoricorum Rom ano- stino, Napoli 1925; G . F o r n i , Fonti e va­
Curzio Rufo rum Reliquiae, voi. II, Leipzig 1906. Mo- lore storico di P om peo Trogo, Urbino
storiae Alexandri Magni, in 10 libri,· di cui i primi due sono andati perduti, num entum A n cyra n u m : E. M a l c o v a t i , 1958; I. L a n a , Velleio Patercolo o della
mentre gli altri ci sono pervenuti con qualche lacuna. La datazione dell’ope­ Torino 19624. Trogo-Giustino: O. S e e l , propaganda, Torino 1952; R. G u e r r in i ,
ra di Curzio Rufo continua a essere uno dei problemi più tormentati degli Leipzig 1956 (frammenti di Pompeo T ra­ Studi su Valerio M assim o, Pisa 1981; A.
studi filologici (la si è potuta collocare nell’età di Augusto come in quella go) e 1972 (epitome di Giustino). Velleio L a P e n n a , M obilità dei modelli etici e
Patercolo: F. W . S h ip l e y , Cambridge relativismo dei valori: da Cornelio N e­
di Teodosio), poiché, in mancanza di qualsiasi notizia dovuta a altri scritto­ (Mass.) - London 1924; C. S t e g m a n n d e p o te a Valerio M assimo e alla Laus Pi-
ri, si è costretti ad affidarsi esclusivamente a quelle che si ritengono essere P r it z w a l d , Leipzig 1933; commento di sonis, in Società rom ana e produzione
allusioni ad avvenimenti più o meno contemporanei contenute all’interno A. G. W o o d m a n , Cambridge 1977. Va­ schiavistica, a cura di A. G ia r d in a e A.
dell’opera. L ’ipotesi da lungo tempo prevalente è comunque che Curzio Ru­ lerio Massimo: C. K e m p f , Leipzig 1882. S c h ia v o n e , voi. I li, Bari-Roma 1981; S.
Curzio Rufo: H . B a r d o n , Paris 1947; K. D o sso n , É tude sur Quinte-Curce, Paris
fo scriva sotto il regno di Claudio, poco dopo la morte di Caligola: si è
M O l l e r , Miinchen 1954. 1887; A . D . L e e m a n , Orationis ratio.
pensato, fra l’altro, di poter individuare un gioco di parole sul nome di Teoria e pratica stilistica degli oratori, sto­
Caligola in un passo dell’opera. Studi: J. A n d r é , L a vìe et l ’oeuvre rici e filo so fi latini, trad. it. Bologna
La figura di Il «mito» di Alessandro Magno fu sempre vivace nella Roma di età de A sinius Pollio, Paris 1949; L. F e r r e ­ 1974.
Alessandro imperiale, contribuendo fra l’altro a ispirare pose e atteggiamenti di alcuni
Magno principi; d’altra parte il sovrano macedone era un «esempio» largamente
l ’a r c h i t e t t u r a 325

L’epitome di Il testo originale di Verrio Fiacco è andato perduto, ma ci rimane, sia


ERUDIZIONE Festo pure in misura molto parziale, il compendio che ne trasse un grammatico
del II-III secolo, Sesto Pompeo Festo. Festo non si limita però a un piatto
E DISCIPLINE TECNICHE riassunto, ma spesso, sulla scorta di notizie desunte da altre fonti, prende
posizione contro Verrio.
L’epitome di Festo fu a sua volta compendiato, in età longobardo-carolingia, da Pao­
Paolo Diacono: lo Diacono. Questo compendio ci è interamente conservato; ma si tratta
fortuna di Verrio di ben poca cosa, come mole e come impegno critico, rispetto anche soltanto
Fiacco all’opera di Festo. Questi resti lasciano però pur sempre intravedere quanta
ricchezza di erudizione antiquaria, storica e grammaticale vi fosse in Verrio
Fiacco, spiegandoci la fortuna che egli incontrò presso gli eruditi dell’età
imperiale (Plinio il Vecchio, per esempio, lo usò abbondantemente); del re­
sto, l’opera di Verrio-Festo-Paolo fornisce tuttora notizie preziose per gli
1. Erudizione e studi grammaticali in età augustea studiosi della lingua, delle istituzioni e della civiltà di Roma.

La biblioteca La fondazione a Roma di tre biblioteche pubbliche sta senza dubbio


Palatina e Igino a significare l’aumentata domanda di lettura. A dirigere una di queste bi­ 2. Le discipline tecniche in età augustea e giulio-claudia
blioteche, la Palatina, venne chiamato un liberto di Augusto, Gaio Giulio
Igino, spagnolo secondo Svetonio, secondo altri originario di Alessandria Difficoltà di una In generale, la cultura latina è povera di prosa scientifica. Il prestigio
(questo personaggio non va confuso con l’omonimo mitografo, alquanto prosa scientifica della retorica impediva la nascita di una prosa che — sul modello di quella
più tardo, autore di una raccolta di Fabulae). A quanto pare, in un periodo in Roma filosofica di Aristotele — rinunciasse agli ornamenti e puntasse alla defini­
successivo Igino cadde in disgrazia, e morì in miseria: ma la sua nomina zione di una terminologia precisa e al rigore dell’argomentazione. D ’altra
a prefetto della Palatina sta comunque a significare che l’ascesa sociale di parte, a che una vera e propria prosa scientifica non si formasse, contribuiva
personaggi di origine servile poteva aver luogo attraverso le attività culturali anche la forte tradizione del poema didascalico, cui erano ricorsi, per esem­
oltre che attraverso le intraprese economiche. Igino scrisse un commento pio, Lucrezio e Manilio.
all’opera di Virgilio, un trattato di agricoltura, uno sulla origine delle api, Tuttavia, la prima età imperiale, dopo Varrone e prima di Plinio il Vec­
e varie opere, tutte ugualmente perdute, di antiquaria e di erudizione, un chio, conosce una discreta fioritura di letteratura scientifica.
po’ alla maniera di Varrone.

L ’architettura: Vitruvio
Verrio Fiacco
Il De architectura Tra il 27 e il 23 a.C. Vitruvio Pollione, che era stato ufficiale del genio
I Fasti di Verrio Il maggiore grammatico del tempo fu tuttavia Verrio Fiacco, originario di Vitruvio: data sotto Cesare e addetto alla costruzione di macchine da guerra (ma anche
Fiacco di Preneste, che Augusto scelse come precettore dei nipoti Lucio e Gaio. di composizione in tempo di pace aveva fatto l’architetto: egli stesso ricorda di avere proget­
e contenuto tato e costruito la basilica di Fano), pubblicò un trattato De architectura
Scrisse varie opere, tutte perdute, di grammatica e di erudizione, fra cui
dei Fasti che Ovidio utilizzò largamente nella sua opera -omonima. Questi in 10 libri, dedicato ad Augusto, il quale gli aveva procurato una pensione,
Fasti furono fatti incidere da Verrio stesso in marmo nel foro di Preneste, permettendogli così di mettere a frutto la sua cultura e la sua esperienza
dove gli era stata anche eretta una statua. Una parte di essi ci è stata restitui­ tecnica componendo l’opera con cui voleva guadagnarsi la fama presso i
ta da scavi: sappiamo che arrivavano fino al 22 d.C., e dunque la morte posteri. Probabilmente non a caso l’opera compariva negli anni in cui il
di Verrio va situata dopo questa data. principe si proponeva un vasto programma di rinnovamento dell’edilizia pub­
Il De verborum Tra le opere erudite di Verrio Fiacco si possono ricordare dei Rerum blica di Roma e dell’impero. Il I libro tratta dei luoghi adatti alle costruzio­
significatu: Etruscarum libri. Ma il suo nome è legato al De verborum significatu, un’o­ ni, il II dei materiali, il III e il IV degli edifici sacri, il V degli edifici pubbli­
grammatica e pera composta in forma di glossario alfabetico di termini difficili o desueti. ci, il VI e il VII di quelli privati, l’V ili dell’idraulica, il IX degli orologi
antiquaria Come nelle opere di Varrone, l’interesse grammaticale era strettamente con­ solari, il X di meccanica, cioè della costruzione di gru, ordigni idraulici e
nesso con la ricerca antiquaria; i singoli lemmi offrivano continuamente oc­ bellici. La tradizione ha privato l’opera di Vitruvio dei disegni che — per
casione all’autore per excursus sull’antica Roma e sui popoli italici, intessuti sua stessa dichiarazione — la corredavano.
di citazioni da scrittori antichi e spesso poco conosciuti. Varrone stesso era L’architettura Nella concezione di Vitruvio, l’architettura è vista, in senso quasi aristo­
più volte citato, e costituiva una tra le fonti principali del De verborum come imitazione telico, come imitazione delPordine provvidenziale della natura. Perciò egli
della natura richiede dal suo architetto una cultura ricca e varia, quasi del tipo di quella
significatu.
LA MEDICINA E L AGRICOLTURA 327
326 ERUDIZIONE E DISCIPLINE TECNICHE

che Cicerone esigeva per l’oratore (il paragone non è peregrino, perché il Scribonio Largo e Di poco posteriore a Celso è un altro scrittore, Scribonio Largo, il quale si occupò,
Antonio Musa a differenza di Celso, esclusivamente di medicina. Si sa che visse al tempo di C lau­
modello del De oratore ciceroniano è effettivamente presente al pensiero dio. Di lui ci rim ane un libro di ricette (in latino, Compositiones) scritto senza prete­
di Vitruvio). Specialmente nei proemi, di grande interesse per la comprensio­ se letterarie, per soli fini di utilità pratica.
ne dello statuto delle discipline tecniche in Roma, Vitruvio insiste sul fatto Sotto il nome di A ntonio M usa, medico di A ugusto e di Orazio, ci rimane uno
che l’architetto non deve essere solo uno specialista, ma deve possedere una scritto intitolato D e herba vettonica: m a si tratta di u n ’opera di età più tarda.
vasta cultura generale: la conoscenza dell’acustica è richiesta per la costru­
zione dei teatri, quella dell’ottica per l’illuminazione degli edifici, quella del­
L’architetto la medicina per l’igiene delle aree edificabili. Ma la cultura enciclopedica
L ’agricoltura: Columella
«filosofo» che Vitruvio auspica per il suo architetto ideale fa pernio soprattutto sulla
La letteratura Fra le discipline tecniche, l’agricoltura occupava una posizione di privi­
filosofia. Appare evidente, dai proemi di Vitruvio, l’esigenza di conferire agricola e legio: data la tradizione di proprietari terrieri degli aristocratici romani, mem­
all’architetto il prestigio sociale e culturale che la società antica di solito Columella bri illustri della classe dirigente, come Catone e Varrone, non avevano disde­
negava ai rappresentanti delle discipline tecniche; la giustificazione della di­
gnato di scrivere di questo argomento. Un trattato ancora più impegnativo
sciplina architettonica di fronte al pubblico è ricercata attraverso una con­
(De re rustica) venne pubblicato da Lucio Giunio Moderato Columella, con­
nessione con la filosofia che si risolve in una subordinazione, almeno sul
temporaneo di Seneca, e originario di Gades (Cadice) in Spagna. Poco sap­
piano programmatico. L’ossequio alla filosofia, che Vitruvio proclama nei
piamo del suo ambiente sociale di provenienza. U n’iscrizione di Taranto
proemi, incide infatti piuttosto scarsamente sulla trattazione vera e propria,
10 presenta come tribuno della legio VI Ferrata, di stanza in Siria. Il tribu­
dove la concreta esperienza dell’architetto è ovviamente predominante. La
nato nelle legioni costituiva spesso per l’aristocrazia provinciale il modo di
differenza fra parti proemiali e didascaliche dell’opera di Vitruvio si rispec­
iniziare la carriera fuori della città natale. Preso domicilio a Roma, o nelle
chia anche nello stile: le prime fanno uso piuttosto abbondante di ornamenti
vicinanze, Columella si dedicò prevalentemente alla pratica e allo studio del­
retorici, mentre nelle seconde il periodare è asciutto e disadorno, e la lingua
l’agricoltura.
non si perita ad ammettere volgarismi e tecnicismi di origine greca.
L’opera di 11 trattato di Columella ebbe due redazioni: della prim a ci rim ane il libro D e arbori-
Columella bus, mentre possediamo interam ente la seconda, molto più vasta, in dodici libri.
La medicina: Celso Columella tratta successivamente della coltivazione dei campi, degli alberi, della vite,
dell’allevamento degli animali di grossa taglia e di quelli da cortile, dell’allevamento
delle api, degli orti e dei giardini, dei doveri del fattore e della fattoressa. Il libro
X (De cuttu hortorum) è in esametri: ciò rappresenta un omaggio di Columella alla
L’enciclopedia di Un modo diverso di conferire dignità alle discipline tecniche era quello tradizione delle Georgiche virgiliane, e insieme il tentativo di colmare un vuoto la­
Celso: la sezione di collocarle all’interno di una complessiva enciclopedia delle artes, come sciato consapevolmente da Virgilio che, nel IV libro del suo poem a didascalico, dopo
medica aveva fatto Varrone nei Disciplinarum libri I X (cfr. p. 182). Fu la strada aver accennato brevemente ai giardini, lam entando la m ancanza di spazio aveva la­
scelta da Aulo Cornelio Celso, vissuto nell’età tiberiana, il quale fu autore sciato ad altri il com pito di trattarne in m aniera più accurata.
di un vasto manuale enciclopedico, che trattava di sei artes: agricoltura,
medicina, arte militare, oratoria, filosofia e giurisprudenza. Ci rimangono Fonti di Columella scrive in una prosa limpida e scorrevole, e anche i suoi versi
solo gli otto libri relativi alla medicina (VI-XIII dell’opera completa). La
Columella sono di fattura discreta; le fonti sono quelle consuete: gli scrittori di agricol­
trattazione di Celso è estremamente chiara ed efficace, tanto da aver fatto tura greci e latini, da Senofonte a Catone e a Varrone, mentre è spesso
supporre ad autorevoli studiosi della medicina antica che egli fosse un medi­ presente, anche nelle parti in prosa, il ricordo di Virgilio. Ma predominante
co di professione; la questione, molto dibattuta, non ha ancora trovato una La crisi è l’esperienza personale dell’autore. L’opera di Columella si apre col ricono­
dell’agricoltura scimento di una vasta crisi dell’agricoltura italica, le cui cause sono da ricer­
soluzione: Celso usa sicuramente fonti greche, ma la sua trattazione presen­
ta molte caratteristiche tipicamente romane, che spingono a credere che egli carsi nel disinteresse dei proprietari, nell’inadeguato sfruttamento dei vastis­
non fosse un semplice compilatore. simi latifondi, nella mancanza di una seria preparazione scientifica in mate­
Equilibrio del Rivelando notevoli doti di equilibrio e di spirito critico, Celso evita in­ ria. Ciò ha determinato una deficienza ormai strutturale dell’agricoltura italica,
«medico» Celso fatti di addentrarsi nelle controversie dogmatiche delle scuole mediche gre­ e portato alla supremazia di alcune province nell’esportazione di prodotti
che, e cerca di mantenere una posizione equidistante fra «empirismo» e «ra­ quali vino e olio.
zionalismo» (i due opposti indirizzi che si affrontavano al suo tempo, questo Nelle pagine introduttive, Columella critica il fatto che non vi siano
volto a indagare le «cause occulte» della malattia e quindi propenso all’ana­ scuole e maestri per gli agricoltori, a differenza di quanto avviene per le
tomia e alla vivisezione, quello limitantesi alla considerazione delle cause altre arti e professioni, pur essendo l’agricoltura la più bella e la più nobile
evidenti, sotto la guida dell’esperienza, e rivolto a curare più che a compren­ delle attività. Ma la formazione dell’agricoltore perfetto pare un compito
dere). Queste doti di sobrietà ed equilibrio, unitamente a quelle, molto note­ impossibile, tanto vaste e varie sono le competenze necessarie. A soluzione
voli, dello stile — già Quintiliano giudicava Celso scrittore di discreta ele­ del problema, Columella sembra affacciare l’ideale di una cultura enciclope­
ganza, e la tradizione umanistica lo ha collocato fra i migliori prosatori dica quale quella che Cicerone aveva prospettato per l’oratore (non a caso
latini — hanno contribuito a fare, nei secoli, la fortuna dell’opera. i trattati ciceroniani sono frequentemente richiamati da Columella) o quella
328 ERUDIZIONE E DISCIPLINE TECNICHE LA GEOGRAFIA 329

che Vitruvio richiedeva per il suo architetto. Il diffondersi, nelle varie disci­ Varrone e Nepote Di geografia si era occupato già Varrone, che a questa scienza aveva
pline, di questo ideale enciclopedico è prova della persistente necessità della forse dedicato anche opere specifiche, come ci fa pensare il titolo De ora
loro subordinazione alla filosofia, che sembra la via obbligata attraverso maritima citatoci da Servio, quello di Ephèmeris navalis e altri. Dai pochi
la quale esse devono passare per acquisire dignità e, paradossalmente, statu­ frammenti che possediamo possiamo supporre che nei libri geografici Varro­
to autonomo. ne fondesse il taglio antiquario a lui consueto con l’attenzione ad aspetti
Piccole proprietà Il richiamo, frequente nelle pagine di Columella, alle figure idealizzate più pratici, come per esempio le distanze tra i vari luoghi.
e latifondi degli antichi proprietari romani, che dividevano la propria vita fra la cura Anche di Nepote sono tramandate notizie di carattere geografico, ma
dei campi e l’attività politica, può far credere che la preferenza dell’autore della sua opera in questo campo, come si è accennato (cfr. p. 190), si sa
vada al piccolo podere, che il proprietario possa direttamente controllare; ben poco.
una conferma di ciò sembrerebbe potersi trovare nella frequente critica al­ La carta Si occupò di geografia uno dei personaggi politici più importanti dell’e­
l’assenteismo dei proprietari di latifondi. In realtà, anche se Columella non geografica di tà augustea, Marco Vipsanio Agrippa, comandante dell’esercito di Augusto
dà indicazioni esplicite sulle dimensioni del suo podere ideale, dal complesso Agrippa e genero dell’imperatore (di cui era peraltro coetaneo, essendo come lui nato
dell’opera appare che i suoi precetti sono per la massima parte rivolti a nel 63 a.C.) per avere sposato sua figlia Giulia. A lui si è accennato nel
proprietà di grande estensione. Ciò risulta chiaro, ad esempio, dalla sezione capitolo precedente (cfr. p. 318) come autore di un’autobiografia. Agrippa,
(I 6) dedicata all’estensione della villa e alle sue parti, in cui vengono descrit­ mosso certamente anche da finalità patriottiche, compose una gigantesca
ti sia i locali destinati agli schiavi e alla lavorazione e conservazione dei carta geografica del mondo conosciuto. Questa carta era accompagnata da
prodotti, sia quelli, rigorosamente distinti, destinati alla residenza del pro­ commentarii, non sappiamo bene se pubblicati a parte o anche riportati in
prietario; in proposito viene elencata tutta una serie di comforts che avrebbe calce alla carta stessa, i quali fornivano dati sull’estensione dei diversi terri­
fatto gridare allo scandalo i Romani di antico stampo, di cui pure Columella tori, sulle distanze tra i luoghi, ecc. Quando, nel 12 a.C., Agrippa morì,
Una visione tesse l’elogio. Il richiamo alla prisca moralità non è, probabilmente, solo Augusto in persona curò che la carta di Agrippa fosse completata e sistema­
«moderna» di maniera: una contraddizione non dissimile da quella che abbiamo riscon­ ta in un portico, appositamente costruito nel Campo Marzio. Plinio il Vec­
dell’agricoltura trata in Columella affiorava, forse con maggiore consapevolezza da parte chio, nella sezione della Naturalis historia dedicata alla geografia (altra testi­
dell’autore, anche in Vitruvio, che mentre continua a privilegiare l’antico monianza di quanto fosse importante questa scienza), cita con sommo ri­
modello del cittadino parsimonioso, fornisce indicazioni per la costruzione spetto Varrone e Agrippa.
delle suntuose dimore dei ricchi romani. Columella è realisticamente consa­ Pomponio Mela, Una generazione prima di Plinio, sotto il regno di Caligola o di Clau­
pevole del fatto che per richiamare in campagna i proprietari inurbati — il primo geografo dio, si colloca il primo autore latino che possiamo definire, per quel che
il mezzo migliore di incrementare la produzione è infatti individuato nel sot­ «puro» sappiamo, geografo «puro», e la cui opera ci sia interamente pervenuta.
toporla alla sorveglianza diretta del dominus, che dovrà effettuare frequenti Si tratta di Pomponio Mela, spagnolo di Tingentera presso Gibilterra, del
soggiorni nei suoi poderi — non basta l’esortazione moralistica, ma occorre quale possediamo una Chorogràphia («descrizione dei luoghi») in tre libri.
provvedere le villae agricole di tutte le comodità offerte da un palazzo di città. Prosa tecnica e Nella premessa alla Chorogràphia Pomponio Mela si lamenta che gli
Columella e Columella è fautore di una tendenza che propone la massima intensifi­ ricerca stilistica argomenti di cui si accinge a trattare non lascino spazio a uno stile elevato
Plinio il Vecchio cazione e razionalizzazione dell’attività agricola, indipendentemente dalle di­ e al dispiegarsi dell’eloquenza. Questo «complesso d’inferiorità» sembra co­
mensioni dell’azienda; perciò sincera appare la sua ostilità al latifondo, ab­ mune a molta parte della prosa tecnica latina, la quale si caratterizza pro­
bandonato e trascurato dai proprietari, e crescentemente improduttivo; e prio per la ricerca costante di uno stile elevato e spesso ricco di arcaismi,
acute le sue proposte di organizzazione del lavoro degli schiavi, sottoposti in contrasto con la prosaicità del contenuto. Lo stile di Mela, per esempio,
al ferreo controllo che dovrebbe essere esercitato dal villicus (fattore; a sua si ispira principalmente a quello di Sallustio, ed abbonda in arcaismi e ricer­
volta uno schiavo). Tuttavia il rimedio proposto da Columella era largamen­ catezze linguistiche.
te utopistico; più realisticamente Plinio il Vecchio si sarebbe reso conto del La Chorogràphia Sul piano del contenuto, la Chorogràphia descrive la terra prendendo
fatto che, finché fosse perdurato il predominio del lavoro schiavistico, sa­ di Mela come punto di riferimento-base il Mediterraneo, che segue in senso antiora­
rebbe stata impossibile un’effettiva razionalizzazione della produzione agri­ rio partendo dallo stretto di Gibilterra, dove fa ritorno alla fine della descri­
cola: gli schiavi, privi di incentivazione e disinteressati al lavoro, non avreb­ zione.
bero mai lavorato al massimo delle loro energie. Mela non sembra interessato agli aspetti più specificamente tecnici della
materia che tratta: in lui mancano cifre e dati, nonostante si riveli ottimo
conoscitore delle fonti greche e latine. Mela è mosso piuttosto da interessi
La geografia: Agrippa e P om ponio Mela etnografici, e la sua facundia si dispiega soprattutto quando si trova a parla­
re di regioni lontane o poco conosciute; in quel caso si lascia anche spesso
Dominio di Roma Si capisce come, nel momento in cui il dominio di Roma andava esten­ trasportare dal gusto per i dettagli fiabeschi e meravigliosi.
e sviluppo della dendosi fino ad abbracciare gran parte del mondo conosciuto, e anche terre
geografia fino ad allora ignote, la geografia acquistasse importanza, sia per fini pratici
che per intenti celebrativi.
330 ERUDIZIONE E DISCIPLINE TECNICHE

L a precettistica culinaria: Apicio

Il corpus di A Marco Gavio Apicio \ contemporaneo di Tiberio, i manoscritti asse­


LETTERATURA GIURIDICA:
Apicio gnano un corpus di ricette culinarie diviso in 10 libri — in realtà formatosi
con l’apporto di varie stratificazioni successive fino al IV secolo d.C. —
LINEE DI SVILUPPO
che prende il titolo De re coquinaria. Il nucleo apiciano di questa raccolta,
derivato probabilmente a sua volta da due diverse opere (una sulle salse
FINO ALLA PRIMA
e una sull’elaborazione completa di alcuni piatti) non è facilmente ricavabile
dalla massa composita di ricette che ci è pervenuta, dovuta a un maldestro
ETÀ IMPERIALE
compilatore tardoantico che dimostra di conoscere assai poco la terminolo­
gia tecnica e, in generale, la materia culinaria.
Fonti di Apicio Alla base del De re coquinaria stanno opere di carattere medico (spesso
infatti le ricette sono fornite in funzione delle loro proprietà dietetiche o
come medicine per disfunzioni dell’apparato digerente) e trattati di culinaria
greca. Lo stile espositivo è privo di qualsiasi eleganza retorica e formale,
gli ingredienti sono indicati con puntigliosa essenzialità in una lingua spesso
pedestre; ma dietro questa totale elementarità si scorge pur sempre l’atten­ Leggi delle XII L ’evoluzione storica del diritto romano è come delimitata nel suo corso
zione rivolta alla creatività e all’elaborazione scenografica dei piatti, la cui Tavole e rigoroso — dall’inizio alla fine — da due opere legislative che sono decisamente uni­
punta estrema può essere riassunta con la stessa conclusione paradossale formalismo del che nella storia del diritto non soltanto romano: le XII Tavole e l’intera
di Apicio: «a tavola nessuno riconoscerà ciò che mangia». diritto romano codificazione giustinianea del VI secolo. Le XII Tavole non furono mai abo­
arcaico
lite e formalmente rimasero in vigore fino all’età di Giustiniano: dovevano
verisimilmente consistere nella pubblicazione delle più importanti norme del
diritto consuetudinario esistente. Caratterizzava, comunque, tutto il diritto
Bibliografia Edizioni m oderne. V itruvio: F . cali: F . B o n a , C ontributo allo studio del arcaico e la procedura giudiziaria di quel periodo un rigoroso formalismo,
G r a n g e r , Cambridge (Mass.) - London «De verborum significatu» di Verno Fiac­ per cui in ogni transazione legale e in ogni lite giudiziaria era indispensabile
1931; C. F e n s t b r b u s c h , Darm stadt 1964; co, M ilano 1964. Discipline tecnologico- l’impiego di formule solenni orali (racchiuse in rigidi schemi verbali, segnati
Celso: W . G . S p e n c e r , Cam bridge scientifiche: S. F e r r i , Vitruvio, Rom a
(Mass.) - London 1935; Columella: W.
dai tratti di una lingua artefatta e consacrata da figure di suono,
1960; I. L a n a , Scienza e tecnica a R om a
B. A sh - E. S. F o r st e r - E. H . H e f f - da A ugusto a Nerone, in Studi sulla sto ­ Creazione di da parallelismi simili a quelli del linguaggio religioso e liturgico). Intorno
n e r , Cambridge (Mass.) - London 1941- ria del pensiero politico classico, N apoli nuove istituzioni più o meno alla seconda metà del III secolo (è nel 242 che viene creato
1955; edizione italiana con traduzione e 1973; W . H . S t a h l , La scienza dei ro­ giuridiche l’ufficio del praetor peregrinus con giurisdizione in controversie coinvolgenti
note, Torino 1977; Pom ponio Mela: G. m ani, trad. it. Bari-Roma 1973; U. C a ­ chi non fosse cittadino romano), coll’espandersi del commercio e del domi­
R a n s t r a n d , Goteborg 1971; Apicio: p it a n i , Scienza e pratica nella cultura la­
C. G ia r r a t a n o - F. V o ia m e r , Leipzig tina, Firenze 1973; J. K o l e n d o , L ’agri­ nio di Roma, appaiono nuove istituzioni giuridiche, e ciò generò natural­
1922. coltura nell’Italia romana, trad. it. Roma mente una prima fioritura di pensiero e letteratura giuridica: dovettero cer­
Studi. Erudizione e studi gram m ati­ 1980. tamente intervenire modelli e stimoli di cultura greca, ma fin dall’inizio (no­
nostante che assai scarse siano le testimonianze dirette) il carattere di questa
giurisprudenza pare sostanzialmente romano, almeno per i suoi intrinseci
caratteri di pratica flessibilità, in rispondenza alle esigenze di un impero
che andava crescendo e incontrava continuamente nuovi specifici bisogni
reali. Così quella conoscenza del diritto e della procedura legale che fino
al III secolo era appannaggio esclusivo della classe dei pontifices patrizi,
Gneo Flavio e trovò i suoi responsabili in giuristi laici. Iurisperiti come Gneo Flavio e Tibe­
Coruncanio rio Coruncanio fecero conoscere al popolo il diritto civile e le forme proce­
durali dei pontifices: Coruncanio fu anche pontefice massimo, il primo di
estrazione plebea (oltre che console del 280, trionfatore sugli Etruschi), ma
ammise il pubblico (o almeno allievi) alle sue consultazioni di diritto; Flavio,
liberto e segretario di Appio Claudio Cieco, pubblicò un manoscritto delle
Funzione dei Legis actiones del patrono Appio. Ma è pur vero che per tutto il periodo
giurisperiti repubblicano i giuristi più importanti provenivano da famiglie senatorie e
1 II vero nom e sem bra fosse solo M arco Gavio: il cognom en gli sarebbe derivato dal associavano quasi di regola all’attività giuridica le varie cariche di una car­
fatto che appunto Apicio si chiamava un celebre buongustaio, vissuto alla fine del II secolo a.C.
riera pubblica. Poiché il giudice e il magistrato non necessariamente erano
332 LETTERATURA GIURIDICA; LINEE DI SVILUPPO BIBLIOGRAFIA 333

esperti di diritto, la funzione del giureconsulto era assai rilevante nel sistema latina e in grammatica, in filosofia, scrisse circa 400 libri: era uso trascorrere
legale romano: oltre a dare consigli in controversie legali ai privati, assisteva sei mesi a Roma insegnando, e sei mesi in campagna a scrivere. Dalle cita­
con le sue consulenze magistrati dello stato (soprattutto curava la formula­ zioni di altri giuristi conosciamo alcuni titoli della sua vastissima produzio­
zione corretta degli editti di pretori, edili, questori, censori, di governatori ne: i Pìthanà («Casi plausibili», una casistica di decisioni relative a casi indi­
nelle province). Le forme principali di questa letteratura giuridica, oltre alla viduali), i Responso, le Epistulae, un grande trattato De iure pontificio (in
raccolta di responso e di quaestiones, comprendeva soprattutto «commenti» 15 libri), oltre a commenti a leggi e opere giuridiche. Nelle sue opere mostrò
agli editti dei pretori. sempre eccezionale indipendenza di giudizio e fu decisamente innovatore in
I Tripertita di Elio Dare un commento delle leggi era forse l’attività più caratteristica del una materia tanto segnata dal peso della tradizione {plurima innovare instituit).
Peto giurisperito in quanto insegnante: un monumento di quest’attività dovevano Ateio Capitone Molto conservatore, invece, nella sua attività di giurisperito fu il suo
essere stati i Tripertita di Elio Peto (detto Catus, «l’Accorto», console nel antagonista Gaio Ateio Capitone (che pure in politica aveva accettato il nuo­
198 a.C.), opera che conteneva in primo luogo le leggi delle XII Tavole, vo regime augusteo). Pare che si sia occupato principalmente di diritto costi­
poi un’esposizione del suo sviluppo mediante l’interpretazione legale (come tuzionale e di diritto sacro: sono ricordati fra i suoi titoli i libri De iure ponti­
un commento), e infine le legis actìones. Dovette essere quest’opera (ancora «Sabiniani» e ficio, De iure sacrificiorum, e dei Coniectanea. Dalle due scuole contrappo­
alcuni secoli dopo era apprezzata come «la culla del diritto») la base su «proculiani» ste (innovatori e conservatori, ma i contrasti dei due capiscuola erano perso­
cui fiorì nel tempo seguente una letteratura giudiziaria sempre più affinata. nali e politici) la giurisprudenza posteriore vedeva originarsi la contrapposi­
I due Scevola Certo un salto di qualità fu compiuto in questi studi con l’opera di celebri zione delle scuole giuridiche che si chiamarono più tardi dei «Sabiniani»
oratori che dedicarono però le loro competenze alla costruzione di un pen­ e dei «Proculiani»: la seda che continuava nella scia di Labeone si chiamò
siero giuridico sistematico: da ricordare soprattutto Quinto Muzio Scevola Proculiana dal nome di Proculo, giurista della prima metà del I secolo d.C.
ΓAugure (genero del Lelio legato al cosiddetto circolo degli Scipioni) di cui che curò delle Notae ai «Libri postumi» del precursore Labeone; l’altra,
Cicerone fu scolaro e che figura come venerabile personaggio in parecchi di ascendenza capitoniana, prese il nome di Sabiniana dal giurista Masurio
suoi dialoghi; e al pari di lui, ma forse con maggiore operosità, l’omonimo Sabino (si chiamarono anche «Cassiani» dal nome di Cassio Longino, scola­
Quinto Muzio Scevola detto il Pontefice, di poco più giovane del preceden­ ro e successore di Sabino nella guida della scuola). Le divergenze fra le
te, che pubblicò una trattazione sistematica di diritto civile, fondamento di due scuole dovevano manifestarsi soprattutto su singoli punti legali, piutto­
Sulpicio Rufo molti commenti giuridici posteriori. La generazione successiva trova in Ser­ sto che su di una consistente base dottrinaria (e la cosa può essere ben com­
vio Sulpicio Rufo un continuatore «ex professo» di questi studi: famosissi­ prensibile se si considera il disinteresse di questi giuristi per vaste costruzioni
mo come giureconsulto, godette della stima e dell’ammirazione di Cicerone, di pensiero teorico e viceversa il carattere eminentemente pratico di questa
che, pur avendolo messo in ridicolo nella Pro Murena (cfr. p. 157 seg.), letteratura). Si può arguire verosimilmente che l’organizzazione della giuri­
ne fece un entusiastico elogio nella nona Filippica, ricordandone l’ansia di sprudenza avesse scelto la forma di corporazioni di giureconsulti: molto non
pace e la specchiata moralità. Scrisse un gran numero di opere giuridiche si può capire, se non che le diversificazioni dovevano appunto essere corpo­
(intorno a 180 libri); commentò anche lui le XII Tavole, corredò di note rative. Certo è che l’autorità di Masurio Sabino, e in particolare dei suoi
critiche l’opera sistematica di Scevola, ma soprattutto si distinse per aver tre libri di diritto civile, fu grandissima e condizionò col suo modello tutta
dedicato diverse monografie a singole parti del diritto. Fornito, per quel la letteratura giuridica posteriore.
che si può giudicare, di buone capacità teoriche, aveva anche sottili compe­
tenze di metodo dialettico (oltre che uno stile di scrittura elegante, come
testimoniano peraltro due belle epistole scritte a Cicerone — una vuol essere
una consolazione per la morte di Tullia, l’altra descrive bene l’uccisione Bibliografia Ancora preziosa la raccolta dei fram ­ N o c e r a , Iurìsprudentia. Per una storia
di M. Marcello: sono rispettivamente le Familiari ciceroniane 4, 5 e 4,12). menti curata da F. P . B r e m e r , lurispru- del pensiero giuridico romano (1973) e di
Il diritto in età La grande fioritura di studi proseguì in età augustea, maturò anzi a tal dentia Antehadriana, Leipzig 1896-1898 A. S c h ia v o n e , Nascita della giurispruden­
(rist. 1985); m a vedi anche S. R ic c o b o - za. Cultura aristocratica e pensiero giuri­
augustea: le punto da permettere che si originassero due diverse tendenze di pensiero: le n o , Fontes Iuris R o m a n i A ntejustiniani, dico nella R o m a tardo-repubblicana
scuole di due diverse scuole (ma a noi resta di fatto ostico individuare i contrapposti (1976).
Firenze 1941. Im portanti gli studi di G.
Labeone e principi che le reggevano) facevano capo alle due massime figure di Antistio
Capitone
Labeone e Ateio Capitone. Di origini sostanzialmente non molto diverse (ple­
bee in entrambi i casi, più umili forse nel caso del secondo) dovettero avere
caratteri, ambizioni e stili di vita abbastanza contrastanti: Capitone completò
la carriera politica fino al consolato (5 d.C.), Labeone rifiutò il consolato che
gli offriva Augusto; repubblicano convinto (di qui probabilmente il suo rifiu­
to di accettare la carica di console sotto il regime di Ottaviano), Labeone amò
vivere più appartato e scrivere e insegnare; sostenitore dell’ordine nuovo, Ca­
pitone, fece vita più pubblica e finì per scrivere meno del suo antagonista.
Antistio Labeone Labeone, di cultura enorme, esperto in dialettica, in storia della lingua
Parte IV

LA PRIMA ETÀ IMPERIALE


CULTURA E SPETTACOLO:
LA LETTERATURA
DELLA PRIMA ETÀ IMPERIALE

1. La fine del mecenatismo

La seconda Già la seconda generazione augustea, quella che era stata appena sfiora­
generazione ta dalla stagione sanguinosa delle guerre civili, e nutriva quindi, rispetto
augustea a chi ne era stato investito, una gratitudine minore verso il principe che
aveva restaurato la concordia e la pace sociale, aveva dato segni di disaffe­
zione, se non di aperta insofferenza, per la letteratura che a quel programma
di restaurazione morale e politica aveva prestato, in forme più o meno me­
diate, il proprio appoggio e consenso. La figura di Ovidio costituisce un
caso emblematico di questo mutato atteggiamento verso la poesia alta, di
impegno civile (rappresentata in primo luogo da Virgilio), e della preferenza <
Letterati e accordata alla letteratura leggera, di gusto ellenistico. La scomparsa di Me­
principato di cenate, e il venir meno della sua accorta opera di mediazione fra il potere
Tiberio politico e l’élite intellettuale, provocò un distacco che non si sarebbe più
ricomposto se non in modo occasionale e precario: la crisi del mecenatismo
è già manifesta con Tiberio, che non sembra nemmeno porsi il problema
di organizzare un programma di egemonia culturale (anche il suo gusto per
la poesia leggera, alessandrineggiante, è indicativo di questa indifferenza),
di fronte al rinvigorirsi di una storiografia contraria al principato (fino ad
i avere i suoi «martiri della libertà», come lo storico Cremuzio Cordo, morto
suicida nel 25 d.C.). È in questa corrente storiografica, innestata sulla tradi­
zione repubblicana deli’élite senatoria, che nasce quell’atteggiamento di osti­
lità verso la dinastia giulio-claudia il quale avrebbe esteso il suo influsso
fino a Svetonio e a Tacito, e a cui risale l’immagine che dei sovrani di
quella famiglia si sarebbe trasmessa alla posterità.
il principato di La situazione non sembra migliorare con Claudio, che pure aveva perso­
Claudio nalmente un’ottima fama di erudito, e che sappiamo avere scritto molte
opere, sia in greco che in latino: in latino aveva anche scritto di storia su
esortazione di Livio, partendo dalla morte di Cesare, sorvolando sul periodo
delle guerre civili (che trattava in due soli libri) e dilungandosi invece su
quello del principato di Augusto, cui dedicava ben 41 libri. Ancora in latino
Claudio aveva composto uno scritto in difesa di Cicerone (che rispondeva
a un opuscolo di tenore opposto, scritto da Asinio Gallo, figlio di Pollione,
il quale sosteneva che lo stile di suo padre era preferibile a quello di Cicero-
338 LA LETTERATURA DELLA PRIMA ETÀ IMPERIALE LETTERATURA E TEATRO 339

ne), e uno di grammatica, in cui proponeva l’introduzione di tre nuove lette­ Persistenze del Al di là delle direttive classicistiche del regime, restano comunque forti
re nell’alfabeto latino. «nuovo gusto» nella letteratura dell’età flavia, specialmente in poesia, le tracce del gusto
I primi anni di Solo Nerone, negli anni iniziali del suo principato, ispirati dalla guida nell’età dei Flavi impostosi via via nella prima parte del I secolo della nostra era; e non si
Nerone e la di Seneca, tenta un recupero del consenso del senato è una ripresa del mece­ ha nemmeno quella ripresa organica del mecenatismo in cui avevano sperato
ripresa del natismo: è in questo progetto che si inserisce quella breve stagione classicisti­ i poeti del tempo. La biografia di Marziale, costretto a guadagnarsi faticosa­
mecenatismo ca (mirante appunto a una nuova fioritura letteraria, sul modello della straor­ mente la sua sportula di cliente, è istruttiva riguardo alle condizioni in cui
dinaria età augustea) di cui ci resta solo qualche modesto prodotto, come viveva un poeta anche nel pieno del successo; non meno istruttiva la notizia
la cosiddetta Iliade latina (cfr. p. 366), o la poesia bucolica di Calpurnio che Stazio, nonostante l’enorme successo ottenuto nelle letture pubbliche
Siculo e altri (cfr. p. 365), filoni nei quali si avverte chiaramente l’influsso della Tebaìde, è costretto a guadagnarsi da vivere scrivendo un libretto per
dominante di Virgilio, assunto a paradigma più alto della letteratura augu­ pantomima (un'Agave, come sappiamo da Giovenale 7, 87).
stea sia sul piano della perfezione formale sia come rappresentante dei valori
di quell’età e della funzione esercitata dalla letteratura nei confronti del po­
tere politico.
La politica Nerone stesso, com’è noto, fu poeta (con una predilezione per il genere 2. Letteratura e teatro
culturale di epico di soggetto troiano che risponde anch’essa alla tendenza ora accenna­
Nerone: ta) e promosse in vario modo le attività artistiche: istituì, fra l’altro, nel
spettacolarità ed 60 un certame poetico pubblico (i Neronia), una gara quinquennale di canto, Il successo della L’attività di librettista (che occupò anche Lucano), parallela a quella
ellenizzazione pantomima e del di massimo poeta aulico del tempo, attesta da un lato la necessità, anche
musica, poesia e oratoria. L’iniziativa è interessante perché documenta, oltre
all’ambizione neroniana di dar vita a un nuovo mecenatismo, anche l’indi­ circo per un autore come Stazio, di rivolgersi al teatro per ricavare proventi più
rizzo particolare che egli imprime a queste manifestazioni culturali, il loro sostanziosi dal lavoro letterario, e documenta dall’altro la fortuna di cui
carattere pubblico e spettacolare. La stessa immagine tradizionale di Nerone godeva uh genere come la pantomima. Questa era una rappresentazione tea­
imperatore istrione, amante degli spettacoli teatrali e del circo, attore lui trale (introdotta a Roma, sembra, sotto Augusto), spesso di carattere inten­
stesso e mosso da una concezione dell’intera esistenza come performance, samente drammatico, in cui un attore cantava, accompagnato dalla musica,
come esibizione artistica (anche la costruzione della sua immensa Domus il testo del libretto {fabula saltica), mentre un secondo attore, col volto ma­
aurea intende offrire una rappresentazione del mondo che ruota attorno al scherato, mimava la vicenda coi movimenti del corpo e i gesti delle mani.
suo sovrano), risponde non soltanto — come a lungo si è creduto — al La fortuna di questo genere di spettacolo a Roma fu enorme in età imperia­
carattere e alle manie del singolare personaggio, ma anche a precise intenzio­ le: nonostante la mancanza di documentazione diretta (la perdita cioè non
ni di politica culturale. Il suo spirito istrionesco, e le spinte che egli imprime solo della musica ma anche dei libretti), le testimonianze indirette di scrittori
alPellenizzazione, interpretano l’esigenza diffusa di rinnovamento sul piano come Seneca o Giovenale ci danno notizie significative sugli sfrenati entusia­
del costume, di riconoscimento e legittimazione di gusti e tendenze ormai smi che la pantomima suscitava e l’enorme popolarità che ne derivava agli
ampiamente diffuse fra le masse popolari (e perciò fortemente avversate co­ attori (come quel Paride cui accenna il citato passo di Giovenale, che ebbe
me pericolose per la stabilità dell’assetto sociale dall’aristocrazia senatoria, anche grande influenza a corte, prima di cadere in disgrazia con Domizia­
che vede in Nerone un nemico della tradizione romana), e sono quindi lo no). Accanto ad altre forme teatrali minori, come il mimo 1 e l’atellana,
strumento che egli disinvoltamente utilizza per guadagnarsi consenso e favo­ la pantomima costituì il genere di maggior successo popolare per tutto il
re, e insieme legittimare quello che di ellenistico e di assoluto era nel suo primo secolo dell’impero e oltre: solo i giochi del circo, che in età imperiale
regime. diventano sempre più spettacolari — sia per l’ingegnosità dei macchinari
Il principato dei La moda dei pubblici agoni poetici, in occasione di certe feste, persiste scenici (che spesso servivano anche a «rappresentare» miti come quello di
Flavi e la e anzi si diffonde più ampiamente sotto il principato dei Flavi, ma l’avvento Pasifae, di Prometeo, di Orfeo), sia per la brutalità di gare come quelle
restaurazione della nuova dinastia imperiale segna una netta inversione di rotta rispetto dei gladiatori — godono di un favore non inferiore.
morale e civile agli indirizzi culturali di Nerone. Alle sue aperture ellenizzanti essi oppongo­ «Spettacolariz­ Di fronte a un fenomeno così rilevante, che investe molteplici aspetti
no un programma di restaurazione morale e civile, forti del favore ottenuto zazione» della della vita sociale e culturale di una metropoli popolata da grandi masse di
con l’aver saputo riportare la pace e la concordia dopo la grave crisi e il letteratura italici e provinciali inurbati (sul cui gusto elementare, sensibile alle emozioni
bagno di sangue che avevano accompagnato la fine dell’odiata dinastia giulio- violente, quegli spettacoli sanno far presa), fenomeno a cui certo non può
La ripresa claudia. Sul piano letterario spiccano soprattutto due fenomeni, in questo far concorrenza il tentativo di recupero del grande teatro tragico da parte
dell’epica e della ritorno all’esaltazione dei valori tradizionali: la ripresa della poesia epica, dell 'élite senatoria, destinato a un pubblico colto e anche ideologicamente
retorica nel segno del primato di Virgilio, e, in prosa, l’assurgere di Cicerone a mo­
dello di una maniera stilistica ma anche di un’educazione fondata sulla reto­
rica (l’istituzione delle prime cattedre statali di retorica, sotto Vespasiano, 1 M olto fam oso era.il m im ografo C atullo, vissuto nell’età di Caligola, di cui si ricordano
è il segno più vistoso del progetto che affida a questa disciplina la formazio­ un Phasma e soprattutto un Laureolus, i cui effetti scenici avevano particolarm ente colpito
ne del ceto dirigente, cioè dei funzionari imperiali). il pubblico (un attore vom itava sangue in scena, era rappresentata una crocifissione, ecc.).
340 LA LETTERATURA DELLA PRIMA ETÀ IMPERIALE LE RECITAZIONI 341

ristretto, non stupisce la tendenza della letteratura coeva, specie quella in o greco, o anche di legislazioni immaginarie); e la suasoria, appartenente al
poesia, ad assimilarsi, entro certi limiti e sotto certi aspetti, a una forma genere deliberativo, o politico, e consistente nel tentativo da parte dell’oratore
di spettacolo, ad assumere connotazioni «teatrali». di orientare l’azione di un personaggio famoso, della storia o del mito, di
fronte a una situazione incerta o difficile. Della sua opera ci rimangono infatti
un libro contenente sette Suasoriae (ma il piano era più ampio) e cinque dei
dieci libri di Controversiae (I, II, VII, IX e X; degli altri libri, perduti, restano
3. Seneca il Vecchio e le declamazioni degli estratti): accanto ai vari temi di esercitazione, Seneca fornisce anche
un’interpretazione della storia dell’oratoria a Roma, fino alla decadenza dei
suoi giorni, che egli attribuisce alla corruzione morale dell’intera società.
La declamatio Prima di proseguire nell’analisi di questa caratteristica della letteratura La ricerca Dato il carattere fittizio delle situazioni e di molte delle premesse, scopo
del I secolo, sarà opportuno soffermarsi a considerare un altro importante dell’effetto e i dell’oratore non è tanto quello di convincere quanto di stupire il suo udito­
fenomeno culturale del periodò, e cioè il diffondersi delle pubbliche decla­ colores rio, ed egli ricorre perciò agli espedienti più ingegnosi della lingua e dell’im­
mazioni. La declamatio era un tipo di esercizio in uso da tempo nelle scuole maginazione: il manierismo delle forme si avvale dell’uso esasperato dei co­
di retorica: possediamo in proposito una testimonianza preziosa, quella di lores, termine tecnico, come si è detto, con cui si indica l’accorta manipola­
Seneca il Vecchio, che ci dà anche un quadro dell’attività oratoria e dei zione di una situazione o di un concetto, capace di presentare il caso in
principali retori del suo tempo. L’opera, Oratorum et rhetorum sententiae questione sotto l’aspetto più imprevedibile. La ricerca dell’effetto, e dell’ap­
divisiones colores 2, è frutto dei suoi ricordi di scuola (è improprio, dunque, plauso del pubblico, si serve anche di uno stile brillante e prezioso, che
l’epiteto di Rètore con cui comunemente lo si definisce, poiché Seneca risul­ ricorre a tutti gli artifici dell’asianesimo (cfr. p. 105), dall’accumulo delle
ta essere stato allievo di retori, non retore egli stesso). figure retoriche all’espressione densamente epigrammatica alla cura del rit­
Seneca il Nativo di Cordova, in Spagna, attorno al 50 a.C., e di estrazione eque­ mo del periodo.
Vecchio e lo stre, divise la sua lunga vita tra Roma e la Spagna, probabilmente fino a
scadimento della vedere il regno di Caligola (ma la sua morte è comunque anteriore all’esilio
retorica del figlio, Seneca filosofo, del 41 d.C.). Frequentò gli ambienti romani so­
cialmente più elevati, ma nulla di certo sappiamo sulla sua pubblica attività. 4. Le recitazioni, o la letteratura come spettacolo
L’opera che ce lo rende noto, composta negli ultimi anni della sua vita —
forse verso la fine del principato di Tiberio —, testimonia quel mutamento
che l’avvento del principato e la progressiva scomparsa della libertà politica Le recitationes e Accanto alle declamazioni, un’altra forma di pubblico intrattenimento
hanno prodotto sull’attività retorica a Roma. Venuto meno lo spazio dell’o­ la trasformazione culturale sono le recitationes: si tratta della lettura di brani letterari, a opera
ratoria politica e anche di quella giudiziale, viene meno la funzione civile della letteratura dell’autore, davanti a un pubblico di invitati. L ’uso di queste pubbliche let­
della retorica (che, se una volta era lo strumento più appropriato di forma­ ture fu introdotto da Asinio Pollione (cfr. p. 225), del quale sono stati già
zione dei futuri cives, ormai serve soprattutto ad addestrare brillanti confe­ ricordati i molteplici meriti come uomo di cultura. È ovvio che il nuovo
renzieri), la quale si immiserisce in futili esercitazioni, le declamatìones ap­ costume di leggere in pubblico testi letterari, insieme al genere ormai affer­
punto, che vertono su temi e argomenti fittizi, romanzeschi (irrisi, ad esem­ matosi delle declamazioni scolastiche, porta con sé trasformazioni importan­
pio, da Petronio nei primi capitoli superstiti del Satyricon), prescelti proprio ti sia nel campo dell’oratoria sia, più in generale, in quello dell’intera produ­
per la loro singolarità o stranezza, che doveva fungere da elemento stimo­ zione letteraria; fenomeno che non sfuggiva agli stessi contemporanei, come
lante sugli ascoltatori (accentuando così la caratterizzazione in senso lettera­ attestano le frecciate polemiche che si leggono ad esempio in Persio, Petro­
rio di questi esercizi di retorica), cioè gli studenti delle scuole ma anche nio, Giovenale contro la mania diffusa delle recitationes, e l’analisi più dif­
il pubblico generico: la declamazione è ormai diventata infatti uno spettaco­ fusa del tacitiano Dialogus de oratoribus, che ci dà un resoconto del di­
lo pubblico cui non disdegnano di partecipare anche personaggi di spicco Mutamento del battito sulle cause della corruzione dell’eloquenza. Come tante altre volte,
della vita politica. destinatario e il mutamento di destinazione sociale dell’opera letteraria comporta una tra­
Controversiae e Seneca il Vecchio illustra i due tipi di esercizi più in voga: la controver­ mutamento dei sformazione dei caratteri formali dell’opera stessa. Divenuta ormai un bene
suasoriae caratteri formali di consumo per sale pubbliche o teatri, la letteratura tende ad acquisire tratti
sia, che rientrava nel genere giudiziale e consisteva nel dibattimento, da po­
dell’opera teatrali, «spettacolari». Se il metro di valutazione diventa l’applauso dell’u­
sizioni contrapposte, di una causa fittizia (sulla base del diritto romano,
ditorio (un uditorio, beninteso, che non è più quella ristretta aristocrazia
del gusto cui si rivolgevano i poeti augustei, ma un pubblico assai più am­
pio, di condizione sociale e culturale non sempre elevata, che implica neces­
sariamente un processo di «volgarizzazione» del prodotto letterario), non
2 Le sententiae sono quelle frasi di tipo epigram m atico destinate a impressionare l’ascol­ sarà strano che il letterato finisca per comportarsi come una sorta di presti­
tatore o il lettore, frasi ad effetto spesso di carattere sentenzioso come aforismi; le divisiones
sono i modi in cui il declam atore articola gli aspetti giuridici della vicenda; i colores costituisco­
giatore della parola, sempre alla ricerca dell’effetto capace di suscitare lo
no le «coloriture» stilistiche con cui i declam atori presentano personaggi e situazioni. stupore ammirato degli ascoltatori.
342 LA LETTERATURA DELLA PRIMA ETÀ IMPERIALE

L’autonomia delle Si capisce, alla luce di questa concezione della letteratura come per­
singole parti
dell’opera
formance, come esibizione d’ingegno, la tendenza tipica di tante opere del
I secolo, fra le più emblematiche del nuovo gusto (come ad esempio le trage­ SENECA
die di Seneca, o la Tebaide di Stazio), a costruire una serie di «pezzi di
bravura» tesi a strappare l’applauso, tendenza che spinge verso un’autono­
mia delle singole parti, a scapito dell’organicità e dell’economia generale
dell’opera. L ’abuso degli artifici retorici (non a caso si è parlato di «età
della retorica»), di cui si avvertivano i segni già in Ovidio, allievo brillante
dei migliori retori del suo tempo, è uno dei tratti caratterizzanti della lettera­
tura del I secolo d.C. e documenta la funzione di questa disciplina come
filtro unificante del gusto e come medium di questo fenomeno di «divulga­
La reazione zione» culturale. Ma oltre che dall’invadenza della retorica, la letteratura Vita Lucio Annèo Seneca nacque in Spagna, a Cordova (città di tradizioni repub­
anticlassica argentea (così generalmente la si definisce, per indicarne, classicisticamente, blicane: si era schierata con Pompeo al tempo delle guerre civili), da ricca fami­
il declino rispetto all’età aurea di Augusto, ma anche la svolta sul piano glia equestre (il padre è Seneca il Vecchio), negli ultimi anni precedenti l’era
del gustò e delle tendenze di fondo) è caratterizzata da una forte componen­ volgare, forse nel 4 a.C. Venne presto a Roma, dove fu educato nelle scuole
te di reazione anticlassica, che si manifesta sia sul piano dei contenuti (in retoriche, in vista della carriera politica, e filosofiche (ebbe fra i suoi maestri lo
una predilezione per temi e soggetti insoliti, esotici o comunque «spettacola­ stoico Attalo e Papirio Fabiano, un ex-retore vicino alla scuola stoico-pitagorica
ri», ricoriducibili all’ambito del mirum) sia su quello formale, con un’accen­ dei Sestii, caratterizzata da tendenze ascetiche nonché da curiosità naturalisti-
tuazione delle tinte espressionistiche, dei toni cupi e patetici, in una ricerca che). Attorno al 26 d.C. si recò in Egitto (al seguito di uno zio prefetto): al ritorno
esasperata di tensione espressiva che, proprio per la sua intenzione di oppor­ a Roma, nel 31, iniziò l’attività forense e la carriera politica, ottenendo un succes­
so cospicuo se è vero che Caligola (37-41), geloso della sua fama oratoria, arrivò
si al classicismo augusteo, ha fatto parlare di «manierismo» stilistico. La
a decretarne la condanna a morte, da cui lo avrebbe salvato un’amante dell’im-
nuova sfiducia in quella che era stata la compostezza sobria dell’espressione peràtore. Non si salvò però dalla relegazione che, nel 41, gli comminò il nuovo
classica mostra indirettamente come lo stile misurato e nitido che caratteriz­ imperatore Claudio, con l’accusa di coinvolgimento nell’adulterio di Giulia Livilla,
za la letteratura del periodo cesariano e ancor più quella dell’età augustea figlia minore di Germanico e sorella di Caligola (ma in realtà si voleva colpire
debba essere considerato uno straordinario tour de force, una conquista di l’opposizione politica coagulata attorno alla famiglia di Germanico). Nella selvag­
cultura e arte che costituisce come una parentesi nella storia del gusto lette­ gia, inospitale Corsica Seneca restò fino al 49, quando Agrippina riuscì a ottenere
rario latino. Nella tensione espressiva che la anima, la letteratura della pri­ da Claudio il suo ritorno dall’esilio e lo scelse come tutore del figlio di primo
ma età imperiale rivela anche l’intimo disagio di una realtà sociale e cultura­ letto, il futuro imperatore Nerone. In questo ruolo di educatore (affiancato da Afra­
le che vede mutare i propri orizzonti e i propri valori, e che non sa più nio Burro, prefetto del pretorio), Seneca accompagnò l’ascesa al trono del giova­
trovare espressione soddisfacente nelle forme oggettive di un’arte classica. nissimo Nerone (54 d.C.) e da allora di fatto resse la guida dello stato: è il celebre
periodo del buon governo di Nerone (ispirato a principi di equilibrio e di concilia­
zione fra i poteri del principe e del senato), che progressivamente si deteriora
(del 59 è il matricidio) costringendo il filosofo a gravi compromessi. Attorno al
62, dopo la morte di Burro, con Nerone ormai nelle mani di Poppea e avviato
Bibliografia Sulla cultura nell’età giulio-claudia, da E . P a r a t o r e , Storia del teatro lati­ alla famigerata fase conclusiva del suo regno, Seneca, vista venir meno la sua
dopo G. B o issib r , L ’opposizione sotto i no, M ilano 1957; W . B e a r e , I R om ani influenza di consigliere politico, si ritira gradualmente alla vita privata, dedicando­
Cesari, trad. it. Milano 1937, si veda C. a teatro, trad. it. Bari 1986. F ra le edi­ si ai suoi studi. Inviso ormai e sospetto a Nerone e a figellino, nuovo prefetto
W ir s z u b s k i , Libertas. I l concetto politi­ zioni di Seneca il Vecchio si segnala quel­
del pretorio, Seneca viene coinvolto nella celebre «congiura di Pisone» (aprile
co di libertà a R om a tra Repubblica e la di M . W i n t e r b o t t o m , L ondon-
Im pero, trad. it. Bari 1957, e H . B a r - 65), di cui era forse solo al corrente, senza esserne partecipe, e nella repressione
Cambridge (Mass.) 1974; fra i saggi L.
d o n , L es empereurs et les lettres latines A. S u ss m a n , The Elder Seneca, Leiden che la seguì: condannato a morte da Nerone, si suicidò (celebre il racconto della
d ’A uguste à Hadrien, Paris 19682. Sugli 1978, e J. A. F a ir w e a t h b r , Seneca thè morte di Seneca fatto da Tacito, Annales XV 62-64) nello stesso 65 d.C.
aspetti più propriamente letterari: G. W il ­ Elder, Cambridge 1981. Sulla m oda del­
lia m s , Change and Decline: R om an Lit- le declamazioni cfr. S. F . B o n n e r , R o ­
erature in thè Early Em pire, Berkeley- man Declamation in thè L ate Republic Opere Della vasta produzione senecana, anche fra le opere superstiti quelle di ca­
London 1978. Sulla funzione sociale de­ and thè Early Em pire, Liverpool 1949; rattere filosofico occupano lo spazio maggiore. Alcune di queste opere furono
gli spettacoli a Rom a si veda P . V e y n e , sulle recitazioni, V. T a n d o i , Il ricordo raccolte, dopo la morte di Seneca, in dodici libri di Dialogi (titolo già noto a Quinti­
I l pane e il circo, trad. it. Bologna 1984; di Stazio «dolce poeta» nella sat. V II di liano, e che non implica generalmente la forma dialogica, ma pare piuttosto dovu-'
sulle varie forme di teatro a Rom a si ve­ Giovenale, in «M aia», 1969.
to alla grande tradizione del dialogo filosofico risalente fin a Platone): sono tratta­
ti, per lo più brevi, su questioni etiche e psicologiche: 1. Ad Lucilium de providen-
tia; 2. Ad Serenum de constantia saplentis; 3-5. Ad Novatum de ira libri III; 6.
Ad Marciam de consolatione; 7. Ad Gallionem de vita beata; 8. Ad Serenum de
otio; 9. Ad Serenum de tranquillitate animi; 10. Ad Paulinum de brevitate vitae;
11 . A d Polybium de consolatione; 12. Ad Helviam matrem de consolatione. Le
344 SENECA I DIALOGI E LA SAGGEZZA STOICA 345

altre opere filosofiche, tramandateci autonomamente, sono i sette libri De benefi- stemperato l’antico rigore dottrinale, sulle orme della cosiddetta «scuola di
ciis, il De clementia, indirizzato a Nerone (degli originari tre libri sopravvive il mezzo», e non conosce chiusure dogmatiche). I tre libri del De ira, ad esem­
primo e l’inizio del secondo) e i venti libri comprendenti le 124 Epistulae morales pio, scritti in parte prima dell’esilio, ma pubblicati dopo la morte di Caligo-
ad Lucilium (ma originariamente più numerose, perché abbiamo notizia di un ven­ la, sono una sorta di fenomenologia delle passioni umane: ne analizzano
tiduesimo libro). Di carattere più propriamente scientifico sono le Naturales quae-
i meccanismi di origine e i modi per inibirle e dominarle (all’ira in particola­
stiones, in sette libri (in origine forse otto). Abbiamo inoltre di Seneca nove trage­
die cothurnatae, cioè di argomento greco (Hercules furens, Tròades, Phoenissae,
re è dedicato il III libro). L ’opera é dedicata al fratello Novato, al quale
Medèa, Phaedra, Oèdipus, Agamemnon, Thyestes, Hercules Oetaeus, cosi ordi­ Seneca dedicherà qualche anno dopo (quando Novato si chiamerà Gallione,
nate nel codice più autorevole, l’Etrusco) e il Ludus de morte Claudii (o Apokolo- Il De vita beata dal nome del padre adottivo, il retore Giunio Gallione) anche il De vita
kyntosls), una satira menippea sulla singolare apoteosi dell’imperatore, opera og­ e il problema beata (forse del 58), che affronta il problema della felicità e del ruolo che
gi generalmente ritenuta autentica. Molti dubbi sussistono invece sulla paternità della ricchezza nel perseguimento di essa possono svolgere gli agi e le ricchezze. In realtà,
senecana degli Epigrammi (cfr. più avanti). dietro il problema generale, Seneca sembra voler fronteggiare le accuse, che
Diverse le opere perdute: una biografia del padre, numerose orazioni, svaria­ sappiamo gli venivano mosse (Tacito, Annales XIII 42), di incoerenza fra
ti trattati di carattere fisico, geografico, etnografico, molte altre opere filosofiche i principi professati e la concreta condotta di vita che lo aveva portato,
(fra cui i Moralis philosophiae libri, cui accenna più volte egli stesso). Parecchie grazie alla posizione di potere occupata a corte, ad accumulare un patrimo­
anche le opere di dubbia attribuzione o sicuramente spurie: fra queste ultime
nio sterminato (anche mediante la pratica dell’usura). Posto che l’essenza
il caso più noto è quello della corrispondenza fra Seneca e S. Paolo, frutto di
una leggenda che contribuì ad alimentare la fortuna di Seneca nel Medioevo.
della felicità è nella virtù, non nella ricchezza e nei piaceri (la polemica è
rivolta soprattutto all’epicureismo, o almeno alle sue versioni deteriori), Se­
neca legittima tuttavia l’uso della ricchezza se questa si rivela funzionale
Fonti Molte sono le notizie autobiografiche forniteci da Seneca stesso (specialmen­ alla ricerca della virtù. Saggezza e ricchezza non sono necessariamente anti­
te nelle Epistulae e nella Consolatio ad Helviam matrem); fra le altre fonti, le tetiche (nemo sapientiam paupertate damnavit, «nessuno ha condannato la
più importanti sono i libri XII-XV degli Annales di Tacito; una sezione della Storia saggezza alla povertà», 23); Seneca resta generalmente estraneo al fascino
romana dello storico greco Dione Cassio; le biografie svetoniane degli imperatori del modello cinico, avvertito come pericolosamente asociale: chi aspira alla
Caligola, Claudio, Nerone.
sapientia (che resta un ideale mai pienamente conseguibile) dovrà saper «sop­
portare» gli agi e il benessere che le circostanze della vita gli hanno procura­
to, senza lasciarsene invischiare (secondo il principio, cioè, che l’importante
non è non possedere ricchezze, ma non farsi possedere da esse).
1. I Dialo gì e la saggezza stoica I dialoghi a Il superiore distacco del saggio dalle contingenze terrene è anche il tema
Sereno e il unificante della «trilogia» dedicata all’amico Sereno, che abbandona le sue
distacco del convinzioni epicuree per accostarsi all’etica stoica: De constantia sapientis,
saggio stoico De otio, De tranquillitate animi. Il primo dei tre dialoghi (pubblicato dopo
Il genere della Ben poche, fra le opere senecane rimasteci, sono databili con sicurezza
dalle contingenze
consolatio o buona approssimazione (sicché è difficile cercar di seguire un eventuale il 41) esalta appunto l’imperturbabilità del saggio stoico, forte della sua inte­
terrene
sviluppo del suo pensiero, o collegarlo alle vicende biografiche). Fra queste riore fermezza, di fronte alle ingiurie e alle avversità. Il De tranquillitate
dovrebbe essere la Consolatio ad Marciam, scritta sotto il principato di Cali- animi (l’unico parzialmente in forma dialogica) affronta un problema fon­
gola (forse attorno al 40), e indirizzata alla figlia dello storico Cremuzio damentale nella riflessione filosofica senecana, la partecipazione del saggio
Cordo per consolarla, appunto, della perdita di un figlio. Il genere della alla vita politica. Seneca cerca una mediazione fra i due estremi deìVotium
consolazione, già coltivato nella tradizione filosofica greca, si costituisce at­ contemplativo e dell’impegno proprio del civis romano, suggerendo un com­
torno a un repertorio di temi morali (la fugacità del tempo, la precarietà portamento flessibile, rapportato alle condizioni politiche: l’obiettivo da con­
della vita, la morte come destino ineluttabile dell’uomo, ecc.) attorno ai seguire, sottraendosi sia al tedio di una vita solitaria sia agli obblighi della
quali ruoterà gran parte della riflessione filosofica di Seneca: ad esso egli tumultuosa vita cittadina, è sempre quello della serenità di un’anima capace
torna a far riferimento anche nelle altre due consolationes pervenuteci. Tut­ di giovare agli altri, se non con l’impegno pubblico, almeno con l’esempio
te e due sono degli anni dell’esilio: quella A d Helviam matrem (forse del e la parola. Se la tensione fra impegno e rinuncia è qui ancora irrisolta
42) cerca di tranquillizzare la madre sulla condizione del figlio esule, esaltan­ (e anche per ciò si tende a collocare il dialogo poco prima del 62), la scelta
do gli aspetti positivi dell’isolamento e dell’otium contemplativo; l’altra (43?), di una vita appartata è invece chiara nel De otio: una scelta forzata, resa
rivolta A d Polybium, un potente liberto di Claudio, per consolarlo della necessaria da una situazione politica compromessa tanto gravemente da non
perdita di un fratello, si rivela in realtà come un tentativo di adulare indiret­ lasciare al saggio, impossibilitato a giovare agli altri, alternativa diversa dal
tamente l’imperatore per ottenere il ritorno a Roma (ed è l’opera che più rifugio nella solitudine contemplativa, di cui si esaltano i pregi (l’opera si
è costata a Seneca l’accusa di opportunismo). colloca forse nel 62, ai tempi del ritiro dalla vita politica).
I libri De ira Le singole opere dei Dialogi costituiscono trattazioni autonome di aspet­ Il De brevitate Più indietro, forse agli anni tra il 49 e il 52, sembra risalire il De brevita­
ti o problemi particolari dell’etica stoica, il quadro generale in cui l’intera vitae e il De te vitae (dedicato a Paolino, prefetto dell’annona, forse parente della secon­
produzione filosofica senecana si iscrive (uno stoicismo, comunque, che ha providentia da moglie di Seneca), che tratta il problema del tempo, della sua fugacità
346 SENECA LE EPISTOLE A LUCILIO 347

e dell’apparente brevità di una vita che tale ci sembra perché non ne sappia­ stoica di un ordine cosmico governato dal logos, dalla ragione universale,
mo afferrare l’essenza, ma la disperdiamo in tante occupazioni futili senza il più idoneo a rappresentare l’ideale di un universo cosmopolita, a fungere
averne piena consapevolezza. Agli ultimi anni dovrebbe invece appartenere da vincolo e simbolo unificante dei tanti popoli che formano l’impero; sen­
quello che apre la raccolta dei «dialoghi», cioè il De providentìa (dedicato za considerare, infine, che si era ormai imposto nei fatti, e non sembrava
al Lucilio delle Epistulae)'. affronta il problema della contraddizione fra il realistico confidare in quel miraggio di una restaurazione della libertas re­
progetto provvidenziale che secondo la dottrina stoica presiede alle vicende pubblicana che animava i circoli stoicheggianti dell’opposizione aristocrati­
umane (in polemica con la tesi epicurea dell’indifferenza divina) e la scon­ ca. Il problema, piuttosto, è quello di avere un buon sovrano: e in un regime
certante constatazione di una sorte che sembra spesso premiare i malvagi di potere assoluto, privo di forme di controllo esterno, l’unico freno sul
e punire gli onesti. La risposta di Seneca è che le avversità che colpiscono sovrano sarà la sua stessa coscienza, che lo dovrà trattenere dal governare
chi non le merita non contraddicono tale disegno provvidenziale, ma attesta­ in modo tirannico. La clemenza (che non si identifica con la misericordia
no la volontà divina di mettere alla prova i buoni ed esercitarne la virtù: o la generosità gratuita, ma esprime un generale atteggiamento di filantropi­
il sapiens stoico realizza la sua natura razionale nel riconoscere il posto che ca benevolenza) è la virtù che dovrà informare i suoi rapporti coi sudditi:
nell’ordine cosmico governato dal logos a lui è assegnato, e nell’adeguarvisi con essa, e non incutendo timore, egli potrà ottenere da loro consenso e
compiutamente. dedizione, che sono la più sicura garanzia di stabilità di uno stato.
La filosofia alla È evidente, in questa concezione di un principato illuminato e paternali­
guida dello stato stico, che affida alla coscienza del sovrano, al suo perfezionamento morale,
la possibilità di instaurare un buon governo, l’importanza che acquista l’e­
2. Filosofia e potere ducazione del princeps e più in generale la funzione della filosofia come
garante e ispiratrice della direzione politica dello stato. In questa generosa
illusione, che sembrava rinnovare l’antico progetto platonico del governo
Le Naturales Dedicati a Lucilio, e successivi al ritiro dalla vita pubblica, sono anche dei filosofi, e che determinò in maniera drammatica anche le sue vicende
quaestiones i Naturalium quaestionum libri VII, l’unica opera senecana di carattere scien­ biografiche, Seneca impegnò a lungo le proprie energie: mosso sempre dal­
tifico rimastaci. Vi sono trattati i fenomeni atmosferici e celesti, dai tempo­ l’impulso ai doveri della vita sociale, e ugualmente lontano dalle posizioni
rali ai terremoti alle comete: è il frutto di un vasto lavoro di compilazione, estreme di un intransigente rifiuto alla collaborazione col princeps come di
durato probabilmente lunghi anni, da svariate fonti soprattutto stoiche (co­ una servile acquiescenza al suo dispotismo, egli coltiva un ambizioso proget­
me Posidonio), e sembra costituire il supporto «fisico» all’impianto filosofi- to di equilibrata e armoniosa distribuzione del potere tra un sovrano mode­
co senecano, ma in realtà non c’è integrazione né organicità fra indagine rato e un senato salvaguardato nei suoi diritti di libertà e dignità aristocrati­
e ricerca morale. ca. All’interno di quel progetto, come s’è accennato, alla filosofia spetta
Il De beneficiis e Più o meno allo stesso periodo (è terminata nel 64, come attesta lo un ruolo assolutamente preminente, quello di promuovere la formazione mo­
il ripiegamento stesso Seneca in Epistulae ad Lucilium 81,3) risale un’altra opera filosofica rale del sovrano e àe\Vélite politica, ma la rapida degenerazione del governo
sulla morale tramandata autonomamente dai Dialogi, cioè i sette libri De beneficiis, dedi­ neroniano, dopo la parentesi del «quinquennio felice», mette a nudo i limiti
individuale cati all’amico Ebuzio Liberale. Vi si tratta appunto della natura e delle varie di quel disegno, vanificandolo, e la filosofia senecana deve ridefinire i suoi
modalità degli atti di beneficenza, del legame che istituiscono fra benefatto­ compiti, allentando i legami con la civitas e accentuando progressivamente
re e beneficato, dei doveri di gratitudine che li regolano e delle conseguenze l’impegno ad agire sulle coscienze dei singoli: privato di un suo ruolo politi­
morali che colpiscono gli ingrati (si sospetta una velata allusione al compor­ co, il saggio stoico si pone al servizio dell’umanità.
tamento di Nerone nei suoi confronti). L’opera, che analizza il beneficio
soprattutto come elemento coesivo dei rapporti interni all’organismo sociale,
sembra trasferire sul piano della morale individuale il progetto di una socie­
tà equilibrata e concorde che Seneca aveva fondato sull’utopia di una mo­ 3. La pratica quotidiana della filosofia: le Epistole a Lucilio
narchia illuminata. L ’appello, rivolto soprattutto alle classi privilegiate, ai
doveri della filantropia e della liberalità, nell’intento di instaurare rapporti
sociali più umani e cordiali, si configura perciò come la proposta alternativa Il ripiegamento Se è vero infatti che non si possono distinguere troppo nettamente, nella
(con una sorta di prospettiva rovesciata, ma con identica impostazione pa­ verso la elaborazione filosofica di Seneca, i due momenti dell’impegno civile e dell’o-
ternalistica) al fallimento di quel progetto. coscienza tium meditativo (l’aspirazione ad assolvere, nelle forme mediate concesse
Il De clementia e L’opera in cui Seneca aveva esposto più compiutamente la sua concezio­ individuale dalla situazione, una funzione sociale resta forte anche nelle opere tarde),
il problema del ne del potere è il De clementia, opportunamente dedicato al giovane impera­ è tuttavia innegabile che nella produzione successiva al suo ritiro dalla scena
buon sovrano tore Nerone (negli anni 55-56) come traccia di un ideale programma politico politica egli si muove soprattutto nell’orizzonte della coscienza individuale.
ispirato a equità e moderazione. Seneca non mette in discussione la legittimi­ L ’opera principale della sua produzione tarda, e la più celebre in assoluto,
tà costituzionale del principato, né le forme apertamente monarchiche che sono le Epistulae ad Lucilium, una raccolta di lettere di maggiore o minore
esso ha ormai assunto: il potere unico era il più conforme alla concezione estensione (fino alle dimensioni di un trattato) e di vario argomento indi­
348 SENECA LO STILE «DRAMMATICO» 349

rizzate appunto all’amico Lucilio (personaggio di origini modeste, un po’ Filosofia di Oltre però a essere funzionale a una fase specifica del processo di dire­
più giovane di Seneca e proveniente dalla Campania, assurto al rango eque­ Seneca e zione spirituale, il genere epistolare si rivela anche appropriato ad accogliere
stre e a varie cariche politico-amministrative, di buona cultura, poeta e scrit­ tradizione un tipo di filosofia, come quella senecana, priva di sistematicità e incline
tore egli stesso). Se si tratti di un epistolario reale o fittizio è questione diatribica piuttosto alla trattazione di aspetti parziali o singoli temi etici. Gli argomenti
di cui si continua tuttora a discutere: non ci sono difficoltà insormontabili delle lettere, suggeriti per lo più dall’esperienza quotidiana, sono svariati,
per credere alla realtà di uno scambio epistolare (varie lettere richiamano ma vengono generalmente ricondotti alle tematiche della tradizione diatribi­
quelle di Lucilio in risposta), ipotesi peraltro non inconciliabile con la possi­ ca (nella varietà e nell’occasionalità, nonché nell’aggancio fra vita vissuta
bilità che altre lettere, specie quelle più ampie e sistematiche, non siano state e riflessione morale, sono evidenti le affinità con la satira, soprattutto ora­
effettivamente inviate e siano state invece inserite nella raccolta al momento ziana): vertono sulle norme cui il saggio informa la sua vita, sulla sua indi-
della pubblicazione. L’opera, come si è detto, ci è giunta incompleta, e si pendenza e autosufficienza, sulla sua indifferenza alle seduzioni mondane
può datare a partire dal periodo del disimpegno politico (62 - inizio 63); e sul suo disprezzo per le opinioni correnti. Col tono pacato, cordiale, di
costituisce in ogni caso un unicum nel panorama letterario e filosofico antico. chi non si atteggia a maestro severo ma ricerca egli stesso la via verso la
L’epistola Lo spunto a comporre lettere di carattere filosofico indirizzate ad amici saggezza, una meta mai pienamente raggiungibile, Seneca propone l’ideale
filosofica come sarà venuto probabilmente a Seneca da Platone e soprattutto da Epicuro; di una vita indirizzata al raccoglimento e alla meditazione, al perfeziona­
genere letterario come che sia, egli mostra piena consapevolezza, non priva di orgoglio, di mento interiore mediante un’attenta riflessione sulle debolezze e i vizi propri
introdurre nella cultura letteraria latina un genere nuovo, che egli tiene pole­ e altrui. La considerazione della condizione umana che accomuna tutti i
micamente a distinguere dalla comune pratica epistolare, anche quella di viventi lo porta ad esprimere una condanna del trattamento comunemente
tradizione più illustre, rappresentata da Cicerone. Il modello cui egli intende riservato agli schiavi, con accenti di intensa pietà che hanno fatto pensare
uniformarsi è appunto Epicuro, colui che nelle lettere agli amici ha saputo al sentimento della carità cristiana: in realtà l’etica senecana resta profonda­
perfettamente realizzare quel rapporto di formazione e di educazione spiri­ mente aristocratica, e il sapiens stoico che esprime la sua simpatia per gli
tuale che Seneca istituisce con Lucilio. Le sue lettere vogliono essere uno schiavi maltrattati manifesta apertamente anche il suo irrevocabile disprezzo
strumento di crescita morale, un diario delle conquiste dello spirito nel lun­ per le masse popolari abbrutite dagli spettacoli del circo.
go itinerario verso la sapientia. Riprendendo un topos molto comune nell’e­ L'obiettivo del Il distacco dal mondo e dalle passioni che lo agitano si accentua, nelle
pistolografia antica, Seneca insiste sul fatto che lo scambio epistolare per­ saggio stoico Epistole, parallelamente al fascino della vita appartata e all’assurgere dell’o-
mette di istituire un colloquium con l’amico, di creare con lui un’intimità tium a valore supremo: un otium che non è inerzia ma alacre ricerca del
quotidiana che, fornendo direttamente un esempio di vita, sul piano pedago­ bene, nella convinzione che le conquiste dello spirito possano giovare non
La pratica gico si rivela più efficace dell’insegnamento dottrinale. Più degli altri generi solo agli amici impegnati nella ricerca della sapientia, ma anche agli altri,
quotidiana della di letteratura filosofica, la lettera, vicina alla realtà della vita vissuta (da e che le Epistole possano esercitare il loro benefico influsso sulla posterità.
filosofia cui riprende svariati elementi, servendosene come spunto per considerazioni La conquista della libertà interiore (resasi necessaria la rinuncia alle rivendi­
di carattere morale), si presta perfettamente alla pratica quotidiana della cazioni sul terreno politico) è l’estremo obiettivo che il saggio stoico si pone,
filosofia: proponendo ogni volta un nuovo tema, semplice e di apprendi­ a cui si accompagna la meditazione quotidiana della morte, alla quale egli
mento immediato, alla meditazione dell’amico discepolo (sul modello delle ■ sa guardare con mente serena come al simbolo della propria indipendenza
scuole di filosofia), essa ne accompagna e ne scandisce le tappe, conquista dal mondo.
dopo conquista, verso il perfezionamento interiore (allo stesso intento obbe­
disce l’uso di concludere ogni lettera, nei primi tre libri, con una sententia,
un aforisma che offre un frammento di saggezza su cui meditare). Rifacen­
dosi a uno schema di procedimento in uso nella scuola di Epicuro (che gra­ 4. Lo stile «drammatico»
duava i vari momenti del cammino verso la sapientia), Seneca utilizza l’epi­
stola come strumento ideale soprattutto per la prima fase della direzione
spirituale, fondata sull’acquisizione di alcuni principi basilari, cui farà segui­ Lo stile di Se fine precipuo della filosofia è giovare al perfezionamento interiore,
to, con l’accrescimento delle capacità analitiche del discente e l’arricchimen­ Seneca nella il filosofo dovrà badare alle res, non alle parole ricercate ed elaborate: non
to del suo patrimonio dottrinale, il ricorso a strumenti di conoscenza più teoria e nella delectent verba nostra sed prosint (.Epistulae ad Lucilium 75,5): queste si
impegnativi e complessi: e la conferma di questo progressivo adeguarsi della pratica giustificheranno solo se — proprio in virtù della loro efficacia espressiva,
forma letteraria ai diversi momenti del processo di formazione è fornita in forma ad esempio di sententiae o citazioni poetiche — assolveranno a
dalla tendenza delle singole lettere, man mano che l’epistolario procede, ad una funzione psicagogica, se contribuiranno cioè a fissare nella memoria
assimilarsi al trattato filosofico. Non meno importante dell’aspetto teorico e nell’animo un precetto o una norma morale. In realtà, a fronte di un
(più volte anzi Seneca polemizza contro le eccessive sottigliezze logiche dei programma di stile inlaboratus et facilis (Epistulae ad Lucilium 75,1), la
filosofi, specialmente stoici) è infatti nella lettera quello parenetico: essa ten­ prosa filosofica senecana è diventata quasi l’emblema di uno stile elaborato,
de non solo e non tanto a dimostrare una verità quanto ad esortare, ad teso e complesso, caratterizzato dalla ricerca dell’effetto e dell’espressione
invitare al bene. concisamente epigrammatica. Seneca rifiuta la compatta architettura classica
350 SENECA LE TRAGEDIE 351

Stile di Seneca e del periodo ciceroniano, che nella sua disposizione ipotattica organizzava dio che divide i suoi figli Etèocle e Polinice. N aturalm ente ancora a Euripide (ma
retorica asiana anche la gerarchia logica interna, e dà vita a uno stile eminentemente para­ forse anche a u n ’om onim a, e fortunata, tragedia perduta di Ovidio) si rifa la M edea,
la cupa vicenda della principessa della Colchide abbandonata da Giasone e perciò
tattico, che — anche nell’intento di riprodurre il sermo, la lingua parlata assassina, per vendetta, dei figli avuti da lui. Anche la Phaedra presuppone il celebre
— frantuma l’impianto del pensiero in un susseguirsi di frasi aguzze e sen­ modello euripideo (ΓIppolito superstite m a anche quello, anteriore, perduto), non­
tenziose, il cui collegamento è affidato soprattutto all’antitesi e alla ripeti­ ché, probabilm ente, una tragedia perduta di Sofocle e la q u arta delle Heroides ovi-
zione (producendo quell’impressione di «sabbia senza calce» che gli rinfac­ diane: tratta dell’incestuoso am ore di Fedra per il figliastro Ippolito e del dram m ati­
co destino che si abbatte sul giovane, restio alle seduzioni della m atrigna, la quale
ciava il malevolo Caligola). Questa prosa antitetica all’armonioso periodare si vendica denunciandolo al m arito Tèseo, padre di Ippolito, e provocandone la m or­
ciceroniano e (come avvertiva preoccupato Quintiliano) rivoluzionaria sul te. L 'Edipo re sofocleo è alla base àe\V Oedipus, che narra il notissimo mito tebano
piano del gusto (e destinata a esercitare grande influsso sulla prosa d’arte di Èdipo inconsapevole uccisore del padre Laio e quindi sposo della m adre Giocasta:
europea), affonda le sue radici nella retorica asiana — che nelle scuole di alla scoperta della trem enda verità egli reagisce accecandosi. A ll’om onim o dram m a
declamazione, a Seneca ben familiari, celebrava i suoi trionfi — e nella pre­ di Eschilo si ispira, assai liberamente, ì’A gam em non, che rappresenta l’assassinio
del re, al ritorno da Troia, per m ano della moglie Clitennestra e dell’am ante Egisto.
dicazione dei filosofi cinici: il suo tipico procedere mediante un ricercato Il Thyestes rappresenta invece il cupo mito dei Pelòpidi (già trattato in opere perdute
gioco di parallelismi, opposizioni, ripetizioni, in un succedersi serrato di fra- di Sofocle e Euripide, nonché del teatro latino arcaico e più recente, per esempio
sette nervose e staccate (le minutissimae sententiae deplorate da Quintilia­ nell’om onim a tragedia di Vario, amico di Orazio e Virgilio): anim ato da odio m orta­
no), con una sorta di tecnica «puntillistica», produce l’effetto di sfaccettare le per il fratello Tieste, che gli h a sedotto la sposa, À treo si vendica con un finto
banchetto di riconciliazione in cui imbandisce al fratello ignaro le carni dei figli.
un’idea secondo tutte le angolazioni possibili, fornendone una formulazione N ell’Hercules Oetaeus (cioè sull’Eta, il m onte su cui si svolge l’evento culminante
sempre più pregnante e concisa, fino a cristallizzarla nell’espressione epi­ del dram m a dell’eroe), modellato sulle Trachinie di Sofocle, è trattato il mito della
Stile e pensiero grammatica. Di questo stile aguzzo e penetrante (che nella sua continua ten­ gelosia di Deianira, che per riconquistare l’am ore di Ercole innam oratosi di Iole,
di Seneca sione non sa evitare una certa teatralità) Seneca si serve come di una sonda gli invia una tunica intrisa del sangue del centauro Nesso, creduto un filtro d ’amore
per esplorare i segreti dell’animo umano e le contraddizioni che lo lacerano, e in realtà dotato di potere m ortale: tra dolori atroci :Ercole si fa innalzare un rogo
e vi si getta per darsi la m orte, cui farà seguito la sua assunzione fra gli dei.
ma anche per parlare al cuore degli uomini ed esortare al bene: uno stile
intimamente antitetico e conflittuale («drammatico», secondo un’efficace de­
Tragedie di età Quelle di Seneca sono le sole tragedie latine a noi pervenute in forma
finizione), che alterna i toni sommessi della meditazione interiore e quelli
giulio-claudia e non frammentaria. Oltre che per questa ragione, che ne fa una testimonian­
vibranti della predicazione: uno stile che riflette emblematicamente le spinte
ispirazione za preziosa di un intero genere letterario, sono importanti anche come docu­
che animano la filosofia senecana, tesa fra la ricerca della libertà dell’io antìtirannica
e la liberazione dell’umanità. mento della ripresa del teatro latino tragico, dopo i tentativi poco fortunati
che la politica culturale augustea fece per promuovere una rinascita dell’atti­
vità teatrale (è in questo progetto che si inserisce, con altre, la produzione
del Thyestes di Vario, nel 29 a.C., in cui la polemica antitirannica connessa
al soggetto aveva forse come bersaglio Antonio). In età giulio-claudia e nella
5. Le tragedie prima età flavia l'élite intellettuale senatoria (prima che il forte rinnovamen­
to sociale operato nell’ordine senatorio dai Flavi ne modificasse anche l’at­
teggiamento politico) sembra in effetti ricorrere al teatro tragico (tragedie
Impossibilità di Un posto importante nella produzione letteraria di Seneca è occupato avrebbero composto, con altri, anche Persio e Lucano) come alla forma
una cronologia dalle tragedie: sono nove quelle ritenute generalmente autentiche (qualche letteraria più idonea ad esprimere la propria opposizione al regime (nella
delle tragedie di dubbio sussiste solo per l'Hercules Oetaeus), tutte di soggetto mitologico tragedia latina, che riprende ed esalta un aspetto già fondamentale in quella
Seneca greco. Molto poco, comunque, è ciò che sappiamo su di esse, sulle circo­ greca classica, era sempre stata forte l’ispirazione repubblicana e l’esecrazio­
stanze della loro eventuale rappresentazione o sulla data di composizione, ne della tirannide).
sulla quale non è possibile avanzare illazioni nemmeno in base a criteri stili­
stici o, tanto meno, a presunti riferimenti ad eventi contemporanei; sicché, Tragediografi di I tragediografi di età giulio-claudia e flaviana di cui abbiam o notizie sono tutti per­
nell’impossibilità di delinearne una cronologia attendibile, le si elenca nel­ età giulio-claudia sonaggi di rilievo nella vita pubblica rom ana. Sappiamo dagli A nnales di Tacito
l’ordine in cui le trasmette la tradizione più autorevole. e flaviana che, sotto l’impero di Tiberio, M amerco Scauro, celebre anche come oratore, fu
costretto a uccidersi perché in una sua tragedia, VÀtreus, erano state ravvisate allu­
sioni all’im peratore. Al tempo di Claudio ebbe fam a Pom ponio Secondo, il quale
Riassunto delle L 'Hercules fu ren s, costruita sul modello dell'Eracle euripideo, tratta il tem a della rivestì anche la carica di console: di lui scriverà un a biografia l’amico Plinio il Vec­
tragedie di follia di Ercole, che, provocata da Giunone, induce l’eroe a uccidere moglie e figli: chio. Pom ponio Secondo, oltre a tragedie di argom ento greco, compose anche una
Seneca una volta rinsavito, e determ inato a suicidarsi, egli si lascia distogliere dal suo propo­ praetexta intitolata Aeneas. Si può infine ricordare, nell’età di Vespasiano, Curiazio
sito e si reca infine ad Atene a purificarsi. Le Troades, risultanti dalla contam inazio­ M aterno, che fu anche oratore e che figura come interlocutore nel Dialogus de orato-
ne dei soggetti di due dramm i euripidei, le Troiane e l'Ecuba, rappresentano la sorte rìbus di Tacito. Delle sue tragedie conosciamo vari titoli, fra cui quelli di due prae­
delle donne troiane prigioniere e im potenti di fronte al sacrificio di Polissena, figlia textae, il Cato e il D om itius.
di Priam o, e del piccolo A stianatte, figlio di E ttore e A ndrom aca. Sulle Fenicie
di Euripide e sull'Èdipo a Colono sofocleo sono im prontate le Phoenissae, l’unica
tragedia senecana incompleta, che ruota attorno al tragico destino di Èdipo e all’o­ La scarsità di notizie esterne sulle tragedie senecane non ci permette,
352 SENECA
l ’a p o k o l o k y n t o s i s 353
Le tragedie di però, di sapere nulla di certo sulle modalità della loro rappresentazione. Il peso greci è mediato comunque dal filtro del gusto e della tradizione latina. Il
Seneca erano Ciò che sappiamo, anzi, sulla destinazione della letteratura tragica in età preponderante linguaggio poetico delle tragedie ha la sua base costitutiva nella poesia augu­
destinate già anteriore a Seneca — e cioè che si continuava sì a rappresentare normal­ della poesia stea (molto cospicua e pervasi va la presenza di Ovidio), dalla quale Seneca
soprattutto alla mente in scena le tragedie, ma che ci si poteva anche limitare a leggerle augustea
lettura
mutua anche le raffinate forme metriche, come i metri lirici oraziani usati
nelle sale di recitazione — ha indotto gli studiosi a credere (anche sulla base negli intermezzi corali (nonché il particolare tipo di senario, già adottato
di certe loro peculiarità stilistiche) che quelle di Seneca fossero tragedie de­ dal teatro tragico augusteo e vicino piuttosto, nel suo schema rigido, al tri­
stinate soprattutto alla lettura, il che poteva non escludere talora, o per metro giambico greco e oraziano che non al più libero senario del teatro
talune di esse, la rappresentazione scenica. Questa opinione è tuttora, a ra­ Tragedia arcaica arcaico latino). Le tracce della tragedia latina arcaica si avvertono soprattut­
gione, prevalente, anche se non tutti gli argomenti a sostegno di questa tesi latina e retorica to nel gusto del pathos esasperato, nella tendenza al cumulo espressivo (rea­
sono ugualmente probanti: ad esempio la macchinosità, o la truce spettaco­ asiana lizzato però nei modi dello stile augusteo) e alla frase sentenziosa, isolata
larità, di alcune scene, che certo erano incompatibili coi canoni di rappre­ in netto rilievo: ma la ricerca delle sententiae, si sa, è alimentata soprattutto
sentazione del teatro greco classico, sembrerebbero presupporre, piuttosto dal gusto retorico del tempo. La stessa tendenza si manifesta anche nella
che smentire, una rappresentazione scenica, laddove una semplice lettura frammentazione dei dialoghi in serrate corresponsioni stichiche (un verso
avrebbe limitato, se non annullato, gli effetti ricercati dal testo drammatico. per ogni personaggio), in una costante ricerca della brevitas asiana. Da sem­
Filosofìa e Le varie vicende tragiche si configurano come conflitti di forze contra­ pre infatti sul teatro di Seneca grava il marchio della retorica asiana, perce­
tragedia in stanti (soprattutto all’interno dell’animo umano), come opposizione fra mens pibile nella continua tensione, nell’enfasi declamatoria, nello sfoggio di gre­
Seneca bona e furor, fra ragione e passione: la ripresa di temi e motivi rilevanti ve erudizione (ad esempio nei cataloghi geografici o mitologici), in quelle
delle opere filosofiche (come ad esempio, nella vicenda di Ercole, il tema tinte fosche e macabre che hanno propiziato la fortuna moderna di Seneca
dell’uomo forte che supera le prove della vita per assurgere alla superiore Le digressioni tragico. Spesso l’esasperazione della tensione drammatica è ottenuta mediante
libertà) rende evidente una consonanza di fondo fra i due settori della pro­ l’introduzione di lunghe digressioni (ekphràseis), esorbitanti rispetto alla con­
duzione senecana, e ha alimentato la convinzione che il teatro senecano non suetudine epica e soprattutto tragica, che alterano i tempi dello sviluppo
sia che un’illustrazione, sotto forma di exempla forniti dal mito, della dot­ scenico inserendosi cosi nella tendenza, propria del teatro senecano, a isola­
trina stoica. L ’analogia però non va troppo accentuata, sia perché resta for­ re singole scene come quadri autonomi, estraniati dal contesto della dinami­
te, nelle tragedie, la matrice specificamente letteraria (che poteva già offrire, ca teatrale (il che contribuisce a far pensare che questi «pezzi di bravura»
come nel caso di Euripide, il modello più utilizzato, rappresentazioni para­ dovessero esser letti nelle sale di recitazione). Uno stile, insomma, che coi
li logos sconfitto digmatiche di conflitti interni alla psiche umana), sia perché, nell’universo suoi tratti più peculiari si inquadra agevolmente nel gusto letterario contem­
tragico, il logos, il principio razionale cui la dottrina stoica affida il governo poraneo, di cui costituisce un documento tra i più rappresentativi.
del mondo, si rivela incapace di frenare le passioni e arginare il dilagare
del male. Alle diverse vicende tragiche fa infatti da sfondo una realtà dai L’Octavia Oltre alle nove tragedie esaminate, il ram o secondario della tradizione ne trasm ette
toni cupi e atroci, e su questo scenario di orrori si scatena la lotta delle u n ’altra intitolata Octavia: vi si rappresenta la sorte di Ottavia, la prim a moglie
forze maligne: lotta che non investe solo la psiche umana (che viene scanda­ di Nerone da lui ripudiata, una volta innam orato di Poppea, e fatta uccidere. Si
gliata fin nei suoi angoli più segreti, spesso attraverso lunghi ed elaborati tratta cioè di un a tragedia di argom ento rom ano, una praetexta (l’unica rimastaci),
m a la sua autenticità è oggi generalmente negata. Le ragioni principali contro l’au­
monologhi) ma il mondo intero (concepito, stoicamente, come unità fisica tenticità, al di là del forte sospetto ingenerato dal fatto che lo stesso Seneca vi com­
e morale), conferendo al conflitto fra bene e male una dimensione cosmica pare come personaggio del dram m a, sono nella descrizione di un avvenimento come
e una portata universale. Un rilievo particolare, fra le forme in cui più espres­ la m orte di N erone (del 68, successiva cioè di tre anni a quella di Seneca), preannun­
samente si manifesta questo emergere del male nel mondo, ha la figura del ciata dall’om bra di Agrippina, condotta in maniera troppo corrispondente alla realtà
storica per non far sospettare che la profezia sia stata scritta ex eventu, da qualcuno
tiranno sanguinario e bramoso di potere, chiuso alla moderazione e alla che aveva cioè conoscenza esatta di come le cose si erano svolte; e nel fatto che
clemenza, tormentato dalla paura e dall’angoscia, che dà luogo a frequenti l’autore, che m ostra grande fam iliarità con l’intera produzione di Seneca, sembra
spunti di dibattito etico su un tema, appunto quello del potere, che come trasferire nella tragedia brani versificati tratti dalle sue opere filosofiche. L ’Octavia
abbiamo visto occupa un posto centrale nella riflessione (nonché nella bio­ quindi, che sul piano stilistico m ostra affinità notevoli con le tragedie autentiche,
grafia) senecana. andrà collocata in un ambiente vicino a Seneca, e in anni non troppo posteriori
alla sua m orte (si pensa al decennio 70-80 d.C.).
Il rapporto coi Di quasi tutte le tragedie senecane, come abbiamo detto, possediamo
modelli greci i corrispettivi modelli greci, nei confronti dei quali possiamo quindi valutare
l’atteggiamento che egli tiene. Atteggiamento che, rispetto a quello tenuto
dai tragici latini arcaici, denota da un lato maggiore autonomia (dopo la
grande stagione augustea la letteratura latina non si limita più a «tradurre», 6 . L’A pokolokyntosis
ma si misura alla pari con quella greca, in libera emulazione), e al tempo
stesso però presuppone un rapporto continuo col modello, sul quale Seneca La stranezza del U n’opera davvero singolare, nel panorama della vasta produzione sene­
opera interventi di contaminazione, di ristrutturazione, di razionalizzazione titolo cana, è il Ludus de morte Claudii (come lo definiscono due dei manoscritti
nell’impianto drammatico. Anche se diretto, il rapporto con gli originali principali che lo trasmettono) o Divi Claudii apotheosis per saturam (secon-
354 SENECA GLI EPIGRAMMI - LA FORTUNA - BIBLIOGRAFIA 355

do la definizione, a mo’ di glossa, del terzo); ma il titolo sotto cui l’opera 7. Gli epigrammi
è più comunemente nota è quello, greco, di Apokolokyntosis, che ci fornisce
lo storico Dione Cassio (LX 35). Questa parola implicherebbe un riferimen­
to a kolókynta, cioè la zucca, forse come emblema di stupidità, e secondo Gli epigrammi Sotto il nome di Seneca vanno anche alcune decine di epigrammi in
Dione si tratterebbe di una parodia della divinizzazione di Claudio decretata distici elegiaci tramandati in un codice del IX secolo: sono anonimi, ma
dal senato alla sua morte. Il fatto che nel testo senecano non ci sia accenno siccome tre di essi, in un altro codice, sono attribuiti a Seneca, pure per
a una zucca, e che l’apoteosi di fatto non abbia luogo, ha fatto sorgere gli altri è stata proposta l’attribuzione a lui, anche se la paternità senecana
dubbi sull’identificazione dell’opera menzionata da Dione con il Ludus, dubbi è in molti casi difficilmente sostenibile. Il livello è generalmente decoroso
che oggi giustamente sono quasi del tutto dissolti: il curioso termine andrà ma non particolarmente brillante; alcuni di essi accennano all’esperienza del­
inteso non come «trasformazione in zucca», ma piuttosto come «deificazio­ l’esilio del filosofo in Corsica.
ne di una zucca, di uno zuccone», con riferimento alla fama non proprio
L'Apokolokyntosis lusinghiera di cui Claudio godeva. Altri dubbi e perplessità sono stati suscitati
parallela all’elogio dal fatto che, a quanto sappiamo da Tacito (Annales XIII 3), lo stesso Seneca 8. La fortuna
funebre di aveva scritto la laudatio funebris dell’imperatore morto (pronunciata da Ne­
Claudio rone), ed è parso a molti insostenibile un così radicale contrasto di comporta­
mento. La difficoltà ad ammettere che, subito dopo gli elogi ufficiali, Seneca La fortuna del La fortuna di Seneca, dall’antichità all’età moderna, è imponente. Dopo
potesse dare sarcastico sfogo al risentimento contro l’imperatore che lo aveva filosofo e quella la reazione al suo immediato successo, alimentata da Quintiliano e dal movi­
condannato all’esilio ha anche indotto diversi studiosi a posticipare, a torto, del tragediografo mento arcaizzante, nella tarda antichità guadagnò presso i Cristiani (è del
la data di composizione (attorno al 60) di un pamphlet che si giustificava IV secolo il falso carteggio con S. Paolo) quel prestigio altissimo che durò
solo se reso pubblico (magari in forma anonima) sull’onda di un evento, come per tutto il Medioevo e oltre, fino a influire profondamente sulla cultura
la divinizzazione di Claudio, che dietro il fragile velo dell’ufficialità aveva gesuitica, ma anche su quella protestante.
suscitato le ironie degli stessi ambienti di corte e dell’opinione pubblica (la Più tarda (soprattutto dal XIV secolo in poi) la fortuna delle tragedie,
composizione dell’opera va quindi collocata nello stesso 54). che dopo aver agito come modello del teatro tragico rinascimentale italiano
Contenuto e Il componimento narra la morte di Claudio e la sua ascesa all’Olimpo influenzarono profondamente, con il loro barocco truce e tenebroso, il tea­
genere letterario nella vana pretesa di essere assunto fra gli dei, i quali lo condannano invece tro elisabettiano, soprattutto Shakespeare. Ma la loro azione fu rilevante
dell’opera a discendere, come tutti i mortali, agli inferi, dove egli finisce schiavo del anche sul teatro classico francese (Corneille, Racine, poi Voltaire) e su quel­
nipote Caligola e da ultimo viene assegnato al liberto Menandro: una con­ lo romantico tedesco; in Italia soprattutto Alfieri, nella sua violenta polemi­
danna di contrappasso per chi aveva fama di esser vissuto in mano dei suoi ca antitirannica, ne mutuò la vibrante tensione.
potenti liberti. Allo scherno per l’imperatore defunto Seneca contrappone,
all’inizio dell’opera, parole di elogio per il suo successore, preconizzando
nel nuovo principato un’età di splendore e di rinnovamento.
L ’opera rientra nel genere della satira menippea (così detta da Menippo di Bibliografia L ’ed iz io n e c o m p le ta d elle o p e re in «dram m atico» del filo so fo Seneca, Bo­
Gàdara, l’iniziatore di questa forma letteraria — cfr. p . 185 seg. — al quale sem­ p ro sa è c u ra ta d a F . H aase , L eipzig 1852- logna 19874.
brano rimandare, come comune modello diretto, certe analogie del libello sene­ 1853; i Dialogi (sv a ria te le e d iz io n i sin ­ Per le tragedie, dopo l’edizione fon­
g o le , a n c h e c o n c o m m e n to : f r a q u e ste , dam entale di F . L e o (Berlin 1878-1879)
cano con alcuni dialoghi di Luciano), e alterna perciò prosa e versi di vario tipo, b u o n e , in I ta lia , q u e lla d i A. T r a in a al si ricorre a quelle di G . C . G ia r d in a , Bo­
in un singolare impasto linguistico e stilistico che accosta i toni piani delle parti D e brevitate vitae, T o rin o 1970, e d i I. logna 1966, e ora di O. Z w ie r l e in , Ox­
prosastiche a quelli spesso parodicamente solenni delle parti metriche, con sapi­ D io n ig i a l D e otio, B re sc ia 1983) so n o ford 1986. Fra le edizioni com m entate di
de coloriture colloquiali e beffarde incursioni nel lessico volgare. Uno stile che o r a d isp o n ib ili n e ll’e d iz io n e c u r a ta d a L . singole tragedie: Medea, a cura di C.D.N.
D . R e y n o l d s , O x fo rd 1977, a l q u a le si C o st a , O xford 1973; A gam em non, a cu­
rivela qua e là assonanze con la prosa filosofica senecana, e arricchisce l’imma­ deve a n ch e la p iù a tte n d ib ile edizione delle ra di R. J. T a r r a n t , Cambridge 1976;
gine della sua inventiva e versatilità di artista. Numerose sono le citazioni di ver­ Epistulae ad Lucilium , O x fo rd 1965. D e Hercules fu ren s, a cura di F . C a v ig l ia ,
si, anche greci, che producono effetti di un farsesco controcanto: si tratta a volte benefìciis e D e clementia s o n o e d iti d a Rom a 1979; Troades, a cura di F . C a v i ­
di passaggi famosi, già sfruttati da una lunga tradizione comica greca. Ma la pa­ F . P r é c h a c , P a ris 1961; le Naturales g l ia , Rom a 1981, e a cura di E . F a n -

rodia letteraria rientra, come dicevamo, nei caratteri costitutivi del genere me- quaestiones d a A. O l t r a m a r e , P a ris t h a m , Princeton 1982. Come saggio ge­
1929. F r a i saggi d ’in siem e vedi C . M a r ­ nerale si può vedere F . G ia n c o t t i , S tu ­
nippeo che l’Apokolokyntosis attesta per una frazione significativa. Così anche c h e s i, Seneca, M e ss in a 19443; I. L a n a , dio sulle tragedie di Seneca, Rom a 1953,
Ennio, Catullo, Virgilio, Ovidio offrono l’occasione di inserti spassosi, brevi ci­ L . A n n eo Seneca, T o r in o 1955; Μ . T . e il capitolo relativo di E . P a r a t o r e , Sto­
tazioni letterali inserite in un contesto incongruo o piegate ad un significato di­ G r i f f i n , Seneca, a Philosopher in Poli- ria del teatro latino, Milano 1957.
verso; altri brani più estesi rappresentano esempi di elaboratipastiches letterari, tics, O x fo rd 1976; P . G r i m a l , Sénèque Per FA p o ko lo kyn to sis si rim anda
ou la conscience de l ’Empire, P a ris 1978; all’ed. com m entata di C. F. Russo, Fi­
composizioni centonarie che fanno il verso ai generi di moda: l’epica, la trage­ u n a b u o n a a n to lo g ia c ritic a è q u e lla c u ­ renze 19856, e a quella di P . T . E d e n ,
dia. In un altisonante passo in senari giambici si può addirittura riconoscere una r a ta d a A. T r a i n a , M ila n o 1976. S u llo Cambridge 1984; gli epigrammi sono editi
gustosa autoparodia di Seneca tragico, con allusioni all 'Hercules furens. stile, e cc ellen te A. T r a i n a , L o stile e com mentati da C. P r a t o , Rom a 1964.
LA POESIA ASTRONOMICA: GERMANICO e MANILIO 357

herbis), elaborando poeticamente temi naturalistici e scientifici. Questo ge­


I GENERI POETICI nere di interessi è in crescita nella cultura romana di età imperiale, e culmi­
nerà nella grande summa di Plinio il Vecchio. In generale, Macro si sarà
NELL’ETÀ GIULIO-CLAUDIA ricollegato a quella tendenza neoalessandrina che lasciò traccia in Ovidio,
ma che domina soprattutto la poesia minore di età giulio-claudia.
Grattio A Macro possiamo ricollegare Grattio (al cui nome si usa aggiungere
l’epiteto di «Falisco» perché nella sua opera, parlando dei Faliscì, usa l’ag­
gettivo nostrii), autore di un poemetto didascalico sulla caccia (Cynegetica),
che ci è pervenuto incompiuto (circa 500 esametri): nella modesta operetta
convivono influssi virgiliani e gusto prezioso per la digressione mitologica.
La datazione dell’opera è anteriore all’esilio di Ovidio, che nomina Grattio
nelle Epistulae ex Ponto.

Il gusto per i Nella storia della poesia latina il periodo tra l’inizio del principato di
generi «minori» Tiberio e l’avvento di Nerone è uno dei più difficili da inquadrare sintetica­
mente: da una parte, si fa schiacciante l’influsso di personalità come Virgi­ 2. La poesia astronomica: Germanico e Manilio
lio, Orazio e Ovidio; dall’altra, mancano nuove figure di letterati che si
impongano come punti di riferimento e di attrazione. Il dato più vistoso
della produzione letteraria di questo periodo — la passione per generi poeti­ Arato nella A questa tendenza neo-alessandrina si possono ricollegare anche Mani­
ci «minori» — è proprio quello che rende più difficile la ricerca di costanti letteratura latina lio e Germanico, che, sia pure con interessi e accenti nuovi, e fra loro diver­
e di precise scuole letterarie. È interessante confrontare questi caratteri della genti, scelgono come modello della propria opera la poesia didascalica di
poesia con i gusti artistici dei vari imperatori: Tiberio, ad esempio, nutre Arato. Questo poeta dotto del IV-III secolo a.C. esercitò vasta influenza
una vera passione per certi filoni minori della poesia alessandrina, carmi sulla poesia romana; è imitato in Virgilio e, prima di lui, in Varrone Ataci­
dotti e mitologici, epilli come quelli rifusi da Ovidio nel grande progetto no; fu tradotto da Cicerone (cfr. p. 175), e sarà nuovamente tradotto, in
delle Metamorfosi. Preferenza tanto più significativa se si pensa allo sforzo età tardoantica, da Avieno (cfr. p. 555 seg.).
compiuto sotto Augusto dal «circolo di Mecenate» per valorizzare una lette­ Diffusione L ’interesse per l’astrologia e per l’astronomia è una componente notevo­
ratura più creativa e impegnata su grandi temi: la poesia didascalica ed epica
dell’astrologia in le della cultura romana, a partire almeno dall’età di Cesare. Non si tratta
Roma solo di interesse scientifico, o erudito: la fede negli astri si colora di filosofia
di Virgilio, la poesia civile, la poesia etica, e la critica letteraria di Orazio,
nonché la programmata rinascita del teatro latino (a queste direttive di poli­ e anche — sotto l’influsso sempre più pervasivo delle civiltà orientali —
tica culturale drammaturgica avevano dato risposta per esempio le perdute di religione. Gli stoici, ad esempio, danno grande importanza al rapporto
tragedie di Vario Rufo, Asinio Pollione e Ovidio). È facile pensare che la dell’uomo con il cosmo, e al legame tra destino umano e leggi naturali.
frammentazione delle opere e dei generi letterari sotto Tiberio, Caligola e Anche nella religione popolare è sempre più frequente il concetto della
Claudio, corrisponda anche a un declino di queste tensioni progettuali. predestinazione astrale, regolata da «attrazioni» celesti. Ma non si tratta
solo di cosmologia né solo di folklore: della fede nelle stelle fanno un uso
anche politico e propagandistico gli imperatori, a partire da Augusto, che
attribuisce grande importanza al proprio oroscopo; lo stesso Virgilio, in uno
dei brani più propagandistici e cortigiani di tutta la sua opera, il proemio
1. La poesia minore della generazione ovidiana al I libro delle Georgiche, inserisce la previsione del «catasterismo» — la
trasformazione dopo morto in un astro immortale — del principe Ottaviano.
Valgio Rufo e Fra i contemporanei di Ovidio, e già di Orazio, si segnalano varie figure Germanico Un uomo di potere, non a caso, è lo stesso Germanico (15 a.C. - 19
Domizio Marso di poeti elegiaci (ne abbiamo testimonianze indirette e scarsi frammenti). d.C.). Figlio adottivo dell’imperatore Tiberio, e successore designato, Ger­
Valgio Rufo (console nel 12 a.C.) compose epigrammi, elegie ed esametri manico (l’appellativo gli era stato lasciato in eredità dal padre Druso, morto
a tema bucolico; fu anche significativo come erudito. Un po’ più importante combattendo in Germania; cfr. p. 309) si segnalò precocemente come ge­
è Domizio Marso, autore di eleganti epigrammi, fra cui uno molto ..famoso nerale combattendo anche lui contro i Germani; la sua improvvisa morte
sulla morte di Tibullo. È verosimile che questi poeti pubblicassero collezioni fu attribuita ad un complotto politico. Di Germanico scrittore ci restano
miste, di poesia epigrammatica e/o elegiaca. quasi un migliaio di esametri: un poemetto, non completo (ne abbiamo 725
Emilio Macro Un po’ più collegato a Ovidio appare già Emilio Macro (morto nel 16 versi), dal titolo Aratea, ed estratti frammentari che vanno sotto il nome
a.C.), che praticò soprattutto quel genere di poesia didascalica ellenistica di Prognostica. Si tratta rispettivamente di una versione dei Fenomeni di
da noi citati in rapporto alle Georgiche virgiliane (cfr. p. 233 segg.). Scrisse Arato, e di una rielaborazione abbastanza libera dei Pronostici dello stesso
poemetti in esametri su uccelli (Ornithogònia), serpenti (Theriacà) ed erbe (De autore; quindi, rispettivamente, un poemetto sui corpi celesti e uno sui «se­
358 I GENERI POETICI NELL’ETÀ GIULIO-CLAUDIA SVILUPPI DELL’EPOS STORICO 359

gni del tempo». A giudicare da quanto rimane, i Pronostici erano resi in L’influsso di Lucreziano per tensione didascalica, Manilio è per altri versi forse il
forma molto più rimaneggiata e libera: non sappiamo se Germanico conce­ Ovidio primo vero esponente di quella che usiamo chiamare «età argentea» della
pisse l’insieme come un’opera unitaria. Il proemio degli Aratea contiene una poesia latina. Il suo esametro rivela, nella struttura fluida e regolare, l’in­
dedica ad un genitor che è certamente Tiberio (si noti che, nel corrisponden­ flusso dominante di Ovidio: è il codice espressivo che sarà dominante nei
te proemio, Arato si rivolgeva a Zeus). Si ha l’impressione che il testo vada grandi maestri dell’esametro «argenteo», Lucano e Stazio. La presenza di
datato poco dopo la morte di Augusto, quindi fra il 14 e il 19, sotto il Ovidio si sente anche nel gusto sentimentale e «rococò» di certe digressioni
regno di Tiberio. Data l’intensa attività, militare e diplomatica, svolta da mitologiche, che si staccano nettamente dal contesto astronomico: esempio
Germanico in questo periodo, non rimane che ammirare l’attenta cura for­ vistoso ne è la narrazione su Andromeda (V 549 segg.).
male e la scorrevolezza dell’opera: poco accentuata — soprattutto se si pen­ Datazione degli L ’opera deve essere stata composta verso la fine del regno di Augusto
sa a Manilio — è la trama dei riferimenti filosofici: l’insieme denota le dotte Astronomica — fra l’altro, presuppone chiaramente l’influsso delle Metamorfosi di Ovi­
occupazioni di un giovane curioso e di elevata cultura, che non si sente dio; secondo qualche critico però il poema contiene almeno un’allusione (IV
chiamato a una «missione» letteraria. 764) alla successione tiberiana; oltre a vari passi in cui si presuppone che
Manilio e Al contrario di Germanico, Manilio è per noi un personaggio enigmati­ Augusto sia sempre vivo. La datazione più verosimile si pone a cavallo tra
l’astrologia latina co; pochi autori latini hanno una biografia altrettanto oscura. Tutto ciò i due principati; non molto chiaro è il rapporto con Germanico, che pure
in prosa che sappiamo di lui viene da un testo del tutto privo di spunti autobiografi­ coincide con Manilio per cronologia e per interessi letterari.
ci: i cinque libri di esametri (poco più di 4200 versi) del poema didascalico La versificazione raffinata con una certa tendenza alla brevitas, la diffi­
Astronomica. coltà dei temi trattati, le frequenti oscurità e inesattezze fanno di Manilio
uno tra i poeti più difficili della letteratura latina.
Gli Astronomica Il p rim o lib ro è d e d ic a to a ll’a s tro n o m ia , c o n u n a d e sc riz io n e d e l c o sm o ch e c o m ­
p re n d e le ip o te s i su lla s u a o rig in e , le ste lle , i p ia n e ti, i c irc o li c elesti, le c o m e te .
Il se c o n d o lib ro a n a liz z a le c a ra tte ris tic h e dei seg n i d e llo z o d ia c o e le p o ss ib ilità
o f f e r te d a lle lo r o c o n g iu n z io n i; il te rz o de sc riv e le d o d ic i s o r ti, il lo cu s F o rtu n a e
e il m o d o di d e te rm in a re l ’o ro s c o p o ; il q u a r to a n a liz z a i d e c a n i d e i segni z o d ia c a li 3. Sviluppi dell’epos storico
(o g n i seg n o c o n s ta di tre u n ità o d e c a n i — di d iec i g ra d i c ia sc u n o — p e r u n to ta le
d i 36 d e c a n i) e il lo ro in flu s so su i c a ra tte ri u m a n i; il q u in to e s a m in a i segni e x tra ­
z o d ia c a li c h e a c c o m p a g n a n o il m o to d e llo z o d ia c o e le g ra n d e z z e ste lla ri. Perdita di gran Come già si era visto (cfr. p. 96 seg.), la poesia epica a soggetto stori­
parte dell’epica co conosce a Roma una fortuna ininterrotta, lacunosa solo per noi, che
Come già si accennava, nel corso del I secolo a.C. le dottrine astrali latina ne abbiamo — nel lungo periodo che sta fra Ennio e Lucano, fra età scipio­
erano state accolte ai più diversi livelli nel corpo della cultura ufficiale roma­ nica ed età neroniana — solo isolati frammenti, spesso solo titoli e nomi di au­
na — anche se perduravano sospetti e diffidenze, specie verso certe figure tori.
di astrologhi-maghi. In particolare, esponenti molto seri della cultura uffi­ La mancata conservazione di queste opere può essere indice di scarso
ciale quali Varrone e Nigidio Figulo si erano occupati sistematicamente — valore letterario, ma forse è più prudente ascriverla a mutamenti di gusto.
Lo stoicismo di in prosa — di queste problematiche. Il poema di Manilio è il più convinto Contro un certo tipo di epica storica e panegiristica polemizzarono Catullo,
Manilio tentativo di dare dignità poetica a questo filone di pensiero. La struttura Orazio, Properzio: è difficile perciò formarsi un giudizio sereno sulla qualità
del poema — che si interrompe piuttosto bruscamente nel V libro, ed è di questi poemi storici.
perciò con ogni probabilità incompiuto — è tutta sostenuta dalla ricerca Vario e Nel periodo tra Ennio e Virgilio il genere era rimasto nella scia stilistica
di un ordine universale, una ratio cosmica che muove la grande macchina Albinovano di Ennio, anche se non saranno mancati esperimenti di tendenze artistiche
dell’universo. Manilio è chiaramente uno stoico. In un passo di grande inte­ Pedone meno conservatrici. La nuova stagione dell’epos storico si apre con Virgilio
resse egli paragona l’ordine delicato della natura alla struttura gerarchica e Ovidio: forse particolarmente da rimpiangere è la perdita del forte epos
della società romana: anche nell’immensità del cosmo, dice, c’è una res p u ­ (così lo definisce nelle Satire Orazio) di L. Vario Rufo, poeta di spicco nel
blica (V 734 segg.). Rivelare questo ordine fa tu tt’uno, per Manilio, con circolo di Mecenate, autore apprezzato di una tragedia, Tieste, di un poema
l’aderire e con il piegarsi ad esso. forse didascalico, De morte, e di un Panegirico di Augusto. Il più significati­
Manilio e La poesia di Manilio ha quindi un tasso insegnativo molto più forte vo poeta storico della tarda età augustea, Albinovano Pedone, è un elegante
Lucrezio rispetto alla poesia didascalica «neo-alessandrina» (ad esempio, quella del emulo di Virgilio e Ovidio. Il suo poema trattava dell’avventurosa spedizio­
suo contemporaneo Grattio), che si limita a interessi descrittivi. La volontà ne di Germanico nei mari del nord (16 d.C.); ne abbiamo un notevole fram­
didascalica porta Manilio verso il grande modello della poesia lucreziana. mento (circa trenta esametri), che svolge in uno stile enfatico e immaginoso
Del tutto alieno, anzi opposto, rispetto al materialismo atomistico del De un tema caro ai retori e alle scuole di declamazione: è giusto che l’uomo
rerum natura, lo stoico Manilio vede tuttavia in Lucrezio l’unico modello si spinga sempre più in là, oltre i confini naturali del suo mondo? Il tema
possibile di un genere didascalico «alto», che non sia solo dotta curiosità era nato dalle celebrazioni delle gesta di Alessandro Magno: Albinovano
o futile descrizione. Perciò gli Astronomica emulano Lucrezio, soprattutto lo riprende con dovizia di colori poetici (soprattutto su tavolozza virgiliana)
nella struttura espositiva e nel modo di disporre la materia per libri. e con notevole pathos. Pathos e tensione retorica annunciano già lo stile
360 I GENERI POETICI NELL’ETÀ GIULIO-CLAUDIA 1?AP PEN D IX VERGILÌANA 361

epico di Lucano; l’ideologia del poema, invece, sembra ispirata allo slancio stata operata in età umanistica — poggia su testimonianze variabili per nu­
imperialistico che percorre la cultura romana nella prima età imperiale. Que­ mero, autorevolezza, e antichità. Il Culex, ad esempio, è ritenuto opera gio­
sta retorica delle conquiste troverà nuovo spazio, dopo la parentesi neronia- vanile di Virgilio già dai tempi di Lucano (cfr. la Vita Lucani e la prefazione
na, nella cultura di età flavia (cfr. p. 407 segg., a proposito di Valerio Fiac­ al I libro delle Silvae di Stazio); ma il Moretum è indicato come virgiliano
co e dei suoi ' Argonautica). solo da testimonianze di età medioevale.
Rabirio Poeti storici di minore lena ci appaiono Rabirio e Cornelio Severo; ne Genesi Naturalmente, la scarsità o l’abbondanza di queste testimonianze non
abbiamo brevissimi frammenti. Anche se si tratta di contemporanei di Ovi­ deW'Appendix costituisce da sola prova conclusiva sulla paternità virgiliana; conclusivo è
dio, alcune anticipazioni di Lucano sono evidenti. Rabirio scelse come tema invece l’esame stilistico delle singole opere: lessico, metrica, prosodia, allu­
la guerra civile, quella tra Ottaviano e Antonio; a lui si può affiancare un sioni, sono indizi che si accumulano a provare una datazione spesso molto
brutto frammento anonimo sulla battaglia di Azio, ritrovato tra i papiri più tarda dell’età augustea. I componimenti non sono, comunque, tutti da­
ercolanesi (praticamente solo un nome, da accostare a questi, è per noi Sesti- tabili allo stesso periodo, e sono sicuramente di mani diverse: inoltre, non
lio Ena, un altro degli autori di poesia epico-storica sulle guerre civili). In si può dire con certezza se siano stati concepiti intenzionalmente come falsi
quel pochissimo che è rimasto, sembra che Rabirio avesse anche curiosità virgiliani. L’abbondanza di imitazioni da Virgilio non prova, di per sé, che
naturalistiche: sarà questo un altro aspetto tipico dell’epica di Lucano, e ci sia stata un’intenzione del genere, perché tutta la poesia di età imperiale
comunque un interesse sempre più sentito nell’età neroniano-flavia. è più o meno segnata da questo classico modello. Alcuni di questi poemetti
Cornelio Severo Un po’ meno moderno e un po’ più arcaizzante dev’essere stato Cornelio sono probabilmente opere di autori poco illustri che qualcuno, successiva­
Severo: il titolo del suo poema storico (o erano più opere distinte?) è controver­ mente, ha cercato di attribuire a Virgilio, per colmare la curiosità del pubbli­
so, ma è probabile un generico Res Romanae. Di sicuro fra gli argomenti trat­ co dotto, forse stimolata dall’assenza di una genuina produzione «minore»
tati c’era la morte di Cicerone, su cui abbiamo un frammento che è un’enfatica e «giovanile» del più grande poeta romano.
tirata, e la guerra in Sicilia tra Ottaviano e Sesto Pompeo. Si ha l’impressione Non rimane dunque che considerare separatamente i vari carmi à d \’A p ­
che Severo rappresenti la punta estrema di un ravvicinamento fra poesia epica, pendix (pseudo-)virgiliana.
oratoria e storiografia; non a caso, più tardi, Lucano verrà accusato di essere
più un prosatore che un poeta. In questa stessa accezione, Quintiliano definisce Dìrae e Lydia Le Dirae o «maledizioni» sono poesia «di invettiva», sul genere deli’ibis ovidiana
e, prim a ancora, delle A rai di Callimaco. Questa tenue operetta in esametri sembra
Severo (X 1,89) migliore come versificator che come poeta. Nel complesso, quin­
costituire una variazione sul tem a delle confische dei campi che ci è ben noto —
di, la generazione ovidiana dei poeti storici produsse interessanti tentativi di ed era popolare come soggetto letterario a Roma — a causa delle Bucoliche virgiliane.
modernizzare il genere epico; Lucano si riallaccerà, almeno in parte, a questo Alle Dirae i nostri m anoscritti fanno seguire, senza indicazioni separative, u n ’o ttan ti­
filone, e il revival classicista dell’età flavia lo combatterà. n a di esametri in cui l’argom ento è del tutto diverso; un lam ento d ’am ore pastorale,
dedicato a una donna di nom e Lydia. Poiché questa L ydia è nom inata anche nelle
Dirae, è probabile che qualcuno abbia fuso insieme questi due com ponimenti, che
del resto sono accostabili per il loro sfondo bucolico.
Stilisticamente, i due carmi sem brano composti non oltre l’età augustea. Sono da
4. U Appendix Vergilìana vedere come una prim a testim onianza di quel filone bucolico post-virgiliano che avrà
un a grossa ripresa ai tempi di Nerone.
Catalepton Il Catalepton — accentando alla greca, da Katà leptón; oppure, alla latina, Catalèp-
ton — è, come dice il nome («alla spicciolata» o «scelta spicciola»), un «contenito­
L ’Appendix opera La collezione di testi poetici, assai eterogenei, che va sotto il nome di re» di piccoli testi, a soggetti e m etro variabili. Il titolo è attestato già in poesia
del I secolo d.C. Appendix Vergilìana, ha suscitato presso critici e storici della letteratura un greca di età alessandrina.
interesse sproporzionato al suo intrinseco valore: lo stimolo di questo inte­ In effetti, i quindici com ponimenti della raccolta devono essere di origine diversa,
resse era appunto il problema della paternità virgiliana, che oggi è quasi oltre che di vario tem a e metro; alcuni sono uniti solo dal fatto che si presentano
esplicitamente come opere virgiliane. F ra questi carmi, un paio potrebbero anche esse­
completamente chiuso — cioè risolto in senso negativo. Di conseguenza,
re considerati autentici (cioè il quinto e l’ottavo): sono com ponimenti d ’occasione a t­
i poemetti àéiVAppendix trovano il loro posto legittimo non accanto all’ope­ tribuibili al giovane Virgilio. T uttavia, anche l’iniziativa di un falsario non è da esclu­
ra di Virgilio, ma nel quadro della poesia «minore» del I secolo d.C. Non dersi, perché la fam a di Virgilio era tale, fin dalla ta rd a età augustea, da incoraggiare
si saprebbero collocare altrimenti testi poetici che non solo presuppongono la ricerca di inediti e di iuvenilia. Si tratta com unque di testi di m odesto valore poetico,
Virgilio, ma sono anche, nella stragrande maggioranza, intrisi di stile ovidia­ in cui traluce soprattutto una certa ispirazione catulliana (del Catullo delle nugae).
A ltri com ponimenti del Catalepton — come il nono, un panegirico per Messalla,
no — proprio come la poesia di Stazio, o come certe parti poetiche del il protettore di Tibullo che trionfò nel 27 a.C . — sono semplicemente troppo brutti
Satyricon di Petronio. per essere virgiliani.
Storia Il termine appendix è moderno (fu usato per la prima volta da G. C. Culex Il Culex è un «piccolo epos», un epillio: racconta, in esametri, un episodio che ha
dell’attribuzione a Scaligero nel 1572) e si riferisce alla consuetudine di stampare questi testi per protagonista un pastore. Questi stava per essere ucciso nel sonno da un serpente;
Virgilio pungendolo, la zanzara (il culex del titolo) l’ha salvato; m a il pastore, ignaro, uccide
tutti assieme, e in calce alle opere genuine di Virgilio. Nessuna delle opere
il benefico insetto. A llora, dopo che il pastore si è riaddorm entato, la zanzara gli
comprese nell ’Appendix ha serie probabilità di essere virgiliana, salvo forse com pare in sogno, lam entandosi del to rto subito; il pastore, per riparare, al risveglio
un paio di brevi componimenti nella raccolta Catalepton. L ’attribuzione del­ le darà sepoltura. Nel sogno la zanzara parla al pastore dall’oltretom ba: l’idea di
le varie singole opere a Virgilio — la silloge, ripetiamolo per chiarezza, è u n a zanzara che — come Odisseo, Orfeo, o Enea — scende all’Ade, e narra la
362 I GENERI POETICI NELL’ETÀ GIULIO-CLAUDIA FEDRO: LA TRADIZIONE DELLA FAVOLA 363

sua esperienza, fa capire che il Culex è concepito come una parodia, o meglio una nella satira e nel romanzo la cultura romana mostra un’autonomia altrettan­
«riduzione» in piccola scala, dell’epica più seria. L ’attribuzione del carme a Virgilio to spiccata.
giovane è, come si è visto, assai antica e diffusa. È chiaro che l’ingegnosa operetta, La favola è il genere più universale e più profondamente popolare che
per stile e contenuto, sembrava ai critici antichi un plausibile esercizio preliminare,
ci sia: gli «autori» di favole sono quasi sempre gli eredi di una tradizione
per un poeta destinato a grandiosi risultati e a generi di poesia ben più solenni.
Un altro epillio, stavolta mitologico, è la Ciris (il term ine indica un tipo di airone). narrativa, orale, popolare, già consolidata. Anche Fedro, come narratore,
Si narra, in più di 500 esametri, la patetica storia di Scilla, che tradisce il padre, inventa ben poco, e non è qui che vanno apprezzati i suoi meriti. Prese
re di M ègara, per am ore del nemico Minosse. L ’opera si conclude con la m etam orfo­ una per una, le sue favole sono poco originali, indebitate alla tradizione
si di Scilla in airone. esopica; quanto a elaborazione letteraria, nessuna favola fedriana può riva­
Questo tipo di poesia era stato introdotto a Rom a dai neòteroi, m a conosce anche
qualche fortuna sotto Tiberio e poi sotto Nerone. La Ciris è chiaram ente influenzata
leggiare con le favole che grandi poeti o narratori — da Esiodo a Callimaco,
non solo da Virgilio, m a anche dalla poesia m inore neoterica e dalle M etam orfosi da Ennio a Orazio e, se si vuole, Petronio — amano includere, come esperi­
di Ovidio. L ’autore è un poeta di ispirazione principalmente neoterica, e non sembra menti occasionali, nelle loro opere. Il merito di Fedro sta invece nell’impe­
particolarm ente vicino al gusto letterario di Virgilio. La datazione del testo è contro­ gno costante e sistematico per dare alla favola una misura, una regola, una
versa.
Copa La Copa è un bozzetto in distici elegiaci (38 versi): descrive una scena di ambiente
voce ben definita e riconoscibile.
popolaresco, u n ’ostessa (la Copa, femminile di copo/caupo, «taverniere») che d an­ Le favole di La tradizione esopica — storielle, in genere con personaggi animali, che
zando attira i clienti verso il suo locale. Esopo e la presentavano spunti umoristici e commenti di saggezza morale — si era fissata
Moretum Gusto per il realismo m inuto è evidente anche nel M oretum (La focaccia), un breve codificazione di in Grecia intorno al IV secolo a.C., in raccolte letterarie che erano, a quanto
carme in esametri che descrive minuziosamente la levata m attutina di un contadino Fedro sappiamo, composte in prosa. Si era intanto affermato l’uso di una premessa
e la preparazione del suo pasto. C ’è in questa poesia un compiacimento nella descri­
zione della «vita semplice» dei contadini, tem a m olto diffuso nella poesia di età (promythion) e/o di una postilla (epimythion), in cui veniva fissato il tema,
imperiale, sia per gusto bozzettistico, sia anche per intonazioni moraleggianti. o illustrata «la morale della favola». Lavorando su questi modelli greci in pro­
Prìapea Si tram andano anche come virgiliani (ma sono d a ritenere spuri) tre Prìapea: il gene­ sa, probabilmente la sua unica fonte, Fedro rese sistematico quest’uso, e so­
re era stato praticato da Catullo e trova nell’età giulio-claudia (cfr. più avanti) una prattutto creò una regolare forma poetica per la favola. Tipico di questo genere
discreta fortuna letteraria.
Le Elegiae in M aecenatem sono un testo di notevole interesse storico-culturale, dato
è l’uso di animali come «maschere», personaggi umanizzati e dotati di una psi­
Elegiae in
Maecenatem che rievocano m orte e personalità del più influente consigliere politico-letterario di cologia fissa e ricorrente (la volpe furba, il lupo cattivo); e quasi costante la
A ugusto. Queste due operette elegiache sono senz’altro composte in un periodo sto­ presenza di una «morale», una verità di carattere universale che si vuole, a vol­
rico non lontano dalla m orte dell’illustre personaggio (8 a.C .). Virgilio, che alcuni te sforzatamente, estrarre dal raccontino. In questo campo, Fedro non rag­
codici danno come autore, era stato sepolto undici anni prima! giunge la finezza e il gusto caratterizzante di una fiaba come quella oraziana
Aetna Nessuna relazione con Virgilio ha infine il poem etto scientifico A etn a (645 esametri
che trattano fenomeni e cause del vulcanismo). Si tratta di un esperimento assai (,Satire II 6) sul topo di campagna e il topo di città.
originale di poesia didascalica, pur nella sua povertà formale. L ’opera si può datare Le morali di Le morali di Fedro sono però un tratto originale, almeno in quanto
fra l’età di M anilio (che è im itato dall’autore dell’A etna) e il 79 d.C . (data dell’eru­ Fedro e il mondo esprimono una mentalità sociale: il tono amareggiato, con cui spesso il poe­
zione vesuviana che l’autore, se avesse scritto più tardi, non poteva m ancare di men­ degli emarginati ta commenta la «legge del più forte» che vige nella società degli animali,
zionare); grosse affinità di contenuto fanno pensare alle Naturales quaestiones di
Seneca, e il rifiuto della m itologia ricorda un p o ’ gli atteggiamenti di Persio: una
sembra esprimere il punto di vista delle classi subalterne della società roma­
datazione in età neroniana sem bra quindi, nel complesso, plausibile. na. Fedro è uno dei pochissimi letterati romani che diano voce al mondo
degli emarginati: in questo, la sua opera contiene un’istanza realistica. Men­
tre è quasi del tutto assente un realismo descrittivo e linguistico — e anzi
il mondo delle favole è piuttosto astratto, lo scenario generico, e il linguag­
gio asciutto e poco caratterizzato — proprio in questi accenti moraleggianti
5. Fedro: la tradizione della favola pare di cogliere un’autentica adesione alla mentalità delle classi umili e al
senso comune popolare.
Un poeta La poesia minore dell’età giulio-claudia ci ha rivelato sinora le dot­ Il realismo di Non mancano del resto spunti di adesione alla realtà contemporanea,
«marginale» te occupazioni di circoli altolocati, per lo più vicini alla corte imperiale. Una Fedro e le offese anche con accentuazioni vicine alla satira. Fedro non sempre si limita alla
voce del tutto isolata è rappresentata, in questo quadro, dal caso di Fedro. ai potenti tradizione della fiaba di animali, e talora sembra inventare di suo, come
Fedro è per molti versi un autore marginale: ha una posizione sociale nel divertente racconto che ha per protagonista Tiberio (II 5). Nei prologhi
assai modesta come individuo e, come poeta, non si può definire un virtuo­ dei singoli libri, il poeta manifesta notevole consapevolezza letteraria; difen­
so; pratica un genere letterario minore, anch’esso marginale rispetto alle grandi de il suo tipo di poesia, ne esalta le virtù (brevità, varietà, contenuto istrutti­
correnti letterarie della prima età imperiale. vo); e sottolinea anche sempre più la sua indipendenza dal modello esopico.
Il fondatore di un Tuttavia, Fedro è per certi versi una delle massime glorie della letteratu­ Sembra anzi che Fedro si sia trovato nei guai per certe sue prese di posizio­
nuovo genere ra latina. L ’affermazione può stupire, ma a questo umile artigiano tocca ne, legate alla realtà contemporanea; dal prologo al III libro si ricava che
poetico una priorità storica importante: è il primo autore, nella cultura greco-romana, il poeta sarebbe stato perseguitato da Seiano, il potentissimo braccio destro
che ci presenti una raccolta di testi favolistici, concepiti come autonoma di Tiberio. Nelle favole che abbiamo, non è chiaro cosa potesse urtare o
opera di poesia, destinata alla lettura. Non è un’iniziativa da poco: solo insospettire i potenti; ma Fedro non manca di accenni polemici verso la
364 I GENERI POETICI NELL’ETÀ GIULIO-CLAUDIA I GENERI POETICI IN ETÀ NERONIANA 365

società, e anzi rivendica alla sua opera un certo carattere satirico, che colpi­ Le egloghe di Una particolare fioritura ebbe il genere bucolico: l’influenza di Virgilio
sce, se non gli individui (ciò che veramente sarebbe stato pericoloso, specie Calpurnio Siculo è ormai dominante nella poesia romana. Un certo Calpurnio Siculo (biogra­
per un oscuro liberto), almeno certi tipi umani e certe regole del vivere. e il gusto fia del tutto ignota) ci ha lasciato sette egloghe, componimenti pastorali
Le sue favole vogliono essere divertenti, e insieme istruttive; ai nostri occhi, deH’allegoria alla maniera di Virgilio che ha soppiantato Teocrito quale modello del gene­
non ci riescono spesso, ma hanno il grande pregio di preservare un genere re bucolico. Le allusioni a Nerone permettono una sicura datazione dell’ope­
popolaresco, reinterpretato alla luce di un’esperienza vissuta e di una menta­ ra. Calpurnio è importante non tanto per la sua, pur curata, tecnica metrica,
lità che rimane per lo più esclusa dall’espressione letteraria «alta». quanto perché è il primo testimone di una concezione allegorica della poesia
Vita di Fedro Fedro deve essere nato in una fase non troppo avanzata del principato pastorale. È chiaro, infatti, che alcuni dei pastori di Calpurnio sono semplici
di Augusto (intorno al 20 a.C.?); fu attivo sotto Tiberio, Caligola, e Clau­ allegorie di personaggi storici. La tendenza a utilizzare l’Arcadia come tra­
dio; è probabile una data di morte intorno al 50 d.C. Nel libro III, posterio­ vestimento di realtà contemporanee riapparirà nel nostro Rinascimento e,
re al 31 d.C., Fedro dice di essere prossimo alla vecchiaia. Nel quadro della più avanti, nella tradizione pastorale europea fino al Settecento.
letteratura della prima età imperiale, è uno dei pochissimi autori di nascita È altrettanto chiaro che Calpurnio potenzia certi spunti allegorici che
non libera (si vede bene che l’estrazione sociale dei tempi di Andronico e già erano presenti nelle Egloghe virgiliane; naturalmente, ora tutto è più
Plauto si è ormai capovolta). A quanto sappiamo, era uno schiavo di origine netto ed esplicito. La misteriosa profezia dell’età dell’oro contenuta nella
tracia; nei manoscritti delle sue opere è citato come libertus Augusti, e sem­ quarta egloga virgiliana diventa, nella visione cortigiana di Calpurnio, l’av­
bra quindi che fosse stato liberato dall’imperatore. vento dell’età dell’oro incarnato nel buon governo del principe Nerone. Le
Le favole di I codici ci tramandano poco più di novanta favole, divise in cinque sottili e ambigue allusioni di Virgilio a circostanze reali diventano qui una
Fedro e libri, e tutte in senari giambici (il verso che erà stato il più usato nella pallia­ vera poesia «a chiave», sicuramente destinata a un circolo ristretto, ma non
l'Appendix ta di età repubblicana). È del tutto certo che il corpus originario fosse molto priva di spunti propagandistici.
Perottina più ampio: tra l’altro, alcuni libri appaiono di una eccezionale brevità: il Insieme alle egloghe di Calpurnio sono tramandate quattro egloghe di
I Carmina
secondo contiene solo 8 favole, il quinto 10, ed entrambi hanno meno di Einsidlensia Nemesiano, un poeta del III secolo (cfr. p. 515 seg.), che continua il filone
200 versi. Sono sicuramente genuine anche le favole (una trentina) raccolte bucolico. Databili all’età neroniana, e avvicinabili a Calpurnio, sono invece
nella cosiddetta Appendix Perottina, che prende nome dall’umanista Nicco­ i cosiddetti Carmina Einsidlensia, due frammenti bucolici rinvenuti nel 1869
lò Perotti, curatore della raccolta; altre favole si possono ricostruire da pa­ in un manoscritto del monastero di Einsiedeln, in Svizzera. La tecnica poetica,
rafrasi in prosa che ebbero fortuna nella tarda antichità (importante fra che ricorda Calpurnio, e le allusioni a Nerone rendono piuttosto certa la data­
esse il Romulus). zione.
Oscillazioni della Non pare che l’umile favolista avesse grande successo, almeno presso
fortuna di Fedro il pubblico dotto. Seneca dice (Ad Polybium de consolatione 8,3) che nessun Poesia mitologica e generi minori
autore latino si è mai dedicato al genere esopico; e Quintiliano, se pure
conosce Fedro, non trova ragione di nominarlo. Laus Pisonis Alcuni attribuiscono a Calpurnio anche la Laus Pisonis, un lungo pane­
Ma i testi di Fedro, riscoperti nel XV secolo, furono ripagati da notevo­ girico (261 versi) in esametri. Se questo Pisone è Calpurnio Pisone, il corti­
le fortuna in età moderna; un classico francese come La Fontaine gli deve giano che capeggiò nel 65 una congiura contro Nerone, poi spenta in un
molto, e le favolette, per il loro stile semplicissimo e i loro contenuti mora- bagno di sangue, si può anche pensare che il misterioso Calpurnio Siculo
leggiànti, ebbero notevole impiego nell’insegnamento scolastico del latino. sia collegato a questo ambiente (forse era un liberto di Pisone?). Il genere
panegiristico deve aver conosciuto una particolare fioritura in tutta la prima
età imperiale, perché assicurava ai poeti immediato sostegno.
Le poesie di La perdita più grave, in questo sottobosco letterario, sono forse le poe­
6. I generi poetici in età neroniana Nerone sie di Nerone stesso. Nerone scrisse molto, a giudicare dai titoli che abbiamo
(ma è un’epoca febbrile; Nerone morì a trent’anni, Persio a ventisette, Lu­
cano addirittura a venticinque). È chiaro dai titoli che Nerone propugnava
Il ritorno della pastorale un ritorno alla poesia mitologica, di chiara ispirazione neo-alessandrina. Ab­
biamo notizie di uno stravagante poema sulla guerra di Troia, i Troica,
Fioritura letteraria Fra tutti gli imperatori della dinastia giulio-claudia l’ultimo, Nerone, il cui eroe era Paride invece che Ettore (bello, lussurioso ed elegante, Paride
sotto Nerone è quello che lascia il segno più profondo nella storia letteraria. La sua epoca era forse un’immagine in cui Nerone amava rispecchiarsi?). Nerone doveva
vede una cospicua fioritura di talenti letterari (oltre a Seneca, Lucano, Pe­ ricercare particolarmente l’erudizione mitologica e geografica; giusto il tipo
tronio e Persio), accompagnati da una ricca schiera di minori. Sappiamo di poesia «decadente» contro cui polemizza aspramente Persio nelle sue Sa­
che l’imperatore, specie nel periodo tranquillo dei suoi primi anni di regno, tire. Una diceria infamante vuole che Nerone recitasse suoi versi sull’incen­
svolse una notevole opera di impulso alle arti. Collegati ai circoli poetici dio di Troia mentre Roma, nel 64, bruciava di un incendio — appiccato,
di età neroniana sono anche poeti greci, come l’epigrammatista Lucillio, secondo certi oppositori, da Nerone stesso! Comunque sia, è estremamente
preservatoci d&WAnthologia Palatina. probabile che il gusto letterario favorito dall’imperatore sia rispecchiato in
366 I GENERI POETICI NELL’ETÀ GIULIO-CLAUDIA

certe parti poetiche del Satyricon di Petronio, in cui tra l’altro figura un

Nerone mecenate
e il gusto
poemetto in senari giambici sulla Presa dì Troia (Troiae Halosis).
Nerone incoraggiò molti letterati e promosse regolari ludi poetici, con LUCANO
premi ai migliori poeti. In quest’epoca è sempre più diffusa la pratica delle
«barocco»
recitazioni, e si afferma uno stile lussuoso e «barocco», che stupisce il pub­
blico con immagini stravaganti, metafore audaci, ricercatezze sonore. Le pa­
rodie di Persio e di Marziale ci danno una certa apertura sull’atmosfera
contemporanea e sulla cultura di questi poeti.
La moda greca e · L’ostentazione di cultura greca diventa sempre più necessaria al presti­
Pllias Latina gio dei poeti. Lo stesso Lucano, che per noi è il portabandiera dell’epos
storico, si distinse anche, giovanissimo, per poesia mitologica (cfr. capitolo
successivo). A questo periodo forse si riallaccia una modesta riduzione poe­ Vita Marco Anneo Lucano nasce a Cordova, in Spagna, il 3 novembre del 39
tica delVIliade, la cosiddetta Ilias Latina. Poco più di mille esametri narrano d.C.; figlio di Anneo Mela fratello di Seneca, è dunque nipote del filosofo. Nel
le vicende omeriche, in uno stile manierato che risente delle scuole di retori­ 40 si trasferisce con la famiglia a Roma, dove avviene la sua formazione. Ha
come maestro lo stoico Anneo Cornuto, alla cui scuola conosce Persio, col quale
ca. L ’importanza storica deWIlias Latina sta più che altro nella sua fortuna
stringe amicizia. Intellettuale brillante, entra alla corte di Nerone, che per un certo
medievale; in un’epoca che non aveva accesso diretto ad Omero, questa mo­
periodo lo ha fra i suoi intimi amici. Per concessione del principe, ricopre la que­
desta compilazione, insieme ad altre riduzioni in prosa, ebbe una funzione stura prima dell’età minima prevista, ed entra a far parte del collegio degli auguri.
insostituibile di divulgazione, di surrogato provvisorio prima che la cultura Ai Neronia del 60 Lucano recita delle laudes del principe, composte per l’occasio­
occidentale tornasse a praticare direttamente poesia greca classica. ne. Secondo alcune fonti antiche, pubblica i primi tre libri della Pharsalia, il poe­
Cesio Basso È naturale che quest’epoca avesse anche dei filologi di spicco (sui quali ma cui da qualche tempo va dedicandosi. Subentra una brusca rottura con l’im­
cfr. p. 480 seg.): uno di essi, Cesio Basso, autore di un importante trattato peratore, per motivi incerti: le fonti antiche accennano a gelosia letteraria da par­
di metrica, dedicato a Nerone e di cui ci restano solo frammenti, fu anche te di Nerone, ma è anche possibile che quest’ultimo non vedesse di buon occhio
poeta lirico lodato da Persio (che fu anche suo grande amico, e delle cui le idee troppo marcatamente improntate a un nostalgico repubblicanesimo che
Satire curò la pubblicazione postuma) e da Quintiliano. Lucano andava esprimendo nel suo poema. Caduto in disgrazia presso il princi­
Sulpicia Tra i poeti lirici di questa età va infine citata una donna, Sulpicia, lodata pe, e allontanato da corte, Lucano aderisce alla congiura di Pisone; una volta
scoperto il complotto riceve, come molti altri, l’ordine di darsi la morte. Si toglie
da Marziale che arriva a paragonarla a Saffo. Era celebre per il crudo realismo
la vita il 30 aprile del 65, a meno di 26 anni.
erotico delle sue liriche, dedicate al marito Caleno: ce ne restano solo due versi.

Opere Si è conservata l’opera principale, il poema epico Bellum civile o Pfìarsalia ',
in dieci libri (per un totale di 8060 esametri), incompiuto per la morte dell’autore:
Bibliografia Tutti i poeti tram andati in frammenti O xford 1966. Esistono buoni commenti a il libro X infatti, molto più breve degli altri, si interrompe bruscamente; al poema
di questo capitolo sono editi da W. Mo- singoli testi (per esempio A etn a di F. R. Lucano cominciò probabilmente a lavorare nel 60.
r e l , Fragmenta poetarum Latinorum , D. G o o d y e a r , Cambridge 1965; Ciris di
Leipzig 1927 2 e K . B ìì c h n e r , Fragmenta Opere perdute: ci restano i titoli (e in qualche caso scarsissimi frammenti)
R. O. A. M . L y n e , Cambridge 1978: per
poetarum Latinorum , Leipzig 1982. di opere tutte quasi certamente anteriori alla Pharsalia·. un Macon (componimento
il problema dell’autenticità della Ciris, fon­
Studi di interesse generale sulla poe­ in versi sulla guerra di Troia); un Catachthònion (carme sulla discesa agli Inferi,
damentale F. M u n a r i , Studi sulla «Ciris»,
sia di questo periodo sono: H . B a r d o n , Firenze 1944; M oretum di A. P e r u t e l l i , da alcuni identificato con un epillio su Orfeo, altra opera di cui si ha notizia);
Les empèreurs et les lettres latines d ’A u - Pisa 1983). un De incendio urbis; una tragedia incompiuta, Medea; i Saturnalia; dieci libri
guste à Hadrien, Paris 19682; F. Cup a iu o ­ P er Fedro da vedere l’edizione di B. di Silvae, raccolta di poesie di vario genere; le già ricordate Laudes Neronis;
l o , Itinerario della poesia latina nel I se­ E. P e r r y , New York 1965 (insieme al fa­ sappiamo inoltre di epigrammi, libretti per pantomime, declamazioni.
colo dell’im pero, Napoli 1973; G. W il ­ volista greco Babrio); edizione trad o tta da
l ia m s , Change and Decline, Berkeley - A. R ic h e l m y , con am pia introduzione di
Los Angeles - London 1978. A. L a P e n n a , Torino 1968. Sulla tradizio­ Fonti Tre biografie antiche di Lucano, quella composta da Svetonio (nel De poetis),
Per M anilio da segnalare la densa e ne della favola antica orientano: M . N o e j - quella attribuita a Vacca e una più breve, anonima, nel codice Vossianus 11; la
illuminante edizione di A . E . H o u sm a n , M . g a a r d , L a fa b le antique, /-//, Copenhagen Vita antica di Persio; il libro XV degli Annales di Tacito (sulla congiura di Pisone);
M onili A stronom icon Libri, 5 voli., rist. 1964-67; B. E. P e r r y , Aesopica, U rbana Stazio, Silvae II 7 (un lungo encomio del poeta). Numerose e importanti sono
Hildesheim 1972. (111.) 1952. le raccolte di note esegetiche di età medioevale (di cui una parte probabilmente
Sull’epos storico im portante V . T a n - Inquadramenti storico-letterari dell’e­
d o i , A lbinovano Pedone e la retorica tà di Nerone sono E. C iz e k , L ’époque de risale alla tarda antichità).
giulio-claudia delle conquiste, in «Stud. Néron etses controverses idéologiques, Lei­
Ital. di Filol. Class.», 36, 1964, pp. 129- den 1972, e J. Ρ . S u l l iv a n , Literatureand
168, e 39, 1967, pp. 5-66. Ideology in theN eronianA ge, Ithaca 1984.
L ’A ppendix è riunita nella affidabile Calpurnio, Carmina Einsidlensia, e Neme- 1 Bellum civile è il titolo che si ricava dalle biografie antiche e dai codici; Pharsalia (da
edizione di W . V. C l a u se n - F. R . D. G oo ­ siano sono editi insieme da C . G ia r r a t a - Farsàlo, luogo della battaglia definitiva della guerra civile tra Cesare e Pom peo, la quale costi­
d y e a r - E . J. K e n n e y - J. A . R ic h m o n d , n o , Torino 19433. tuisce l’argom ento del poem a) è il nome con cui Lucano stesso (IX 985) chiam a la sua opera.
UNA STORIA VERSIFICATA? 369
368 LUCANO

Libro VII - Pom peo rivede in sogno i trionfi del suo passato. Si tiene il consiglio
1. Una storia versificata? di guerra, dove Pom peo cerca di sconsigliare il com battim ento, m a è sopraffatto
dalla volontà dei suoi partigiani, tra cui Cicerone. Preparativi della battaglia di Far-
sàlo: Cesare e Pom peo arringano i soldati. Svolgimento della battaglia, e vittoria
Il primo Lucano, La formazione intellettuale di Lucano ci sfugge quasi completamente, e di Cesare; eroica morte del pompeiano Domizio Enobarbo, antenato di Nerone. P om ­
poeta «di regime» il naufragio della sua produzione anteriore alla Pharsalia non fa che aggravare peo fugge. Cesare rifiuta gli onori funebri ai caduti. D urante la notte funeste visioni
la nostra situazione. Il numero e la varietà delle composizioni di cui si ha turbano il suo sonno.
notizia indicano comunque un’eccezionale precocità artistica, unita a una no­
tevole versatilità. Dai titoli delle opere perdute sembra inoltre di poter cogliere Libro V ili - Ripresa con sé Cornelia, Pom peo suggerisce ai suoi di proseguire la
lotta con l’aiuto dei P arti, m a la proposta viene respinta dopo un energico discorso
una totale adesione ai gusti e alle direttive neroniane: Vlliacon veniva incontro di Lentulo. Fa dunque ro tta verso l’Egitto, dove spera di trovare rifugio. Ma
alla passione del principe per le antichità troiane; Silvae e libretti per pantomi­ il re Tolomeo, dietro consiglio dei suoi cortigiani, lo fa uccidere al suo arrivo. Il
me ben si inserivano nel quadro di quella poesia di intrattenimento, ricca di corpo decapitato di Pom peo è abbandonato sul litorale: un certo Cordo gli dà umile
spunti occasionali e raffinata nella fattura, che l’imperatore pareva predilige­ sepoltura.
re. Di tu tt’altro genere risulta essere la Pharsalia: anche se essa non era fin
Libro IX - D opo la m orte di Pom peo, Catone assume il com ando dei resti dell’eser­
dall’inizio in contrasto marcato con le tendenze culturali di Nerone — che
cito repubblicano, e attraversa il deserto libico affrontando pericoli di ogni sorta,
personalmente andava progettando un poema epico sulla storia romana —, tra cui tempeste di sabbia e serpenti; rifiuta di consultare l’oracolo di Ammone:
il modo in cui Lucano ha scelto di trattare il proprio argomento (la guerra la conoscenza del futuro non può modificare le decisioni del saggio. Cesare, dopo
civile fra Cesare e Pompeo) si risolve in un’esaltazione dell’antica libertà re­ avere visitato le rovine della Troade, arriva in Egitto, dove gli viene offerta la testa
pubblicana, e in un’esplicita condanna del regime imperiale. di Pom peo; finge un cavalleresco sdegno per la proditoria uccisione del rivale.

Libro X - Ad Alessandria Cesare visita la tom ba di Alessandro M agno, quasi un


Riassunto della Libro I - D opo l’esposizione dell’argom ento del poem a, e un lungo elogio di Nerone, suo «maestro» di tirannide. Fastoso banchetto alla presenza di C leopatra e lunga
Pharsalia Lucano passa ad esporre le cause della guerra. Segue la narrazione del passaggio discussione sulle sorgenti del Nilo col sacerdote egiziano Acòreo. Gli Alessandrini
del Rubicone da parte di Cesare, e del terrore che si diffonde a Rom a alla notizia tentano una sollevazione contro Cesare: a questo punto il poem a si interrom pe bru­
del suo avvicinamento. U na serie di presagi annunzia la catastrofe incombente. scamente.
Libro II - Lam enti dei Rom ani che ricordano il precedente conflitto civile tra M ario
e Siila e giungono alla consapevolezza che quello fra Cesare e Pom peo sarà ben Critiche degli La critica antica, testimoniata dalla tradizione scoliastica e dai giudizi
più terribile. D ibattito notturno fra Bruto e Catone: è giusto astenersi da un conflitto antichi di grammatici (Servio) e di retori (Quintiliano, Frontone) ha ripetutamente
che comunque si risolverà col dominio assoluto del vincitore, o è invece consigliabile mosso al poema di Lucano una serie di censure: l’uso e l’abuso delle senten­
schierarsi dalla parte di Pom peo, nella speranza di condizionarlo? Catone persuade
Bruto a scegliere la seconda alternativa. Sotto la pressione delle legioni di Cesare, tiae concettistiche, che avvicinerebbero lo stile della Pharsalia a quello ora­
Pom peo fugge dalPItalia. torio, la rinuncia agli interventi delle divinità, un ordine della narrazione
quasi «cronachistico» o «annalistico», tipico più delle opere storiche che
Libro III - A ppare in sogno a Pom peo l’om bra di Giulia, figlia di Cesare e sua di quelle poetiche. Tutto ciò costituiva, all’interno del genere epico, una
prim a moglie, per minacciargli terribili sciagure. Cesare entra in Rom a e si im padro­
nisce del tesoro pubblico. Pom peo raduna gli alleati, soprattutto orientali, dei quali serie di innovazioni che davano adito a dissensi.
Lucano fornisce un lungo elenco, alla m aniera del cosiddetto «catalogo delle navi» Vedremo più avanti come i motivi che hanno spinto Lucano su questa
dell 'Iliade. Il teatro della guerra si sposta quindi a Marsiglia assediata da Cesare. via coinvolgano più in generale l’atteggiamento dell’autore nei confronti del­
Battaglia navale fra i Marsigliesi e l’esercito di Cesare. la tradizione epica romana e dei suoi modelli; per ora limitiamoci a rilevare
Libro IV - Azioni di Cesare in Spagna. Eroism o di un pom peiano, Vulteio, che le difficoltà di valutare con precisione le obiezioni dei critici antichi. La
a capo di una esigua coorte sostiene l’attacco di molti nemici. M orte in A frica di perdita del materiale storiografico a cui con ogni probabilità si rifaceva Lu­
Curione, un giovane partigiano di Cesare, sconfitto dalle truppe numidiche. cano (i libri di Livio sulle guerre civili e le Storie di Seneca il Vecchio) impe­
disce infatti di verificare se egli abbia seguito le proprie fonti in modo so­
Libro V - Il senato, esule da Rom a, si riunisce in Epiro. Un pom peiano, Appio,
si reca a consultare l’oracolo di Delfi, m a il responso resta am biguo. Dopo aver Le «deformazioni» stanzialmente pedissequo. Di certo la fedeltà scrupolosa alla fonte storica
dom ato un tentativo di ribellione, Cesare fa passare le proprie legioni in Epiro; irri­ di Lucano viene sacrificata alle «deformazioni» della verità a fini ideologici, soprattut­
tato per gli indugi di A ntonio, che ta rd a a seguirlo con la restante parte dell’esercito, to per quel che riguarda Pompeo, Cesare e i rispettivi sostenitori; in tal
cerca di raggiungerlo passando di nuovo il m are in incognito, su una barchetta; caso l’alterazione riguarda il modo di presentare o di colorire alcuni degli
ma una furiosa tem pesta lo risospinge a terra. Pom peo mette al sicuro la moglie
Cornelia nell’isola di Lesbo: dolore dei due sposi per la forzata separazione.
avvenimenti tramandati dalle fonti; ma altre volte essa si spinge fino al pun­
to di inserire episodi estranei alla realtà dei fatti, come la scena di negro­
Libro VI - Pom peo viene rinchiuso e assediato a Durazzo col suo esercito. Gesta manzia nel libro VI o l’intervento di Cicerone a Farsàlo nel VII. Del resto,
eroiche del cesariano Sceva. Gli eserciti di Pom peo e di Cesare raggiungono la Tessa­ insieme con le critiche, l’opera «innovatrice» di Lucano conobbe subito va­
glia, che sarà teatro dello scontro definitivo. Sesto, uno dei figli di Pom peo, si reca sto favore, come si ricava dalle affermazioni di Marziale e di Stazio, oltre
a consultare la m aga Erìttone; episodio di negromanzia: grazie alle sue arti magiche,
E rittone richiam a in vita un soldato caduto in battaglia, il quale rivela a Sesto Pom ­ che dai numerosi richiami contenuti nella poesia epica posteriore.
peo la rovina che incombe su di lui, sulla sua famiglia, e su tu tto l’ordinam ento
politico di Roma.
370 LUCANO
L’ELOGIO D I NERONE 371

2. Lucano e Virgilio: la distruzione dei miti augustei passi delle Georgiche aveva lamentato l’orrore delle guerre civili; nella stessa
Eneide, del resto, il credito fatto alla provvidenzialità della storia s’accom­
pagnava alla commiserazione per le vittime innocenti del fato (cfr. p. 246
La Pharsalia Le critiche a Lucano di cui abbiamo fatto cenno presuppongono, da seg.). Nei momenti di più forte compartecipazione ai casi di certi sventurati
come anW-Eneide parte degli antichi come dei moderni, un confronto più o meno esplicito personaggi il dubbio sulla «bontà» del destino affiorava anche nei versi di
con 1’Eneide di Virgilio che potrebbe anche risultare fuorviante: non è im­ Virgilio. Ma l’amarezza del dubbio non bastava a Lucano: fino dai primi
possibile, per esempio, che il criticato modulo cronachistico fosse un «difet­ versi della Pharsalia ogni illusione appare irrimediabilmente crollata.
to» tradizionale di tutta l’epica storica — ad argomento monografico —
dell'ultima età repubblicana e del primo periodo imperiale; ed è probabile
che alla conservazione di tale impianto narrativo spingesse anche l’autorità
degli Annales di Ennio. D’altronde sappiamo che già in età augustea vari 3. L’elogio di Nerone e l’evoluzione della poetica lucanea
poeti avevano scelto come soggetto epico le guerre civili (Cornelio Severo
e Rabirio, l’autore del Bellum Actiacum), anche se gli scarsi frammenti di
Le guerre civili È abbastanza probabile che il pessimismo lucaneo sia andato maturando
questa produzione non consentono di stabilire legami precisi con la Pharsa­
come progressivamente nel corso della stesura del poema: in una fase iniziale,
lia. È un fatto, tuttavia, che al confronto con Virgilio spinge volontariamen­ protagoniste Lucano avrà condiviso le speranze di palingenesi politico-sociale suscitate
te la stessa Pharsalia: a ragione si è potuto parlare del poema come di una
dall’avvento al potere di Nerone. La polemica antivirgiliana incomincia a
sorta di «anti-Eneide», e del suo autore come di un «anti-Virgilio».
delinearsi fino dai versi immediatamente successivi al proemio, dove le allu­
Il rovesciamento Nelle mani di Lucano il poema epico stravolge le caratteristiche che gli
sioni a Virgilio sembrano atteggiate secondo un gesto di opposizione: nell’e­
polemico del erano state proprie nella tradizione letteraria romana fino dai tempi di Ne­
genere epico pos di Virgilio il tema storico delle guerre civili si affacciava qua e là nel
vio e di Ennio: da monumento eretto a testimonianza delle glorie dello stato
testo ma, proiettato in un passato mitico, era per così dire solo adombrato
e dei suoi eserciti, si trasforma nella indignata denuncia della guerra fratrici­
nel remoto conflitto fra Troiani e Latini (destinati poi a fondersi in un
da, del sovvertimento di tutti i valori morali, dell’avvento del regno della
unico popolo); Lucano vuole invece riproporlo in tutta la sua ineludibile
ingiustizia. Questo problematicissimo tentativo di apertura del genere lette­
realtà storica, presentandone le nefaste conseguenze sulla storia successiva.
rario a contenuti radicalmente nuovi avviene attraverso il confronto polemi­
Peraltro, nel proemio, sembra ancora possibile interpretare la comparsa di
co con il suo stesso passato. Di carattere essenzialmente «riflessivo», la poe­
Nerone come una sorta di compensazione per le sciagure provocate dal con­
sia di Lucano non cerca tanto di attirare la tradizione al proprio interno
L’elogio di flitto civile. L’elogio di Nerone riprende da Virgilio tutta una serie di motivi
per riplasmarla, quanto di proiettarsi, come per contrasto, sul suo sfondo: Nerone rivolti alla glorificazione del principe: è evidente il ricordo delle parole con
uno sfondo di cui lo spazio più vasto è occupato senza dubbio dalla Eneide
le quali, nel libro I delVEneide (291 segg.), Giove aveva profetizzato a Vene­
virgiliana. Lucano sembra proporsi una sistematica confutazione del model­
re l’avvento di una nuova età dell’oro, dopo che Augusto avesse posto fine
lo mediante una sorta di ribaltamento delle sue affermazioni, una ripresa
alle contese civili. L’attribuzione a Nerone di tratti augustei era diffusa nella
La polemica in chiave polemica (o «antifrastica», come è stata definita) di espressioni
letteratura del tempo: così, per esempio, in Calpurnio Siculo e nei Carmina
contro Virgilio e situazioni virgiliane. Questo tipo, sostanzialmente nuovo, di allusività, è
Einsidlensia (cfr. p. 365). Agli occhi di Lucano, tuttavia, il nuovo Augusto
in genere sostenuto da un tono di risentita indignatio nei confronti del mo­
è molto migliore del primo, e tesserne l’elogio implica entrare in velata pole­
dello: è come se Virgilio, nella Eneide, avesse perpetrato un inganno, co­
mica con Virgilio: Nerone, e non Augusto — sembra voler dire il poeta
prendo con un velo di mistificazioni la fine della libertà romana e la trasfor­
— è la vera realizzazione delle promesse del Giove virgiliano.
mazione dell’antica res publica in tirannide. Lucano sembra prefiggersi il
compito di smascherare l’inganno, di scrivere un poema che non giustifichi Lucano e Questa interpretazione presuppone la «sincerità» dell’elogio di Nerone, non univoca­
il potere del principe ricorrendo ad antiche favole religiose, ma mostri al Nerone: la mente condivisa dagli studiosi moderni. Già alcuni scoli antichi avevano visto, negli
contrario come il regime imperiale sia nato dalle ceneri della libera res publica. sostanziale esuberanti tum ores dell’elogio, il segno di una sorta di ironia «cifrata» nei confronti
L’oggetto «vero» La via che Lucano sceglie per sconfessare Virgilio è in primo luogo il muta­ coerenza di
dell’imperatore: quest’interpretazione è stata più volte richiam ata in vita, anche dai
moderni, m a a nostro avviso non può essere accettata. Maggiori elementi di plausibi­
e la rinuncia alla mento dell’oggetto: non si tratta di rielaborare racconti mitici, ma di espor­ Lucano
lità ha una seconda linea interpretativa, che presuppone in Lucano u n ’evoluzione
divinità re, con sostanziale fedeltà, una storia recente e ben documentata, soprattut­ sotto certi aspetti non dissimile da quella di Seneca. L ’impostazione dei primi tre
to universalmente conosciuta: questa scelta programmatica di fedeltà al «ve­ libri del poem a (i soli che, a quanto riferisce la biografia cosiddetta di Vacca, furono
ro» storico spiega, in larga parte, la rinuncia agli interventi delle divinità pubblicati dall’autore) presenterebbe analogie con quelle del D e clementìa e della
A p o kolokyntosìs di Seneca dove la conciliazione del principato e della libertà è anco­
che tanto faceva scandalizzare la critica antica. ra considerata possibile con un ritorno alla politica filosenatoria di A ugusto. Ciò
Le ambiguità di Sarebbe tuttavia unilaterale vedere in Lucano solo l’acceso oppositore non significa che si debba m arcare una cesura troppo netta fra un «prim o» e un
Virgilio di Virgilio: il suo rapporto col modello è molto più complesso, probabilmen­ «secondo» Lucano; su questa via, c’è chi si è spinto ad afferm are che, nel corso
te perché lo stesso Virgilio presentava aspetti ambigui e contraddittori: quel della composizione, il poeta m uterebbe anche il proprio giudizio su Cesare e P om ­
Virgilio che al giovane poeta poteva apparire come il cantore, compromesso peo: partito da una obiettiva «equidistanza», dopo il libro III incomincerebbe a
parteggiare apertam ente per il secondo, scaricando invece su Cesare il proprio veleno­
e convinto, dell’«ottimismo» ideologico augusteo, era lo stesso che in certi so astio. In realtà, un relativo m utam ento di giudizio su Pom peo era implicito nella
372 LUCANO I PERSONAGGI DEL POEMA 373

stessa struttura della Pharsalia, in cui il personaggio si muove verso la conquista tario della rivelazione si spiega, fra l’altro, col fatto che Lucano ha inteso collegare
progressiva della saggezza; quanto a Cesare, l’avversione nei suoi confronti è costan­ la stirpe di Pom peo al mito della rovina di Rom a, come Virgilio aveva collegato
te fin dall’inizio del poema. la gens Iulia a quello della sua ascesa gloriosa. P er di più Sesto Pom peo, figlio
degenere ed em pio, rappresenta per molti rispetti un rovesciam ento del pio Enea.
L’elogio di Resta il fatto che, all’interno della Pharsalia, l’elogio di Nerone suona
Nerone e il come una nota stridente: nello stesso progetto del poema era insita la contrad­
• progredire del dizione fra la visione radicalmente pessimistica dell’ultimo secolo di storia
pessimismo di
romana, che Lucano era venuto maturando, e le aspettative suscitate dal nuo­ 5. I personaggi del poem a
Lucano
vo principe. L’incrinatura con la quale la Pharsalia nasceva non attendeva
che di essere approfondita — e a ciò avrebbero pensato gli eventi — perché Cesare, P«eroe La Pharsalia non ha, come l’Eneide, un personaggio principale, un vero
Lucano si liberasse anche dagli ultimi residui di una già traballante concezione nero» e proprio «eroe»; l’azione del poema — se si eccettuano diverse figure mino­
provvidenziale. Nel resto dell’opera Nerone non è mai più nominato. ri — ruota soprattutto intorno alle personalità di Cesare, di Pompeo e (so­
prattutto nelPultima parte) di Catone. Cesare domina a lungo la scena con
la sua malefica grandezza: spesso guidato dall’ispirazione momentanea, o
addirittura dalla temerarietà, egli assurge a incarnazione del furor che un’entità
4. Lucano e l’anti-mito di Roma ostile, la Fortuna, scatena contro l’antica potenza di Roma. Nell’incessante
attivismo dispiegato da Cesare, l’«eroe nero» del poema, si è voluto intrav-
L’anti-mito di Nel seguito del poema il pessimismo di Lucano si fa molto più radicale, vedere talvolta quasi il segno dell’ammirazione di Lucano: ed è indubbio
Roma: il e approda a una concezione coerentemente priva di luci: un vero e proprio che il poeta sembra qua e là soccombere al fascino sinistro del suo personag­
rovesciamento «anti-mito» di Roma, il mito del suo tracollo, della inarrestabile decadenza, gio, il quale in fondo rappresenta il trionfo di quelle forze irrazionali che
delle parole di
che si contrappone a quello virgiliano dell’ascesa della Città da umilissime nell’Eneide venivano domate e sconfitte: il furor, Vira, Vimpatientia e una
Virgilio colpevole volontà di farsi superiore allo stato sono le passioni che maggior­
origini. Un esempio paradigmatico (che è anche un paradigma della tecnica
allusiva «antifrastica» di Lucano) in Pharsalia VII 391 segg. (lune omne Lati- mente agitano il suo animo. Sono, questi, tratti tipici della rappresentazione
num / fabula nomen erit: Gabios Veiosque Coramque / pulvere vix tectae del tiranno, presenti già nella tragedia romana arcaica e riproposti nel teatro
poterunt monstrare ruinae, «allora non si conoscerà più il nome latino che di Seneca. In questa tipologia rientrano anche la ferocia e la crudeltà: nella
per sentito dire: delle rovine coperte di polvere potranno a malapena indicare Pharsalia Lucano spoglia Cesare del suo attributo principale — la clemenza
Gabii, Veio e Cora»), dove Lucano, meditando sul gravissimo colpo che Far- verso i vinti — a costo di stravolgere la verità storica (come quando gli
sàlo ha inflitto a Roma, rovescia le parole con le quali Anchise aveva rivelato fa decidere di lasciare insepolti i caduti di Farsalo).
a Enea i nomi dei primi territori destinati a cadere sotto il dominio romano Pompeo, l’ «eroe Alla frenetica energia di Cesare si contrappone, fin dalPinizio del poe­
(Aeneis VI 773 segg.): Hi Ubi Nomentum et Gabios urbemque Fidenam, / passivo» ma, una relativa passività da parte di Pompeo: un personaggio in declino,
hi Collatinas inponent montibus arces, / Pometios, Castrumque Inni, Bolam- affetto da una sorta di senilità politica e militare. Questo tipo di caratteriz­
que Coramque. / Haec tum nomina erunt, nunc sunt sine nomine terrae («Questi zazione serve tuttavia, in modo abbastanza paradossale, a limitare le respon­
fonderanno per te Nomento e Gabii e la città di Fidene, questi porranno sui sabilità di Pompeo: la forsennata brama di potere di Cesare è la principale
monti le cittadelle di Collazia, di Pomezia, di Castrum Inui e Boia e Cora. responsabile della catastrofe che porterà Roma al tracollo. Nei confronti
Questi saranno allora nomi illustri, sono ora terre senza nome»). di Pompeo, l’intento di Lucano è quello di farne una sorta di Enea cui
Le profezie di Come VEneide, la Pharsalia si articola intorno a una serie di profezie, il destino si mostra avverso invece che favorevole: in questo senso, egli divie­
sciagure che rivelano non le future glorie di Roma, ma la rovina che l’attende. La ne una figura «tragica», l’unica che, nello svolgimento del poema, subisca
più importante è costituita senza dubbio dalla nekyomantèia («negromanzia») una evoluzione psicologica. La Pharsalia rappresenta infatti il precipitare
del libro VI. Introducendo il mondo delPoltretomba, Lucano mostra l’eviden­ di Pompeo dai vertici più alti, mentre la Fortuna, un tempo così favorevole,
te volontà di creare un pezzo che possa fare da pendant alla catabasi («discesa gli si rivolge contro con ostile determinazione. Alla progressiva perdita di
agli Inferi») di Enea. La collocazione dell’episodio nel libro VI, come nel autorevolezza in campo politico fa riscontro, in Pompeo, un ripiegamento
poema virgiliano, costituisce un probabile indizio della posizione di centralità nella sfera del privato, degli affetti familiari (in contrasto con l’atteggiamen­
che Lucano intendeva accordargli nell’architettura del poema, e, quindi, della to egocentrico di Cesare): Lucano insiste nel mostrare l’attaccamento di Pom­
progettata estensione della Pharsalia su un arco di dodici libri, al pari del peo verso i figli e soprattutto verso la moglie. Alla fine, abbandonato dalla
poema virgiliano. Fortuna, Pompeo va incontro a una sorta di «purificazione»: diviene consa­
pevole della malvagità dei fati, comprende che la morte in nome di una
Lucano rovescia il modello virgiliano fin nei minimi particolari. Il soldato richiam a­ causa giusta costituisce l’unica via di riscatto morale.
to in vita dalla m aga tessala racconta di avere visto gli Inferi in grande agitazione; Catone, il Questa consapevolezza, che per Pompeo è frutto di una lunga e doloro­
in lacrime le anime degli eroi di Rom a, i quali deplorano l’infelice sorte che attende
la città; esultanti gli spiriti dei populares (fra i quali Catilina), gli antenati politici
«nuovo» saggio sa conquista, costituisce invece per Catone un solido possesso fino dalla
stoico sua prima apparizione nel poema. Un verso lapidario, giustamente celebre,
di Cesare, gli eterni nemici dello stato rom ano. La scelta di Sesto Pom peo a destina­
374 LUCANO LO STILE 375

definisce l’ideologia del personaggio, che riflette in larga misura quella dello posito del gusto per i paradossi e per la concettosità, che nello stile di Luca­
stesso Lucano: victrix causa deis placuit, sed vieta Catoni (I 128: «la causa no non ha meno peso di quello per i tumores). Rilevante in questo senso
vittoriosa ebbe il sostegno degli dei, ma quella sconfitta ebbe il sostegno è anche la cura con cui il poeta, cerca di evitare la sinalefe, sacrificando
di Catone»). Lo sfondo filosofico della Pharsalia è indubbiamente di tipo così la fluidità del verso alla sentenziosità del dettato. L ’io del poeta è prati­
stoico: ma nel personaggio di Catone si consuma la crisi dello stoicismo camente onnipresente per giudicare e spesso per condannare in tono indigna­
di stampo tradizionale, che garantiva il dominio della ragione nel cosmo, to. Di qui la straordinaria frequenza, nella Pharsalia, delle apostrofi, e, in
e, quindi, la provvidenza divina nella storia. Di fronte alla consapevolezza generale, degli interventi personali del poeta a commento degli eventi che
della malvagità di un fato che cerca unicamente la distruzione di Roma, sta narrando.
diviene impossibile, per Catone, l’adesione volontaria alla volontà del desti­ È, indubbiamente, uno stile che di rado conosce dominio e misura:
no (o degli dei) che lo stoicismo pretendeva dal saggio. M atura così la con­ Crisi di valori e per questo, esso può rapidamente saziare il lettore. Ma è, altrettanto indub­
vinzione che il criterio della giustizia è ormai da ricercarsi altrove che nel crisi del genere biamente, uno stile che non è solo frutto dell’adesione alle mode letterarie
volere del cielo: esso d’ora in poi risiede esclusivamente nella coscienza del epico del tempo, né intende solo compiacere il gusto delle sale di declamazione;
saggio. Nella sua ribellione «titanistica», Catone si fa pari agli dei: non la tensione espressiva dell’epica lucanea si alimenta dell’impegno e della pas­
ha più bisogno del loro consiglio per cogliere il discrimine fra il giusto e sione con le quali il giovane poeta ha vissuto la crisi della sua cultura. La
l’ingiusto. Come non si sottomette più alla volontà del destino, così il saggio rappresentazione di una catastrofe come la guerra civile (Romani contro Ro­
non può nemmeno mantenere la propria tradizionale imperturbabilità di fronte mani) poteva ancora — adesso che il mondo intero non avrebbe potuto
al suo realizzarsi: Catone si impegna nella guerra civile, con piena consape­ più essere quello che era stato prima — continuare a nutrirsi di una forma
volezza della sconfitta alla quale va incontro, e della conseguente necessità tradizionale qual era quella che il genere epico offriva? La tradizione epica
di darsi la morte, l’unico modo che gli resta per continuare ad affermare aveva costruito tutto un linguaggio complesso, capace di dare l’attraente
il diritto e la libertà. forma di narrazione ai grandi modelli culturali cui si ispirava la società ro­
Gli altri Intorno ai tre protagonisti si muove una serie di personaggi minori, la mana. Tenacia, equità, forza d’animo, resistenza, capacità di sacrificio, ri­
personaggi cui caratterizzazione è condizionata dall’appartenenza all’uno o all’altro de­ spetto per la divinità e per la giustizia, culto dello stato e lealtà alle sue
gli schieramenti in lotta. Così, molti dei pompeiani e dei catoniani sono leggi, erano alcuni dei valori fondamentali che, «interpretati» dalle grandi
presentati come combattenti valorosi anche se sfortunati. Spicca fra le altre strutture del linguaggio epico-eroico, si trasformavano in suggestivi racconti
la figura di Domizio Enobarbo, che Lucano caratterizza come un eroe, in poetici, dove gli eroi che nelle loro imprese impersonavano quei valori di­
contrasto con la realtà storica a noi nota: si discute tuttora se questa defor­ ventavano veri e propri «modelli di virtù»; lo stile grande e solenne di questi
mazione corrisponda o meno alla volontà di adulare Nerone, il quale era poemi, che significativamente si servivano di una lingua dalle coloriture ar­
un discendente di Enobarbo. L ’esercito di Cesare è, al contrario, costituito caiche, era quello che, nella gerarchia dei generi letterari, faceva dell’epos
per lo più da «mostri» assetati di sangue, legati al loro capo da una suddi­ la più alta forma di espressione poetica. Nell'immaginario dell’epica eroica
tanza psicologica e dalla avidità dì prede. Anche quando ne presenta singoli la coscienza e l’orgoglio di un popolo avevano trovato forme adeguate a
atti di eroismo, come nel caso di Sceva, il poeta non manca di sottolineare «trasfigurare» gli eventi del proprio passato: le imprese conservate nel ricor­
l’ingiustizia della causa per cui essi combattono. Tra i personaggi femminili do collettivo, o quelle più recentemente vissute, erano diventate i momenti
si distingue Cornelia, la moglie di Pompeo, la quale incarna il ritratto del­ forti di un racconto edificante che sapeva accordare il mito con la storia,
l’assoluta fedeltà e devozione al marito, con cui condivide fino in fondo che metteva insieme la rievocazione di antiche credenze magico-favolose con
le avversità della sorte. le «verità» di un’ideologia statale vista nelle sue prove pratiche: un racconto
che accanto alla contemplazione del religioso e del sovrumano proponeva
l’ammirazione per le avventure di uomini eccezionali. Ma a questo compito
di positiva commemorazione dei grandi modelli eroici, l’epos non può più
6. Lo stile far fronte ora che lo sviluppo degli eventi ha tradito quel mondo ideale
e ha tolto credito alle forme letterarie che lo raccontavano; e insieme ha
La crisi vissuta generato nuove aspettative nel pubblico. Lucano non ha la forza di sbaraz­
L’eccesso come Ardens et concitatus: così Quintiliano (X 1,90) ebbe a definire Lucano, daH’interno del zarsi di una forma letteraria che pure sente insufficiente ai suoi bisogni.
canone stilistico e voleva probabilmente riferirsi anche all’incalzante ritmo narrativo dei pe­ genere epico. Più che tentare una rifondazione del linguaggio epico, egli cerca un rimedio
riodi, che si susseguono senza freno e lasciano debordare parti della frase di compenso nell’ardore ideologico con cui ne denuncia la crisi. Così la pre­
oltre i confini dell’esametro: così l’urgenza «concitata» dei pensieri si rispec­ senza di un’ideologia politico-moralistica si fa in lui ossessiva, invade il suo
chia nel continuo enjambement, e la sintassi delle parole aspira ad uscire linguaggio, diventa anzi tutta e solò linguaggio, perché viene gridata, osten­
dai vincoli dello schema esametrico imprimendo un’eccezionale tensione espres­ tata: propugnata linguisticamente (in sententiae costruite ad effetto o in an­
siva al verso. Per la spinta continua al pathos e al sublime, lo stile di Lucano titesi freddamente intellettualistiche) si riduce a retorica. Ma la retorica che
ha molti punti di contatto con quello delle tragedie di Seneca: si è potuto anima questo linguaggio non è segno di vana artificiosità ornamentale, bensì
parlare di «barocco» e di «manierismo» (di quest’ultimo soprattutto a pro­ è il gesto di uno stile che, paradossalmente, per ritrovare la sua autenticità,
BIBLIOGRAFIA 377
376 LUCANO

Bibliografia Edizioni moderne: C. H osius, Leip­ na di Lucano dal M edioevo al R om anti­


per essere sicuro di non tradire con le parole il messaggio di un’ideologia
zig 19133; A. E . H o u sm a n , Oxford 19272; cismo, in «Atene e Rom a», n.s., 7, 1962,
disperata, non può più affidarsi ad un’espressione semplice e diretta, ma di A. B o u r g e r y - M. P o n c h o n t , Paris p. 144 segg.; D. G a g l ia r d i, Lucano poeta
necessità parla ricorrendo agli schematismi enfatici del discorso retorico. Spetta 1926-1929; W. E h l e r s , M unchen 1973. della libertà, N apoli 19763; G . B. C o n ­
così alla retorica, ai suoi costrutti laboriosi e calcolati, di compensare la perdi­ Traduzione italiana della Pharsalia, con t e , Il proemio della Pharsalia, in «Maia»,
ta di credibilità in cui sono cadute le forme semplici del linguaggio epico. testo a fronte, a cura di L. C a n a l i (L u ­ n.s., 18, 1966, p. 42 segg.; I d ., M em oria
c a n o , L a guerra civile o Farsaglia), M i­ dei p o eti e sistem a letterario, Torino
lano 1981. 19852, p. 75 segg.; Id ., Saggio di com ­
Studi: R. P ic h o n , Les sources de Lu- m ento a Lucano, Pisa 1974; S. T im pa ­
cain, Paris 1912; raccolta di saggi di n a r o , A spetti della fo rtu n a di Lucano tra
AA.VV. in Lucan, a cura di W. Ruxz Sette e Ottocento, in A spetti e figure della
7. La fortuna («Wege der Forschung», 235), Darmstadt cultura ottocentesca, Pisa 1980, p. 1
1970 e in Lucain (Entretiens H ardt 15), segg.; E . N a r d u c c i , L a provvidenza cru­
Vandoeuvres - Genève, 1970; L. T h o m p ­ dele. Lucano e la distruzione dei m iti au­
Antichità e Nella cultura romana la Pharsalia conosce una rapida fortuna: Marziale son e R. T . B r u è r e , L u ca n ’s Use o f Vir- gustei, Pisa 1979; I d ., Ideologia e tec­
Medioevo (XIV 194) ci attesta che il poema al suo tempo continuava a «vendere» gilian Reminiscence, in «Class. Phil.», 63, nica allusiva nella Pharsalia, in A ufstieg
molto bene. E ciò nonostante le polemiche letterarie cui l’opera aveva dato 1968, p. 1 segg.; L. P a o l e t t i , Lucano und Niedergang der ròmischen Welt, voi.
luogo forse fin da prima del suo apparire, se, com’è probabile, il Bellum magico e Virgilio, in «Atene e Roma», 32, 3, Berlin - New York 1985, p. 1538
n.s., 8, 1963, p. 11 segg.; Id ., L a fo r tu ­ segg.
civile di Petronio intendeva in qualche modo contrapporsi alle tendenze del
poema che Lucano andava elaborando. La polemica continuò, e venne ac­
colta dai grammatici successivi: Frontone critica Lucano per la ripetitività
degli stessi concetti e per la sovrabbondanza espressiva; Servio, nel suo com­
mento all’Eneide, sentenzia con altri che la Pharsalia è una storia, e non
un poema. Tuttavia l’opera continuò ad essere letta, specialmente nelle scuole,
per tutta la tarda antichità; il successo si protrasse nel Medioevo, come atte­
stano i numerosi manoscritti della Pharsalia sparsi per tutta l’Europa. Dan­
te, che ebbe per Lucano particolare ammirazione — fino a collocarlo quarto
fra gli «spiriti magni» dopo Omero, Orazio e Ovidio (Inferno IV 90; Lucano
è citato come modello anche in Inferno XXV 94 segg.) ne trasse alcuni spun­
ti di orrido espressionismo, e in generale di stile «tragico»; al Catone luca-
neo è largamente ispirato quello che Dante e Virgilio incontrano nel Purga­
torio. Anche Petrarca tenne largamente presente Lucano, soprattutto nella
composizione dell 'Africa. Tasso ne trasse spunti e suggestioni per alcuni episo­
di della Gerusalemme Liberata: ma la venerazione per il modello virgiliano fe­
ce sì che egli (nel saggio Del poema eroico) tornasse a far sue le critiche alla
Pharsalia come storia versificata che già erano state dei grammatici antichi.
La nuova fortuna Dopo un periodo di relativo oscuramento, la fortuna di Lucano ripren­
nell’età moderna de vigore a partire dal tardo Settecento e dall’Ottocento. Neoclassici, ro­
mantici e alfieriani vi trovano materia e personaggi congeniali al loro gusto
e ai loro ideali. Goethe, nel Faust, trasse parte dell’episodio della notte clas­
sica di Valpurga dalla descrizione dei riti della maga tessala Erìttone. In
Italia, Foscolo derivò da Lucano alcuni accenti dei Sepolcri. Alfieri aguzzò
con la lettura di Lucano alcune punte del suo spirito libertario e antitiranni­
co: il Misogallo termina con una epigrafe («Tenea ’l Ciel dai Ribaldi, Alfier
dai Buoni») che riproduce il celeberrimo verso su Catone e la causa vieta
che abbiamo ricordato prima. Gli spunti «titanistici» e «antiteistici» della
Pharsalia alimenteranno anche la poesia di Giacomo Leopardi: il Bruto M i­
nore è, sotto certi aspetti, la poesia più «lucanea» che sia stata scritta nella
letteratura moderna, con la rovina della repubblica romana presentata sotto
la specie di una catastrofe universale, e l’affermazione «blasfema» che gli
dei siedono a protezione degli empi.
IL S A T Y R IC O N 379

caso gli preclusero la via delle scuole. Ma lo sviluppo del romanzo europeo (so­
PETRONIO prattutto nel Sei-Settecento, quando il testo conosciuto corrispondeva ormai a
quello che oggi abbiamo) fu profondamente influenzato da questa narrazione di
avventure, comiche, satiriche, paradossali.
Grandi artisti moderni come Flaubert o James Joyce hanno chiaramente rico­
nosciuto il loro debito con questo isolato, impressionante esperimento della nar­
rativa antica.

1. Il Satyricon
Vita e Se l’autore del Satyricon 'è il personaggio rappresentato da Tacito in Annales
testimonianze XVI 17 seg. (cosa che oggi appare altamente probabile; ma vedi più sotto), si
tratta di T. Petronius Niger (il prenome è un po’ controverso), console verso il
Problemi posti Pochi capolavori della letteratura mondiale sono segnati da ombre così
dal Satyricon molteplici e sovrapposte: del Satyricon sono incerti l’autore, la data di com­
62, suicida per volontà di Nerone nel 66 d.C. Il cognome Arbiter attestato nella
tradizione manoscritta del Satyricon e in qualche testimonianza indiretta sarà da posizione, il titolo e il significato del titolo, l’estensione originaria, la trama,
collegarsi alla definizione riportata da Tacito, elegantiae arbiter, anche se la con­ per non parlare di questioni meno concrete ma importanti, quali il genere
nessione tra questi dati è discussa. letterario in cui si inserisce e le motivazioni per cui quest’opera per molti
Come scrittore, Petronio è nominato pochissime volte, e solo a partire dal versi eccentrica venne concepita e pubblicata. La grandezza artistica dell’o­
III secolo; chi lo identifica con il cortigiano di Nerone ha però a disposizione p e r a — Punico dato che sembra non controverso — non fa che alimentare
un indimenticabile ritratto tacitiano nel XVI degli Annali, e qualche altra menzione le nostre curiosità. Tuttavia, non tutti gli aspetti dell’opera sono altrettanto
(soprattutto Plinio, Naturalis historìa XXXVII 20). incerti; per l’attribuzione e la datazione, come si vedrà tra un momento,
esiste una soluzione pienamente soddisfacente; per altri aspetti, sarà bene
Un lunghissimo frammento narrativo in prosa, con parti in versi, residuo di
ricordare continuamente quanto limitate e parziali restano le nostre cono­
Opere
una narrazione molto più lunga; titolo, probabilmente, Satyrica (secondo altri, Sa­ scenze e le relative ipotesi.
tirica, oppure Saturae). Il titolo sembra formato da due grecismi: Satyri (I Satiri,
personaggi del mito e del folklore greco) più il suffisso di derivazione greca -icus
(-ikòs), lo stesso che serve alla formazione di titoli come Georgica o Aithiopikà
Autore e datazione
(neutri plurali: «Le Georgiche», «Le Etiopiche», cioè all’incirca «Poema dei conta­
dini» e «Storie degli Etiopi»). Secondo altri il titolo risente comunque della parola il ritratto tacitiano Nessun autore antico ci dice chi fosse il misterioso Petronius Arbiter
latina satura. (Si noti, in ogni caso, che il titolo usuale Satyricon non è esatto; di Petronio autore, secondo la tradizione manoscritta, del Satyricon. A giudicare dalla
si tratta di un genitivo plurale neutro, retto da libri, esattamente come Georgicon (pur ridottissima) tradizione indiretta del Satyricon, l’opera deve essere stata
libri = Georgica = «Le Georgiche». Continueremo solo per convenienza e abitu­ composta entro la fine del II secolo d.C., ma niente di più preciso.
dine a usare la forma Satyricon). D’altra parte, Tacito, che non parla del Satyricon, ci presenta nel XVI
La parte che abbiamo copre (sicuramente con alcuni vuoti e salti intermedi)
libro degli Annali uno straordinario ritratto di un cortigiano di Nerone, di
parte dei libri 14 e 16 e la totalità del libro 15; è verosimile che il 15 coincidesse
nome Petronio, e considerato da Nerone il giudice per eccellenza dello chic
in gran parte con la «Cena di Trimalcione». Non sappiamo di quanti libri fosse
composto il romanzo.
e della raffinatezza: il suo elegantiae arbiter. L ’identità di questo Petronio
Non risulta con sicurezza che Petronio abbia scritto altre opere letterarie. tacitiano con il Petronio Arbitro autore del Satyricon è oggi accettata dalla
L’Anthologia Latina (la grande collezione di poesie di vari autori o anonime, for­ grande maggioranza degli interpreti, anche se, a dire il vero, non poggia
matasi nel V-VI secolo) preserva alcuni carmi e frammenti poetici trasmessi sotto su alcuna testimonianza che renda esplicita l’identificazione.
il nome di Petronio; altri sono stati assegnati a Petronio dai moderni per ragioni
stilistiche. È possibilissimo che una parte di questo materiale poetico fosse origi­ Le consonanze tra il ritratto tacitiano e il Satyricon sono indubbiam ente fascinose.
nariamente inserito nel Satyricon, che deve aver contenuto, a giudicare dalla par­ Descrivendo le circostanze della m orte di Petronio (con un procedim ento tipico della
te che abbiamo, copiosissimi e svariati inserti poetici. sua balenante tecnica narrativa), Tacito delinea un personaggio paradossale, inim ita­
Il testo ebbe un destino capriccioso e complesso; fu mutilato e antologiz­ bile. Questo Petronio era stato un valido ed efficiente uom o di potere; proconsole
zato in età tardo-antica, con intervento anche di vere e proprie interpolazioni. in Bitinia, poi console; m a la qualità che lo rendeva prezioso a N erone era la raffina­
Di questa riduzione del Satyricon una sezione — il celebre episodio noto come tezza, il gusto estetico. T ra le suggestioni che balzano alla mente — inevitabilmente
arbitrarie, m a sempre attraenti —- sono certe figure del Settecento europeo, o del
Cena Trimalchionis, la parte oggi più popolare del romanzo — ricomparve sol­
Decadentismo: il cortigiano, il dandy, l’asceta dell’estetismo, l’intellettuale gaudente.
tanto nel XVII secolo, in un codice ritrovato nella cittadina dalmata di Traù (il Com unque sia, questo Petronio, spinto al suicidio nel 66 da intrighi di palazzo,
codex Traguriensis); altre parti erano già note agli umanisti italiani a partire dal stupì ancora u na volta, realizzando un suicidio paradossale come lo era stata la
1423. sua vita. Nessuna ostentazione di severità stoica — anzi, il suo suicidio sem bra essere
Pregiudizi moralistici inibirono a lungo la diffusione di Petronio, e in ogni stato concepito come una parodia del teatrale suicidio tipico di certi oppositori
380 PETRONIO IL SATYRIC O N 381

del regime. Incidendosi le vene, e poi rallentando ad arte il m om ento della fine, — parole rare, perché non letterarie, recepite dai grammatici e dai lessico-
Petronio passò le ultime ore a banchetto, m a — pare — occupandosi di poesia, grafi della tarda latinità — e con quelle tracce di lingua d’uso che recuperia­
e senza lanciare proclami filosofici o testamenti politici. D ’altra parte, accanto a mo, spesso faticosamente, da poeti quali Plauto o Catullo, e dai prosatori
queste manifestazioni di provocatorietà irridente, volle mostrarsi anche serio e re­
sponsabile: si occupò dei suoi servi, e scelse di denunciare apertam ente i crimini meno stilizzati. La lingua dei liberti si armonizza perfettamente con il qua­
dell’im peratore (nella sua lettera-testam ento erano infatti elencate e smascherate m a­ dro generale di queste testimonianze, e si distacca dal latino che Petronio
lefatte e sconcezze del principe). Distrusse poi il suo anello, perché non venisse riuti­ usa, attraverso il narratore Encolpio, nelle parti narrative del romanzo. Il
lizzato in qualche contraffazione o intrigo politico. contrasto è voluto e presuppone un cosciente dosaggio artistico. È chiaro
Identità del È chiaro che il ritratto deve molto all’arte di Tacito; tuttavia, a molti lettori del che i cosiddetti «volgarismi» non costituiscono un indizio per una datazione
personaggio Satyricon le somiglianze con l’atm osfera del rom anzo sono apparse troppo belle per
essere false. Spregiudicatezza, acuto sguardo critico, disillusione, senso della mistifi­ tarda dell’opera, nemmeno quando certi termini e certe costruzioni ci ap­
tacitiano con
cazione (nonché, naturalm ente, una aristocratica cultura letteraria) sono tutte qualità paiono dei fenomeni unici, senza paralleli. Esprimendoci schematicamente,
l’autore del
Satyricon
che l’autore del Satyricon, proprio come il Petronio tacitiano, deve aver posseduto diremo che i volgarismi sono spie non di uno strato «tardo», storicamente
in modo elevatissimo. Questo signore della parodia letteraria potrebbe benissimo tardo, della lingua, ma di uno strato «basso», che corre per un lungo perio­
aver gestito la sua m orte come una parodia.
È comprensibile che il Petronio tacitiano, il «personaggio» Petronio, abbia goduto do storico, ed è normalmente escluso dalla selettività del linguaggio lettera­
Fortuna del
personaggio di di una sua fortuna letteraria, autonom a e non coincidente con quella del testo- rio. Portarlo alla luce, è una ricerca artistica di Petronio, guidata da un
Tacito Satyricon: questo modello di esteta perseguitato piacque molto ai protagonisti del preciso programma letterario.
Decadentismo europeo; e la figura di Petronio nel Quo Vadis? di Sienkiewicz — In sintesi, si può dire che il romanzo deve essere stato composto nel
assunta, in m odo storicamente arbitrario, come simbolo della crisi morale dell’aristo­ periodo neroniano, e potrebbe, se mai, essere ambientato in un periodo pre­
crazia pagana — ha molto contribuito al crescere di questo mito nel grande pubblico.
Deduzioni dal Q uanto alle deduzioni da trarre per l’interpretazione del Satyricon, occorre muoversi cedente 1. Anche lasciando aperto il problema dell’identificazione di Petro­
testo di Tacito con maggiore prudenza. N on sappiam o se Tacito conoscesse direttam ente il rom an­ nio, questa conclusione almeno è sicura.
zo; se lo conosceva; può darsi che ne abbia tenuto conto nel tracciare il suo ritratto
di Petronio, e sicuramente non era tenuto a citare, nella sua severa opera storica,
un testo così eccentrico e scandaloso. Si è persino supposto che al Satyricon vogliano La trama del romanzo
alludere i codicilli, cioè il testamento-libello con cui Petronio attaccava le turpitudini
della corte, m a l’ipotesi fa sorridere. Un rom anzo che (per quanto possiamo saperne)
poteva essere lungo quanto I Promessi Sposi o persino Guerra e Pace, un testo che Frammentarietà Percorrendo brevemente la trama del Satyricon, terremo presente che
per cura form ale e ricerca stilistica ha poco da invidiare alla grande narrativa m oder­ del romanzo il modo in cui si è formato il testo che abbiamo è assai problematico. Di
na, non può certamente nascere d ’un tratto, sotto la spinta di una volontà di denun­
certo si può dire che siamo di fronte a un frammento di narrazione che
cia collegata al suicidio.
Petronio e D ’altra parte, è legittimo interrogarsi su certi aspetti del testo che abbiam o, cercando nelle sue grandi linee è continuo, ma che deve aver subito qua e là dei tagli,
l’ambiente dei punti di contatto con l’atm osfera della corte neroniana. Si è pensato che il gusto forse anche delle interpolazioni e degli spostamenti di sezioni narrative. La
neroniano
di Petronio per la vita dei bassifondi abbia un a sottile complicità con i gusti dell’im­ parte più integra è il famoso episodio della Cena di Trimalcione·, è chiaro
peratore; gli storici antineroniani attribuiscono a Nerone u n ’intensa vita notturna, che esso esercitava su chi ha manipolato il testo di Petronio un’attrattiva
condotta in incognito, frequentando bettole e postriboli, mescolandosi a risse. Anche
i gusti poetici di Nerone sono stati chiamati in causa, e confrontati con certe inser­ particolare. Di sicuro, il testo che abbiamo era preceduto da un lunghissimo
zioni poetiche del rom anzo; è possibile, ad esempio, che la Presa di Troia cantata antefatto (narrato in quattordici libri, stando alle indicazioni tramandate
dal poeta Eum olpo non sia senza rapporto con il poem a' di N erone sulla guerra nei codici) e seguito da una parte di lunghezza per noi imprecisabile.
di Troia. Certo, se l’autore é il Petronio di Tacito, possiamo aspettarci allusioni
anche sottili all’am biente della corte neroniana. M a il senso di questa operazione
(satirico e polemico? o per caso destinato al divertimento della corte?) continua a Riassunto del La storia è n arrata in prim a persona dal protagonista Encolpio, l’unico personaggio
sfuggirci; e in ogni caso nulla ci autorizza a vedere in quest’opera complessa e fanta­ Satyricon (oltre a Gitone) che com pare in tutti gli episodi del rom anzo. Encolpio attraversa
siosa un «rom anzo a chiave», i cui personaggi siano maschere applicate a individui un a successione indiavolata di peripezie, e il ritm o del racconto è variabile; talora
storicamente determ inati. scarno e riassuntivo, a volte — come nella cena in casa di Trimalcione — lentissimo
e ricco di dettagli realistici.
Da principio Encolpio, un giovane di buona cultura, ha a che fare con un maestro
Il Satyricon opera Tutti gli elementi di datazione interni, cioè desunti dal testo stesso del di retorica, A gam ennone, e discute con lui il problem a della decadenza dell’oratoria.
di età neroniana romanzo, concordano con una datazione non oltre il principato di Nerone. La problem atica è affine a quella del Dialogus de oratoribus tacitiano, m a A gam en­
Le allusioni a personaggi storici, i nomi di tutte le figure del romanzo, i none ha l’aria di un professore da strapazzo.
presupposti sociali della trama (economia, diritto, istituzioni, e l’ambienta-
zione in genere) sono tutti compatibili con questo periodo di composizione,
1 «volgarismi» e nessun singolo indizio implica una datazione più tarda. Lo stile del roman­ 1 La data di composizione è ancora più precisa se si accetta che il Bellum civile, il poema
linguistici zo ha dato più lavoro ai critici; il linguaggio parlato da alcune figure minori storico di E um olpo (cfr, più avanti), contenga dei precisi riferim enti alla Pharsalia di Lucano.
Esistono però delicati problem i di cronologia: Lucano m orì solo un anno prim a del Petronio
del romanzo — i liberti del convito in casa di Trimalcione — è profonda­
tacitiano, lasciando l’opera incom piuta; d ’altra parte, è probabile che almeno la prim a parte
mente diverso dal latino letterario che ci è familiare. Abbiamo qui una pre­ del poem a fosse già in circolazione da più tem po. La questione a tu tt’oggi non può dirsi risolta,
ziosa fonte di informazione sulla lingua d’uso popolare, che si può combina­ m a è chiaro com unque che il dibattito sul poem a storico si inquadra particolarm ente bene
re con attestazioni di tipo sub-letterario, come i graffiti di Pompei, le glosse nel clima letterario dell’età di Nerone.
382 PETRONIO IL SATYRIC O N 383

Apprendiam o che Encolpio viaggia in com pagnia di un altro avventuriero dal passa­ A ncora una volta, quando il nostro testo si interrom pe, troviam o il protagonista
to burrascoso, Ascilto, e di un bel giovinetto, Gitone; fra questi personaggi corre in una posizione di scacco, creata proprio dal tentativo di liberarsi da una minaccia
un triangolo am oroso. E ntra in scena una m atrona di nome Quartilla, che coinvolge incombente. N on sappiam o come si concludesse l ’avventura di Crotone, né quanto
i tre in un rito in onore del dio Priàpo. Questa b u ffa divinità, che simboleggia il durasse ancora il rom anzo; imm aginare il finale dell’opera è poi del tu tto impossibi­
sesso maschile, sem bra avere un ruolo im portante in tutte le storie narrate da Encol- le. Nessuno degli episodi che abbiam o lascia prevedere il successivo, e non sappiam o
pio. Com unque, i riti di P riapo si rivelano più che altro un pretesto per asservire neppure come fosse com inciata la vita picaresca di Encolpio. Ci si può chiedere,
i tre giovani ai capricci lussuriosi di Quartilla. del resto, fino a che punto il Satyricon rappresenti un rom anzo secondo il nostro
A ppena sfuggiti a Quartilla, i tre vengono scritturati per un banchetto in casa di concetto m oderno di questo genere letterario.
Trimalcione, un ricchissimo liberto dalla sconvolgente rozzezza. Si descrive con ab ­
bondanza di dettagli lo svolgersi della cena, una teatrale esibizione di ricchezza e
di cattivo gusto; la scena è dom inata dai liberti amici di Trimalcione e dalle loro Il genere letterario: menippea e romanzo
chiacchiere. Encolpio, anche qui, è costretto in un ruolo passivo e subalterno; solo
un casuale incidente decreta la fine della cena, e «libera» nuovam ente i nostri eroi.
La rivalità omosessuale tra Encolpio e Ascilto precipita; i due, gelosi dell’amore
Il romanzo Nessuno dei termini moderni che usiamo per definire la narrativa di
di Gitone, hanno un violento litigio, e Ascilto si porta via il ragazzo. Encolpio, antico, un genere invenzione (novella, romanzo, ecc.) ha una tradizione classica, e neppure
affranto, entra casualmente in una pinacoteca, e qui conosce un nuovo personaggio, «in sordina» dei reali corrispettivi nel mondo antico. Gli antichi applicano a queste opere
che avrà ruolo centrale in tutte le successive avventure. Si tra tta di Eum olpo, un narrative termini molto generici (per esempio historia, fabula), o designazio­
poeta vagabondo: un uom o anziano, però insaziabile sia come letterato che come
avventuriero. Eum olpo comincia con l’esibire i suoi doni poetici, recitando seduta
ni particolari usate senza nessun rigore (per esempio Milesia: vedi sotto).
stante una sua composizione sulla Presa di Troia, che riceve pessima accoglienza Per questa classe di testi non abbiamo trattazioni teoriche; non se ne occu­
da parte dei presenti: in questo, Eum olpo richiam a alla mente gli insuccessi del vel­ pano retori, filosofi e critici letterari; i titoli sono generici, e non distinguo­
leitario retore Agamennone. D opo una rapida serie di peripezie, Encolpio riesce a no questo genere da altri tipi di narrativa. Sospettiamo che di narrativa si
recuperare il suo Gitone, e a liberarsi di Ascilto (che scompare, a quanto sappiam o, facesse un grande consumo, ma pochi letterati antichi si occupano diretta-
dalla vicenda); m a non a liberarsi di Eum olpo, che si rivela sempre più come un
nuovo aspirante alle grazie di Gitone. Si costituisce così un nuovo terzetto am oroso. mente del fenomeno; alcuni, presumibilmente, si vergognano di confessare
Sinora, l’azione si è svolta in una Graeca urbs, una città costiera della Campania: queste frivole letture.
l’identificazione precisa è controversa, e forse Petronio non intende un luogo ben Cosa si intende I critici moderni chiamano in genere «romanzi» un gruppo ristretto di
preciso. Encolpio, Eum olpo, e Gitone, lasciano precipitosamente la città im barcan­ per «romanzo» Opere, che cadono in due tipologie molto differenti:
dosi, in incognito, su una nave mercantile. D urante la rotta, il padrone della nave antico
si rivela essere il peggior nemico di Encolpio: è un mercante di nom e Lica, che
ha motivo di vendicarsi per qualche precedente avventura (narrata, ovviamente, nel­
a) due testi latini, tra l’altro reciprocamente indipendenti e poco simili tra
l’antefatto a noi perduto). Con Lica viaggia una signora di dubbia m oralità, Trifena, loro: il Satyricon di Petronio e le Metamorfosi di Apuleio;
anche lei già n o ta a Encolpio. Un m aldestro tentativo di cam uffarsi produce risultati b) una serie di testi greci, databili fra I secolo d.C. (Caritone) e IV secolo
catastrofici: scoperto, Encolpio è ormai in balia della vendetta di Lica. Eum olpo (Eliodoro): Cherea e Callìroe di Caritone, Leucippe e Clitofonte di Achille
tenta una mediazione, e fra l’altro cerca di svagare i compagni di viaggio raccontan­
Tazio, gli Ephesiakà di Senofonte Efesio, Dafni e Cloe di Longo Sofi­
do la piccante novella della M atrona di E feso. La situazione sembra, com unque,
male avviata, quando interviene una provvidenziale tempesta. Il minaccioso Lica sta, le Etiopiche di Eliodoro. Di altre opere assimilabili abbiamo fram­
viene spazzato in m are, T rifena fugge su una barca, la nave cola a picco, e i tre menti papiracei o notizie mediate (riassunti, citazioni). Il dibattito sulle
si ritrovano soli sulla riva. origini di questo filone letterario è tuttora aperto.
Inizia così una nuova avventura: Eum olpo scopre di essere nei paraggi della città
di Crotone. Q uesta città dal passato glorioso è attualm ente tu tta rivolta a u n ’attività Trama-tipo del Al contrario dei romanzi latini, questa serie di opere greche è unita da
deplorevole: la caccia alle eredità. La città è tu tta in mano ai ricchi senza eredi,
e ai cacciatori di testam enti, che li colmano di onori e favori per ottenere le eredità.
romanzo greco una notevole omogeneità e permanenza di tratti distintivi. Soprattutto, la
Eum olpo ha u n ’illuminazione: recitare la parte del vecchio facoltoso e senza eredi, trama è quasi invariabile: si tratta delle traversie di una coppia di innamora­
assecondato da Encolpio e Gitone, che im personeranno i suoi schiavi. D urante il ti, un giovane e una ragazza che vengono separati dalle avversità e, prima
cammino verso Crotone, Eum olpo tiene ai suoi compagni una lezione sulla poesia di riunirsi e coronare il loro amore, superano mille avventure e pericoli.
epica, e declama un lungo poem etto sulla guerra tra Cesare e P om peo, il cosiddetto Gli intrecci stanno tutti nella serie degli incidenti che ritardano il felice scio­
Bellum civile.
L ’ultim a fase del racconto è per noi più difficile da seguire, per lo stato lacunoso glimento: scambi di persona, naufragi, intrighi di rivali, finte morti, viaggi
del testo di Petronio. In principio, la commedia di Eum olpo funziona, e i tre vivono in paesi lontani, e altro ancora. Il tono è quasi sempre serio, o almeno,
com odam ente alle spalle dei cacciatori di testamenti. Encolpio h a u n ’avventura con i protagonisti e il loro amore sono presi sul serio, visti come figure patetiche
una donna di nom e Circe, m a improvvisamente è abbandonato dalle sue facoltà che muovono simpatia. Lo scenario è invece variabile, e spazia nei paesi
sessuali. Perseguitato — come Encolpio stesso sostiene — dal dio Priapo, il protago­
nista si sottopone a umilianti pratiche magiche, senza successo alcuno; poi, di colpo,
del Mediterraneo grecizzato: scarso è l’interesse per la realtà contempora­
riacquista la virilità. Ecco però che la commedia di Eum olpo com incia a incrinarsi: nea, tenue l’inquadramento storico. L’amore è trattato con pudicizia, come
i Crotoniati stanno per scoprire il raggiro. una passione seria ed esclusiva: molta suspense della storia sta nei modi
Nell’ultim a scèna del testo che ci è rim asto, Eum olpo lancia un bizzarro espediente: avventurosi con cui l’eroina serba fino in fondo la sua castità per il giovane
si dà lettura di un assurdo testam ento, per cui chi vuole godere dei lasciti di Eum ol­ che ama, sfuggendo a variabili insidie. Si potrebbe dire che questo romanzo
po dovrà cibarsi del suo cadavere (Eum olpo è m alato, o è m orto, o finge di esserlo:
questo particolare ci sfugge). M a i pretendenti, accecati dalla cupidigia, sono pronti greco è una versione narrativa di trame tipiche della Commedia Nuova ate­
a farsi cannibali... niese, cioè, appunto, storie di amori contrastati. Un’importante differenza
384 PETRONIO
li. SATYRIC O N 385

è che lo scenario è ora immensamente dilatato: non più un tranquillo angolo naggi che appaiono e rispuntano molto più tardi, come nel caso di Lica
borghese di città, ma gli spazi aperti del mare e di terre anche esotiche: e Trifena. Ci sono, soprattutto, situazioni tipiche che si ripetono: cambiano
gli ampi orizzonti del mondo ellenistico. scenari e personaggi minori, ma Encolpio continua a essere intrappolato,
L’amore nel Nel romanzo di Petronio l’amore è visto in modo ben diverso. Non umiliato, costretto a tentativi di fuga che si risolvono, per un’accanita per­
Satyricon: l'anti­ c’è spazio per la castità, e nessun personaggio è un serio e credibile portavo­ versione della sorte, in peggioramenti ulteriori.
romanzo greco ce di valori morali. Il protagonista è sballottato tra peripezie sessuali di ogni La forma del Ancora più complessa è la form a del romanzo. La prosa narrativa è
tipo, e il suo partner preferito è maschile; il sesso è trattato esplicitamente, romanzo: interrotta, con apprezzabile frequenza, da inserti poetici: alcune di queste
ed è visto come una continua fonte di situazioni comiche. Si è pensato addi­ l’alternanza di parti in versi sono affidate alla voce dei personaggi, soprattutto a quella di
rittura che il Satyricon sia nel suo complesso, a grandi linee, strutturato prosa e poesia
Eumolpo, che, anche in situazioni poco opportune, dà spazio alla sua tor­
come una parodìa dell’idealizzato romanzo greco d’amore. Così, ad esem­ renziale vocazione poetica; è il caso della Presa di Troia e della Guerra Civi­
pio, il rapporto omosessuale tra Encolpio e Gitone sarebbe come la parodia, le, per citare le inserzioni più lunghe. Questi inserti sono «motivati» e hanno
la degradazione ironica dell’amore «romantico» che lega i fidanzati del ro­ Inserti poetici e come uditorio i personaggi del romanzo. Ma molte altre parti poetiche sono
manzo greco. Questa tesi coglie elementi di verità — tutta la dimensione intervento del strutturate come interventi del narratore, che nel vivo della sua storia abban­
della parodia è fondamentale nella poetica di Petronio — e spiega bene mol­ narratore dona la relazione degli avvenimenti per commentarli. Spesso questi commen­
ti effetti comici del Satyricon, ma risulta sforzata se la si intende in modo ti hanno una funzione ironica; non perché si tratti di poesie «mal fatte»,
esclusivo. Tra l’altro, è vero che nella parte che abbiamo Encolpio è sempre ché anzi Petronio si rivela come un poeta dalla versatilità tecnica straordina­
in compagnia di Gitone, ma questa coppia non è il solo punto focale del ria e ammirevole; ma perché il commento poetico non corrisponde, vuoi
racconto: inoltre, i due non sono quasi mai separati, secondo la struttura per stile e livello letterario, vuoi per contenuto e orientamento, a quella
narrativa tipica del romanzo greco. situazione in cui dovrebbe inquadrarsi. Ne derivano dei contrasti, degli sbal­
La letteratura D’altra parte, la narrativa «seria» non è sicuramente l’unico genere nar­ zi tra aspettative e realtà, tra illusioni materiate di fantasmi (fantasmi a
novellistica rativo a cui Petronio poteva riferirsi. A partire almeno dal I secolo a.C. loro volta nutriti di cultura e di letteratura) e brusche ricadute anche di
antica: il filone ha grande fortuna una letteratura novellistica, caratterizzata da situazioni volgarità brutale. Quando Encolpio paragona una losca fattucchiera ubria-
«non idealizzato» comiche, spesso piccanti e amorali. Un filone importante è quello che gli cona a un personaggio di Callimaco, o canta in versi catulliani le sue gioie
antichi spesso etichettano come fabula Milesia, perché risale a un’opera gre­ d ’amóre subito prima di essere cornificato da Gitofte, il lettore scopre un
ca di notevole popolarità, i Milesiakà di Aristide (il titolo si lega alla città controcanto ironico, a spese dell’ingenuità del narratore.
di Mileto, in Asia Minore). Le novelle di Aristide erano state riprese a Roma Il narratore La presenza di un narratore passivo, ingenuo, sottoposto a continui pas­
da Sisenna (I secolo a.C.; forse da identificare con lo storico Sisenna, cfr. passivo saggi di fortuna, è tipica di Petronio come del romanzo di Apuleio e della
p. 107). Più o meno lo stesso materiale narrativo era portato in scena, nello moderna narrativa picaresca: è un modo di costruire il racconto. Ma l’uso
stesso periodo, dal mimo romano. libero e ricorrente di inserti poetici allontana il Satyricon dalla tradizione
Sappiamo con certezza che Petronio utilizzò ampiamente questo filone del romanzo, e lo avvicina, dal punto di vista formale, ad altri generi letterari.
di narrativa non idealizzata. Una tipica storia «milesia» è quella raccontata Satyricon e satira La libera alternanza di prosa e versi non ha una presenza marcata nei
da Eumolpo (Satyricon 111-112): una matrona di Efeso, vedova inconsolabi­ menippea testi narrativi antichi che conosciamo, quali ad esempio il romanzo di Apu­
le, cede alle voglie di un soldato e, per una serie di circostanze, finisce per leio. Il punto di riferimento più vicino è una «satira menippea», YApokolo-
esporre sulla croce la salma del marito pur di salvare il suo amante. I temi kyntosis di Seneca. Il genere ha una storia abbastanza complicata da segui­
tipici di questa novellistica, in qualche modo «boccaccesca», si oppongono re: richiamandosi al filosofo cinico Menippo di Gàdara (II secolo a.C.),
a qualsiasi idealizzazione della realtà: gli uomini sono sciocchi, le donne Varrone aveva intitolato Satire Menippee le sue composizioni satiriche. Dai
pronte a cedere. Dobbiamo pensare che sia andata perduta una gran quanti­ frammenti che abbiamo, sembra che questo tipo di satira fosse un contenito­
tà di questa produzione narrativa popolare, con una certa varietà di forme re aperto, molto vario per temi, e soprattutto per forma. Doveva compren­
letterarie e di sottogeneri: queste opere si sono perdute sia per il loro livello dere anche parti in prosa, e sembra che Varrone desse largo spazio a una
letterario, che le faceva indegne di attenzione agli occhi dei dotti medioevali, componente «realistica». In ogni caso, a questa tradizione si richiama chia­
.occidentali e bizantini; e anche, forse soprattutto, per i loro contenuti im­ ramente VApokolokyntosis, un testo in prosa che si apre a svariati inserti
morali. I papiri egiziani ci hanno restituito alcuni esempi di narrativa comi­ poetici: sia citazioni di autori classici, che nel contesto narrativo assumono
ca, ed è possibile che in questo filone figurassero non solo novelle, ma anche una valenza parodiata e distorta, sia parti poetiche composte in proprio,
veri e propri romanzi. Il Satyricon — come anche le Metamorfosi di Apuleio spesso a loro volta dei postiches, delle rielaborazioni di moduli poetici tradi­
— deve essere stato molto meno isolato di quanto sembra a noi. zionali. Una caratteristica interessante di questa menippea è il continuo scontro
Complessità Ma nessun testo narrativo classico, a nostra conoscenza, si avvicina an­ di toni seri e giocosi, di risonanze letterarie e di crude volgarità; il tutto
letteraria del che lontanamente alla complessità letteraria che caratterizza Petronio. Com­ è sorvegliato da una raffinata tecnica compositiva, che ricorda piuttosto da
Satyricon plessa è, anzitutto, la tram a del romanzo. La parte che abbiamo si presenta vicino Petronio.
come una libera successione di scene, con tonalità variabili; ma queste scene Differenze dalla Rimangono alcune differenze assai nette. La satira senecana è una nar­
sono collegate da un complesso gioco di richiami narrativi. Ci sono perso­ satira menippea razione di compasso molto breve, ed è impossibile paragonarla allo sviluppo
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del Satyricon. Inoltre, è un testo di satira intesa come libello, come attacco del realismo petroniano sta dunque non tanto nell’offrirci frammenti di vita
personale concepito in una precisa situazione e rivolto contro un bersaglio quotidiana, ma nell’offrirci una visione del reale che è critica quanto disin­
esplicito, il defunto imperatore Claudio. In Petronio, nessun intento del ge­ cantata; quando percorre la via della satira, si ferma prima di adottare il
nere è percepibile, e al di là delle singole parodie e dei ritratti deformanti gesto della protesta, dell’invettiva, della predicazione.
(che coinvolgono Seneca, Virgilio, Omero, la retorica, la poesia d’occasione, La parodia in Il romanzo esprime quindi una vocazione satirica «incompleta», mentre
gli arricchiti, i parassiti e mille altre figure della società contemporanea...) Petronio è interamente dominato da una vocazione alla parodia. Si è visto quale gran­
11 nuovo uso del non si indovina un disegno polemico unificante. È possibile che Petronio de ruolo hanno le parti in versi nel suscitare contrasti ironici. Il risultato
«prosimetro» guardi alla tradizione menippea per molti aspetti della sua opera: la mesco­ dei contrasti è spesso duplice: la punta ironica sembra ora rivolta verso la
lanza degli stili, il «prosimetro» (appunto la mistura di versi e prosa), e letteratura e i modelli che propone (convenzionali, retorici, persino insensa­
forse anche la struttura narrativa a blocchi; ma non sembra che questo filo­ ti), ora verso la vita e le sue delusioni. La parodia petroniana è un modo
ne letterario gli offrisse già confezionata la formula del Satyricon. D’altra di vedere le cose carico di ambiguità: in qualche caso, il suo senso ultimo
parte, quella alternanza di prosa e versi che nella menippea era solo una è inafferrabile. Eumolpo espone una sua critica del poema storico, e poi
risorsa formale, è in Petronio anche un modo, inedito, di costruire il raccon­ la esemplifica poetando sul Bellum civile: spiega tra l’altro che la poesia
to: molto spesso gli inserti poetici forniscono al lettore la prospettiva in epica non può rinunciare all’apparato divino. Sembra di cogliere una critica
cui è immerso il narratore Encolpio. alla Pharsalia di Lucano, che appunto viola i canoni della tradizione elimi­
nando le divinità olimpiche. Il Bellum civile risulta contenere sia imitazioni
virgiliane (coerenti con l’impostazione poetica di Eumolpo) sia allusioni a
Realismo e parodia Lucano. Ma è difficile tradurre tutto questo in un’indicazione costruttiva.
Il Bellum civile è una poesia tremendamente convenzionale, e sembra diffici­
Modelli e Possiamo ricapitolare: il Satyricon deve molto alla narrativa (sia seria le che Petronio lo intendesse come un modello positivo; il poeta Eumolpo,
originalità: il che comica) per trama e struttura del racconto, e qualcosa alla tradizione del resto, è un reietto velleitario e frustrato. La situazione fa sorridere, ma
realismo nel menippea, per la tessitura formale (il «prosimetro»); ma trascende, in com­ non emerge nessun messaggio univoco: che si voglia ridicolizzare, o esaltare,
Satyricon plessità e ricchezza di effetti, entrambe le tradizioni. Lucano, sembra una soluzione troppo semplice.
Il dato più originale della poetica di Petronio è forse la sua forte carica Uso ironico dei Sottili effetti ironici nascono continuamente dall’uso di modelli letterari
realistica, evidente a noi soprattutto nella Cena di Trimalcione — dove di­ modelli: Odisseo elevati, che non sono solo direttamente imitati nelle parti poetiche, ma for­
ed Encolpio niscono anche una traccia per le parti narrative. Una furba ancella cita Vir­
venta anche un fenomeno linguistico — ma ben presente anche altrove. Il
romanzo ha una sua storia da raccontare, la vita avventurosa di Encolpio, gilio per convincere la padrona a concedersi a un corteggiatore. Encolpio,
ma nel farlo si sofferma a descrivere luoghi che non sono visti astrattamente perseguitato da Priàpo, si paragona a Ulisse perseguitato da Posidone.
e fuori dal tempo, come in gran parte del romanzo greco. Sono luoghi tipici Richiami alla grande epica sono particolarmente frequenti; soprattutto,
e fondamentali del mondo romano: la scuola di retorica, i riti misterici, ricorrenti ci appaiono le allusioni a\Y Odissea. La struttura «di viaggio» del
la pinacoteca, il banchetto, la piazza del mercato, il postribolo, il tempio. romanzo rende abbastanza naturale questo privilegio, ma si è anche pensato
L ’autore ha un vivo interesse per la mentalità delle varie classi sociali, oltre che tutta la storia di Encolpio sia in qualche modo concepita come una
che (nella sola Cena di Trimalcione, però) per il loro linguaggio quotidiano. parodia àùVOdissea, un Odissea di pitocchi. È un’ipotesi suggestiva, e del
È chiaro che istanze realistiche sono attive in molti altri tipi di letteratura resto la parodia di Omero ha un’enorme tradizione letteraria (la commedia,
romana: nella satira, nel mimo, nell’epigramma, talvolta nella commedia. l’epigramma, gli stessi Priapea ne fanno largo uso); si è pensato anche che
Il Satyricon e la Ma proprio la satira (Lucilio, Orazio, anche Persio e Giovenale) ci offre tutto il genere romanzesco risalga, per via più o meno diretta, all’epos ome­
satira latina un elemento di contrasto. Il «realismo» della satira si sofferma in genere rico. Ma fare di queste allusioni una chiave interpretativa generale sembra
su tipi sociali ben precisi — il parassita, il ricco stupido, il poetastro, la pericoloso. È vero che Encolpio sembra, a più riprese, fare i conti con Tira­
donna che ostenta virtù — e questi tipi sono costruiti tutti attraverso un to dio Priapo. Qui starebbe la somiglianza con l’eroe errante Odisseo, che
filtro morale. Il poeta satirico li guarda attraverso un suo ideale: c’è un vaga perseguitato da Posidone e dal dio Helios. Si sospetta che le disavven­
commento morale continuo, anche se spesso implicito, e il lettore è sempre ture di Encolpio risalgano a un incidente iniziale, contenuto nell’antefatto:
in grado di formarsi un giudizio su queste realtà. Poco importa se il tono per esempio un sacrilegio o una maledizione divina. Ma occorre notare che
sia quello dell’aggressiva indignazione (Giovenale) o della ricerca di un inti­ il ruolo di Priapo, nel frammento che abbiamo, è piuttosto sporadico; e
mo equilibrio (Orazio). il ruolo della persecuzione divina è molto scarso nella trama dell’Odissea.
L’amoralità di Petronio, invece, non offre ai suoi lettori nessuno strumento di giudizio. Il gioco delle La spiegazione più naturale è che la parodia omerica vada riassorbita
Petronio Non potrebbe essere altrimenti, in una narrazione condotta in prima perso­ parodie nel gioco complessivo delle parodie, variegato tessuto del romanzo di Petro­
na, da un personaggio che è dentro fino al collo in quel mondo sregolato. nio. Se Priapo aveva un ruolo dominante, è facile capirne i motivi: questo
Anche là dove Encolpio prende distanza dai fatti, e lui stesso critica o iro­ buffo dio del sesso rurale dà la tonalità giusta alla storia, proprio come
nizza, non è mai fornita al lettore un’ideologia positiva. I personaggi che le nobili divinità olimpie contraddistinguono l’epica, e ne marcano il livello
«fanno la morale» sono, del resto, per nulla superiori agli altri. L’originalità elevato. Su questa linea unificante, Petronio ha chiamato a raccolta, reinter-
BIBLIOGRAFIA 389
388 PETRONIO

pretato, parodiato, tutti i generi letterari e i miti culturali della sua epoca: Per un bilancio dei problemi di au­ The N ovel in A ntiquity, Oxford 1983. Sul
tenticità e datazione, utile K. F. C . Ro­ Satyricon come parodia del rom anzo ve­
Omero e Virgilio, la tragedia, l’elegia, la storia, la filosofia — come anche s e , The D ate and A u th o r o f thè Satyri- di il classico studio di R. H e in z e , Petron
la letteratura «di consumo»: romanzi sentimentali, novelle, mimi, declama­ con, Leiden 1971 (con am pia bibliogra­ und der griechische R om an, ora in Vom
zioni, e sensazionali racconti di streghe, magia e lupi mannari. Possiamo fia). F ra gli studi critico -letterari, Geist des R óm ertum s, D arm stadt 1967,
studiarlo come un sagace ritrattista di costume, e anche come l’autore di consigliabili soprattutto V . C ia f f i , Strut­ p. 417 segg. (l’articolo uscì nel 1899). Sul
tura del Satyricon, Torino 1955; J. P. ruolo del narratore vedi P . V e y n e , Le
una sorta di enciclopedia letteraria della Roma imperiale 2.
S u l l iv a n , Il «Satyricon» di Petronio, «je» dans le Satyricon, in «Revue des Étu-
trad. it. Firenze 1975; M. B a r c h ie s i , L ’o­ des Latines», 42, 1964, p. 301 segg.
rologio d i Trimalcione, in I m oderni alla I Prìapea sono editi criticamente da
ricerca di Enea, Rom a 1980. I. C a z z a n ig a , in Carmina ludicra Roma-
Inquadramenti generali sul romanzo: norum , Torino 1959. Lo studio filologi­
I Prìapea Β. E . P e r r y , The A ncient Romances, co più im portante è V . B u c h h e it , Stu-
Berkeley 1967; P . G. W a l s h , The R o ­ dien zum Corpus Priapeorum, Miinchen
man Novel, Cambridge 1970; T. H à g g , 1962.
Priapo nella A Petronio si possono accostare, per una certa affinità tematica, le poe­
cultura romana sie del libro dei Prìapea. Si tratta di una raccolta che ci è giunta anonima,
circa ottanta componimenti di lunghezza e metro variabili; la datazione non
è sicura, ma si ritiene assai verosimile la seconda metà del I secolo d.C.
I componimenti sono saldamente collegati fra loro: li unifica la figura
del dio Priapo, che protegge giardini e orti con la sua smodata sessualità.
È un dio connesso alla fecondità, ma nella cultura romana non è mai tratta­
to con serioso rispetto; nel folklore e nella letteratura è associato a scherzi
salaci e motti osceni. Il genere «priapeo» è dunque un tipo particolare di
epigramma, di tono scherzoso e tematica per lo più esplicitamente sessuale.
II genere fu praticato sporadicamente da letterati illustri: da Marziale, da
un autore dell’Appendix Vergiliana (cfr. p. 362), e sembra anche da Catullo,
un poeta molto attento al folklore. Qui abbiamo invece un’opera unitaria,
molto probabilmente dovuta a un singolo autore specializzato.
' La ricerca della Data la relativa monotonia del tema, la bravura dell’autore (i Prìapea
varietà nei sono un’opera di notevole livello tecnico) sta nel produrre effetti di varietà,
Prìapea alternando diversi metri e piegando la materia priapica a diversi punti di
vista. Abbiamo così carmi di dedica, ritratti satirici, maledizioni, enigmi;
ma tutto è ricondotto alla limitata prospettiva di questa rustica divinità.
Nella raccolta spicca una goliardica, ma abbastanza divertente rilettura del-
VOdissea in chiave pornografica (carme 68), che fa pensare (ma con quale
differenza di classe e di misura!) a certi spunti parodici del Satyricon.

Bibliografia Importanti soprattutto le due edizioni M ancano commenti m oderni a tu tta


critiche di F. B u e c h e l e r , Berlin 19226, l’opera; abbiamo invece numerose edizio­
e di K o n r a d M ù lle r (con versione tede­ ni com m entate della sola Cena (con una
sca di W . E h l e r s ), Miinchen 19833; inol­ sproporzione senz’altro eccessiva): per
tre, edizione con versione francese di A. esempio quelle di L. F r ie d l a e n d e r , Leip­
E r n o u t , Paris 19584. Pregevole l’edizio­ zig 19062; A. M a iu r i , Napoli 1945 (di in­
ne, senza apparato m a con versione ita­ teresse prevalentemente antiquario); P .
liana e am pia introduzione, di V. C ia f f i , P e r r o c h a t , Paris 19633; Μ. S. S m it h ,
Torino 1967. Oxford 1975 (prevalentemente linguistici).

2 Q uesta irriverente sum m a enciclopedica non è fuori posto in u n ’epoca che si apre con
le M etam orfosi di Ovidio e che avrà — sul versante costruttivo e istituzionale — il suo Plinio
il Vecchio e il suo Q uintiliano.
PERSIO 391

anche alle mutate modalità della sua produzione e destinazione: prima che
LA SATIRA alla lettura individuale, la satira di Persio e Giovenale è destinata all’esecu­
zione orale, alla recitazione in pubblico, e punta naturalmente a far colpo
SOTTO IL PRINCIPATO: sull’uditorio: il ricorso ai procedimenti più appariscenti della retorica è di­
rettamente funzionale a tale scopo.
PERSIO E GIOVENALE
1. Persio

Vita e Aulo Persio Fiacco (ci informa sulla sua biografia una vita che si fa risalire
testimonianze al grammatico Valerio Probo, del I secolo d.C., primo commentatore del poeta)
nacque a Volterra, in Etruria (dell’origine etrusca rimane traccia nel suo prenome,
Aules, forma di compromesso tra l’etrusco Aule e il latino Aulus), da ricca fami­
glia equestre, nel 34 d.C. A sei anni rimase orfano di padre. Sui dodici-tredici
anni venne inviato a Roma a educarsi presso le migliori scuole di grammatica
La satira di Anche se la rispettiva produzione poetica è separata da circa mezzo se­
e retorica, ma il maestro che segnò un’impronta decisiva nella sua vita fu un
Persio e colo (l’uno scrive sotto Nerone, l’altro nell’arco di tempo da Nerva a Adria­ filosofo, lo stoico Anneo Cornuto, il quale lo mise in contatto con gli ambienti
Giovenale: il no), Persio e Giovenale mostrano importanti tratti comuni. Tutti e due di­ dell’opposizione senatoria al regime (fra gli altri, oltre a Cesio Basso e Lucano,
mutamento del
chiarano di ricollegarsi alla poesia satirica di Lucilio e di Orazio, e si collo­ dei quali divenne amico, c’erano Seneca e Trasea Peto, al quale il giovane volter­
destinatario
cano quindi nella loro tradizione; ma, al di là delle intenzioni programmatiche, rano era legato da vincoli non solo di ammirazione ma anche di parentela. Trasea
questo genere letterario conosce con essi una trasformazione piuttosto mar­ Peto, che cadde vittima di Nerone nel 66, è l’autore di una vita di Catone Uticen-
cata. Le innovazioni sono vistose sia nella forma che ora assume il discorso se che fu molto famosa nell’antichità e che servirà di modello alla vita di Catone
satirico sia per. quel che riguarda la destinazione sociale delle opere. Le satire scritta da Plutarco). La «conversione» alla filosofia lo portò a condurre una vita
di Lucilio e Orazio, ad esempio, assumevano come verosimile riferimento austera e appartata, nel culto degli studi e degli affetti familiari: una vita assai
breve, perché Persio morì, non ancora ventottenne, nel 62.
la cerchia degli amici, mentre quelle di Persio e Giovenale, pur se formal­
mente rivolte a un destinatario singolo, sono in realtà dirette a un pubblico Della sua non copiosa produzione (scriptitavit et raro et tarde ci dice il bio­
Opere
Il distacco del generico di lettori-ascoltatori, di fronte ai quali il poeta si atteggia a censore grafo) Persio non pubblicò nulla in vita: si prese cura dell’edizione delle sue ope­
poeta del vizio e dei costumi. La forma del discorso non è più quella della conver­ re l’amico Cesio Basso, dopo averle sottoposte alla revisione di Cornuto (al quale
dall’ascoltatore sazione «costruttiva» che, mentre guarda ai difetti umani, si dispone a sorri­ Persio morendo aveva anche lasciato la sua ricchissima biblioteca). Questi scon­
dere e a far sorridere: nasceva di qui, nella satira oraziana in particolare, sigliò la pubblicazione delle prime prove poetiche (una tragedia praetexta dal
una sorta di complicità fra autore e ascoltatore, che era il segno di una titolo incerto, un libro di viaggi, un elogio dell’eroica Arria Maggiore, suocera di
comunanza di linguaggio abilmente conquistata, di una comunicazione feli­ Trasea Peto), autorizzando invece, dopo lievi ritocchi sulla parte finale dell’opera,
cemente riuscita: l’autore poteva figurare egli stesso, nel testo, come destina­ quella del libro delle Satire, che fu accolto da immediato successo.
tario implicito del proprio discorso, e viceversa l’ascoltatore, fatto compa­
Riassunto delle D opo un com ponim ento-prologo (che, secondo altri, sarebbe invece un epilogo, per­
gno del poeta e associato da lui nell’orizzonte del discorso satirico, quasi satire ché alcuni m anoscritti lo trasm ettono alla fine della raccolta) di 14 coliambi (cioè
diventava attivamente compartecipe nell’elaborazione di un modello di vita. trim etri giambici scazonti, il verso dell’invettiva) che polemizza aspram ente contro
Ma ora che all’ascoltatore è negata ogni vicinanza e ogni possibile identifica­ le mode letterarie del tem po, seguono sei com ponimenti satirici in esametri dattilici
zione, la parola del poeta satirico si pone su di un piano diverso di co­ (complessivamente 669 versi), il m etro ormai tradizionale di questo genere letterario.
L a satira I illustra i vezzi deplorevoli della poesia contem poranea (parim enti incline
L’invettiva municazione: distaccato e più in alto. La forma dell’invettiva (la denuncia alle affettate futilità neoteriche e alle vuote pom posità epico-tragiche) e la degenera­
impietosa che abbassa e distrugge) prende il posto del modo confidenziale zione morale che le si accom pagna (esibizionismo senza pudori, vanità e smania
e garbato, del sorriso autoironico, dell’indulgente comprensione per le co­ di successo), cui il poeta oppone lo sdegno e la protesta dei suoi versi, rivolti agli
muni debolezze umane che caratterizzava la satira oraziana. Il poeta, mentre uomini liberi. La II attacca la religiosità form ale e ipocrita di chi non conosce onestà
di sentimenti e chiede agli dèi solo la soddisfazione della propria bram a di denaro;
si erge a correggere gli uomini, fa sue quelle forme di moralismo arcigno
la III è indirizzata a un «giovin signore» che conduce vita ignava e dissipata, per
(il rigorismo cinico-stoico) che proprio la satira oraziana aveva rifiutato, esortarlo a intraprendere il cammino della liberazione morale seguendo i precetti
Satira e anzi irriso, come uno degli eccessi da cui guardarsi. Accanto a questo muta­ della filosofia stoica. La IV illustra la necessità di praticare la norm a del nosce te
recitazione mento di posizione e di ruolo del poeta satirico, si notano nella poesia di ipsum per chi abbia ambizioni di carriera politica, e voglia quindi im partire direttive
Persio e Giovenale i segni vistosi di un nuovo gusto letterario; sono le spinte etiche agli altri; la V, rivolta al m aestro C ornuto, svolge il tem a della libertà secondo
la dottrina stoica, contrapponendo ai vizi um ani più diffusi la libertà del saggio
anticlassiche di quel «manierismo» che nasce in reazione al classicismo del­ che si affranca dalle passioni e si fa guidare dalla propria coscienza. L a VI satira,
l’età augustea e fiorisce nel I secolo d.C. e oltre. Ma al di là di altri fattori, infine:, rivolta in form a epistolare all’amico Cesio Basso, deplora il vizio dell’avarizia
la trasformazione dei caratteri formali della satira post-oraziana si deve additando invece come modello il saggio stoico che usa con moderazione i propri beni.
392 LA SATIRA SOTTO IL PRINCIPATO PERSIO 393

Satira e stoicismo La dimensione le indicazioni sul recte vivere, sulle norme cui informare l’esistenza. I precet­
«privata» dello ti esposti (ogni satira è incentrata su un tema etico specifico) sono riconduci­
Tensione morale L’adesione al genere satirico, per il giovane poeta animato dalla forte stoicismo di bili alla dottrina stoica e alla sua teoria della virtù: il saggio inquadra la
stoica e genere tensione morale alimentata dallo stoicismo, era una scelta quasi obbligata Persio sua condotta di vita in un ordine cosmico garantito dalla divinità, trovando
satirico (un segnale in tal senso potrebbe essere costituito dal verso iniziale della in esso il fine ultimo cui la legge naturale lo ha destinato. Lo stoicismo
prima satira, che si crede tratto da Lucilio). Il suo spirito polemico, e l’entu­ di Persio non assume apertamente i caratteri dell’impegno politico; inclina
siastica aspirazione alla verità, trovavano nella satira lo strumento più ido­ piuttosto verso un raccoglimento interiore che è la condizione per praticare
neo ad esprimere il sarcasmo e l’invettiva, nonché l’esortazione morale. Per­ il culto della virtù e che mostra analogie con l’esistenza appartata, la tran­
sio torna più volte, soprattutto nei componimenti di più evidente carattere quilla atarassia degli epicurei.
programmatico, sulle ragioni delle proprie scelte letterarie: la sua poesia —
conformemente alla concezione moralistico-pedagogica che della letteratura
aveva la dottrina stoica — è anzitutto ispirata da un’esigenza etica, dalla Dalla satira all’esame di coscienza
necessità di smascherare e combattere la corruzione e il vizio, e si contrappo­
Moralismo e ne perciò polemicamente alle mode letterarie del tempo. Agli occhi del mo­ Persio e i suoi Ma, soprattutto, allo storico della letteratura il libro delle Satire persia­
polemica ralista Persio la poesia contemporanea è viziata da una degenerazione del classici ne offre l’occasione (rara) di una verifica importante. Bisogna però che pri­
letteraria gusto che è anche segno di indegnità morale: egli non esita perciò a rivendi­ ma si abbandoni il pregiudizio estetico che vorrebbe mortificare le ragioni
care polemicamente la qualifica di rusticitas (questo parrebbe il senso, molto letterarie di quest’opera riducendola quasi solo a un esuberante esercizio
discusso, del termine semipaganus, con cui Persio si definisce nei coliambi di moralismo filosofico; bisogna riconoscere in essa, sotto la specie dei forti
iniziali), a contrapporsi cioè alla fatua ricercatezza, agli insulsi soggetti mi­ echi intertestuali che la animano, la presenza reale di modelli e autori esem­
tologici della poesia alla moda e ad assumersi orgogliosamente il compito plari, voci diverse e lontane della tradizione letteraria romana chiamate a
di aggredire violentemente le coscienze per tentare di redimerle. Un’esigenza dialogare e a contrastare fra loro. E allora le Satire potranno apparire come
prettamente realistica è quindi alla base della sua attività letteraria e filosofi­ un ricco bacino di affluenza, come una cassa di risonanze armoniche dove
ca insieme, che si configura come una drastica operazione di chirurgia mora­ ancora sono riconoscibili note che erano state dominanti nei programmi poetici
le: radere, defigere, revellere, i singoli atti di questa severa pratica terapeuti­ augustei. Prima presenza, costante e unanime, è quella del sermo oraziano,
ca, ricorrono qua e là a indicare il procedimento di demistificazione della una forma discorsiva che aveva saputo adattarsi sia all’intenzione satirica
realtà, quello «scrostamento» delle apparenze ingannevoli che è necessario che alla pensosità epistolare.
per una radicale rigenerazione delle coscienze. Ma ad uno studio approfondito dell’opera risultano coinvolte questioni
Il lessico Nella descrizione delle molteplici forme in cui il vizio e la corruzione di portata più generale. Anche per suggestione lucreziana, erano state im­
«corporale» si manifestano, Persio ricorre con frequenza a un particolare campo lessica­ portanti nella letteratura degli augustei ambizioni genericamente educative,
le, quello del corpo e del sesso, sfruttandone il ricco patrimonio metafori­ istanze pragmatiche e allocutorie (se proprio non vogliamo dire «didascali­
co. L’immagine ossessiva del ventre diventa il centro attorno a cui ruota che», termine impegnativo che definisce una precisa tradizione): vale a dire
l’esistenza dell’uomo, e l’emblema stesso della sua abiezione (l’assimilazio­ che, pur al di fuori delle forme proprie del genere didascalico, il poeta cerca­
ne fra vizio morale e malattia fisica era un presupposto comune della filo­ va un contatto intenso con il destinatario, lo provocava e lo coinvolgeva,
sofia stoica e della sua terapia delle passioni). Proprio in quest’ambito, gli suggeriva scelte e valori. Persio raccoglie questo «modello lucreziano»
anzi, Persio ci dà alcuni dei suoi quadri più celebri, dove meglio risalta e lo sviluppa nel suo rovescio, di Lucrezio anzi fa praticamente un antimo­
quel gusto della deformazione macabra del reale che è tipico dello sguardo dello. E così quello che era una traccia «epicurea», un’idea di rapporto di­
allucinato del moralista: come il poeta calvo e dal ventre disfatto della dattico su cui fondare la letteratura, trova nelle Satire di Persio la sua punti­
prima satira (56 seg.), o il giovane riccone della terza satira, abbrutito gliosa liquidazione.
dal sonno e dai bagordi (3 seg., 32 segg., 58 seg.), o il gaudente depravato La tradizione del Era stato Orazio che, soprattutto con le Epistole, aveva mediato alla
disteso al sole (4,33-41), o ancora — soprattutto — il quadro intensamente discorso classicità augustea istanze e atteggiamenti lucreziani (cfr. p. 269). La scrittu­
espressionistico del crapulone morente al bagno fra i miasmi esalati dal educativo da ra letteraria aveva allora assunto la sostanza di un discorso protrettico, di
suo corpo (3,98 segg.). Lucrezio a Orazio un’esortazione alla sapienza continuamente ripetuta. Quei testi avevano scel­
La fenomenologia Nella denuncia del vizio, e nell’aspra descrizione delle sue manifestazio­ to di cercare e di invocare, con insistenza, la cooperazione del lettore-alunno:
del vizio ni, Persio si riallaccia alla tradizione della satira e della diàtriba (ciò spiega in essi, al destinatario immaginato dal poeta era assegnata la parte di un
la sua tendenza a delineare tipi fissi, e l’impressione di scolasticità che se amico che il poeta-maestro si sforzava di accompagnare alla propria verità,
ne ricava), ma ne accentua i toni forzandoli verso un barocchismo macabro verso quell’alto e sereno giardino dei saggi (1’angulus nelle Epistole, i tempia
che toccherà il suo culmine in Giovenale. La fenomenologia del vizio diven­ edita sapientum nel De rerum natura di Lucrezio) dal quale contemplare
ta cioè l’aspetto nettamente prevalente nella satira di Persio, relegando in senza acrimonia la circostante desolazione dei non-filosofi. Sotto questo ri­
uno spazio marginale la fase «positiva» del processo di liberazione morale: spetto, la satira oraziana — cui Persio è per tanti versi debitore — propone­
rispetto alla descrizione degli aspetti negativi della realtà, sono poche cioè va varianti alternative. Un suo tratto caratterizzante, infatti, è nel rapporto
394 LA SATIRA SOTTO IL PRINCIPATO PERSIO 395

paritetico fra il poeta e il destinatario: Orazio non si atteggia a maestro che apparentemente si giustappongono senza intima connessione, procedi­
che insegna, ma percorre, insieme all’amico cui si rivolge, un cammino co­ mento di matrice diatribica che qualcuno ha accostato al surrealismo). L’esi­
mune verso l’obiettivo proposto: è un gesto sociativo, un procedimento maieu- genza realistica che, abbiamo già detto, anima i suoi versi (e che è connatu­
tico, di lenta conquista, in cui comprensione e indulgenza reciproca stanno rata al genere satirico) è all’origine della scelta di un linguaggio ordinario,
a fondamento del rapporto. comune (verba togae, 5,14), e del rifiuto delle sue incrostazioni retoriche
La satira di Questo il modello depositato nella tradizione. Il lìber poetico di Persio (tectae pictoria linguae, 5,25) che si fanno strumento della mistificazione
Persio: riflessione vale come riflessione su di esso e insieme come apostasia da esso. Trasfor­ generalizzata. Un linguaggio scabro, polemicamente alieno dalle sofisticazio­
e apostasia dal mando radicalmente quella che era la figura cordiale dell’autore-filosofo pro­ ni di levigati esotismi o arcaismi alla moda (e aperto invece alla brusca effi­
modello cacia del volgarismo), sarà la maniera migliore per esprimere i sentimenti
teso amichevolmente verso il lettore, le Satire persiane descrivono l'iter pre­
«socratico» della
dicatorio di un maestro perennemente inascoltato, un maestro destinato a La iunctura acris autentici, la realtà naturale delle cose. A tale scopo, perché lo stile si faccia
satira
non incontrare soddisfazione e obbedienza. Anche se, da un testo all’altro, specchio fedele del reale, e non ne tradisca la sgradevole deformità, Persio
qualche fondale scenico viene sostituito, permangono i tipi funzionali in op­ (laddove Orazio aveva raccomandato la scelta accurata della callida iunctu­
posizione: Tautore-docente, la massa degli stulti (che però lo deridono), il ra) ricorre abitualmente alla tecnica della iunctura acris, del nesso urtante
giovane destinatario (che però non accetta di farsi discepolo). Destituito a per la sua asprezza (lapidosa cheragra·, noctem... pur gas·, avias... revello·,
priori di ogni efficacia apostolica, il discorso didascalico in Persio non si murmura... secum et rabiosa silentia rodunt), sia dal punto di vista foni­
concede prospettive di successo, si nega statutariamente la possibilità di una co che soprattutto semantico (come nei frequenti ossimòri che comunicano
risposta positiva del destinatario, e finisce per deprimersi in quell’irosa mo­ una verità imprevista, segreta, con effetto straniante analogo a quello ot­
notonia che non manca di impressionare sfavorevolmente i lettori moderni. tenuto mediante 1’aprosdóketon, che sorprende il lettore frustrandone le at­
Il sermo oraziano, pacato nella sua bonomia, viene sostituito da un atteggia­ tese).
mento consapevolmente aspro e aggressivo, necessario per superare l’indiffe­ La «deformazione» La lingua quindi è quella quotidiana, ma lo stile si incarica di «defor­
renza dei miseri in preda al vizio: un atteggiamento che non si fa scrupolo della lingua marla», di forzarla ad esprimere una verità non banale, a illuminare aspetti
di ostentare quella rudezza «agreste» da cui l’urbana cordialità di Orazio quotidiana nuovi della realtà, a istituire relazioni insospettate fra le cose (con esiti, tal­
era sempre rifuggita. volta, davvero criptici: ad esempio puteal... flagellas, 4,49; salivam Mercu-
Un nuovo spazio Ma proprio di qui — dalla perdita di un destinatario che sia «docile» rialem, 5,112). Nella stessa direzione muove un altro tipico procedimento
di comunicazione agli insegnamenti — viene all’opera, o meglio alla forma discorsiva dell’ope­ di Persio, cioè l’uso audacissimo della metafora, teso a esplorare rapporti
«satirica»: il ra, un vantaggio. Indebolito il contatto con l’altro polo della comunicazione nuovi fra le cose, e capace di effetti di straordinaria densità e potenza espres­
monologo della siva (pallentis radere mores; de gente hircosa centurionum).
(quello di chi dovrebbe ricevere il messaggio), si guadagna spazio per una
confessione
letteratura dell’interiorità, per il monologo confessionale; e anche questo L’estetica Ora, è evidente che fra l’esigenza di naturalezza della lingua e la ricerca
è, in parte, un distillato oraziano. Nell’insegnamento «inutile» svolto dalle dell’oscurità di audaci innovazioni espressive tenda ad aprirsi uno iato, che l’asserita vo­
Satire si intravvede allora lo schema di un itinerario personale verso la filo­ lontà di chiarezza finisca per essere contraddetta dall’oscurità delFartificio
sofia. Quella dell’esame di coscienza è la cifra culturale — presenecana — stilistico, cioè dall’implicito callimachismo che lo stesso Persio ha ereditato
che sigla tutto il libro. Così colui che nel testo usa la voce e la funzione dal suo auctor Orazio e scrupolosamente professa (restringendo così fatal­
di un maestro mostrerà, se osservato attentamente, i tratti di un giovane mente la cerchia dei suoi destinatari a quel pubblico letterariamente raffina­
ancora non puro che, nei varii discepoli recalcitranti, scorge il proprio male to che è in grado di decifrarne i· segreti). Ciò nonostante, la proverbiale
da sanare. Fino a raggiungere, solitariamente, gli ispiratori stoici nei Campi difficoltà dello stile di Persio non è, come si è creduto a lungo, il vezzo
Elisi della sua filosofia: una destinazione metaforica che, in significativa gratuito di un poeta scolasticamente lambiccato, o la forma espressiva —
coincidenza, ripete i connotati dell'angulus da cui aveva parlato Orazio poe­ aspra e urtante — del rigorismo stoico cui le sue satire si ispirano, ma deriva
ta delle Epistole (6,12-15): hic ego securus vulgi et quid praeparet Auster dal suo voler essere funzionale alle istanze estetiche — e soprattutto etiche
/ infelixpecori, securus et angulus ille / vicini nostro quia pinguior... («qui — della sua poesia: il rischio dell’oscurità è il prezzo da pagare a un’arte
io, incurante del volgo e di quel che minacci l’Austro, funesto alle greggi, capace di bagliori accecanti.
e senza preoccuparmi che il pezzetto di terra del vicino sia più fertile del
mio...»).
La fortuna

L ’asprezza dello stile Fortuna di Persio All’immediato successo che le Satire riscossero al loro apparire (e al
commento che ben presto ne avrebbe fatto il grammatico Valerio Probo),
Il me?zo della A questa intenzione di aggredire salutarmente il lettore, di scuoterlo e si è già accennato; anche Quintiliano e Marziale attestano la fama consegui­
predicazione: mostrargli la cruda realtà delle cose, va ricondotta principalmente anche la ta da Persio col suo unico libretto. Fama che cresce e si diffonde soprattutto
oscurità e peculiarità dello stile di Persio, la sua ben nota oscurità (cui concorre anche fra gli apologisti e i Padri della Chiesa (Tertulliano, Lattanzio, Girolamo,
linguaggio scabro
la tendenza a dissimulare lo sviluppo del pensiero sotto una serie di quadri Agostino), ma anche fra i poeti e i grammatici della tarda antichità (quando
396 LA SATIRA SOTTO IL PRINCIPATO GIOVENALE 397

fiorisce attorno a quel testo così oscuro un’intensa attività di glossatori e i letterati del tem po, rimpiangendo per converso il mecenatismo che ha alim entato
scoliasti) e resta alta per tutto il Medioevo (come testimonia la ricca tradizio­ la letteratura augustea. L ’VIII oppone alla falsa nobiltà della nascita quella vera
ne manoscritta), che ovviamente apprezza in Persio il moralista intransigen­ derivante dall’ingegno e dai sentimenti. La IX riferisce, in form a di dialogo, le prote­
ste di Nèvolo, un omosessuale mal ricom pensato per le sue onerose prestazioni. La
te. I dissensi, prima isolati, e le accuse di scolastica aridità e oscurità impe­ X è incentrata sulla insensatezza delle tante brame umane. Nella XI il poeta contrap­
netrabile, diventano più frequenti con l’età rinascimentale, e fanno progres­ pone al lusso ostentato dei banchetti dei ricchi la cena m odesta che egli offre a
sivamente declinare la fortuna del poeta (ma si ricordi la traduzione che un amico. La X II attacca i cacciatori di eredità, la X III gli imbroglioni e i frodatori,
ne fece Vincenzo Monti) fino al suo punto più basso. Solo negli ultimi tem­ di uno dei quali è rim asto vittim a l’amico Calvino. Nella XIV si discute dell’educa­
zione dei figli e della necessità di accompagnare i precetti con l’esempio. La XV
pi; anche su suggestione di esperienze artistiche moderne, ci si sta avviando descrive un episodio di cannibalismo avvenuto in Egitto (che il poeta dice di conosce­
a una valutazione più equilibrata e a una comprensione più approfondita re, v. 45) e provocato da fanatism o religioso. L ’ultim a satira, incom pleta, elenca
della sua poesia singolare. i privilegi offerti dalla vita militare.

La satira «indignata»

2. Giovenale La poetica La letteratura del tempo, col suo fatuo dilettarsi di trite leggende mito­
deW’indignatio logiche, è ridicolmente lontana — agli occhi di Giovenale — dal clima mora­
le corrotto, dalla profonda abiezione in cui versa la società romana tra il
Vita e Poche e incerte le notizie sulla vita di Giovenale, ricavabili dai rari cenni
finire del I secolo e i primi decenni del secondo, gli anni che ad altri sembra­
testimonianze autobiografici presenti nelle sue satire e da alcuni epigrammi dedicatigli daH’ami-
vano forieri di una nuova «felicità dei tempi» dopo la fosca stagione domi-
co Marziale (poco attendibili sono le numerose vitae che di lui ci restano, la più
antica delle quali risalente al quarto secolo). Decimo Giunio Giovenale sarebbe
zianea. Di fronte all’inarrestabile dilagare del vizio (quando uberior vitio-
nato ad Aquino, nel Lazio meridionale, tra il 50 e il 60 d.C. (ma secondo altri rum copia?, 1, 87) sarà l’indignazione la musa del poeta (si natura negai,
studiosi l’anno di nascita sarebbe il 67), da famiglia benestante, giacché ebbe facit indignatio versum, 1, 79), e la satira il genere obbligato, il tipo di
una buona educazione retorica (mentre scarso interesse nutrì per la filosofia). poesia più adatto a esprimere la furia del suo disgusto. Così, nella prima
Sembra che abbia esercitato l’avvocatura, ma senza ricavarne i guadagni sperati, satira, Giovenale enuncia le ragioni della sua poetica e la centralità che in
e si sia dedicato alle declamazioni allora di moda; all’attività poetica arrivò proba­ essa occupa Yindignatio, segnando con ciò uno scarto sensibile rispetto alla
bilmente in età matura, dopo la morte di Domiziano (96), e seguitò a comporre tradizione satirica latina. Al contrario di O razio, e diversamente in questo
fin sotto l’impero di Adriano. Visse, come il più anziano amico Marziale, all’ombra anche da Persio, che — pur affascinato dalla rappresentazione del vizio —
dei potenti, nella disagiata condizione di cliente, privo di autonomia economica. non rinunciava a proporre una terapia (fondandola su un’arcigna precettisti­
Nulla sappiamo della sua morte, certamente posteriore al 127 d.C., ultimo riferi­ ca filosofica), Giovenale non crede che la sua poesia possa influire sul com­
mento cronologico ricavabile dai suoi versi. Scarsamente attendibile è la tradizio­
portamento degli uomini, giudicati prede irrimediabili della corruzione: la
ne antica che parla di un suo allontanamento da Roma, in Egitto, dove sarebbe
sua satira si limiterà a denunciare, a gridare la sua protesta astiosa, senza
stato inviato ottantenne, col pretesto di un incarico militare, a causa di certi versi
offensivi nei riguardi di un favorito dell’imperatore. coltivare illusioni di riscatto.
Il rifiuto del Giovenale rifiuta cioè di uniformarsi alla tradizione satirica precedente,
pensiero razionalistica e riflessiva, ma il suo rifiuto è più generale, investe le forme
Opere La sua produzione poetica è costituita da 16 satire, in esametri, suddivise moralistico stesse del ragionamento e del giudizio morale, le categorie e gli schemi del
in cinque libri (I: 1-5; II: 6; III: 7-9; IV: 10-12; V: 13-16: in totale 3869 versi) forse romano
pensiero moralistico romano. Questo, com’è noto, si costituisce grazie a un’o­
dall’autore stesso; un frammento di 36 versi, ritenuto per lo più autentico e appar­
tenente alla sesta satira, fu scoperto nel 1899. I rari indizi cronologici oscillano
perazione di adattamento alla società romana del grande patrimonio di to-
fra il 100 e il 127 d.C., e in questo lasso di tempo deve collocarsi la pubblicazio­ poi della diatriba cinico-stoica, e informa nelle maniere più varie la riflessio­
ne, o almeno la composizione, delle satire. ne sui problemi di etica personale e di morale sociale, fornendone gli schemi
di impostazione e i tipi di soluzione. Sono appunto le risposte della morale
Riassunto delle Nella I, di carattere proemiale e program m atico, Giovenale polemizza contro le de­ diatribica che Giovenale rifiuta, di quella morale che insegna a restare indif­
satire clamazioni alla m oda e la loro fatuità, dichiarando il suo disgusto per la corruzione ferenti di fronte al mondo delle cose concrete, esteriori, a guardarle con
morale dilagante che lo spinge a farsi poeta satirico (diffìcile est saturam non scribe-
ironia e distacco, e a coltivare invece i beni interiori, a perseguire Vapàtheia
re, v. 30): solo, per cautelarsi contro odi e vendette, attaccherà non la generazione
presente m a quelle passate. La II aggredisce l ’ipocrisia di chi nasconde il vizio più e Vautàrkeia del saggio, le mete di una superiore nobiltà dello spirito. Giove­
turpe sotto le apparenze della virtù: bersaglio del poeta è soprattutto l’omosessualità. nale rigetta e demistifica questa morale consolatoria con lo sdegno dell’uo­
L a III descrive il vecchio amico Umbricio che abbandona Rom a, la caotica m etropo­ mo offeso dal vedere il vizio e la colpa premiati e col rancore dell’emargina­
li dove la vita è diventata malsicura per gli onesti. Nella IV si narra del consiglio to, di chi si vede escluso dai benefici che la società elargisce ai corrotti e
riunito da Domiziano per deliberare su una questione davvero grave: come cucinare costretto all’umiliante condizione del cliente.
il gigantesco rom bo offerto in dono all’im peratore. La V descrive la cena offerta
dal ricco Virrone e l’umiliante condizione dei clienti convitati. La VI, la più lunga, L’invettiva L ’astio sociale, il sordo risentimento per la mancata integrazione, è una
è la celeberrima feroce requisitoria contro l’im m oralità e i vizi delle donne. La VII dell'emarginato componente importante della satira «indignata» di Giovenale, di questo rap­
deplora la generale decadenza degli studi e la misera condizione cui sono costretti presentante del ceto medio italico che nella vita quotidiana della cosmopoli­
398 LA SATIRA SOTTO IL PRINCIPATO GIOVENALE 399

ta capitale dell’impero vede continuamente mortificati i valori morali e poli­ Lo stile satirico sublime
tici della tradizione nazionale e repubblicana. Privo di una coscienza etico­
politica capace di interpretare il tumultuoso sviluppo, la varietà e la mobilità Indignatici e Mentre, nella tradizione precedente, proprio l’avere come oggetto la realtà
del panorama sociale, Giovenale guarda a questo confuso spettacolo — che altezza di tono quotidiana aveva fatto sì che la satira adottasse un livello stilistico umile,
lo relega ai margini della scena — come a una tragedia di maschere grotte­ un tono familiare e senza pretese (il sermo, appunto), adesso che questa
sche, di fronte alla quale non gli resta che l’amara soddisfazione dell’invetti­ realtà ha assunto caratteri eccezionali, che il vizio l’ha popolata di monstra,
va. Al suo sguardo deformato di moralista, la società romana appare irrime­ anche la satira dovrà farvi corrispondere caratteri grandiosi. Non più quindi
diabilmente perversa, e stravolto il ruolo delle varie classi sociali, a comin­ stile dimesso, ma simile a quello dei generi letterari tradizionalmente opposti
ciare dalla nobiltà che ha indegnamente abdicato alle funzioni che. le alla satira, l’epica e soprattutto la tragedia. Di questi non avrà un tratto
competono (come quella di proteggere e promuovere la cultura, sul modello essenziale, la finzione (che Giovenale più volte polemicamente rifiuta), per­
del grande mecenatismo augusteo) e si abbrutisce nei bagordi e nella lussu­ ché la satira resterà realistica, ma avrà l’altezza di tono, quella grandiosità
La furia ria. La sua furia aggressiva non risparmia nessuno, accanendosi soprattutto di stile che sarà conforme alla violenza dell’indignatio.
aggressiva contro sulle figure più emblematiche della società e del costume della brulicante La satira Giovenale trasforma quindi profondamente il codice formale del genere
tutti metropoli, contro la volgare iattanza dei nuovi ricchi, lo strapotere dei liber­ «tragica» satirico, recidendo il legame tradizionale con la commedia (bandendo cioè
ti, l’astuta intraprendenza degli orientali, l’abiezione morale dei letterati esposti il ridiculum) e accostando la satira alla tragedia, sul terreno dei contenuti
La misoginia al rischio della fame. Bersaglio privilegiato sono le donne, le donne emanci­ (che sono monstra) e dello stile, analogamente «sublime». Un procedimento
pate e libere, che per il loro disinvolto muoversi nella vita sociale personifi­ consueto di Giovenale è il ricorso alle solenni movenze epico-tragiche pro­
cano agli occhi del poeta lo scempio stesso del pudore, e gli ispirano la prio in coincidenza con i contenuti più bassi e volgari, a far risaltare per
lunga satira sesta, uno dei più feroci documenti di misoginismo di tutti contrasto con l’altezza della forma espressiva l’abiezione della materia trat­
i tempi, dove campeggia la cupa grandezza di Messalina, la prostituta impe­ tata. Il suo realismo (che ci fornisce una ricca documentazione su usi e co­
riale. stumi della vita quotidiana del tempo) ha naturalmente una forte spinta de­
L’apparente Questa radicale avversione al suo tempo, e la rabbiosa protesta contro formante, che si esplica soprattutto nel tratteggiare figure e quadri di violen­
«democraticismo» le ingiustizie, contro l’oppressione e la miseria in cui versano gli umili e ta crudezza in cui trova sfogo la vena atrabiliare del moralista indignato.
i reietti, hanno fatto parlare di un atteggiamento «democratico» di Giovena­ Scuola retorica e La sua espressione, sempre pronta a esplodere nell’iperbole, e in cui
le, ma si tratta di una prospettiva illusoria: al di là di qualche occasionale autenticità si scontrano — con effetto volutamente urtante — toni aulici e plebei, paro­
espressione di solidarietà con gli indigenti e i marginali, il suo atteggiamento ideologica in le alte e oscene, è icastica e pregnante, densa e sentenziosa (molti versi di
verso il volgo, verso i rozzi e gli indotti, verso chiunque eserciti attività Giovenale
Giovenale sono diventati proverbiali). Nella sua enfasi declamatoria, in que­
manuali o commerciali, è di profondo irrevocabile disprezzo. L’orgoglio in­ sto tono sempre teso nella denuncia e nell’invettiva (e che raramente si rilas­
tellettuale, unitamente all’astio nazionalistico contro greci e orientali adula­ sa nella riflessione e nel sorriso), nonché nella fissità dei suoi bersagli pole­
tori e intriganti (che con la loro concorrenza danneggiano i clientes romani), mici e nella ripetitività dei topoi moralistici, si sono ravvisati gli influssi
gli consente al massimo di rivendicare per sé agiatezza e riconoscimenti so­ delle scuole di retorica e delle declamazioni, che Giovenale avrebbe lunga­
La sterile ciali, ma lo tiene lontano dal concepire velleità di solidarietà sociale. Piutto­ mente praticato, e questa accusa di «scolasticismo» grava da sempre sulla
idealizzazione del sto, la tendenza di quest’uomo urtato e respinto da una società che mortifica sua poesia. Ma gli studi degli ultimi decenni hanno indagato più a fondo
passato e vilipende i suoi valori è verso l’idealizzazione nostalgica del passato, di la poetica di Giovenale e mostrato come i suoi strumenti espressivi siano
un buon tempo antico governato da una sana inoralità agricola e polemica- funzionali alle ragioni ideologiche del «più tragico e grande poeta dei vizi
mente opposto al corrotto presente cittadino, una società non inquinata da umani».
orientali, liberti, commercianti. Questa fuga dal presente, questa utopia ar­
caizzante (motivo topico del pensiero moralistico romano) sembra il solo
esito cui Yindignatio giovenaliana può approdare, e costituisce l’implicita La fortuna
ammissione della sua frustrante impotenza.
L’ultimo Un marcato cambiamento di toni si avverte nella seconda parte dell’ope­ Una fortuna La fama di Giovenale, ignorato dagli scrittori del II e III secolo, fiorisce
Giovenale e ra di Giovenale, cioè negli ultimi due libri, in cui il poeta rinuncia espressa- «ritardata» nel IV (anche Ammiano Marcellino ne attesta l’ampia diffusione) soprattut­
il riaccostamento mente alla violenta ripulsa dell’indignatio e assume un atteggiamento più to fra poeti e grammatici (come Servio, il cui scolaro Niceo cura una recen­
alla diatriba distaccato, mirante eàl’apàtheia degli stoici, riavvicinandosi a quella tradi­ sione delle Satire), quando comincia a nascere quella messe di scolli, che
zione diatribica della satira da cui si era drasticamente allontanato. Lo sguardo sarebbe proseguita per tutto il Medioevo, a conferma della sua diffusione
si amplia perciò in un’osservazione più generale, indugia in una riflessione nelle scuole. Diffusione favorita ovviamente dal carattere spiccatamente mo­
più pacata, rassegnata di fronte all’insanabile corruzione del mondo; ma ralistico dei suoi versi e attestata anche dalla grande quantità di manoscritti
sulla facciata dell’impassibilità si aprono qua e là le crepe dell’antico furore, trasmessici (più di 100). Noto a Dante, a Petrarca e agli umanisti, Giovenale
riaffiora la rabbia di sempre: nemmeno il rimedio dell’indifferenza filosofica conoscerà grande fortuna soprattutto nella tradizione satirico-moralistica eu­
riesce a placare la coscienza ferita e frustrata. ropea, da Ariosto a Parini, da Alfieri a Hugo a Carducci.
400 LA SATIRA SOTTO IL PRINCIPATO

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s o l i , Tre p o eti latini espressionisti: Pro­ p e r zio , P ersio , G io ven a le, R o m a relativa, si tende comunque a studiarli come un gruppo a sé stante. Questo
perzio, Persio, Giovenale, Rom a 1982. 1982.
si deve a notevoli concordanze di gusto e di clima culturale — meno marcate
forse in Stazio, che dei tre è la figura più vivace e originale. La poesia
di questi tre autori assume come suo referente ormai classico l’opera di Vir­
gilio; VEneide, che per Lucano era stato un modello, ma anche uno stimolo
innovativo, diventa adesso una sorta di rifugio e di orizzonte chiuso. Altret­
tanto importante è per i letterati flavi l’influsso di Ovidio, che determina
soprattutto le costanti dello stile narrativo.

1. Stazio

Vita Publio Papinio Stazio nasce a Napoli fra il 40 e il 50 d.C., da un erudito maestro
di scuola. A Roma il giovane poeta ebbe notevoli successi nelle recitazioni pubbli­
che e nelle gare poetiche. Protetto da Domiziano, subì negli ultimi anni qualche
insuccesso: rientrato a Napoli, morì poco prima dell’imperatore, forse nel 96.

Opere Silvae, cinque libri di versi in vario metro, editi gradualmente a partire dal
92. Due i testi epici, in esametri: Thèbais, in dodici libri (oltre 10.000 versi), pub­
blicata nel 92; Achillèis, poema epico lasciato incompiuto: rimane solo il primo
libro e l’inizio del secondo (complessivamente poco più di 1100 esametri). Perdu­
to è un poema storico sulle gesta di Domiziano (De bello Germanico) e una pan­
tomima di successo (Agave).

Fonti Le Silvae consentono molte osservazioni preziose sull’ambiente di Stazio,


la sua biografia, e i suoi rapporti personali. Notevole anche la testimonianza di
Giovenale sulle recitazioni pubbliche della Tebaide e sulla produzione «commer­
ciale» di una sceneggiatura per pantomino (Giovenale 7, 82 segg.).
Della Tebaide si conservano scolli tardoantichi, che vanno sotto il nome di
Lattanzio Placido.

L e Silvae

Le Silvae come Da una trattazione che guardi insieme a tutti e tre i poemi epici di età fla-
opera via, esorbitano le Silvae di Stazio, opera non epica che ha suoi caratteri origi­
d’occasione nali e molto legati al gusto contemporaneo. Stazio è un letterato professionale,
che vive della sua opera (a differenza di Silio e del misterioso Valerio). Per
402 l ’e p i c a di età f l a v ia
STAZIO 403

il loro carattere occasionale, quindi vario e anche miscellaneo — il titolo e gesti, ma può farlo solo a patto di distanziarsene: le ekphróseis (cioè le
vuole indicare probabilmente una raccolta di «schizzi» (Quintiliano X 3,17), digressioni) di Stazio più che «descrizioni» sono «encomi», più che mostrare
quasi a dare un’aura di improvvisazione al tutto — queste poesie sono qualcosa al lettore vogliono lasciarlo contento e soddisfatto: le volute orna­
I committenti un preziosissimo documento sulla società dell’epoca. I «committenti» delle mentali coprono e nascondono la linea essenziale delle cose perché si realizzi
delle Silvae: uno varie poesie si rispecchiano in molte di esse, rivelandoci mentalità e atteggia­ nel testo un’efficace «retorica della dolcezza», una dolcezza che, partendo
spaccato di menti di un ceto colto e benestante, impegnato in una fitta vita di relazione dallo stile, arrivi a permeare le cose stesse. (Si annida qui il segreto della
società flavia e spesso occupato nel sistema del governo e della burocrazia imperiale. Emer­ straordinaria fortuna di Stazio presso i manieristi «cortigiani» tardo-antichi
gono bene i valori che guidano questo sistema sociale: da un lato il ripiega­ del tipo di Claudiano e Sidonio Apollinare, o già medioevali del tipo di
mento sulla vita privata (passione per le arti, consumi di lusso, estetismo Venanzio Fortunato alla corte merovingia, che ne trasmisero la lezione di
diffuso, affettività familiare), dall’altro l’ideologia del «pubblico servizio» stile pomposo-epidittico al mondo «cortese» medioevale).
inserito nelle strutture del potere imperiale. Stazio e il Ciononostante le Silvae contengono momenti fra i migliori di tutta la
Altrettanto importanti storicamente le poesie cortigiane direttamente ri­ virtuosismo della poesia lirica di età imperiale. Per il loro carattere di poesia colta, tradiziona­
volte a Domiziano, che ci illustrano lo sviluppo del culto imperiale, i cerimo­ parola le e riflessa, hanno spesso faticato a trovare estimatori: più ancora ha pesa­
Una poesia niali, le manifestazioni pubbliche. Una serie di carmi descrittivi testimoniano to, nella svalutazione, una certa ripugnanza suscitata dall’impronta cortigia­
«artificiale» per i gusti dell’epoca: gli artifici della poesia si adattano bene a mimare l’artifi­ na e conformistica di tutto l’insieme. Ma proprio di fronte a temi aridi,
una società ciosa architettura delle ville e dei giardini, dove la realtà naturale è abilmen­ o a situazioni di bassa adulazione, Stazio emerge come un dotatissimo arti­
«artificiale» te trasformata in spettacolo. I componimenti (in tutto 32) sono organizzati giano della parola. La sua capacità di «improvvisare», la sua celeritas nel
libro per libro in serie accuratamente costruite, con molteplici effetti di cor­ comporre, sbandierata più che vera, è il gesto retorico di una poetica dell’o­
rispondenze e variazioni; i metri spaziano dall’esametro ai versi lirici. La pera «minore» o «minima», che raccoglie l’originaria spinta proveniente dalla
struttura dei singoli carmi è governata da rigorosi schemi tradizionali (per tradizione epigrammatistica. La proclamata rapidità di composizione finge
esempio carmi nuziali, di compleanno, epistole poetiche), certamente nutriti di essere direttamente vicina alla vita vissuta (istruttiva la prefazione al pri­
di formazione retorica: questi schemi non escludono affatto una ricchezza mo libro) e vuole contrapporre programmaticamente le Silvae alla limatissi-
di variazioni originali, perché il virtuosismo del poeta sta appunto nell’adat- ma Tebaide (curata per più di un decennio), ma insieme denuncia l’auto­
tarli alla circostanza. Il poeta si mostra perfettamente inserito in una società compiacimento lusivo del letterato professionista che intervalla così l’impe­
gerarchica, entro una rete di autorevoli protettori che ha il suo centro immo­ gnativo labor epico.
bile nel simulacro divinizzato del principe. La tenera poesia «sentimentale» di Stazio, benpensante e conciliativa,
E così, in uno ieratico scenario imperiale, il poeta talvolta rivendica aspira a presentare di sé il ritratto fedele e autorizzato della buona società
a sé una solenne vocazione conciliatoria, quasi fosse preposto alla supervi­ imperiale. Ma il gusto e la poetica del sentimento che caratterizzano le Sil­
sione sistematica dei pubblici sentimenti. Spettatore di scene terrene e ultra- vae, rispondono — nel quadro di una cultura organica che il potere flavio
terrene, il poeta delle Silvae si atteggia a cantore orfico integrato nella co­ Il controllo della promuove — ad un’ampia politica di direzione e controllo della pubblica
munità: è questo il modello di poeta che più gli piace e che, con varie peri­ cultura: certamina emotività. L ’età neroniana aveva inaugurato la moda di pubbliche gare di
Una poesia frasi, richiama innumerevoli volte; si sente uno psicagogo che suscita emo­ poetici e poesia, certamina celebrativi legati a ricorrenze e festività: la moda ora si
sentimentale e zioni patetiche ma solo per placarle subito nella dolcezza di una contempla­ mecenatismo
è consolidata, ma serve piuttosto a un programma di restaurazione civile
preziosa zione composta e sospirosa. Giudicava bene Giovenale con una notazione imperiale
e morale, all’esaltazione dei valori e delle forme letterarie tradizionali (fa­
efficace: tanta dulcedine captos / adficit ille animos («tanto grande è la mosi soprattutto i Ludi Capitolini e i Ludi Albani, in cui erano previsti
dolcezza che egli infonde negli animi affascinati»). La poesia funge ora da concorsi di poesia e di prosa, sia in latino che in greco). Ciò produce una
ornamentazione, costruisce una ovattatura su cui sono deposti, come prezio­ sostanziale «teatralizzazione» della letteratura, trasforma la poesia in spetta­
si, gli oggetti e i gesti del quotidiano. La poesia diventa, così, in questa colo: le occasioni pubbliche e sociali istituite dal mecenatismo imperiale co­
estrema decadenza, l’altra faccia del lusso, giacché la futilità intellettuale struiscono, e insieme soddisfano, i bisogni del sentimento comune.
si è mutata in esprit précieux. Il carattere spettacolare che ispira gli agoni poetici destinati a compia­
Questa futilità «leggera» è però l’erede di una poesia grande e vigorosa cere le masse eterogenee di una metropoli enormemente accresciuta, si
(Virgilio, Orazio, Properzio, Catullo). Di quella tradizione, la poesia delle accorda bene con la straordinaria fortuna che forme di spettacolo come
Silvae eredita modi e giunture espressive, valori ed elaborazione morale, ma il mimo ora incontrano presso il pubblico romano (cfr. p. 339). Tra i
quel che vuole è sfruttarne lo splendore residuo con cui alonare il kitsch certamina celebrativi e il teatro del mimo c’è probabilmente una differenza
quotidiano (fra cui rientra l’imperatore e il suo culto). Abilmente, però, di livelli ma non di atteggiamenti culturali: la cultura ufficiale non solo
essa sfrutta anche taluni vizi di origine di quella grande letteratura (per esem­ si riconosce volentieri nella «retorica» dell’ornamento e della dolcezza,
pio l’ambiguo rapporto intrattenuto con il potere) e riesce perfino, senza ma anche legittima e favorisce il gusto per le emozioni seducenti, elementa­
Funzione problemi e dubbi, con semplicismo spensierato, a far trapassare i poeti «au­ ri. La satira di Giovenale, educatore sconfitto e, in questo, solitario maestro
ornamentale delle gustei» nel culto imperiale. La nuova funzione di questa poesia si può defi­ di opposizione, osserva con scandalo il nuovo «mecenatismo per tutti» che
digressioni nire estetizzante, nel senso che deve rendere belli e gradevoli oggetti, uomini l’autorità imperiale favorisce. Lo spettacolo del mimo, suscitatore di facili e
404 L’EPICA DI ETÀ FLAVIA STAZIO 405

sensuose commozioni (voluttuosamente appagate: cfr. Giovenale Sai. 6,63 Libro X I - I due fratelli rivali Eteocle e Polinice si danno la m orte a vicenda in
segg.: chironomon Ledam molli saltante Bathyllo / Tuccia vesicae non im­ singoiar tenzone. Suicidio di Giocasta, cacciata di Edipo da Tebe, ritirata dell’arm a­
ta argiva: A drasto è l’unico superstite dei Sette. Il nuovo re di Tebe è Creonte.
perai, Appula gannii / velut in amplexu subito et miserabile, longum / at­
tenda Thymele... «quando il molle Batillo danza la pantomima di Leda, Libro X II - Creonte vieta sepoltura ai cadaveri nemici. Il re di Atene, Tèseo, inter­
viene e ristabilisce giustizia e pietà. Uniti sul rogo funebre, Eteocle e Polinice sono
Tuccia non riesce a.dominare la sua libidine e Apula guaisce come nell’am­
ancora in lotta: due fiamme nemiche e divise ( XI I 429 segg.).
plesso, in modo improvviso e lamentoso; Timele guarda a lungo con atten­
zione»), si incontra con la «teatralizzazione» quotidiana del mito imperiale. In un insolito epilogo programmatico, Stazio dichiara di avere un mo­
Così figura centrale dell’immaginario mitologico e delle imprese che i certa- dello altissimo: VEneide, che la Tebaide dovrà «seguire a distanza», con
mina propongono è spesso e significativamente quella di Giove, imposta da religioso umile rispetto (XII 816 seg.). Le ambizioni sono peraltro molto
una scoperta allegoria che lo identifica al principe regnante: esemplare un chiare. Il piano dell’opera è in dodici libri, divisi in due esadi; la seconda
I numerosi
discorso di Giove padrone assoluto del cosmo conservato nei versi greci di modelli della è tutta una storia di guerra, come la «metà iliadica» dell 'Eneide-, la prima,
un Q. Sulpicio Massimo, vincitore dodicenne dei Ludi Capitolini tenutisi Tebaide più variata, ha funzione di lunga preparazione, e insieme contiene tratti «odis-
nel 94.
siaci» (le peripezie di viaggio), come la prima metà deli’Eneide.
I modelli poetici sono legione. Le funeste imprese dei Sette erano state
L a Tebaide cantate in poesia epica, soprattutto nella fortunata opera di Antimaco di
Colofone (IV secolo a.C.); in tragedia greca; e, soprattutto, il ciclo tebano
Se Lucano aveva cantato «guerre più che civili» (I 1), il tema di Stazio aveva ispirato Seneca (Oedipus e Phoenissae). La scelta dell’epos eroico com­
sono addirittura «battaglie tra fratelli», fraternae acies (I 1). Contro Lucano, porta molti diretti richiami dell 'Iliade, in parte mediati da Virgilio, e in par­
Stazio sceglie un tema mitologico, dotato di un complesso apparato divino: te autonomi (soprattutto episodi standard: giochi funebri, cataloghi, batta­
ma la sostanza del contenuto riporta irresistibilmente verso il Bellum civile. glie fluviali, suppliche, ecc.). In certe brevi sezioni digressive appaiono an­
che modelli più insoliti: Euripide, Apollonio Rodio, persino Callimaco (viene
Riassunto della Libro I - Il vecchio Èdipo chiam a le Furie dell’oltretom ba a perseguitare la Casa in mente la ricca cultura letteraria di Stazio padre). Infine, lo stile narrativo
Tebaide di Tebe. I due figli di Edipo, Etèocle e Polinice, si preparano a spezzare il patto
di governo, per cui a turno, di anno in anno, uno regnava, e l’altro lasciava Tebe. e la metrica di Stazio sono inconcepibili senza la lezione tecnica di Ovidio;
Polinice, che si trova ad Argo, viene riconosciuto dal vecchio re A drasto come lo la sua immagine del mondo è inseparabile dall’influsso di Seneca: e proprio
straniero predestinato a sposare una delle due principesse argive. qui, nel contrasto fra fedeltà alla tradizione virgiliana e inquietudini moder­
Libro II - L ’oltretom ba si apre e torn a sulla terra Laio (il padre che Edipo assassi­ nizzanti, sta il vero centro dell’ispirazione epica di Stazio.
nò): la sua om bra ispira Eteocle a tradire il patto col fratello e ad avere per sé Ricorsività di Posta sotto questa costellazione di influssi, l’opera non manca affatto
tutto il potere. L ’eroe Tìdeo, genero di A drasto, sta venendo a Tebe per reclamare motivi e di unità. Il difetto più tipico della Tebaide è piuttosto l’ossessiva ricorsività
il trono dovuto al cognato Polinice. U n ’im boscata organizzata dal tiranno Eteocle atmosfere: la di motivi e atmosfere. Tutta la storia è dominata da una ferrea necessità:
non ha successo.
ferrea necessità «chi può negare che i presagi scorrono da cause segrete? Il destino si spiega
Libro III - Decisione della guerra di Argo contro Tebe e preparativi militari. C ontra­ davanti all’uomo, ma dispiace leggerlo, e va persa l’anticipazione del futuro.
sto fra il pio indovino A nfiarao e il bestem m iatore Capaneo.
Così dei presagi noi facciamo casualità, e la Fortuna ha il potere di colpirci»
Libro IV - M entre a Tebe l’om bra di Laio predice lutti, sette grandi eroi (Adrasto, (VI 935 seg.). La casa di Edipo è schiacciata non tanto da una maledizione
Polinice, Tideo, Capaneo, Partenopeo, Ippom edonte, A nfiarao) marciano verso la di vendette familiari (concezione della tragedia attica che suonerebbe poco
città con le loro schiere. Provati dalla sete durante il viaggio, trovano l’aiuto di attuale qui) quanto da una ferrea Necessità universale. La scelta ideologica
Issìpile, che racconta loro la sua triste storia.
di Stazio è chiaramente virgiliana: salvare l’apparato divino dell’epica, ma
Libro V - Un m ostruoso serpente uccide Ofelte, bim bo affidato alle cure di Issipile. Divinità e forze rendendolo più «moderno» con l’approfondire la funzione del Fato. Ma
I Sette istituiscono in espiazione del fatto i Giochi Nemei.
astratte: il la scelta di un tema così profondamente negativo porta Stazio molto vicino
Libro VI - Celebrazione dei giochi. Presagi nascosti annunciano che uno solo dei compromesso tra alla posizione di Lucano. Il risultato è un compromesso che avrà grande
Sette tornerà vivo da Tebe. Virgilio e Lucano influsso sulla storia dell’epica occidentale. Le divinità epiche tradizionali ap­
Libro V II - Inizio delle ostilità alle m ura di Tebe. L ’indovino A nfiarao è inghiottito paiono come svuotate o appiattite: le forze divine più vitali sono invece
nell’Ade. personificazioni di idee astratte, con tonalità persino allegoriche. La Furia
Libro V ili - Crescendo della battaglia, aizzato dalla furia Tisìfone. Tideo, ferito che muove gran parte dell’azione è un puro e semplice Genio del Male.
a m orte, rode il cranio dell’avversario M elanippo. Schematismo dei Schiacciate dalle leggi del cosmo e della predestinazione, le figure umane
Libro IX - Successi dei Tebani. Battaglia fluviale, in cui cade Ippom edonte; patetica personaggi sono a loro volta appiattite. Stazio concede molto poco alle sfumature psi­
morte del giovane Partenopeo. cologiche: da un capo all’altro del poema, Eteocle è il tipo assoluto del
Libro X - Spedizione notturna degli Argivi che fanno strage dei Tebani. Il giovane tiranno, Tideo l’incarnazione dell’ira, Capaneo un bestemmiatore, Ippome-
tebano Meneceo, figlio di Creonte, sacrifica volontariam ente la vita per il bene della donte una sorta di macchina da guerra. Altrettanto schematici i pochi perso­
città. L ’empio Capaneo viene schiantato dal fulmine di Giove mentre fa breccia in città. naggi positivi. A completare questa visione manichea della realtà, gli undici
406 L’EPICA D I ETÀ FLAVIA VALERIO FLACCO 407

libri sulla guerra dei Sette hanno una chiusa di compensazione: il trionfo denza alla personificazione quasi allegorica, Stazio risulterà un importante punto
della clemenza e delPumanità portato dal civilizzatore Teseo. di riferimento per lo sviluppo di un’epica medioevale a contenuto allegorico.
Il superamento La grande quantità di eroi comportava una trama molto complessa, ro­
dei pericoli di manzesca, e soprattutto (anche qui il pensiero corre a Lucano) l’assenza
dispersione di un vero protagonista. I pericoli di dispersione sono però controllati con
notevole energia. Anche nei lunghi episodi che ritardano l’inizio della guerra 2. Valerio Fiacco
si avverte spesso la volontà di stabilire dei nessi tematici ricorrenti. Ad esem­
pio, i prolissi giochi funebri del VI libro sono ampiamente funzionali (forse
Vita Praticamente ignota. Il poeta non fa accenni autobiografici. Il nome traman­
persino più che in Virgilio) allo sviluppo successivo della trama. Le similitu­ dato è C. Valerius Flaccus Balbus Setinus; l’opera è dedicata a Vespasiano, ma
dini sono spesso pensate in sequenze omogenee, con un effetto a volte osses­ contiene anche riferimenti a Tito, Da Quintiliano X 1,90 (multum in Valerio Fiacco
sivo: le immagini della natura rispecchiano di continuo gli eventi umani. nuper amisimus, «di recente, con Valerio Fiacco, abbiamo avuto una grave perdi­
È la concezione stoica della sympàtheia. che già Seneca aveva saputo trasfor­ ta») si ricava che morì poco prima del 92 d.C.
mare in tema letterario.
Stazio e L’assenza di riferimenti diretti all’attualità romana non costringe Stazio
l’attualità a eludere gli incubi propri della sua epoca (si pensi invece, per la ricerca Opere Argonautica, in otto libri di esametri (per un totale di quasi 5600 versi). Poe­
ma epico, incompiuto, probabilmente per decisione dell’autore o per la sua morte.
di evasione, all’Achilleide o a Silio). Una guerra civile vista come scontro
fra tiranni specularmente uguali; la degenerazione di una famiglia regnante
in dispotismo fanatico; il problema etico del «vivere sotto i tiranni» rispet­ Gli Argonautica
tando comunque una regola morale. L’insistenza su questi problemi — visti
in uno scenario allucinato di fosca mitologia ancestrale — rende la Tebaide Un poema Del poema restano (per incompiutezza, più difficilmente per guasti della
una lettura promettente anche per gli storici della cultura romana. incompiuto tradizione manoscritta) sette libri e una parte dell’ottavo, una serie di vicen­
de che corrisponde, all’incirca, a tre quarti del racconto sviluppato da Apol­
L 'Achilleide lonio Rodio nei quattro libri degli Argonautica. Valerio narra i motivi della
spedizione di Giasone in cerca del vello d’oro (libro I); il viaggio avventuro­
so e contrastato fino alla Colchide (libri II-V); gli intrighi e le lotte alla
Il poema appena A differenza del poema su Tebe — che avrà grande fortuna a lungo
iniziato: un tono
corte del re Eeta e l’amore tra Giasone e Medea, figlia di Eeta; la conquista
termine, nélPepica medioevale soprattutto — il poema sulla vita di Achille del vello d’oro e il principio del travagliato ritorno (libri VI-VIII).
più disteso e ha avuto un destino stentato. Qualsiasi giudizio è difficile, perché il testo
idillico Pur riprendendo quasi tutti gli episodi principali dal poema di Apollo­
che abbiamo (interrotto per morte dell’autore) tratta solo delle vicende del nio Rodio, che si imponeva come falsariga canonica del mito, Valerio mira
giovane Achille a Sciro. Forse a causa del tema, o per una precisa scelta ad una riscrittura del tema argonautico in gran parte autonoma, e non si
di poetica, il tono è più disteso e idillico che nella Tebaide: per questo l’ope­ Il modello di limita ad una ‘romanizzazione’ come quella (rimasta celebre) attuata da Var­
ra non dispiace a quei critici che hanno rilevato l’eccessivo «barocchismo» Apollonio Rodio e rone Atacino (cfr. p. 124 seg.). Vi sono abbreviamenti, aggiunte, modifiche
della Tebaide. Il progetto di narrare tutta la vita di Achille (I 4 segg.) rivela la ricerca degli importanti nella psicologia dei personaggi, nel modo di concepire l’interven­
comunque ambizioni letterarie grandiose. Se avesse potuto continuare, Sta­ effetti to divino, nel ritmo del racconto. Variazioni e innovazioni, però, si innesta­
zio si sarebbe trovato di fronte Omero, alle porte Scee; e sin dal titolo l’ope­
no spesso su di un contesto che — sia sul piano degli schemi narrativi sia
ra sembra mirare — ancor più che la Tebaide — ad un pericoloso confronto
su quello dell’espressione — risulta in varia misura debitore nei confronti
con l’ombra del padre Virgilio.
di Apollonio. Sullo sfondo, infatti, è sempre presentejl poema alessandrino,
non solo fonte di tradizione mitica, ma vero e proprio modello poetico.
La fortuna Nei punti in cui Valerio segue da vicino il testo greco (fino a misurarsi
talora in piccoli saggi di traduzione artistica) la sua rielaborazione appare
Dante e Stazio L’episodio più spettacolare della fortuna di Stazio è certamente la sua guidata dalla ricerca dell’effetto: accentuazione del pathos e drammatizza­
comparsa nel Purgatorio dantesco, basata sulla falsa convinzione che il poe­ zione, visualizzazione, concentrazione del modello e conseguente gusto per
ta si fosse convertito al Cristianesimo — da vero discepolo di Virgilio, che la brevità dell’espressione (resa audace e allusiva fino quasi all’oscurità),
il Medioevo considera precursore e profeta dell’avvento di Cristo. Più in «retorizzazione», sono questi i procedimenti più frequentemente impiegati
generale, Dante fa notevole uso del modello epico di Stazio. In questo perio­ per ottenere un maggiore coinvolgimento emotivo del destinatàrio.
do sono invece del tutto ignote le Silvae, che avrebbero illuminato certi aspetti Molteplicità di Là formazione stessa del testo di Apollonio — imitatore di Omero e
privati della personalità di Stazio. modelli e imitato da Virgilio — si colloca al centro di una rete di rapporti che tengono
Anche prima di Dante, la Tebaide ha grande influsso: per i suoi aspetti dispersività insieme una vasta tradizione epica. Ecco come il poeta flavio — nella sua
quasi manichei (il contrasto fra l’Olimpo e le potenze infere) e per la sua ten­ consapevole, ‘manieristica’ posizione di epigono — si trova portato a opera­
408 L’EPICA DI ETÀ FLAVIA SILIO ITALICO 409

zioni diversamente orientate, ma segnate coerentemente da una medesima tirannica. Anche le vicende politiche del regno di Colchide sono più svilup­
prassi letteraria imitativa: egli sa, da una parte, recuperare al suo testo i pate che in Apollonio e ripresentano il motivo della guerra civile tra fratelli,
necessari antecedenti omerici, dall’altra non può non integrare lo stesso te­ tipico deO’immaginazione e della cultura flavia. Questa situazione permette
sto con materiali che derivano dall’opera di Virgilio. In questa sua viva con­ del resto a Valerio (libro VI) un’ampia (e poco riuscita) rappresentazione
sapevolezza che letteratura sia anche tutto quel linguaggio che si è via via di battaglie: Apollonio non ha scene di guerra paragonabili, e il poeta latino
sedimentato fino a costituirsi in un’organica tradizione poetica, egli non può le introduce sia per completare l’idealizzazione eroica degli Argonauti, sia
nemmeno esimersi dal trarre opportuni suggerimenti da altri rappresentanti per creare una migliore rispondenza con la struttura bipartita (racconti di
della letteratura augustea, in particolare da Ovidio, e dai ‘moderni’ Seneca viaggio + racconti di guerra) dell’epos virgiliano. È anche un’occasione per
tragico e Lucano. Sicché questa poesia riflessa ed elaborata (che si qualifica manifestare (là dove Apollonio non frappone più il suo schermo) una curio­
anche per un certo virtuosismo manieristico evidente nella rielaborazione sità più aggiornata per le popolazioni barbariche. È tipico dell’età flavia
delle varie suggestioni) rischia a volte di disperdersi sotto le spinte, non sem­ il crescere di interessi etnografici per i popoli di confine.
pre armonizzate, di una troppo vasta molteplicità di modelli. Enfasi sul Una pallida esigenza di riferimenti attuali si coglie anche neH’impianto
Cura dei dettagli Elegante e raffinato nel particolare, nel dettaglio descrittivo, nella nota­ dominio del mare complessivo dell’opera. Per Valerio l’impresa degli Argonauti è un punto
e scarsa zione psicologica, nel quadro isolato, Valerio fallisce spesso nella creazione e ideologia chiave nei progetti della provvidenza divina: Argo, la prima nave, deve apri­
coesione di strutture narrative articolate: difetti di chiarezza e di linearità, e ancor vespasianea re i mari perché possano svilupparsi le civiltà; così il potere mondiale passe­
narrativa
più la mancata specificazione delle coordinate spazio-temporali dell’azione, rà dall’Asia alla Grecia, e da questa a un’altra civiltà ancora da nascere...
danno l’impressione di un modo di comporre per blocchi isolati, un modo (Giove in I 531 segg.). Valerio è confinato a un tema davvero preistorico:
che presta più attenzione all’evidenza e all’effetto della singola scena che anteriori agli avvenimenti narrati da Virgilio, e addirittura da Omero, si
non alla perspicuità e alla coerenza dell’insieme. compiono le imprese dei suoi pionieri. Questo spirito di frontiera, e l’enfasi
La poetica Il fondamentale influsso di Virgilio spinge Valerio ad una poetica «rea­ sul dominio del mare, erano probabilmente graditi all’ideologia della casa
«reazionaria» zionaria»: il tema è mitologico, l’apparato divino onnipresente, l’imposta­ di Vespasiano. Ma nel cammino avventuroso degli Argonauti le suggestioni
zione morale del racconto senza dubbio edificante. Mentre Apollonio aveva ideologiche si sperdono. Questo classicista moderato si tiene in disparte dalle
fatto di Giasone un eroe problematico e chiaroscurale — quasi un antieroe, grandi visioni storiche di Lucano, ma anche dagli slanci manieristici di Stazio.
di fatto — Valerio riporta il suo protagonista ad una scala di elevatezza
epica. Il Fato provvidenziale virgiliano, con il suo portaparola Giove, con­
trolla tutto lo sviluppo degli eventi.
Stile soggettivo e La narrazione di Valerio Fiacco esaspera la propensione virgiliana allo 3. Silio Italico
psicologizzazione stile soggettivo, a rendere cioè situazioni e avvenimenti attraverso il punto Vita Tiberio Cazio Asconio Silio Italico, nato intorno al 26 d.C. Avvocato, politica-
del racconto di vista e le sensazioni dei vari personaggi. La tendenza, com’è ovvio, com­ mente legato a Nerone (fu console nel 68), fu poi proconsole d ’Asia sotto Vespa­
porta una continua psicologizzazione del racconto: se in Virgilio talora le siano. Ritirato a vita privata, dedicò gli ultimi anni al suo ampio poema storico.
sensazioni dei vari personaggi acquisivano rilievo maggiore rispetto agli stes­ Nel 101, provato da un male incurabile, si lascia morire di fame.
si avvenimenti, in Valerio il rilievo che assumono è tale da sopprimere finan­ Opere Pùnica in 17 libri di esametri (oltre 12.000 versi): secondo una parte della
che la descrizione di particolari o la narrazione di eventi, spesso necessari critica il testo è incompiuto (si ipotizza un progetto originario in 18 libri, parallelo
alla comprensione del testo. È naturale che l’espansione del modello di Apol­ alle dimensioni degli Annales di Ennio).
lonio è orientata soprattutto verso il patetico — ricercato con ostinazione
in tutte le potenziali occasioni e applicato ad ogni tipo di personaggio, senza Fonti Soprattutto notazioni di contemporanei, fra cui Tacito Historiae III 65 (attività
che ci si curi troppo delle incongruenze che tale procedimento può generare politica) e Plinio il Giovane Epistulae III 7 (necrologio).
Un testo rivolto a nei vari caratteri —. Ne risulta un testo narrativo assai difficile, spesso oscuro,
lettori dotti che si caratterizza come estremamente dotto anche per quanto riguarda la sua
destinazione (il pubblico che viene presupposto come lettore ideale). Il lettore / Punica
qualche volta non trova tutte le informazioni necessarie nel testo di Valerio,
ma, per comprendere, deve già essere a conoscenza degli avvenimenti: il più Una concezione L ’epistola di Plinio il Giovane, oltre a registrare i momenti principali
delle volte è necessario che abbia presente l’immediato testo di riferimento che museografica della vita pubblica e ufficiale di Silio Italico, non nasconde uno spiccato
è Apollonio. U n’opera, insomma, che per realizzare una poetica ardua e sofi­ della letteratura gusto per l’aneddoto: è il solito modo di cui Plinio si serve per illuminare,
sticata, presuppone nel suo destinatario un’ampia competenza letteraria. con efficace rapidità e con leggerezza brillante, gli aspetti più curiosi dell’al­
Spunti di attualità Il radicamento del poema nella cultura contemporanea sembra nel com­ trui vita privata. Plinio ricorda come la familiarità con l’imperatore Vitellio
in Valerio Fiacco plesso scarso. In qualche aggiunta di Valerio rispetto al modello greco si e il privilegio accumulato con il proconsolato in Asia sotto Vespasiano aves­
colgono però momenti di sensibilità più attualizzata. Tale è, nel primo libro sero contribuito a sopire il ricordo dell’oscuro passato di Silio, delatore par­
(vv. 747 segg.), l’episodio del suicidio di Èsone, perseguitato dal tiranno tigiano di Nerone. L’attenzione del lettore dell’epistola è, tuttavia, portata
Pèlia: è chiara l’ispirazione del suicidio «stoico» tipico dell’opposizione anti­ a fissarsi soprattutto sul resoconto della giornata nella villa campana, dedi­
410 L’EPICA D I ETÀ FLAVIA
SILIO ITALICO 411

cata ad un otium erudito-letterario che agli occhi di Plinio costituiva forse


originale dell’opera contemplasse un libro in più). Lo stato frammentario
il primo motivo di riscatto dalla cattiva fama precedente (macularti veterìs
dell’opera di Ennio e il carattere dello stile di Silio (che rifugge dagli arcai­
industriae laudabili otio abluerat, «aveva lavato la macchia dei suoi vecchi
smi) rendono molto difficile ritrovare imitazioni precise.
maneggi con una vita privata degna di lode»).
A prescindere dalla difficoltà di una simile ricerca, è indubbio che la
Di qui lo spazio dedicato a descrivere il suo estetismo quasi maniacale,
coscienza della derivazione ideale dal grande modello doveva essere ben ra­
il suo culto museografico di Virgilio. Silio Italico amava, infatti, raccogliere
dicata nel poeta flavio. Lo dimostra la presenza (XII 390 segg.) di un meda­
i cimeli del poeta augusteo e ne aveva addirittura comprato personalmente
glione in cui viene celebrata la figura eroica del poeta rudino, combattente
il sepolcro. In questa mentalità c’è molto dello spirito con cui l’anziano
in Sardegna nelle file dell’esercito romano. Orfeo redivivo, Ennio amava
ex console si accinge a produrre letteratura in prima persona. La sua opera
rilassarsi dalle fatiche della battaglia suonando la cetra: assalito da un nemi­
è una fredda galleria di busti storici e curiosità antiquarie, raccolti con since­ co, egli vede intervenire in sua difesa nientemeno che Apollo, che ne esalta
ra ma indiscriminata passione. le glòrie future di vate, mirabile fusione delle qualità di Omero ed Esiodo.
Non a caso, nel Cinquecento, un critico della finezza di G. C. Scaligero Un altro precedente arcaico, ancor più distante e certamente meno diret­
sbrigava in poche righe il compito di dare una valutazione qualitativa dei to, era Nevio, l’autore del Bellum Poenicum in cui si narravano le vicende
Punica di Silio: quem equidem postremum bonorum poetarum existimo: quin della prima guerra punica. Anche lui è presumibilmente il destinatario di
ne poetam quidem. Come si vede, con l’andar del tempo, il famoso giudizio un omaggio alla memoria, se così va inteso il flashback dedicato all’illustra­
pliniano (scribebat carmina maiore cura quam ingenio) viene avvertito quasi zione esemplare della constantia di Attilio Regolo (VI 118 segg.), un brano
come un eufemismo. importante come segno di collegamento intertestuale, ma certo pienamente
integrato nel sistema ideologico dei Punica.
Livio, il modello I Punica sono il più lungo epos storico latino a noi giunto. I diciassette libri raccon­ Virgilio, Ennio e L ’impulso fondamentale dell’opera venne d&\YEneide. La guerra di An­
più visibile tano la seconda guerra punica dalla spedizione di A nnibaie in Spagna al trionfo l’inverosimiglianza nibaie è presentata come una diretta continuazione di Virgilio: è originata
di Scipione dopo Zam a. L ’argom ento stesso del poem a pone subito il problem a delle degli interventi
fonti storiografiche. La linea «annalistica» testim onia la volontà del poeta di colle­ dalla maledizione di Didone contro Enea ed i suoi discendenti. Dopo l’espe­
divini
garsi alla più im ponente trattazione m onografica in latino degli eventi che vanno rienza di rottura rappresentata dalla Farsaglia di Lucano, Silio Italico re­
dal 218 al 201 a.C .: la terza decade di Livio. staura, anche alPinterno dell’epica storica, la funzione strutturale dell’appa­
U n prim o indizio significativo è rappresentato dal recupero della cornice architetto­ rato mitologico. Per una meccanica estensione della struttura delVEneide,
nica del modello. Anche Silio colloca, infatti, poco dopo la sezione proemiale il
Giunone continua ad avversare i discendenti dei Troiani e, al tempo stesso,
ritratto di Annibaie (I 56 segg.) e, come Livio, conclude con l’immagine rassicurante
del trionfo di Scipione (XVII 618 segg.). Nello sviluppo della narrazione l’uso dell’o­ mantiene di fatto il suo ruolo di protettrice di Cartagine. Fino alla vittoria
pera dello storico augusteo è sempre piuttosto am pio, sebbene risponda a criteri di Canne la dea asseconda le iniziative di Annibaie. Quindi, di fronte all’ir­
volta per volta differenti. La descrizione dei prim i anni di guerra fino a Canne (216 removibile decisione di Giove, Giunone deve cessare di alimentare propositi
a.C .) ne segue la traccia con aderenza notevole. I primi undici libri dei Punica copro­ di rivincita contro i Romani: davanti alle mura di Roma è proprio lei in
no in pratica gli eventi dei libri XXI-X XII e l’inizio del X X III di Livio: Silio m ostra
di saper ripartire con equità le proprie energie tra uso del m ateriale storiografico,
prima persona a tentare di fermare il duce cartaginese mostrandogli (chiaro
rielaborazione di modelli epici, excursus di varia natura. La rapidità e la minore il ricordo di Aen. II 604) che i suoi avversari sono gli dèi stessi. Anche
accuratezza di dettaglio che caratterizzano la seconda parte del poem a, pesano so­ gli Annales di Ennio contenevano sicuramente scene olimpiche; ma non sem­
prattutto sull’economia del racconto storico: u n ’am pia serie di scontri «m inori» vie­ bra possibile che in Ennio le cose andassero allo stesso modo.
ne concentrata e riassunta in base a ferrei criteri selettivi. Dal libro XI in poi l’autore Nei Punica la volontà di Giove è quella di imporre ai Romani una duris­
sem bra più attratto dal proposito di conferire dignità epica ad alcuni eventi partico-
larm enté dotati di potenziale valore emblematico. È il caso della battaglia presso
sima prova. Incalzato da Venere, protettrice tradizionale dei discendenti di
le m ura di Rom a, nel X II libro, alla quale partecipano le divinità olimpiche impegna­ Troia, egli spiega le ragioni intime dell’imminente conflitto (III 571 segg.):
te a respingere l’assalto mosso al Campidoglio dal titano Annibaie. la stirpe romana non corre il rischio di estinguersi, ma fornendo prove di
M erita attenzione equilibrata il tentativo, già ottocentesco, di attribuire all’influsso valore deve dimostrare di essere degna di aspirare al dominio su altri popoli;
di annalistica antica minore (Valerio A nziate, Celio A ntipatro) la presenza nei P uni­ alla luce di questo assunto anche le terribili sconfitte che seguiranno trove­
ca di scene ed episodi di origine apparentem ente non liviana. Vista la congerie di
ranno una superiore giustificazione.
fonti storiche, mitologiche, antiquarie, naturalistiche che un poem a come quello di
Silio Italico presuppone, si tratta di u n ’ipotesi plausibile. Tuttavia è stato giustam en­ L’intento di elaborare una «teoria» non allontana il fastidio provocato
te ribadito che, in m ancanza di necessità stringenti, è immetodico postulare fonti dall’inverosimiglianza delle intrusioni divine nel corso dell’azione storica.
storiografiche alternative ogniqualvolta Silio si distacca solo di poco dal suo modello I lettori di Silio sono chiamati ad accettare senza problemi non solo le con­
principale o, peggio, laddove egli m ostra di scegliere una variante scartata, m a co­ venzioni dell’epos virgiliano, ma addirittura di quello omerico. A Zama,
m unque citata, dallo stesso Livio.-;
Scipione sta per uccidere Annibaie con le sue mani, quando Giunone inter­
viene a salvare il campione cartaginese servendosi di una specie di fantasma
Gli Annales di Il parallelo più ovvio dei Punica sono gli Annales di Ennio, che fornivano
(XVII 522 segg.).
Ennio un esempio canonico per la composizione di un’epica «anno per anno». (Poi­
Questa restaurazione dell’apparato mitologico, dagli esiti a tratti para­
ché i libri degli Annales sono diciotto e il finale dei Punica è, come abbiamo
dossali, non va disgiunta da una notevole sensibilità per alcuni colores stili­
in parte già accennato, di un’insolita concisione, è possibile che il progetto
stici comuni nella produzione poetica di età neroniana (Seneca tragico e Lu-
412 l ’e p i c a D I ETÀ FLAVIA BIBLIOGRAFIA 413

c a n o ), se co n d o l ’e sasp e ra zio n e di u n g u sto p a rtic o la re g ià p re se n te in alcu n i Fra gli studi critici si segnalano: l’ar­ Prooem ium der «Argonautica» des Vale-
lu o g h i d e lla « classica» E n e id e : q u ello p e r i to n i fo sch i e m a c a b ri. L o stra v o l­ ticolo di G. L o t it o in «Dialoghi di A r­ rius Flaccus, W iesbaden 1971. Sul testo
cheologia», 8, 1974-75, pp. 275-383 (sul­ di questo difficile autore: F. L e o , A us-
g im e n to a n tifra s tic o d ella p ro v v id e n z a v irg ilia n a , c e le b ra to d a L u c a n o , viene le Silvae), e i due am pi saggi su Stazio gewàhlte kleine Schriften, 2, Rom a 1960,
so stitu ito c o n u n ’e p o p e a d a l « fin a le » ra s sic u ra n te , m a la lezio n e m a tu r a ta epico di W. S c h e t t e r , Untersuchungen pp. 223 segg.; F. M e h m e l, Valerius Flac­
a ttra v e rso la v a lo riz z a z io n e degli sp u n ti esp re ssio n istic i v irg ilian i (fo n d a m e n ­ zur epischen K unst des Statius, Wiesba- cus, H am burg 1934; R. N o r d e r a , I vir-
ta le la m e d iazio n e di O vidio) a p p a re d efin itiv am en te a c c e tta ta in ep o c a flav ia. den 1960, e di D. V es s e y , Statius and gilianismi in Valerio Flacco, in AA.VV.,
thè Thebaid, Cambridge 1973. Contributi a tre p o eti latini, Bologna
Gli scolli alla Tebaide sono raccolti 1969, pp. 1-92. Sulla struttura comples­
Mancanza di un M anca un protagonista assoluto: più volte è stato sottolineato che A nnibaie, l’unico nell’orm ai insoddisfacente edizione di R. siva del poema: J. A d a m ie t z , Z ur Kom -
protagonista e personaggio presente con una certa continuità dall’inizio alla fine, m erita a buon diritto J a h n k e , Leipzig 1898. position der «Argonautica» des Valerius
tecnica questo titolo. La caratterizzazione dell’eroe negativo — il titanico avversario di R om a­ Flaccus, Munchen 1976; interessanti con­
annalistica ni, dèi e Fato — tradisce ora l’influsso del T urno virgiliano, ora, negli spunti più dem o­ siderazioni sulla tecnica compositiva nel­
niaci, quello del Cesare di Lucano. Contro l’empio protagonista si erge un nutrito grup­ l’articolo di A . P e r u t e l l i , Pluralità di
po di eroi rom ani, degni rappresentanti dei valori ideologici fondam entali: fid es, pietas, V a ler io F la c c o modelli e discontinuità narrativa: l ’epi­
constantia, fo rtitu d o . T ra questi eroi spiccano Scipione e Fabio M assimo. I destini glo­ sodio della m orte di Esone in Valerio
riosi del prim o vengono significativamente anticipati da un fausto auspicium prim a del­ A ll’edizione critica di E . C o u r t n e y , Flacco (1.747 sgg.), in «M ateriali e Di­
la battaglia del Ticino, alla quale egli, pur giovanissimo, partecipa (IV 115 segg.). Di Leipzig 1970, è seguita quella di W .W . scussioni per l’analisi dei testi classici» 7,
fatto Scipione inizierà ad incidere in concreto sull’andam ento del conflitto solo più ta r­ E h l e r s , Stuttgart 1980, basata su un rie­ 1982, pp. 123-40.
di. Nel libro X III (in cui compie una singolare discesa agli Inferi sulla scia di Enea) same della tradizione m anoscritta che ha
egli riceve una simbolica investitura che mantiene ancora i caratteri dell’ufficiosità. Nel dato risultati nuovi. Il commento di P. S ilio I ta lic o
libro XV la sua ascesa al ruolo di guida delle truppe rom ane viene form alizzata da una L a n g e n , Berlin 1896-7, è opera m erito­
nuova serie di presagi e, soprattutto, dalla ripetizione del tradizionale motivo di Ercole ria, m a sarebbe da rifare; commenti a sin­ A ncora in uso la vecchia edizione di
al bivio: tra le due vie indicate dalle personificazioni di Virtus e Voluptas il giovane goli libri sono in preparazione. Utile la L. B a u e r , Leipzig 1890-92, 2 voli. In tro ­
eroe non può che scegliere la prim a. L ’ostentato inserimento di Scipione nel novero rassegna bibliografica (1938-82) di M. duzione generale di M. v o n A l b r e c h t , Si-
degli eroi semidivini, i megalourgoi (Ercole per primo, m a anche Bacco, Romolo-Quirino, S c a ffa i , in «Aufstieg und Niedergang der lius Italicus. F reiheitund Gebundenheit rò-
ecc.), campeggia nell’immagine conclusiva del trionfo. ròmischen Welt» II 32.4 1986. Sui com­ mischer Epik, Amsterdam 1964; interessan­
Fabio Massimo è l’esponente della Rom a senatoria tradizionalista, più legata alle plessi problemi di interpretazione e di da­ te il profilo di M. B e t t in i , in «Dialoghi di
prerogative arcaiche, diremmo quasi antiimperialistiche. La sua virtus, pur realizzan­ tazione del proem io: E . L e f è v r e , Das Archeologia», 9-10, 1976-77, pp. 439-448.
dosi in u n ’azione di esclusivo contenim ento, di endurance, riveste un significato ec­
cezionale, in gran parte esaltato già da Livio. La sua prova di resistenza (a cui è
dedicato quasi per intero il libro VII) è una base indispensabile per i futuri successi.
L a splendida raffigurazione di simili eroi è il veicolo principale dei motivi ideologici
portanti del sistema, m a non vanno dimenticate alcune scene essenziali, anche se
magari non sempre efficaci sotto il profilo artistico.

Letteratura L ’o p e ra nel su o co m p lesso si in n e s ta , se n z a ag g iu n g ere m o lto d i n u o v o ,


patriottica romana n el ricco filo n e d e lla le tte ra tu r a p a trio ttic a r o m a n a . L e d ig ressio n i m ito lo g i­
e interessi che ed eziolo g ich e (spesso di g u sto o v id ia n o co m e Y à itio n d el cu lto d i B acco
antiquarii e del v in o F a le rn o , V II 162 segg.) e la ric e rc a d i esa tte z z a a n tiq u a r ia tu tt a
riv o lta al m o n d o d e ll’I ta lia a rc a ic a (si v e d a , a d esem p io , il c a ta lo g o delle
tru p p e r o m a n e e dei s o d i n el lib ro V ili) d e n u n c ia n o a tte n z io n e e se n sib ilità
al fasc in o d e lla p o ik ifìa a le ssa n d rin a . G li ex cu rsu s, ch e sp esso su sc ita n o in te ­
resse m a g g io re che la tr a m a v e ra e p r o p ria , r ifle tto n o l ’o sc illa zio n e d e ll’e p i­
c a di q u e sto p e rio d o tr a la v ia o m e ric a ed il g u sto esio d eo -ellen istico p er
la v a rie tà . U n fe n o m e n o , q u e s to , ch e se m b ra p r o d u rr e f o rti sp in te c e n trifu ­
ghe a ll’in te rn o di u n a c o m p a g in e la cu i u n ità d i s tr u ttu r a si riv ela sem p re
p iù fo rm a le e se m p re m e n o so stan ziale .

Bibliografia S ta zio
1973, e di D . E . H il l , Leiden 1983. Per
la Tebaide esistono commenti a singoli
Edizioni critiche: per le Silvae quelle libri; VAchilleide è edita e com m entata
di A. K l o t z , Leipzig 19112, e di A. T r a - da O. A. W. D il k e , Cambridge 1954; le
g l ia , Torino 1978; per la Tebaide quelle Silvae hanno il ricco commento di F .
di A. K l o t z - T h. C . K l in n e r t , Leipzig V o l l m e r , Leipzig 1898, tu tto ra utile.
PLINIO IL VECCHIO E L’ENCICLOPEDISMO 415

In ogni caso, la fortuna delle storie pliniane fu piuttosto velocemente soppiantata


dalla concorrenza di Tacito.
PLINIO IL VECCHIO Verso il 77-78, Plinio conclude anche la colossale fatica della Naturalis histo­
ria e la presenta al nuovo imperatore Tito. Nel frattempo, svolge una mansione
E IL SAPERE SPECIALISTICO in apparenza tranquilla, quella di prefetto della flotta imperiale di stanza in Cam­
pania. È in tale veste — e per cause di servizio — che trova la morte il 24 agosto
del 79 d.C., travolto dall’eruzione vesuviana.

Opere Tutte le opere di cui abbiamo appena detto sono andate perdute, tranne
la Naturalis historia. Un alone di eccesso circonda l’elaborazione dell’opera. Sap­
piamo che Plinio sosteneva di non aver mai letto un libro tanto cattivo da non
avere qualche utilità; e Plinio leggeva di continuo, schedava, prendeva appunti.
Il risultato finale fu un’opera in trentasette libri, destinata a inventariare la somma
delle conoscenze acquisite dall’uomo. L’instancabile Plinio macinò cifre impres­
Vita La carriera è quella, non priva di esemplarità, di un efficiente cavaliere al sionanti: trentaquattromila notizie, duemila volumi letti, di cento autori diversi,
servizio della corte imperiale. Gaio Plinio Secondo era nato a Como nel 23 d.C., e centosettanta dossiers di appunti e schede preparatorie («non accada che io
o l’anno successivo. In giovane età esordisce con il servizio militare, che presta tralasci scientemente qualche dato, se l’ho reperito da qualche parte», XVII 137).
per due lunghi periodi in Germania, complessivamente tra il 46 e il 58 d.C. Parte­ Il piano dell’opera è il seguente: /. Indice generale dell’opera e bibliografia
cipa a campagne militari di confine, e conosce personaggi importanti come il libro per libro; II. Cosmologia e geografia fisica; lll-VI. Geografia; VII. Antropolo­
grande generale Gneo Domizio Corbulone, il generale (e uomo di lettere) Pompo­ gia; VIII-XI. Zoologia; XII-XIX. Botanica; XX-XXXII. Medicina; XXXIII-XXXVII. Me­
nio Secondo, e il giovanissimo Tito, che sarà imperatore molti anni dopo. L’inte­ tallurgia e mineralogia (con ampi excursus sulla storia dell’arte).
resse di Plinio per questioni militari è testimoniato da un trattatello (a noi perduto) Il testo della Naturalis historia (in italiano Storia naturale, ma il senso esatto
che si chiamava De iaculatione equestri (cioè sulle tecniche del combattimento sarebbe piuttosto La scienza della natura) è preceduto da un’epistola dedicatoria
a cavallo). Compone inoltre una biografia (perduta) di un influente amico, il De rivolta al futuro imperatore Tito, in cui Plinio chiarisce motivazioni e limiti del
vita Pomponii Secundi: si sospetta una certa affinità di genere e di impostazione suo lavoro. La lettera permette di datare il compimento dell’opera al 77-78 d.C.
con il De vita lulii Agricoiae di Tacito.
Le campagne germaniche suggeriscono a Plinio un’opera storica che doveva
essere di notevole respiro, i Bella Germaniae: Tacito ne farà cospicuo uso come Fonti Diversi passi della Naturalis historia contengono notizie o spunti autobiografi­
fonte. Dopo la morte di Claudio, Plinio deve aver condotto vita appartata: da ci (per esempio luoghi visti, rapporti con personaggi illustri); inoltre Plinio meritò,
alcune allusioni contenute nella Naturalis historia sappiamo che era violentemen­ come celebre storico di Roma, una biografia nel De viris iliustribus di Svetonio
te ostile a Nerone. L’astensione da cariche pubbliche e impegni politici fu perciò (fr. 80 Reifferscheid). Ma il documento di gran lunga più interessante viene da
una mossa salutare. È probabile che in questo periodo si dedicasse invece all’o­ tre lettere del nipote Plinio (chiamato, per distinguerlo dallo zio, il Giovane). Plinio
ratoria e all’avvocatura; in tal caso possiamo collocare in questa fase un trattato fornisce un coinvolgente ritratto dell’attività letteraria dello zio, un catalogo degli
in sei libri, a quanto pare intitolato Studiosus. Dagli scarsi frammenti la tematica scritti (Epistulae III 5), e a parte, in due lettere allo storico Tacito (VI 16; VI 20),
sembra in qualche modo avvicinabile aWInstitutio oratoria di Quintiliano. Si sareb­ la narrazione delle eccezionali circostanze in cui incontrò la morte.
be trattato cioè di un manuale per lo studente di retorica. In un frammento, con Il racconto della sua morte ha molto contribuito alla fortuna di Plinio come
caratteristico scrupolo, Plinio spiega addirittura come l’oratore dovrebbe accon­ personaggio esemplare, «protomartire della scienza sperimentale» (I. Calvino), che
ciarsi i capelli. Ancora in questo periodo di stasi della carriera, Plinio deve aver sfida un cataclisma per appagare la sua curiosità scientifica. Va detto però che
sviluppato interessi per la grammatica. Un suo manuale — intitolato Dubius ser­ la concezione pliniana della cultura scientifica ha ben poco di sperimentale o
mo, perché si occupava di problemi e oscillazioni dell’uso linguistico — ebbe empirico; e che, secondo il resoconto del Giovane, Plinio si espose al pericolo
considerevole fortuna: ne abbiamo un buon numero di frammenti, perché fu mol­ per recare soccorso ad alcuni cittadini minacciati dall’eruzione. La virtù che emerge
to utilizzato e citato dai grammatici di tarda età imperiale. da questa morte illustre è dunque la filantropia, e lo spirito di servizio, piuttosto
Con l’ascesa di Vespasiano, Plinio imbocca, piuttosto improvvisamente, una che l’ansia di conoscere; proprio la virtù che spinse Plinio verso l’esagerata im­
intensa carriera come procuratore imperiale, con numerosi incarichi di rilievo. presa della Naturalis historia, un’opera tutta intesa al servizio deH’umanità.
Nonostante questi impegni di lavoro, è proprio negli anni 70 che Plinio si dedica
alle due opere che più lo resero famoso come letterato. La prima di esse, la
storia romana A fine Aufidi Bassi, non ci è conservata, ma sembra essere di
gran lunga la sua opera più importante ed ambiziosa. Si tratta di una storia di
Roma che — riattaccandosi alla conclusione di un testo del grande storico Aufi-
1. Plinio il Vecchio e l’enciclopedismo
dio Basso (sul quale cfr. p. 322) — copriva all’incirca gli anni tra 50 e 70, tra
la fine del regno di Claudio e l’ascesa di Vespasiano. Scrivere su un periodo Tensione teorica Uno sforzo di sistemazione del sapere è evidente in tutta la cultura ro­
così scottante e così vicino all’attualità era impresa delicatissima. L’opera non e sistemazione mana della prima età imperiale, e si esprime soprattutto in opere di tipo
poteva non avere una chiara tendenza pro-Flavia, ma Plinio, con pregevole lucidi­ del sapere già manualistico: testi che intendono raccogliere il meglio delle conoscenze in
tà, non volle essere pubblicato in vita: proprio, a quanto ci dice (Naturalis historia, acquisito
un certo settore dello scibile o delle attività pratiche, e fornire al lettore
praefatio 20), per scansare accuse di servilismo verso il principe Vespasiano.
416 PLINIO IL VECCHIO E IL SAPERE SPECIALISTICO PLINIO IL VECCHIO E L’ENCICLOPEDISMO 417

un orientamento accessibile e complessivo. La destinazione pratica di queste chi dice di aver incontrato Amazzoni e Unicorni sta semplicemente «leggen­
sintesi tende a indebolire sempre più la tensione teorica e lo sperimentalismo do» il Nuovo Mondo con gli occhi che ha a disposizione, gli occhi della
autonomo. L’obiettivo della completezza dell’informazione, d’altra parte, tradizione classica e della cultura scolastica.
non favorisce lo sviluppo di capacità critiche. I tempi sono sempre più matu­ Mancanza di La letteratura paradossografica esprime molto bene il limite della cultu­
ri per lo sviluppo di vere e proprie enciclopedie, intese come «inventari» collegamento tra ra scientifica romana; accoglie genuine curiosità e vivaci interessi pratici,
delle conoscenze acquisite. esperienza ma non contiene in sé nessun principio sistematico. Ancora più importante
Roma imperiale e Dato il livello di avanzamento della scienza in Grecia e nel mondo elle­ pratica e
è la mancanza di collegamento fra esperienza pratica e tradizione: l’arricchi­
la domanda di nistico, è chiaro che opere di questo genere si configurano per lo più come tradizione
mento delle esperienze non porta direttamente a un cambiamento dei model­
cognizioni divulgazione di originali greci — una significativa eccezione era stata, in li acquisiti — cioè i modelli classici, i grandi modelli della tradizione greca,
«tecniche» età repubblicana, la versione latina dei trattati di agricoltura composti dal in matematica e in astronomia, ma anche in geografia, in botanica e in
cartaginese Magone. La Roma imperiale conosce una grande espansione dei zoologia. Al massimo, nuove esperienze e nuovi dati possono essere raccolti
ceti che noi chiameremmo tecnici e professionali: medici, architetti, esperti e inventariati accanto a quelli tradizionali.
in acquedotti e reti fognarie, agronomi, amministratori; in parte, questi ceti Plinio il Vecchio La gigantesca opera erudita di Plinio il Vecchio è la realizzazione più
coincidono con la nascente burocrazia imperiale. D ’altra parte, crescenti ca­ e gli altri compiuta di queste tendenze della cultura romana. La cultura romana aveva
pacità tecniche vengono richieste anche ai «politici»; coloro che amministra­ enciclopedisti già conosciuto grandi e piccole opere di sintesi, come la trattatistica di Var­
no le province, ad esempio, sono sempre meno condottieri militari, e sempre romani
rone e Celso, il manuale di architettura di Vitruvio, il breviario di geografia
più dei tecnici: si interessano di economia e finanza, di risorse territoriali, di Mela, o Columella per l’agronomia; pochi anni dopo Plinio, Quintiliano
di mezzi di trasporto e di sfruttamento della natura. C ’è in tutti questi ceti produrrà uno sforzo di grande rilievo per la retorica e l’educazione. Ma
una crescente richiesta di informazione, di divulgazione scientifica. nessuno di questi autori concepì un progetto di conservazione integrale dello
Curiosità Nello stesso tempo, la curiosità scientifica si afferma anche come forma scibile; né esistevano opere greche in qualche modo paragonabili (è difficile
scientifica e di intrattenimento, di consumo culturale. Possiamo documentare questo fe­ comunque indicare, a parte Varrone, un altro letterato così prolifico).
«consumismo» nomeno a partire almeno dall’età di Seneca. I testi naturalistici di successo
culturale: i non sono, naturalmente, le severe opere di Aristotele; e nemmeno le Natura-
paradossografi
les quaestiones di Seneca, pur sempre troppo rigorose; sono i cosiddetti Eclettismo e progetto enciclopedico
paradossografi (dal greco paràdoxon, «stranezza, cosa imprevista») gli auto­
ri che alimentano un vero e proprio nuovo genere letterario. Si tratta di L’enciclopedia di Plinio fu quindi una scommessa originale per dimen­
raccolte estremamente disuguali, in cui confluiscono aneddoti, piccole curio­ sione e ambizioni. È una circostanza favorevole, non certo casuale, il fatto
sità scientifiche spicciole, notizie antropologiche di varia attendibilità, ed che l’autore fosse vicino a certe posizioni degli Stoici (tracce di fisica e di
estratti da opere scientifiche più serie. Gli autori si presentano spesso come etica stoiche si trovano, nel periodo della formazione di Plinio, tanto in
viaggiatori, che raccolgono materiale di prima mano. In qualche caso è di­ Seneca che in Persio e in Lucano). Sicuramente la concezione dell’universo
mostrabile che gli scrittori di paradoxa e mirabilia avessero accesso a cono­ come complessa solidarietà, retta da una Preveggenza divina, una macchina
scenze fresche, e quindi non si limitassero a riproporre notizie e dicerie tra­ cosmica che l’uomo deve conoscere per rispecchiarne dentro di sé le virtù,
Licinio Mudano dizionali. Il più celebrato autore di mirabilia, Licinio Muciano, è anche il era un’idea atta a guidare un progetto di enciclopedia, che comincia con
principale comandante e uomo politico nella prima età vespasianea. M uda­ i moti astrali ma abbraccia in sé anche le creazioni artistiche dell’uomo,
no (fautore determinante di Vespasiano nella crisi del 69 d.C.) soggiornò come pure la vita dei più piccoli animali. E infatti una certa adesione allo
a lungo nelle province orientali, e alimentò di queste sue esperienze un’opera stoicismo è evidente nella cosmologia — il secondo libro dell’opera — che
in cui dovevano confluire curiosità naturalistiche, passione per il sensaziona­ è la parte più impegnata della trattazione pliniana. Ma non si può esagerare
le, esotismo. Questi reportages dalle province di confine ebbero grande suc­ L’accomodante in questo senso. La mentalità enciclopedica è per Plinio un accomodante
cesso; nei frammenti che ci restano si parla di conchiglie, fontane prodigio­ eclettismo di eclettismo; una scelta filosofica troppo precisa finirebbe per ridurre troppo
se, elefanti ammaestrati, e degli effetti che la luna ha sulle scimmie. Plinio la quantità dei materiali da registrare e classificare nella Naturalis historia.
Dilettantismo dei È ovvio che questi naturalisti-viaggiatori, anche quando non inventano Di fatto, nello stesso libro della cosmologia Plinio affianca con disinvoltura
paradossografi di sana pianta o non ricopiano altre compilazioni più antiche, sono comun­ professioni stoicheggianti a curiose divagazioni magico-astrologiche, assolu­
que dei dilettanti. Il gusto per il dettaglio concreto e per l’esplorazione non tamente estranee al pensiero stoico, e invece imparentate a chissà quale fon­
è sorretto da nessun metodo e manca lo spirito sistematico — quello spirito te orientale.
sistematico che i Romani riservano invece ad altri aspetti della cultura. Non Stoicismo Dello stoicismo, Plinio ritiene più che altro un generico senso della mis­
bisogna essere troppo severi: la tradizione paradossografica era già stata av­ «medio» e «spirito sione del saggio: ma questo è lo stoicismo «medio», slavato e banalizzato,
viata da scrittori greci al seguito di Alessandro Magno, più di tre secoli di servizio» che è proprio della classe dirigente romana di quell’epoca; non è una pro­
prima. D’altra parte, non è sempre facile tracciare un confine tra esperienza fonda ispirazione ideologica. Molto più evidente, nella Naturalis historia,
diretta e condizionamento «libresco». Anche i nostri viaggiatori del Cinque­ è un altro aspetto della personalità di Plinio: il suo impegno che potremmo
cento, che pure «vedono» gli scimmioni nella giungla, li chiamano Satiri; definire «spirito di servizio». Questo è il vero apporto che potremmo pur
UNO SCRITTORE TECNICO: FRONTINO 419
418 PLINIO IL VECCHIO E IL SAPERE SPECIALISTICO

nalità, per farsi voce impersonale della scienza altrui, diventò un nome fra
sempre definire originale e personale, in una immensa congerie di nozioni
i più grandi, un’autorità su ogni aspetto del sapere.
e di teorie altrui; di suo, nell’enciclopedia naturale, Plinio porta spirito di
Gli «errori Fra Trecento e Cinquecento Plinio fu oggetto di cure filologiche da par­
servizio, senso pratico, e serietà morale, qualità tipiche di un operoso fun­
scientifici» di te degli Umanisti. Il testo era notevolmente sfigurato dalla tradizione mano­
zionario imperiale. Plinio e il scritta, e permetteva d’altra parte una ricchissima messe di osservazioni lin­
Tradizione Stilisticamente, Plinio è considerato da molti critici addirittura il peggior diminuire della guistiche e tecniche. La ricerca di una forma più appropriata del testo creò
enciclopedica e scrittore latino. Il giudizio merita qualche precisazione: anzitutto, la stessa fede nella sua
stile sciatto tuttavia un nuovo problema, che i dotti del Medioevo non avevano percepi­
folle ampiezza del lavoro non era compatibile con un processo di regolare autorità
to. I progressi della scienza, ad esempio della medicina empirica, portarono
elaborazione stilistica; inoltre, la tradizione enciclopedica romana non com­
gli studiosi del Cinquecento a una situazione di dubbio. In molti casi, inne­
portava un particolare sforzo di bello scrivere. Il più grande enciclopedista
gabilmente, Plinio sbagliava: certi rimedi e certe cure, che il suo testo racco­
romano, Varrone, è di gran lunga superiore a Plinio per lucidità e compe­
mandava, erano addirittura pericolosi, o insensati. Errori dell’autore antico,
tenza, ma, per quanto ne sappiamo, ha uno stile sciatto e inelegante, quasi
dunque, o per caso errori di trasmissione del testo? Nonostante le appassio­
casuale. Per la verità, Plinio non scrive sempre allo stesso modo: lo stile
nate difese degli Umanisti (che imputano l’errore alla tradizione manoscrit­
frammentario e affastellato che domina interi libri contrasta con vere e pro­
L’età moderna: ta), la fede nell’autorità di Plinio vacilla sempre più. Nell’era moderna, alla
prie tirate retoriche: «elogi» della scienza, della natura, della terra italica;
l’interesse storico luce del progresso tecnico-scientifico, il testo pliniano muta valore, e si de­
condanne moralistiche del lusso e dello sfruttamento della natura; sono pas­
di Plinio compone in singole parti di interesse non più pratico, ma storico. Rimane,
si dimostrativi in cui si coglie una certa ambizione letteraria. (È probabile,
ad esempio, un documento di valore inestimabile per la storia dell’arte anti­
d ’altra parte, che l’opera storica di Plinio avesse un suo diverso stile: a
ca, per la storia della scienza, del folklore, della religione, e per tutto ciò
differenza degli scritti tecnici e naturalistici, le opere storiografiche sono vin­
che oggi si usa chiamare «cultura materiale». Gli stessi difetti intellettuali
colate, nella letteratura latina, a un canone di più attenta cura formale).
Come tutti i prosatori di età neroniana e flavia, Plinio tende a una specie di Plinio (la carenza di rigore teorico, di analisi, di selettività) diventano
preziosi per noi; la sua tendenza a salvare tutto ciò che in qualche modo
di «decostruzione» delle ampie bilanciate architetture ciceroniane; questa nuo­
è stato tramandato — dalle lontane speculazioni dei Presocratici fino alle
va libertà dello scrivere — che in Seneca e Tacito diventa il successo di
esplorazioni geografiche dell’ultima ora — ci garantisce un inventario, con­
una nuova rivoluzionaria arte della parola — si risolve per Plinio in una
fuso ma vitale, aperto sul mondo della cultura antica. Questo uomo-biblioteca
confusione impersonale e magmatica.
o, meglio, uomo-schedario, ha, da un certo punto di vista, assolto benissimo
Un’opera nata L’opera era troppo lunga per essere letta difilato (non molti avranno
il suo faticoso compito.
per la osato farlo, in qualsiasi epoca) e anche, naturalmente, per essere usata nelle
consultazione scuole. D’altra parte, l’architettura generale è separabile in blocchi omoge­
nei (per esempio la geografia della terra, la botanica, i rimedi farmacologici,
ecc.), e gli indici della materia e degli autori utilizzati facilitano la consulta­
zione. Bisogna riconoscere che la Naturalis historia, prima che le nostre en­ 2. Uno scrittore tecnico: Frontino
ciclopedie moderne generalizzino l’uso dell’ordine alfabetico e di altri accor­
gimenti pratici, è uno dei testi antichi meglio organizzati e consultabili.
Vita e opere di A Plinio si può avvicinare, per epoca, biografia, e in parte per interessi,
Frontino Sesto Giulio Frontino, console nel 74, legato di Britannia, poi nel 96-97,
Fortuna della Naturalis historia sotto Nerva, curator aquarum, cioè direttore degli acquedotti; morì sotto
Traiano, dopo essere stato nuovamente console.
Come Plinio, Frontino si segnala per zelo sia nella carriera che nell’e­
Perciò l’opera ha avuto una duplice sopravvivenza. Da un lato, si co­
stensione di opere a carattere tecnico. I suoi due testi conservatici, De aquis
minciò molto presto a manipolarla. Se ne trassero riduzioni, compilazioni
(o De aquae ductu) urbis Romae e Strategemata, denotano però limitate
di singole parti a contenuto omogeneo (per esempio la Medicina Plinii, un
ambizioni letterarie: si tratta di opere del tipo Commentarii («Note e osser­
breviario medico che avrà buona diffusione nel Medioevo), e antologie, in
vazioni», «Ricordi», «Studi»: una produzione dai confini incerti, in cui si
cui si accentuava sempre più il gusto esclusivo per l’anomalo e il curioso
inserisce tanto un capolavoro della memorialistica, l’opera di Cesare, quanto
(per esempio i Collectanea rerum memorabilium assemblati nel III-IV secolo
la più umile raccolta di appunti personali: cfr. p. 195).
da Giulio Solino, e poi molto ripresi nella tarda antichità). Tuttavia, questa
Analisi delle Il De aquis urbis Romae è una buona e concreta trattazione dei proble­
fortuna «manipolata» non arrivò a uccidere del tutto la diffusione del testo
opere di Frontino mi di approvvigionamento idrico a Roma: riflette l’impegno tecnico di Fron­
originale. La Naturalis historia continuò a essere copiata nei secoli bui del
tino come responsabile degli acquedotti, un settore in cui i Romani avevano
Medioevo. In questo periodo Plinio funzionò come un’immensa zattera di
raggiunto eccellenti risultati. I quattro libri degli Strategemata (l’autenticità
salvataggio: i suoi smisurati indici di fonti e autori erano una garanzia, pro­
del libro IV ha però sollevato qualche problema) non si segnalano altrettan­
mettevano accesso a tesori di sapere che rischiavano di perdersi. Nel corso
to per competenza e precisione. L ’opera è in pratica una raccolta di aneddo­
del Medioevo il nome di Plinio crebbe sempre più di autorità, sino a un
ti militari, un derivato più ristretto del filone aperto da Valerio Massimo
fenomeno paradossale: questo autore che aveva rinunciato a qualsiasi origi­
420 PLINIO IL VECCHIO E IL SAPERE SPECIALISTICO

con i suoi Facta et dieta memorabìlìa. Se Frontino davvero mirava a un’uti­


lità pratica presso gli uomini di guerra (lui stesso aveva combattuto con
successo, in Britannia), il risultato è discutibile: l’informazione è generica
MARZIALE E L’EPIGRAMMA
e frutto di compilazione non sempre precisa.
Frontino e gli Frontino, oltre che di arte militare e di idraulica, aveva trattato anche
agrimensori di agrimensura (la disciplina che ha per oggetto la rilevazione, la rappresen­
tazione cartografica e la determinazione della superficie agraria di un terre­
no). Questa scienza, che si avvaleva di uno strumento, simile al nostro go­
niometro, chiamato groma (donde anche il nome di gromatici dato agli agri­
mensori), aveva in Roma numerosi cultori. Il trattato di Frontino è andato
perduto (ne abbiamo solo degli estratti), ma ne conserviamo vari altri di Vita e Marco Valerio Marziale nacque a Bilbilis, nella Spagna Tarragonese, il 1° mar­
suoi contemporanei e di autori di età più tarde, a testimonianza del rilievo testimonianze zo di uno degli anni che vanno dal 38 al 41 d.C. (questa e altre notizie biografiche
che aveva l’agrimensura. ci vengono dai suoi stessi versi e da una lettera di Plinio il Giovane). Venne a Roma
nel 64, trovandovi il generoso appoggio della famiglia spagnola più in vista nella
capitale, quella di Seneca, che lo introdusse nella buona società: conobbe Calpur-
nio Pisone e gli ambienti dell’opposizione senatoria a Nerone, sui quali però nel
Bibliografia 65 si doveva abbattere la cruenta repressione dell’imperatore (in occasione della
La Naturalis historia è edita e com­ to generale: W. H . S t a h l , La scienza dei
m entata per singoli libri, con versione R om ani, Roma-Bari 1974; O. N e u g e - congiura detta appunto pisoniana). Da allora, per alcuni anni, condusse probabil­
francese a fronte, nella serie «Les Belles b a u e r , The E xact Sciences in A n tiq u ity,
mente vita modesta, svolgendo attività poetica come cliente. Dovette comunque
Lettres», a partire dal 1949 (siamo o r­ Providence 1957; AA.YV., Plinio e la N a­ ottenere una certa notorietà, se nell’80 compose (verosimilmente su commissione
mai vicini al com pletamento dell’opera). tura, Como 1982; AA.VV., Plinio il Vec­ di ambienti di corte) e pubblicò una raccolta di epigrammi per celebrare l’inaugura­
Esistono molti studi particolari su singo­ chio sotto il p ro filo storico e letterario, zione dell’Anfiteatro Flavio: l’opera gli valse un riconoscimento, anche economico,
li comparti dell’erudizione di Plinio, men­ Como 1982; M. V e g e t t i , L o spettacolo del nuovo imperatore Tito. Dall’84-85, comincia a pubblicare regolarmente i suoi
tre più trascurata è rim asta l’indagine sti­ della natura. Circo, teatro e potere in Pli­ componimenti: il successo gli arrise, e ricoprì anche cariche onorifiche (fu tribuno
listica. L ’opera è ora accessibile in edi­ nio, in «A ut A ut», 184-185, 1981, p. I l i militare, e quindi ottenne il rango equestre), venendo a contatto con personalità
zione con traduzione italiana e note in segg.; G. E. R. L l o y d , Magic, Reason
6 tom i (a cura di G. B. C o n t e e altri), eminenti (come il futuro imperatore Nerva e scrittori quali Silio Italico, Plinio il Giova­
and Experience, Cambridge 1979.
Torino 1982-1988. Nel prim o tom o del­ ne, Quintiliano, Giovenale), ma non ne conseguirono consistenti benefici economici
Di Frontino si hanno edizioni criti­
l’opera un am pio saggio introduttivo di che, per gli Strategemata, di G. B e n d z , (nell’antichità non esistevano diritti d’autore, per cui era il solo libraio a ricavare profit­
G. Β. C o n t e , bibliografia e altri sussidi Berlin 1978; per il D e aquis urbis Rom ae ti dalla vendita dei libri): sono ricorrenti le sue lamentele per i disagi sofferti e per la dif­
eruditi. di C. K u n d e r e w ic z , Leipzig 1973. Sugli ficoltà di trovare protettori e patroni disposti a concedergli riconoscimenti e sostegno.
Quasi tutte le storie del pensiero acquedotti rom ani vedi T. A sh b y , The Nell’87-88, infastidito dalla vita cittadina, lascia Roma per un soggiorno a
scientifico danno ampio spazio a Plinio A queducts o f A ncient R om e, O xford Forum Corneli (Imola) e in altre città emiliane, ma torna dopo breve tempo nella
il Vecchio. Alcune opere di orientam en­ 1935. capitale, che lascia definitivamente nel 98, quando si decide a tornare (grazie
all’aiuto di Plinio il Giovane, che gli paga il viaggio) nella sua Bilbilis. LI trova la tran­
quillità cercata, ma anche la grettezza di un ambiente provinciale dove rimpiange
la turbolenta vita di Roma. Deluso e sempre inquieto, muore a Bilbilis verso il 104.
Opere Di Marziale ci resta una raccolta di Epigrammi distribuiti in 12 libri composti
e via via pubblicati fra Γ86 e il 101-102 d.C. Tale corpo centrale è preceduto
da un altro libro a sé di una trentina di epigrammi (Epigrammaton liber), compo­
sto autonomamente — come s’è detto — nell’80 e oggi noto come Liber de spec-
taculis o Liber spectaculorum, e seguito da altri due libri (comunemente citati
come XIII e XIV) dotati anch’essi di titolo autonomo. Sono rispettivamente gli
Xenia e gli Apophoreta, pubblicati fra Γ84 e Γ85: si tratta di brevissime iscrizioni,
ognuna di un solo distico, per accompagnare, a mo’ di etichetta apposta sull’og­
getto, doni di varia natura in occasione della festa dei Saturnali (gli Xenia, cioè
«doni per gli ospiti»), e omaggi offerti nei banchetti ai convitati (gli Apophoreta,
cioè «da portar via»). La disposizione attuale dell’intero corpus marzialiano ripro­
duce probabilmente quella di un’edizione antica, successiva alla morte dell’autore.
I metri sono vari: accanto al distico elegiaco, largamente prevalente, sono
frequenti anche falecio e scazonte, ma non mancano altri metri diversi. Varie
sono anche le dimensioni dei componimenti: daH’epigramma di un solo distico
(o addirittura di un solo verso) a quelli di dieci o più versi, fino ad alcune decine.
Nell’ordinare gli epigrammi nei libri, Marziale ha distribuito in modo equilibrato
422 MARZIALE E L'EPIGRAMMA
L’EPIGRAMMA COME POESIA REALISTICA 423

e vario i carmi facendo attenzione al loro metro e all’estensione, attento soprattut­


che Marziale entrasse in attività, al genere epigrammatico era toccata una
to ad evitare ripetitività e piattezza. Gli epigrammi sono in totale più di 1500,
per un complesso di quasi 10.000 versi.
grande, diffusa fortuna: alla funzione cortigiana (l’epigramma poteva pre­
starsi ad un atto di omaggio o all’accompagnamento di un dono, come av­
viene nella Corona di Filippo) si alternava la possibilità dello scherzo e del­
l’intrattenimento giocoso (è il caso degli epigrammi scommatici).
1. L’epigramma come poesia realistica L’epigramma dì A Roma, Catullo valorizza la forma breve (già in sé privilegiata dalla
Catullo poetica callimachea) come la più idonea a esprimere sentimenti, gusti, pas­
Coesistenza di Un aspetto importante della cultura letteraria dell’età dei Flavi, nel clima sioni, cioè i temi della vita individuale, nonché a farsi strumento di vivace
epica ed di restaurazione morale che la caratterizza, è la tendenza al recupero del ge­ aggressione polemica (e a tale scopo l’epigramma fu sfruttato anche da altri
epigrammi nere poetico più alto, l’epica (Stazio, Silio Italico, Valerio Fiacco); ma si assi­ L’epigramma di poeti dell’ambiente neoterico). Marziale farà dell’epigramma il suo genere
nell’età dei Flavi
ste anche alla diffusione e al cospicuo successo di un genere come l’epigram­ Marziale e esclusivo, l’unica forma della sua poesia, apprezzandone soprattutto la dut­
ma che — è lo stesso Marziale ad attestarlo (XII 94,9) — è considerato il l’aderenza alla tilità, la facilità ad aderire ai molteplici aspetti del reale. La varietà, la mobi­
vita quotidiana lità di un genere agile come l’epigramma sono i pregi che Marziale polemica-
più umile di tutti. A Roma l’epigramma non aveva una grande tradizione:
fra i suoi auctores Marziale indica, accanto a poeti minori (Domizio Marso, mente contrappone ai generi illustri, all’epos e alla tragedia, coi loro toni
Albinovano Pedone, Lentulo Getulico) della cui produzione poco o nulla sap­ seriosi e i loro contenuti abusati, quelle trite vicende mitologiche tanto lon­
piamo, soprattutto Catullo, che svolge una funzione importante di mediazio­ tane dalla realtà della vita quotidiana.
ne fra cultura greca e latina nella storia di questo genere letterario. È proprio il realismo, l’aderenza alla vita concreta, che Marziale riven­
Epigramma come L’origine delPepigrammà risale all’età greca arcaica, dove la sua funzio­ dica come tratto qualificante della propria poesia (hominem pagina nostra
poesia ne (come il nome stesso attesta: «iscrizione») era essenzialmente commemo­ sapit, X 4,10), e che vede orgogliosamente confermato dall’enorme successo
commemorativa e rativa: era inciso ad esempio su pietre tombali, o su offerte votive, a ricor­ Successo e che il pubblico le accorda. Nei suoi epigrammi quel pubblico poteva trovare
come poesia
dare una persona, un monumento, un luogo o un evento famoso (come
argomenti degli la concisa rievocazione di un evento spettacolare (come nel De spectaculis),
d ’occasione epigrammi di o lo spunto per accompagnare con un bon mot, con un arguto biglietto
l’epigramma di Simonide per i caduti alle Termopili). In età ellenistica però Marziale poetico, un dono agli amici o ai convitati (come nelle raccolte di Xenia
l’epigramma, pur conservando la sua caratteristica brevità, mostra di essersi
e Apophoreta), oppure la commemorazione di fatti concreti, di momenti
emancipato dalla forma epigrafica e dalla destinazione pratica: è un tipo
importanti nella vita dei vari destinatari come nascite, matrimoni, feste, ce­
di componimento adatto alla poesia d’occasione, a fissare nel giro di pochi
lebrazioni, ecc.: vi ritrovava cioè la propria esperienza filtrata e nobilitata
versi l’impressione di un momento, di un piccolo avvenimento quotidiano
da una forma artistica dotata di agilità e pregnanza espressiva. Un tipo di
(la funzione svolta dal sonetto o dalla lirica nella poesia moderna). I temi
poesia quindi che coniuga fruibilità pratica e divertimento letterario, tratteg­
sono di tipo leggero: erotico, simposiaco, satirico-parodistico, accanto a quelli
giando un quadro variegato e incisivo della realtà quotidiana con le sue
più tradizionali, ad esempio di carattere funebre (anche nella forma lieve­
contraddizioni e i suoi paradossi.
mente parodistica dell’epicedio per animaletti): la Corona di Meleagro, poi
Marziale e il Marziale osserva lo spettacolo della realtà e dei vari personaggi che ne
confluita nell’Anthologia Palatina, è il documento che meglio ci illustra la
divertente occupano la scena con uno sguardo deformante che ne accentua i tratti grot­
natura e la diffusione dell’epigramma in età ellenistica. Nell’ambito della
spettacolo del teschi e li riconduce a tipologie ricorrenti (parassiti, vanitosi, plagiari, spilor­
poesia latina, l’epigramma non aveva una grande tradizione, e di essa ben mondo ci, imbroglioni, cacciatori di eredità, poetastri petulanti, medici pericolosi,
poco ci è rimasto: con l’eccezione di Catullo, quasi nulla sappiamo dei poeti
ecc.): deformazione e grottesco sono il frutto di una tecnica di rappresenta­
che Marziale indica come suoi auctores. È vero, peraltro, che, oltre ai poeti
zione molto ravvicinata, un effetto ottico che, secondo i modi propri dell’e­
di professione, molti uomini politici amavano comporre versiculi (come ci
pigramma scommatico, focalizza singoli personaggi e tratti isolati negando
attesta Plinio il Giovane): per questi, la poesia epigrammatica era poco più
loro uno sfondo, un contorno, come se, per meglio mostrarli, fossero strap­
di un modo raffinato di impiegare il proprio otium, quasi un passatempo
pati al contesto, come fossero sospesi nel vuoto, «de-realizzati», per così
senza grandi ambizioni di dignità letteraria. Di fatto è solo con l’opera di
dire. L’atteggiamento del poeta è però quello di un osservatore attento ma
Marziale che l’epigramma trova riconoscimento artistico: è così che una for­
per lo più distaccato, che raramente si impegna nel giudizio morale e nella
ma poetica minore, una volta che l’ambiente di cortigiani e patroni le conce­
condanna: una satira sociale priva di asprezza (parcere personis, dicere de
de un suo legittimo «spazio di destinazione», diventa facilmente una compo­
vitiis, X 33,10), che di fronte allo spettacolo assurdo del mondo cui si trova
nente del galateo sociale, e finisce per acquistare anche valore autonomo ad assistere preferisce il sorriso all’indignazione risentita, e tutt’al più ama
e dignità artistica.
vagheggiare qua e là, per contrasto, una vita fatta di gioie semplici e natura­
Ma non si deve dimenticare che nella Roma della prima età imperiale li, di passatempi tranquilli e affetti sinceri (cfr. ad esempio I 55 e X 47),
anche l’epigramma in lingua greca conosce notevole fioritura: a ricordarcelo un sogno che assume talora gli idillici contorni della patria spagnola (I 49,
basterebbero, da una parte, la pubblicazione della Corona di Filippo — nel­ X 96).
l’età di Caligola — e dall’altra il successo dell’epigramma «scommatico»
(invettiva sarcastica) di Lucillio — in età neroniana. Pochi decenni prima
424 MARZIALE E L’EPIGRAMMA LA FORTUNA - BIBLIOGRAFIA 425

2. Il meccanismo dell’arguzia temi e riproduce la mobilità e la varietà del mondo reale di cui l’epigramma
intende farsi interprete.
Prevalenza I temi degli epigrammi di Marziale sono vari, e investono l’intera espe­
dell’aspetto rienza umana: accanto a quelli più radicati nella tradizione (come l’epigram­
comico-satirico ma funerario, di cui egli ci offre esempi di rara delicatezza), altri riguardano
3. La fortuna
più da vicino le vicende personali del poeta (molti sono gli epigrammi di
polemica letteraria, in cui Marziale illustra le sue scelte poetiche o lamenta
la decadenza delle lettere e del mecenatismo) o il costume sociale del tempo Fortuna di Il successo di Marziale fu immediato, come si è detto, e duraturo: fortis­
(come ad esempio negli epigrammi celebrativi, o propriamente adulatori nei Marziale simo il suo influsso sui poeti di epigrammi e carmi brevi della tarda antichi­
confronti dell’imperatore Domiziano). tà, come Ausonio, Claudiano, Sidonio Apollinare. Il Medioevo lo conobbe
In generale, rispetto alla tradizione l’epigramma di Marziale sviluppa soprattutto attraverso florilegi di versi sentenziosi e brani moraleggianti, mo­
fortemente l’aspetto comico-satirico: in ciò prosegue un processo avviato strando così di cogliere l’amarezza satirica in cui talvolta si condensa il delu­
già da un precedente autore di epigrammi, il poeta greco di età neroniana dente spettacolo delle miserie umane. Lo apprezzò Boccaccio, avviandone
Lucillio, che aveva fatto largo spazio a personaggi caratterizzati da vistosi l’enorme fortuna raggiunta in età umanistica e rinascimentale, quando il
difetti fisici, a tipi e caratteri sociali rappresentati comicamente, e si inserisce poeta latino fu assunto a maestro e modello della nuova moda di comporre
nella tradizione satirica romana, attenta all’analisi del costume sociale e pronta epigrammi (vi si cimentarono fra l’altro il Pontano e il Sannazaro). La sua
La tecnica della a tratteggiarne i tipi più rappresentativi. Ma da Lucillio Marziale mutua fama restò altissima nei secoli XVI-XVIII, quando l’epigramma conobbe
trovata finale anche alcuni procedimenti formali, come ad esempio la tecnica della trovata la sua stagione più fiorente, per declinare nell’Ottocento insieme alle sorti
finale, della battuta che chiude in maniera brillante il breve giro del pensie­ del genere poetico cui Marziale aveva indissolubilmente legato il suo nome.
ro. La tendenza a concentrare l’arguzia nella chiusa si avvertiva già nell’epi­
gramma ellenistico, ma era stato appunto Lucillio a sviluppare questo proce­
dimento e sarà Marziale a perfezionarlo: con lui l’epigramma acquista una
fisionomia e una forma tipica, diventa un meccanismo comico costruito ap­ Bibliografia Fra le edizioni critiche, fondam en­ le m m e ,M arziale e la «poetica» degli
punto in funzione del fulm en in clausula, della stoccata finale. Un tratto, tale quella di W . M. L in d s a y , Oxford oggetti, Napoli 1976; M. C it r o n i , M o ­
questo, che s’accorda col gusto della pointe tanto caro alla retorica contem­ 19292; unico commento completo quello tivi di polem ica letteraria negli epi­
poranea (già Seneca padre ne aveva raccolti alcuni esempi significativi). Le di L. F r ie d l à n d e r , Leipzig 1886. Eccel­ gram m i di Marziale, in «Dial. Archeol.»,
Schema-tipo
lente il commento al libro I di M. C it r o - 1968; I d . , L a teoria lessinghiana del­
dell’epigramma forme compositive sono svariate, ma generalmente si riconducono a una n i , Firenze 1975. l ’epigramma e le interpretazioni m oder­
modalità ricorrente che ha indotto i critici (fin dal Lessing) a fissare uno F ra i saggi si veda: C. M a r c h e s i , ne di M arziale, in «M aia», 1969; I d . ,
schema-tipo dell’epigramma (anche in funzione normativa), costruito su una Valerio Marziale, M ilano 19402; I. L a ­ M arziale, in A A .V V ., Dizionario degli
prima parte, che descrive la situazione, l’oggetto, il personaggio, suscitando n a , M arziale poeta della contraddizione, scrittori classici, M ilano (in corso di
in «Riv. Filol. Istr. Class.», 1955; C. S a - stampa).
nel lettore una tensione di attesa, e la parte finale che — con effetto brusca­
mente sorprendente (aprosdóketon) — scarica quella tensione in un parados­
so, in una «impennata» illuminante.
Il linguaggio Una scelta di poesia realistica come quella che Marziale pratica e ripetu­
realistico di tamente ribadisce comporta naturalmente un linguaggio e uno stile confor­
Marziale mi, aperti alla vivacità dei modi colloquiali e alla ricchezza del lessico quoti­
diano. Accanto ai termini che designano la realtà umile e ordinaria, Marzia­
le si compiace spesso di introdurne altri drasticamente osceni (il realismo
osceno è un aspetto rilevante della sua poesia, che il poeta sente il bisogno
di giustificare col ricorso al motivo — già catulliano e ovidiano — della
distinzione fra arte e vita: lasciva est nobis pagina, vita proba, I 4,8), la
cui efficacia espressiva viene talora esaltata dall’abilità della collocazione
Varietà di toni in e degli accostamenti. Ma un poeta duttile come Marziale sa alternare forme
Marziale espressive molto varie, passando da toni di limpida sobrietà ad altri di mag­
giore eleganza e ricercatezza (notevole il ricorso in funzione parodistica ai
moduli solenni della poesia illustre): in quest’ambito, i suoi epigrammi cele­
brativi e adulatori sono un documento importante del linguaggio manierato
in uso negli ambienti di corte e nella sfera della cultura ufficiale. Una ric­
chezza, quindi, di modalità espressive che corrisponde alla molteplicità dei
I RIMEDI ALLA CORRUZIONE DELL’ELOQUENZA 427

scuole erano abbastanza diffuse figure di insegnanti corrotti e a loro volta


corruttori della moralità degli allievi (era tristemente celebre l’esempio di
QUINTILIANO quel Remmio Palèmone che fu tra i maestri di Quintiliano). Un secondo
risvolto del problema era quello relativo alle scelte letterarie, perché nelle
virtù e nei vizi dello stile taluni vedevano l’espressione di virtù e vizi del
carattere. In epoca flavia fu particolarmente acceso il dibattito fra i diversi
orientamenti dell’oratoria: l’arcaizzante, il modernizzante, il ciceroniano. Dal
punto di vista dei gusti letterari, Quintiliano fu il vessillifero di una reazione
classicistica nei confronti dello stile «corrotto» e «degenerato» di cui egli
vedeva in Seneca il principale esponente e insieme il maggiore responsabile.
I rimedi: Quintiliano, non diversamente da altri autori antichi, vede in termini
Vita Marco Fabio Quintiliano nacque a Calagurris (oggi Calahorra), in Spagna,
risanamento dei moralistici il problema della degenerazione dell’eloquenza, e ne addita le
costumi e cause nella generale degradazione dei costumi; ma egli è in primo luogo
intorno al 35 d.C.: suo padre era maestro di retorica. In gioventù si trasferì a
rifondazione delle un uomo di larga esperienza scolastica, profondamente convinto dell’effica­
Roma, dove seguì l’insegnamento del grammatico Remmio Palèmone e del reto­
scuole
re Domizio Afro. Successivamente fece ritorno in Spagna, dove probabilmente cia dell’educazione. La corruzione dell’oratoria ha ai suoi occhi anche cause
svolse attività forense. Fu richiamato a Roma da Galba, nel 68 d.C., ed incomin­ «tecniche», che egli ravvisa nel decadimento delle scuole e nella vacuità stra­
ciò la sua attività di maestro di retorica, senza tuttavia interrompere l’avvocatura. vagante delle declamazioni retoriche. A una rinnovata serietà dell’insegna­
La sua attività di insegnamento ebbe grande successo (ebbe fra i suoi discepoli mento egli affida pertanto il compito di ovviare al problema nella misura
Plinio il Giovane e probabilmente Tacito), tanto che nel 78 Vespasiano gli affidò in cui è possibile. L'Institutio oratoria delinea pertanto un programma com­
la prima cattedra statale con uno stipendio di centomila sesterzi annui. Domizia­ plessivo di formazione culturale e morale, che il futuro oratore deve seguire
no lo incaricò dell’educazione di due suoi nipoti, cosa che fece ottenere a Quinti­
scrupolosamente dall’infanzia fino all’ingresso nella vita pubblica.
liano gli ornamenta consularia. Dopo vent’anni, cioè nell’88, si ritirò dall’insegna­
mento e dall’attività forense, dedicandosi esclusivamente agli studi. Morì dopo il 95.
Riassunto della La Institutio oratoria è dedicata a Vitorio M arcello (un oratore che era am m irato
Institutio oratoria anche da Stazio ed era amico di Valerio Probo) e preceduta da una lettera a Trifone,
Opere È andato perduto un trattato, De causis corruptae eloquentiae. Pure perduti l’«editore» che deve curarne la diffusione; si com pone, come abbiam o accennato,
i due libri De arte rhetorica, sorta di dispense che gli allievi di Quintiliano trassero di dodici libri. I primi due libri sono propriam ente didattici e pedagogici: trattano
dalle sue lezioni e pubblicarono contro la volontà del maestro. Si è invece conserva­ dell’insegnamento elementare e delle basi di quello retorico, discutendo fra l’altro
ta l’opera principale di Quintiliano, in 12 libri, la Institutio oratoria, iniziata forse dei doveri degli insegnanti. I libri III-IX si addentrano in una trattazione più tecnica
nel 93, e pubblicata probabilmente poco prima della morte di Domiziano, nel 96. che esamina analiticamente le diverse sezioni della retorica, dalle sue suddivisioni
Sotto il nome di Quintiliano i manoscritti ci tramandano due raccolte di declamazio­ fino alla elocutio e alle figure di parola e di pensiero. Il libro X insegna i modi
ni (19 declamationes maiores e 145 declamationes minores: queste ultime sono di acquisire la facilitas, cioè la disinvoltura nell’espressione; prendendo in esame
gli autori da leggere e da imitare, Quintiliano inserisce qui un famoso excursus storico­
la parte superstite di una raccolta che ne contava originariamente 388). Nonostante
letterario sugli scrittori greci e latini, preziosa testim onianza sui canoni critici dell’an­
opinioni discordi, è ormai accettato dalla critica di considerare spuri questi due tichità; m a i giudizi critici hanno carattere esclusivamente retorico, e questo dà in
libri di Declamationes. Le diciannove maiores soprattutto sembrano non potersi qualche modo ragione di strane valutazioni e di inattese omissioni: Quintiliano è
attribuire a Quintiliano per il forte colorito stilistico alieno dai gusti e dai giudizi tu tto teso a m ostrare come la cultura letteraria latina regga il confronto con la greca
che in più occasioni egli esprime (cfr. per esempio Institutio oratoria II 10,4); circola­ (molti dei suoi giudizi sono divenuti formule classiche della critica: per esempio su
vano già nel IV secolo sotto il nome di Quintiliano e sembrerebbero frutto di una M enandro, Tucidide, Sallustio, Livio, Lucano). Il libro XI si occupa delle tecniche
raccolta compiuta in questo periodo o in età di poco anteriore. Risalgono invece ad di memorizzazione e dell’arte del porgere. Infine il libro X II affro n ta in m aniera
un periodo precedente (tra I e II secolo) le minores·. alcune di queste potrebbero anche abbastanza desultoria varie tematiche attinenti ai requisiti culturali e m orali che si
essere autentiche (ma è impossibile dimostrarlo) o almeno di scuola quintilianea. richiedono all’oratore, e accenna anche al problema dei rapporti fra oratore e principe.

Fonti Alcune notizie su se stesso e la propria attività dà lo stesso Quintiliano in alcuni Il ritorno a Scopo dichiarato di Quintiliano fu quello di riprendere, adattandola ai
passi della Institutio oratoria; altre ne forniscono la Cronaca di Girolamo e cenni Cicerone propri tempi, l’eredità di Cicerone: un compito che egli seppe assolvere con
sparsi in altri vari autori (per esempio Marziale II 90; Giovenale 7,186 segg.). finezza e senso della misura. Nel ritorno a Cicerone si esprime, da parte
di Quintiliano, l’esigenza di ritrovare una sanità di espressione che sia insie­
me sintomo della saldezza dei costumi. Può darsi che una simile esigenza
debba spiegarsi anche sullo sfondo dei più vasti mutamenti sociali ai quali
1. I rimedi alla corruzione dell’eloquenza
una volta accenna Tacito (Annales III 55), osservando come, con l’ascesa
al potere di Vespasiano, le «stravaganze» dell’età neroniana dovettero cede­
La corruzione Il problema della corruzione dell’eloquenza investiva contemporanea­ re il posto a standard più sobri: in parte perché i novi homines di provenien­
dell’eloquenza: mente questioni morali e di gusto letterario: il primo aspetto era particolar­ za italica e provinciale, raggiungendo posizioni di preminenza, tendevano
aspetto morale e mente evidente nel diffuso malcostume della delazione, che spesso asserviva
aspetto letterario
a reintrodurre codici di comportamento più aderenti alla tradizione quiritaria.
l’eloquenza a fini di ricatto materiale e morale; inoltre, a quanto pare, nelle
428 QUINTILIANO' L’ORATORE e IL PRINCIPE 429

L’affermarsi del Quando, presumibilmente intorno al 90 d.C., Quintiliano pubblicò il primo piano la scelta degli scrittori greci e latini. Per quanto talora riecheggi
nuovo classicismo suo (per noi perduto) De causis corruptae eloquentiae, il Nuovo Stile di schemi convenzionali, Quintiliano dà prova di equilibrio notevole soprattut­
cui Seneca pochi decenni prima era stato l’esponente più illustre, contava to laddove prende posizione nella disputa — che si protraeva dai tempi di
ancora seguaci e ammiratori. Ma già solo pochi anni dopo, ai tempi àell’In- Cicerone e poi di Orazio — sulla superiorità degli scrittori antichi o dei
stitutio, la situazione pare alquanto mutata: il nuovo classicismo è un movi­ moderni: negli arcaici vede per esempio notevoli manchevolezze, ma sa di­
mento che va affermandosi, ed è praticamente vinta la battaglia di Quintilia­ stinguere fra ciò che deve essere attribuito (a lode o a biasimo) specificamen­
no, suo leader culturale. Resta però ancora l’esigenza di condannare alcuni te al poeta, e quanto invece all’età in cui visse.
intollerabili tratti della stravaganza modernista (intollerabili per Quintiliano, Lo stile: la Nel programma di Quintiliano, le letture degli autori più diversi hanno
che pure non è un classicista intransigente, e sa anzi concedere riconosci­ reinterpretazione lo scopo precipuo di formare lo stile dell’oratore. Ma a quest’ultimo Quinti­
La polemica menti allo stile di Seneca): il libro V ili dell’Institutio conserva una viva del modello liano addita, come si è accennato, soprattutto il modello ciceroniano, e tut­
contro le polemica contro le sententiae della maniera senecana. Originariamente — ciceroniano tavia senza servilismi. Il modello ciceroniano è reinterpretato ai fini di una
sententiae argomenta Quintiliano — sententia voleva dire genericamente e semplice- ideale equidistanza fra asciuttezza e ampollosità. In realtà Quintiliano era
mente «giudizio», «opinione»; succede invece che ora si indicano così «i altrettanto avverso all’arcaismo che di lì a non molto avrebbe trovato in
tratti brillanti del discorso, soprattutto quelli che sono collocati alla fine Frontone il suo corifèo (cfr. p. 484), e all’eccessivo «modernismo» dell’asia­
del periodo» (lumina praecipueque in clausulis posita V ili 5, 2). Le senten­ nesimo senecano, la corrupta oratio dal periodare a volte turgido, più spesso
tiae sono diventate un artificio per rendere vivace il discorso. È facile rico­ lambiccato e lezioso. Ciò nonostante, lo stile dello stesso Quintiliano non
noscere l’oggetto della polemica: lo scintillare continuo di piccole sentenze è armoniosamente ampio e simmetrico come quello di Cicerone; in qualche
che spezzano il discorso e lo rendono discontinuo e imprevedibile, come modo, esso appare aver subito il condizionamento esercitato dalla prosa di
scatti e salti del pensiero che vogliono colpire il lettore. Di questi artifici Seneca. Ma in generale si deve riconoscere che lo stile di Quintiliano rappre­
si alimenta appunto lo stile sconnesso e spezzettato di Seneca, il suo scrivere senta il miglior esempio delle virtù che egli stesso raccomanda: ricerca al
‘ad effetto’; e da questi artifici soprattutto dovevano essere attratti epigoni massimo la perspicuità ed evita gli eccessi dell’ostentazione espressiva. Fles­
ed imitatori. «Oggi si vuole — continua Quintiliano, poco più avanti — sibile e antidogmatico, più che perseguire intenti di originalità mostra equili­
che ogni passo, ogni pensiero che chiude un periodo colpisca l’orecchio. brio nella scelta dei modelli cui adeguare il discorso. Lo stesso suo gusto
E si pensa sia vergogna, quasi un crimine, riprender fiato senza aver ogni per la misura, per il giudizio sorretto dall’esperienza (e alieno perciò da
volta provocato applausi. Ecco di dove nascono quei pensierini (sensiculi) estremismi precostituiti) fece di Quintiliano un autore particolarmente caro
messi in pezzetti, guastati, e cercati lontano, al di fuori dell’argomento. Si al Medioevo e in generale alla cultura del Rinascimento.
capisce: non ci possono essere tante buone sententiae quante sono le volte
Docere e movere: che la frase ha bisogno di concludersi». Il fatto è che Quintiliano, in ultima
l’importanza del analisi, riteneva che l’elocuzione dovesse svolgersi anzitutto in funzione della
destinatario «sostanza delle cose» (i rerum pondera di Instit. X 1, 130), laddove Seneca
3. L’oratore e il principe
mirava all’ascoltatore, all’esigenza di catturarne l’interesse e di guidarne le
reazioni. Così la polemica di Quintiliano contro Seneca e il Nuovo Stile
(potremmo dire semplificando) rappresentava in realtà lo scontro tra due L’ultimo libro Un problema particolare pone il XII e ultimo libro della Institutio, dove
diverse istanze del discorso: una era l’esigenza del docere, quella che fonda della Institutio: la Quintiliano accenna alla questione dei rapporti fra oratore e principe. Alcu­
il discorso sull’oggettività delle cose dette e considera l’autore (cioè chi parla rivendicazione ni interpreti hanno attribuito a Quintiliano l’ideale dell’oratore come «buro­
o scrive) come l’unico ‘attore’ del testo; l’altra, caratteristica del Nuovo della crate della parola»: un funzionario subalterno che si serve della tecnica ora­
Stile, era l’esigenza del movere, quella che carica il senso del discorso sul «professionalità» toria che detiene per trasmettere al proprio uditorio — principalmente il
destinatario, sull’ascoltatore, e fa di lui (o meglio della sua percezione e senato — le direttive dell’imperatore. Grande rilievo, in questa prospettiva,
delle emozioni con cui egli reagisce) il vero ‘prim’attore’ del testo. è stato ovviamente attribuito al fatto che Quintiliano sia divenuto a un certo
punto il primo titolare di una cattedra di retorica ufficialmente stipendiata.
Più probabilmente Quintiliano si schierava fra quegli intellettuali che, come
farà Tacito (cfr. più avanti), accettavano il principato come una necessità.
2. Il programma educativo di Quintiliano Nei limiti di questa situazione precostituita, il suo sforzo fu di ottenere per
l’oratore il massimo di «professionalità» insieme a un alto grado di dignità.
L ’oratore quintilianeo non pone certo in discussione il regime, ma le doti
Retorica e cultura Il tipo di oratore ideale che Quintiliano delinea si avvicina a quello cice­ morali che deve possedere — sulle quali Quintiliano, come si è visto, insiste
letteraria roniano (cfr. p. 162 seg.) per la vastità della formazione culturale richiesta; lungamente — sono utili, prima che al principe, alla società in generale (tali
ma in questa formazione generale, la filosofia sembra avere perduto terreno qualità morali allontanano per esempio l’oratore dalle tentazioni della dela­
rispetto alla retorica e alla cultura letteraria, di cui Quintiliano rivendica zione, che pure erano per il principe un importante strumento di potere
il primato. Perciò il programma di letture tracciato nel libro X mette in e di controllo sul ceto aristocratico). Quintiliano cercò di ricuperare, per
430 QUINTILIANO

l’oratore, lo spazio di una missione civile altrettanto aliena dal ribellismo


sterile quanto dal servilismo avvilente.
Illusioni di
Quintiliano e
Resta però vero che l’ideale propugnato da Quintiliano di un oratore
che sia ancora, secondo l’antico modello catoniano, vir bonus dicendi peri-
L’ETÀ DEGLI IMPERATORI
realismo di Tacito.
tus, guida al senato e al popolo romano, è un’illusione del tutto infondata,
quasi una negazione fatta alla realtà storica dell’impero: un giudizio ben
PER ADOZIONE
altrimenti fondato, amaramente realistico, della posizione che tocca ormai
all’oratore, ci è conservato nel più o meno contemporaneo Dialogus de ora-
tóribus di Tacito, fortemente marcato dalla coscienza di un ruolo ormai
decaduto, dalla disincantata denuncia di una irreversibile impotenza politica.

Bibliografia Edizioni moderne: M. W in t e r b o t - m a 1971; E. B o l a f f i , L a critica filo so fi­


tom , O xford 1970; L. R a d e r m a c h e r - 1. Un periodo di pace e di stabilità
ca e letteraria in Quintiliano, B ruxelles
V. B u c h h e it , Leipzig 1959; J. C o u s in , 1958; I. L a n a , L ’ultimo libro d ell’Insti-
Paris 1975. tutio Oratoria d i Quintiliano: la fo n d a ­
Studi: J. C o u s in , Études sur Quinti- zione teorica della collaborazione d ell’o­ Il periodo che comincia col principato di Nerva e arriva fino alla morte
lien, Paris 1936; Η . I. M a r r o u , Storia ratore con il principe, in «H ispania Ro­
dell’educazione nell’antichità, trad. it. Ro­ di Commodo (96-192 d.C.) è (se si eccettuano gli ultimi dodici anni, quelli
m ana», R om a 1974.
del principato di Commodo) un secolo intero di tranquillità che, a ben guar­
dare, non ha uguali (per durata e per benefici effetti) in nessun altro periodo
della storia romana precedente. Se il I secolo dell’impero era stato caratte­
rizzato da relativa instabilità politica, da tensioni e conflitti di governo, il
Il secolo — pur variando gli imperatori — è caratterizzato da una sostanzia­
le uniformità di condotta del potere. Lo stesso senato, di fatto ormai esauto­
rato, ritrova una sua parvenza di potere nei confronti dell’imperatore e fini­
sce per adattarsi ad un ruolo limitato, o meglio subordinato, ma non più
esposto a quelle aggressioni insultanti e violente che avevano segnato tanto
negativamente il governo dei Cesari del primo Impero. Il problema della
successione degli imperatori aveva trovato una soluzione soddisfacente (al­
meno finché durò) nel sistema dell’adozione: e questo garantì almeno fino
a Marco Aurelio una serie di imperatori dotati di alte qualità personali.
La stabilità raggiunta dall’ordinamento governativo attenuò quello che era
stato l’assillo continuo di congiure e ribellioni gestite dai grandi generali
dell’esercito, pronti a servirsi della propria forza militare per realizzare per­
sonali ambizioni di potere; e consentì anche agli imperatori di procedere
a riforme istituzionali e sociali prima del tutto inattuabili.
La ricerca di Anche se i confini dell’impero raggiungono ora la massima estensione,
grazia e cortesia non fu certo questo un periodo che possiamo definire eroico: regnò piutto­
sto un clima improntato in generale all’armonia e all’operosa collaborazio­
ne, grazie soprattutto alla mancanza di gravi tensioni politiche e sociali.
Questa immagine di diffusa «serenità» non deve far dimenticare il vigore
di spiriti fortemente morali, come testimoniano le profonde convinzioni e
l’impegno inflessibile di scrittori quali Tacito e Giovenale; né mancò spirito
di avventura, se guardiamo a testimonianze come il Pantheon o la Colonna
Traiana, se ricordiamo le guerre di Traiano stesso e l’apertura di traffici
con ΓEstremo Oriente. Ma è pur vero che tutto il periodo è dominato da
una nuova ricerca di grazia e cortesia, da un garbato senso della cultura
intesa come arte di forme sociali capaci di nascondere e di censurare gli
aspetti meno gradevoli del vivere reale: Plinio il Giovane può in questo sen­
so valere come personaggio emblematico dell’età traianea, un’età che si com-
432 l ’e t à DEGLI IMPERATORI PER ADOZIONE SINCRETISMO RELIGIOSO E RINASCITA DI CREDENZE OLTREMONDANE 433

Plinio il Giovane piace di credere alla felicità ritrovata daU’Impero, e quasi si meraviglia che orazioni su temi di diversa attualità e di vario interesse (religioso, morale,
e Tacito: due tutto non sia sempre stato così sereno e tranquillo come pare essere ora. politico, consolatorio). Avevano facile accoglienza presso le classi alte roma­
autori soddisfatti ne; e ricevettero tanta benevola attenzione da parte del governo imperiale,
Non c’è solo cortigianeria o retorica di maniera nel Panegirico di Traiano
della loro epoca da essere immessi nell’ordine equestre e nel senato; alcuni ebbero anche rilie­
scritto da Plinio, c’è anche il sincero entusiasmo (trasposto in forma decla­
matoria) di chi crede e vuol far credere che più forte è ora l’autorità roma­ vo nella vita politica e amministrativa dell’impero (spesso — è il caso di
na, più diffusa ora la pietas. Anche la lucida acredine di Tacito si esercita storici come Appiano e Arriano — entrarono a far parte della burocrazia
solo contro il passato, ed è così un implicito riconoscimento che le cose imperiale). Non molto diversi da loro erano intellettuali greci come Plutarco
ora (diversamente da com’era prima) stiano davvero come ama mostrare o Luciano o Galeno, il grande enciclopedista medico, ugualmente attirati
la contenta superficialità di Plinio. nell’orbita del potere romano, dove trovavano accoglienza e riconoscimenti
d’ogni tipo.
L’imperatore Se l’ellenismo e la sofistica sembrano raggiungere il loro apice nell’ope­
Adriano ra pensosa che l’imperatore Marco Aurelio scrisse in lingua greca (si tratta
dei suoi «ricordi» intitolati A se stesso), è il graeculus imperatore Adriano
2. Raffinatezza culturale e filologismo erudito
che meglio rappresenta il gusto della sua età per tale rinascita tardiva della
cultura greca. Poeta egli stesso, tenue ma raffinato, scrisse piccoli componi­
Accomodandosi alla facilità della vita sociale e alla felicità dei tempi menti alla maniera neoterica dei Catulliani (ci resta qualche frammento pie­
(mai l’impero godette di pari prosperità dal punto di vista economico, mai no di morbide intonazioni, di molli capricci verbali); dotto cultore dell’anti­
ci fu uguale stabilità politica e uguale sicurezza alle frontiere), la cultura co, interessato di filologia e di polemiche letterarie, ebbe grande responsabi­
tende ora ad un’ostentata raffinatezza. La classe colta dominante sceglie lità nell’affermarsi del nuovo ideale letterario. Il filologismo lo portava a
la via di un’estetizzazione della vita attraverso l’uso della letteratura sofisti­ schierarsi con gli arcaisti alla moda (e a mostrare preferenza per Ennio ri­
cata e delle arti ornamentali: nasce un manierismo prezioso dello stile cui spetto a Virgilio, ad anteporre Catone a Cicerone, gli annalisti a Sallustio);
Diffusione fa da corrispettivo un diffuso filologismo erudito. Non ci fu forse mai altro ma, prima ancora che come letteratissimo autore di testi poetici, egli esercitò
generalizzata periodo della storia romana in cui le lettere, e la cultura in genere, abbiano il suo influsso più decisivo come promotore di cultura: fondò anche, a Ro­
della cultura ma, una specie di accademia nota col nome di Athenaeum, nella quale face­
fruito di una protezione pubblica più ampia che in questo (nonostante i
molti lamenti che poeti e letterati in genere gettavano contro l’assenza di vano lezione e tenevano conferenze retori e intellettuali di gran nome. Il
disinteressato mecenatismo). Nacquero non poche biblioteche pubbliche vo­ classicismo che lo ispirava si mostrò ancor più pienamente nelle arti figurati­
lute dal potere politico: Traiano creò anzi nella Basilica Ulpia, situata nel ve, soprattutto nella scultura e in grandiose e magnifiche opere di architettu­
Foro Traiano, la maggiore biblioteca che Roma abbia mai avuto. Furono ra. Nella sua splendida villa di Tivoli, convertita in un vero e proprio mu­
istituiti, non solo a Roma ma anche nelle province, insegnamenti di retorica seo, egli raccolse molte opere degli antichi maestri (molti pezzi sono oggi
latina e greca (la sola Gallia arrivò in questo periodo a contare ben undici nei Musei Vaticani). Fece eseguire una grandissima quantità di copie dei
di queste scuole); mai come ora il numero di analfabeti fu altrettanto basso: classici greci: è da queste che l’età moderna ha tratto la sua prima idea
molte sono le iscrizioni incise o graffiate sul marmo che risalgono a questo di quel che fosse la grande arte greca.
periodo e testimoniano indirettamente (molte volte si tratta di iscrizioni scri­
bacchiate rozzamente) l’ampia diffusione del saper leggere e scrivere anche
presso le classi umili.
Il fiorire della Accanto a questa fioritura delle istituzioni scolastiche di medio ed alto 3. I segni del futuro: sincretismo religioso e rinascita di credenze ol­
letteratura in livello, la cultura romana conosce in questo periodo una straordinaria rifio­
greco: la
tremondane
ritura della letteratura in greco. C ’è da credere che molto contasse, a favori­
«seconda
re tale «rinascimento» greco, la predilezione che l’imperatore Adriano aveva
sofistica» e gii
per la cultura greca (ci fu chi per questo lo soprannominò Graeculus), ma Esperienze Si è ripetutamente accennato a certa «serenità» d’immagine che il II
altri autori
certo la condizione più importante del fenomeno va ricercata nell’ecceziona­ culturali orientali secolo offre nel suo complesso allo sguardo dello storico; ma si deve per
le situazione di pace e di sicurezza, e anche di relativo benessere, che caratte­ converso credere che proprio tale diffusa tranquillità socio-politica, proietta­
rizza ora tutta l’area del Mediterraneo orientale. Di questo rinascimento gre­ ta in un ideale di ritrovato classicismo, celasse dentro di sé, ed anche alimen­
co il frutto più appariscente fu certo il formarsi della scuola detta della tasse, nuovi decisivi sviluppi della cultura successiva. Il mondo romano si
«Seconda Sofistica» (restaurazione ambiziosa di quella che era fiorita al tempo sarebbe presto trasformato (sarà l’età dei Severi a lasciar emergere chiara­
di Gorgia e di Socrate). Ma non filosofi erano questi nuovi sofisti, bensì mente quelle trasformazioni dì cui ora si possono solo percepire i segni della
retori come Elio Aristide, Erode Attico, o come Frontone, il maestro ed gestazione) in una realtà sociale che, per l’influenza dilagante di esperienze
amico dell’imperatore Marco Aurelio. D ’origine greca, spesso dotati di ric­ Il ritorno delle culturali orientali, si sarebbe fatta più marcatamente cosmopolita. Non si
chezze cospicue, frequentemente in viaggio come rappresentanti e ambascia- credenze può altrimenti capire come di lì a qualche decennio, decaduti quasi del tutto
tori delle loro città o province di provenienza, sapevano recitare o scrivere nell’aldilà gli interessi per la politica e viceversa divenuti dominanti nuovi interessi spi­
434 l ’e t à DEGLI IMPERATORI PER ADOZIONE
SINCRETISMO RELIGIOSO E RINASCITA DI CREDENZE OLTREMONDANE 435
rituali, si determinasse un clima di sincretismo religioso in cui si mescolava­ fortemente segnata da simili raffigurazioni). L ’iniziazione e il culto, però,
no le divinità e le credenze delle più diverse forme di fede. (Si dice che erano limitati agli uomini; si rivolgeva soprattutto (come è dato di ricostrui­
Severo Alessandro fece costruire nel suo palazzo due «cappelle», l’una dedi­ re) a ricchi uomini d’affari e a ufficiali dell’esercito. Non sembra trovasse
cata ad Orfeo, Abramo, Cristo e Apollonio di Tiana, l’ascetico santone iti­ diffusione presso le classi umili (forse tenute lontane già dalla complessa
nerante che diffondeva il credo neopitagorico, e l’altra dedicata a Cicerone, e sofisticata simbologia esoterica): del tutto diversamente in questo dal Cri­
Virgilio e a quelli fra i suoi avi che erano stati benefattori dell’umanità). stianesimo, i cui primi adepti furono gente di umile condizione. Alle assem­
La prima delle ragioni può essere indicata nella concomitanza di due fattori blee cristiane d’altronde partecipavano, attratti dalla semplicità dei riti, uo­
elementari: da una parte le religioni pagane praticate nel corso del I e del mini e donne, liberi e schiavi. Anche se per alcuni studiosi resta piuttosto
II secolo subiscono una sorta di livellamento generale, in quanto molte delle misterioso come e perché il Cristianesimo vinse facilmente la concorrenza
religioni e dei culti propri delle diverse province dell’impero vengono assimi­ della religione mitraica (che tra l’altro potè contare sulla connivenza o sul­
late per analogia, e così assorbite, dall’ufficialità dei culti di Roma; dall’al­ l’appoggio esplicito degli imperatori del II secolo), è da credere che il Cri­
tra parte anche tra le persone colte, anzi soprattutto fra queste (basti pensa­ stianesimo arrivò ad affermarsi contro ogni altra religione praticata nell’am­
re a figure diversamente significative come Svetonio e Plutarco), riprendono bito dell’impero anche grazie alla solida e articolata organizzazione che i
vita convinzioni e pratiche legate alla credenza di un mondo dell’aldilà: tor­ fedeli seppero presto darsi. Già all’inizio del II secolo (dopo un perìodo
nano in auge — segno di una diffusa esigenza spirituale — oracoli, presagi, di iniziale sperimentazione in cui come figure dominanti operavano apostoli,
interpretazioni dei sogni, pratiche magiche, fede nei poteri sovrannaturali profeti, maestri di dottrina) esisteva una struttura gerarchicamente ordinata,
e nelle virtù taumaturgiche degli imperatori (divinizzati). un clero, con i suoi vescovi, cui erano sottoposti molti presbìteri e diaconi:
L’esaurirsi dello Esaurito il fascino esercitato da dottrine e sette filosofiche come quella questo clero aveva ampi poteri sui fedeli laici. Inoltre, accanto a tale robusta
stoicismo stoica (lo stoicismo finirà presto per essere assorbito in qualche modo dal Cri­ articolazione gerarchica, funzionò ben presto un sistema unico di intercomu-
stianesimo), era inevitabile che si affermassero nuove fedi religiose capaci di nione tra le varie comunità cristiane.
offrire non l’esemplare modello di imperturbabili sapienti chiusi nel proprio Nascita di una Molto dovette contribuire al consolidamento della religione cristiana la
elementare egoismo, ma l’affascinante e complessa lezione di quei riformatori letteratura nascita precoce di una vasta letteratura religiosa (il cui scopo era non solo
religiosi che, come prova decisiva di una condotta umana veramente morale, religiosa cristiana normativo, ma anche mirava a preservare la dottrina cristiana dalla conta­
predicavano l’altruismo. Il «vivi secondo natura» degli stoici (e dei cinici so­ minazione di altre religioni e di altri sistemi di pensiero, per esempio dallo
prattutto) non poteva più soddisfare gli spiriti più esigenti: e lo stoicismo con­ stoicismo e dal platonismo). Già intorno al 130 il corpus dottrinario dei
sumerà i suoi ultimi trionfi nel laico rigorismo dell’imperatore Marco Aurelio. quattro Vangeli e delle tredici epistole di Paolo è comunemente accolto co­
I culti di Iside e Nuove credenze, e nuove pratiche culturali, imponevano non solo doveri me il Nuovo Testamento, una raccolta di libri analoga a quella ebraica del
di Mitra più impegnativi ma offrivano anche la speranza di più alte ricompense. Il Vecchio Testamento. Le comunità cristiane tenevano anche memoria scritta
culto di Iside, congiunto a quello di Serapide, raggiunse tra il I e il II secolo delle proprie vicende, e così si produsse una letteratura di testimonianze
regioni estreme della Germania e della Britannia; ma presto cedette davanti a noi giunte col nome di A tti dei martiri (cfr. p. 502 seg.): resoconti di proces­
ad un altro culto orientale, quello del persiano Mitra. Originariamente divi­ si, racconti di scene di martirio, ricordi di persecuzioni e di emozionanti atti di
nità della luce e della verità, agente di Ahura-Mazda (che era il potere del coraggio e di fede, in cui frequenti tratti miracolistici e leggendari mirano a
bene opposto ad Ahriman, potere del male), Mitra si trasformò, proprio alla offrire quadri di esemplare edificazione spirituale. La stessa combattività con
fine del periodo precristiano, nella divinità centrale di un culto misterico cui la Chiesa dovette difendersi produsse nel II secolo la vasta, impegnata lette­
romano. Dall’Asia Minore si diffuse, sulle vie di mercanti e soldati, per ratura degli apologisti (cfr. p. 504 segg.), dotti difensori del credo cristiano che
tutto il mondo romanizzato. Il culto (che derivava in parte dallo zoroastri­ intendevano mostrare ad un vasto pubblico di lettori quanto eticamente supe­
smo persiano: Mitra era identificato col Sole) aveva molti tratti in comune riore (e però anche ingiustamente infamata) fosse la nuova religione. Oltre al
col culto della dea frigia Cibele: proprio per effetto del sincretismo che con­ bisogno di difendere il Cristianesimo dai violenti attacchi (nessun’altra religio­
fondeva i tratti distintivi di ogni culto misterico, soppiantò presto il culto ne dell’antichità fu mai così duramente contrastata), l’esigenza di proteggere la
di Iside, del quale seguì le tracce e non pochi dei tratti esteriori. Di tale dottrina dalle numerose eresie che subito sorsero all’interno del Cristianesi­
culto era tuttavia più affascinante in quanto non solo prometteva futura mo spiega la ragione per cui si sviluppò una così intensa e copiosa attività
immortalità, ma era anche capace di imporre un vivo e pratico codice mora­ letteraria. All’inizio era facile che le credenze cristiane perdessero la loro
le: non si discostava molto, per certi aspetti, dal cristianesimo, là dove incul­ semplice essenzialità (nel clima di sincretismo religioso e misterico che carat­
cava l’obbligo di fare il bene e faceva dell’altruismo e della fratellanza il terizza tutto questo periodo) per contagiarsi con convinzioni complesse, in
centro delle sue virtù. Sotto il velame dei misteri gli iniziati prendevano la cui si mescolavano elementi magici, filosofici, mitologici, cosmologici, pro­
via (viaggio dell’anima immortale) attraverso cui apprendere il vero e libe­ pri di altre religioni o residui di vecchie credenze. Di qui il bisogno di scrive­
rarsi delle impurità: l’iniziazione contemplava anche una specie di battesimo re: per ragionare, per spiegare, per ribattere, argomentando e confutando.
(con sangue di toro, derivato dal culto della dea Cibele).
Mitraismo e Grandissima importanza aveva nel Mitraismo tutta una simbologia con­
Cristianesimo nessa ai segni zodiacali e alle divinità planetarie (e l’arte mitraica appare
PLINIO E LA SOCIETÀ DEL SUO TEMPO 437

(ma, come si è detto, anche sotto Domiziano Plinio aveva avuto vita tran­
PLINIO IL GIOVANE quilla, e aveva anzi percorso l’intero cursus honorum eccetto il consolato),
un periodo di rinnovata collaborazione fra l’imperatore e il senato, si sforza
di delineare un modello di comportamento per i principi futuri: un modello
ovviamente fondato sulla continuazione della concordia fra imperatore e ce­
to aristocratico, e sulla stretta intesa politica, e integrazione culturale, fra
quest’ultimo e il ceto equestre, dal quale in gran parte provenivano i quadri
della burocrazia e dell’amministrazione. Nonostante il tono fondamental­
mente ottimistico, il Panegyricus lascia affiorare qua e là la preoccupazione
che principi «malvagi» possano nuovamente salire al potere, e che il senato
possa tornare a soffrire quanto già ha sofferto sotto Domiziano.
Vita Gaio Cecilio Secondo nacque a Como nel 61 o nel 62 d.C.; alla morte del Non senza qualche ingenuità, Plinio sembra rivendicare una funzione
Il tentativo di
padre venne adottato da Plinio, suo zio materno, di cui assunse il nome. A Roma
«educare» il «pedagogica» nei confronti del principe: attraverso i molti elogi e le formule
studiò retorica sotto la guida di Quintiliano e di Nicete Sacerdote, un retore greco
principe di cortesia, traspare il tentativo di esercitare una blanda forma di controllo
di indirizzo asiano. Incominciò presto la carriera forense, in cui ottenne notevoli
successi, e il cursus honorum: fu successivamente questore, tribuno della plebe,
sul detentore del potere assoluto. Non a caso è stata sottolineata una certa
pretore e, nel 98, venne nominato praefectus aerarli Saturni (quasi «ministro del affinità, anche dal punto di vista stilistico, del Panegyricus con la Pro Mar­
tesoro»). Nel 100, insieme allo storico Tacito, che era suo amico, sostenne l’accu­ cello di Cicerone (cfr. p. 160).
sa contro Mario Prisco, proconsole d’Asia; verso la fine di quello stesso anno I reali rapporti tra Nonostante la funzione pedagogica rivendicata da Plinio, i reali rapporti
fu nominato consul suffectus. Come si vede, il passaggio dal principato di Domi­ Plinio e Traiano fra lui e Traiano emergono chiaramente dall’epistolario intercorso fra i due
ziano a quelli di Nerva e Traiano fu del tutto indolore ai fini della carriera forense al tempo del governatorato in Bitinia, conservato, come si è detto, nel libro
e politica di Plinio. Traiano lo nominò nel 111 suo legato in Bitinia. Morì non X delle Epistulae. Plinio si comporta come un funzionario scrupoloso e lea­
molto tempo dopo, probabilmente nel 113. le, ma anche alquanto indeciso, che informa Traiano di tutti i problemi
che si presentano — opere pubbliche, problemi fiscali e di ordine pubblico,
Opere Panegyricus, versione ampliata del discorso di ringraziamento a Traiano, te­ fra cui i processi contro i Cristiani — e da lui si attende consigli e direttive.
nuto in senato in occasione della nomina a console, nel 100 d.C.; una raccolta Dalle risposte di Traiano trapela talora un lieve senso di fastidio per i conti­
di Epistulae in dieci libri; i primi nove contengono lettere composte fra il 97 e nui quesiti che Plinio gli sottopone anche su questioni di secondaria impor­
il 108, e pubblicate ad opera dello stesso Plinio; il decimo contiene lettere private Traiano e il tanza. È rimasto famoso l’atteggiamento di sobria tolleranza assunto dal­
e ufficiali di Plinio a Traiano, e le risposte delPimperatore; le lettere raccolte nel Cristianesimo l’imperatore a proposito della questione dei Cristiani: in mancanza di una
libro decimo appartengono per la massima parte al periodo in cui Plinio fu gover­
legislazione in materia, dà istruzione a Plinio di non procedere se non in
natore in Bitinia; è probabile che siano state pubblicate dopo la sua morte, ag­
caso di denunzie non anonime; e di sospendere comunque il procedimento
giungendole come decimo libro alla sua raccolta.
Nulla ci resta delle sue numerose opere poetiche e orazioni, che si trovano
se uno, sacrificando agli dèi del paganesimo, testimonia di non essere cristia­
frequentemente menzionate nelle Epistulae. no o di non esserlo più. È evidente la preoccupazione di non punire reati
contro la religione, liberandosi contemporaneamente delle responsabilità nei
confronti dei delatori e dell’opinione pubblica.
F o n ti Le notizie sulla vita e l’attività di Plinio il Giovane ci provengono per la mag­
gior parte dal suo stesso epistolario.

2. Plinio e la società del suo tempo


1. Plinio e Traiano
L’attento I primi nove libri delle Epistulae furono pubblicati, come si è detto,
L’auspicio della Il Panegyricus (titolo forse non originale: il termine indicava originaria­ ordinamento a cura dello stesso Plinio, forse per gruppi. Nella lettera proemiale a Setticio
collaborazione tra mente i discorsi tenuti nelle solennità panelleniche; col I secolo d.C. passò interno di un Claro, Plinio afferma di non aver seguito, nel raggruppare le proprie lettere,
imperatore, epistolario alcun criterio preciso, in particolare di non aver fatto caso alla cronologia:
ad indicare l’encomio del monarca) ci è pervenuto come primo in una rac­
senato e ceto concepito per la le lettere si succederebbero dunque secondo un ordine del tutto casuale. L’af­
colta di più tardi panegirici di vari imperatori (sui quali cfr. p. 531 seg.): quasi
equestre pubblicazione
l’inaugurazione di un genere letterario. La gratìarum actio di fronte al sena­ fermazione di Plinio è da interpretarsi come una civetteria: è probabile che
to trapassa in un encomio dell’imperatore, al quale spettava raccomandare l’ordinamento segua soprattutto un criterio di alternanza di argomenti e mo­
in senato la nomina dei magistrati. Plinio enumera ed esalta le virtù àcìYop- tivi, in modo da evitare al lettore la monotonia. Le lettere di Plinio sono
timus princeps Traiano, che ha reintrodotto la libertà di parola e di pensie­ infatti solitamente dedicate ciascuna a un singolo tema, sempre trattato con
ro; auspicando, dopo la fosca tirannide di Domiziano, aspramente denigrata cura attenta dell’eleganza letteraria: è questa una delle differenze più impor-
PLINIO E LA SOCIETÀ DEL SUO TEMPO 439
438 PLINIO IL GIOVANE

servatore della sua epoca. Nell’epistolario di Plinio compaiono le massime


tanti che separa questo epistolario, concepito fino dall’inizio per la pubblica­
figure di quel tempo, dall’imperatore Traiano (di cui si è già detto) a Tacito
zione, da quello ciceroniano (cfr. p. 176 seg.), dove l’urgenza della comuni­
(è a lui che è indirizzata la lettera sull’eruzione del Vesuvio; del resto Tacito
cazione spingeva spesso l’autore ad affastellare gli argomenti più vari, talora
ricorre con grande frequenza tra i destinatari di Plinio, il quale si compiace
per accenni brevissimi e poco perspicui a un lettore diverso dal destinatario
persino di essere stato scambiato nel Circo per l’amico storico, da qualcuno
Modello particolare. Lo stile dell’epistolario di Plinio ricerca la grazia e l’eleganza,
ciceroniano e
che evidentemente — deve pensare Plinio — faceva confusione tra i due
che ottiene soprattutto attraverso un saldo autocontrollo: ama ad esempio
accenni di più grandi scrittori dell’epoca) a Svetonio (che Plinio esorta a pubblicare
le antitesi, ma non ne fa un uso eccessivo. Il modello prediletto è Cicerone,
manierismo una buona volta il De viris illustribus che tiene da tempo nel cassetto), e
da cui Plinio desume il gusto per il fraseggio limpido, l’architettura armoni­
gli avvenimenti contemporanei, dai più importanti e tragici, come l’eruzióne
ca del periodo, gli schemi ritmici ricorrenti, anche se i periodi sono più
del Vesuvio (ma Plinio, che già a diciassette anni doveva avere acquistato
brevi (ma Plinio, come è nella sua natura, non ama gli eccessi, e dichiara
il carattere che avrà da uomo, non ama le sensazioni forti; e, mentre tutto
apertamente all’amico Tacito di non apprezzare la sua brevitas). Si intravede
è sconvolto e lo zio esce incontro alla morte, lui rimane a fare riassunti
tuttavia qualche manierismo nella predilezione per gli asindeti e le anafore,
da Livio), fino ai minuti pettegolezzi degli ambienti elevati e colti. Un qua­
nella cura posta a evitare le ripetizioni, e soprattutto nell’affettazione del
dro d’insieme della letteratura nell’età dei Flavi e di Traiano, e il nome
formulario tipico della corrispondenza «spontanea», non concepita per la
di un gran numero di autori ci è conservato solo attraverso l’epistolario
pubblicazione.
Contenuto delle Le lettere di Plinio sono in reatà una serie di brevi saggi di cronaca di Plinio.
lettere di Plinio Fortuna di Plinio I toni sempre smorzati e accomodanti, il signorile senso della misura
sulla vita mondana, intellettuale e civile. L’autore si rivolge ogni volta con
il Giovane a scapito di una vigorosa caratterizzazione della propria personalità — in­
estrema cerimoniosità ai suoi interlocutori (le frasi di cortesia, più o meno
somma, quanto rende Plinio un autore «minore» agli occhi della maggioran­
affettata, abbondano nel suo epistolario fino a diventare stucchevoli), che
za dei lettori moderni — contribuirono invece al suo successo e lo resero
intrattiene sulle sue attività e i suoi riposi, informandoli sulle proprie preoc­
un modello, forse proprio perché accessibile, già presso gli autori antichi:
cupazioni dì grande proprietario terriero; dipinge la campagna con toni di
gli epistolari di Simmaco e di Sidonio Apollinare tengono in gran parte pre­
maniera, descrivendola soprattutto come panorama goduto attraverso le fi­
sente quello di Plinio. Questa fortuna continuò nel Medioevo e toccò il suo
nestre delle proprie ville (anche se alcune descrizioni, come quella delle fonti
culmine durante il Rinascimento, un’età che evidentemente apprezzava in
del Clitunno o l’altra, dell’eruzione del Vesuvio, in cui trovò la morte suo
misura particolare gli aspetti «cortigiani» di Plinio.
zio Plinio il Vecchio, sono di indubbia efficacia e hanno goduto di grande
I destinatari e la fortuna presso i posteri); elogia personaggi diversi, soprattutto letterati e
cerimoniosità poeti viventi o morti da poco, come Silio Italico e Marziale; ma è raro
entusiastica di che per qualche personaggio delle sue lettere non trovi una frase gentile
Plinio Bibliografia Edizioni moderne: M. S c h u s t e r - R. L a critica letteraria d i Plinio il Giovane,
che ne metta in evidenza le caratteristiche positive. Plinio si rivela un fre­
H a n s l ik , Leipzig 1958. Com m ento alle Brescia 1966; F. T r is o g l io , L a persona­
quentatore assiduo delle sale dove si tenevano recitationes e declamationes, Epistulae a cura di A. N. S h e r w in - lità di Plinio il Giovane nei suoi rapporti
manifestazioni culturali che egli stesso contribuiva in larga parte ad organiz­ W h it e , Oxford 1966; al Panegyricus a cu­ con la politica, la società, la letteratura,
zare. È un entusiasta, che non lesina parole di lode a quasi tutti i versificato- ra di M. D u r r y , Paris 1938. Studi: A. T orino 1972; G . F. G ia n o t t i , I l principe
ri e i conferenzieri che ascolta; ma soprattutto Plinio elogia la propria attivi­ M. G u il l e m in , PIine et la vie littéraire e il retore: classicismo com e consenso in
de son temps, Paris 1929; P . V. C o v a , età imperiale, in «Sigma», 1979.
tà poetica, per la quale si cruccia di non riuscire a trovare estimatori suffi­
cientemente idonei e preparati.
Il formalismo dì Plinio non è preoccupato, come il suo maestro Quintiliano o il suo ami­
Plinio e i suoi co Tacito, dalla crisi della cultura: avverte tu tt’al più una certa decadenza
gusti letterari nel gusto degli ascoltatori, meno assidui di un tempo nella frequentazione
delle manifestazioni letterarie. La letteratura di cui si diletta è essenzialmen­
te frivola, destinata alPintrattenimento e a un consumo effimero durante
le cene degli aristocratici o nelle sale pubbliche: si tratta, oltre a brani di
oratoria declamata, soprattutto di versiculi, di nugae poetiche di sapore spesso
alquanto insipido: frutto e fonte di uno svago senza inquietudini e senza
entusiasmi. Del resto, anche i rapporti sociali che affiorano dall’epistolario
pliniano appaiono spesso improntati a un formalismo vuoto e cerimonioso,
sintomo dell’avanzato impoverimento e banalizzazione di quella che era sta­
ta la grande tradizione culturale della classe dirigente romana.
Plinio e la Si capisce bene come l’estrema mondanità di Plinio e il suo essere con­
cultura del suo temporaneamente un uomo ricchissimo, un importante personaggio politico
tempo
e uno stimato letterato, lo ponessero in una posizione privilegiata come os-
LE CAUSE DELLA DECADENZA DELL’ORATORIA 441

1. Le cause della decadenza dell’oratoria


TACITO
Il problema Il Dialogus de oratoribus non è probabilmente la prima opera di Tacito:
dell’autenticità del la tesi oggi prevalente è che sia stato composto dopo VAgricola e la Germa­
Dialogus nia-, ma è tradizione consolidata iniziare da esso ogni trattazione su Tacito,
anche in forza di varie caratteristiche che per diversi rispetti contribuiscono
a isolarlo rispetto al complesso della sua opera. Questo «isolamento» è tale
che l’autenticità del Dialogus — tramandato nella tradizione manoscritta
insieme all 'Agricola e alla Germania — è stata contestata fino dal XVI seco­
lo, soprattutto per ragioni di stile, da filologi anche di altissima levatura;
Vita mentre autorevoli perplessità sulla paternità tacitiana permangono anche fra
Publio (o Gaio?) Cornelio Tacito nacque intorno al 55 d.C., secondo alcune
fonti a Terni, ma più probabilmente nella Gallia Narbonese, da una famiglia
gli studiosi moderni. In effetti il periodare del Dialogus ricorda molto più
forse di condizione equestre. Studiò a Roma, e nel 78 sposò la figlia di Gneo da vicino il modello neociceroniano, forbito ma non prolisso, cui si ispirava
Giulio Agricola, autorevole statista e comandante militare; anche grazie all’aiuto l’insegnamento della scuola di Quintiliano, che non la severa e asimmetrica
di quest’ultimo, iniziò la carriera politica sotto Vespasiano e la proseguì sotto inconcinnitas tipica delle maggiori opere storiografiche di Tacito. Anche fra
Tito e Domiziano. Dopo essere stato pretore nell’88 (nello stesso anno è attesta­ i sostenitori dell’autenticità ha perciò riscosso credito notevole la tesi di chi
ta la sua presenza nel collegio dei quindecemviri sacris faciundis, uno dei mag­ suppone che il Dialogus sia il prodotto giovanile di un Tacito ancora legato
giori collegi sacerdotali) Tacito fu per qualche anno lontano da Roma, probabil­ alle predilezioni classicheggianti della scuola quintilianea, da collocarsi negli
mente per un incarico in Gallia o in Germania. Nel 97, sotto il regno di Nerva, anni fra il 75 e P80: in questa ipotesi, anche se composto sotto il regno
fu consul suffectus: oratore già famoso, pronunciò l’elogio funebre di Virginio di Tito, il Dialogus sarebbe stato pubblicato solo molto più tardi, dopo
Rufo, il console morto durante l’anno di carica, al quale era subentrato. Uno
la morte di Domiziano, e la dedica a Fabio Giusto si riferirebbe ovviamente
o due anni dopo, sotto il principato di Traiano, sostenne insieme a Plinio il
all’epoca della pubblicazione. Ma è più probabile che l’insolita «classicità»
Giovane — al quale lo legava una salda amicizia — l’accusa dei provinciali
d ’Africa contro l’ex governatore Mario Prisco, accusato di corruzione; dopo qual­ dello stile sia da spiegarsi con l’appartenenza del Dialogus al genere retorico,
che indugio, il processo ebbe termine nel 100, con la condanna di Prisco all’esi­ per il quale struttura, lingua e stile delle opere retoriche di Cicerone costitui­
lio. In seguito, Tacito fu proconsole in Asia nel 112 o 113. Morì probabilmente vano ormai un modello canonico.
intorno al 117.
Riassunto del Il Dialogus de oratoribus, am bientato nel 75 o nel 77 (dal testo si ricavano in propo­
Dialogus sito indicazioni parzialm ente contraddittorie) si riallaccia alla tradizione dei dialoghi
Opere De vita tulii Agricolae, pubblicata nel 98; De origine et situ Germanorum (più ciceroniani su argomenti filosofici e retorici. Riferisce una discussione che si immagi­
comunemente noto come Germania), probabilmente dello stesso anno; Dialogus na avvenuta in casa di Curiazio M aterno, retore e tragediografo, fra lo stesso Curia-
de oratoribus, di poco successivo al 100 (è dedicato a Fabio Giusto, console zio, M arco A pro, Vipstano Messaila e Giulio Secondo, e alla quale Tacito dice di
avere assistito in gioventù. Poiché all’inizio della conversazione A pro ha rim provera­
nel 102); Historiae, in dodici o quattordici libri, composte fra il 100 e il 110; Anna­
to M aterno di trascurare l’eloquenza in favore della poesia dram m atica, in un primo
les (o Ab excessu divi Augusti), in sedici o diciotto libri, composti successivamen­ mom ento si contrappongono i discorsi di A pro e M aterno, in difesa rispettivamente
te alle Historiae, e forse rimasti incompleti per la morte dell’autore. Delle Histo- della eloquenza e della poesia. L ’andam ento del dibattito subisce una svolta con
riae ci sono pervenuti solo i libri l-IV, parte del libro V, e alcuni frammenti; degli l’arrivo di Messaila, spostandosi sul tem a della decadenza dell’oratoria. Messaila
Annales i libri l-IV, un’esigua porzione del libro V, il libro VI, parte del libro XI, ne indica le cause nel deterioram ento dell’educazione, sia familiare che scolastica,
i libri XII-XV e parte del libro XVI. È molto discusso il problema del numero rispet­ del futuro oratore, non più accurata come nei tempi antichi: i maestri sono im prepa­
tivo dei libri che componevano le Historiae e gli Annales: alcuni pensano a dodici rati, e una vacua retorica spesso si sostituisce alla cultura generale. D opo una sezione
e diciotto libri, altri a quattordici e sedici. Questa seconda ipotesi ha il conforto parzialm ente lacunosa, il dialogo si conclude con un discorso di M aterno, evidente­
della numerazione del manoscritto cosiddetto Mediceo II: ma il problema è com­ mente portavoce di Tacito, il quale sostiene che una grande oratoria forse era possi­
bile solo con la libertà, o piuttosto con l’anarchia, che regnava al tempo della repub­
plicato dal fatto che le due opere, per quanto pubblicate separatamente, comin­
blica, nel fervore dei tum ulti e dei conflitti civili; diviene anacronistica, e sostanzial­
ciarono ben presto a circolare in una edizione congiunta di trenta libri, dove gli mente non più praticabile, in una società tranquilla e ordinata come quella conseguente
Annales (con inversione della cronologia della composizione) precedevano le Hi­ alla instaurazione dell’im pero. La pace che esso garantisce deve essere accettata sen­
storiae, a formare una narrazione continua della storia romana dalla morte di za eccessivi rim pianti per un passato che pure forniva un terreno più favorevole
Augusto alla morte di Domiziano. al rigoglio delle lettere e alla fioritura delle grandi personalità.

Fonti Informazioni generali sulla vita e sulla carriera di Tacito si traggono principal­ L’ineluttabilità del L’opinione attribuita a Materno rappresenta una costante del pensiero
mente da alcuni passi deW’Agricola, del Dialogus e delle Historiae, e da varie principato di Tacito: alla base di tutta la sua opera sta infatti l’accettazione della indi­
epistole di Plinio il Giovane. scutibile necessità dell’impero come unica forza in grado di salvare lo stato
dal caos delle guerre civili. Il principato restringe lo spazio per l’oratore
e l’uomo politico, ma al principato non esistono alternative. Ciò non signifi-
LE CAUSE DELLA DECADENZA DELL’ORATORIA 441

1. Le cause della decadenza dell’oratoria


TACITO
Il problema Il Diaiogus de oratoribus non è probabilmente la prima opera di Tacito:
dell’autenticità del la tesi oggi prevalente è che sia stato composto dopo PAgricola e la Germa­
Diaiogus nia-, ma è tradizione consolidata iniziare da esso ogni trattazione su Tacito,
anche in forza di varie caratteristiche che per diversi rispetti contribuiscono
a isolarlo rispetto al complesso della sua opera. Questo «isolamento» è tale
che l’autenticità del Diaiogus — tramandato nella tradizione manoscritta
insieme &ÌVAgricola e alla Germania — è stata contestata fino dal XVI seco­
lo, soprattutto per ragioni di stile, da filologi anche di altissima levatura;
Vita mentre autorevoli perplessità sulla paternità tacitiana permangono anche fra
Publio (o Gaio?) Cornelio Tacito nacque intorno al 55 d.C., secondo alcune
fonti a Terni, ma più probabilmente nella Gallia Narbonese, da una famiglia
gli studiosi moderni. In effetti il periodare del Diaiogus ricorda molto più
forse di condizione equestre. Studiò a Roma, e nel 78 sposò la figlia di Gneo da vicino il modello neociceroniano, forbito ma non prolisso, cui si ispirava
Giulio Agricola, autorevole statista e comandante militare; anche grazie all’aiuto l’insegnamento della scuola di Quintiliano, che non la severa e asimmetrica
di quest’ultimo, iniziò la carriera politica sotto Vespasiano e la proseguì sotto inconcinnitas tipica delle maggiori opere storiografiche di Tacito. Anche fra
Tito e Domiziano. Dopo essere stato pretore nell’88 (nello stesso anno è attesta­ i sostenitori dell’autenticità ha perciò riscosso credito notevole la tesi di chi
ta la sua presenza nel collegio dei quindecemviri sacrìs faciundis, uno dei mag­ suppone che il Diaiogus sia il prodotto giovanile di un Tacito ancora legato
giori collegi sacerdotali) Tacito fu per qualche anno lontano da Roma, probabil­ alle predilezioni classicheggianti della scuola quintilianea, da collocarsi negli
mente per un incarico in Gallia o in Germania. Nel 97, sotto il regno di Nerva, anni fra il 75 e P80: in questa ipotesi, anche se composto sotto il regno
fu consul suffectus: oratore già famoso, pronunciò l’elogio funebre di Virginio di Tito, il Diaiogus sarebbe stato pubblicato solo molto più tardi, dopo
Rufo, il console morto durante l’anno di carica, al quale era subentrato. Uno
la morte di Domiziano, e la dedica a Fabio Giusto si riferirebbe ovviamente
o due anni dopo, sotto il principato di Traiano, sostenne insieme a Plinio il
all’epoca della pubblicazione. Ma è più probabile che l’insolita «classicità»
Giovane — al quale lo legava una salda amicizia — l’accusa dei provinciali
d’Africa contro l’ex governatore Mario Prisco, accusato di corruzione; dopo qual­ dello stile sia da spiegarsi con l’appartenenza del Diaiogus al genere retorico,
che indugio, il processo ebbe termine nel 100, con la condanna di Prisco all’esi­ per il quale struttura, lingua e stile delle opere retoriche di Cicerone costitui­
lio. In seguito, Tacito fu proconsole in Asia nel 112 o 113. Morì probabilmente vano ormai un modello canonico.
intorno al 117.
Riassunto del Il Diaiogus de oratoribus, am bientato nel 75 o nel 77 (dal testo si ricavano in propo­
Diaiogus sito indicazioni parzialm ente contraddittorie) si riallaccia alla tradizione dei dialoghi
Opere De vita lu lii Agricoiae, pubblicata nel 98; De origine et situ Germanorum (più ciceroniani su argomenti filosofici e retorici. Riferisce una discussione che si immagi­
comunemente noto come Germania), probabilmente dello stesso anno; Diaiogus na avvenuta in casa di Curiazio M aterno, retore e tragediografo, fra lo stesso Curia-
de oratoribus, di poco successivo al 100 (è dedicato a Fabio Giusto, console zio, Marco A pro, Vipstano Messalla e Giulio Secondo, e alla quale Tacito dice di
avere assistito in gioventù. Poiché all’inizio della conversazione A pro ha rim provera­
nel 102); Historiae, in dodici o quattordici libri, composte fra il 100 e il 110; Anna­
to M aterno di trascurare l’eloquenza in favore della poesia dram m atica, in un primo
les (o Ab excessu divi Augusti), in sedici o diciotto libri, composti successivamen­ momento si contrappongono i discorsi di A pro e M aterno, in difesa rispettivamente
te alle Historiae, e forse rimasti incompleti per la morte dell’autore. Delle Histo­ della eloquenza e della poesia. L ’andam ento del dibattito subisce una svolta con
riae ci sono pervenuti solo i libri l-IV, parte del libro V, e alcuni frammenti; degli l’arrivo di Messalla, spostandosi sul tem a della decadenza dell’oratoria. Messalla
Annales i libri l-IV, un’esigua porzione del libro V, il libro VI, parte del libro XI, ne indica le cause nel deterioram ento dell’educazione, sia familiare che scolastica,
i libri XII-XV e parte del libro XVI. È molto discusso il problema del numero rispet­ del futuro oratore, non più accurata come nei tem pi antichi: i maestri sono im prepa­
tivo dei libri che componevano le Historiae e gli Annales: alcuni pensano a dodici rati, e una vacua retorica spesso si sostituisce alla cultura generale. D opo una sezione
e diciotto libri, altri a quattordici e sedici. Questa seconda ipotesi ha il conforto parzialmente lacunosa, il dialogo si conclude con un discorso di M aterno, evidente­
della numerazione del manoscritto cosiddetto Mediceo II: ma il problema è com­ mente portavoce di Tacito, il quale sostiene che u n a grande oratoria forse era possi­
bile solo con la libertà, o piuttosto con l’anarchia, che regnava al tempo della repub­
plicato dal fatto che le due opere, per quanto pubblicate separatamente, comin­
blica, nel fervore dei tum ulti e dei conflitti civili; diviene anacronistica, e sostanzial­
ciarono ben presto a circolare in una edizione congiunta dì trenta libri, dove gli mente non più praticabile, in una società tranquilla e ordinata come quella conseguente
Annales (con inversione della cronologia della composizione) precedevano le Hi­ alla instaurazione deO’Im pero. La pace che esso garantisce deve essere accettata sen­
storiae, a formare una narrazione continua della storia romana dalla morte di za eccessivi rim pianti per un passato che pure forniva un terreno più favorevole
Augusto alla morte di Domiziano. al rigoglio delle lettere e alla fioritura delle grandi personalità.

Fonti L'ineluttabilità del L’opinione attribuita a Materno rappresenta una costante del pensiero
Informazioni generali sulla vita e sulla carriera di Tacito si traggono principal­
mente da alcuni passi deW’Agricola, del Diaiogus e delle Historiae, e da varie principato di Tacito: alla base di tutta la sua opera sta infatti l’accettazione della indi­
epistole dì Plinio il Giovane. scutibile necessità dell’impero come unica forza in grado di salvare lo stato
dal caos delle guerre civili. Il principato restringe lo spazio per l’oratore
e l’uomo politico, ma al principato non esistono alternative. Ciò non signifi­
442 TACITO
VIRTÙ DEI BARBARI E CORRUZIONE DEI ROMANI 443

ca che Tacito accetti gioiosamente il regime imperiale, né che all’interno


giustificata una indiscriminata condanna del loro operato e del servizio da
di questo spazio ristretto egli non indichi la residua possibilità di effettuare
essi prestato allo stato.
scelte più o meno dignitose, più o meno utili allo stato. Era il tema già
Il carattere L ’Agricola si situa, come abbiamo accennato, al punto di intersezione
affrontato nella biografia di Agricola.
«composito» fra diversi generi letterari: si tratta di un panegirico sviluppato in biografia,
óeW’Agrìcola di una laudatio funebrìs inframmezzata, ampliata e integrata con materiali
storici ed etnografici: perciò l’opuscolo risente di modi stilistici diversi,
che a loro volta contribuiscono al suo carattere «composito». Nell’esordio,
2 . Agricola e la sterilità dell’opposizione nei discorsi, e soprattutto nell’eloquente «perorazione» finale è notevo­
lissima l’influenza di Cicerone (può darsi che queste sezioni ci diano an­
L’Agricola come
che un’immagine di quella che dovè essere l’oratoria tacitiana); nelle parti
Verso gli inizi del regno di Traiano, Tacito approfittò del ripristino del­
laudatio funebrìs narrative ed etnografiche si avverte invece la presenza dei due diversi mo­
l’atmosfera di libertà dopo la tirannide domizianea per pubblicare il suo
delli di stile storico, quello di impronta sallustiana e quello di impronta
primo opuscolo storico, che tramanda ai posteri la memoria del suocero
liviana.
Giulio Agricola, principale artefice della conquista di gran parte della Bri-
tannia sotto il regno di Domiziano, e leale funzionàrio imperiale. Per il tono
qua e là apertamente encomiastico VAgricola si richiama in parte allo stile
delle laudationes funebri; dopo un rapido riepilogo della carriera del prota­
gonista prima dell’incarico in Britannia, si incentra principalmente sulla con­ 3. Virtù dei barbari e corruzione dei Romani
quista dell’isola, lasciando un certo spazio a digressioni geografiche ed etno­
grafiche, che derivano da appunti e ricordi di Agricola, ma in parte anche
La letteratura Gli interessi etnografici, già largamente presenti x\q\YAgricola, sono al
dalle notizie sulla Britannia contenute nei Commentarii di Cesare. Proprio
etnografica in centro della Germania. Quest’ultima costituisce per noi praticamente l’unica
a causa di queste digressioni, l’argomento dd \ ’Agrìcola è sembrato talora
Roma testimonianza (a parte gli excursus più o meno ampi contenuti in opere stori­
eccedere i limiti di una semplice biografia. In realtà, l’autore non perde
che) di una letteratura specificamente etnografica che a Roma doveva gode­
mai il contatto col proprio personaggio principale: la Britannia è soprattutto
re di una certa fortuna: sappiamo ad esempio di monografie di Seneca sul­
il campo in cui si dispiega la virtus di Agricola, il teatro delle sue brillanti
imprese. l’ìndia e sull’Egitto. Ma gli interessi etnografici erano stati già forti nella
cultura ellenistica (si pensi a Posidonio); a Roma, possono essere fatti risali­
Agricola e NelPelogiare il carattere del suocero, Tacito mette in rilievo come egli,
l’esaltazione della re al De bello Gallico di Cesare, che aveva tratteggiato anche il sistema
governatore della Britannia e capo di urt esercito in guerra, avesse saputo
«via mediana» di vita dei Germani. Successivamente, storici come Sallustio e Livio erano
servire lo stato con fedeltà, onestà e competenza anche sotto un pessimo
probabilmente ricorsi, in sezioni perdute delle loro opere, ad ampie digres­
principe come Domiziano (le critiche a quest’ultimo e al suo crudele regime
sioni etnografiche, che introducevano un elemento di variazione nelle lunghe
di spionaggio e di repressione sono più di una volta esplicite da parte di
esposizioni di avvenimenti, e contemporaneamente permettevano di fare mo­
Tacito). Alla fine anche Agricola, che non aveva il gusto della opposizione
stra di dottrina e versatilità: un excursus sulla Germania doveva trovarsi
fine a se stessa ma non per questo era disposto a macchiarsi di servilismo,
nel III libro delle Historìae di Sallustio, mentre Livio può averne trattato
era caduto in disgrazia presso Domiziano: non senza avere dato prova di
verso la fine della sua opera, occupandosi delle campagne di Druso oltre
quanto si potesse operare fecondamente in favore della comunità prima che
il Reno (cfr. p. 309).
i nodi venissero al pettine, e lo scontro non fosse più'evitabile. Attraversan­
Plinio il Vecchio È stato sottolineato come le notizie etnografiche contenute nella Ger­
do incorrotto la corruzione altrui, Agricola sa morire silenziosamente —
fonte di Tacito mania non derivino da osservazione diretta, ma quasi esclusivamente da
e sulle reali cause della morte, naturale o voluta da Domiziano, Tacito sten­
fonti scritte: per quanto Tacito mostri di averne consultate diverse, si
de un velo d’ombra —, senza andare in cerca della gloria di un martirio
è suggerito che egli possa avere tratto la maggior parte della documentazio­
ostentato, la ambitiosa mors (come il suicidio degli stoici) che Tacito con­
ne dai Bella Germaniae di Plinio il Vecchio, che aveva prestato servizio
danna in quanto di nessuna utilità alla res publica. L’esempio luminoso di
nelle armate del Reno, e aveva preso parte a spedizioni oltre il fiume,
Agricola indica come, senza obbligatoriamente correre gravi pericoli, anche
nelle terre dei Germani non ancora sottoposti al dominio romano. Tacito
sotto la tirannide sia possibile percorrere la via mediana fra quelli che un
sembra avere seguito la sua fonte con fedeltà, accontentandosi di migliorar­
passo famoso degli Annales (IV 20,7) definirà deforme obsequium e abrupta
ne e impreziosirne lo stile (il colorito sallustiano è frequente nella Germa­
contumacia. L’elogio di un personaggio emblematico come Agricola si tra­
nia, e piuttosto numerose sono le punte «epigrammatiche») e di aggiungere
duce in una apologia della parte «sana» della classe dirigente, formata da
pochi particolari per ammodernare l’opera (le notizie di Plinio risalivano
uomini che, privi del gusto del martirio, avevano collaborato coi principi
a circa quarant’anni addietro): ciò nonostante, rimangono alcune discre­
della casa flavia contribuendo validamente alla elaborazione delle leggi, al
panze, poiché la Germania sembra descrivere abbastanza spesso la situazio­
governo delle province, all’ampliamento dei confini e alla difesa delle fron­
ne come si presentava prima che gli imperatori flavi avanzassero oltre
tiere; uomini che, una volta ricuperata la «libertà», non avrebbero ritenuto
il Reno e oltre il Danubio.
444 TACITO I PARALLELISMI DELLA STORIA 445

L'idealizzazione Gli intenti di Tacito nella Germania hanno formato a lungo oggetto Riassunto delle Il I libro — che, in ossequio alla tradizione annalistica si occupa degli avvenimenti
dei barbari di discussione fra gli studiosi: risale molto addietro l’ipotesi, a nostro giudi­ Historiae a partire dal 1° gennaio 69 — si apre con la narrazione del breve regno di Galba;
zio ben fondata ma bisognosa di alcune precisazioni, che vede nell’opuscolo seguono l’uccisione di quest’ultimo e l’elezione all’im pero di O tone. In Germania,
tuttavìa, le legioni acclamano im peratore Vitellio. L a lotta fra O tone e Vitellio, con­
l’esaltazione di una civiltà ingenua e primordiale, non ancora corrotta dai clusasi con la sconfitta e il suicidio del prim o, e quella successiva fra Vitellio e Ve­
vizi raffinati di una civiltà decadente: in filigrana, la Germania sembra per­ spasiano, sono l’argomento del II e del III libro. A cclam ato im peratore dalle legioni
corsa da una vena di implicita contrapposizione dei barbari, ricchi di energie di vari paesi, Vespasiano lascia in Oriente il figlio Tito ad affrontare i Giudei, e,
ancora sane e fresche, ai Romani. Non si dovrà, comunque, insistere eccessi­ spostatosi in Egitto, fa dirigere le sue truppe su Rom a, dove si è rifugiato Vitellio,
vamente sulla «idealizzazione» delle popolazioni selvagge, un tema pure con­ che viene catturato e ucciso. Il libro IV tràtta del sacco di Rom a ad opera dei soldati
flaviani, e dei tum ulti contro Vespasiano scoppiati in Gallia e in Germania. Il libro
sueto alla letteratura etnografica, che risentiva dell’insoddisfazione per il de­ V, che ci è pervenuto mutilo e si arresta al capitolo 26, dopo un excursus sulla
cadimento e la corruzione della vita cittadina: insistendo sulla indomita for­ Giudea, dove si trova Tito, passa a trattare degli avvenimenti di Germania e dei
za e sul valore guerriero dei Germani, più che tesserne un elogio Tacito primi segni di stanchezza m ostrati dai ribelli.
ha probabilmente inteso sottolineare la loro pericolosità per l’impero. La
debolezza e la frivolezza della società romana dovevano allarmare lo storico Galba e Nerva: L’anno col quale si apre la narrazione delle Historiae, il 69, aveva visto
senatore che allora muoveva i suoi primi passi: i Germani, forti, liberi e a) il problema succedersi quattro imperatori (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano); era an­
numerosi potevano rappresentare una seria minaccia per un sistema politico dell’adozione che stato divulgato, come Tacito sottolinea, un «arcano» dell’impero: il prin­
basato sul servilismo e la corruzione. Non stupisce tuttavia che Tacito si cipe poteva essere eletto altrove che a Roma, poiché la sua forza si basava
addentri anche in una lunga enumerazione dei difetti di un popolo che gli principalmente sull’appoggio delle legioni di stanza in paesi più o meno re­
appare come essenzialmente barbarico: l’indolenza, la passione per il giuo­ moti. Vitellio era stato portato al potere dalle legioni di Germania, Vespa­
La Germania e co, la tendenza all’ubriachezza e alle risse, l’innata crudeltà. Fermo restando siano da quelle dellOriente. Otone, fatto principe a Roma, si basava an­
l’espansionismo che la Germania è fondamentalmente un breve trattato etnografico-geografico, ch’egli sul sostegno militare dei pretoriani, la guardia imperiale di stanza
di Traiano e non un libello di intervento politico, non è inopportuno metterne in con­ nella capitale. Tacito scriveva le Historiae a oltre trent’anni di distanza dal
nessione alcune caratteristiche con un evento aH’incirca contemporaneo alla 69; ma la ricostruzione degli avvenimenti dell’anno dei quattro imperatori
composizione: la presenza sul Reno di Traiano con un forte esercito, a quanto avveniva, con ogni probabilità, nel vivo del dibattito politico che aveva ac­
pare determinato alla guerra e alla conquista. Nel seguito della sua opera compagnato l’ascesa al potere di Traiano. È stato notato un certo paralleli­
storica, Tacito continuerà comunque a guardare con particolare interesse smo fra questa e gli avvenimenti del 69: il predecessore di Traiano, Nerva,
alla frontiera con i Germani (più che a quella con i Parti), dimostrando si era trovato come Galba ad affrontare una rivolta di pretoriani che faceva
per esempio ammirazione, negli Annales, per la politica aggressiva di Ger­ traballare le basi del suo potere; come Galba, aveva designato per adozione
manico. In questo interesse la convinzione della pericolosità delle popo­ un successore. L ’analogia si ferma a questo punto: Galba — che Tacito
lazioni settentrionali si intreccia con l’altra complementare che in quella descrive come un vecchio senza energie, rovinato da consiglieri sciagurati,
direzione sono aperte le maggiori possibilità di ulteriore espansione dell’im ­ inutilmente e anacronisticamente atteggiato nelle pose della gravitas repub­
pero: la permanenza dell’interesse è conferma del carattere non episodico blicana — si era scelto come successore Pisone, un nobile di antico stampo,
delle riflessioni e delle preoccupazioni da cui è scaturito il trattatello etno­ dai costumi severi, poco adatto, per il suo rigorismo «arcaizzante», a conci­
grafico. liarsi la benevolenza della truppa: sostanzialmente un fantoccio, vittima dei
suoi illustri natali, dell’inettitudine di Galba, e delle criminali ambizioni di
Otone; Nerva aveva invece consolidato il proprio potere associandosi nel
governo Traiano, un capo militare autorevole, comandante dell’armata della
4. I parallelismi della storia Germania Superiore. Non si può pertanto condividere l’interpretazione se­
condo la quale Tacito avrebbe visto in Galba uno sfortunato precursore
della conciliazione del principato con la libertà, poi realizzata da Nerva e
Piano delle Il progetto di una vasta opera storica era presente già nell 'Agricola, Traiano. Probabilmente Tacito aveva preso parte al consiglio imperiale nel
Historiae dove, in uno dei capitoli iniziali, Tacito esterna l’intenzione di narrare gli quale venne decisa l’adozione di Traiano: in esso saranno riemerse, da parte
anni della tirannide di Domiziano, e poi la libertà ricuperata sotto i regimi di membri tradizionalisti dell’aristocrazia senatoria, posizioni di un anacro­
di Nerva e Traiano. Nelle Historiae il progetto appare modificato: mentre nismo non dissimile da quello di Galba, ma il consiglio seppe evidentemente
la parte che ci è rimasta contiene la narrazione degli eventi degli anni 69-70, b) l’inattualità del respingerle. Con il discorso fatto pronunciare a Galba nel primo libro delle
dal regno di Galba fino alla rivolta giudaica, l’opera nel suo complesso do­ mos maiorum Historiae, in occasione dell’adozione di Pisone, lo storico ha inteso chiarire,
veva estendersi fino al 96, l’anno della morte di Domiziano; nel proemio, quasi per contrasto, attraverso le stesse parole dell’imperatore, aspetti signi­
Tacito afferma espressamente di riservare invece per la vecchiaia la tratta­ ficativi della sua posizione ideologico-politica. Tacito ha voluto mostrare
zione dei principati di Nerva e di Traiano, «materia più ricca e meno ri­ in Galba il divorzio ormai consumato fra il modello di comportamento rigo­
schiosa». Le Historiae affrontavano perciò un periodo cupo, sconvolto da rosamente ispirato al mos maiorum — un modello ormai votato al vuoto
varie guerre civili, e concluso da Una lunga tirannide. ossequio delle forme, e noncurante di ogni realismo politico — e la reale
446 TACITO LE RADICI DEL PRINCIPATO 447

capacità di dominare e controllare gli avvenimenti. Ispirandosi a quel mo­ I personaggi di Le Historiae raccontano per la maggior parte fatti di violenza, di preva­
dello, Galba non poteva fare una scelta in grado di garantire davvero la Muoiano e Otone ricazione e di ingiustizia: di conseguenza la natura umana è dipinta in toni
sicurezza dello stato: ne seguì un periodo di sanguinosi conflitti civili. L ’a­ costantemente cupi. Ciò non toglie che Tacito sappia tratteggiare in modo
dozione di Traiano — peraltro un comandante di vecchio stampo, che sape­ abile e vario i caratteri dei propri personaggi, alternando notazioni brevi
va rendersi cari i soldati senza rinunciare alla severità e al decoro della sua e incisive a ritratti compiuti, come quello di Muciano, il governatore della
carica — placò invece i tumulti fra le legioni, e pose fine a ogni rivalità. Siria che giocò un ruolo importante nell’ascesa di Vespasiano: Muciano è
Traiano si rivelò capace di mantenere l’unità degli eserciti, e di controllarli descritto secondo la tipologia del personaggio «paradossale», cioè come un
senza farne gli arbitri dell’impero. Può darsi che Tacito, con il pessimistico miscuglio di lussuria e operosità, di cordialità e arroganza; eccellente nelle
realismo che lo contraddistingueva, non condividesse in toto l’entusiastica attività pubbliche, ma con una reputazione ripugnante nella vita privata.
soddisfazione dimostrata da Plinio il Giovane nel Panegyricus a proposito Una cura particolare Tacito appare avere dedicato alla costruzione del per­
della soluzione che la scelta di Traiano aveva assicurato alla crisi dello stato: sonaggio di Otone: lo storico insiste sulla consapevolezza della sua subalter­
ma certamente egli avvertiva come improrogabile la necessità di sanare la nità nei confronti degli strati inferiori urbani e militari, condensata in una
frattura, drammaticamente verificatasi nel 69, fra le virtutes del modello frase epigrammatica: omnia serviliter prò dominatione (Historiae I 36,3: «si
etico antico-repubblicano e la capacità di instaurare un reale rapporto con comportava in ogni cosa servilmente per conquistarsi il potere»). D’altra
le masse militari. parte, Tacito mostra come proprio questo cosciente servilismo di Otone nei
L’unica soluzione: Come abbiamo già detto, Tacito è convinto che solo il principato è in confronti della massa sia condizione della sua energia demagogica, della sua
il principato grado di garantire la pace, la fedeltà degli eserciti e la coesione dell’impero; perversa capacità di incidere nelle cose, che lo situano su un piano diverso,
«moderato» già il proemio delle Historiae, accennando all’ascesa di Augusto, sottolinea anche se moralmente non più pregevole, da quello di un Galba o di un
come dopo la battaglia di Azio la concentrazione del potere nelle mani di Pisone. Come certi personaggi sallustiani (si pensi in primo luogo a Catilina)
una sola persona si rivelò indispensabile per il mantenimento della pace. Otone è dominato da una virtus inquieta, che all’inizio della sua vicenda
Naturalmente il principe non dovrà essere uno scellerato tiranno come Do­ lo spinge a deliberare, in un monologo quasi da eroe tragico, una scalata
miziano, né un inetto come Galba (è famoso il sarcastico epigramma in al potere decisa a non arrestarsi di fronte al crimine o all’infamia. Ma Otone
cui lo storico «riepiloga» quest’ultimo personaggio: «a giudizio di tutti de­ è, sotto certi aspetti, anche un personaggio «in evoluzione»: nella sua figura
gno dell’impero, se non lo avesse rivestito», Historiae I 49); dovrà invece sembra intervenire uno scarto quando, ormai certo della disfatta definitiva
assommare in sé le qualità necessarie per reggere la compagine imperiale, da parte dei vitelliani, decide di darsi una morte gloriosa per risparmiare
e contemporaneamente garantire i residui del prestigio e della dignità del allo stato un nuovo spargimento di sangue.
ceto dirigente senatorio. Tacito addita l’unica soluzione praticabile nel prin­ Sallustio e Tacito La tecnica tacitiana del ritratto mostra numerose affinità con Sallustio:
cipato «moderato» degli imperatori d’adozione. Tacito si affida alla inconcinnitas, alla sintassi disarticolata, alle strutture
Lo stile delle Lo stile narrativo delle Historiae, coerentemente con il repentino susse­ stilistiche slegate per incidere nel profondo dei personaggi. Ma lo stile «abrup-
Historiae: la guirsi degli avvenimenti, ha un ritmo vario e veloce, che non concede all’a­ to» di Sallustio esercita il suo influsso su tutta la narrazione di Tacito, che
drammatizzazione zione di affievolirsi o di ristagnare. Ciò ha implicato, da parte di Tacito, tuttavia ha saputo svilupparlo fino a determinare un vero e proprio salto
del racconto
un lavoro di condensazione rispetto ai dati forniti dalle fonti: a volte qualco­ di qualità: accentuando la tensione fra gravitas arcaizzante e pathos dram­
sa è omesso, ma più spesso Tacito sa conferire efficacia drammatica alla matico, arricchendo il colorito poetico, moltiplicando le iuncturae inattese.
propria narrazione suddividendo il racconto in singole scene: così, per esem­ Tacito ama le ellissi di verbi e congiunzioni; ricorre a costrutti irregolari
pio, la marcia di Fabio Valente (sostenitore prima di Galba, poi di Vitellio) e a frequenti cambi di soggetto per conferire varietà e movimento alla narra­
dal Reno alle Alpi viene narrata attraverso una serie di quadretti vivaci che zione. Quando una frase sembra terminata, spesso la prolunga con una «co­
dipingono il comportamento dei soldati durante la guerra civile. I tre tentati­ da» a sorpresa, la quale aggiunge un commento «epigrammatico» o comun­
vi di abdicazione di Vitellio, noti attraverso Svetonio, sono condensati in que modifica, di preferenza per via allusiva o indiretta, quanto affermato
un solo episodio, drammatico e pittoresco, nel quale Tacito ha saputo pro­ subito prima.
Folle e senato fondere tutte le risorse del colore e della suggestione. Tacito è maestro nella
nelle Historiae descrizione delle masse, spesso incalzante e spaventosa: sa essere altrettanto
efficace nel dipingere la folla tranquilla, il suo insorgere minaccioso o il
suo disperdersi in preda al panico; dalla descrizione della folla traspare, 5. Le radici del principato
in genere, il timore misto a disprezzo del senatore per le turbolenze dei sol­
dati e della feccia della capitale. Ma un disprezzo quasi analogo lo storico
aristocratico ostenta per i suoi pari, i componenti del senato, il cui compor­ Il collegamento Nemmeno nell’ultima fase della sua attività Tacito mantenne il proposi­
tamento è descritto con malizia sottile che insiste sul contrasto fra «faccia­ con Livio to di narrare la storia dei principati di Nerva e Traiano. Terminate le Histo­
ta» e realtà inconfessabile dei sentimenti: l’adulazione manifesta verso il prin­ riae, la sua indagine si rivolse ancora più addietro, ed egli, negli Annales,
cipe cela l’odio segretamente covato nei suoi confronti, la sollecitudine per intraprese il racconto della più antica storia del principato, dalla morte di
il bene pubblico occulta gli intrighi e l’ambizione. Augusto a quella di Nerone. La data scelta da Tacito per l’inizio degli An-
448 TACITO LE RADICI DEL PRINCIPATO 449

nales ha fatto supporre che egli intendesse la sua opera come una prosecu­ di corruzione che la rende vogliosa di un servile consenso (quella che Tacito
zione di quella liviana (a p. 310 abbiamo visto che probabilmente il progetto definisce libido adsentandi) nei confronti del principe. Scarsa simpatia lo
iniziale di Livio, interrotto dalla morte, prevedeva 150 libri, i quali arrivas­ storico dimostra anche, come già abbiamo sottolineato a proposito dell’A-
sero a trattare l’intero principato di Augusto: nulla vieta di supporre che, gricola, verso coloro che scelgono l’opposta via del martirio, sostanzialmen­
nella prefazione a qualche libro per noi perduto, ma noto a Tacito, Livio te inutile allo stato, e continuano a mettere in scena suicidi filosofici. Pro­
affermasse esplicitamente tale sua intenzione); in effetti, il titolo presente sperava, a partire dall’età neroniana, una letteratura di exitus illustrium vi-
nei manoscritti tacitiani (Ab excessu divi Augusti) sembra richiamare quello rorum. Non a caso, descrivendo il suicidio di Petronio, Tacito insiste sul
liviano A b urbe condita. capovolgimento ironico di questo modello filosofico da parte del personag­
gio (cfr. qui sotto).
Riassunto degli Degli A nnales si sono conservati i libri I-IV, un fram m ento del V e parte del VI, Raccontando le vicende di Roma, Tacito conduce il lettore attraverso
I funzionari «sani»
Annales com prendenti il racconto degli avvenimenti dalla m orte di A ugusto (14 d.C .) a quella un territorio umano desolato, senza luce o speranza. La parte sana della
di Tiberio (37 d.C .), con una lacuna di un paio d ’anni fra il 29 e il 31; e i libri
XI-XVI, col racconto dei regni di Claudio (a partire dall’anno 47) e di Nerone (il élite politica — ritroviamo qui una certa continuità con YAgricola — seguita
libro XI è lacunoso e il XVI è m utilo, arrestandosi per noi agli eventi dell’anno 66). tuttavia a dare il meglio di sé nel governo delle province e nella guida degli
I libri I-V seguono in parallelo le vicende interne ed esterne di Roma: nella capitale eserciti: l’opera bellica di Germanico risulta grandiosa rispetto alla meschina
il progressivo manifestarsi del carattere chiuso, sospettoso e om broso di Tiberio, politica urbana di Tiberio, e anche l’azione militare di Corbulone è, agli
il dilagare dei processi per lesa m aestà, l’ascesa e poi la caduta della sinistra figura occhi dello storico, più utile e forse più importante delle torbide passioni
di Seiano (ma ci m anca la parte in cui ne era n arrata la m orte), il degenerare del
regime nella crudeltà e nella dissolutezza, fino alla m orte di Tiberio. A ll’esterno, che si agitano nella Roma di Nerone.
i successi di Germanico in G erm ania, i suoi contrasti con Pisone, la m orte in Orien­ La storiografia Si è detto che Tacito è soprattutto un grande artista drammatico, sotto­
te, per la quale Pisone è sospettato di avvelenamento; e avvenimenti m inori, come «tragica» di valutando probabilmente le sue specifiche doti di storico. Ma è vero che
la vittoriosa guerra in A frica contro il num ida Tacfarinate, e il soffocam ento della Tacito la storiografia tragica (cfr. p. 107) giuoca negli Annales un ruolo di primo
rivolta della popolazione germanica dei Frisi.
I libri X I-X II narrano gli eventi degli anni 47-54, la seconda m età del principato piano. Le tragedie di Tacito, i drammi di anime che egli mette in scena,
di Claudio, il quale è rappresentato come un imbelle che dopo la m orte della prim a non sono tuttavia tanto stimolati dal desiderio di attizzare le emozioni, quanto
moglie Messalina cade nelle mani del potente liberto Narciso e della seconda moglie nutriti dalla riflessione pessimistica che ha radici importanti nella tradizione
Agrippina, che alla fine fa avvelenare il m arito e mette sul trono Nerone, il figlio storiografica latina, soprattutto in Sallustio. Alla forte componente tragica
avuto da un precedente m atrim onio.
della sua storiografia Tacito assegna soprattutto la funzione di scavare nelle
Nei libri X III-X V I è narrato il regno di Nerone: dapprim a sul principe si alternano
le diverse influenze della madre, del filosofo Seneca e del prefetto del pretorio Burro pieghe dei personaggi per sondarli in profondità e portarne alla luce, oltre
(questi due operano congiuntam ente in vista di u na improbabile conciliazione del alle passioni che li tendono, le ambiguità e i chiaroscuri. Le passioni domi­
principato con la libertà). Successivamente l’im peratore acquista indipendenza, m a nanti nei personaggi tacitiani (con l’eccezione solo parziale di Nerone, figura
cade sempre più preda dei propri istinti depravati. M entre i com andanti rom ani (pri­ sotto certi aspetti «patologica») sono quelle politiche: la brama di potere
mo fra tutti Corbulone) riportano notevoli successi nelle regioni di confine, Nerone
instaura un regime da m onarca ellenistico, e si dedica soprattutto ai giuochi e agli scatena le lotte più feroci. Il conflitto più aspro si svolge, com’è ovvio,
spettacoli, perseverando tuttavia nel disegno di sbarazzarsi di tutti coloro che potreb­ dentro il palazzo imperiale; ma lo storico si rivolge anche altrove per mettere
bero porre un freno alle sue bizzarrie e stravaganze. D opo un prim o tentativo fallito, in risalto l’ambizione e la tensione alla scalata sociale, cui spesso si accom­
riesce a fare uccidere la m adre A grippina; tre anni dopo, nel 62, Tigellino, un perso­ pagnano invidia, ipocrisia o presunzione: sono difetti da cui nessuna classe
naggio detesabile, succede a Burro come prefetto del pretorio, in seguito alla miste­
o persona va esente. Rispetto alPambizione, alla vanità e alla cupidigia di
riosa m orte di quest’ultim o. Contem poraneam ente Seneca si ritira a vita privata.
D a questo m om ento in poi N erone si abbandona a eccessi di ogni sorta; il m alcon­ potere, le altre passioni, per esempio il desiderio erotico o anche l’avidità
tento dilaga, e intorno a Gaio Pisone si coagula un gruppo di congiurati che si di ricchezze, giuocano un ruolo di importanza del tutto secondaria; Tacito
propongono di uccidere il principe. Scoppia il fam oso incendio di Roma: Tacito presta tuttavia la debita attenzione a gelosie e delitti di origine sessuale,
sembra dare credito alle voci che lo vogliono appiccato per ordine di Nerone; come e rivela una vista acuta nelle questioni di denaro.
incendiari vengono tuttavia perseguitati i Cristiani. La congiura di Pisone viene sco­
perta e repressa: molti fra i personaggi di prim o piano ricevono l’ordine di darsi Il ritratto di Negli Annales si perfeziona ulteriormente l’arte del ritratto, già sapien­
la morte: periscono così Seneca, Lucano, Petronio, e infine Trasea Peto, durante Tiberio temente messa a frutto nelle Historìae. Il vertice è stato individuato da alcu­
il racconto della cui m orte si interrom pe la parte conservata degli Annales. ni nel ritratto di Tiberio, del tipo cosiddetto «indiretto»: lo storico non dà
cioè il ritratto una volta per tutte, ma fa sì che esso si delinei progressiva­
il progredire del Negli Annales, Tacito mantiene la tesi della necessità del principato; mente attraverso una narrazione sottolineata qua e là da osservazioni e com­
pessimismo di ma il suo orizzonte sembra essersi ulteriormente incupito: in un passo famo­ menti. Il ritratto di Tiberio è dipinto in tutta la gamma delle gradazioni.
Tacito: senato
so (III 28), mentre ribadisce che Augusto ha garantito la pace all’impero Gli piaceva mostrarsi torvo, era innamorato dell’austerità. Oppresso da tri-
servile ed eroi
dopo lunghi anni di guerre civili, lo storico sottolinea anche come da allora stitia, improntava la propria condotta a crudeltà e inclementia. Perennemen­
«inutili»
i vincoli si siano fatti più duri. Tacito conferisce un colore uniforme e tetro te sospettoso, taciturno per l’abitudine a tenere celati i propri pensieri, spes­
all’intero quadro della vita umana sotto i Cesari. La storia del principato so accigliato, talora con impresso sul volto un falso sorriso, aveva fatto
è anche la storia del tramonto della libertà politica dell’aristocrazia senato­ della dissimulazione la prima fra le sue virtù. Tacito ama, in genere, il ritrat­
ria, essa stessa del resto coinvolta in un processo di decadenza morale e to «morale» più di quello fisico: ma in un passo dallo stile molto ricercato
450 TACITO LE FONTI DI TACITO 451

indugia nella descrizione della ripugnante vecchiaia di Tiberio: alto, ma cur­ 6. Le fonti di Tacito
vo ed emaciato, col volto segnato da cicatrici e ricoperto di pustole, comple­
tamente calvo.
Gli acta, i Il problema delle fonti delle quali Tacito si è avvalso nelle Historiae
Il ritratto Un certo spazio, come già nelle Historiae, ha anche il ritratto del tipo
«paradossale» di discorsi, la e negli Annales è stato a lungo dibattuto, e non può dirsi giunto a una
«paradossale»: l’esempio più notevole è Petronio (Annales XVI 18), al molteplicità delle soluzione definitiva. Esso coinvolge la questione dei rapporti con il resto
Petronio
quale già ci è capitato di accennare. Il fascino del personaggio sta proprio fonti della tradizione storiografica (Svetonio, Dione Cassio, Plutarco) che ci ha
nei suoi aspetti contraddittori: Petronio si è assicurato con la ignavia la trasmesso la narrazione degli eventi dello stesso periodo. Alcuni punti sono
fama che altri conquistano con infaticabile operosità; ma la mollezza della tuttavia assodati. In primo luogo Tacito potè consultare la documentazione
sua vita contrasta con l’energia e la competenza dimostrate quando ha ufficiale: gli acta senatus (più o meno i verbali delle sedute) e gli acta diurna
ricoperto importanti cariche pubbliche. Su tutta la sua esistenza spira un’a­ populi Romani (contenevano gli atti del governo e notizie su quanto avveni­
ria di sovrana nonchalance, una neglegentia che ne esalta la raffinatezza. va a corte e nella capitale). Inoltre aveva a disposizione raccolte di discorsi
Petronio affronta la morte quasi come un’ultima voluttà, dando contempo­ di alcuni imperatori, come Tiberio e Claudio. L’accuratezza degli storici an­
raneamente prova di autocontrollo, di coraggio e di fermezza: in voluta tichi nell’uso dei documenti non era in genere pari a quella degli storici
polemica con la tradizione del suicidio teatrale degli stoici, si intrattiene moderni: ma Tacito fu senz’altro fra i più scrupolosi (la sua non comune
con gli amici su argomenti diversi da quelli che servivano a crearsi un’au­ diligentia in proposito è elogiata in una lettera di Plinio il Giovane). Nume­
reola di constantia·, non si fa leggere dissertazioni sulPimmortalità dell’ani­ rose sono le fonti storiche e letterarie: tramontato il dogma secondo il quale
ma o sentenze di filosofi, ma poesiole leggere e versi facili (Annales XVI Tacito, in ciascuna delle due opere maggiori, avrebbe costantemente seguito,
19). Senza fare del personaggio un modello — Tacito aveva gusti più auste­ almeno per ciascuna sezione, un’unica fonte (che sarebbe comune anche al
ri — lo storico sembra implicitamente sottolineare che la sua virtus è in resto della tradizione storiografica) alla quale avrebbe dato solo nuova veste
fondo più salda di quella spesso ostentata nella morte dai martiri stoici. artistica, si è fatta strada l’idea di una molteplicità di fonti, utilizzate con
Lo stile degli Lo stile degli Annales è per certi aspetti mutato rispetto a quello delle
Annales: il
libertà e alternando (per esempio a proposito del principato di Tiberio) fonti
Historiae·. almeno nei libri precedenti il XIII, si registra una linea di evolu­ anche di opposta tendenza. Lo stesso Tacito menziona del resto alcune fra
dispiegarsi della zione che va in direzione del crescente allontanamento dalla norma e dalla
variatio le proprie fonti: Plinio il Vecchio, che aveva scritto Bella Germaniae in venti
convenzione: una ricerca di «straniamento» che si esprime nella predilezione libri e una storia in trentuno libri, continuazione di quella di Aufidio Bas­
per forme inusitate, per un lessico arcaico e solenne, ricco di potenza. Ri­ so (cfr. p. 322); Vipstano Messaila — uno degli interlocutori del Dialo-
spetto alle Historiae, gli Annales risultano meno eloquenti e scorrevoli, più gus —, autore di memorie sulla guerra civile, in cui aveva combattuto dalla
concisi e austeri. Perdura e si accentua il gusto per la inconcinnitas, ottenuta parte di Vespasiano. Un particolare rilievo sembrano assumere i nomi di
soprattutto attraverso la variatio, cioè allineando a un’espressione un’altra Cluvio Rufo e di Fabio Rustico: il primo fu console sotto Caligola, e proba­
che ci si attenderebbe parallela, ed è invece diversamente strutturata (due bilmente morì sotto Vespasiano; fu in rapporti di amicizia con Nerone, ma
esempi tratti dalla narrazione dell'incendio di Roma: pars mora, pars festi- non accettò di fare il delatore; scrisse, a quanto pare, su avvenimenti con­
nans, cuncta inpediebant, Annales XV 38, e [incendium] in edita adsurgens temporanei, e fu una delle fonti delle Historiae. Fabio Rustico, del quale
et rursus inferiora populando anteiit remedia, ibid.). Le disarmonie verbali sappiamo molto poco, era favorevole a Seneca e tenne un atteggiamento
riflettono la disarmonia degli eventi e le ambiguità nel comportamento uma­ di ostilità a Nerone; fu importante come fonte per l’ultima fase del principa­
no. Abbondano le metafore violente (le immagini sono quelle della luce e
to neroniano.
delle tenebre, della distruzione e dell’incendio) e l’uso audace delle personifi­ Tacito potè inoltre servirsi di letteratura epistolografica e memorialistica
Gli exitus
cazioni. È frequente la coloritura poetica, soprattutto virgiliana, ma notevoli (per esempio le memorie di Corbulone sulla guerra contro i Parti), e certo
illustrìum virorum
sono anche le tracce di Lucano nella prosa di Tacito. attinse a quel vasto genere letterario che va sotto il nome di exitus illustrium
L’«involuzione» All’interno degli Annales si registra tuttavia una certa modificazione virorum: una libellistica di opposizione che narrava il sacrificio dei martiri
dello stile dello stile, in cui alcuni hanno visto una involuzione. A partire dal libro
nell’ultima parte della libertà, soprattutto di coloro che avevano affrontato il suicidio ispiran­
XIII Tacito sembra ripiegare su moduli più tradizionali, meno lontani dai dosi alle dottrine stoiche. Di questa letteratura Tacito si servì per esempio
degli Annales
dettami del classicismo. Lo stile si fa più ricco ed elevato, meno serrato, per narrare la morte di Seneca o di Trasea Peto (quest’ultimo, cfr. p. 391,
acre e insinuante; nella scelta dei sinonimi, lo storico passa dalle espressioni aveva scritto a sua volta una vita di Catone Uticense, l’archetipo dei martiri
scelte e decorative a quelle più sobrie e normali. La differenza è stata della libertà): soprattutto per conferire colorito drammatico al proprio rac­
attribuita al diverso argomento: il regno di Nerone, abbastanza vicino nel conto, non perché fosse fra gli ammiratori di questo genere di suicidio il
tempo, richiedeva di essere trattato con minore distanziamento solenne di quale, come già abbiamo sottolineato più volte, gli appariva viziato da una
quello ormai remoto di Tiberio, che sembrava ancora radicato nell’antica forma di ambiziosa ostentazione, politicamente improduttiva.
res publica. Qualche trascuratezza notata soprattutto nei libri XV e XVI
ha fatto anche pensare che gli Annales non abbiano ricevuto l’ultima revi­
sione.
452 TACITO

7. La fortuna

Ammiano
Tacito trovò un ammiratore entusiasta in Plinio il Giovane, ma la sua
SVETONIO
Marcellino
vera fortuna incominciò nel IV secolo, quando Ammiano Marcellino (cfr.
p. 544 segg.) compose un’opera storica che intendeva riallacciarsi alla sua;
E LA STORIOGRAFIA MINORE
più o meno nello stesso periodo, i riechèggiamenti da parte di vari altri
scrittori mostrano che egli era fra gli autori letti comunemente.
L’età moderna e Nell’Umanesimo e nel primo Rinascimento, a Tacito venne spesso prefe­
il «tacitismo»
rito Livio; ma già Guicciardini indicò in lui il maestro che insegnava a fon­
dare le tirannidi. Su questa linea, nell’epoca della Controriforma e delle
monarchie assolute prese piede il fenomeno del «tacitismo», che vide nell’o­
pera di Tacito un complesso di regole e di principi direttivi dell’agire politico
di tutti i tempi. Così Tacito venne talora usato, dai teorici della ragione
di stato, come pretesto alla formulazione di una teoria dell’idea imperiale. Vita e Di Gaio Svetonio Tranquillo non conosciamo esattamente l’anno di nascita
Ma la tradizione tacitista seppe trarre da Tacito anche l’indicazione di come testimonianze né quello di morte: possiamo solo supporre (sulla base delle scarse indicazioni
autobiografiche che ci fornisce; altre notizie possiamo ricavare dall’epistolario di
«vivere sotto i tiranni» evitando sia il servilismo, sia una sterile opposizione.
Plinio il Giovane, daW'Historia Augusta e da un’iscrizione scoperta qualche de­
È una linea di pensiero che dura anche dopo la fine del tacitismo, per arriva­
cennio fa) che sia nato poco dopo il 70 d.C. da famiglia di rango equestre di
re, per esempio, fino a Diderot e alla sua giustificazione (attraverso un’apo­ modesta condizione (nulla di certo si sa sul luogo di nascita). Per un po’ dovette
logia di Seneca) della collaborazione del filosofo coi sovrani. Ma le genera­ svolgere attività forense, poi — quando aveva già iniziato a dedicarsi a studi
zioni dell’Illuminismo sentirono Tacito soprattutto come l’oppositore della eruditi — grazie alla protezione di personaggi influenti (prima Plinio il Giovane,
tirannide. In campo letterario, alcuni grandi tragici, come Corneille, Racine poi Setticio Claro) entrò a corte in qualità di funzionario: fu prima preposto, da
e l’Alfìeri, trassero da «drammi» tacitiani materia e ispirazione per i loro Traiano (che gli accorderà il ius trium liberorum), alla cura delle biblioteche pub­
tormentati personaggi. bliche; poi, sotto Adriano (117-138), fu addetto all’archivio imperiale e alla corri­
spondenza dello stesso principe (incarico che sarebbe stato determinante per
le sue ricerche).
La sua brillante carriera burocratica si interruppe bruscamente nel 122, quando
cadde in disgrazia insieme a Setticio Claro, prefetto del pretorio e suo protettore.
Bibliografia Edizioni m oderne. Opere m inori: E. lin 191511; E. K o e s t e r m a n n , Heidelberg Dopo la destituzione e l’allontanamento da corte si perdono le sue tracce; non
K o e s t e r m a n n , Leipzig 1970. Historiae'. 1963-68.
H . H e u b n e r , Leipzig 1978. Annales'. E.
sappiamo quanto tempo dopo sia morto.
Studi: R. S y m e , Tacito, trad. it. Bre­
K o e s t e r m a n n , Leipzig 1971; H . G o el - scia 1967-71 (opera fondamentale); E. P a ­
z e r , Paris 1923-25; P . W u il l e u m ie r , P a­
r a t o r e , Tacito, R om a 19622; C . M a r ­
ris 1974-78. Opere Di una copiosa produzione, in greco e in latino, di opere erudite abbiamo
c h e s i , Tacito, M ilano 19554; A. M ic h e l ,
Commenti: Agricola: R . T u a , Ber­ notizia, più che dai miseri frammenti, soprattutto grazie ai cosiddetto lessico della
Tacito e il destino dell’impero, trad. it.
lin 1961; R . M. O g ilv ie - I. A. R ic h ­ Torino 1973; C . Q u e s t a , Studi sulle fo n ti Suda (X secolo), che ce ne elenca diversi titoli (gli argomenti sono svariati, dai
m o n d , Oxford 1967. Germania·. J. G . costumi romani al calendario, dai segni diacritici usati dai filologi alle cortigiane
degli A n n a li di Tacito, Rom a 19672; M.
C. A n d e r s o n , O xford 1938; R . M u c h , L a b a t e , L e am biguità di Otone, in famose, dai difetti fisici agli scritti politici di Cicerone, ecc.). Prata, o Pratum,
Heidelberg 19675. Diaiogus·. A. G u d e - «M aia», n. s„ 29-30, 1977-78; L . C a n ­ sarebbe un’opera di carattere enciclopedico, suddivisa in diverse sezioni in base
m a n , Leipzig-Berlin 19142. Historiae: f o r a , L a Germania di Tacito da Engels agli argomenti trattati; secondo altri il titolo designerebbe invece l’intera produzio­
C. H e r a e u s , Leipzig 1927 e 1929; H. al nazismo, N apoli 1979; F . G o r i - C . ne antiquario-erudita che abbiamo detto.
H e u b n e r , Heidelberg 1963-76. A n n a ­ Q u e s t a (a cura di), L a fo rtu n a di Tacito
les: K. N ip p e r d e y - G . A n d r e s e n , Ber­ De viris iliustribus si intitolava una raccolta di biografie di letterati suddivisa
dal sec. X V a oggi, U rbino 1979.
per «generi» (poeti, oratori, storici, filosofi, grammatici e retori). A noi ne resta
solo una sezione, De grammaticis et rhetoribus, mutila nella parte finale: ai gram­
matici (cioè filologi, studiosi di testi letterari) sono dedicati i primi 24 capitoli (dal
greco Cratete di Mallo, che introdusse la «grammatica» a Roma, a Valerio Probo),
ai retori solo gli altri 6 capitoli superstiti. Delle altre sezioni abbiamo solo materia­
le sparso giuntoci per tradizione indiretta: dal De poetis, soprattutto, derivano
(non sappiamo se e quanto rielaborate dagli autori che le compilarono, come
Donato e S. Girolamo) le Vitae che possediamo di alcuni poeti come Terenzio,
Virgilio, Orazio, Lucano.
Il De vita Caesarum, una raccolta di dodici biografie (degli imperatori da
Giulio Cesare a Domiziano) in otto libri, ci resta invece completo, fatta ecce­
zione per i capitoli introduttivi della prima biografia e la dedica dell’opera a Setti­
cio Claro.
454 SVETONIO E LA STORIOGRAFIA MINORE
LA BIOGRAFIA IN SVETONIO 455

1. La biografia in Svetonio
Plutarco, più o meno negli stessi anni di Svetonio, ne avrebbe dato l’esem­
I predecessori di
pio più insigne nelle Vite parallele), adatto appunto, in virtù della disposi­
Quello biografico era un genere letterario di tradizione greca che, a Ro­
Svetonio zione cronologica degli eventi narrati, a far luce sullo sviluppo di personalità
ma, era stato coltivato e collaudato soprattutto da Varrone e Cornelio Ne­
complesse e di carattere eminentemente pubblico come quelle di grandi uo­
pote. Più o meno negli stessi anni, Varrone (che fu autore anche di biografie
mini politici e statisti; il tipo di biografia cioè che Svetonio avrebbe dovuto
di poeti, perdute) nelle Imagines e Nepote nel De viris illustribus avevano
adottare per le Vite dei Cesari.
infatti tracciato i profili di personaggi famosi (distinti per categorie: statisti,
Evoluzione del Oggi però, a questa tesi fondata su una ricostruzione ormai insostenibile
comandanti militari, artisti, scrittori, ecc.) sulla base dello stesso schema
principato ed della storia del genere biografico nell’antichità, e che attribuiva alla consue­
che ispirerà il De viris illustribus svetoniano. Brevi informazioni su origini
evoluzione dello tudine dell’erudito Svetonio con l’indirizzo biografico alessandrino il carat­
e luogo di nascita, sull’insegnamento esercitato, sugli interessi principali e schema della tere astorico e frammentario delle biografie imperiali, si è venuta sostituen­
le opere composte, sui tratti del carattere (spesso illustrati mediante aneddoti biografia do una valutazione diversa, più attenta alle ragioni intrinseche delle scelte
o particolari curiosi della vita privata): questo, grosso modo, è il modello
svetoniane. Anzitutto, nell’adozione del genere biografico si vede la prova
su cui sono impostati i succinti ritratti di grammatici e retori delineati da
Schema-tipo delle
della consapevolezza che tale è la forma storiografica più idonea a dar conto
Svetonio. Uno schema non dissimile — tranne, naturalmente, le diverse atti­
biografie di della nuova forma che il potere ha assunto, quella individualistica, persona­
vità svolte, cioè le varie forme di esercizio del potere in luogo delPinsegna-
Svetonio le, del principato, e che la biografia dei singoli imperatori è la più adatta
mento, e le ben maggiori dimensioni delle biografie imperiali — sembra es­
a fungere da criterio di periodizzazione per la storia dell’impero. Nella ri­
sere alla base anche dell’altra opera biografica di Svetonio, cioè le Vite dei
nuncia allo schema annalistico (cioè alla narrazione degli eventi anno dopo
Cesari. Queste ultime iniziano infatti con notizie relative a famiglia, luogo,
anno), che la cultura senatoria aveva ancorato al regolare succedersi delle
data e circostanze relative alla nascita del principe, per seguire poi, in uno
magistrature repubblicane, si vede quindi la realistica presa di coscienza che
sviluppo cronologico che ne accompagna l’adolescenza, il suo avvento al
quelle magistrature, pur se formalmente ancora vigenti, sono ormai una par­
potere. Dopo di che si interrompe l’ordinamento cronologico per far luogo
venza fittizia, e che solo la durata del regno di ogni singolo principe può
a una descrizione sincronica dei vari aspetti della personalità dell’imperatore
Modelli romani di scandire il succedersi di un periodo all’altro. Al tempo stesso, prevale ormai
suddivisi per singole rubriche, a loro volta attraversate da partizioni ulterio­
Svetonio: elogia la tendenza a ravvisare tratti specificamente romani proprio laddove prima
ri. Il ritorno all’ordine cronologico, con il resoconto della morte e delle
e laudationes si supponeva più forte l’influenza dell’eredità alessandrina: la tradizione de­
onoranze funebri tributate al principe, segna la conclusione delle singole funebres
«vite». gli elogia e delle laudationes funebres, che elencavano le imprese civili e
La rinuncia alla militari, le benemerenze, gli onori del defunto, sembra rivelare la sua in­
L’aspetto più rilevante nell’organizzazione del materiale biografico è quin­
disposizione fluenza sul modo in cui Svetonio seleziona e dispone il materiale. Le Res
di la rinuncia a una disposizione cronologica che accompagni lo sviluppo
cronologica: gestae di Augusto, con la rassegna delle cariche conferite al principe, dei
della personalità analizzata: è lo stesso Svetonio, in un passo della Vita di
l’estensione ai donativi fatti allo stato, delle elargizioni al popolo, dei monumenti eretti,
Augusto (9, 1), a render conto di tale criterio espositivo che procede non
Cesari dello insomma delle svariate benemerenze acquisite, ci danno un esempio signifi­
schema dei viri
per tempora sed per species, secondo una serie cioè di categorie, di rubriche,
cativo della spinta che tale tradizione eminentemente romana poteva eserci­
illustres che trattano separatamente i vari aspetti della personalità del principe. Anzi­
Pettegolezzo e tare sull’esposizione per species che troveremo nelle Vite di Svetonio. E nella
ché illustrare quindi le vicende nella complessità degli elementi che possono
demistificazione tendenza, tanto deplorata come deteriore gusto del pettegolezzo, a insistere
darne conto, e seguendo un percorso lineare e unitario, il biografo preferisce
sulla vita privata degli imperatori descrivendone eccessi e intemperanze, sui
comporre per frammenti episodici, privilegia un’analisi incentrata sul perso­
particolari futili o scandalistici (che ha alimentato la fortuna dell’opera, let­
naggio e sulla sua vita privata, sul suo carattere, inquadrando in apposite
ta come un manuale di perversioni regali), si inclina oggi a vedere anche
rubriche le sue virtutes e i suoi vitia, con l’ovvia conseguenza di orientare
Biografie
la manifestazione di una volontà obiettiva e demistificante, dell’intenzione
il giudizio in senso decisamente moralistico. Sulla base di queste analogie
«alessandrine» e di fornire un ritratto integrale del personaggio, illustrandone tutti gli aspetti
tra le due opere biografiche di Svetonio, gli studiosi (è una tesi sostenuta
biografie della vita sia pubblica che privata, senza atteggiamenti encomiastici e senza
soprattutto, all’inizio del secolo, dal grande filologo F. Leo) hanno matura­
«plutarchee» rinunciare alla messe di notizie concrete che gli archivi imperiali mettevano
to la convinzione che egli abbia «indebitamente» esteso ai Cesari il modello
a disposizione.
biografico già sperimentato nel De viris illustribus: questo modello — secon­
Un bell’esempio Ne risulta un tipo di «storiografia minore» (rispetto, ad esempio, a quella
do tale tesi — era stato elaborato, in ambito alessandrino, per illustrare tacitiana, rispondente ai canoni della cultura storiografica aristocratica), che
di «storiografia
le figure degli uomini di cultura (poeti, filosofi, storici, ecc.), e costituiva attinge alle fonti più varie (dai documenti archivistici alla tradizione orale,
minore»
un tipo di biografia destinata alla cerchia degli eruditi e priva di ambizioni
dalla libellistica satirica alla storiografia precedente, soprattutto quella di
artistiche, nella quale naturalmente la narrazione cronologica (trattandosi
tradizione anticesarea) e che delinea anche, in qualche modo, i tratti del
di vite «private») non aveva una funzione rilevante come in un’opera che
suo destinatario, da identificare nell’ordine equestre al quale lo stesso Sveto­
volesse tratteggiare la personalità di uno statista o di un condottiero. Per
nio appartiene e che costituisce il punto di vista attraverso cui le singole
questo secondo tipo di biografia la cultura greca (più precisamente la scuola vicende sono osservate e valutate. Un pubblico di funzionari e burocrati
aristotelica) aveva elaborato un altro modello, il tipo «plutarcheo» (perché che avrà apprezzato il senso di concretezza della pagina svetoniana, la regi­
456 SVETONIO E LA STORIOGRAFIA MINORE FLORO E LA «BIOGRAFIA D I ROMA» 457

strazione — con scrupoloso spirito cancellieresco — del particolare curioso, di una moda diffusa nelle scuole retoriche) e con quell’Annio Floro che,
la divulgazione del documento inedito, l’esposizione del materiale piana e legato d’amicizia ad Adriano, scambiò con l’imperatore scherzosi componi­
ordinata per rubriche ben distinte. Al suo gusto letterario sarà piaciuto, di menti poetici del tipo caro ai poetae novelli (cfr. p. 491 segg.). Un solo
Svetonio, anche il linguaggio sobrio e asciutto, alieno dalle ricercatezze ar­ personaggio, quindi, di origine africana (è il dialogo suddetto a fornirci nel
caizzanti e dai preziosismi moderni, aperto ai modi colloquiali ma senza proemio — l’unica parte che ce ne rimane — questi scarni dati biografici),
rinunciare al decoro: una scrittura agile e spedita, la cui vivacità narrativa che allontanatosi da Roma al tempo di Domiziano fu maestro di scuola
è il pregio che maggiormente compensa i limiti più vistosi di quest’opera, in Spagna, per poi tornare nella capitale, in ambienti vicini alla corte.
primo fra tutti la superficialità dell’analisi storica e psicologica. Senza assur­ Fonti diverse da Qui ci occupiamo solo della sua opera storiografica, interessante sotto
gere al livello della grande storiografia, le Vite dei Cesari costituiscono tutta­ Livio diversi aspetti. Il titolo, che sarà stato aggiunto da altri, è in sé inappropria­
via un documento eccezionalmente ricco di notizie e informazioni per la to, perché quello di Floro non è un riassunto da Livio: questi costituisce
ricostruzione storica del primo periodo imperiale. sì la sua fonte principale, ma certo non l’unica (sensibile l’influsso di storici
come Sallustio e Cesare, ma anche di poeti come Virgilio e Lucano); e inol­
tre l’opera di Floro, che tratta la storia bellica di Roma dalle origini fino
al principato di Augusto, registra anche avvenimenti successivi alla conclu­
2. La fortuna sione della trattazione di Livio.
Schema Epitoma denota comunque il carattere conciso, compendiario, di que­
«biologico» della st’opera che consiste essenzialmente in una ricostruzione della storia militare
L’assetto Con Svetonio la biografia prende forma in un assetto che sarebbe risul­ crescita di Roma romana, delle varie tappe della inarrestabile espansione di una piccola città
definitivo del tato definitivo, e che sarebbe stato assunto a modello delle biografie impe­ destinata a costituirsi in Impero. La crescita progressiva della potenza roma­
genere biografico riali raccolte (nel IV secolo) sotto il titolo di Historia Augusta, proiettando na viene modellata sullo schema di una crescita biologica: Floro personifica
verso il futuro la fortuna di quel genere storiografico. Ma anche il De viris il popolo romano, facendone una sorta di protagonista collettivo della nar­
illustribus, oltre alle Vite dei Cesari, fu ampiamente noto nella tarda antichi­ razione e ne descrive le varie età dall’infanzia (monarchia) all’adolescenza
tà (fino a Isidoro e oltre), come testimonia ad esempio l’uso che ne fece (prima età repubblicana) alla maturità, raggiunta con la pax augustea e de­
S. Girolamo sia come modello della sua opera omonima dedicata agli scrit­ stinata a esser seguita dalla vecchiaia del primo secolo dell’impero, che Flo­
tóri cristiani, sia per arricchire la sua rielaborazione in lingua latina della ro evita di trattare (sarebbe stato ben difficile continuare a fare del populus
Cronaca di Eusebio di Cesarea. Praticamente senza interruzioni, la fortuna Influsso di il protagonista della storia romana). Con intento chiaramente apologetico
di Svetonio si protrae per tutto il Medioevo fino alPUmanesimo (anche Pe­ Svetonio e e panegiristico, egli si sottrae anzi alle necessarie conclusioni pessimistiche
trarca si ispirò alle Vite dei Cesari per il suo De viris illustribus) e alle lette­ ricerca di nuove sul destino dell’impero affermando di veder rifiorire, sotto il comando di
rature moderne. forme Traiano, una seconda giovinezza foriera di una nuova felicità. L’adozione
Fortuna delle Uguale fortuna ebbero, fino al V-VI secolo, le opere erudite di Sveto­ storiografiche dello schema biologico, di antica tradizione stoica e presente già in Varrone
opere erudite nio. I compilatori tardi preferirono spesso attingere a lui, piuttosto che alla e in Seneca il Vecchio, tradisce l’influsso della biografia svetoniana (nel sen­
monumentale e quindi difficilmente consultabile produzione di Varrone, so che configura la storia di un organismo statale come la vita di un perso­
notizie storico-antiquarie su Roma e più in generale su tutto ciò che con­ naggio) e la ricerca di nuove forme storiografiche, più adatte al gusto di
cernesse il passato più remoto. L’influsso di Svetonio su questi eruditi (Cen- un pubblico cui sembrano volersi adeguare anche la narrazione agile e conci­
sorino, Servio, Macrobio, Isidoro di Siviglia, ecc.) non è valutabile con esat­ sa e lo stile retoricamente colorito.
tezza, data la perdita degli originali svetoniani, ma fu certamente molto
grande. F ra i compendi storici di matrice prevalentemente liviana va m enzionato, nel II seco­
Granio Liciniano
lo, quello di Granio Liciniano, vissuto in età adrianea e autore (oltre che di u n ’opera
di carattere enciclopedico, Cenae suae, alla m aniera di Gellio) di u n ’am pia opera
storica: i pochi fram m enti superstiti, scoperti nel secolo scorso, presuppongono al­
meno 36 libri; la narrazione, asciutta e schematica, privilegia aneddoti e particolari
3. Floro e la «biografia di Roma» curiosi.
Lucio Ampelio e Più incerta invece la datazione di Lucio Ampelio (forse dell’età di A driano o di
Giustino A ntonino Pio; m a altri, soprattutto per ragioni linguistiche, lo collocano assai più
Identità fra autore in là, fino al IV secolo), autore di un Liber memorialis, di carattere soprattutto
L’esigenza di rinnovare i modelli storiografici tradizionali, o di variarne
dell 1
'Epitoma e geografico e mitologico m a contenente molte notizie storiche selezionate (la fonte
le caratteristiche, sembra documentata, oltre che da Svetonio, anche dall’o­ prim aria è ancora Livio) e disposte in form a som m aria e confusa, con intento di
poeta novellus
pera tramandataci sotto il titolo di Epitoma de Tito Livio bellorum omnium facile divulgazione del patrim onio storiografico e con un gusto spiccato per i mirabi­
annorum DCC (in due o quattro libri, secondo i manoscritti) e attribuita lia. Ricordiam o infine che in questo secolo va quasi certam ente collocato Giustino,
a L. Anneo (o Giulio) Floro. l’epitom àtore delle Historiae Philippìcae di Pom peo Trogo (cfr. p. 319).
Dell’autore sappiamo molto poco: oggi si tende a identificarlo con il
P . Annio Floro che compose il dialogo Vergilius orator an poeta (tipico
458 SVETONIO E LA STORIOGRAFIA MINORE

Bibliografia Fra le edizioni dei Caesares si veda re frammentarie: A. R e if f e r sc h e id , Leip­


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rhetoribus cfr. l’ed. di G. B r u g n o li, die antike Biographie, Miinchen 1951; P .
Leipzig 19722 (comm. di F. D ella C o r ­ V e n in i, Sulla tecnica com positiva sveto-
t e , Torino 19683); un commento della se­
niana, Pavia 1975. Un saggio d ’insieme:
zione ricostruita del D e poetis a cura di F. D el l a C o r t e , Svetonio eques Rom a-
A. R o st a g n i , Torino 1944. Fondam en­ nus, Firenze 19672.
tale, su quest’opera, E. P a r a t o r e , Una F ra le edizioni di Floro cfr. P . J a l ,
nuova ricostruzione del «De poetis» di Paris 1967, e E. M a lc o v a ti , Rom a 19722;
Svetonio, Bari 19502. Im portante anche di G ranio Liciniano, cfr. M . F l e m is c h ,
G. D ’A n n a , L e idee letterarie di Sveto­ Vita e Nel completo silenzio dei contemporanei ricaviamo tutto quello che sappiamo
Leipzig 1904; di Ampelio, cfr. N . T e r -
nio, Firenze 1954. U n’edizione delle ope­ z a g h i , Torino 1947.
testimonianze della cronologia e della biografia apuleiane dalle opere stesse dell’autore.
Di Apuleio (Apuleius o Appuleius) ci è ignoto il praerromen, che alcuni codici
tramandano come Lucius (ma verosimilmente ricavandolo dal nome del
protagonista-narratore del romanzo). Africano di Madaura (l’attuale Mdaurush),
in una zona di confine tra la Getulia e la Numidia (corrispondente all’incirca all’o­
dierna Algeria), dove nacque intorno al 125 d.C., fu di estrazione agiata (il padre
era duovir iurì dicundo), il che gli permise di compiere gli studi a Cartagine, fulcro
della vita culturale della provincia, e quindi ad Atene, dove meglio potè assecon­
dare i propri interessi filosofici. Fu poi probabilmente per qualche tempo a Roma
— è incerto quando — e viaggiò più volte in Oriente, tenendo conferenze di
grande richiamo e successo in varie località. Di nuovo in Africa, nel corso di
un viaggio verso Alessandria fece tappa a Oea (odierna Tripoli), attorno al 155-
156: qui l’incontro con Ponziano, compagno degli studi ateniesi, determinò un
evento carico di conseguenze nella biografia anche letteraria di Apuleio, il matri­
monio con la ricca vedova madre deH’amico, Pudentilla. Nel 158, a Sabratha,
a seguito di questo matrimonio, Apuleio si trovò a dover sostenere un processo
intentatogli dai parenti della moglie, sotto l’accusa di magia: ce ne resta testimo­
nianza neW’Apologia (nostra fonte principale, con i Flòrida, per la biografia dello
scrittore), versione successivamente rielaborata dell’orazione difensiva, che Apu­
leio stesso scelse di pronunciare, e che dovette assicurargli l’assoluzione. Gli
ultimi anni della sua vita, trascorsi a Cartagine, lo videro al centro della vita pub­
blica, oratore celebre e apprezzato. Le nostre notizie di lui non oltrepassano il 170.

Opere Opere a noi pervenute: Metamorphoseon libri, romanzo in undici libri, noto
fin dall’antichità anche col titolo di Asinus aureus (L’asino d’oro); la già citata
Apologia (nei codici che ce la tramandano il titolo è De Magia)·, la Flòrida ( =Antherà,
«selezione di fiorì»), raccolta di ventitré brani oratori; i trattati filosofici De Platone
et eius dogmate (in due libri), De deo Socratis e De mundo. Vengono poi tradizio­
nalmente attribuite ad Apuleio un Perì ermeneias, trattatello latino di logica aristo­
telica, e un dialogo, Asclepius, sulla cui autenticità si nutrono forti dubbi. Egli
avrebbe inoltre scritto altre opere interamente perdute o di cui sono rimasti solo
pochi frammenti: un altro romanzo (I’Hermagoras), delle traduzioni da Platone
(Fedone, Repubblica) e una (l'Arte aritmetica) dal neopitagorico Nicomaco da Ge-
rasa, dei ludicra, nonché testi di carattere enciclopedico (De proverbiis, De medi-
cinalibus, De re rustica, De arboribus, De pescibus, De musica). Ci è giunto poi,
da una traduzione latina della commedia menandrea Anechomenos (opera di cui
peraltro non abbiamo ulteriori notizie), un breve frammento che è plausibile attri­
buire ad Apuleio.
460 APULEIO UNA FIGURA COMPLESSA DI ORATORE, SCIENZIATO, FILOSOFO 461

1. Una figura complessa di oratore, scienziato, filosofo laborazione di un omonimo trattatello greco di scuola peripatetica, sorta
di manualetto che compendia la dottrina aristotelica del sillogismo (in parti­
colare del sillogismo assertorio) e che ebbe fondamentale importanza nel
Il «filosofo «Al filosofo platonico, i cittadini di Madaura»: così la dedica, rinvenuta Medioevo come testo di scuola, sussiste un forte seppure non concorde scet­
platonico» nel 1918, sul basamento di una statua certamente eretta ad Apuleio dai con­ ticismo. Viene invece generalmente considerato spurio il dialogo Asclepius:
cittadini, sintetizza la personalità dello scrittore, e Platonicus egli è detto l’attribuzione ad Apuleio non stupisce se si considera che certo il dio-medico
in alcuni codici delle sue opere. Quella di filosofo platonico (del cosiddetto venerato da Elio Aristide (come mostrano i suoi Discorsi sacri) non era igno­
platonismo medio, dal I secolo a.C. a Plotino) doveva costituire in certo to al filosofo di Madaura.
mòdo la qualifica ufficiale e probabilmente quella favorita da Apuleio, che Il De mundo Conforme agli interessi speculativi per le forze che regolano l’universo
proprio sulla rivendicazione della dignità di filosofo aveva fondato la difesa è il De mundo, rifacimento dello pseudoaristotelico Perì kòsmou. Se la
dall’accusa di magia nel processo. A noi tale etichetta appare piuttosto come scelta della materia si spiega colla tendenza che il platonismo medio ebbe
l’espressione dell’orizzonte culturale entro cui si situano gli studi multiformi ad accogliere spunti aristotelici capaci di conciliare indagine naturalistica
di Apuleio. Rappresentante della temperie che va sotto il nome di «seconda e interessi metafisico-teologici, lo spirito che ne è alla base, vicino alla dot­
sofistica», che vede moltiplicarsi le esibizioni di retori famosi, accanto ad trina deterministica dello stoicismo (che negava il libero arbitrio dell’indivi­
una penetrazione massiccia dell’irrazionale nelle scelte religiose (sotto forma duo, subordinandolo ai disegni della Provvidenza) sembra ancor più allonta­
di misticismo ascetico o di semplice superstizione), Apuleio condivide i vari narsi dall’ortodossia platonica. Ma se tutto questo non appartiene esclusiva-
aspetti di tale fenomeno culturale: la curiosità per il mondo della natura, mente ad Apuleio (era già nel trattatello pseudoaristotelico preso a modello),
l’inquietudine e la tensione verso l’occulto (spazio presupposto dalle incrina­ certamente apuleiana è la coloritura che caratterizza l’opera nel rifacimento
ture stesse del reale, e la cui esplorazione è sentita ormai come necessaria latino: particolarmente evidente qui lo sforzo — comune anche alle altre
per una soddisfacente comprensione del mondo), l’iniziazione ai culti miste­ opere filosofiche — di introdurre in lingua latina il linguaggio tecnico­
rici, e infine la pratica brillante di conferenziere itinerante, che padroneggia specialistico delle scienze naturali. Il fatto che i capp. XIII e XIV sembrino
fino al virtuosismo la lingua greca come quella latina. pesantemente tratti dalle Noctes Atticae di Gellio (II 22) ha fatto discutere
Elementi di Apuleio è talmente imbevuto di cultura popolare, oltre che di dottrine della datazione del De mundo, da ritenere posteriore alla pubblicazione del­
cultura popolare scolastiche e accademiche, che facilmente si possono riconoscere in lui i ri­ l’opera di Gellio (seconda metà del II secolo). Di qui, tenendo per ferma
flessi non solo del pensiero platonico, peripatetico, filosofico in generale, la tesi generale che vorrebbe giovanili le opere filosofiche a noi giunte,
ma anche della religiosità isiaca e perfino di quella gnostica ed ebraica (sep­ si è arrivati a negare la paternità apuleiana dell’operetta. Per evitare tale
pure verso queste mostra atteggiamenti polemici). Non mancano tracce si­ difficoltà si è preferito retrodatare la pubblicazione dell’opera di Gellio (né
gnificative di dottrine accettate a un più basso livello culturale, quali la fisio­ ci sono seri impedimenti).
gnomica (per quanto di diffusione popolare, essa aveva lontane origini nelle De Platone et I due libri De Platone et eius dogmate, che sono invece una sintesi della
scuole aristoteliche) o l’arte dell’interpretazione dei sogni (fiorente nel secon­ eius dogmate fisica e dell’etica di Platone (Apuleio, come avverte nel proemio, avrebbe
do secolo, come ci è testimoniato daWOnirocritica, opera in cinque libri poi trattato della logica in una terza parte — che alcuni studiosi hanno rico­
composta da Artemidoro di Daldi sul finire del II secolo). D ’altra parte nosciuto nel Perì ermeneias), sono un’utile testimonianza del lungo lavoro
lo stesso platonismo, cui lo stesso Apuleio si richiamava, si era ormai allon­ esegetico fiorito intorno alla dottrina del maestro, giacché probabilmente
tanato molto dall’originaria ortodossia del filosofo ateniese. Indipendente­ derivano per via diretta dall’ambiente dei commentatori e dalle loro elabora­
mente infatti dall’esistenza, peraltro molto discussa, di una scuola ben defi­ zioni.
nita, che avrebbe fatto capo al medioplatonico Gaio, è certo che il platoni­ il De deo Ma il più importante di questi scritti è sicuramente il De deo Socratis,
smo medio risentì di forti influssi peripatetici e stoici, e si nutrì di una pluralità Socratis la trattazione più sistematica della dottrina dei dèmoni a noi giunta dall’an­
di interessi, come sembrano appunto testimoniare le numerose opere attri­ tichità. L’impianto è tripartito: alla prima sezione, che esamina i mondi
buite ad Apuleio (non solo quelle a noi pervenute ma anche le molte che separati degli dei e degli uomini, segue la parte dedicata alla posizione
si sono perdute). dei dèmoni nella gerarchia degli esseri razionali e la loro funzione di inter­
I trattati di Numerose le opere filosofiche che la tradizione associa al nome di Apu­ mediari fra i due mondi (che li rende garanti del compiersi di un progetto
scienza naturale leio: alcune di esse, per noi sicuramente spurie, devono la loro attribuzione provvidenziale nella storia del mondo); la conclusione è tutta sul dèmone
unicamente alla fama che circolava attorno a questa singolare figura di stu­ di Socrate, la voce interiore che, sentita come tramite di un ordine divino,
dioso, naturalista e medico dagli straordinari poteri taumaturgici. Ci resta­ costringeva il filosofo a proseguire la ricerca del vero. Uno stile esuberante
no, invece, soltanto i titoli di alcuni trattati di scienza naturale (cfr. sopra), e d’effetto, appropriato al tono di una conferenza, dà vita all’immagine
espressione di un interesse naturalistico conforme al gusto del tempo. multiforme e dinamica di un universo popolato da forze misteriose, estra­
La restante produzione si compone dei tre trattati De deo Socratis, De nee alla percezione sensibile, e la cui opera solo il sapiente è in grado
Platone et eius dogmate, De mundo, sulla cui autenticità pare non sussista­ di cogliere.
no più seri motivi di dubbio, e che vengono in genere considerati frutto I Florida Dell’aspetto più appariscente comune ai letterati della seconda sofistica
della studiosa giovinezza di Apuleio. Sulla paternità del Perì ermeneias, rie­ — l’attività di oratori itineranti — Apuleio ci ha lasciato ampia documenta­
462 APULEIO
UNA FIGURA COMPLESSA DI ORATORE, SCIENZIATO, FILOSOFO 463
zione. Per un caso fortunato, lo stesso codice che ci ha conservato il roman­ e Pudentilla, cercò l’appoggio di Ponziano stesso e, alla m orte di lui, quello del
zo e VApologia contiene pure i Flòrida, una raccolta di ventitré brani oratori fratello ancora minorenne, Pudente, per colpire Apuleio: lo scopo era quello di in­
su temi diversi e di diversa estensione, stralciati dal testo di conferenze e terdirgli l’accesso futuro all’eredità della moglie, ben più anziana di lui, col pretesto
pubbliche letture, tenute da Apuleio in Africa, dopo il suo ritorno a Cartagi­ di tutelare gli interessi di Pudente. C aduta quasi subito una prim a accusa, m anifesta­
mente pretestuosa, che gli addebitava la m orte di Ponziano, ad Apuleio fu contesta­
ne. Del compilatore ci è ignota l’identità, ma la natura dei brani contenuti to il reato di magia (per il quale la lex Cornelia — come è ricordata da Paolo,
nella breve antologia, tutti distinti da una ricercatezza retorica spesso vicina un giurista del III secolo — prevedeva finanche la pena capitale). Evidentemente,
al funambolismo, ci permette di intuire i criteri della sua scelta: egli, proba­ sosteneva l’accusa, solo grazie al ricorso a pratiche magiche, egli aveva potuto piega­
bilmente assecondando i gusti del tempo, antologizzò i pezzi di più insistita re al m atrim onio una vedova facoltosa e non più giovane. N onostante palesi rielabo­
bravura retorica, prescindendo dai contenuti (da questi estratti, esce un’im­ razioni, il testo a noi conservato dall'Apologia deve essere fedele all’ordine delle
argomentazioni sviluppate in sede processuale. In prim o luogo (capp. 1-25) l’oratore
magine di conferenziere pronto a trattare ogni questione: c’è l’oratore dei cerca di sm ontare puntualm ente gli argomenti che l’accusa aveva ricavati dalla sua
discorsi politici ufficiali, il panegirista religioso, l’erudito, il letterato, il mo­ vita privata, m oltiplicando disquisizioni dotte su temi disparati, così da guadagnare
ralista, il narratore di storie interessanti, il filosofo convinto che l’arte di il dominio totale degli avversari sotto il profilo culturale; successivamente, si dà
vivere e l’arte di parlare possono atteggiarsi con la stessa grazia intellettuale a ribattere l’accusa specifica di essere mago, con l’orgogliosa afferm azione della pro­
e la stessa eleganza). Si tratta di eccezionali esempi di virtuosismo retorico, pria attività di filosofo (25-65). L a terza e ultim a sezione (66-103) è quindi dedicata
alla ricostruzione degli avvenimenti seguiti al suo arrivo a Oea, allo scopo di dim o­
che testimoniano fra l’altro lo straordinario successo che l’arte della parola strare come il progetto del m atrim onio fosse dovuto interam ente a Ponziano. Prova
poteva garantire a un geniale retore capace di affascinare un pubblico sofi­ decisiva, e che dovette guadagnargli l’assoluzione (nessuna fonte ci parla di una con­
sticato (proprio nei Flòrida Apuleio ringrazia la cittadinanza cartaginese che danna, e lo stesso tono spavaldo e risoluto della redazione scritta si accorda bene
per ammirazione gli ha dedicato una statua). Noi pure non possiamo che con un esito favorevole del processo), fu la lettura del testam ento di Pudentilla,
ammirare la duttilità di una prosa vivace e brillante, che sa adattarsi ad che nom inava erede principale non Apuleio, m a il figlio stesso Pudente.
argomenti quanto mai vari e di vario livello: dalla filosofia al mito, all’aned­
doto curioso (esemplare il frammento dedicato al pappagallo, Flòrida, 12, Apuleio e L ’abilità di avvocato che Apuleio rivela nell’Apologia ha spesso favorito
che, oltrepassando l’interesse puramente naturalistico, si misura con il gene­ Cicerone l’accostamento a Cicerone, in particolare al Cicerone della Pro Celio, ora­
re άύΥ épainos, dell’elogio, adattandosi a quella forma particolare di lode zione intessuta di giochi di parole, invettive, ironia e sarcasmo. Di colui
umoristica tributata ad animali o a cose inanimate che tanto piaceva alla che era considerato, seppure spesso a malincuore, il principe dell’oratoria
seconda sofistica). Sono già qui ravvisabili alcuni di quei tratti che sapranno romana, oltre a mutuare il tipo del periodare, egli utilizza più di una volta
particolarmente dilettare il lettore delle Metamorfosi: accorta la costruzione interi passi, in un gioco sottile e divertito, senza peraltro mai sconfinare
del discorso, efficace la retorica del periodo segnata da parallelismi e figure, nell’ironia aperta (come avviene in alcune movenze famose del romanzo:
vario il lessico e impreziosito di nuove coniazioni. cfr. Met. VII 20 e in particolare III 27: quo usque tandem — inquit —
L'Apologià La lunga orazione che costituisce il testo dell 'Apologia (o Apulei Plato­ cantherium patiemur istum?, «fino a quando — disse — dovremo sopporta­
nici prò se de magia liber — secondo i codici i quali suddividono inoltre re questo somaro?», dove si coglie la parodia del più celebre degli incipit
del tutto arbitrariamente l’opera in due libri) è invece un’orazione giudizia­ ciceroniani); il genere non permetteva di ridicolizzare il suo più importante
ria, l’unica a noi pervenuta di età imperiale. Già per il fatto che l’orazione, e normativo esponente. Ma certo non ciceroniano è il «colore» del discorso,
qualora fosse stata recitata nella forma attuale, sarebbe durata certo molte lontano dal gusto repubblicano, e teso invece alla mescolanza di volgarismi,
ore, e per il fatto poi che essa manchi di un taglio realmente processuale neologismi, arcaismi, poetismi e tutto ciò d’altro che forma la qualità pecu­
(manca per esempio una puntuale discussione dèlie prove) il lettore è indotto liare dello stile apuleiano. Quanto al contenuto, non si può far a meno di
a sospettare che anche quest’opera, apparentemente generata da una circo­ ammirare la disinvoltura con cui l’oratore mette in ridicolo le ragioni del­
stanza storico-reale, abbia invece una natura e una destinazione fortemente l’accusa: Apuleio infatti parla sempre dall’alto della sua cultura enciclopedi­
letteraria. Le compiaciute digressioni, così vicine al gusto frontoniano (si ca, che egli ostenta di continuo. Sono allusioni e ammiccamenti, da cui re­
veda per esempio la lode della pasta dentifricia), sono così numerose e di stano esclusi i suoi accusatori (è anche questo il modo di sbeffeggiarne l’i­
tanto varia natura — dal filosofico allo scientifico al letterario — che è gnoranza) e di cui invece è fatto partecipe Marcello, promosso così a
stato possibile definire YApologia una conferenza più che una orazione di interlocutore unico, destinatario ideale perché colto e sensibile. Le movenze
difesa; e si è persino dubitato della sua storicità. Pare insomma evidente libere e vivaci del discorso, tutto fatto di allusioni e digressioni, consentono
che l’opera, prima di essere utilizzata come documento diretto della biogra­ graziosi esercizi di dottrina comprensibili solo a un interlocutore capace di
fia apuleiana, chiede di essere interpretata come un sofisticato prodotto let­ riconoscere gli exempla letterari citati nelle argomentazioni difensive dell’au­
terario: il famoso retore è qui tutto impegnato nello sforzo di consegnare tore. Ne nasce un testo che talvolta conserva notizie ed osservazioni rare,
alla posterità un’immagine ben modellata di sé: quella di un brillante e ge­ come quella che nel capitolo decimo (Apuleio sta difendendosi da chi l’accu­
niale philosophus platonicus. sa di licenziosità per aver cantato il proprio amore per due bei fanciulli,
invocati sotto falso nome) ricorda i nomi veri delle donne che gli elegiaci
Riassunto Il processo sem bra originato da ragioni d ’interesse economico. Il suocero di Ponzia- latini avevano cantato sotto pseudonimi appropriati (isometrici e isosillabici
óeWApologia no (cfr. p. 459), Erennio R ufino, forse già poco dopo il m atrim onio di Apuleio
rispetto ai nomi veri: Clodia per Lesbia, Ostia per Cinzia, Plania per Delia).
464 APULEIO APULEIO E IL ROMANZO 465

Apuleio «mago» M a quello che più ha affascinato gli antichi come i moderni è l’om bra inquietante testo o piuttosto al colore fulvo dell’animale. Recentemente, in base ad ar­
che Apuleio non riesce o non si cura di fugare sulle proprie innegabili e vaste compe­ gomenti forniti dagli storici delle religioni (l’argomento più importante, con­
tenze proprio in m ateria di magia. La netta distinzione che egli pretende di operare siderando che l’undicesimo libro è una professione di fede in Iside, ricorda
tra magia e scienza, o, in term ini più propri, tra ‘magia goetica’ e ‘magia teurgica’,
che l’asino nel culto isiaco si identificherebbe con Tiphone-Seth, il dio del
si basa in fondo su una distinzione di poteri. M a la capacità di dominio delle forze
naturali, propria dello «scienziato» (o del terapeuta o dell’indovino), di cui egli si male), è stato difeso il titolo testimoniato da Agostino, che probabilmente
fa più volte vanto, conserva tuttavia un che di ambiguo nel corso dell’intera orazio­ conviveva con l’altro.
ne. E se, come spesso si pensa, giudici ed accusatori, pur assolvendo l’im putato
con un non liquet, non rimasero pienamente soddisfatti e convinti, a maggior ragio­
ne il lettore m oderno non potrà fare a meno di avanzare dom ande a cui il testo Riassunto delle Degli undici libri, i primi tre sono occupati dalle avventure del protagonista, il
dell’Apologia non risponde: non partiva già svantaggiato Apuleio, dal momento che Metamorfosi giovane Lucio, prim a e dopo il suo arrivo a H ypata in Tessaglia (tradizionalmente
la Getulia, accanto alla N um idia, sua patria a metà, era terra fam osa di maghi? terra di maghi). Coinvolto già durante il viaggio, per il tenebroso racconto di Aristo-
Perché Apuleio, nel difendersi dall’accusa di avere impiegato dei pesci per dei m ale­ mene, suo com pagno di viaggio, nell’atm osfera carica di mistero che circonda il
fici, afferm a che gli animali m arini non hanno nulla a che fare colla m agia goetica, luogo, il giovane m anifesta subito il tratto distintivo fondam entale del suo carattere,
quando sappiam o esattamente il contrario? Apuleio è in buona fede? Anche la figu­ la curiositas, che lo conduce ad incappare nelle tram e sempre più fitte di sortilegi
ra di filosofo che egli traccia, lungi dall’esaurirsi nei tratti chiari e inequivocabili che anim ano la vita della città, in cui si trova subito a patire u n ’angheria mascherata
di un platonico (quale Apuleio si dichiara), denota un eclettismo che mal la fa distin­ da benevolenza dall’amico Pizia. Ospite di Milone, un ricco locale, e della sua
guere dai neo-pitagorici, tanto vicini ad esperienze di magia non solo teurgica (ad sposa Pànfila, in odore di magia, riesce a conquistarsi i favori della servetta Fètide,
esempio è in grado di evocare l ’intervento dei demoni per assicurarsi la salvezza e la convince a farlo assistere di nascosto a una delle trasform azioni cui si sottopone
da forze avverse). È com unque indubbio che al di là dell’esito del processo che, la padrona. A lla vista di Panfila che, grazie a un unguento, si m uta in gufo,
come sembra assicurarci il tono baldanzoso e sprezzante dell’attuale rifacimento, Lucio non sa però resistere, e prega con insistenza Fotide che lo aiuti a sperimentare
dovette avere un esito favorevole all’im putato, la fam a di Apuleio come mago si su di sé tale metam orfosi. Fotide accetta, m a sbaglia unguento, e Lucio diventa
conservò nei secoli, associata a quella di altri maghi famosi, tra cui Apollonio di asino, pur m antenendo facoltà raziocinanti umane. È questo l’episodio-chiave del
Tiana (lo attesteranno tra l’altro L attanzio in Institutiones V 3,7 e, soprattutto, A go­ rom anzo, che muove il resto dell’intreccio. Lucio infatti apprende da Fotide che,
stino, che nei libri ottavo e nono della Città di Dio ribatte punto per punto le d o ttri­ per riacquistare sembianze um ane, dovrà cibarsi di rose: via di scampo che, subito
ne di Apuleio, in particolare la sua dem onologia, e nel suo epistolario, particolar­ cercata, viene rim andata sino alla fine del rom anzo, attraverso la lunga serie di
mente nelle epistole 102 e 138, riserva aspre critiche all’Apuleio mago, osannato peripezie che l’asino incontra. U na seconda sezione del rom anzo com prende le vicen­
dai pagani d'A frica e da essi contrapposto a Cristo). de dell’asino in rapporto a un gruppo di briganti che lo hanno rapito: il suo trasferi­
Apuleio certo non dimenticò la sua disavventura di Sabratha, se è vero, come si m ento nella spelonca m ontana che essi abitano, un fallito tentativo di fuga insieme
è osservato, che echi e ricordi di essa sarebbero gli episodi, numerosi nel rom anzo, a una fanciulla loro prigioniera, Càrite, e la liberazione finale dei due ad opera
in cui al centro della scena si pone un processo, con tutti i suoi soffocanti meccanismi. del fidanzato di lei, Tlepolemo, che, fingendosi brigante, riesce a ingannare la
banda (libri IV-VII 14). Il racconto principale diviene cornice di un altro racconto,
nella form a di una novella n arrata a Càrite dalla vecchia sorvegliante: è la bella
e celebre favola di Cupido e Psiche, che si estende all’interno di tre libri (IV 28-VI
24). I libri successivi, ad esclusione dell’ultimo, ripercorrono le tragicomiche peripe­
2. Apuleio e il romanzo zie dell’asino, che passa dalle m ani di sedicenti sacerdoti della dea Siria, dediti
a pratiche lascive, a quelle di un mugnaio fatto m orire dalla moglie, a quelle di
un ortolano poverissimo, di un soldato rom ano, di due fratelli, l’uno cuoco e
l’altro pasticciere. Lucio, che passa sempre inosservato sotto le spoglie asinine,
L’unico romanzo Che un «filosofo platonico» si fosse abbandonato a comporre un ro­ può essere testim one di quelle tristi storie di adulterio e di m orte che sostanziano
latino conservato manzo tramato di avventure erotico-licenziose, come le Metamorfosi, sem­ gli ultimi libri, variando e am pliando la form a base che Apuleio sembra come
interamente annunciare in V ili 22. Ovunque l’asino osserva e registra azioni e intenzioni con
brava difficilmente accettabile, due secoli più tardi, al neoplatonico Macro-
la sua mente di uom o, spinto parim enti dalla curiosità per il m ondo circostante
bio. Tale riserva moralistica si è rivelata tuttavia ininfluente sulle sorti me­
e dal desiderio di trovare le rose che lo possano liberare dal sortilegio. Della sua
dioevali dell’opera. Insieme con il Satyricon di Petronio, l’opera di Apuleio natura ambivalente si avvedono per primi il cuoco e il pasticciere, scoperta che
rappresenta anzi per noi l’unica testimonianza del romanzo antico in lingua mette in m oto la peripezia finale. Inform ato della stranezza, il padrone dei due
latina: l’unica, dunque, pervenuta intera. artigiani, divertito, com pra l’asino per farne m ostra agli amici: in un crescendo
Data e titolo L'Apologià ne costituisce da sola il terminus post quem: dato il tono di esibizioni, Lucio riesce a fuggire, a Corinto, dall’arena in cui è stato destinato
dell’opera a congiungersi con una condannata a m orte, e nella fuga raggiunge una spiaggia
dell’accusa, sensibile ad ogni particolare della vita privata di Apuleio, si deserta dove si addorm enta. Il brusco risveglio di Lucio nel cuore della notte apre
ritiene che l’esistenza di un romanzo come le Metamorfosi, con il suo intrec­ l’ultim o libro. L a purificazione rituale che segue e la preghiera alla Luna preparano
cio di episodi variamente connessi con la magia, non sarebbe stata passata il clima ormai decisamente mistico che dom ina la parte conclusiva: Lucio riprenderà
sotto silenzio. Ne dobbiamo dunque dedurre che all’epoca del processo, se (secondo quanto la stessa dea gli aveva prescritto apparendogli sulla spiaggia) form a
pure qualcosa del romanzo esisteva per iscritto, ancora non aveva conosciu­ um ana il giorno seguente mangiando le rose di una corona recata da un sacerdote
a quella sacra processione in onore di Iside in cui — null’altro che maschere —
to pubblica diffusione. com paiono molti tra i personaggi del rom anzo, compreso l’emblema della passata
Il titolo conservato concordemente dai codici, quello di Metamorpho­ abiezione di Lucio, una specie di Pegaso asinino, dileggio di tutti. A ringraziamento,
seon libri, conobbe presto la concorrenza di quello con cui l’opera sarebbe si farà iniziare al culto di lei a Corinto; quindi, a Rom a, per volere di Osiride,
stata indicata da Agostino (De civitate Dei XVIII 18): Asinus aureus, dove si darà a patrocinare le cause nel foro.
è incerto se l’aggettivo vada riferito a un apprezzamento della qualità del
466 APULEIO
APULEIO E IL ROMANZO 467

Le Metamorfosi e La lettura delle Metamorfosi pone qualche questione preliminare. La ciò (il quale si troverà poi a patire una sorte simile seppure non così tragica,
il genere del prima riguarda il genere cui il testo rimanda, e che si suole definire «roman­
romanzo
ricevendo : oltre al danno le beffe: una prima volta nell’episodio di Pizia
zo». In realtà, all’interno del sistema dei generi tramandatoci dall’antichità, e poi nell’episodio della festa del dio Risus). Essi sembrano anche corrispon­
il romanzo sembra mancare di una fisionomia definita (cfr. p. 383), e appa­ dere alla volontà dell’autore di definire, in termini di novità, la propria ope­
re piuttosto come il risultato di un’intersezione di generi diversi (epica, bio­ ra rispetto al genere in cui essa si inserisce.
grafia, satira menippea, racconto mitologico, ecc.). A ciò si aggiunge la dif­
ficoltà di tracciare un vero e proprio quadro del genere romanzo, data la Fonti delle U n ’altra im portante questione riguarda un delicato problem a di fonti. È noto che
penuria di testimonianze che ce ne restano, almeno per la letteratura latina: Metamorfosi un rom anzo a noi pervenuto nel corpus delle opere di Luciano di Sam òsata, ma
mancava nella società romana un vasto ceto di lettori di media cultura, quel­ sicuramente spurio, sviluppa lo stesso intreccio del rom anzo latino, col titolo di
Lucio o l ’asino, in lingua greca e in form a nettam ente più concisa rispetto a
lo che sembra essere il presupposto ineliminabile per il nascere ed il mante­
quella di Apuleio. A bbiam o poi la testim onianza del patriarca bizantino Fozio
nersi di un genere per definizione così popolare. (IX secolo), che dichiara (foglio 129 della sua Biblioteca) di aver letto racconti
Nel caso delle Metamorfosi, poi, occorre considerare un altro elemento di trasform azioni nell’opera di un altrimenti ignoto Lucio di P atre, in vari libri:
indispensabile all’individuazione del genere, ma non meno problema­ di questi, i primi due sarebbero stati copiati dall’opera di Luciano o — ipotesi
Le fabulae tico: il rapporto con le fabulae Milesiae, a cui lo stesso autore riconduce d a Fozio giudicata più probabile — Luciano li avrebbe ripresi d a Lucio. L ’interpre­
Milesiae tazione della notizia ha dato origine a un dibattito ancora in corso tra gli studiosi
la sostanza dell’opera (sermone isto Milesio varias fabulas conseram, I 1). sui rapporti relativi e la priorità dell’uno o dell’altro dei due scritti pervenuti
Ma il naufragio pressoché totale della traduzione che Cornelio Sisenna (cfr. (l’identità stessa di Lucio di P atre è stata, con buona verosimiglianza, messa in
p. 107) fece delle originali fabulae Milesiae di Aristide di Mileto (II secolo discussione, sulla base della facile ricostruzione del nome da quello del protagonista
a.C.) rende irrimediabilmente oscure le órigini di questo genere di narrativa. del Lucio). Qualunque soluzione si voglia adottare (quella della fonte comune
Resta un unico dato certo, quello del carattere erotico di queste novelle, ad Apuleio e allo pseudo-Luciano, o, meno probabile, quella che il L ucio sia
la versione originale), resta aperta la questione sulle parti che si trovano solo
comune anche al romanzo (come si deduce dalla produzione greca di età nel testo di Apuleio: vale a dire, quanto di esse sia da attribuirsi con certezza
imperiale, conservata ben più generosamente di quella latina), di cui le Me­ all’intervento di Apuleio e non si trovasse già nell’originale. Anche in questo caso,
tamorfosi conservano anche lo sviluppo per peripezie successive, nella forma gli studiosi appaiono divisi, tra quelli che concedono ad Apuleio poco più della
delle insertae fabulae. novella centrale di Cupido e Psiche (sulla quale, per varie ragioni, non sussistono
Anche la storia dell’asino-uomo, nella sua forma base erotico-licenziosa, dubbi), e quanti invece, oggi più numerosi, proprio considerando l’intenzione espressa
dall’autore delle M etam orfosi all’inizio dell’opera (il già citato varias fa b u la s conse­
sembra essere stata una fabula Milesia. Ma si deve probabilmente ad Apu­ ram), attribuiscono a lui tutte o quasi le vicende assenti nel Lucio (come la maggior
leio l’aggiunta dell’elemento magico: un tratto, questo, che doveva essere parte dei racconti e degli episodi iniziali). Fuor di dubbio appare com unque che
già presente nel testo greco che (come diremo subito) servì da modello, ma il finale, con l’apparizione di Iside e le successive iniziazioni ai misteri di lei e
certamente non con una funzione così rilevante. Ed egli infatti si mostra di Osiride, appartenga ad Apuleio (nel L ucio la vicenda finisce con u n a burla
ben conscio dell’innovazione, quando proprio nei primi libri del romanzo dallo spirito milesio, allorché Lucio, recuperato l’aspetto um ano, viene cacciato
dalla m atrona che l’avèva am ato sotto le spoglie di asino, sdegnata perché egli
inserisce una serie di racconti a carattere spiccatamente magico. Fin dalle abbia osato ripresentarsi a lei dopo aver perso quei particolari attributi asinini
prime mosse, già in limine, l’opera segnala lo scarto dalla tradizione milesia. che l’aVevano fatta innam orare). La cosa appare tanto più certa se si considera
Sono racconti i cui personaggi — Socrate e Aristomene e Telifrone, non che il protagonista, un giovane il quale si configura come greco in tu tto il rom anzo,
a caso originario di Mileto — rappresentano tipiche figure di mercanti viag­ diventa in questo libro d ’improvviso M adaurensis, con evidente sovrapposizione
giatori o di studenti scioperati: personaggi che dovevano essere molto comu­ dell’io-scrivente sull’io-narrante.
ni nella Milesia se li ritroviamo, col loro costante repertorio di gesti e atteg­
giamenti, nel Satyricon di Petronio. Qui, nel romanzo di Apuleio, la loro Le Metamorfosi e Più interessante delle complicate questioni di paternità di singoli brani,
logica di vita appare frustrata, se non addirittura ribaltata, nell’urto con il Lucio appare la divergenza nel significato complessivo, e nel tono del racconto,
lo spietàto mondo della magia. Così, per esempio, se Socrate versa in mise­ che il testo di Apuleio presenta rispetto a quello pseudo-lucianeo, e quindi,
rabili condizioni, la causa vera non è che egli, come pensa Aristomene, ab­ per quanto questo rispecchia la fisionomia complessiva dell’originale, rispet­
bia perso la testa dietro alle prostitute, ma che è stato soggiogato dalla malia to all’originale stesso. La lettura del Lucio rivela infatti l’intenzione di una
della strega Meroe. Analogo il caso di Telifrone: a sentire che in quella narrativa di puro intrattenimento, ove il gusto per l’intreccio rimane assolu­
città si paga per custodire i morti, egli si domanda con un sorriso scettico tamente estraneo a qualsiasi proposito moralistico: vi trovano spazio ele­
Hicine mortui solent aufugere? («E che? qui i morti son soliti darsela a menti ludici, erotici, umoristici e scabrosi, accostati in una divertita mesco­
gambe?»); ebbene, quel sorriso è destinato a morire presto sulle labbra dello lanza. Diverso è il caso delle Metamorfosi. L ’intera vicenda, pur sotto l’ap­
sventurato messo a confronto con realtà più forti e del tutto misteriose. Le Metamorfosi parenza di voler offrire una lettura di semplice svago (lector, intende laeta-
La logica quotidiana dell’astuzia — che è caratteristica della costruzione nar­ come racconto beris, Met. I 1), intessuta di episodi lubrici e licenziosi, assume in realtà
rativa milesia — viene frustrata dall’irrompere della magia, trova il suo su­ esemplare i caratteri del racconto esemplare. Per questo motivo Apuleio non calca
peramento nella strana logica del racconto magico. I racconti iniziali, in­ mai la mano, come gli sarebbe certo riuscito facile, su quanto di scabroso
somma, non solo sono (come spesso si è notato) prefigurazioni narrative è nel suo romanzo, tanto che utilizza parcamente e a distanza quegli elemen­
che hanno la funzione di fornire avvertimenti esemplari al protagonista Lu- ti osceni che il Lucio riunisce in quadri dalle forti e crude tinte.
468 APULEIO APULBIO E IL ROMANZO 469

Non stupisce quindi che praticam ente tutti gli editori, nonostante recenti tentati­ vola, come mito dell’incontro tra l’A nima e il Desiderio. È chiaro che Apuleio, an ­
Lo Spurcum vi di difesa, espungano come non apuleiano il cosiddetto Spurcum additam entum che se respirò u n ’atm osfera comune a quella dei pensatori gnostici, non poteva certo
additamentum a X 21, una breve piccantissima aggiunta all’episodio già scabroso dell’am ore di scrivere un mito cristiano, aspro critico com ’era dell’ebraismo (cfr. M et. IX 14 in
Lucio-asino con una nobile m atrona. La discussione tra chi vi h a riconosciuto il cui si critica con forza il culto monoteistico). L ’interpretazione cristianeggiante, che
relitto di una edizione più volgare del rom anzo rimaneggiata da altri e circolata discende fino a Boccaccio (in cui già sembra venarsi di platonism o: si veda nelle
parallelamente (un relitto cioè risalente alla per noi fantom atica traduzione dei Mìie- Genealogiae deorum gentilium, V 22 la sua esegesi allegorica della fabella, influenza­
siakà operata da Sisenna), chi (con maggiore probabilità) vi ha visto un abile falso ta probabilm ente anche dagli scritti demonologici di M arziano Capella, autore che
di età medievale, e chi infine ha pensato di poterne proclam are Papuleianità, è stata conobbe Apuleio) può valere solo come docum ento utile per gli storici delle religioni,
e continua ad essere tra le più vive e accanite della filologia m oderna, anche perché m a resta di fatto del tu tto estranea all’opera di Apuleio. Maggiore fondam ento stori­
è evidentemente connessa col più generale problema della tradizione del testo di Apuleio. co sembrerebbe quindi avere, per chi creda di dover cercare una qualche coerenza
di pensiero tra il narratore-allegorista e il filosofo speculativo, l’interpretazione della
favola come mito filosofico, di matrice rigorosamente ed esclusivamente platonica.
Prova della serietà moralistica dell’opera è la funzione di elemento strut­ Non troppo discordante da questa, l’interpretazione più recente che fa della favola
turante svolto dalla curiositas di Lucio che, subito in primo piano dall’ini­ un racconto di iniziazione al culto isiaco: viene in questo caso valorizzata la natura
zio, conduce il personaggio alla rovinosa trasformazione, dalla quale sarà dell’undicesimo libro, che sostanzialmente è come una grande aretalogia delle divini­
liberato solo in seguito a una lunga espiazione, culminante in un drastico tà egizie Iside ed Osiride.
M a, al di là di dubbi radicali sulla serietà del platonism o e sull’effettiva religiosità
cambiamento di vita. A conferma del fatto che questa è una chiave di lettu­ di Apuleio, il contesto della favola non sembra autorizzare interpretazioni troppo
ra suggerita dall’autore, alcuni episodi minori dell’intreccio trovano corri­ recise, non solo perché in essa form e e spiriti platonici ed isiaci appaiono indissolu­
spondenze precise con la vicenda di Lucio, anticipandone o rispecchiandone bilmente legati, senza poter essere facilmente distinti, m a anche perché essi sembrano
i tratti (l’episodio di Birrena, ad esempio, in cui Lucio vede le statue raffigu­ sfum ati e confusi tra loro. L ’interpretazione in senso filosofico, infatti, non può
ranti il mito di Atteone, punito per la sua curiosità). Emblematico è il caso dimenticare che il Platone della Repubblica avrebbe condannato un mito in cui così
apertam ente sono derise le divinità olimpiche: Venere per esempio è ridotta ad una
della favola di Cupido e Psiche che, grazie al rilievo derivante dalla posizio­ lussuriosa quanto capricciosa m atrona; Zeus sembra, col suo predicar bene e razzo­
ne centrale e dalla lunga estensione, assume valore fondamentale nei con­ lar male, poco più di un ipocrita e squallido borghese. D ifficoltà analoghe incontra
fronti del destino di Lucio: dall’interpretazione di essa deriva l’interpretazio­ l’interpretazione religiosa, che vorrebbe vedere nella vicenda di Psiche il doppione
ne dell’intero romanzo. del difficile itinerario di Lucio verso la salvezza isiaca: Psiche non sem bra evolversi
verso una vera e casta m oralità, come succede al protagonista del rom anzo, ma
alla fine si ricongiunge ad un Cupido ancor più lascivo che nel resto della favola,
La favola di La tram a rispecchia tradizioni favolistiche note in tutti i tempi: la figlia minore di e viene assunta in un Olimpo non certo celeste m a, coi suoi banchetti e danze, quan­
Cupido e Psiche un re suscita l’invidia di Venere a causa della sua bellezza straordinaria e, per volere to mai terreno. Anche la curiositas, che nel resto dell’opera è l’ardente volontà pro-
(IV 28 - VI 24) della dea, viene data in preda a un mostro (l’oracolo che sembra ordinare le nozze fanatrice di conoscere e sapere, nella favola sembra ridursi a movente molto indebo­
della principessa Psiche con un m ostro orrendo nella figura del terribile sposo adom ­ lito: la curiositas di Psiche è come neutralizzata da quella sua infantile simplicitas
bra Cupido, il dio d ’am ore, che si è innam orato della fanciulla: non a caso è com po­ che la caratterizza e la protegge da connotazioni negative. Così l’estremo atto di
sto in m etro elegiaco, contro la convenzione che voleva gli oracoli composti in esa­ curiositas commesso da Psiche viene m otivato colla fatua volontà di piacere al m ari­
metri). Psiche, che alla somm ità di una rocca si aspettava orm ai un destino di m orte, to (cfr. VI 20).
viene così trasportata in un bellissimo palazzo. Qui incontra il suo sposo, di cui D ’altronde, se si legge la favola calandola nel contesto del rom anzo, difficilmente
ignora l’identità e di cui le è sempre negata la vista: se vedrà il suo am ante — le si potrebbe attrib u ire,un valore semplicisticamente positivo — quale dovrebbe es­
questa è la condizione — sarà imm ediatamente separata d a lui. Tuttavia, istigata sere quello di un racconto portatore di una esplicita rivelazione, isiaca o platonica
dalle due sorelle invidiose, Psiche trasgredisce il divieto e spia Cupido mentre dorme: che sia. Ciò sarebbe contraddetto già dalla reazione dell’asino-Lucio, ascoltatore iro­
all’inevitabile, immediato distacco porterà rimedio la dolorosa espiazione cui Psiche nico della storia {sed astans ego non procul dolebam mehercules, quod pugillares
si sottom ette, attraverso varie prove, tra cui è anche un a discesa negli inferi. La et stilum non habebam, qui tam bellam fabellam praenotarem , «m a io, che assistevo
novella si conclude con le nozze e gli onori tributati a Psiche, assunta a dea. non lontano, mi ram m aricavo, per Ercole, di non avere con me le tavolette e lo
Nella bella fabella (come Lucio definisce in VI 25 la favola di Cupido e Psiche) venne stilo per prendere nota d i.u n a così graziosa favoletta», VI 25, dove significativa
imm ediatamente riconosciuto un forte intento allegorico. A quel che sembra, essa in­ è l’aggettivazione aggiunta a fabellam , un nesso che in Apuleio appare costantem en­
fluenzò e ridefinì agli occhi dei contemporanei e dei lettori subito successivi la natura te caricato di connotazioni ironiche). S’aggiunga poi che Càrite, la fanciulla cui la
stessa del genere milesio, cui essa stessa esplicitamente si richiamava (propter Milesiae favola viene raccontata perché si consoli dei suoi dolori, m orirà, come ci rivela l’V ili
conditorem dice riferendosi a sé Apuleio in IV 33). Se infatti Settimio Severo, stando libro, di una m orte terribile e melodrammatica. Contraddizioni di vario peso, insom­
a quanto racconta la H istoria A ugusta (Clod. A lb . 12,12), rim proverava Clodio Albino ma, sconsigliano u n ’interpretazione decisamente univoca della favola di Cupido e
di istupidirsi a leggere le Milesiae Punicae del suo Apuleio, perso dietro a neniae aniles, Psiche, e invitano a valorizzare piuttosto le delicate e complesse funzioni letterarie
le ‘fole delle nonne’ (forse nella designazione, che peraltro è generica, c’è anche un rife­ che la storia acquista nella struttura del romanzo.
rimento ironico alla favola di Cupido e Psiche, raccontata da una anicula che vuole con­
solare una ragazza svegliatasi di soprassalto), il tono polemico del passo non ci consente
La favola di . La favola di Cupido e Psiche riproduce come un modello in scala ridot­
di credere all’esistenza di un definito genere di M ilesiae Punicae di cui Apuleio sarebbe
fondatore. M a la testim onianza, anch’essa non scevra di polemica, di Tertulliano (Ad- Cupido e Psiche ta l’intero percorso narrativo del romanzo e ne offre la corretta decodifica­
versus Valentinianos 23) secondo cui gli gnostici com posero delle Milesiae, tingendole come zione. Infatti (chiediamoci) come leggeremmo il romanzo se non disponessi­
e sostanziandole delle proprie allegorie, sembra indicare che, per effetto anche dell’e­ prefigurazione mo del racconto di Cupido e Psiche (contenuto, come si è detto, nei libri
Le diverse
sempio apuleiano, il termine fabula Milesia avesse perso il suo specifico valore originario. dell’intero
centrali)? Lo leggeremmo certamente come prima abbiamo letto i libri I,
interpretazioni La fabella fu imm ediatamente oggetto di num erose interpretazioni. La più anti­ romanzo
della favola di ca che ci sia pervenuta è quella di Fulgenzio (M yt. III 68), polemico verso le nu­ II e III, cioè come una specie di romanzo d’avventure in cui il meraviglioso
Cupido e Psiche merose interpretazioni pagane o gnostiche: egli interpretò cristianamente la fa­ e lo scabroso hanno gran parte; non certo come un romanzo mistagogico
LINGUA E STILE 471
470 APULEIO

— come il racconto, cioè, di un’iniziazione ai riti misterici. Tocca appunto la chiave di lettura necessaria perché il romanzo sia interpretato come storia
al racconto secondario, contenuto nel corpo del romanzo, di rendere più di una salvazione religiosa, non giunge del tutto inaspettato e si salda appie­
complessa la prima lettura attivando una seconda linea tematica (quella reli­ no con il resto del romanzo: ne appare anzi il coronamento necessario. E
giosa), che non solo prefigura l’epifania della dea Iside che chiuderà nel Gli interventi non è un caso che gli interventi diretti dell’autore (che sembrano essere pecu­
libro XI l’intera narrazione, ma si sovrappone anche alla prima linea temati­
dell’autore e gli liari delle Metamorfosi: si pensi per contrasto al Satyricon) si infittiscano
ca (quella dell’avventura) per piegarla verso un senso iniziatico. Appena so­
effetti di ironia negli ultimi libri, fino a produrre effetti di rottura ironica: sono messe in
no contaminate dall’esperienza parallela di Psiche, infatti, le metamorfosi gioco le convenzioni stesse del romanzo antico: Sed nequis indignationis meae
di Lucio non possono più essere lette se non come prove cui è sottoposto reprehendat impetum secum sic reputans: — Ecce nunc patiemur philoso-
un essere che, dopo un tempo di alienazione e di errabonde peripezie, è phantem nobis asinum! — unde decessi revertar ad fabulam , «Ma perché
fin dall’inizio promesso alla salvezza voluta dalla dea signora delle trasfor­ nessuno abbia a biasimare il mio impeto di indignazione, pensando tra sé:
mazioni. Ma nel contesto in cui essa è collocata (anteriormente cioè all’espli­ — Ecco che ora ci tocca sopportare un asino che fa il filosofo! — riprende­
cita rivelazione della divinità che ha luogo nell’undicesimo libro) la favola rò il mio racconto dal punto in cui l’avevo interrotto» (X 33). È come se
di Cupido e Psiche appare isolata dal contesto narrativo, e in un certo senso l’autore ci avvertisse del prossimo rovesciamento e dell’imminente soluzione
è destinata momentaneamente a fallire: la sua struttura di storia di salvazio­ delle attese suscitate dal racconto: un cambiamento di rotta a cui il lettore
ne a lieto fine sarà riattivata e portata a compimento col chiudersi della non può rimanere estraneo. Se il lector delle storie che formano i primi
narrazione. dieci libri era stato detto precedentemente scrupulosus (IX 30), se il suo
La veste L’evidente significato allegorico nulla toglie alla leggerezza del racconto. comportamento ideale doveva essere quello esemplificato da Lucio stesso
letteraria della Una trama di base probabilmente attinta in origine alla favolistica popolare (cfr. I 20: sed ego huic et credo Hercules et gratas gratias memini, quod
favola di Cupido (si è discusso se iranica o egizia o africana-occidentale) si unisce per un lepidae fabulae festivitate nos avocavit, «ma io gli credo, per Ercole, e gli
e Psiche
lato a ( tementi alessandrini e milesi, dall’altro a elementi specificatamente serbo grande riconoscenza, perché con il suo piacevolissimo racconto ci ha
latini (importanti le suggestioni di Virgilio per la discesa agli inferi e dell’ele­ distratti»); ora, nelPundicesimo libro, dopo la rivelazione isiaca, lo stesso
gia per gli amori di Cupido e Psiche). Tutto è originalmente fuso, condotto lector è detto studiosus (XI 23). Ora egli non deve più solo divertirsi, deve
con quella superiorità e levità che ha fatto pensare ad Ovidio, disinvolto credere, ma in cose ben diverse dalle storie di magia in cui credeva Lucio:
raccontatore di miti. Nec te tamen desiderio forsitan religioso suspensum angore diutino crucia-
Le Metamorfosi, Le altre digressioni inserite nell’intreccio principale sono costituite da bo. Igitur audi, sed crede, quae vera sunt, «E tuttavia non terrò a lungo
novella popolare vicende di vario tipo, ove il magico (nei primi tre libri) si alterna con l’epico sulle spine te, che forse sei in preda a un’ansia religiosa. Quindi ascolta,
e racconto (nelle storie dei briganti), col tragico, col comico, in una sperimentazione ma credi, ciò che è verità» (XI 23). Così il lector viene coinvolto dal gaudere
mistico-simbolico
di generi diversi che trova corrispondenza nello sperimentalismo linguistico. che chiude l’ultima frase del romanzo (gaudens obibam [munia collegii],
Ma i numerosi motivi letterari di origine diversa si ordinano in un disegno «con gioia attendevo alle funzioni del collegio», XI 30), sostituendo — o
che sembra denso di significato. È il caso, per fare solo un esempio, delle meglio amplificando — il laetari che nel prologo veniva promesso al lettore.
novelle di adulterio che costituiscono gli ultimi libri, le più fosche e cupe Tutte coincidenze di un gioco ironico? Oppure passione mistica genuina?
dell’intero romanzo, in cui più fortemente si fa sentire il dominio di una Al dubbio non si può dare una risposta ultima. Di certo c’è solo che il
fortuna cieca e spietata, in forte contrasto colla pura luce dell’ultimo libro, romanzo viene chiuso con la positività di una salvazione: un modo di finire
dominato da Isityche, la Fortuna videns. Tutto il romanzo si struttura come dietro cui, dopo tutto, ognuno potrà anche sospettare (al di là di ogni verifi­
un itinerario attraverso un mondo fatto di segni e di simboli letterari, verso cabilità positiva) un gesto lieve di superiore ironia.
una liberazione che si situa nella luce e nella moralità. La continua compe­
netrazione tra l’elemento mistico-religioso (che apre in direzione simbolisti-
ca) e il tessuto originario della favola milesia, costituisce la qualità origina­
lissima dell’opera (e ne spiega la fortuna anche in epoche di fervore misti- 3. Lingua e stile
cheggiante). Le critiche che si sono volute muovere ad una presunta non
perfetta fusione dei due livelli di lettura — quello novellistico-popolare e
quello mistico-simbolico — non valgono a scalfire l’immagine complessiva Arcaismo e Ormai da tempo, seguendo il Norden che insisteva nell’indicare nell’a­
di esperimento riuscito, che il testo fornisce. Né va dimenticato che, con
retorica: varietà sianesimo di lingua greca la matrice della cultura e del gusto dei retori afri­
di registri in cani tra cui Apuleio, si è abbandonata la tesi di una Africitas come denomi­
la sola eccezione del libro XI, dove la componente mistica ha il sopravvento Apuleio
e la forma animale di Lucio ha perduto quasi totalmente importanza, nel natore comune della lingua degli scrittori latini d’Africa. Il termine, in ogni
corso del romanzo proprio la presenza costante delle riflessioni dell’asino caso, non aiuterebbe a definire la lingua apuleiana, risultante da un singola­
crea un effetto di continuità che uniforma i due livelli di lettura, e scandisce re e originalissimo impasto di tratti diversi. VissutOyin epoca di fervori ar­
il senso complessivo della vicenda come iter progressivo verso la sapienza. caizzanti, concentrati soprattutto intorno alla figura di Frontone, Apuleio co­
In tal modo l’esito finale, che da una parte identifica il narratore Lucio nosce, naturalmente, la predilezione dei suoi contemporanei per la parola
con l’autore Apuleio indicandolo come Madaurensis e dall’altra suggerisce obsoleta (per fare solo un esempio, è amplissimo l’uso degli avverbi uscenti
472 APULEIO LA FORTUNA - BIBLIOGRAFIA 473

in -im , assai comuni nella lingua di Sisenna) e per gli autori arcaici (a quan­ 4. La fortuna
to possiamo vedere dalle sue opere amò moltissimo Plauto che riecheggiò
più volte), ma fa rientrare tale predilezione in una più generale ricerca di
letterarietà. La preziosità verbale, associandosi a una consolidata pratica ora­ Taumaturgo, filosofo, mago, Apuleio esercitò un comprensibile fascino
toria, si traduce in una piena padronanza di registri diversi, variamente com­ sui fermenti dell’ultimo paganesimo e sulla cultura medioevale. Ma la fortu­
binati nel tessuto linguistico. Di qui, la libertà assoluta nell’accostare arcai­ na e l’influenza, davvero notevole, dell’autore sulla letteratura europea sono
smi e neologismi, volgarismi e poetismi mescolandoli al lessico tecnico della Fortuna delle legate al romanzo, la cui diffusione si deve al ritrovamento del codice (si
scienza e dei mestieri. Metamorfosi tratta del Laurentianus 68,2 dell’XI secolo, considerato il testimone più anti­
La «lingua Se, dunque, alla «lingua letteraria» si riconosce l’intento primario co della tradizione apuleiana, da cui discenderebbe l’importante Laurentia­
letteraria» di valorizzare se stessa allontanandosi dall’uso linguistico puramente comu­ nus 29,2 del XII ο XIII secolo) che ne contiene il testo (assieme a quello
valorizza la nicativo, la lingua apuleiana appare espressione perfetta di questo intento, dell’Apologia), da parte di Boccaccio, il quale ne fece pure una trascrizione
forma proprio in quanto richiama continuamente l’attenzione del lettore sulla (il codice Laurenziano 54,32) e inoltre commentò la favola di Cupido e Psi­
dell’espressione che. Da allora il romanzo fu ovunque letto e apprezzato e, con l’invenzione
forma espressiva, prima che sul contenuto del messaggio. Le parole si
fanno evocative, appaiono come contornate da tutto un alone di significati della stampa, ne apparvero varie edizioni in tutti i paesi europei. Fu tradotto
marginali, richiamano suggestive connotazioni implicite. Si ha spesso l’im­ in italiano dal Boiardo (Apulegio volgare, pubblicato attorno al 1518) e,
pressione che in Apuleio sia particolarmente avvertibile la tendenza, comu­ in una libera rielaborazione (dalla quale veniva escluso per esempio l’undice­
ne in tutta la letteratura latina seppure a vari livelli, di condizionare simo libro), dal Firenzuola (Asino d ’oro, pubblicato intorno al 1550). Pro­
la forma della espressione per mezzo del suono, di lasciare cioè che babilmente esercitò un qualche influsso sulla nascita del genere picaresco,
il pensiero e la lingua siano modellati secondo le esigenze dell’orecchio. in Spagna, dove venne poi letto e studiato nella pregevole traduzione di
Si è anzi pensato che l’intero romanzo abbia alla base una struttura Lopez de Cortegana (1525). Fornì temi e spunti per la novellistica europea,
«musicale», vale a dire che sia costruito non tanto secondo un preciso dal Boccaccio dei celebri racconti del Decameron, a Calderon (forse uno
ordine architettonico, ma che si sostanzi di richiami ed echi, come fosse spunto per quanto isolato anche nel Don Quijote), a La Fontaine, a Hey-
una sinfonia. wood, Beaumont, Marmion, influenzando pure, anche a livello stilistico,
Ancora più interessante è il modo in cui di volta in volta Apuleio attua i romanzi eufuistici di Lyly e dei suoi successori.
le proprie scelte. Grande conoscitore di letteratura, egli sembra avere a di­
sposizione una sorta di lessico letterario specializzato, raccolto e organizzato Un giudizio può forse condensare l’ammirazione che grandi romanzieri moderni han­
attorno ad alcune situazioni-tipo, formatosi sui classici (Ennio, Virgilio, ecc.). no provato dinanzi all’inesauribile ricchezza dei linguaggi e dei registri narrativi delle
M etam orfosi, in cui si mescolano il serio ed il frivolo più irriverente, in cui il liberti­
«Formule» di È come se conoscesse dei formulari, repertori di iuncturae consolidate, per naggio e la scurrilità si associano alla devozione mistica. È il giudizio di Flaubert
espressività descrivere scene di lutto, quadri di eroismo, effusione di passioni e stati che in una lettera scriveva: «Se c’è una verità artistica al m ondo, è che questo libro
patetica d’animo: a questi fa volentieri ricorso, con la sua retorica abilità a comporre è un capolavoro. Mi dà vertigini e sbalordimento. La natura di per sé, il paesaggio,
«pezzi» su un tema specifico, ricombinando in modo nuovo e personale il lato puram ente pittoresco delle cose, tutto questo è trattato qui in m odo moderno
e con un respiro insieme antico e cristiano. Vi si sente l’odore di incenso e di urina,
il materiale desunto dalla tradizione, e rinnovandolo daO’interno grazie a
la bestialità si sposa col misticismo». M a se il naturalista Flaubert si sentiva affasci­
frequenti neologismi. Questo procedimento, che dà vita, soprattutto nel ro­ nato da quella fondam entale am biguità che si è vista essere alla base delle M etam or­
manzo, a varie scene «di genere», si fonda ovviamente sulla moltiplicazione, fo si, uno dei critici letterari più grandi del nostro secolo, E. A uerbach, autore della
sulla sovrabbondanza dei tratti, per rendere immediatamente percepibile il m onumentale M im esis in cui studia le origini e la storia del realismo nella letteratura
registro ricercato. In ciò sta soprattutto l’impressione di stilizzazione che occidentale, ha visto in detta am biguità il segno di «una tendenza alla deformazione
spettrale e orrida della realtà [...]. M ancano completamente l’anim a e l’intimità um a­
la lingua apuleiana finisce per produrre nel lettore. na». Il grande critico è rim asto sconcertato nei suoi principi di realismo letterario:
Apuleio artista Alla qualità altamente retorica del lessico fa riscontro il carattere della il barocco di uno stile narrativo inquietante, fo rs’anche angosciante, si distaccava
della parola struttura del periodo e della frase, in cui isocolie, omeoteleuti, assonanze, troppo da una rappresentazione obiettiva del m ondo. Qui, la letteratura vinceva,
accumuli di sinonimi, oltre a ricercate uniformità ritmiche, conferiscono al anzi stravinceva, sulle «cose».
discorso un andamento particolarissimo, teso a sfaccettare il concetto sino
ai limiti del possibile. La prosa apuleiana, che pure rispetta in genere i cano­
ni della retorica classica, chiude portandolo agli ultimi esiti espressivi il siste­
ma retorico latino; nel suo aprirsi, però, a nuovi ritmi e a nuove costruzioni,
lascia contemporaneamente presagire la non lontana stagione della prosa Bibliografia U n ’edizione com pleta di Apuleio è edizione delle M etam orfosi (di cui abbia­
quella, in 4 voli., di P. T h om a s - R. mo commenti singoli ad alcuni libri, ol­
mediolatina. H e l m , Leipzig 1908-31; per le opere filo­ tre che alla favola di Amore e Psiche)
sofiche ora si veda quella di P . B e a u je u , è opera di D. S. R o b e r t s o n , Paris 1936-
Paris 1973; Apologia e Florida sono edi­ 45 (ma cfr. anche C. G ia r r a t a n o - P.
ti da P . V a l l e t t e , Paris 1924 (à d Y A p o ­ F r a s s in e t t i , T orino 19612).
logia esiste il commento di Η. E. B u tle r Su Apuleio filosofo cfr. C. M o r e -
- A. S. O w e n , O xford 1914); la migliore s c h in i , A puleio e il platonism o, Firenze
1978; , p iù g e n e ra le A. P e n n a c i n i - P. «fiaba di magìa», Genova 1973; J. J.
L. D o n in i - T. A m m o n ti - A . M o n t e ­ W in k l e r , A u cto r and A ctor, A narra-
d u r o R o c c a v in i , A puleio letterato, f i ­
losofo, mago, B o lo g n a 1979. Sul ro m a n ­
tological reading o f A puleius’ Golden
A ss, Berkeley-Los Angeles-London 1975;
FILOLOGIA, RETORICA
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fo s i di A puleio, B re sc ia 1971; T. M a n - 1918; Μ. B e r n h a r d , Der SUI des A p u ­
t e r o , A m o re e Psiche. Struttura di una leius von M adaura, Stuttgart 1927.

1. La filologia latina: un riepilogo del suo sviluppo storico

Un prospetto di Lo studio filologico e critico dei testi latini giunge a piena maturazione
storia delia nel periodo che corre dai Flavi agli Antonini. Questo è forse il momento
filologia romana opportuno per considerare le linee di sviluppo di questa produzione erudita:
può essere utile una trattazione riassuntiva che, riprendendo dall’inizio, dia
un quadro storico ordinato della filologia romana, e insieme mostri i pro­
gressi e le ragioni che preparano la grande fioritura che questi studi conob­
bero nel I e II secolo d.C.
Le nostre informazioni sullo sviluppo della filologia a Roma si basano
per un lungo tratto su notizie indirette e su fonti più tarde (cioè su testi
che abbiamo integralmente, opera di eruditi, grammatici e commentatori
vissuti tra II e VI secolo d.C.: particolarmente preziosa la sezione De gram-
maticis del De viris illustribus di Svetonio).

N ascita della filo lo g ia in R o m a


Letteratura colta La prima fioritura di studi filologici è strettamente collegata allo svilup­
arcaica e po in età arcaica di una letteratura colta, orientata verso modelli greci, e
sviluppo della attenta anche ai problemi tecnici dello stile e della poesia. Autori come En­
filologia
nio, Terenzio, Accio e Lucilio mostrano direttamente nei loro testi dimesti­
chezza con gli studi greci di filologia, di retorica, di poetica. In questo senso
Ennio si proclama dicti studiosus, cioè amante della parola, cioè filologo.
Di Terenzio possiamo ricordare le penetranti discussioni di poetica; di Accio
e Lucilio abbiamo frammenti che trattano, in precisa terminologia tecnica,
problemi di critica letteraria e di linguistica.
La prima È chiaro che in questi letterati viene a compimento un’intensa frequen­
filologia, tazione della cultura greca di età alessandrina. Meno chiaro è quando esatta­
esercitata su testi mente si possa far cominciare la pratica di studi filologici applicati ai testi.
greci Intorno alla metà del II secolo a.C., ad ogni modo, lo studio e il culto
della parola — il vasto campo in cui operano retorica, filologia e linguistica
— conosce un potente impulso per la presenza a Roma di eminenti speciali­
sti greci. D’altra parte, sino almeno all’età augustea, tutte le forme di educa­
zione retorica, filologica, letteraria, restano prevalentemente concentrate su
testi greci: in questa corrente emergono qua e là episodi importanti, come
gli studi su Plauto di Stilone e di Varrone, o il magistero critico del
grammatico-poeta Valerio Catone, nella cerchia raffinata dei poetae novi.
476 FILOLOGIA, RETORICA E CRITICA LETTERARIA, DIRITTO ELIO STILONE E LE TENDENZE DELLA FILOLOGIA 477

Cratete di Mallo Un episodio casuale sembra aver avuto grande importanza nei primi che, per il loro preistorico carattere linguistico, erano ormai bisognose di
a Roma passi della filologia a Roma: il grande erudito Cratete di Mallo, giunto a attenta esegesi.
Roma per una missione politica, si ruppe una gamba. L’incidente trattenne La filologia È importante ricordare che, parallelamente all’esegesi letteraria, e anzi
piuttosto a lungo in Roma una figura di spicco nella vita intellettuale greca applicata al diritto prima di essa, si sviluppa a Roma il ricco filone dell’interpretazione dei testi
(non un semplice maestro di scuola). Siamo nel 168 a.C.: Cratete è all’epoca giuridici. Proprio le caratteristiche del diritto romano, tanto conservatore
il principale esponente della cosiddetta «scuola di Pergamo», che divide con da impostarsi su testi ultra-arcaici e talora di difficile comprensione, rende­
Scuola di Alessandria il primato negli studi umanistici. La scuola di Alessandria eccel­ vano necessaria una scuola di interpreti, specialisti di diritto che fossero
Alessandria e leva soprattutto nella filologia formale: lo studio «grammaticale» della lin­ anche dotati di competenza linguistica ed esegetica. Ad esempio, Lucio Aci­
scuola di gua letteraria, l’attenta cura di edizioni criticamente riviste. Cratete, invece, lio commentò le XII Tavole; e un ampio commento alle XII Tavole occupa­
Pergamo: va anche i Tripertita di Sesto Elio Peto, console nel 198 a.C. La scuola
si proclamava, più che solo «grammatico», anche kritikòs, «giudice» di cose
analogismo e
letterarie. Sappiamo che i Pergameni davano ai loro studi linguistici un’im­ dei giuristi proseguì in età graccana con influenti personaggi quali Marco
anomalismo
postazione nota come dottrina anomalìsta. Essi cioè riconoscevano nella lin­ Giunio Bruto, Publio Muzio Scevola, pontefice, e il figlio di questi, Quinto
gua uno spontaneo movimento di crescita, uno sviluppo naturale, modellato Muzio Scevola, console nel 95 a.C.
dall’uso quotidiano. In questo senso essi erano molto tolleranti verso ecce­ Gli studi Le caratteristiche della filologia nel II secolo rivelano influssi sia di tipo
zioni e neologismi: attenti raccoglitori di curiosità linguistiche, rifiutavano cronologici alessandrino che pergameno. Caratteristica di Pergamo era l’interesse per
l’imperio troppo rigido delle norme grammaticali. Tutto al contrario, gli (Accio) e i questioni di cronologia letteraria — del tipo «visse prima Omero o Esiodo?»
«canoni» di — e per la biografia degli autori classici. È chiaro che a questo filone si
Alessandrini propendevano più per una visione razionalista, nota come ana­
letterati (Volcacio
logismo. Se si considera la lingua non tanto come un fatto di natura, quanto apparentano le ricerche del poeta Accio sulla cronologia dei più antichi poeti
Sedigito)
come il risultato di una convenzione tra gli uomini (posizione che aveva latini (Livio Andronico, in particolare). Inoltre, si riconosceva tra i compiti
avuto l’autorevole assenso di Epicuro), è necessario dare spazio alla logica principali del critico quello di fissare dei canoni di letterati, cioè delle serie
razionale della norma, la ratio intrinseca alla lingua. Questa ratio linguistica di autori «approvati» come classici, e incasellati secondo ordini di preferen­
imponeva rigore nel valutare gli scarti, le eccezioni, le innovazioni occasio­ za basati sul giudizio critico: ad esempio, ricercando quali fossero, e in che
nali. Gli analogisti sono, almeno come tendenza, inclini al purismo. ordine di valore, i migliori poeti epici, o i migliori giambografi. In questo
L’analogismo Le due scuole dovevano a queste tendenze opposte, anomalismo e ana­ senso, intorno al 100 a.C., il critico Volcacio Sedigito istituì un canone dei
nella filologia logismo, anche diverse attitudini nello studio dei fatti letterari: ad esempio, migliori poeti comici romani (il genere letterario offriva ormai una gran
omerica: Aristarco come editori di testi, gli Alessandrini, analogisti, erano molto più inclini messe di testi su cui basare le graduatorie): sappiamo che i primi tre posti
a cercare una logica coerente nei singoli usi linguistici. Gli studi del grande toccavano, nell’ordine, a Cecilio, Plauto, e Nevio.
Aristarco, che diceva di «spiegare Omero con Omero», cercavano appunto Divisione in libri L’elaborazione di canoni letterari era una tipica attività dei filologi ales­
di estrarre da una conoscenza obiettiva e profonda del linguaggio omerico dei testi classici: sandrini. Ancora più tipico degli alessandrini è l’interesse per la struttura
un insieme di norme che permettessero di valutare i punti in cui il testo Ottavio dei «libri» poetici: questi filologi curavano l’arrangiamento formale di testi
marcava incertezze, oscillazioni, oscurità. Lampadione del passato, come Omero, Saffo o Pindaro, e agli alessandrini si deve, tra
le iniziative più importanti, la stessa divisione in libri dei poemi omerici.
Su questa linea dobbiamo valutare l’opera del grammatico Gaio Ottavio Lam­
Elio Stilone e le tendenze della filologia del I I secolo a. C. padione, che ripartì in sette libri il Bellum Poenicum pubblicato da Nevio,
per quanto se ne sa, in forma continua. È chiaro che Lampadione intendeva
Anomalia e A partire dalla metà del secolo, dunque, le due scuole hanno già avviato «aggiornare» questo antico poema romano sugli standard formali proposti
analogia in la loro influenza su Roma: la cultura romana conoscerà studiosi di tendenza dalla filologia alessandrina per i classici dell’epica greca.
Roma sia anomalista che analogista e anche, soprattutto, tentativi di mediare e Mancanza di Il lavoro dei filologi latini era dunque, nel II secolo, già assai ricco
conciliare i due indirizzi. un’attività e differenziato: ricerche di cronologia, problemi di autenticità, canoni lette­
Un filo diretto collega il pergameno Cratete al più grande grammatico «editoriale» nel rari, interessi formali; inoltre, più in generale, ricerche su problemi linguisti­
Il secolo a.C. ci e grammaticali del latino. Ancora poco si sa, invece, di vere e proprie
e filologo del II secolo, Lucio Elio Stilone. Nato verso la metà del secolo,
Stilone proietta il suo insegnamento verso la stagione di Varrone e Cicerone, attività editoriali, come quelle che stavano rendendo famosa la filologia di
che fecero in tempo a seguire le sue lezioni. Molto influenzato dai Pergame­ Alessandria: cioè preparazione di testi completamente rivisti, corredati di
ni, Stilone ebbe però contatti anche con la tendenza rivale: frequentò, a segni convenzionali con cui si indicavano i vari interventi critici da operare
Rodi, il grande grammatico analogista Dionisio Trace. sul testo (i cosiddetti «segni diacritici»), e accompagnati da volumi di anno­
Poco sappiamo direttamente dell’opera di Stilone: ma è verosimile che tazioni critiche e di analisi del testo. Bisogna qui fermare l’attenzione su
proprio lui inaugurasse la tendenza «conciliativa» che vediamo all’opera ne­ Mancanza di alcuni limiti che continuavano a pesare sullo sviluppo di un’autonoma attivi­
gli studi grammaticali di Varrone Reatino (cfr. p. 181 seg.). Come Varrone, biblioteche statali tà filologica. Il primo, e forse decisivo limite, era segnato dalla mancanza
Stilone già si era occupato dell’autenticità di testi circolanti sotto il nome in Roma fino a di vere e proprie biblioteche statali. Le ricerche filologiche di Alessandria
Pollione e Pergamo erano fiorite intorno a pubbliche biblioteche: l’acquisizione dei
di Plauto; inoltre lavorò su testi come l’oscurissimo Carmen Saliare, opere
478 FILOLOGIA, RETORICA E CRITICA LETTERARIA, DIRITTO
LA FILOLOGIA IN ETÀ AUGUSTEA 479

manoscritti, e lo stesso lavoro dei bibliotecari-filologi, erano finanziati dai è probabile, andavano verso la raffinata avanguardia dei neòteroi, è chiaro
sovrani. Certo, tra II e I secolo, Roma deve aver conosciuto un forte incre­ che non poteva amare molto gli aspetti più massificati della retorica forense
mento del patrimonio librario. Grandi dotazioni di testi greci giunsero come e politica.
preda di guerra, e comunque al seguito di comandanti e politici reduci dal- L’attività filologica Sarebbe interessante avere più informazioni sulla vera e propria attività
l’Oriente. La stessa produzione di testi in latino andò crescendo rapidamen­ di Valerio Catone filologica di Valerio Catone. Per i contemporanei egli è «il solo che legge
te. Ma la concentrazione del patrimonio librario restò molto a lungo un e “ fa” i poeti» — cioè l’interprete per eccellenza, la guida dei giovani lette­
fenomeno privato. I principali detentori di libri erano i ricchi collezionisti rati e anche, probabilmente, colui che crea il canone di ciò che vale in lette­
privati, come Licinio Lucullo, il grande uomo politico di epoca ciceroniana. ratura. Un suo ammiratore lo paragona a Zenodoto e Cratete messi insieme:
Naturalmente, queste biblioteche private potevano essere a disposizione de­ complimento grandioso, se si pensa che non sono solo due grandissimi filo­
gli studiosi: ma mancava una stabile struttura pubblica che curasse la tra­ logi, ma anche i capiscuola di tendenze rivali e opposte. Quanto al resto,
smissione e il rinnovamento del patrimonio librario. Il passo decisivo —■ sappiamo che Valerio Catone si occupò a fondo del testo di Lucilio: non
l’istituzione a Roma della prima biblioteca «statale» — venne solo nel 39 sappiamo se si possa parlare di un’edizione in senso alessandrino, e la nostra
a.C., ad opera di Asinio Pollione: dopo questa data, i successivi imperatori, fonte al riguardo (il principio di Orazio, Satire I 10) è assai difficile da
da Augusto in poi, si fecero carico dell’istituzione. interpretare.
Limiti delle Un secondo, importante limite, era dato dalle strutture scolastiche di
strutture Roma. Sino almeno all’età augustea, la scuola romana è largamente subal­
scolastiche in La filologia in età augustea
terna al modello greco: non solo imita l’organizzazione degli studi del mon­
Roma
do greco, ma si nutre, direttamente e principalmente, di testi greci: poèti,
oratori, filosofi, storiografi. Rispetto al mondo greco, però, lo status sociale L’età augustea e Dopo Catone, difficilmente incontreremo altre figure che riassumano
degli insegnanti e l’appoggio statale alle strutture educative rimasero, per la diffusione della in sé l’insegnante, il filologo, e il letterato d’avanguardia: rileveremo invece
lunghissimo tempo, ad un livello molto inferiore. In altre parole, sino alla cultura greca in una crescente specializzazione. Un fenomeno tipico del periodo successivo,
Roma l’età augustea, è la sempre maggiore diffusione dell’erudizione greca a Ro­
piena età imperiale, l’educazione rimase un fatto privato. Sino all’età augu­
stea, gli insegnanti non sono, di norma, cittadini romani; e vere «cattedre» ma. Operano a Roma notevoli studiosi di letteratura e di estetica come Dio­
di lettere, finanziate dallo stato, non vi furono prima di Vespasiano. nigi di Alicarnasso, storico e studioso di questioni letterarie, e quel Cecilio
Mancanza di Non si ha quindi un ceto omogeneo di insegnanti; e neppure una stabile di Calatte, che riconnettiamo all’originalissimo trattato Del Sublime.
collegamento tra fusione tra l’insegnamento e le attività di ricerca. I grandi maestri di lettera­ Scarsa Anche se l’ellenizzazione della cultura romana è iniziata da più di due
insegnamento e tura del I secolo a.C. sono quindi figure isolate, per lo più al centro di conoscenza della secoli, vi è ancora spazio per una crescita di conoscenza, e non bisogna
ricerca
circoli e cenacoli privati. Il principale filologo dell’età cesariana, Valerio letteratura greca esagerare la diffusione della letteratura greca a Roma. Indubbiamente Virgi­
in Roma lio sapeva a memoria Teocrito e Omero, e una parte del suo pubblico colto
Catone, è non a caso un protagonista del movimento letterario neoterico;
la sua opera è strettamente legata a un 'élite letteraria appartata ed esclusiva. era in grado di giudicare con competenza l’uso che egli veniva facendo dei
modelli greci; ma Properzio, che tante volte cita Callimaco come suo model­
lo, non sembra, per quanto possiamo confrontare, veramente addentro nei
Valerio Catone e la filologia di età cesariana sacri testi callimachei. Callimaco è un poeta difficile: nella prima età impe­
riale, Stazio lo conosce e lo imita, più del «callimacheo» Properzio: ma
Valerio Catone, Valerio Catone è, fra gli studiosi romani di letteratura, la figura che Stazio, come lui stesso ci racconta, era figlio di un dotto professore di lette­
un critico-poeta meglio corrisponde al modello alessandrino. Egli fu davvero, in una sola ratura greca!
persona, un critico-poeta. Come poeta «neoterico» si segnalava per la com­ Crescita del Ma la crescita di dottrina greca non è poi; il fenomeno principale del
posizione di epilli, poemetti mitologici esaltati dai poetae novi della sua cer­ gusto letterario periodo augusteo. Ancora più caratterizzante è la crescita del gusto lettera­
chia: la Dictynna e la misteriosa Lydia. Come professore, ebbe lunga carrie­ ed estetico: rio ed estetico, di cui VArte Poetica di Orazio (preceduto in aspetti non
Mecenate e marginali da Cicerone critico letterario) è la più duratura testimonianza. Per­
ra e vasto seguito di pubblico: nacque prima del 90 ed ebbe vita e attività
Pollione
assai lunga. Svetonio ci informa che docuit multos et nobiles visusque est sonaggi come Mecenate e Asinio Pollione sono — per quanto sappiamo
peridoneus praeceptor, maxime ad poeticam tendentibus («ebbe molti im­ da aneddoti e notizie indirette — dei veri arbitri di gusto letterario: i loro
portanti scolari e parve insegnante di eccezionale capacità, buono soprattut­ giudizi sono taglienti e fulminei. L’influenza di uomini del genere — che
to per chi voleva diventare poeta»). Questo è un punto di rilievo. L’insegna­ pure non furono in nessun senso dei letterati professionali o degli educatori
mento della poesia non era, di norma, scindibile da quello della retorica; — basta a testimoniare del livello culturale di un’epoca che, per la prima
e anzi, sempre di più nello sviluppo della cultura romana, lo studio dei poeti volta nella storia di Roma, vide maturare i suoi propri classici, classici in
viene finalizzato alla preparazione dell’oratore. Vedremo fra breve quali con­ lingua latina.
seguenze portò la stretta cooperazione di retorica e studi letteràri; ma è chia­ La nascita di L’emergere di Cicerone, Orazio e Virgilio, fu davvero un punto di svol­
ro che Catone, andando controcorrente, impartiva ai suoi allievi un insegna­ «classici» latini ta nello sviluppo degli studi filologici e letterari. L’attesa di «nuovi classici»
mento tutto orientato verso la formazione letteraria. Se i suoi gusti, come era vivissima, persino famelica. Gli studi letterari erano per così dire in anti­
480 FILOLOGIA, RETORICA E CRITICA LETTERARIA, DIRITTO
REMMIO PALEMONE, ASCONIO PEDIANO, VALERIO PROBO 481
cipo, e continuavano, come si è visto, a nutrirsi di grandi classici greci:
Svetonio, nel De grammaticis, traccia un gustoso ritratto. Sappiamo così
autori come Ennio, Plauto e Lucilio, erano sì ampiamente letti, e offrivano
che Palemone era un insegnante di indiscussa dottrina, ma di moralità ben
lo spunto per dotte ricerche e analisi, ma non avevano assunto quella centra­ scarsa, al punto che Tiberio, e poi Claudio, sostenevano l’impossibilità di
lità culturale incontestata che è propria dei classici. Più che dei classici, era­ affidare dei ragazzi a quella figura di educatore. Era un dissoluto, un don­
no antenati illustri. Per un curioso fenomeno di aspettativa, tipicamente ro­ naiolo, e addirittura si lavava più volte al giorno!
mano, i nuovi classici furono riconosciuti all’istante, addirittura mentre an­ Un filologo Dal punto di vista scientifico, Palemone aveva qualità eccezionali, che
cora si stavano rivelando. I discorsi di Cicerone erano studiati nelle scuole megalomane accompagnava però ad arroganza e soprattutto a una sfrenata megalomania.
già prima che il loro autore morisse. L 'Eneide era ancora sullo scrittoio Metteva in giro storie sul suo conto, come quella dei briganti che, dopo
La filologia di Virgilio, e già il mondo culturale parlava di una «nuova Iliade». I nuovi averlo catturato, lo avevano immediatamente rilasciato una volta saputo chi
applicata ai classici non ebbero che da occupare lo spazio che a lungo li aveva attesi:
«nuovi classici»:
avevano tra le mani: del resto, diceva, la filologia era nata con lui e con
ora la cultura romana aveva un suo centro di riflessione e di educazione. lui sarebbe morta. E arrivava al punto di sostenere che il suo carisma era
Cecilio Epirota,
Intorno al 25 a.C. un grammatico (cioè un insegnante), Cecilio Epirota, stato quasi profeticamente riconosciuto dallo stesso Virgilio, il quale aveva
Igino
diventò famoso perché (Svetonio, De grammaticis 16,2) si era messo a far dato a un personaggio delle Bucoliche il nome di Palemone (si ricordi che,
lezione su Virgilio e su altra poesia «moderna». La strada è segnata, e già nella terza egloga, Palemone, grammaticus ante litteram, funge da giudice
la matura età augustea vede un grande fiorire di studi filologici applicati in una gara di poesia fra pastori). Non si arrestava neppure dinanzi a un
ai nuovi testi letterari — anche i più raffinati ed elitari: un certo Crassicio «mostro sacro» come Varrone, che gratificava dell’epiteto di «porco».
Pasicle commentò Cinna. Emerge anche la prima figura di bibliotecario, L’introduzione Purtroppo YArs grammatica di questo sedicente genio (riconosciuto pe­
in senso «alessandrino»: Gaio Giulio Igino, liberto di Augusto, resse la nuo­ degli autori rò tale dagli stessi suoi contemporanei, i quali apprezzavano molto anche
va biblioteca pubblica sul Palatino, e fu un importante iniziatore degli studi «moderni» nella i suoi componimenti poetici) non ci è pervenuta. Ma, dai frammenti che
su Virgilio. Compose almeno cinque libri (ne abbiamo notizie indirette, per scuola ce ne restano, Palemone ci appare come un continuatore dell’opera di Igino;
lo più da Gellio) pieni di osservazioni su problemi virgiliani: questioni di anzi, è con lui che si afferma una volta per tutte l’introduzione degli autori
contenuto, ricerche antiquarie, difficoltà di interpretazione. A partire da Igi­ «moderni» come tema privilegiato di studio. È con Palemone, sembra, che
no possiamo seguire un filone continuo di ricerche su Virgilio, che ci porta Virgilio riceve la definitiva consacrazione come autore di scuola. Palemone
direttamente ai commentatori del IV-V secolo, i quali si avvalgono, nelle ebbe come scolari, fra l’altro, Quintiliano e Persio.
raccolte di scolii a noi pervenute, di molti frutti di questo lavorìo. Asconio Pediano Più o meno contemporaneo di Remmio Palemone è un altro notevole
I testi poetici La centralità dei classici nell’istruzione produsse conseguenze di rilievo, e il commento a filologo, Asconio Pediano, nato a Padova. S. Girolamo ci dice che divenne
come strumento che non sempre ci colpiscono in senso positivo. Lo sforzo educativo restava Cicerone cieco a settantadue anni, e sopravvisse altri dodici anni circondato dalla
per imparare la tutto orientato verso le capacità espressive, preliminari alla formazione del­
retorica
stima generale. L ’anno 75, cui fa cenno S. Girolamo, è secondo alcuni l’an­
l’oratore. Il maestro elementare (lìtterator) insisteva sull’alfabeto, la pro­ no in cui divenne cieco, secondo altri la data della sua morte. Di Asconio
nuncia, e la recitazione; poi il maestro di letteratura, il grammaticus, affron­ Pediano ci rimane il commento a cinque orazioni di Cicerone: In Pisonem,
tava i testi poetici, o meglio la loro «esposizione», enarratio. Si trattava Pro Scauro, Pro Milone, Pro Cornelio e In toga candida (queste due ultime
di esercizi che noi troviamo un po’ aridi: i brani poetici erano ridotti a orazioni sono perdute, e dunque il commento è prezioso anche ai fini della
parafrasi in prosa, senza un vero approfondimento critico. I testi poetici loro ricostruzione). Si capisce come questo commento (composto, sembra,
erano insomma la piattaforma da cui poi partiva lo studio delle forme reto­ fra il 54 e il 57) desse grande fama all’autore negli ultimi anni della sua
riche e dei modi di espressione. In questo senso, l’educazione retorica au­ vita, nel clima di «ritorno a Cicerone» di cui si è parlato trattando di Quinti­
mentò l’interesse per la conservazione dei classici e la diffusione media (nei liano (cfr. p. 427) e che Asconio aveva anticipato di alcuni anni. Il taglio
limiti, naturalmente, in cui era «di massa» la scolarizzazione) della cultura del commento di Asconio è più storiografico che linguistico; le sue annota­
letteraria; ma non fu un terreno particolarmente favorevole per lo sviluppo zioni, volte a ricostruire la cornice storica in cui si inseriscono le orazioni,
di studi, ad esempio, filologici, o estetici e critico-letterari. Nella prima età si basano su ottime fonti, utilizzate spesso di prima mano e sottoposte a
imperiale ci confrontiamo con autori come Quintiliano, che offre interessan­ vaglio critico da parte dell’autore, che in questo senso si comporta a volte
ti scorci di storia letteraria, ma ha interessi in fondo diversi, tutti centrati davvero come un buon filologo moderno. Di altre opere di Asconio si sa
sulla costruzione del perfetto oratore; oppure come Gellio, eruditi non privi poco: aveva scritto un Contra obtrectatores Vergilii («contro i detrattori di
di acume, ma asistematici, curiosi in maniera occasionale, fini ma discontinui. Virgilio») che si pone dunque nel solco tracciato da Palemone e dalla nuova
filologia. Di una sua Vita Sallustii ci è rimasto solo il titolo.
Rem m io Palemone e Asconio Pediano
Valerio Probo e i successivi sviluppi della filologia
Ritratto di Il grammaticus più in auge nella prima età imperiale fu Remmio Palè-
Remmio mone, un liberto nato a Vicenza e che «si era fatto da sé», imparando le
Palemone
La figura di filologo più importante del secolo si colloca nell’età dei
lettere mentre accompagnava a scuola il figlio della sua padrona. Di lui Flavi, ed è quella del grande studioso di Virgilio, Marco Valerio Probo.
482 FILOLOGIA, RETORICA E CRITICA LETTERARIA, DIRITTO LA TENDENZA ARCAIZZANTE NEL II SECOLO 483

Valerio Probo e Probo costituisce, per quanto ne sappiamo, lo studioso latino che più e preceduto da osservazioni introduttive. È chiaro che questa produzione
le edizioni dei si avvicina alla specializzazione di un moderno filologo: la cura di edizioni erudita si presta particolarmente a raccogliere i frutti di ricerche precedenti,
classici dei classici. Si occupò di Virgilio e anche di Terenzio e Persio. Sappiamo di «monografie» sui diversi aspetti dei testi da interpretare. Per questa via
da Svetonio, che annotava con cura i suoi testi, che la sua opera comprende­ le ricerche su Virgilio di un Igino, di un Probo, di un Aspro, sedimentarono
va Pemendare, il distinguere, e Padnotare. È chiaro cioè che Probo correg­ e fissarono una traccia semplificata negli scoliasti che ci sono pervenuti.
geva gli errori che si erano prodotti nella tradizione manoscritta, curava Aerane e Alla fine del II secolo si colloca l’attività di Elenio Acrone, qualificato inter­
l’interpunzione, apponeva segni «diacritici», e stilava sue annotazioni che Porfirione prete di Orazio. Non abbiamo il suo genuino commento a Orazio; questo
corrispondevano ai segni apposti. Non sappiamo se queste annotazioni pren­ tipo di opera (come del resto oggi i commenti per le scuole!) si presta molto
devano la forma materiale di un vero e proprio commento, ma è comunque ad essere rielaborato e accresciuto da più mani successive. Abbiamo così
importante che ci sia pervenuto un elenco dei segni che Probo, alla maniera uno Pseudo-Acrone, un testo largamente rifatto da interpreti tardi e soprat­
alessandrina, aveva adottato. Inoltre, è probabile che Probo, preoccupato tutto medioevali. Genuino e giunto fino a noi è invece il commento di Pom­
di ricostruire al meglio i testi, andasse alla ricerca di manoscritti particolar­ ponio Porfirione a Orazio: un vero commento scolastico del III secolo d.C.,
mente antichi e autorevoli — naturalmente, però, senza arrivare alle moder­ uno dei più antichi esempi organici di scoliastica giunti fino a noi. Possiamo
ne tecniche di raccolta e valutazione comparata della tradizione manoscritta: valutare così quali fossero gli interessi dominanti dell’esegesi: da un lato
anzi, da quanto ci risulta qua e là per Virgilio, Probo si sentiva libero di la ricostruzione dello sfondo storico, con annotazioni biografiche, giuridi­
intervenire sul testo, anche con vere e proprie congetture, o espungendo che, antiquarie; dall’altro l’analisi formale del testo, con attenzione per le
i versi che trovava inaccettabili al suo gusto e alla sua ragione. L’opera figure retoriche e le difficoltà di parafrasi.
di commentatore e insegnante svolta da Probo lasciò durature tracce presso Il gusto Ritornando però all’ambiente erudito del II secolo, possiamo soffermar­
eruditi e commentatori successivi (Gellio, Macrobio, Elio Donato, Servio), arcaizzante ci solo su notizie indirette. Il testimone più ravvicinato che abbiamo, Aulo
e ci appare francamente il meglio della cultura filologica latina. È invece Gellio (cfr. più avanti), insiste molto sulla diffusione delle curiosità erudite
improbabile che Probo abbia direttamente «plasmato» secondo i suoi criteri e filologiche. Dalle tracce che abbiamo, sembra che la caratteristica princi­
la tradizione manoscritta giunta fino a noi, ad esempio la tradizione di Vir­ pale del periodo fosse il crescere di interesse per la latinità arcaica in tutte
gilio. Si ricordi che, prima di Gutenberg, l’influenza dei dotti sulla circola­ le sue principali testimonianze: iscrizioni, antichissime leggi *; storici e ora­
zione dei manoscritti potè essere solo occasionale e ristretta a piccoli gruppi tori, specialmente Catone il Vecchio e l’arcaizzante Sallustio; poeti come
di intenditori. Ennio, Plauto, Cecilio. Naturalmente questo gusto rétro non entrò in com­
petizione con la fortuna, ormai accettata da tutti, di classici quali Cicerone,
Verso la Una seconda, e meno positiva ancora, conseguenza dell’incontro fra edu­ Virgilio, Orazio; ma l’attenzione dei filologi per il latino arcaico è un segno
cristallizzazione cazione retorica e studio dei classici, fu la tendenza a restringere progressiva­ dei tempi, e chiaramente si collega con il movimento arcaizzante nella retori­
degli «autori mente gli autori «di scuola» separandoli dagli altri. Alla fine di questo pro­ ca e nella prosa d’arte contemporanea.
scolastici»
cesso di selezione, nella tarda antichità, Terenzio e Virgilio formano pratica-
mente la sola base dello studio scolastico: ragioni di purezza stilistica, di
chiarezza linguistica, e di esemplarità morale, avevano determinato questo 2. La tendenza arcaizzante nel II secolo
accorciamento degli orizzonti. Ma questi esiti sono ancora ben lontani nel
II secolo, nel periodo che va da Traiano fino ai Severi; questo anzi è il Passione per la Il ricorso a modelli linguistici e letterari arcaici — cioè separati, discon­
periodo in cui gli studi conoscono il massimo grado di apertura: metrica, ricerca erudita e tinui rispetto alla lingua e alla letteratura contemporanee — è una tentazione
grammatica, linguistica e retorica, autori arcaici e classici, greci e latini, studio filologico ricorrente nella storia delle lettere latine. Intorno alla metà del II secolo
sono ampiamente studiati. La stessa reputazione e posizione sociale degli dei testi antichi questo atteggiamento si fissò in una tendenza più accentuata e organica:
accademici è in continua ascesa; vedremo presto il caso di Frontone, e Gio­ si può ora parlare di un nuovo gusto dominante, di una tendenza verso
venale ironizza (7,197): si Fortuna volet, fies de rhetore consul («fortuna l’arcaico.
permettendo, puoi anche diventare, da maestro di retorica, console!»). Alcune circostanze storiche prepararono opportunamente il terreno. Nei
Emilio Aspro, Emilio Aspro scrisse su Terenzio, Sallustio e Virgilio; Cesellio Vindice cenacoli e nei circoli dotti di Roma, la ricerca erudita era divenuta una vera
Cesellio Vindice, si occupò di lingua latina arcaica; Sulpicio Apollinare esercitò un influente e propria passione: ne abbiamo una precisa testimonianza, ad esempio, nelle
Sulpicio magistero su questioni grammaticali e di lessico; ne possediamo solo mode­ N otti Attiche di Aulo Gellio (su cui cfr. il paragrafo seguente). Una classe
Apollinare
stissimi resti, gli argomenti da lui premessi ai libri dell’Eneide e alle comme­ ormai professionale si dedicava all’insegnamento della retorica, allo studio
die di Terenzio. È chiaro che ci si occupava sempre più di produrre annota­ filologico dei testi antichi, in particolare di età repubblicana, e all’insegna­
zioni continue e dettagliate, sussidi con cui accompagnare i testi più letti. mento di quella letteratura, nonché, più in generale, allo studio del lessico.
Le raccolte di In questo quadro si profilano, verso la fine del II secolo, le prime vere
scolli e proprie raccolte di scolli di cui abbiamo notizia: i veri predecessori dei
nostri moderni commenti. Gli scolli si presentavano come un commento per­ 1 Ricordiamo che m olto probabilm ente va collocato in questo periodo Festo (cfr. p. 325),
petuo a un testo, diviso verso per verso, e quindi problema per problema, l’epitom atore di Verrio Fiacco.
484 FILOLOGIA, RETORICA E CRITICA LETTERARIA, DIRITTO FRONTONE 485

Questi studiosi erano naturalmente portati a rivivere personalmente i testi Occorre però concedere a Frontone notevoli attenuanti. La sua fama
di una stagione ormai archiviata: non solo Cicerone Virgilio e Ovidio, che antica si basava sul suo insegnamento retorico e sulle sue orazioni pubbli­
erano patrimonio di tutti, ma anche autori più remoti e difficili. D ’altra che: di tutto ciò non abbiamo che frammenti e titoli. Nel 1815, il futuro
parte, già nell’età dei Flavi, con Quintiliano, si era consolidata una reazione cardinale Angelo Mai scoprì in un palinsesto milanese alcuni testi frontonia-
al modernismo linguistico e stilistico proclamato, con enorme successo, da ni. L ’entusiasmo, considerata anche la celebrità indiretta di Frontone, fu
Seneca. Quintiliano reagiva soprattutto con un richiamo allo stile classico notevole; qualche anno dopo, un altro frammento integrò la scoperta. Ma
di Cicerone: l’epoca successiva portò la reazione ben più indietro nel tempo. la decifrazione del codice non mancò di deludere: solo, occorre notare che
Gusto arcaizzante La cultura romana del II secolo è sempre più una cultura bilingue: a si tratta di una miscellanea di scritti minori, non si sa neppure se destinati
nella cultura cominciare dagli imperatori, perché Adriano porta all’estremo il processo dall’autore a una vera e propria pubblicazione. Abbiamo qui un carteggio
greca coeva
di grecizzazione della cultura e dell’arte, e Marco Aurelio meriterebbe un privato, con lettere da e per membri della famiglia imperiale (Antonino Pio,
posto di rilievo nel presente manuale se non avesse, per l’appunto, scritto Marco Aurelio, Lucio Vero) e alcune modestissime composizioni d’occasio­
in greco le sue riflessioni. Ora, la cultura greca del II secolo è tutta percorsa ne: brevi declamazioni, schizzi narrativi in greco e in latino, e altra minuta­
da un grande movimento di stampo arcaizzante. I letterati e i retori inaugu­ glia. Niente ci è rimasto delle pubbliche orazioni di maggior lena, ad esem­
rano una nuova forma di purismo: rifiutano la naturale evoluzione del greco pio lo storico discorso contro i Cristiani cui doveva replicare indirettamente
di età ellenistica, e riscoprono la lingua e lo stile dei grandi prosatori attici VOctavius di Minucio Felice.
del V-IV secolo. Scrivere come Senofonte o Lisia significa, naturalmente,
compiere un artificiale distacco dalla realtà quotidiana, e proiettarsi, con Calpurnio Flacco L ’unica testim onianza conservataci della retorica di quest’epoca sono gli estratti
un certo orgoglio nazionale, verso un mondo idealizzato e irraggiungibile. da 53 declamazioni di un non altrimenti noto Calpurnio Flacco, un retore che si
ritiene sia fiorito appunto nell’età di A driano o di A ntonino Pio. Negli estratti si
Questa era la tendenza che si usa definire atticismo: un purismo del bello possono leggere storie truculente di rapim enti, stupri, uccisioni di tiranni, ecc.: al-
scrivere che poco ha a che fare ormai con la tradizionale opposizione tra l’incirca gli stessi temi presenti nell’opera di Seneca il Vecchio (cfr. p. 340 seg.)
«atticisti» e «asiani». e nelle Declamationes pseudo-quintilianee (cfr. p. 426).
Affermarsi del Questo complesso di fattori contribuì alla crescita del movimento arcaiz­
movimento zante a Roma. I testi della Roma repubblicana erano una realtà da riscopri­ Vita di Frontone Il nostro giudizio su Frontone è perciò necessariamente limitativo. L’au­
arcaizzante e
re, perché ormai da molto tempo gli oratori si fermavano a Cicerone e i torevole retore era un provinciale d’Africa (come Apuleio, Minucio Felice,
suoi limiti e Tertulliano), nativo di Cirta. La data di nascita è intorno al 100. Ebbe
poeti, al massimo, a Catullo, nel fissare i loro modelli; Plauto e Catone
promettevano dimenticate preziosità espressive. L ’arcaismo portò al succes­ una notevole carriera pubblica sotto Adriano e Antonino Pio, e fu anche
so professori di retorica e di letteratura; servì ai maestri dell’eloquenza da console suffectus nel 143. Mantenne a lungo il prestigioso incarico di educa­
intrattenimento (ne fa fede Apuleio) per impreziosire il proprio virtuosismo re i due figli adottivi dell’imperatore Antonino Pio. Quello destinato a mag­
stilistico, sino a sbalordire il pubblico medio; confermò i filologi nel proprio giore fama, Marco Aurelio, aveva inclinazioni personali piuttosto diverse:
culto del passato; e offrì un’efficace risposta di parte romana ai ritorni di più che all’arte della parola che Frontone predicava, guardava alla medita­
orgoglio nazionale degli intellettuali di lingua greca. zione etica e filosofica. Frontone morì abbastanza vecchio, forse verso il 170.
Con tutto ciò, è bene non esagerare la purezza e l’ortodossia teorica Le teorie Le teorie stilistiche di Frontone hanno alcuni capisaldi abbastanza chia­
di queste tendenze. Il latino arcaico non offriva una lingua d ’arte perfetta­ stilistiche di ri. Frontone va alla ricerca di uno stile che suoni nuovo e originale senza
mente sviluppata e autosufficiente, come poteva essere invece il greco di Frontone però essere moderno. Si tratta quindi di attingere ai tesori della letteratura
Isocrate e Demostene; gli stessi maestri dell’arcaismo romano non vanno pre-augustea, mirando soprattutto agli insperata atque inopinata verba. Fron­
oltre un certo numero di «recuperi» eruditi, con cui punteggiano uno stile tone ama la creatività linguistica, ma non il neologismo: la creatività che
che pero è sostanzialmente nuovo. Lo stesso Frontone, con le sue manierate ama è quella degli arcaici, su cui già si è depositata la patina dell’antico.
imitazioni sallustìane, non arriva però a sopprimere la lezione dei due secoli Di Cicerone, invece, ama soprattutto la vivacità dello stile epistolare, non
di prosa intanto trascorsi. L ’odiatissimo Seneca, ad esempio, non è facile il periodare canonico delle orazioni. È molto aperto verso il linguaggio col­
a dimenticarsi nemmeno presso i suoi peggiori nemici. loquiale (assomiglia, in questo, ad Apuleio), e non ha prevenzioni verso
i grecismi: il suo arcaismo, di fatto, non è un purismo che rifiuta gli influssi
Frontone stranieri e le commistioni con la lingua dell’uso.
L’impero della L’aspetto che più attira Frontone verso la letteratura arcaica è il gusto
Limiti della nostra I limiti e le oscillazioni della tendenza arcaizzante sono ben simboleggia­ retorica degli effetti sonori e dei giochi di parole. La sua prosa è una rivendicazione
conoscenza di ti dal suo trionfante capofila, Marco Cornelio Frontone. Da notizie indiret­ della retorica come potere assoluto; si nutre di parallelismi, rime, immagini
Frontone
te, ci risulta che fosse apprezzato come una sorta di nuovo Cicerone. Gli concatenate, giochi di suono e di senso. Anche nei modesti brani d’occasio­
intellettuali come Gellio lo venerano e lo imitano. La casa imperiale gli affi­ ne che ci sono rimasti, è evidente che questo culto della retorica va a scapito
da l’educazione dei principi Marco Aurelio e Lucio Vero. La posterità, sino dei contenuti. Frontone ha scarso interesse per temi filosofici, morali, sociali
alla fine dell’impero, lo considerò un classico di primo rango: il nostro giu­ e politici. Lo vediamo bene, ad esempio, nei Principia historìae, che dovreb­
dizio è assai più riduttivo. bero essere una premessa alla narrazione storica delle campagne di Lu­
486 FILOLOGIA, RETORICA E CRITICA LETTERARIA, DIRITTO
LETTERATURA GIURIDICA 487
d o Vero contro i Parti. Le questioni di metodo storico sono liquidate con
superficialità: la storia è vista solo come abbellimento retorico di una traccia aneddoti, informazioni, e giudizi non peregrini, anche con un contributo
occasionale e precostituita. L ’impero della retorica è incontrastato. L ’episto­ di sensibilità personale. Tra queste trattazioni di letteratura arcaica è rima­
lario con Marco e Lucio, del resto, sembra dimostrare che Frontone inter­ sto giustamente famoso il confronto tra un brano del comico Cecilio Stazio
pretava il suo lavoro educativo come un puro e semplice allenamento alla e un brano del corrispondente modello greco, un testo di Menandro (II 23).
retorica: difficile pensare che fosse coinvolto nella discussione di affari e È un episodio critico di estremo interesse: il metodo di confrontare puntual­
problemi dello stato. Per quello che possiamo cogliere della sua figura, Fron­ mente lo stile di un poeta latino con quello della sua fonte è rimasto fonda-
tone incarna un totale divorzio della retorica dalle responsabilità sociali che mentale in tutta la nostra filologia moderna.
quest’arte aveva a lungo detenuto nel mondo romano; e una restrizione della Fonti e originalità Non va comunque dimenticato che Gellio può attingere a una robusta
retorica a prosa d’arte, senza più alcuna pretesa, sia pure dimostrativa ed di Gellio: i suoi tradizione di filologia greco-latina come quella che si delineava al principio
esibizionistica, di convincere e commuovere. È difficile dire, però, a quali
gusti letterari del capitolo. Dato anche il modo capriccioso e poco sistematico con cui
risultati formali arrivasse questo suo esclusivo culto della parola bella. Gellio nomina le sue fonti erudite, non possiamo sapere quanto esattamente
egli attinse a eruditi e filologi quali Valerio Probo o Sulpicio Apollinare.
È comunque sicuro che Gellio non manca di un suo gusto e neppure di
penetrazione nei testi che legge. La sua passione arcaizzante non lo porta
3. Aulo Gellio a svalutazioni affrettate dei classici: legge con lucidità i discorsi di Catone
(VI 3), ma ha anche un’equilibrata comprensione di Cicerone (X 3). Natu­
ralmente, come già Quintiliano, ha antipatia e rigetto per l’anticlassicismo
Le Noctes Atticae
Nell’epoca dominata da Frontone e Sulpicio Apollinare, maestri per noi stilistico di Seneca. A Quintiliano è abbastanza avvicinabile anche per lo
opera
piuttosto evanescenti, emerge ai nostri occhi una figura di letterato dilettan­ stile: Gellio scrive in modo scorrevole e non casuale, ed è anche gradevole
asistematica di
te (come era stato scienziato dilettante Plinio il Vecchio) e di eclettico letto­ narratore (si veda la storia di Androclo e il leone, V 14): la sua prosa piacerà
un «dilettante» a S. Agostino, e la sua opera ricca di dettagli e di piccole scoperte d’antiqua­
re, Aulo Gellio. Sull’autore delle Noctes Atticae esistono solo notizie ricava­
bili dall’opera stessa. Abbiamo a che fare con un appassionato di cultura riato avrà notevole fortuna nel Medioevo. Gellio è tu tt’ora una voce degna
(non un retore o uno scrittore di successo) che fece il suo viaggio d’istruzio­ di nota per chi studia la sensibilità dei Romani verso i problemi e le tecniche
ne in Grecia: doveva essere nato verso il 130, una generazione dopo Fronto­ della letteratura.
ne e Sulpicio Apollinare, che fu suo maestro a Roma. Appunto le Noctes
Atticae, scritte probabilmente poco prima del 170, si presentano come rac­
colte di appunti presi a veglia (noctes) durante un inverno trascorso nei
pressi di Atene. La struttura dell’opera cerca di preservare un effetto di 4. Letteratura giuridica: la sistemazione della dottrina
spontanea varietà, senza nessuno sforzo di sistemazione o di omogeneità.
È chiaro che Gellio intende rifarsi a una tradizione di successo, quella delle
«miscellanee» con titoli come silvae, pratum o — al limite estremo — natu­ La sistemazione Con l’età di Adriano si completa quel processo di sistematizzazione del­
ralis historia·. rinuncia però del tutto a inquadrare il suo caleidoscopico ma­ della dottrina le artes specifiche che dall’inizio dell’impero aveva cominciato a prendere
giuridica corpo per tutte le diverse discipline erudite: come nell’ars grammatica, anche
teriale, ad esempio raggruppandolo per argomento, o disponendolo in un
dialogo e in una situazione narrativa. Il piacere della varietà e dell’arbitraria nella giurisprudenza le contrapposizioni fra scuole diverse diventano sempre
successione viene quindi portato all’estremo (tutto all’opposto che nella me­ meno significative e si assiste a uno sforzo di costruzione organica delle
ditata «scala della natura» di Plinio il Vecchio). Usi sumus ordine rerum dottrine: come se la maturità raggiunta richiedesse elaborazioni sistematiche
fortuito : non ci stupisce passare da un capitolo sui nomi dei venti a un’ana­ più che dibattiti e polemiche.
lisi comparativa dei poeti comici Menandro e Cecilio Stazio, e spaziare tra Le Constitutiones Agli inizi del principato non era del tutto chiaro il fondamento costituzio­
linguistica, poesia, oratoria, filosofia, storia e diritto. Il tutto distribuito principis e il nale del potere legislativo dell’imperatore: in pratica gli edicta imperiali erano
in venti libri, suddivisi in capitoletti (si è perduto un brano della prefazio­ mutamento del trattati come espressioni dell'imperium di un magistrato, ed era pur sempre
diritto romano il senato ad approvare le volontà legislative dell’imperatore, cioè (in apparen­
ne e tutto il libro Vili). Per quanto ne sappiamo, Gellio non pubblicò mai
altro. za) ad emettere le leggi. Ma in seguito la risoluzione del senato divenne una
La sensibilità
Il merito maggiore di Gellio sta nella sua aperta sensibilità letteraria. pura formalità, sicché le Constitutiones principis (decreti e rescritti imperiali,
letteraria di Gellio decisioni che l’imperatore come magistrato supremo prendeva su particolari
L ’influsso dell’arcaismo frontoniano è in lui notevole e formativo, ma non
si trasforma in dogmatismo. Di fatto, Gellio ha un estremo interesse per questioni giuridiche) acquistarono la forza di leggi. Così tutta la dottrina giu­
tutta la latinità arcaica, in particolare per i comici dell’età plautina, ed è ridica che si era esercitata fino ad allora nell’interpretazione degli edicta prae-
un appassionato ricercatore di tradizioni antiquarie e di particolarità lingui­ toris, passa ad esercitarsi direttamente sulle decisioni del principe che ora de­
stiche ormai estinte. A questo gusto arcaizzante dobbiamo l’attenta conser­ tiene il nuovo imperium di sommo magistrato. Questo non poteva non mutare
vazione di parecchi frammenti di poesia e prosa arcaica, accompagnati da profondamente la fisionomia pratica del diritto e della giurisprudenza, por­
tando tra l’altro in questo campo un nuovo ordine accentratore.
BIBLIOGRAFIA 489
488 FILOLOGIA, RETORICA E CRITICA LETTERARIA, DIRITTO

Salvio Giuliano e L’immagine della grande riorganizzazione unitaria che fu realizzata con in quanto non ci sono riferite sue sentenze (responso). Probabilmente fu
la revisione l’età adrianea nella giurisprudenza romana è intimamente legata al nome insegnante di diritto, e abbiamo notizia di molte sue opere (commenti e
dell’ edictum monografie) dedicate a diversi settori della scienza legale; ma la sua fama
del grande giurista Salvio Giuliano, scolaro di Giavoleno Prisco, il capo della
praetorium resta legata ai quattro commentarii delle Institutiones, l’unica opera giuridi­
«Scuola Sabiniana» in età traianea. L. Ottavio Cornelio Salvio Giuliano fu
probabilmente il più notevole rappresentante della dottrina romana del dirit­ ca classica che ci sia giunta nella forma sostanzialmente originaria (fu com­
pletata probabilmente dopo il 161). Le Istituzioni rivelano fin dal principio,
to: con lui (grazie soprattutto alla sua grande originalità di pensiero) la scienza
nella divisione della materia, l’intento sistematico della trattazione articola­
legale raggiunse i massimi vertici, e, anche se alcuni giuristi dell’età dei Seve­
ri (come per esempio Ulpiano e Papiniano) gli furono superiori per mole ta: «I diritti di cui facciamo uso si riferiscono tutti o alle persone (ad perso-
di òpere e per enciclopedicità di dottrina, essi subirono tutti la forte influen­ nas) o alle cose (ad res) o alle azioni (ad actiones)». Questa rubricazione
za della sua personalità creativa. Ebbe una straordinaria carriera di uomo tripartita della materia giuridica forse non è dovuta alPoriginaiità di Gaio
pubblico (fece anche parte del consilium principis sotto Adriano e Antonino — c’è qualche ragione per credere che fosse a lui precedente — ma certo
Pio); ma il prestigio di cui godette come giurista fu senz’altro eccezionale esercitò un’enorme influenza sul pensiero giuridico a venire. Proprio i meriti
di ordinata sistematicità, di semplicità e chiarezza, fecero di Gaio un punto
se si considera che già prima di compiere i trent’anni era stato incaricato
di riferimento della disciplina legale: è la fortuna che spesso tocca alle opere
dall’imperatore Adriano di compiere la revisione dell’edictum praetorium 2
di compilazione intelligente, pregevoli se non altro per l’economia delle in­
L·'edictum (fu compiuta intorno al 130 d.C.). Quest’edizione riveduta venne conferma­
perpetuum ta da un senatoconsulto, e in tal modo l’editto pretorio prese forma perma­ formazioni, momenti conclusivi e assommanti di lunghi laboriosi dibattiti
nente (edictum perpetuum) e i pretori persero il diritto di modificarlo. Vasti precedenti. Le Istituzioni di Gaio paiono rivestire, per la letteratura giuridi­
commenti all’edictum perpetuum, così come era stato fissato da Salvio Giu­ ca, la stessa significativa importanza che, qualche decennio prima, per l’arte
liano, furono scritti dai giuristi classici posteriori (e da esso i compilatori oratoria, YInstitutio di Quintiliano: segno anche questo, come dicevamo so­
pra, di una profonda e diffusa maturità culturale in un periodo che si sente
del Digesto di Giustiniano trarranno ampi estratti, sulla base dei quali si
incline a produrre, nei più diversi campi del sapere, strumenti pratici di co­
è cercato di ricostruirne la fisionomia). Seguendo appunto la nuova disposi­
zione che egli aveva dato all’edictum perpetuum, Salvio Giuliano compose noscenze come queste «summae» dottrinali.
i suoi monumentali Digesta (in 90 libri), un’ampia e sistematica casistica
di diritto civile e pretorio di cui ci sono noti molti contenuti grazie al Dige­
sto di Giustiniano che li riporta (d’altronde la gran parte della letteratura Verhàltnis zur Literatur, Berlin 1882
Bibliografia Segnaliamo anzitutto opere di orien­
giuridica romana ci è nota solo tramite il Digesto giustinianeo, la sezione tamento generale sui problemi di storia del­ = Aalen 1959; Id ., K ritik und Hermeneu-
del Corpus iuris — cfr. p. 596 — che consiste in una sorta di antologia la cultura rom ana toccati d a questo capi­ tik, Miinchen 1913; W . S c h u b a r t , Das
della giurisprudenza classica lungo l’intero arco del suo svolgimento). tolo; sulla diffusione del libro e dell’alfa­ Buch bei den Griechen u n d R om ern,
Sesto Pomponio Contemporaneo di Giuliano fu Sesto Pomponio, cui pare si debbano betismo, nonché sulla storia del libro come Berlin-Leipzig 1907=1961; F. G. Ke-
tale: G. C a v a ll o , Libri, editori e pubbli­ n y o n , B o o ks and Readers in A ncient
riconoscere eccezionali doti di compilatore (scrisse più di 300 libri di diritto, Greece and R o m e, O xford 1932; 2 a ed.
co nel m ondo antico: guida storica e cri­
quanto nessun altro giurista romano). Non esercitò alcuna carica pubblica tica, Roma-Bari 1975, 19772; I d ., A l­ 1951.
(a differenza della maggior parte dei giuristi del tardo principato, che figura­ fa b etism o e circolazione del libro, in M. Biblioteche: C. E. Boyd, Public Li-
vano frequentemente tra i funzionari più elevati al servizio dell’imperatore); V e g e t t i (a cura di), Oralità scrittura spet­ braries and Lìterary Culture in A n cient
tacolo, Torino 1983, p. 166 segg. (con buo­ R om e, Chicago 1915.
ci è conservato dal Digesto giustinianeo un ampio frammento del suo Liber Sulla storia della filologia latina in
n a bibliografia); O. A. W . D il k e , R om an
singularis enchiridii, un breve compendio della storia delle fonti giuridiche B ooks and Their Im pact, Leeds 1977. generale non esiste una com oda opera
romane, dei magistrati e della scienza legale fino a Salvio Giuliano. Com e abbiam o visto, la storia degli di riferim ento. Per l’inquadram ento nel­
Gaio, un In età di poco posteriore sembra da collocarsi il celebre giurista Gaio: studi letterari si sovrappone ampiamente la tradizione della filologia ellenistica l’o­
allo sviluppo del sistema educativo; ope­ pera fondam entale è R. P f e ib f e r , Storia
sistematore di lui ci è ignoto quasi tutto, nonostante che la fantasiosa ingegnosità degli
intelligente re di riferim ento sulla scuola a Rom a so­ della filologia classica dalle origini alla
eruditi abbia voluto indurre da pochi e incertissimi elementi una precisa im­ fin e dell’età ellenistica, trad . it. Napoli
no: H . - I . M a r r o u , Storia dell’educazio­
magine biografica. Ci sono ignoti il suo gentilizio e il suo cognomen, ignoti ne nell’antichità, trad. it. Rom a 19782; 1973.
pure la sua origine (proveniva forse da una provincia greca) e i suoi studi. J . B o w e n , Storia dell’educazione occiden­ Per gli autori di cui abbiam o solo
Visse a Roma e scrisse molto tra il periodo di Adriano e quello di Marco tale, trad. it. M ilano 1979; A. G w y n n , fram m enti, ci si riferisce alle raccolte cu­
R om an Education fr o m Cicero to Quin- rate da G. F u n a io l i (Grammaticae R e ­
Aurelio; non dovette ricoprire nessun incarico pubblico né avere lo ius re- m arne fragm enta, voi. I, Leipzig 1907,
tilian, O xford 1926; S. F. B o n n e r , E du­
spondendi (cioè il diritto riconosciuto di dare pareri su questioni giuridiche), cation in A ncient R o m e, London 1977; rist. Rom a 1964) e da A. M a z z a r in o
S u s a n T r e g g ia r i , R o m a n Freedmen (Grammaticae Rom anae fragm enta aeta-
during thè Late Republic, O xford 1969 tis Caesareae, Torino 1955).
2 L ’edictum praetorium (che funzionava come una serie di rimedi di tipo processuale (sui liberti nell’insegnamento). P er l’età repubblicana, si h a l’utile
provvisti di indiretta, m a non m eno decisiva efficacia, coll’intento di integrare all’occorrenza Sempre im portanti, sulla form a e la profilo di F. D ella C o r t e , La filologia
le disposizioni del diritto civile) era norm alm ente affidato airiniziativa dei singoli pretori, che produzione dei libri, le ricerche di T. latina dalle origini a Varrone, Firenze
di volta in volta potevano intervenire con modifiche. Q uesta era la situazione fino alla codifica­ B i r t , Das antike Buchwesen in seinem 19812.
zione definitiva ordinata da A driano.
490 FILOLOGIA, RETORICA E CRITICA LETTERARIA, DIRITTO

Sull’attività filologica e critico­ développem ent du gotìt archa'isant au IP


testuale dei Rom ani lo studio d ’insieme
più ricco, anche se spesso da non condi­
siècle de notre ère, Rennes 1952; I d .,
M o ts nouveaux et m ots archaì'ques chez
SVILUPPI DELLA POESIA
videre, è J. E . G . Z e t z e l , Latin Textual
Criticism, New York 1981.
Sulla storia della retorica e delle teo­
Fronton et Aulu-G elle, Paris 1957; P.
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I POETAE NOVELLI
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N o r d e n , Die antike Kunstprosa, 2 voli., Questi studi toccano anche la p ro ­
Leipzig 1898 = Stuttgart 1973, trad. it. Ro­ blematica generale del gusto arcaizzante;
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tionis R atio, A m sterdam 1963, trad. it. resta fondam entale E. N o r d e n , D ie A n ­
Bologna 1974. tike Kunstprosa, I4, Berlin-Leipzig 1923.
Sulla retorica e il suo sviluppo cfr. Sui rapporti con M arco Aurelio vedi an­
inoltre: G. K e n n e d y , The A r t o f Rheto- che L. P e p e , M arco A urelio latino, N a­
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Sullo sviluppo della critica letteraria edizioni di C. H osius, 2 voli., Leipzig
e dei dibattiti estetici: J. F. D ’A l t o n , R o ­ 1903 (rist. Stuttgart 1959), e di P . K. «tempi» della poesia sono assai diversi: i prosperi e vitali anni di Traiano,
man Literary Theory and Cristicism, Lon­ M a r sh a l l , 2 voli., O xford 1968. Diverse Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio non vedono una significativa fioritu­
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and Rom an Critics, London 1965; A.-M. no ampiam ente anche di Gellio; vedi in come un raffinato hobby delle classi elevate più che come una vocazione pro­
G u il l e m in , L e public et la vie littéraire particolare i due saggi di R. M a r a c h e
à R om e, Paris 1937. già ricordati sopra e, dello stesso, L a m i­
fonda. Nell’età dei grandi retori e dell’erudizione trionfante, la poesia sembra
Le due edizioni critiche principali di se en scène des «Nuits A ttiques», in «Pal- aver perso ormai ogni centralità culturale; tutto sommato, gli anni bui del
Frontone sono quelle curate da S. A. N a - las», 1953, p. 84 segg. Sull’im portante III secolo ci hanno lasciato un maggior numero di testimonianze significative
b e r , Leipzig 1867, e Μ. P . J. v a n d e n questione dei rapporti tra letteratura gre­ in questo campo. La traccia continua dei «grandi» generi poetici tradizionali
H o u t , Leiden 1954 (spesso si cita il testo ca e latina cfr. L. G a m b e r a l e , L a tradu­
con il numero di pàgina v a n d e n H o u t ) .
si va perdendo ai nostri occhi già all’inizio del principato di Adriano. Non
zione in Gellio, R om a 1969.
A ncora utile la storica edizione annotata Per la letteratura giuridica sono da abbiamo testi epici, siano essi storici o mitologici, dopo l’età flavia; la satira
curata dal cardinale A. M a i, Roma 18462; vedere i testi raccolti in S. R ic c o b o n o , ci abbandona con Giovenale; l’elegia — almeno se la si intende come il genere
tra le reazioni dei contemporanei alla sco­ Fontes Iuris R om ani Antejustiniani, Fi­ di poesia «personale» codificato dagli augustei — lascia solo flebili postumi;
perta, primeggiano le osservazioni di G ia ­ renze 1941-43; P h . E. H u s c h k e , Jurispru- e la poesia scenica, dopo Seneca e 1’Octavia, non dà più segno di sé.
c o m o L e o p a r d i, ora raccolte in G . L ., dentiae antejustinianae reliquiae, a cura
Scritti Filologici, a cura di G . P a c e l l a di F. S e c k e l -B . KtiBLER, 3 voli. (1908-
Per quanto ne sappiamo, si continua invece a praticare un genere di
- S. T im p a n a r o , Firenze 1969, p. 43 segg. 27); G a iu s , Institutes, texte établi et tra- poesia minore e mistiforme, le cui diverse realizzazioni non si lasciano ricon­
Per l’inquadram ento storico-critico: duit par J. R e in a c h , Paris 1950; im por­ durre alle forme letterarie preesistenti: in realtà una poesia senza più genere
M . D. B r o c k , Studies in Fronto and his tante lo studio di A. M. H o n o r é , The definito (ne avevamo seguito certe linee dall’età di Tiberio a quella neronia-
A ge, Cambridge 1911; R. M a r a c h e , L a Severan Lawyers, in «Stud. et Doc. Hist. na: cfr. p. 356 segg.). In quest’area letteraria, di per sé poco definita se
critique littéraire de langue latine et le et Iuris», 1962.
non in opposizione alla poesia «grande», si addensano ai nostri occhi alcune
figure minori, di cui abbiamo scarsi frammenti. Gli storici della letteratura,
che per la natura del loro lavoro hanno un certo orrore degli spazi vuoti,
tendono a saturare lo spazio della poesia del II (e III) secolo ricostruendovi
una vera e propria scuola: sarebbe il gruppo, o filone, dei poetae novelli.
I poetae novelli: L’etichetta poetae novelli è già antica, e racchiude in sé densi presuppo­
il recupero sti storico-letterari. La chiave del riferimento è la scuola neoterica del I seco­
«arcaizzante» dei lo a.C., il gruppo dei poetae novi, con Catullo, Cinna, Calvo, Valerio Cato­
poetae novi ne, e anche certi loro predecessori, come l’estroso e formalista Levio. I no­
velli sarebbero dunque dei poetae novi in tono minore, e la loro stessa novità
non è, come quella dei poetae novi, avanguardistica e modernizzante, ma
si alimenta di recuperi regressivi, rivolti a ciò che è arcaico, obsoleto e fuori
moda. Abbiamo così un chiaro parallelo a quella ricerca di novità che carat­
terizzava, nella prosa d’arte, l’antiquariato stilistico di un Frontone: il rin­
novamento dello stile, per sfuggire all’imperio dei grandi classici, si rivolge
492 SVILUPPI DELLA POESIA: I PO ETAE NO VELLI BIBLIOGRAFIA 493

a esperienze più antiche e ormai disusate. D’altra parte, la fortuna dei neote­ apparentemente ‘facile’, ma nutrita di sensibilità letteraria; a molti è appar­
rici non è, in assoluto, una novità: già nel I secolo d.C., i testi della cosid­ so quasi un annuncio di decadentismo:
detta Appendix Vergiliana e la poesia minore di età neroniana mostravano
chiaramente l’influsso dei poetae novi, pur senza dimenticare i canoni del Animula vagula blandula
classicismo augusteo. Sospettiamo quindi che i poetae novelli, più che una hospes comesque corporis,
rinascenza improvvisa, siano essi stessi lo sviluppo di una via secondaria quae nunc abibis in loca
della poesia latina. pallidula rigida nudula
Anniano e gli La definizione di poetae novelli è riferita dal grande metricista Terenzia- nec, ut soles, dabis iocos!
altri novelli no Mauro (II-III secolo d.C.) ad alcuni poeti di cui abbiamo poverissimi
resti. Anniano, ricordato anche da Gellio, scrisse dei Carmina Falisca, com­
posti in un verso anomalo (che si nominerebbe appunto «falisco»: tre dattili
e un giambo), e anche dei misteriosi Fescennini. Alfio Avito poetò sugli B ib lio g ra fia I frammenti riconducibili a questo1968. Sulla cultura della corte imperiale
periodo sono editi da M o r e l , Fragmenta cfr. H . B a r d o n , Les empereurs et les let-
uomini illustri della storia di Roma. Un certo Mariano compose dei Luper- poetarum Latinorum epicorum et lyrico- tres latines d ’A uguste à Hadrien, Paris
calia. Settimio Sereno cantò temi rurali e pastorali. rum praeter E nnium et Lucilium , Leip­ 1940, p. 393 segg. Sul testo di Adriano
Lo Tra queste umbratili figure si può cogliere forse qualche affinità di ten­ zig 19272 (= 1963), p. 136 segg. Come in­ citato in fine capitolo cfr. l’interpretazio­
sperimentalismo denza. La più vistosa è lo sperimentalismo metrico: questi poeti escogitano troduzione alla problem atica dei novelli ne di I. M a r io t t i , A nim ula vagula blan­
metrico cfr. E. C a s t o r i n a , I «poetae novelli», Fi­ dula, in Studia Fiorentina A . Ronconi
forme nuove (ad esempio, il «falisco» di Anniano) oppure, sempre in segno
renze 1949; I d ., Questioni neoteriche, ivi oblata, Rom a 1970, p. 233 segg.
di rottura rispetto ai grandi classici, cantano temi tradizionali su metri inat­
tesi e apparentemente impropri. Così, Sereno tratta temi pastorali non in
esametri virgiliani, ma in dimetri giambici, versetti che avevano avuto, se
mai, tradizione scenica o epodica. Fioriscono poi forme di metrica figurata:
distici «reciproci», in cui il pentametro ricanta all’inverso le parole dell’esa­
metro; o addirittura poesie che, arrangiate sulla pagina in versi di varia lun­
ghezza, adombrano l’immagine dell’oggetto che vogliono descrivere. Così
era fatto, ad esempio, VUovo di Simia, poeta dell’età alessandrina. Da que­
sto punto di vista, i poetae novelli riprendono lo sperimentalismo formale
che caratterizzava sia certa poesia neoterica (più Levio che Catullo) sia la
versificazione greca degli ultimi alessandrini. Le acrobazie dei carmina fig u ­
rata sono un’evidente ripresa di queste esperienze, in se stesse già marginali
e ludiche.
Il gusto Inoltre, è evidente una ricerca di tipo antiquario e arcaizzante, che ri­
arcaizzante guarda sia i temi descrittivi (titoli come Falisca o Lupercalia), sia il lessico
impiegato. Scene idilliche, ambientate nell’antica campagna italica; parole
in disuso, arcaiche, colloquiali, dialettali; certi aspetti della prosa di Apuleio
e Frontone trovano qui dei precisi corrispettivi formali.
L’imperatore Alcuni studiosi allargano la portata di questa «scuola» sino a racchiu­
Adriano dervi molta produzione poetica del HI secolo, testi come il Pervigilium Ve-
neris, Nemesiano e Reposiano (noi ne tratteremo più avanti). Abbiamo a
che fare, comunque, con un’area assai indefinita e poco delimitabile. La
personalità più interessante di questa fioritura minore è, nel quadro del II
secolo, un imperatore romano. Sappiamo dai biografi che Adriano era uo­
mo di cultura raffinatissima e versatile. La sua politica di integrazione uni­
versale abbracciava Roma, le province, la Grecia e l’Oriente in uno sforzo
di fusione, culturale non meno che amministrativa. Aveva una profonda
cultura greca, letteraria e artistica, e incoraggiava ogni aspetto dell’arte e
dell’erudizione. Fu anche, per quanto sappiamo, un pregevole versifica­
tore; non a caso, componeva in entrambe le lingue di cultura dell’impe­
ro. Di lui ci restano pochi versi; la cosa più notevole è una poesia oc­
casionale, un’apostrofe all’anima sua che avrebbe composto prima di mori­
re. È un testo meritatamente famoso per la sua musicale grazia neoterica,
Parte V

LA TARDA ETÀ IMPERIALE


DAI SEVERI
A DIOCLEZIANO (193-305)

1. I grandi mutamenti sodali

La grande crisi Il III secolo è un momento assai drammatico nella vita di Roma: la
sopravvivenza stessa dell’impero sembra in dubbio di fronte alle ricorrenti
guerre civili — che comportavano decimazioni dei ceti dirigenti, impoveri­
menti del sistema produttivo nelle regioni attraversate dagli eserciti, indebo­
limenti delle difese che alle frontiere dovevano resistere contro la pressione
dei barbari — e di fronte ai grossi cambiamenti interni (sociali, istituzionali,
religiosi) che rimettevano in discussione i cardini stessi dell’ordinamento sta­
tale. Ma contro ogni aspettativa, e in maniera che ancora stupisce lo storico
moderno, l’impero riuscì ad attraversare questa che senz’altro è la sua più
grave crisi prima del definitivo sfaldamento alla fine del V secolo: da essa
uscì profondamente modificato, ma ben saldo, sostanzialmente riorganizza­
to nei punti nodali dell’apparato statale, e capace di affrontare ancora per
due secoli tutti i pericoli esterni.
Tendenze Una delle manifestazioni più evidenti di questa crisi è il sorgere di ten­
centrifughe e denze centrifughe e spinte separatiste, volte a sostituire le strutture centrali
politica di dello stato con amministrazioni autonome, decentrate, che talvolta preten­
accentramento dono addirittura di assurgere esse stesse a dignità statale: è il caso del regno
di Paimira in Oriente e dell’imperium Gallìarum in Occidente. Contro que­
sto pericolo di sfaldamento le corti imperiali reagirono in modi diversi se­
condo i momenti e le possibilità. Nei primi anni del secolo, la dinastia dei
Severi promosse una rigorosa politica di accentramento, che si accompagna­
va ad un processo di «democratizzazione» della società, soprattutto nelle
province: particolare attenzione veniva prestata alle necessità dei ceti più
poveri, mentre i rappresentanti del potere centrale si assumevano il compito
di sorvegliare che i ricchi e i potenti non prevaricassero i diritti degli humi-
liores e pagassero con regolarità i tributi al fisco. In questa politica si inseri­
sce la Constitutio Antoniniana, promulgata da Caracalla nel 212, che conce­
deva la cittadinanza romana a tutti i liberi residenti nel territorio dell’impe­
ro: un tentativo di sanare disparità che giuridicamente e di fatto costituivano
il presupposto di numerose iniquità amministrative.
Gli anni Con la fine della dinastia dei Severi, nel 235, si apre il periodo più
dell’anarchia confuso di questo tormentato secolo, caratterizzato da un numero grandissi­
militare mo di imperatori che rimangono in carica pochi mesi o addirittura solo po­
chi giorni, si contrappongono l’uno all’altro, danno vita ad effimere ammini-
498 DAI SEVERI A DIOCLEZIANO
L’AFFERMARSI DEL CRISTIANESIMO 499

strazioni e ad ancor più effimeri progetti politici. In questa situazione di rono soprattutto le città. A questo quadro così negativo vanno aggiunte
disordine prevalgono naturalmente gli interessi particolari, le istanze regio­ catastrofi naturali e terremoti (che colpirono anche la città di Roma) ed
nali, le urgenze economiche o militari delle diverse zone dell’impero, che epidemie, più frequenti e micidiali che in altri periodi: ne consegue un im­
cercano di risolvere da sole i problemi che il potere centrale non è più in pressionante calo della popolazione, che risulta in alcuni momenti quasi di­
condizioni di affrontare con interventi concreti e credibili. Particolarmente mezzata rispetto alle medie dei decenni precedenti.
sensibile è il distacco politico-amministrativo e culturale tra Occidente ed
Oriente, dove dalla metà del secolo compaiono rectores o correctores i quali
di fatto hanno il potere su regioni assai vaste dell’Asia insidiate dall’espan­ L ’afferm arsi del Cristianesimo
sionismo persiano; si creano così i presupposti di quella divisione fra pars
orientis e pars occidentis, e quindi fra i due imperi, che determinerà fonda- Questo clima di insicurezza, esteso a tutte le aree dell’Impero (e non
mentali differenze e separatezze decisive nella storia europea. limitato a quelle marginali, per loro natura più esposte ai pericoli esterni)
Pressioni alle Intanto le due principali frontiere, europea ed asiatica, sono sottoposte ebbe riflessi non secondari anche sugli aspetti più specificamente culturali.
frontiere ad una continua pressione, resa più grave dalla contemporaneità degli attac­ Un corretto quadro di insieme richiederebbe una trattazione congiunta della
dell’impero chi sui due fronti. Sul confine del Reno e del Danubio le popolazioni germa­ letteratura greca e di quella latina, perché in quest’epoca è ancora ben salda
niche si presentano capaci di incursioni che arrivano ben dentro il territorio l’unità culturale delle due parti dell’impero, anche nella diversità linguistica;
dell’impero, e che vengono arrestate solo a prezzo di grossi sforzi militari sono abbastanza frequenti gli spostamenti di intellettuali da Oriente ad Occi­
e di gravi sacrifici economici; sul confine orientale il nuovo regno persiano dente, e anche più frequente è il ricorrere di'tem i e problematiche simili,
dei Sassànidi, succeduto nel 224 a quello dei Parti, si fa protagonista di Vitalità della soprattutto negli ambienti cristiani. Non va comunque dimenticato l’intenso
un espansionismo militare che si avvale di armi moderne ed efficaci ed è cultura orientale fervore di dottrina che agita il Mediterraneo orientale, e soprattutto l’Egitto,
sorretto da una solida organizzazione statale, da una fiorente economia e in un periodo in cui i testi in lingua latina sembrano invece — eccezion
da un’indiscussa fede nei destini imperiali della nazione. Nello stesso tempo fatta per pochi scrittori cristiani — ripetere stancamente motivi di epoche
anche altre frontiere vengono insidiate: il confine inglese (Vallo di Adriano) precedenti. Sul piano della speculazione filosofica, particolare importanza
dagli Scozzesi ed i territori africani dalle popolazioni provenienti dal sud. assumono gli sviluppi della dottrina neoplatonica, la dottrina che informerà
li potere L’importanza che in questa situazione aveva assunto l’esercito, garante gli ultimi secoli del paganesimo e lascerà tracce profonde anche nel pensiero
controllato della sopravvivenza dello stato, non fu priva di conseguenze per tutta l’orga­ cristiano; mentre le esigenze di certezze religiose ed una tensione sempre
dall’esercito
nizzazione dell’impero. Divenne sempre più normale che la scelta dell’impe­ più forte verso la trascendenza si manifestano nell’adesione a culti orientali
ratore fosse effettuata dalle truppe, anziché dal senato; contemporaneamen- e religioni misteriche. Gli spazi della salvezza individuale, non coperti dal­
te, il fatto che esperti ufficiali di carriera provenienti dai bassi ranghi dell’e­ l’antico paganesimo, vengono occupati dal culto di Mitra, da quello di Cibe­
sercito si sostituissero ai giovani e meno giovani senatori nel comando delle le, da quello di Iside, da quello solare, dal Cristianesimo. Comune a tutte
truppe, anche se rispondeva all’inderogabile necessità di assicurare coman­ queste nuove religioni era la promessa di una salvezza futura, una prospetti­
danti provetti e stimati dai loro soldati, spezzava però gli ultimi legami an­ va di redenzione che ripagasse gli uomini della precaria e infelice esistenza
cora esistenti fra il potere militare e gli organismi costituzionali, e creava terrena.
di fatto un nuovo canale di reclutamento dei ceti dirigenti, destinato ad Il culto cristiano Fra tutti questi culti il più rilevante fu senz’altro quello cristiano, che
essere ampiamente praticato per tutta la tarda antichità. Anche la compo­ nel giro di un paio di secoli riuscì a prevalere su tutti gli altri, passando
sizione dell’esercito subì rilevanti cambiamenti: la necessità di leve mili­ da culto minoritario a religione maggioritaria nell’ambito dell’impero. La
tari sempre più numerose fece estendere il reclutamento ai cittadini di tutto cultura pagana non comprese, all’epoca, le particolari capacità di proseliti­
l’impero e perfino ai barbari che fossero disposti a militare sotto le inse­ smo di questa religione, latrice di un messaggio da cui nessuno era pregiudi­
gne di Roma: di qui una mobilità sociale che vede soldati arabi arrivare zialmente escluso, e più capace di offrire risposte alle esigenze avvertite dalle
fino al soglio imperiale e, in generale, militari, anche nati fuori dell’im ­ grandi masse: essa parve un culto superstizioso come tanti altri, magari con
pero, percorrere invidiabili carriere e occupare cariche di fondamentale una strana ostinazione in più, per cui i suoi fedeli erano disposti ad affron­
rilevanza. tare persecuzioni anche dure pur di non rendere agli dei dell’impero le pre­
La crisi Quanto ai problemi economici, essi erano in gran parte connessi con stazioni liturgiche consuete. ... ·
economica quelli militari: le campagne si spopolavano; le città costituivano un rifugio Diffusione del Il Cristianesimo si diffonde rapidamente in tutte le zone dell’impero,
più sicuro, per le mura che le cingevano (perfino Roma, la capitale, avvertì Cristianesimo e durante il III secolo diviene una componente decisiva nell’equilibrio delle
il bisogno di circondarsi di una nuova cinta di mura sotto Aureliano), ma forze. Nato prevalentemente come religione urbana dei ceti subalterni (so­
erano esposte agli assedi e ai saccheggi; le vie di comunicazione erano insicu­ prattutto di quelli orientali, o tutt’al più di quelli della capitale), conta ora
re, e ne derivò una generale riduzione dei commerci; la necessità di spese adepti in tutti i ceti della società, e soprattutto a Roma è riuscito a conqui­
per difendere lo stato dagli eserciti nemici comportò un inasprimento fiscale stare molte donne di famiglie ricche e nobili, che assicurano sostanziosi do­
che mise in crisi molte attività economiche, soprattutto nei centri urbani, nativi e anche ascolto e prestigio perfino presso le fasce sociali più alte.
e la forte inflazione provocò aumenti dei prezzi che ancora una volta colpi­ Se il Cristianesimo in Oriente si afferma sempre più come corrente di pensiero,
500 DAI SEVERI A DIOCLEZIANO ALLE ORIGINI D I UNA LETTERATURA CRISTIANA 501

e dà vita ad elaborazioni filosofiche che raggiungono livelli tra i più alti nazionale, l’Antico Testamento, che costituiva un punto di riferimento indi­
nella storia della cultura del III secolo, in Occidente un certo ritardo nelle scusso, pur fra le tante diverse interpretazioni che ne venivano suggerite.
elaborazioni teoriche si accompagna ad una capacità organizzativa che im­ AO’interno di questo variegato mondo giudaico i Cristiani si segnalano
pianta una struttura solida e capace di resistere alle ricorrenti persecuzioni presto per uno spiccato attivismo: compongono testi di notevole rilevanza,
del potere politico. sia quelli che poi verranno uniti nel Nuovo Testamento (i quattro Vangeli
Il Cristianesimo e Per tutto il secolo i rapporti fra le comunità cristiane e le istituzioni canonici, gli A tti degli apostoli, le Lettere canoniche, FApocalisse) sia vari
il potere statale furono complessi ed ambigui: a periodi di tolleranza, in cui i procedimenti altri che le generazioni successive non accoglieranno con la medesima devo­
contro i Cristiani erano rari o del tutto assenti, se ne alternavano altri in zione (vari altri Vangeli, detti apocrifi, altre Lettere, tutta una letteratura
cui i martìri erano all’ordine del giorno; inoltre, non tutte le zone e non nella quale i rapporti con l’insegnamento di Gesù sono meno evidenti). Vie­
tutte le classi erano investite allo stesso modo da queste ondate di violenza: ne inoltre creata un’organizzazione di solidarietà, caratterizzata da una par­
se le vittime delle persecuzioni furono relativamente poche in Italia, e po­ ticolare efficienza, che risulta assai utile agli affiliati: ne traggono beneficio
chissime fra gli appartenenti ai ceti più alti, la situazione fu invece assai la solidità del gruppo e le sue potenzialità espansive, che si indirizzano non
più drammatica in Africa, dove i vertici della Chiesa furono ripetutamente solo alla conversione degli altri Ebrei, ma anche di tutti quei popoli sui
colpiti. Di qui anche le differenze di atteggiamento che i Cristiani mostraro­ quali la nuova religione avesse buone probabilità di attecchire, prima quelli
no nei confronti dell’impero e delle sue tradizioni: a volte più rigoristi e subalterni (che costituivano i settori di maggiore emarginazione nelle grandi
intransigenti, a volte più disponibili ad una «secolarizzazione» che sarà più metropoli dell’impero), poi gli stessi Greci e i Romani.
accentuata nella capitale, i Cristiani, fra ortodossia ed eresie, coprono un Il Cristianesimo In Occidente lo sviluppo è relativamente più lento: certamente il Cristia­
ventaglio assai vasto di posizioni, con divergenze assai notevoli, ma ben in Occidente nesimo arrivò in Italia già verso la metà del I secolo, a Roma, a Pozzuoli,
spiegabili nella tumultuosa crescita di quegli anni. a Pompei e probabilmente in altri centri commerciali o marittimi, ma le
Il Cristianesimo: I cristiani si mostrarono anche capaci di produrre un’imponente lettera­ possibilità di espansione erano notevolmente ridotte dalla scarsa considera­
sovvertimenti tura, segnata da opere di assoluto rilievo, e d’importanza non soltanto teo­ zione in cui venivano tenute le comunità orientali, disprezzate come diverse,
culturali e nuova logica o religiosa: la produzione letteraria cristiana costituisce, a tutti gli temute come potenziali portatrici di disordini e calamità. Sotto Nerone, l’uc­
letteratura
effetti, il principale avvenimento culturale di un’età per il resto non molto cisione di molti Cristiani, pretestuosamente incolpati dell’incendio scoppiato
ricca di significative personalità di scrittori o di importanti movimenti lette­ a Roma, mostra come il potere politico e l’opinione pubblica vedessero in
rari, almeno nell’Occidente latino. Nel grande rimescolamento culturale e loro soltanto dei criminali, o dei potenziali sovvertitori, da estirpare senza
sociale di quegli anni, tra le migrazioni interne e le rapide ascese di alcuni il greco lingua riguardi. Le difficoltà derivanti da questa emarginazione quasi totale, e la
ceti ai danni di altri, tra l’appannarsi degli ideali classici e l’emergere di del primo lenta diffusione, legata per più di un secolo a quei gruppi che anche a Roma
preoccupazioni escatologiche (col preavviso di imminenti fini del mondo), Cristianesimo e in Italia parlavano greco, spiegano perché il greco sia stato per molto
la cultura cristiana diviene punto di convergenza di molte delle tradizioni tempo, anche in Occidente, la lingua del Cristianesimo; per di più, in greco
disperse qua e là nell’impero, costituendo un tratto unificante dei successivi erano scritti quelli che si cominciavano ad individuare come testi di fede:
decenni, atto a tenere ancora insieme una compagine statale turbata da tante per tali motivi i primi scritti cristiani composti in Occidente sono anch’essi
vicende, ma tuttora sufficientemente solida per amministrare tutta l’area me­ in lingua greca, come la lettera di Clemente Romano (Clemente fu, secondo
diterranea ancora per più di un secolo. la tradizione, il quarto vescovo di Roma) o il Pastore di Erma, un’opera
di un certo interesse anche letterario, che racconta cinque visioni simboliche
in un greco ricco di ebraismi e di latinismi. Ed a scrivere in greco si conti­
nuerà fino agli inizi del III secolo, quando l’esigenza di comunicare con
2. Alle origini di una letteratura cristiana gruppi più vasti, di lingua latina, aveva già da tempo fatto nascere, in paral­
lelo, una letteratura latina cristiana.

L’Oriente: Per molti decenni il Cristianesimo crebbe come una delle tante sette
Cristianesimo e che movimentavano il panorama della componente giudaica dell’impero ro­ L e traduzioni dei testi sacri
cultura giudaica mano. Nonostante gli influssi ellenizzanti introdotti da Paolo o da Luca
l’evangelista, le posizioni di fondo in campo religioso e culturale del Cri­ La Bibbia Alle origini di questa letteratura si è soliti collocare le traduzioni dei
stianesimo restano legate, in un primo tempo, al Giudaismo. Quest’ultimo, tradotta: la Vetus testi sacri effettuate in Africa e in Italia. A partire già dal II secolo, comuni­
sia in Palestina sia soprattutto ad Alessandria, dove vivevano centinaia di Latina tà cristiane che non parlavano il greco — dapprima più numerose in Africa,
migliaia di Ebrei, aveva da tempo stretto rapporti con le teorie di pensiero poi sempre più presenti anche in Europa, man mano che nel corso del III
dominanti nel bacino orientale del Mediterraneo, ma non aveva mai rischia­ secolo si riduceva in Occidente la conoscenza di quella lingua — avvertirono
to di perdere i propri caratteri di originalità: gli Ebrei (e quindi i Cristiani) l’esigenza di disporre di una Bibbia in latino. Questa antica traduzione del
scrivevano spesso, o addirittura prevalentemente, in greco, parlavano di lo­ libro sacro viene comunemente indicata come Vetus Latina, cioè «la vecchia
gos e di pneuma, ma le loro elaborazioni discendevano sempre dal libro traduzione latina»: «vecchia» rispetto a quella di Girolamo, che diventerà
502 DAI SEVERI A DIOCLEZIANO
GLI AC TA M A R TY R U M E LE PASSIONES 503

poi ufficiale. In realtà, non si trattò di un’unica traduzione, diffusa presso Altri atti di martiri Dopo quella di Scillum — la prima, come si diceva, in lingua latina
i cristiani di tutto l’Occidente: innanzitutto, c’erano sicuramente delle dif­ — abbiamo varie altre descrizioni, sempre più complesse e a volte abilmente
Vetus Afra e ferenze fra i testi africani, la Vetus Afra, e quelli italici, la Vetus Itala-, rimaneggiate per risultare più efficaci: vi emerge la contrapposizione fra i
Vetus Itala in secondo luogo, anche all’interno di queste due aree geografiche le tradu­ Cristiani portatori del nuovo, non violenti, sicuri della loro vita dopo la
zioni furono ben più d’una, a volte anche abbastanza discordanti tra loro. morte, e i magistrati di Roma, difensori dei vecchi ordinamenti, costretti
Queste prime Bibbie in latino non ci sono pervenute direttamente, perché a servirsi della forza e ad essere crudeli anche al di là delle loro personali
la Vulgata di Girolamo le soppiantò tutte, ma ne abbiamo numerosi campio­ intenzioni, privi di speranze per il futuro. La produzione di questi A tti copre
ni, grazie alle citazioni degli scrittori cristiani fioriti prima che la Vulgata tutto il III secolo (Atti del martirio di san Cipriano, 258; Atti di Fruttuoso;
divenisse l’unico testo ufficiale. Atti di Marcello; Atti di Massimiliano, 295). Agli A tti scritti originariamente
Per le esigenze dei cristiani di lingua latina, accanto alla Bibbia veni­ in latino si affiancano anche traduzioni dal greco, di testi ritenuti particolar­
vano tradotte anche altre opere che non fanno ora parte del Nuovo Te­ mente adatti ai fini della propaganda antipagana.
stamento, ma che a quei tempi erano considerate assai autorevoli: della let­ Le Passioni Meno legate al resoconto ufficiale sono le Passioni, opere di narrazione,
tera di Clemente e del Pastore abbiamo traduzioni latine che risalgono al sviluppate a partire da nuclei autobiografici più o meno ampi, che consento­
II secolo. no agli autori l’inserzione di scene toccanti e di particolari edificanti. Anche
qui i testi più antichi sono in greco, ma è latino il capolavoro del genere,
La Passio la Passio Perpetuae et Felicitatis, sul martirio di una giovane signora piutto­
Perpetuae et sto agiata e di buona famiglia, l’africana Perpetua, della sua schiava Felicita
Gli Acta martyrum e le Passiones Felicitatis e del loro catechista Sàturo, avvenuto a Cartagine nel 202.
Il testo è presentato, nella prima parte, come opera della stessa Perpe­
tua, che racconta i tentativi del padre per farle rinnegare il cristianesimo
Le prime opere autonome composte direttamente in latino provengono in cambio della libertà promessa dai giudici, o le difficoltà che il carcere
dall’Àfrica e sono della seconda metà del II secolo. C’è qualche dubbio comportava per una giovane madre, che aveva con sé il figlio ancora lattan­
sulla precisa cronologia di alcuni discorsi che ci sono stati tramandati fra te, o i sogni premonitori del futuro martirio e della gioia in paradiso; seguo­
le opere di Cipriano, ma sono certamente più antichi di questo scrittore; no alcune parti composte verosimilmente da Sàturo, il quale racconta alcune
Gli Atti dei nessuna incertezza, invece, sugli Acta martyrum Scillitanorum, del 180, con
martiri Scillitani
sue visioni; l’opera si conclude con la narrazione del martirio nei giochi
cui si apre anche nella produzione in lingua latina un genere già attestato dell’anfiteatro, narrazione fatta da un redattore, a cui va anche attribuito
in greco: i resoconti dei processi che si concludono con la condanna a morte il coordinamento fra le diverse parti di cui questa Passio si compone.
dei martiri e con la loro passione. Tra la fine del II secolo e i primi anni È problema in fondo secondario se il ruolo del redattore vada oltre
del IV si alternarono periodi di tolleranza (in cui si verificavano tu tt’al più la semplice cucitura dei testi di Perpetua e Sàturo, e l’aggiunta della parte
singoli episodi di repressione) e vere e proprie persecuzioni organizzate; non conclusiva: anche se, come qualcuno ha pensato, Perpetua e Sàturo non
mancarono alcuni che, per paura, si pentirono delle loro scelte e accettarono hanno lasciato niente, e dobbiamo tutto alla penna e alla fantasia di quest’u­
di cambiare religione, o almeno di fare i sacrifici formali richiesti in cambio nico autore, che per qualcuno potrebbe anche essere Tertulliano (ma non
dell’assoluzione. Ma la resistenza della maggior parte dei Cristiani e la loro c’è nessun valido motivo per questa attribuzione), la Passio Perpetuae non
determinazione nell’andare incontro alle torture e alla morte furono assai perde nulla dei suoi caratteri di umanità ed immediatezza. La descrizione
utili alla causa, perché testimoniavano la sincerità della fede e l’attendibilità della vita nel carcere, impensabile, in quelle forme, per uno scrittore classi­
della dottrina: di qui il nome di martiri, che in greco vuol dire «testimoni», co, è un’innovazione introdotta dal Cristianesimo in letteratura, e il perso­
dato alle vittime di queste vicende giudiziarie. naggio del fratello di Perpetua, un bambino morto a sette anni per un can­
Per far meglio conoscere il coraggio dei martiri, e al tempo stesso per cro alla faccia, poteva acquistare la rilevanza che ha qui soltanto in una
conservarne e venerarne il ricordo, si curavano resoconti dei loro processi letteratura che fa assurgere a dignità letteraria anche scene di vita quotidia­
e delle loro ultime ore. Le narrazioni venivano a volte redatte dagli stessi na, ma non rinuncia, sul piano della forma espressiva, a quella fucina di
martiri, finché era loro possibile, e completate da altri fedeli per le ultime invenzioni che è la scuola di retorica con le sue controversie e declamazioni.
ore di vita e per la descrizione della morte. Si tratta quasi sempre di opere Altro dato di rilievo della Passio Perpetuae è il fatto che i personaggi
assai efficaci, essenziali, che devono soprattutto alla brevità dell’esposizione additati all’ammirazione dei fedeli non fanno parte della gerarchia ecclesia­
e all’apparente distacco della scrittura la loro capacità di colpire ed emozio­
stica di Cartagine: testimonianza, questa, di un momento in cui la proposi­
nare il lettore.
zione di modelli esemplari non passava ancora necessariamente attraverso
la mediazione dell’autorità ecclesiastica, che ben presto gestirà in proprio
Gli A cta m artyrum Scillitanorum riguardano una vicenda giudiziaria isolata, che vi­ la propaganda dei martiri.
de alcuni Cristiani della cittadina africana di Scillum processati e condannati a m orte Una forma di L’efficacia della Passio Perpetuae, evidente a qualunque lettore moder­
dal proconsole Saturnino, il quale aveva in ogni m odo tentato di convincere gli im­
«letteratura no, che non può non rimanere affascinato dalla semplicità e dal candore
putati a dichiararsi non cristiani, per poterli assolvere, m a si era visto costretto a
condannarli per la fermezza con cui essi avevano ribadito la loro fede. popolare» delle descrizioni — e poco importa se sia genuino, o, come è più probabile,
504 DAI SEVERI A DIOCLEZIANO
GLI APOLOGISTI: TERTULLIANO 505

derivi da un raffinato esercizio retorico — viene confermata dal suo succes­ da esso quanto non sia in stridente contrasto con il messaggio cristiano; dal­
so presso i Cristiani: su di essa furono modellate altre successive Passioni l’altro (con Tertulliano) un atteggiamento di rigorosa intransigenza, che po­
africane composte da gruppi ereticali e se ne fece addirittura una traduzione stula una decisa svolta rispetto al mondo pagano ed ai suoi valori, anche se
greca. È questo un evento molto raro, per quei tempi, in cui il mondo latino tale svolta si esprime in una lingua letteraria che risente comunque degli inse­
cristiano era considerato debitore di quello greco per elaborazioni di pensie­ gnamenti retorici della formazione scolastica (che è comune a pagani e cristiani).
ro e opere letterarie: la Passio Perpetuae è senz’altro uno dei primissimi
e dei pochissimi testi latini che gli orientali ritenessero opportuno conoscere.
In epoca più tarda il genere delle Passioni subì un’evoluzione che lo accostò Tertulliano
progressivamente ad altri componimenti narrativi, soprattutto il romanzo;
nasce così la Passione epica, prevalentemente greca. In essa il martire assu­ Vita Quinto Settimio Fiorente Tertulliano nacque a Cartagine intorno alla metà
me il ruolo dell’eroe vincitore, che, pur morendo, in realtà sconfigge il pro­ del II secolo da genitori pagani; studiò retorica e diritto nelle scuole tradizionali,
prio carnefice, attraverso una serie di vicende fantasiose, di colpi di scena, dove apprese anche il greco, esercitò la professione di avvocato in Africa, e per
un certo periodo anche a Roma, prima del rientro in patria e della conversione,
di veri e propri miracoli. Ma la produzione di questi testi fiorisce dopo Co­
che avvenne soltanto in età piuttosto avanzata, probabilmente verso il 195. Fu
stantino, quando il martirio non è più una realtà o una minaccia incomben­
anche prete, e le sue posizioni religiose si dimostrarono molto rigorose, tanto
te, e per questo i fedeli si compiacciono in rappresentazioni appesantite ed che nel 213 fin) con l’aderire ad una delle sette ereticali più note per l’intransigen­
inverosimili di fatti mai avvenuti: tali narrazioni, intinte di trionfalismo, za e il fanatismo, quella dei Montanisti; negli ultimi anni di vita abbandonò anche
venivano incontro alle esigenze proprie di un pubblico che aveva fino ad questo gruppo, e ne fondò uno nuovo, che si chiamò dei Tertullianisti. Morì dopo
allora trovato una letteratura di intrattenimento nel romanzo greco, con cui il 220, anno a cui risalgono le ultime notizie che abbiamo su di lui.
le Passioni condividono il gusto per l’intreccio e l’attenzione all’elemento
fantastico. Opere Di Tertulliano ci sono pervenuti oltre trenta scritti, a orientamento teologico
e polemico; polemiche contro i pagani e contro i cristiani che non condividevano
le sue tesi. Fra i più notevoli, vanno ricordati YAd martyras, con l’esortazione
ad un gruppo di cristiani incarcerati e in attesa del martirio; I’Ad nationes, ì’Apolo-
geticum e il De testimonio animae, composti tutti e tre nel 197, per difendere
3. Gli apologisti il Cristianesimo dagli attacchi dei pagani; il De praescrìptione haereticorum, del
200 circa, contro i cristiani che contaminano la loro fede con dottrine filosofiche
pagane e propugnano interpretazioni troppo libere del testo biblico; il De anima,
Accanto a queste forme di letteratura a volte popolare, ma non per scritto intorno al 211, forse l’opera più notevole della maturità di Tertulliano, nella
questo meno interessante anche sul piano della resa stilistica, intorno alla quale sono rielaborate ampiamente anche fonti pagane; YAd Scapulam, del 212,
fine del II secolo compaiono anche i primi scrittori latini cristiani sui quali indirizzato al governatore dell’Africa proconsolare che conduceva una campagna
si posseggono informazioni sufficienti perché siano presentati con un’imma­ contro i cristiani. Accanto a queste vanno ricordate opere che affrontano problemi
gine più compiuta. La produzione letteraria che si propone la diffusione morali e di comportamento del cristiano nella vita quotidiana, offrendo pertanto
delle teorie cristiane e la loro difesa dagli attacchi dei pagani va sotto il al lettore anche spunti interessanti sulla società africana tra II e III secolo: De
nome di apologetica, ed apologisti sono comunemente chiamati questi scrit­ spectaculis, contro la partecipazione agli spettacoli del teatro, dell’anfiteatro e
tori che operano tra gli ultimi anni del II secolo ed i primi del IV. Anche del circo; De cultu feminarum, sui vestiti delle donne, che debbono essere parti­
colarmente discreti; De virginibus velandis, sull’opportunità che le donne non esca­
per queste opere c’è da segnalare un più rapido sviluppo nel mondo orienta­
no di casa a volto scoperto; De pudicitia, contro i rapporti sessuali al di fuori
Le Apologie in le, ed un relativo ritardo in quello occidentale: le prime Apologie scritte del matrimonio; De corona, contro il servizio militare, dichiarato incompatibile con
latino a Roma sono opera di Giustino, martire nel 165, ma sono scritte in greco, l’appartenenza alla fede cristiana; De idololatrìa, contro tutte le attività economi­
e ancora in greco sono varie altre opere di poco più tarde scritte con le che che siano in qualche modo connesse con i culti pagani. Altre opere riguarda­
medesime intenzioni in diverse parti dell’impero. I primi a scrivere in latino no argomenti di carattere liturgico e teologico e altre infine sono dedicate a violente
sono Minucio Felice e Tertulliano, ai quali spetta il titolo di primi autori polemiche contro avversari religiosi (Adversus Marcionem, Adversus Praxean, ecc.).
latini cristiani. Quale dei due sia più antico è problema pressoché insolubile:
di Tertulliano conosciamo bene molte vicende, e possiamo ragionevolmente Linguaggio L ’esperienza professionale dell’avvocato, lo spirito battagliero e pronto
ricostruirne la cronologia; tutto più incerto è invece per Minucio Felice, e aggressivo e a trasformare in durissimi attacchi agli avversari ogni opera che nasceva
gli argomenti su cui ci si basa per considerarlo più o meno recente di Tertul­ ideologia da esigenze difensive, il gusto per l’improperio, per la descrizione sgradevole
liano sono prevalentemente soggettivi e reversibili, o interpretabili in manie­ antifemminista e pesante, per uno stile «barocco» e nutrito di efficacissima strumentazione
ra diversa, a seconda delle tesi sostenute dagli studiosi. È comunque impor­ retorica sono caratteristiche comuni a quasi tutti gli scritti di Tertulliano,
tante osservare che fin dagli inizi si manifesta — nelle diverse posizioni as­ a qualunque periodo appartengano. Se ne può ricavare l’impressione di un
sunte da Minucio e Tertulliano — quella che sarà una costante all’interno personaggio arrogante, disposto a sostenere le proprie tesi con qualsiasi tipo
della produzione letteraria cristiana: da un lato (con Minucio) una tendenza di argomentazioni, a volte anche con ragionamenti discutibili e prove chiara­
conciliante, che cerca di non rompere con il passato classico e di recuperare mente false. Questa immagine complessivamente non positiva è aggravata
506 DAI SEVERI A DIOCLEZIANO
GLI a p o l o g is t i: MINUCIO FELICE 507

da alcune posizioni che, fuori del loro contesto, risultano del tutto inaccetta­ Riassunto Il dialogo Octavius si svolge sul lido di Ostia, fra tre personaggi: il pagano Cecilio,
bili, come la pervicace demonizzazione di tutto ciò che è femminile e la del Wctavius il cristiano Ottavio e Minucio stesso. Ottavio rim provera Cecilio per un gesto di
convinzione che la donna sia il più pericoloso strumento di Satana. Simili adorazione ad u na statua del dio Seràpide, e Cecilio propone di esporre le reciproche
pregiudiziali antipatie devono essere però superate, se si vuole capire il ruolo ragioni e di nom inare Minucio giudice della controversia; m a dopo le due orazioni,
quella di Cecilio contro il Cristianesimo e quella di Ottavio a suo favore, non c’è
e la posizione di un personaggio certamente focoso, ma non privo di corag­ bisogno di un giudizio, perché Cecilio ammette di essere stato sconfitto.
gio, trascinato spesso da una violenta carica di rigore e di moralismo. In
ultima analisi Tertulliano appare una figura tragica, che non riesce ad amare Gli argomenti discussi sono quelli che compaiono anche negli altri apo­
l’umanità, che si compiace di immaginare e di descrivere tutte le disgrazie logeti, compreso Tertulliano: il monoteismo è preferibile, anche razional­
che prima o poi capiteranno ai suoi nemici; un uomo che non sa trovare mente, al politeismo; i cristiani non sono colpevoli dei misfatti che vengono
un momento di pace e di tranquillità, almeno in questa vita. loro imputati, anzi spesso sono proprio i loro accusatori ad essere macchiati
La grandezza del Ma accanto a questi limiti ci sono anche la grandezza del teorico e l’acu­ da tali colpe; se i pagani comprendessero le istanze di pace e di amore del
pensatore me del pensatore: tralasciando le questioni più strettamente dottrinali, che Il linguaggio Cristianesimo non lo avverserebbero, anzi si convertirebbero subito. La dif­
qui hanno un rilievo secondario, si pensi all’importanza che ha neìVApolo­ persuasivo della ferenza fra la trattazione impostata da Minucio e quella di Tertulliano, ad
getico la definizione del rapporto giuridico tra religione e stato, impostato ragione esempio nell’Apologetico, non potrebbe però essere più evidente: Minucio
con la chiarezza e la professionalità di un avvocato romano. Sempre nellM- è scrittore fine e delicato, rifugge dalle grossolanità che Tertulliano invece
pologetico, è famosa l’argomentazione dell’anima naturaliter Christiana, che ama; Minucio fonda la sua argomentazione sulla logica e sul ragionamento
tanto successo ebbe nei secoli seguenti: l’anima stessa, se non addottrinata pacato, mentre Tertulliano cerca di emozionare e di colpire i sentimenti.
in senso contrario, dimostrerebbe il primato del monoteismo con le invoca­ Minucio si rivolge ai pagani colti, per convertirli, e cita quindi con abbon­
L'intransigente zioni ad un unico dio nei momenti di difficoltà. La sua incapacità di mediare, danza gli scrittori classici, astenendosi dai riferimenti alla Bibbia; Tertullia­
integralismo il suo intransigente integralismo mettono Tertulliano contro tutto il mondo: no si scaglia contro i pagani per consolidare i cristiani nella loro fede, e
significativo, in particolare, è in questo senso il De idololatrìa, che vede piene tu tt’al più può pensare di conquistare al Cristianesimo le future generazioni,
di paganesimo, e perciò inaccettabili per il buon cristiano, quasi tutte le attivi­ che non si siano ancora macchiate del peccato di idolatria. In conclusione,
tà quotidiane. È il problema del rapporto che l’oppositore di un regime, di se Tertulliano colpisce il lettore per il suo gusto dell’esasperazione, Minucio
uno stato di fatto, deve avere con la realtà che lo circonda: fino a che punto Felice appare al contrario un modello di equilibrio e di buon senso.
possono spingersi la contrapposizione e il rifiuto senza divenire fanatica ri­ Questa differenza ha spesso comportato per Minucio accuse di debolez­
nuncia ed esasperato isolamento, che in definitiva privano anche della possibi­ za e di incapacità, di incertezza nella fede, di prevalenza degli interessi lette­
lità di intervenire per modificare una situazione che si ritiene ingiusta? rari su quelli religiosi; ma chi abbia sufficiente sensibilità per cogliere le
Espressività di Anche per le sue qualità di scrittore Tertulliano ha diritto ad un posto sfumature ed i mezzi toni, e sufficiente buon gusto per apprezzare un’opera
uno stile acre di rilievo nel quadro, complessivamente piuttosto povero, della sua età. As­ che rifiuta programmaticamente ogni scadimento di livello, ogni concessione al
sai personale è l’impasto di parole tecniche del gergo avvocatizio e di termini Equilibrio e patetico, dovrà apprezzare la serenità e la dignità della discussione. Ciò non
dall’indiscussa dignità letteraria, piena la padronanza su un periodo voluta- classica eleganza toglie, certo, che molta attenzione sia anche riservata all’aspetto letterario: Cice­
mente irregolare, spezzato, con interrogazioni ed esclamazioni che interrom­ rone è un modello sempre presente nella costruzione del periodo. Alcune scene
pono frequentemente l’andamento del discorso, con brevi battute ad effetto, della cornice che inquadra il dialogo sono pezzi di bravura giustamente apprez­
con metafore spinte all’estremo proprie di una fantasia visionaria e allucina­ zati, come la famosa descrizione dei ragazzi che giocano sulla spiaggia facendo
ta. Il suo successo nella cultura africana è confermato dalla sopravvivenza rimbalzare sull’acqua dei sassi piatti, la passeggiata sull’estremo lembo di sab­
dei Tertullianisti ancora all’epoca di Agostino, e dal fatto che molti dei suoi bia bagnato dalle onde, la sosta sulla scogliera, dove i protagonisti si siedono
temi preferiti ritornano con insistenza nella letteratura cristiana dei primi a parlare nella fresca mattina d’autunno, la conclusione con i tre amici che
secoli; non piccolo merito di Tertulliano è anche quello di aver ampiamente si salutano contenti della bella discussione, e felici di aver appianato le divergenze.
contribuito a creare una nuova lingua cristiana, capace:di esprimere a livello Continuità della Col suo tono sereno e al tempo stesso malinconico, con la sua composta
letterario i dogmi di fede e la problematica della prassi quotidiana del credente. tradizione razionalità, Y Octavius segna la fine del mondo classico e il passaggio al
«dialogica» e Cristianesimo sulla linea della continuità, non della rottura, come auspicava
moderatismo Tertulliano. È il Cristianesimo dei ceti dirigenti, i quali non vogliono che
Minucio Felice
il cambiamento di religione sia accompagnato da sommovimenti sociali, e
Vita e opere Anche lui avvocato ed africano (era nato probabilmente a Cirta, la patria sono convinti che debbano comunque sopravvivere la finezza e l’equilibrio
di Frontone), Marco Minucio Felice esercitava la sua attività a Roma, dove gode­ costruiti da secoli di civiltà greco-latina; nel progetto di Minucio non c’è
va di condizioni di buona agiatezza economica. Contemporaneo di Tertulliano, spazio per le «stranezze» giudaiche e per gli estremismi dei cristiani radicali.
secondo alcuni scrisse qualche anno prima di lui, sul finire del II secolo, secondo Non si può negare che il suo Cristianesimo sia autentico e sincero, ma certa­
altri invece la sua opera va collocata nei primi decenni del III secolo, fra la produ­ mente nulla ha della carica rivoluzionaria che ne aveva facilitato la diffusio­
zione di Tertulliano e quella di Cipriano. Oltre al dialogo Octavius, che ci ha ne fra i ceti subalterni, e che per alcuni intellettuali — Tertulliano è uno
lasciato, Minucio avrebbe scritto un De fato che non ci è pervenuto. di loro — costituiva ancora il fascino principale della nuova religione.
508 DAI SEVERI A DIOCLEZIANO CIPRIANO E COMMODIANO 509

Cipriano al quale il papa si arrogava u n ’autorità superiore a quella di tutti gli altri vescovi.
Cipriano seppe tessere con grande abilità una fitta rete di alleanze, che comprendeva
molti vescovi orientali, per arginare quella che allora era avvertita come u n ’illecita
Vita Tascio Cecilio Cipriano nacque intorno al 200 a Cartagine, si formò nelle invadenza del papa; m a la persecuzione di Valeriano e la m orte interruppero questa
scuole di quella città, fu rinomato maestro di retorica fino al 246, quando si con­ sua iniziativa.
vertì e donò tutti i suoi beni ai poveri. Eletto vescovo alla fine del 248, dovette
affrontare la durissima persecuzione decretata dall’imperatore Decio nel 250, du­ Uno stile classico Le sue caratteristiche di scrittore si allontanano molto da quelle dell’a­
rante la quale dimostrò grande coraggio e seppe evitare alla comunità cristiana mato Tertulliano: Cipriano ha un sicuro possesso delle tecniche della prosa
lutti ancora più gravi; non sfuggi, invece, alla persecuzione di Valeriano nel 257-
classica, nella quale inserisce citazioni bibliche senza alterare l’elegante co­
258, quando fu processato e condannato aN’esilio, poi richiamato per un secondo
struzione della frase e la solennità grandiosa del periodare; lontano dalle
processo, che si concluse con la condanna a morte e il martirio, il 14 settembre
del 258. provocazioni e dagli eccessi di Tertulliano, ma meno sfumato e labile di
Minucio, ha fornito il modello principale ai grandi prosatori cristiani del
secolo successivo. Una Vita C yp ria n i è stata scritta dal diacono Ponzio, che
Opere Vari gli scritti di carattere apologetico, come ì’Ad Donatum, sulla propria con­
lo conobbe personalmente: è il primo esempio latino di quelle biografie di
versione (alcuni toni autobiografici hanno fatto vedere in quest’opera un «prece­
dente» alle Confessioni di Agostino), e I’Ad Demetrianum, sulle colpe dei pagani vescovi e di santi che diverranno molto numerose nei secoli successivi.
e le punizioni divine, o il Quod idòla dii non sint, della cui autenticità alcuni dubi­
tano. Altri trattati affrontano questioni connesse con la guida della diocesi di Car­
tagine, come il De lapsis, sulla questione dell’atteggiamento da tenere nei riguar­
A ltri apologisti
di di quei cristiani che avevano rinnegato la fede durante le persecuzioni, ma
Tertulliano, M inucio Felice e Cipriano sono i tre principali scrittori di questo secolo,
si erano poi pentiti e volevano rientrare riella comunità ecclesiastica; il De catholi-
m a accanto ad essi fiorirono molti altri apologisti, a noi più o meno noti, e la pole­
cae ecclesiae unitate, ferma presa di posizione contro tutte le eresie e gli scismi,
mica fra le diverse sette del Cristianesimo diede vita ad una vasta letteratura di argo­
che Cipriano considera una sciagura maggiore delle stesse persecuzioni contro mento teologico e dottrinale, che qui non può essere trattata in m aniera esaustiva
i Cristiani (l’opera fu inviata a Roma e utilizzata come la più compiuta teorizzazio­ Novaziano e neppure accennata con sufficiente ampiezza. Basterà ricordare N ovaziano, un prete
ne del primato papale, minacciato in quel periodo dallo scisma di Novaziano: di Roma, che nella questione dei lapsi si schierò contro Cipriano. Q uando, dopo
cfr. più avanti); il De habitu virginum, sui comportamenti che debbono tenere più di un anno di sede vacante, nel 251 fu eletto papa Cornelio, il quale sul problem a
le donne che abbiano fatto voto dì consacrarsi a Dio. Molto importante è anche dei lapsi condivideva le posizioni di Cipriano, N ovaziano, postosi a capo del partito
('Epistolario, che comprende 81 lettere, 65 di Cipriano e 16 a lui inviate; da esso rigorista, si lasciò eleggere a sua volta papa dai propri seguaci, dando vita ad u n ’ere­
possiamo dedurre precise informazioni sulle condizioni di vita nell’Africa procon­ sia che durerà più di un secolo. L a sua opera principale è un D e Trinitate (un titolo
che avrà m olta fortuna nella letteratura successiva), oltre ad un D e spectaculis e
solare alla metà del III secolo e sui problemi che le persecuzioni creavano alle
un D e bono pudicitiae chiaram ente ispirati a Tertulliano.
comunità cristiane. V ittorino di Poetovium (oggi Ptuj in Slovenia) è un altro ecclesiastico che ci ha
Vittorino di
Poetavi urti lasciato opere in latino; morì m artire nel 304, vittim a della persecuzione scatenata
L’equilibrio di Cipriano fu un grande estimatore di Tertulliano, che apprezzava per la se­ d a Diocleziano. Scrisse molti commenti biblici, sui quali ci inform a Girolam o; di
Cipriano verità delle dottrine: in varie opere riprese argomenti e perfino titoli che erano essi abbiam o soltanto un commento all 'Apocalisse, la più antica opera di esegesi
biblica in lingua latina che ci sia giunta.
già stati impiegati dal suo più anziano conterraneo ma, a differenza di Tertul­
liano, non si lasciò mai prendere la mano dal gusto dell’estremismo. La sua
funzione di vescovo e gli obblighi che tale investitura gli imponeva nei riguardi
di tutti i fedeli, un innato, ammirevole equilibrio, una notevole dose di buon 4. Commodiano
senso gli consentirono sempre le scelte più ragionevoli: così, dopo la persecu­
zione di Decio, decise di riaccogliere nella Chiesa i rinnegati (lapsi) pentiti, no­
nostante l’opposizione di quanti avevano rischiato il martirio per non abiurare, Vita Le notizie sono talmente incerte che alcuni studiosi lo collocano addirittura
nel V secolo, ma sembra più probabile una datazione alla metà del III secolo, quan­
ma impose severe penitenze per chi voleva meritare di essere riammesso alla
do scoppiarono le persecuzioni di Decio e di Valeriano, alle quali fanno forse riferi­
comunione. Questo atteggiamento non va confuso col lassismo o il permissivi­ mento alcuni suoi versi. Da un altro suo passo si ricava che era originario di Gaza
smo: Cipriano dimostrò pochi anni dopo, col suo stesso martirio, di non essere in Palestina, da dove però doveva essere partito per recarsi in Occidente, probabil­
disposto a cedimenti, e un’analoga fermezza seppe dimostrare in occasione di mente in Africa, come dimostrerebbero le somiglianze di contenuto con le opere
uno scontro con il vescovo di Roma, Stefano. dei contemporanei apologisti africani e le particolarità metriche, che compaiono
piuttosto simili in molte iscrizioni africane del lll-IV secolo. Ma anche su questi
L’urto col papa La questione riguardava il battesimo im partito dagli eretici: per gli A fricani esso punti gli studiosi sono in disaccordo, e c’è chi esclude la sua origine orientale,
non era valido e, a parer loro, bisognava ribattezzare tutti quanti avessero ricevuto e chi pensa che la sua attività si sia svolta nella Gallia meridionale, o anche a Roma.
il sacramento da preti che si trovassero fuori della Chiesa; per il papa, invece, quel
battesimo era valido purché fosse avvenuto secondo le form e previste dal rito, e
non poteva essere rinnovato. N ato da un problem a di prassi pastorale, il conflitto Opere Instructiones in due libri, per complessivi 80 componimenti in esametri, di
investiva però la ben più grossa questione dell’autonom ia delle singole sedi vescovili varia lunghezza, da un minimo di 6 ad un massimo di 48 versi. Il primo libro
rispetto a quella di Roma, che si appellava al cosiddetto prim ato di Pietro, in base comprende i carmi contro i pagani e quelli contro gli ebrei; il secondo le composi­
510 DAI SEVERI A DIOCLEZIANO
GLI ULTIMI PRODOTTI DELLA POETICA DEI NOVELLI 511

zioni per i Cristiani, rimproverati per i loro peccati ed esortati ad una vita più to degli accenti tonici delle parole, non l’alternanza quantitativa, a garantire
devota. I carmi sono degli acrostici: le prime lettere dei singoli versi, lette tutte
il ritmo dell’insieme. In questo senso Commodiano anticipa l’evoluzione che
di seguito, formano il titolo del carme stesso, come ad esempio De infantibus,
con il primo verso che comincia per d, il secondo per e, il terzo per /', il quarto
dalla metrica quantitativa porterà alla poesia accentuativa propria delle lin­
per n e così via. gue romanze.
Carmen apologeticum, in 1060 esametri, il cui vero titolo era probabilmente Questa novità si mescola con un lessico elementare e ripetitivo, con una
Carmen adversus ludaeos et Graecos, o Carmen de duobus populis: l’opera è sintassi semplificata ai limiti del possibile, con una logica sommaria e a- volte
tramandata senza indicazione dell’autore, ma l’attribuzione a Commodiano è or­ assurda nella sua partigianeria. Ne risulta, come dicevamo, l’immagine di
mai ritenuta indiscutibile. Argomento del carme è la storia del mondo, quella del- una figura atipica e stimolante: uno scrittore che non ignora completamente
l’Antico Testamento e quella di Roma, vista come scontro fra Dio e il diavolo, i classici e le tradizioni, ma li riprende in forme banalmente scolastiche o
fino alla distruzione dell’impero, all’apocalisse e al giudizio universale. estremamente modificate, involgarite, popolareggianti; un poeta che si pre­
senta come portavoce degli emarginati, con tutte le loro spinte irrazionali,
Ingenuità emotive Fra tanti scrittori in prosa il Cristianesimo delle origini produce un solo violente, ma anche con una sete di giustizia confortata dalla promessa divi­
e dottrinarie ma significativo poeta, Commodiano. Egli è per molti aspetti un poeta stra­ na; un polemista che alterna le piccole meschinità dell’invettiva personale
no, una voce anomala nel panorama della poesia latina: è interessato alle contro l’avversario a vasti affreschi cosmici sul ritorno del Cristo e il fuoco che
fasce meno alte della società, e nelle sue opere rappresenta le credenze e brucerà i malvagi, risparmiando i pochi onesti che ci sono a questo mondo.
le aspirazioni dèi diseredati, le loro passioni forti e senza sfumature, avva­
lendosi di un latino che risente degli sviluppi del parlato e di una metrica
priva ormai di continuità con quella dei classici. Anche nel campo della
dottrina cristiana le sue conoscenze sono piuttosto approssimative e grosso­ 5. Gli ultimi prodotti della poetica dei novelli
lane, lontane dalle ricche elaborazioni degli apologisti occidentali e dalle raf­
finate elucubrazioni di quelli orientali: non si spiega bene il ruolo dello Spi­ Una società poco La poesia di ispirazione tradizionale dà in complesso un’impressione di
rito Santo, pensa che gli dei pagani siano figli degli angeli e di donne morta­ interessata alla stanchezza. Si tratta per lo più di componimenti che rielaborano temi e argo­
li, è convinto che la fine del mondo sarà preceduta da un’età felice sulla poesia menti della poesia classica, con una marcata tendenza a ricercare atmosfere
terra: saranno rovesciati gli stati che si fondano sulPingiustizia e sullo sfrut­ rarefatte e funambolismi tecnici secondo il gusto che era stato proprio dei
tamento dei deboli, e verrà un regno terreno di Dio, in cui i poveri, i derelit­ poeti del secolo precedente, i novelli dell’età antoniniana. Anche quantitativa­
ti, i maltrattati vedranno esaudite le loro speranze e riconosciuti i loro dirit­ mente la produzione che ci è pervenuta non appare rilevante: pochi scrittori,
L’attesa ti. Questa speranza, cosiddetta millenaristica, che credeva in un concreto poche opere, non molti versi, tanto che non è difficile dedurre da questi dati
«millenaristica» cambiamento delle condizioni di vita sulla terra, prima e più che nelle ricom­ una complessiva riduzione di interesse per la poesia nella società di questo
pense celesti del paradiso, era assai diffusa nel Cristianesimo degli ambienti periodo. Bisogna d’altra parte aver presente che i Cristiani (dai quali erano
più umili é rispondeva a precise esigenze sociali. venute le maggiori novità sul piano della produzione letteraria in prosa) non
Se come teorico Commodiano è quantomeno confuso, anche come pole­ si dedicano invece alla poesia (Commodiano, se davvero visse nel III secolo,
mista mostra qualche limite. Ha l’irruenza e la forza di un Tertulliano, e sarebbe l’unica eccezione): la forma poetica non viene ritenuta adatta alle
come lui è capace di trovare improperi popolari e pesanti per i pagani e esigenze di confutazione degli avversari e divulgazione del messaggio divino,
per i giudei, ma gli manca la fantasia e la capacità retorica dell’avvocato esigenze che sono primarie in tutto il periodo delle persecuzioni.
cartaginese: le ripetizioni sono piuttosto frequenti, le volgarità scontate e
poco efficaci. I tratti più incisivi sono il rigoroso moralismo, la profonda
Generi letterari e poeti ife/Z’Anthologia Latina
convinzione di essere dalla parte giusta, lo scontro con le morenti istituzioni
classiche. L ’ardore con cui sono presentate le visioni apocalittiche, e le spe­ Molte delle composizioni che si è soliti assegnare a questo periodo sono
Un profeta ranze rivoluzionarie in esse riposte, fa sì che Commodiano sia stato definito state conservate dall’Anthològia Latina. Prende questo titolo una vasta rac­
furente l’ultimo dei profeti; l’unico che si sia espresso in lingua latina. Riconoscere colta di carmi, messa insieme in Africa nel VI secolo, che contiene prevalen­
fino a che punto Fautore si faccia convinto portavoce di istanze popolari e quanto temente scritti di poeti africani della tarda antichità, ma non trascura anche
invece egli conceda ad un atteggiamento demagogico è cosa senz’altro difficile; testi di epoche più antiche, soprattutto se attribuiti ad autori di grande fama
e in questo senso, la lettura di Commodiano lascia sempre incerti e sconcertati: (è il caso di alcuni epigrammi che vanno sotto il nome di Seneca o sotto
ci si domanda se uno scrittore, comunque un uomo di cultura, potesse condivi­ Una raccolta quello di Petronio). L ’antologia rimanda ad ambienti scolastici, dove quei
dere certi livelli di primitivismo, o se egli non avesse invece fatto proprie certe d ’origine versi potevano essere sopravvissuti anche dopo le invasioni barbariche, ed
rivendicazioni a scopo di provocazione letteraria, religiosa e politica. scolastica ha il merito di tramandarci opere ed autori che altrimenti sarebbero andati
Metrica ritmico- Il verso di Commodiano colpisce per la sua anomala prosodia, comple­ irrimediabilmente perduti. Una copia, in un antico codice ora conservato
accentuativa e tamente diversa da quella classica. L’esametro non è più una successione
volgarismi
a Parigi, fu in possesso dell’umanista francese Claude de Saumaise (o, in
regolare di sillabe brevi e sillabe lunghe, ma una riga composta di un certo latino, Salmasius, 1588-1653): di qui il nome di codex Salmasianus per que­
sintattico-iessicaii
numero di sillabe (non più di diciassette e non meno di dodici); è l’andamen­ sto fondamentale testimonio dell’Anthològia Latina.
512 DAI SEVERI A DIOCLEZIANO
I POETI DELL’ANTHOLOGIA LA T IN A - TERENZIANO MAURO 513

Naturalmente non sempre è facile datare le varie poesie raccolte nel- come quella del bosco in cui avviene l’incontro fra Venere e M arte e del prato su
cui i due si am ano; tornano ancora una volta temi e toni cari alla poesia di Pentadio
I’Anthològia; ci mancano spesso raffronti di qualsiasi genere e i nomi degli e dell’autore del Pervigilium Veneris, cioè il senso cosmico dell’am ore, il rapporto
autori sono altrimenti sconosciuti, ma in qualche caso sono state avanzate fra am ore e rifiorire della natura, l’eleganza form ale, la sottile erudizione. La plasti­
delle ipotesi cronologiche sufficientemente convincenti. ca raffigurazione della coppia ha fatto pensare alle rappresentazioni di mimi, spesso
di argomento erotico, di cui abbiam o varie attestazioni in tu tta l’età imperiale.
Pentadio Del III secolo è probabilm ente Pentadio, un elegante scrittore di distici ecòici: si Vespa e le Di argom ento diverso è il Iudicium coci et pistoris indice Vulcano, scritto da Vespa.
chiamano così quei distici in cui la prim a parte dell’esametro è uguale all’ultima controversiae Ci troviam o qui dinanzi ad un divertente esempio di poesia satirica, con un cuoco
parte del pentam etro, come Sentio, fu g it hiems, Zephyrisque m oventibus orbem / e un fornaio-pasticciere che disputano sulla superiorità dei loro mestieri.
iam tepet Eurus aquìs; sentio, fu g it hiems. La difficoltà tecnica non sembra creare Le rispettive tesi vengono sostenute con sottili argom entazioni mitologiche e filosofi-
particolari problem i allo scrittore, che sa tracciare con garbo i suoi quadretti di m a­ che, m a anche con il riferim ento a succulenti piatti e a squisiti dolci, in un gioco
niera, raffinati e piacevoli, pieni di erudizione e di reminiscenze classiche greche che dim ostra la grande com petenza di Vespa nel cam po delle controversiae (le dispu­
e latine, sul tem a della prim avera e della rinascita del m ondo o su argomenti m itolo­ te retoriche su un tema, con gli oratori che difendevano le due posizioni opposte:
gici. Secondo alcuni, potrebbe essere identificato con il Pentadius fra ter a cui L at­ vedi anche p. 340 seg.): Vespa stesso, del resto, ci inform a della sua attività di confe­
tanzio dedicò, nel 314, YEpitom e che riassumeva e rielaborava le sue Divinae institù- renziere che lo portava in giro per le varie città in cerca di spettatori paganti, a
tiones (cfr. p. 537). qualsiasi categoria appartenessero. Irridendo piacevolmente il proprio mestiere e il
proprio destino, il poeta in un centinaio di esametri fa vedere la futilità di certe
dispute-spettacolo, che pure erano probabilm ente la sua unica fonte di sostentamen­
II Pervigilium Veneris to. Dopo che i due contendenti hanno am piam ente difeso se stessi e le proprie arti,
Vulcano è chiamato a pronunciare la sentenza, e proclam a un verdetto pari, m inac­
ciando i due di far mancare il fuoco ai loro fornelli se non si riappacificheranno.
Il tema della natura, così presente nei versi di Pentadio, è del resto Osidìo Geta e i U n altro genere am piam ente rappresentato nell 'A nthològia Latina è quello del cento­
una costante di molte delle composizioni che fanno parte dell’Anthològia, centoni ne. Si tratta di un a composizione messa insieme utilizzando interi versi o mezzi versi
dai numerosi carmi sulle rose a quello che è forse il più famoso tra i pezzi tratti da illustri modelli classici (in am bito latino quasi sempre le opere di Virgilio)
e ricucendoli insieme in modo che il significato originale dei versi desunti risulti
della raccolta, l’anonimo Pervigilium Veneris. I problemi di datazione non
del tu tto m odificato. Il nome cento deriva da un tipo di coperta fatta con varie
mancano anche per questa fresca poesia (93 tetrametri trocaici), che alcuni pezze riunite le une alle altre e per m etafora si estende a questo tipo di versificazione
assegnano all’età degli Antonini, per talune coincidenze di stile con il gusto di cui parla già Tertulliano, e che è presente in tu tta la tard a latinità.
proprio dei poetae novelli (in tal caso, si è proposta un’attribuzione a Flo­ F ra tutti gli scrittori di centoni ricordati nell ’A nthològia quello a noi più noto è
ro), altri invece vogliono collocare in epoca più tarda, al III, al IV, al V Osidio Geta, autore di una M edea, che sarebbe stata scritta negli ultimi anni del
II secolo o nei primi del III; conterraneo di Tertulliano, che lo cita nel D e praescrip-
0 addirittura al VI secolo. tione haereticorum come suo contemporaneo, questo poeta africano ripropone l’argo­
Temi popolari ed In questa «Veglia di Venere» temi popolari ed erudizione letteraria si mento della M edea di Seneca usando esametri virgiliani per le parti parlate e mezzi esa­
erudizione mescolano in strofe di diversa lunghezza, separate dal ritornello Cras amet metri per i cori: la seconda parte dell’esametro, dopo la cesura semiquinaria, può infat­
letteraria nel qui numquam amavit, quìque amavit cras amet. Si descrivono le celebrazio­ ti suggerire l’andam ento anapestico che caratterizzava i cori della tragedia di Seneca.
Pervigilium Altri Accanto a queste e alle altre composizioni conservate dal codice Salmasiano, e a
ni di Venere per festeggiare la primavera secondo le consuetudini di Ibla,
Venerìs componimenti poche altre poesie che ci sono pervenute in altri m anoscritti, e sono state riportate
in Sicilia. La dea, che simboleggia l’amore, è anche la principale forza della anch’esse sotto la denom inazione di A nthològia Latina dal più noto editore di questi
óeW'Anthològia
natura, invocata per fecondare i campi, in un contesto in cui convivono Latina carmi, il Riese, vanno ricordati alcuni carmi di maggiore estensione (e forse di mag­
descrizioni sensuali e leggende sull’origine di Roma, mitologia e agricoltura. giore rilevanza), che appartengono al genere della poesia didascalica e intendono
Esemplare unico per il suo genere nella letteratura latina, il Pervigilium fornire am m aestram enti nei più diversi campi dello scibile, dalla metrica alla medici­
na, dall’etica alla caccia. U n ’altra fonte di conoscenza per la cultura letteraria di
Veneris riprende nel metro la forma delle acclamazioni che i soldati e il quest’epoca sono varie composizioni epigrafiche in versi, soprattutto iscrizioni tom ­
popolo usavano gridare durante i trionfi dei loro generali vincitori. Nono­ bali, in gran parte edite dal Buecheler in u n ’altra sezione dell’Anthològia.
stante che il lessico sia in larga misura classico, si possono riconoscere nella
sintassi alcuni tratti della lingua popolare; ma soprattutto la ricercata sem­
plicità dell’espressione e il nitore delle descrizioni danno al carme movenze Terenziano M auro
di straordinaria freschezza: l’apparente spontaneità aggiunge eleganza.
Di lettura tu tt’altro che piacevole, per l’estrema aridità dell’argomento,
Gli altri poeti cfe//’Anthologia Latina ma assai importante ai fini della conoscenza delle tecniche poetiche di que­
sto periodo, è l’opera grammaticale e metrica, in versi, di Terenziano Mau­
ro. Si ritiene che sia vissuto negli ultimi anni del II secolo, ma alcuni lo
Reposiano e il A ncora dall’A nthològia Latina ci è stato conservato un poem etto in esametri di Re­
manieriesmo posiano, intitolato D e concubitu M artis et Veneris-, anche in questo caso l’assegna­ considerano più tardo di circa un secolo; era un esperto di grammatica,
descrittivo zione al III secolo è forse la più diffusa, m a è tu tt’altro che sicura, e altri hanno ma anche un abile teorico della poetica dei novelli, capace di giocare abil­
pensato al IV o al V. L ’argom ento è tratto dal noto episodio omerico dell’VIII mente con le diverse strutture metriche.
libro dell O dissea che vede protagonisti Marte, Venere e il marito di lei, Vulcano: que­ Di lui ci sono rimaste tre opere, tramandate in un unico volume, ma
sti, avendo saputo del tradim ento, prepara una straordinaria catena, con la quale lega in realtà abbastanza chiaramente distinte l’una dall’altra: un breve De litte-
1 due am anti m entre sono addorm entati, dopo l’accoppiam ento, e li espone alla deri­
sione degli altri dei. Su questa traccia si innestano eleganti descrizioni di m aniera, ris, un De syllabis, un più lungo De metris, che ci è giunto incompleto.
514 DAI SEVERI A DIOCLEZIANO NEMESIANO E LA POESIA DIDASCALICA 515

Questi trattati, secondo la prefazione, sarebbero stati composti in tarda età, m are di essere un erudito am ante della lettura, non un empirico. Le cure suggerite
forse alla fine di una lunga attività di insegnante, per fissare definitivamente riguardano varie m alattie, indicate in ordine dalla testa verso i piedi, e non m ancano
una serie di precetti. Nel De litteris si descrivono suoni e segni delle vocali rimedi contro i capelli bianchi, contro i porri e contro le em orroidi. A ccanto a medi­
cine tratte da essenze naturali, Sereno propone anche form ule e oggetti magici, come
e delle consonanti, ma non manca una parte sul valore numerico delle lettere i foglietti con la scritta abracadabra-, sembra preoccuparsi inoltre di fornire medica­
e sulle loro possibilità mistico-magiche in alcune formule particolari. Il De menti per tutti i pazienti, e non soltanto per quelli ricchi, perché insiste sulla diffe­
syllabis esamina vocali e dittonghi, e poi questioni prosodiche sulla quantità renza fra le sue ricette, che anche i poveri possono permettersi, e quelle di certi
delle varie sillabe nella versificazione esametrica. La teoria metrica di Teren- medici che fanno spendere immense ricchezze a benestanti creduloni.
ziano, quale è esposta nel De metris, appartiene alla scuola «derivazionista»
che si rifaceva a Cesio Basso e, prima ancora, a Varrone. Secondo questa
Nemesiano e la poesia didascalica
tesi tutti i metri greci e latini non sarebbero altro che modificazioni di due
strutture metriche fondamentali, l’esametro e il trimetro giambico, i quali
Vita Marco Aurelio Olimpio Nemesiano era africano, probabilmente di Cartagine;
avrebbero dato vita agli altri versi per mezzo di aggiunte, sottrazioni e modi­ visse nella seconda metà del III secolo, come dimostra la dedica della sua opera
ficazioni di sillabe; un ruolo importante in questo sistema è anche riservato principale agli imperatori Carino e Numeriano (283-284).
al falecio, il verso caratteristico di Catullo. Il trattato di Terenziano non
si limita ad esporre la teoria, ma fornisce sempre degli esempi pratici e per Opere Lo scritto di maggior respiro erano i Cynegètica, sulle tecniche della caccia;
alcuni metri è l’unica testimonianza di cui disponiamo. ce ne sono pervenuti soltanto 325 esametri, perché il resto dell’opera si è perduto
per un guasto del codice che l’ha tramandata. Va datata al 283-284, per la dedica
agli imperatori in carica in quel periodo, e si apre con un lungo proemio che
Saggezza e medicina in versi appartiene al genere della recusatio: il poeta dichiara di non volere e di non
sapere scrivere altri generi di poesia. Di Nemesiano abbiamo anche quattro Eglo­
I Distiche Catonis ghe, costruite sul modello delle Bucoliche virgiliane e dei loro imitatori. Sono
M olto famosi durante il Medioevo per il loro carattere di piccoli condensati di sag­
gezza, facili a ricordarsi e adatti alla citazione, furono i cosiddetti Disticha Catonis. andate invece perdute altre opere sulla pesca e sulla navigazione, dì cui conser­
Si tratta di una raccolta di massime, ognuna di due esametri, che occupa ben quattro viamo soltanto notizia.
libri e fu messa insieme tra la fine del II e l’inizio del IV secolo; il nome di Catone
il Vecchio, presunto autore delle sentenze, fu scelto per vari motivi: si associava
all’immagine di un uom o saggio e integerrimo, celebre m oralista, e richiamava l’esi­ La tradizione della poesia didascalica che aveva per argomento la caccia
stenza di u n ’opera catoniana genuina, un Carmen de moribus. Per rendere più credi­ poteva contare a Roma su un precedente di un certo rilievo, quello di Grat-
bile la paternità catoniana dei versi si inventò anche una dedica al figlio (alcune tio Falisco (cfr. p. 357), autore anche lui di Cynegetica; e proprio con Grattio
opere di Catone erano infatti dedicate al figlio M arco) e si aggiunse alla raccolta (e con gli Halieutica attribuiti ad Ovidio) il testo di Nemesiano era unito nel
una lettera, indirizzata appunto al figlio, nonché una serie di massime in prosa,
codice ritrovato dal Sannazaro, quello che noi possediamo. Ma il genere cine­
form ate ognuna di poche parole. I distici sono costruiti sulla base della tipica saggez­
za popolare rom ana, m a con riferimenti anche alla tradizione letteraria e ai modelli getico aveva riscosso e continuava a riscuotere in quegli anni un buon successo
arcaici, così.come erano stati ideologicamente rappresentati dagli scrittori nostalgici anche in lingua greca, come dimostrano varie opere in prosa o in versi.
del buon tempo antico. È stato notato, e m erita di essere ricordato, che questo invito Per quanto è possibile giudicare dai non molti esametri che ci sono pervenu­
a tenere presenti le «virtù» dei progenitori e le «qualità» che avevano resi grandi ti, l’intento didascalico serve spesso da giustificazione per eleganti descrizio­
Rom a e il Lazio nasce proprio negli anni in cui, con l’editto di Caracalla, la cittadi­
nanza rom ana viene estesa a tutti gli abitanti liberi dell’im pero, e giunge a compi­
Estetizzazione ni di paesaggi, tagliate per lo più secondo il gusto virgiliano. La caccia è
mento quella tendenza all’allargam ento dei diritti che tanto aveva scandalizzato i della caccia vista come attività che porta l’uomo a costante contatto con la natura, lo
moralisti dei secoli precedenti, ad esempio Giovenale. Q uanto ai campi su cui i D isti­ libera dall’ambiente urbano, avvertito come innaturale e nocivo, e gli con­
cha forniscono i loro precetti, si tratta prevalentemente delle piccole cose di tutti sente di aggirarsi per i campi e i boschi. Il cacciatore è un nobile e ricco
i giorni, il com portam ento da tenere con gli amici, con i vicini, con le donne (e signore in cerca di emozioni e di distrazioni, che vuole gustare l’avventura
qui la misoginia che concordemente le fonti attribuivano a Catone consente al com ­
pilatore di sbizzarrirsi in molteplici variazioni sul tem a della moglie molesta). Sono e recuperare attraverso essa anche una dimensione letteraria dell’ambiente.
rari i distici in cui si affrontino questioni più complesse, come il rapporto fra l’uom o Difatti, la realtà agricola in molte zone dell’impero era cambiata in peggio
e la divinità, l’uom o e la m orte; soprattutto m anca un im pianto teorico che possa rispetto alle condizioni del II secolo, e la scelta di presentare i paesaggi alla
coerentemente riferirsi ad una precisa linea filosofica. maniera virgiliana assolve al compito di nascondere questo degrado nel no­
Sereno Di salute, m alattie e rimedi si interessava invece Q uinto Sereno Sammònico, im por­
tante personaggio che visse alla corte dei Severi'e dei G ordiani. G ià suo padre era
me di un modello poetico di indiscussa autorità, che consente anche di isti­
Sammonico
stato scrittore ai tempi di Settimio Severo (193-211), e di lui si ricordano dei Rerum tuire un confortante anche se non realistico parallelo fra l’età presente e
reconditarum libri; Q uinto fu invece in rapporto con Severo Alessandro (222-235) quella di Augusto.
e poi con G ordiano I, che lo volle precettore del figlio, G ordiano II (238). Possedeva Le egloghe di Ancora al modello virgiliano sono strettamente legate le quattro eglo­
una ricchissima biblioteca, che contava ben 62.000 volumi, e sulle sue molte letture, Nemesiano ghe, che risentono anche di influssi di Calpurnio Siculo: esse anzi costituiro­
più che su una concreta esperienza di medico, fondava le proposte di cure elencate
nella sessantina di ricette che com pongono il suo Liber medicinalis, in più di 1.100 no a lungo un unico corpus insieme con le composizioni del poeta di età
esametri. La fonte principale è Plinio il Vecchio, m a sono presenti altri modelli, neroniana (questa almeno è la datazione prevalente, cfr. p. 365, ma non
come quello di Dioscòride. Sereno am a anche arricchire le sue ricette con citazioni mancano proposte di datare Calpurnio a un’epoca molto più vicina a quella
letterarie da P lauto, Lucrezio, Orazio e altri scrittori greci e latini, quasi per confer­ di Nemesiano).
I GIURISTI E CENSORINO 517
516 DAI SEVERI A DIOCLEZIANO

Se i modelli sono assai presenti, sia nella struttura complessiva dei singoli com poni­ I giuristi: Papiniano, Ulpiano, ecc.
menti, sia in vari episodi, sia infine in espressioni e nessi che contengono precise
riprese verbali, leggendo con attenzione le egloghe di Nemesiano non sfuggiranno Emilio Papiniano Al III secolo appartengono anche alcune figure di giuristi fra le più
una sensibilità nuova e nuovi atteggiamenti. La seconda egloga, ritenuta da alcuni importanti nella storia del diritto romano. Emilio Papiniano fu amico del­
infelice rifacim ento della III di Calpurnio Siculo, è invece un evidente esempio di
questa originalità per la situazione che descrive: Ida e Alcone, due ragazzi quindicen­ l’imperatore Settimio Severo e ne influenzò la politica nel campo del diritto;
ni, si sono innam orati entram bi di Donace dopo averla violentata insieme, nei cam ­ ricoprì importanti magistrature, fra cui la prefettura del pretorio, ma poi,
pi, e tentano ora di conquistarla ognuno per sé, e per sé solo, con il proprio canto. entrato in conflitto con il nuovo imperatore Caracalla, fu ucciso nel 212.
La sua vasta produzione (37 libri di Quaestiones, 19 libri di Responso) con­
dizionò profondamente la giurisprudenza e le legislazioni successive, anche
quelle che si diedero i Germani dopo l’invasione dell’Impero; ne abbiamo
6. La letteratura erudita vari frammenti, pervenuti talora insieme con commentari compilati da giuri­
sti di età successive.
Un fenomeno assai rilevante che emerge nel III secolo, per giungere Domizio Ulpiano Accanto alla figura di Papiniano spicca quella di Domizio Ulpiano, un
alla massima evidenza nel IV, è la crescita dell’importanza e della funziona­ fenicio di Tiro, che ebbe molto successo alla corte di Caracalla e di Severo
lità delle scuole. Il progressivo trasformarsi dell’amministrazione statale, non Alessandro, fino alla morte nel 228, per mano dei pretoriani. Scrisse anche
più privilegio esclusivo degli esponenti delle famiglie più importanti ma vera più di Papiniano: 81 libri A d edictum praetoris, fondamentali per la defini­
e propria carriera riservata a professionisti di varia estrazione sociale, speci­ zione teorica del diritto pretorio; 51 libri A d Masurium Sabinum, sul diritto
ficamente istruiti e preparati per tale attività, comportava la creazione di civile, e poi libri di Disputationes, di Responso, di Institutiones ed un Liber
Le scuole centri scolastici atti a formare questo ceto di burocrati. Si assiste così ad singularis regularum; di queste e delle altre sue opere ci rimangono fram­
pubbliche un significativo’ aumento delle scuole pubbliche, statali e municipali, che menti e compendi.
si affiancano a quelle private e si dimostrano assai attive in vari campi dello
Giulio Paolo La triade dei giuristi dell’età severiana è com pletata da Giulio Paolo, che fu anche
scibile, da quelli più tradizionali e sempre molto importanti della grammati­ prefetto del pretorio dopo una carriera condotta in parte al seguito di Papiniano.
ca, della retorica e della giurisprudenza, a quelli «scientifici» come la medi­ Fu autore di ben 86 opere per complessivi 319 libri: delle Sententiae ad flliu m ci
Sostituzione del cina, l’architettura, la musica. Questa notevole diffusione della cultura, e sono pervenuti gli estratti di maggiore ampiezza.
volumen col quindi del libro, contribuisce alla progressiva sostituzione del vecchio, costo­ Erennio Di epoca di poco successiva è Erennio M odestino, che scrisse i D ifferentiarum libri
codex
so volumen, il rotolo di papiro, con il nuovo codex fatto di pagine di perga­ Wlodestino IX , sulle sottili differenze tra cause apparentem ente uguali. A lla fine del secolo ap­
partiene invece il Codex Gregorianus, compilato probabilm ente da un giurista di
mena, più economico e più adatto per prendere appunti e per contenere nome Gregorio, con i rescritti promulgati dagli im peratori del II e del III secolo;
dispense e raccolte di lezioni scolastiche. anche questo lavoro, che anticipa successive e più famose raccolte, come il Codex
Le scuole Nel mondo della scuola sono particolarmente attivi i cristiani, che si Hermogenianus, del IV secolo, e soprattutto il Codex Theodosianus ed il Corpus
cristiane dedicano spesso all’attività dell’insegnamento in strutture pubbliche e priva­ iuris Iustiniani, conferm a la tendenza a definire una norm ativa giuridica ben artico­
lata e coerente, adatta a garantire la certezza del diritto.
te. La scuola cristiana non fu, però, confessionale: i programmi erano iden­
tici a quelli delle scuole non cristiane e finalizzati alla formazione di un Il Testamentum L ’im portanza degli studi sulle leggi e sul giure trova una curiosa conferm a in una
corpo di funzionari ben preparati, sufficientemente omogeneo per mentalità Porcelli divertente parodia del diritto testam entario che va sotto il nome di Testamentum
Porcelli, o più precisamente Testam entum Grunni Corocottae Porcelli·, un maiale,
e cultura. Alla base di ogni istruzione rimangono sempre i classici, soprat­ avendo capito che è orm ai giunta l’ora della sua fine (per m ano del cuoco), stende
tutto Cicerone e Virgilio, sui quali i fanciulli imparano a leggere, e poi, in form a perfettam ente legale, con tanto di notaio e di testim oni, le sue ultime vo­
man mano che crescono, apprendono le regole della grammatica e i precetti lontà, lasciando amici e parenti eredi dei propri beni. L ’intreccio fra la tradizione
della retorica; dai classici si ricavano inoltre le informazioni erudite e anti­ favolistica dell’animale parlante e la tecnica parodica che degrada un argomento
quarie che costituiscono il bagaglio culturale comune a tutti gli appartenenti serio fanno di questo breve testo un interessante docum ento letterario al quale si
sono recentemente applicate, e con buo'ni risultati, anche nuove metodologie di lettu­
I manuali ai ceti medio-alti. Accanto ai classici vengono però impiegati molti manuali, ra, che hanno dato risalto al ruolo fondam entale del maiale nelle società agricole
delle più svariate dimensioni, che affrontano le molteplici discipline oggetto e alle tradizionali usanze che accom pagnavano la sua uccisione.
dell’insegnamento. Così ad opere grammaticali di tipo tradizionale, a com­
menti di classici, a trattati retorici si affiancano scritti di diritto, di medicina
e di altre materie tecniche, e si assiste ad una ricca fioritura di opere enciclo­ Censorino
pediche di varia impostazione.
Tra le opere erudite di carattere enciclopedico le quali affrontano argo­
G rammatici e autori di trattati furono Giulio Rom ano e M ario Plozio Sacerdote, menti che potrebbero essere definiti «scientifici» si può ricordare il De die
che insegnava metrica a Rom a e compose anche un D e metris. T ra le opere che natali di Censorino. Grammatico e scrittore di testi grammaticali, che però
possono essere ricondotte agli interessi gramm aticali è la già ricordata (cfr. p. 324 non ci sono pervenuti, nel 238 Censorino dedicò al ricco e nobile Quinto
seg.) epitome del D e verborum significatu del gram m atico augusteo Verrio Flacco Cerellio, in occasione del suo compleanno, questo scritto sul giorno della
che fu curata, nel II secolo o all’inizio del III, da Sesto Pom peo Festo.
T ra i commenti ai classici spiccano quelli già ricordati di Acrone e Porfirione a Orazio. nascita. L ’opera consta di due parti: la prima esamina il rapporto fra l’uo-
518 DAI SEVERI A DIOCLEZIANO BIBLIOGRAFIA 519

mo e il suo dies natalis, la seconda, più in generale, parla del calendario poi alla Grecia e al Mar Nero, alla Germania, alla Gallia, alla Britannia
e delle divisioni del tempo. e alla Spagna; questo gire in senso antiorario si conclude con PAfrica, l’A­
L’astrologia e La teoria astrologica, che pure è dettagliatamente analizzata nella prima rabia, l’Asia Minore, l’india e il regno dei Parti, secondo un sistematico
l’«angelo parte, non ha però il rilievo che ci aspetteremmo e che acquisterà in opere impianto geografico, che costituisce uno degli aspetti più caratteristici dell’o­
custode»
più tarde. Per Censorino ha ancora un ruolo importante il Genius, la divini­ pera. Si è già accennato alla notevole fortuna che l’opera di Solino ebbe
tà protettrice individuale, per cui sono esposte le pratiche necessarie per pro­ nel Medioevo, quando fu letta e studiata anche come compendio della trop­
piziarselo; occupano inoltre un ampio spazio le teorie filosofiche e scientifi­ po vasta Naturalis historia di Plinio il Vecchio, che pure non soppiantò
che sulla riproduzione umana e sulle diverse età delPuomo. La seconda par­ del tutto, godendo anzi di una fortuna, per così dire, parallela a quella del
te affronta le varie ripartizioni temporali (secoli, lustri, anni, mesi, giorni) più illustre predecessore.
secondo le differenti consuetudini delle varie nazioni.
Censorino, in tutto l’opuscolo, dimostra una notevole erudizione: Var­
rone e soprattutto Svetonio sono frequentemente utilizzati, ma sono presenti Bibliografia I GRANDI MUTAMENTI SOCIALI francese). Per una carrellata sugli sviluppi
anche altre fonti di meno facile reperimento, che forse l’autore conosceva di lingua e letteratura cristiana dal II seco­
Per un quadro delle condizioni del­
di seconda mano; il tutto è rielaborato con abilità, anche se non sempre lo al VI, e del rapporto intrattenuto con
l’im pero nel III secolo si vedano le opere
la cultura profana, cfr. H . H a g e n d a h l ,
le cattive condizioni in cui il testo è stato tramandato ci consentono di co­ storiografiche di S. I. K o v a lio v , Storia di
Cristianesimo latino e cultura classica, trad.
gliere ed apprezzare le qualità di scrittore elegante che alcuni antichi attri­ R om a, trad. it. Rom a 1973; F. G. M a ie r ,
it. Rom a 1988. Sugli A tti dei M artiri si può
II m ondo Mediterraneo tra l ’A ntichità e il
buivano al suo autore. ora vedere A tti e Passioni dei M artiri, in-
M edioevo, trad. it. M ilano 1970; S. M a z ­
trod. di A .A .R. B a st ia e n s e n , Milano 1987
Il Fragmentum Insieme col testo di Censorino ci è pervenuto anche un trattatello enciclopedico ano­ z a r in o , L ’Im pero rom ano, voi. II, B ari
(Fond. Valla), con ed. critica, traduzione
Censorinì nimo, assai m utilo, che va sotto il nome di Fragmentum Censorinì, anche se l’attri­ 1973. Sulla società rom ana, sul conflitto
e commento dei testi più significativi.
buzione è più che dubbia. Vi si parla del cielo, delle stelle, della terra, della geome­ fra paganesimo e Cristianesimo e sull’ini­
tria, della musica e di metrica latina, con una commistione di interessi scientifici zio del lento processo di indebolimento del­
lo stato si possono utilm ente consultare P . G li a p o lo g is ti e C o m m o d ia n o
e grammaticali che potrebbe far pensare all’autore del D e dìe natali, m a che non
doveva essere infrequente presso gli eruditi dell’epoca. B r o w n , Il m ondo tardo antico. Da M ar­ Su Tertulliano si vedano T. D. B a r n e s ,
co A urelio a M aom etto, trad. it. Torino Tertullian, a Historical andLiterary Study,
Gargilio Marziale A d uria simile mescolanza di studi per noi profondam ente diversi fanno pensare 1974; A. J o n e s , Il tramonto del m ondo an­ O xford 1971; E. L o e f s t e d t , Z ur Sprache
le opere di Gargilio M arziale, m orto nel 260 e celebrato dai suoi concittadini maure- tico, trad. it. Bari 1972; Μ. M a z z a , L o tte Tertullians, Lund 1920; J. L o r t z , Tertul­
tani (era nato ad Auzia, nella M auretania Cesariense) con una lunga iscrizione che sociali e restaurazione autoritaria nel I I I lian als A pologet, Miinster 1927-28; A. V.
ne ricorda i meriti militari e politici. Aveva scritto opere di storia, come una biogra­ sec. d .C ., Bari 1973. Sulle inquietudini re­ N a z z a r o , Il «D e pallio» di Tertulliano, N a­
fia di Severo Alessandro per noi com pletamente perduta, ed un D e hortis, nel quale, ligiose dell’uom o tardoantico si veda E. poli 1972; G. O t r a n t o , Giudei e cristiani
per quanto è possibile giudicare dai vari estratti che ci sono pervenuti in raccolte D o d d s , Pagani e cristiani in un ’epoca di a Cartagine tra il I I e il I I I secolo. L ’«A d-
medicinali, si occupava prevalentemente delle virtù curative delle varie piante; interessi angoscia, trad. it. Firenze 1972; sul gradua­ versusIudaeos» di Tertulliano, Bari 1975.
per la veterinaria dimostrano invece le Curae boum, anch’esse parzialmente conservate. le afferm arsi del cristianesimo, utile P . S i ­ Su M inucio Felice, P. F e r r a r in o , Il
n is c a l c o , Il cam m ino di Cristo nell’im p e­ problema artistico e cronologico dell’«Oc-
ro rom ano, Roma-Bari 1983. tavius», Bologna 1947; S. P e z z e l l a , Cri­
Solino stianesimo e paganesimo romano. Tertul­
A lle o r ig in i d i u n a l e t t e r a t u r a c r i ­
liano e M inucio Felice, Bari 1972; I. V e c ­
stia n a c h io t t i , L a filo so fia politica di M inucio
Di geografia (anche se non nel senso moderno del termine) si occupò
invece Gaio Giulio Solino, che visse probabilmente fra la metà e la fine Fra le storie della letteratura latina cri­ Felice, U rbino 1973.
stiana di più utile consultazione e più fa­ Su Cipriano, E. B u o n a iu t i , Il cri­
del III secolo (ma la datazione oscilla fra l’inizio del III e la fine del IV cilmente reperibili per il lettore italiano si stianesimo nell’A frica romana, Bari 1928;
secolo). La sua opera è intitolata Collectanea rerum memorabilium, ma nel ricordano S. D ’E lia , Letteratura latina cri­ Μ. M. S a g e , Cyprian, Cambridge (Mass.)
Medioevo (quando ebbe vasta diffusione) era nota anche come Polyhistor, stiana, Rom a 1982; J. F o n t a in e , La lette­ 1975; Ch. S a u m a g e , St. Cyprien, évéque
per sottolineare il gran numero di curiosità che vi erano raccolte. ratura latina cristiana, trad. it. Bologna de Carthage, pape d ’A frique, Paris 1975;
1973; M . S im o n e t t i , L a letteratura cristia­ V. S a x e r , Vie liturgique et quotidienne
Un compilatore L’opera è frutto di un’attenta compilazione di molte fonti letterarie, na antica greca e latina, Firenze-M ilano
enciclopedico
à Carthage vers le milieu du IIP siècle...,
in primo luogo Plinio il Vecchio, ma anche Pomponio Mela e Svetonio, 1969. Per le collane di testi, oltre a quelle Città del Vaticano 1969.
insieme a varie altre trattazioni geografiche per noi perdute. Leggendo que­ dedicate in generale agli autori latini (Les Su Commodiano (ed. A n to n io S alva ­
sti scritti, Solino annotava progressivamente tutte le cose più strane in cui Belles Lettres, O xford, Teubner, Corpus t o r e , Napoli 1965-68), H. A . M. H o p p e n -
Paravianum , Classici U TET, ecc.) riguar­ b r o u w e r s , Com m odien poète chrétien,
si imbatteva, che riguardavano le popolazioni e i loro costumi, gli animali, dano esclusivamente gli scrittori cristiani Nijmegen 1964; A n t o n io S a l v a t o r e , In ­
le piante, compiendo talvolta anche errori piuttosto grossolani. Si tratta di J. P . M ig n e , Patrologiae cursus comple- terpretazioni com modianee, N apoli 1974.
un libro, scritto con una certa eleganza, che rappresenta molto bene le quali­ tus. Series Latina, Paris 1844 segg., 221
tà e i limiti del ceto intellettuale di questo periodo, dedito soprattutto a v o li.+ 4 di indici e 4 di Supplementum; G li u l t im i p r o d o t t i della p o e t ic a d e i
letture di varia erudizione, più che di preciso impegno teorico. Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum L a ­ « n o v e l l i»
tinorum , Wien 1866; Corpus Christiano-
L’opera si apre con una ricca trattazione su Roma e sulla storia romana rum. Series Latina, T urnhout 1954; Sour- La maggior parte dei com ponimenti a
dai re al principato di Augusto. L ’area esaminata si estende quindi all’Italia, ces Chrétiennes, Paris 1941 (con trad. cui si è fatto riferim ento è contenuta nel-
DAI SEVERI A DIOCLEZIANO

l’Anthologia Latina I, ed. A. Riese, Leip­ segg. ; per i Rhetores Latini minores quella
zig 1894-1906; si vedano anche i Frag­
m enta poetarum Latinorum di W. M o ­
k i , Leipzig 19272 (= 1963). Del Pervigi­
di K. F. H a lm , 1863.
Sulla scuola rom ana si veda Η. I.
M a r r o u , Storia dell’educazione nell’an­
DA COSTANTINO
lium Veneris si segnalano le edizioni di
D. R o m a n o , Palerm o 1952, e di I. C a z -
tichità, trad. it. Rom a 1971. Sulla cultu­
ra giuridica, Istituzioni giuridiche e real­
AL SACCO DI ROMA (306-410)
z a n ig a , Torino 1959. tà politiche nel tardo impero, a cura di
Sul centone si può utilmente consul­ G . G . A r c h i , Milano 1976; P. L a n f r a n -
tare O. G e t a , M edea, a cura di G . S ala - c h i , Il diritto nei retori romani, M ila­
n it r o , con un profilo della poesia cento- no 1938; M. V il l e y , Recherches sur la
naria greco-latina, Rom a 1981. littérature didactique du droit romain,
Su Nemesiano L. C a s t a g n a , I bu­ Paris 1945. Sugli studi scientifici, S.
colici latini minori, Firenze 1978; R. V e r - S a m b u r s k y , The Physical World o f
d iè r e , Prolégomènes à Nemesianus, Lei­ L ate A n tiq u ity, London 1962. Sulla
den 1974. diffusione del libro e della cultura
Sull’insieme del movimento dei no­ fondam entale G . C a v a ll o , Libri, edi­
velli, utili E. C a s t o r in a , Questioni neo- tori e pubblico nel m ondo antico, Bari
teriche, Firenze 1968; D. G a g l ia r d i , Da 1975. Sulla trascrizione dei testi classici
1. La grande rinascita culturale
Petronio a Reposiano, N apoli 1967. fra tardoantico e alto medioevo im por­
tanti i saggi raccolti in Tradizione dei
La l e t t e r a t u r a e r u d it a classici, trasform azioni della cultura, so­ Se il III secolo aveva segnato uno dei momenti più difficili per la cultura
cietà rom ana e Im pero tardoantico, voi. latina, nel IV si assiste ad un’imponente ripresa, che va di pari passo con
Per i Grammatici Latini fondam en­ IV a cura di A . G ia r d in a , Roma-Bari
tale l’edizione di H . K e il , Leipzig 1855
il ristabilirsi di condizioni di relativa tranquillità interna. Le riforme di Dio­
1986.
cleziano e le scelte economiche e politiche di Costantino, il lungo periodo
durante il quale la sua dinastia tenne, incontrastata, l’impero, i successi
militari su vari fronti e le abili operazioni di politica estera che consentirono
di porre riparo a problemi irresolubili con mezzi militari, sono tutti elementi
che garantirono una sorprendente ripresa, ed una produzione letteraria fra
le più imponenti nella storia dello stato romano.
Consolidamento Si consolida una struttura statale fortemente accentrata intorno alla fi­
dello stato gura dell’imperatore e alla sua corte, con un’amministrazione burocratica
di altissimo livello che costituisce, insieme con l’esercito, il principale soste­
gno dello stato. Le riforme economiche assicurano cospicue entrate per il
fisco, anche se il prezzo di questi tributi è un grave peggioramento delle
condizioni di vita, soprattutto per i ceti bassi e medio-bassi; reggono bene,
invece, i grandi latifondi, soprattutto quelli gallici, con le loro villae, inse­
diamenti rurali dove, insieme con i lavoratori dei campi, tendono a risiedere
sempre più spesso anche i proprietari, che lasciano le città per controllare
meglio i loro interessi e per sfuggire ai gravosi compiti amministrativi affida­
La fuga dalle ti ai personaggi più rappresentativi e benestanti di ogni centro urbano. Si
città allarga così il divario nella società fra il gruppo dei ricchi, grandi proprietari
terrieri, e il composito insieme delle classi povere: proletariato urbano, pic­
coli contadini prima liberi, poi di fatto asserviti ai latifondisti attraverso
l’istituto del patrocinium potentiorum, artigiani impoveriti dal decadere del
ruolo delle città. Vari tentativi per evitare la fuga verso le campagne vennero
messi in atto dal potere centrale per mezzo di una legislazione che tendeva
a vincolare ogni cittadino al suo status e alla sua residenza, ma si trattò
sempre di provvedimenti privi di efficacia, perché la mobilità fu, in questo
periodo, di gran lunga superiore a quanto comunemente si ritiene e a quanto
avrebbero voluto i governanti. Va detto però che questi fenomeni non furo­
no ugualmente diffusi in tutto il territorio dell’impero: più forte in Occiden­
te, la fuga dalle città era molto meno sensibile in Oriente dove, in alcune
zone, si verificavano addirittura fasi di intenso inurbamento connesso con
un complessivo miglioramento delle condizioni economiche.
522 DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA LE GRANDI ERESIE 523

In questa società dirigistica con forti tratti feudali, i ceti senatori, da I manichei (così chiamati da Mani, il loro capo, che fu crocifisso fo
tempo privati di un potere politico e istituzionale passato nelle mani dei nel 276 in Persia) credevano nell’esistenza di due princìpi contrapposti, il
militari e dei grandi burocrati, erano giunti a detenere il potere economico, bene ed il male, in perenne lotta fra loro; questo dualismo si proponeva
che li rendeva interlocutori indispensabili per la definizione degli equilibri di spiegare l’esistenza del male nel mondo, che non può essere voluto da
politici. L’Impero si reggeva sul consenso dei pochi esponenti di queste cate­ Dio, e deve quindi risalire ad un’autonoma origine; si finiva però col confi­
gorie privilegiate e sull’indifferenza delle grandi masse, preoccupate dei pro­ gurare una doppia divinità, e col violare quindi il principio dell’unità divina,
blemi della sopravvivenza quotidiana e interessate, tu tt’al più, a questioni Lo scisma dei Violenta, anche se non particolarmente pericolosa per l’unità della Chie­
religiose, che per una precisa scelta della Chiesa non potevano mettere in donatisti sa, fu la disputa contro lo scisma dei donatisti, che nacque in Africa all’inizio
Vescovi discussione gli assetti politici ed economici. L ’aver assunto la rappresentanza del IV secolo e si diffuse notevolmente, in quella provincia, dopo la fine delle
provenienti da anche di ampi settori popolari consentiva però alla Chiesa, e in particolare persecuzioni. Donato e la sua setta sostenevano una linea molto severa e in­
famiglie senatorie; ai vertici della gerarchia ecclesiastica, di esercitare un ruolo non secondario transigente, che contrapponeva la Chiesa all’impero e richiedeva ai Cristiani
secolarizzazione
nelle vicende dell’impero, e non soltanto quando fossero in discussione pro­ una vita di completa perfezione spirituale; questo rigorismo, tipico della Chie­
della Chiesa sa d’Africa (si pensi a Tertulliano), ebbe notevole successo, e il donatismo
blemi religiosi: la figura del vescovo cresce in prestigio ed in autorità, e
progressivamente — soprattutto in Occidente — si assiste ad un’occupazione fu per gli ortodossi un nemico da combattere almeno per tutto il IV secolo.
delle cattedre vescovili da parte di esponenti di prestigiose famiglie senatorie L’eresia di Di minore durata, ed estesa soltanto alla Spagna, con pochi riflessi sulla
cristianizzate, legati ai gruppi che detengono il potere economico; anche per Priscilliano chiesa gallica, fu l’eresia di Priscilliano. Sui suoi contenuti non siamo affat­
questo motivo l’azione dei vescovi diventa indiscutibilmente più incisiva, ma to documentati — la nostra fonte principale al riguardo sono i Chronicorum
la Chiesa ne risulta profondamente trasformata nelle finalità e nei compor­ libri di Sulpicio Severo, il quale riserva ampio spazio a Priscilliano e alla
tamenti. sua setta, non senza mostrare una certa simpatia per essa —: sembra che
le tesi dei priscillianisti contenessero elementi manichei, a volte con aspetti
di esagerato misticismo; quello che è certo è che la disputa teologica si tra­
L e grandi eresie sformò in una divisione interna al clero spagnolo, con reciproche accuse
di immoralità ed empietà, fino all’intervento imperiale che decretò la con­
Il periodo che va dal riconoscimento da parte di Costantino alla decisio­ danna a morte di Priscilliano, nel 385. La setta sopravvisse ancora per alcu­
ne di Teodosio di fare del Cristianesimo l’unica religione di stato segna per ni anni, almeno fino al concilio di Toledo del 400, che favorì il riassorbi­
la nuova fede il passaggio dall’età delle persecuzioni subite a quella delle mento del priscillianismo nell’ortodossia; la sua presenza tuttavia andò rapi­
persecuzioni imposte contro i pagani e quanti ancora non aderissero al Cri­ damente diminuendo, anche per le nette condanne da parte di molti dei
stianesimo, o lo professassero in forme ritenute ereticali. La religione divie­ principali esponenti della cultura cristiana.
ne instrumentum regni e, per potersene servire, gli imperatori sono ben di­ L’eresia di Più complessa è la vicenda del pelagianesimo, un’eresia che si sviluppò
sposti a concedere favori e privilegi; questo contribuì senz’altro alla stabilità Pelagio nella prima metà del V secolo, e quindi andrebbe trattata più avanti, ma
dell’impero, ma spesso costrinse la corte ad intervenire in dispute fra le che è opportuno anticipare qui sia per unificare la trattazione di questi prin­
diverse sette cristiane. La vicenda di maggiore gravità, che rischiò di com­ cipali movimenti ereticali, sia perché il maggiore avversario di Pelagio fu
promettere la funzione del Cristianesimo come possibile elemento unificato­ Agostino, il quale nei suoi ultimi anni contrastò con tutti i mezzi il diffon­
re dello stato, fu lo scontro tra Varianesimo e la dottrina poi risultata vincen­ dersi delle sue teorie (cfr. p. 573).
L’eresia di Ario te, quella dell’omousia. Per Ario, un prete di Alessandria vissuto nella pri­ Pelagio era un monaco di origine britannica, attivo a Roma all’inizio
ma metà del secolo, Cristo non poteva essere considerato uguale a Dio padre del V secolo e legato da rapporti di amicizia con molti scrittori cristiani
senza che si rischiasse di introdurre nel Cristianesimo elementi di politeismo; del tempo, ad esempio con Paolino di Nola. Di Pelagio possediamo una
la Chiesa ufficiale, invece, sosteneva l’identità sostanziale (omousid) fra Dio Epistula ad Demetriadem seu liber de institutione virginis, un Libellus fidei
padre e Cristo. Di qui una lunga polemica, che vide schierati su posizioni ad Innocentium papam e un commento alle Lettere di S. Paolo. Perduta
opposte i teologi: Ario riscuoteva molto favore in Oriente, anche se non è invece la sua opera fondamentale, il De lìbero arbìtrio in quattro libri,
mancavano decisi oppositori, mentre quasi tutti contro di lui erano gli occi­ di cui conserviamo solo alcuni frammenti. Il punto centrale dell’eresia di
dentali, che scrissero numerose opere per confutare le sue tesi. Tra un conci­ Pelagio è nell’affermazione che le opere buone, il comportamento onesto,
lio e l’altro, un intervento imperiale e l’altro, la vicenda si trascinò per tutto la vita pura possono da soli meritare la salvezza, e che quindi l’uomo, se
il secolo, ed ebbe conseguenze anche nelle età successive, perché cominciò evita il peccato e la colpa, può conquistarsi il paradiso. È una dottrina che
ad introdurre differenze fra la Chiesa orientale e quella occidentale, e perché non tiene conto della necessità della grazia divina, per la quale Dio salva
vescovi ariani esuli evangelizzarono i Germani, sicché i rapporti fra questi solo chi ha deciso di salvare nel suo progetto di redenzione; ne risulta accre­
popoli e i Romani, dopo le invasioni, furono resi più difficili anche da que­ sciuto il ruolo dell’essere umano e sminuito quello del Cristo. Il ruolo fon­
sta contrapposizione religiosa. damentale attribuito da Pelagio all’impegno del singolo, che lotta con ogni
L'eresia Di origini più antiche (risale al III secolo) ma assai attiva nel IV secolo sua forza per la propria salvezza, non fu visto di buon occhio dalla Chiesa
manichea è anche l’eresia manichea. ufficiale, di cui non era contemplato il ruolo di mediazione. Ciò spiega da
524 DA COSTANTINO AL SACCO DI ROMA
I GRAMMATICI 525

un lato la condanna di Pelagio, dall’altro il successo che egli e la sua dottri­ parte loro, reagirono in maniera più complessa e articolata, ma non meno
na riscossero presso le fasce dell’alta aristocrazia senatoria di Roma, interes­ La fine di Roma intensa, alle invasioni. Molti ne furono profondamente colpiti, al punto che
sata a scegliersi autonomamente i modi in cui praticare l’ascesi. La posizione come fine del si chiesero perfino se fosse giunta la fine del mondo, con le distruzioni pro­
di Pelagio, d’altronde, non poteva non riscuotere simpatie negli ambienti mondo fetizzate nell’Apocalisse-, altri ebbero momenti di crisi: se l’impero di Roma
più impegnati del Cristianesimo, soprattutto quelli che maggiormente prati­ era stato voluto da Dio per facilitare la diffusione della vera fede (una teoria
cavano una vita di privazioni e di preghiere, proprio perché, valorizzando che rimane ben salda nelle interpretazioni teologiche e finalistiche della sto­
questi comportamenti, forniva motivazioni per il monacheSimo e l’asceti­ ria elaborate dagli intellettuali cristiani, fino a Dante e oltre), se la pace
smo; per questo, nonostante la condanna dell’eresia pelagiana fosse già uffi­ romana era il presupposto della pace cristiana, e finiva con l’identificarsi
ciale e definitiva nel secondo decennio del V secolo, sopravvissero a lungo in essa, come mai Dio poteva permettere tante rovine, e il rovesciamento
forme di pelagianesimo più o meno occulto, soprattutto nei più prestigiosi di tutto ciò che era ritenuto esterno ed immodificabile? Ma gli ingegni più
conventi della Gallia meridionale. lucidi, e soprattutto Agostino, trassero dall’imprevedibile caduta della città
che era considerata «capitale del mondo» i motivi di un ripensamento so­
stanziale del rapporto fra religione e politica, in contrapposizione alla ten­
L ’Im pero d ’Occidente e i barbari
denza verso la secolarizzazione (e la romanizzazione) del Cristianesimo. Con­
futando l’accusa che gli ultimi pagani rivolgevano ai cristiani, e cioè che
Le invasioni L’altro grave problema che si trovò ad affrontare l’Occidente nel IV la nuova religione avesse indebolito le resistenze militari ed ideali dello stato,
barbariche secolo fu quello delle pressioni prima, e delle invasioni poi, di popolazioni mettendone in crisi le tradizioni, questa nuova apologetica propone una di­
di origine germanica nei territori dell’impero. Spinti a loro volta da migra­ versa contrapposizione, non più fra gli stati e i popoli, ma fra le due «città»,
zioni verso ovest di popoli abitanti nelle steppe, i Germani erano costretti quella di Dio e quella dell’uomo, spazialmente coesistenti in tutte le parti
a cercare al di qua del Reno nuove terre; gli imperatori tentarono di resistere del mondo, e in continua lotta per la salvezza o la dannazione. È un’impo­
a questa avanzata alternando la politica degli accordi pacifici — con la con­ stazione che avrà grande diffusione nelle epoche successive e soprattutto nel
cessione di piccole fette di territorio da conservare e difendere nel nome Medioevo: insieme con le premesse del sistema economico feudale e della
di Roma — e gli scontri militari — come quello che vide Giuliano vittorioso fusione tra cultura latina e germanica, questa novità religiosa segna la fase
nel 357 e assicurò un decennio di relativa tranquillità. Sul finire del secolo, di passaggio dal mondo antico ad una diversa società.
però, la situazione mutò: la resistenza romana era stata assai indebolita dal­
la necessità di rinforzare il confine orientale con i Persiani e la spinta dei
Germani sul Reno e sul Danubio divenne incontenibile. Prima i Visigoti, I grammatici: Carisio, Diomede, Dositeo
poi gli Ostrogoti, i Vandali, gli Alani, i Suebi e altri popoli passarono le
frontiere, dapprima assorbiti alPinterno dello stato e in qualche modo inte­ La scuola, ultima La continuità con il passato è invece assai forte nel mondo della scuola,
grati nell’amministrazione, poi come nemici invasori. Il fronte del Reno ce­ erede del che prosegue lungo le linee di crescita quantitativa e qualitativa già notate
dette nel 406, facendo passare schiere di Germani che devastarono tutta la passato nel secolo precedente. Per la scuola passano i figli dei senatori e i futuri
Gallia e giunsero anche in Spagna; negli stessi anni i Visigoti entrarono in burocrati, nella scuola si pongono le basi dei futuri assetti ideologici dello
Italia da est, guidati dal re Alarico, che nel 410 riuscì perfino a conquistare stato: di qui una grande attenzione verso di essa da parte dei cristiani, ma
e saccheggiare Roma. Questa prima ondata di invasioni non comportò tutta­ anche del potere, con una copiosa legislazione in proposito, che diventa par­
via l’immediato crollo dell’impero, rinviato soltanto di pochi decenni. ticolarmente precisa sotto Giuliano, detto l’Apostata, imperatore dal 361
Inserimento dei La questione germanica non si limitava agli aspetti militari: la società al 363, che tentò di restaurare la religione tradizionale: proibì ai maestri
barbari nella romana conobbe nel IV secolo il progressivo inserimento di esponenti di cristiani l’insegnamento nelle scuole e impose la lettura e lo studio dei soli
gerarchia del quei popoli in posti di grande responsabilità, dapprima nell’esercito, poi nel­
potere politico e
autori pagani. Quanto ai programmi di insegnamento e alla produzione dei
l’amministrazione dello stato. Anche se questi Germani furono sempre ri­ manuali, la tendenza è verso la creazione di grosse raccolte e repertori enci­
militare
spettosissimi dei loro obblighi, e difesero con coraggio l’impero contro gli clopedici, che mettano insieme tutta la cultura classica per tramandarla ai
altri Germani, essi furono tuttavia sempre considerati con viva preoccupa­ posteri.
zione negli ambienti romani, timorosi che le istituzioni venissero occupate,
per così dire, dal loro stesso interno. Soprattutto nel periodo di Stilicone T ra le opere in questo senso più significative si possono ricordare la gram m atica
questo pericolo sembrò imminente, ma ebbe sempre la meglio la capacità di Flavio Sosipatro Carisio, che intorno alla m età del secolo insegnò a Rom a e a
della cultura romana di assorbire e assimilare i barbari inseriti nei livelli Costantinopoli, e compose u n ’A rs grammatica in cinque libri, dedicata al figlio, con
superiori dell’esercito e della gerarchia politica. aggiunte di osservazioni di stilistica e metrica; l'A rs grammatica di Diomede, in tre
libri, su m orfologia, stilistica e metrica; ì’À rs grammatica di Dositeo, interessante
Le scorrerie dei Visigoti e il sacco di Roma del 410 segnarono nelle
perché è una gram m atica latina preparata per studenti di lingua greca. T utte queste
coscienze dei Romani, e in particolare dei non molti pagani rimasti legati opere, m a particolarm ente quella di Carisio, ci conservano parecchi fram m enti di
alla religione tradizionale, la fine di un mondo su cui si erano fondati i opere latine altrim enti perdute.
criteri di valore e i principi ispiratori della loro esistenza. I cristiani, per
526 DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA I COMMENTATORI 527

N onio Marcello perché ci documentano la complessa dottrina grammaticale di alcuni fra i


più prestigiosi uomini di scuola, sia soprattutto perché attraverso essi possia­
Sempre in campo grammaticale, di gran lunga più importante è l’opera mo capire in che modo venivano letti e interpretati i grandi scrittori dei
enciclopedica di Nonio Marcello, un africano forse di età costantiniana, il secoli precedenti. Così Elio Donato, che fu forse il maggiore tra i grammati­
quale scrisse un trattato dal titolo De compendiosa doctrina, in venti libri ci del IV secolo ed ebbe tra i suoi allievi a Roma, intorno alla metà del
di lunghezza assai diseguale (si va da una pagina sola dell’ultimo libro alle Elio Donato: secolo, anche S. Girolamo, preparò due trattati di grammatica (unM rs mi­
Interessi oltre trecento del quarto). L’opera, dedicata al figlio, si lascia facilmente IVlre minor e nor, più elementare, sulle otto parti del discorso, e un’A rs maior, per gli
linguistici dividere in due parti: la prima, comprendente i libri I-XII, quella senza pa­ l’/4re maior studi più avanzati di stilistica e di metrica) che erano destinati a divenire
ragone più interessante per noi, è di contenuto più propriamente linguistico il libro di testo su cui per secoli, fino al Medioevo ed oltre, i giovani avreb­
e grammaticale, mentre la seconda (libri XIII-XX), assai più breve (occupa bero imparato il latino. Accanto a questi fortunatissimi manuali preparò
appena un ventesimo del totale del De compendiosa doctrina), è dedicata anche un commento a Virgilio, che è purtroppo quasi completamente perdu­
Interessi antiquari a singoli argomenti di carattere per lo più antiquario (le navi, gli utensili La Vita Vergilii to, ed un commento a Terenzio. Del primo ci è rimasta soltanto una Vita
domestici, l’abbigliamento, l’alimentazione, ecc.) e il suo interesse è legato di Virgilio — peraltro utilissima perché impiega una fonte attendibile come
alla descrizione di usi e costumi romani. Svetonio —, un’introduzione alle Bucoliche, una dedica a Lucio Munazio;
Citazioni di autori Nonio ha nella storia della letteratura latina un’importanza tutta parti­ il secondo ci è pervenuto quasi per intero, giacché manca soltanto la parte
antichi colare, di carattere, per così dire, riflesso. La prima parte del De compen­ relativa all’Heautontimorùmenos, con notazioni stilistiche ed erudite che non
diosa doctrina è infatti organizzata secondo una successione di lemmi, dei si limitano al solo testo terenziano, ma riguardano vari aspetti del teatro
quali Nonio spiega il significato o l’uso o particolari accezioni, ecc., illu­ antico.
strando ogni volta la sua spiegazione con citazioni da autori antichi, molti
dei quali non ci sono giunti per tradizione diretta. Le tragedie di Livio Andro­ Tiberio Claudio Tiberio Claudio D onato, confuso fino al secolo scorso con Elio D onato, visse proba­
nico, Nevio, Ennio, soprattutto quelle di Pacuvio e Accio; le commedie pallia­ Donato bilmente tra la fine del IV secolo e l’inizio del V. Fu autore di Interpretationes
Vergilianae, un com mento a Virgilio, diviso in dodici libri, ciascuno dei quali illustra
te di Turpilio e le togate di Titinio e Afranio; le atellane di Pomponio e un libro deli’Eneide: quest’opera ci è giunta per intero.
Novio; i mimi di Laberio; le satire di Lucilio e quelle (le Menippeae) di
Varrone; le opere storiche di Quadrigario e di Sisenna, il De vita populi Servio: il Molto ricco e complesso è il commento a Virgilio di Servio, che fu pro­
Romani di Varrone, le Historìae di Sallustio: di questa produzione tutto, o al­ commento a babilmente discepolo di Elio Donato e tenne poi scuola a Roma. La sua
meno una parte notevole, sarebbe per noi perduto senza le citazioni di Nonio. Virgilio fama è confermata dalla scelta di Macrobio che, nei Saturnali, affida pro­
Autori d’età È dunque una fortuna per noi che gl’interessi di N onio vadano prevalentemente in dire­ prio a Servio la trattazione di delicati problemi di esegesi virgiliana. Il com­
repubblicana zione degli autori di età repubblicana, anche molto antica (e questa predilezione, che mento risale più o meno ai primi decenni del V secolo
ha fatto vedere in Nonio uno degli ultimi esponenti della corrente degli arcaisti, è con­ Ne possediamo oggi due redazioni diverse: una più breve, tramandata
ferm ata anche dalle citazioni degli altri autori, quelli che ci sono arrivati anche per tradi­
esplicitamente sotto il nome di Servio, e una più ampia, rinvenuta nel 1600
zione diretta: oltre ai nomi scontati di Virgilio e Cicerone, quelli che ricorrono più fre­
quentemente nel D e compendiosa doctrina sono P lauto, Terenzio e Lucrezio). Il Servius dall’umanista francese Pierre Daniel e per questo denominata Servius Danie­
Si capisce come, nonostante lo si sia a ragione accusato di disordine, di confusioni, Danielinus linus o Servius auctus. A lungo si è creduto che il testo più ampio fosse
di fare citazioni errate nella form a e nella sostanza, Nonio sia stato sempre oggetto quello più vicino al commento originale che, nel processo di trasmissione
di attenti studi (i quali si sono intensificati nei tempi più recenti). Gli studiosi cerca­ attraverso i secoli, avrebbe subito successive riduzioni. Solo alla fine del
no di approfondire la conoscenza della preziosa biblioteca che Nonio doveva avere
a disposizione, e di ricostruire i criteri coi quali il gramm atico ordinava i suoi lemmi secolo scorso l’intensificarsi degli studi su Servio ha portato a notare l’unita­
(essi non sono infatti disposti in ordine alfabetico, con la parziale eccezione dei libri rietà del testo breve — per cui perde credito l’ipotesi che esso sia il frutto
II-IV, dove l’ordine, secondo l’uso rom ano, è rispettato solo per la prim a lettera di una drastica opera di riduzione — e a rilevare per converso il carattere
della parola: e anche in questo caso si pensa che l’ordine alfabetico non sia dovuto spesso aggiuntivo delle note «danieline». Si tende perciò oggi a credere che
a Nonio, m a a grammatici successivi). Si è persino riusciti a individuare corrispon­
il cosiddetto Servius auctus sia opera di un compilatore (collocabile tra il
denze fra l’ordine progressivo nel quale le citazioni di una data opera com paiono
Nonio e la nel testo di N onio e quello nel quale i passi citati si trovavano all’interno dell’opera VII e l’V ili secolo d.C.), che avrebbe unito il commento di Servio ad altro
ricostruzione per noi perduta. In conclusione, di autori (come, per esempio, Lucilio) che, se non prezioso e antico materiale, in primo luogo al commento di Elio Donato,
degli autori avessimo le citazioni di Nonio, sarebbero poco più che semplici nom i per il lettore cui lo stesso Servio avrebbe peraltro ampiamente attinto.
«perduti» m oderno, grazie al D e com pendiosa doctrina e agli studi compiuti su di esso, abbia­ Caratteristiche e Sia Servio che le note «danieline» ci forniscono notizie relative alla compo­
m o ora molti fram m enti e addirittura, per alcuni libri, la possibilità di una verosimile
ricostruzione complessiva: insom m a, ogni studioso di fram m enti di età latina arcaica
importanza del sizione, interessanti osservazioni stilistiche e soprattutto grammaticali. Grande
deve essere anche, nello stesso tem po, uno studioso di Nonio Marcello. commento di spazio è riservato all’esegesi: spessissimo sono presentate diverse interpretazio­
Servio ni del testo, che quasi sempre vengono discusse e giudicate. Molto di questo
I commentatori: D onato e Servio materiale è tratto più o meno esplicitamente da grammatici e commentatori
virgiliani più antichi. Oltre a ciò, molti sono gli scolli che conservano prezio­
Spesso i grammatici non si limitavano a comporre manuali, ma stende­ se notizie di antiquaria, sulla religione e sul culto, oppure osservazioni lingui­
vano anche commenti dei classici. Si tratta di opere per noi assai preziose, sia stiche e prosodiche, o interpretazioni allegoriche delle opere virgiliane.
528 DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA
MACROBIO 529

Nel suo insieme tutto il commento riveste interesse anche ai fini dell’e­ Commento al Somnium Scipionis (un lungo passo dell’ultimo libro del De
Opere
satta ricostruzione del testo virgiliano: oltre alla lezione del lemma vengono republica di Cicerone), in due libri, dedicato al figlio Eustazio. Il passo non è
spesso riportate anche altre lezioni rinvenute in manoscritti diversi. Servio illustrato parola per parola, come nei commenti grammaticali a Virgilio o a Teren­
però (e Servio Danielino, ovviamente) non è importante soltanto per lo stu­ zio frequenti in quest’epoca, ma è quasi un pretesto per l’esposizione di teorie
scientifiche e filosofiche. Saturnalia: sette libri di dialoghi articolati in tre giornate.
dio di Virgilio, ma anche perché costituisce una preziosissima testimonianza De differentiis et societatibus Graeci Latinique verbi: trattato sul verbo greco e
sul modo in cui veniva affrontato nell’antichità lo studio delle opere lettera­ latino dedicato ad un Simmaco (ce ne sono pervenuti soltanto alcuni frammenti).
rie. Non si deve inoltre trascurare il ruolo importantissimo che questo mate­ Le opere di Macrobio s’inseriscono nel filone di una letteratura erudita — molto
riale scoliastico ha avuto nella conservazione, anche se solo frammentaria, diffusa nel IV secolo — la quale spazia da problemi linguistici, esegetici e stilistici
di testi che sarebbero altrimenti perduti. Viene così arricchita, per tradizione all’erudizione e alla storia, dalla filosofia alla religione.
indiretta, la nostra conoscenza di autori la cui opera non ci è stata traman­
data per intero, ma che devono a grammatici e commentatori la loro parzia­ Problemi La valutazione delle opere di Macrobio non è facile, e cambia considere­
le sopravvivenza. cronologici su volmente secondo la cronologia accettata. Se inseriamo questi scritti profon­
Macrobio damente legati alla tradizione romana e pagana negli ultimi anni del IV seco­
lo, quando continuavano ad esistere, a Roma, cospicui circoli pagani e ope­
I retori ravano ancora, perfino negli ambienti di corte, scrittori e poeti legati alla
vecchia religione, i Saturnalia andranno visti come una delle ultime voci
A ccanto alla gram m atica, fiorente era la scuola di retorica, che corrispondeva all’in ­ di un paganesimo arroccato nella difesa dei suoi valori. Se invece poniamo
segnamento secondario e superiore. Anche per la retorica si produssero m anuali e quest’opera quasi alla metà del V secolo, quando il Cristianesimo aveva
trattati di grande dottrina, che però erano destinati a minore fo rtu n a rispetto alle ormai definitivamente sconfitto tutte le resistenze pagane, e professarlo era
Arusiano Messio opere di carattere grammaticale. T ra i principali autori di questo periodo si può divenuto un obbligo di legge per chiunque volesse accedere all’amministra­
e la quadriga ricordare A rusiano Messio, un personaggio politico di un certo rilievo, che sulla
zione dello stato, i Saturnalia potranno essere letti come la rappresentazione
fine del secolo dedicò ad Olibrio e P robino i suoi Exem pla elocutionis: è un reperto­
rio, ordinato alfabeticamente, con modelli di costruzioni tratti da quattro autori che idealizzata (in un mondo cristiano per convenzione o per comodo) di un’e­
da quel m om ento in poi divennero esemplari, e costituirono la quadriga, i quattro poca ormai scomparsa, il cui messaggio culturale si vuole salvare per i poste­
scrittori fondam entali che ogni persona di cultura doveva conoscere a perfezione: ri. Trattando dei Saturnali come di un’opera della fine del IV secolo seguia­
Virgilio, Sallustio, Terenzio e Cicerone, elencati in quest’ordine nel sottotitolo dell’o ­ mo la tesi più comunemente accolta, pur riconoscendo che vi sono validi
Fortunaziano pera. Al IV secolo appartiene probabilm ente anche l'A rs rhetorica di Consulto For­
tunaziano, a lungo noto,t erroneam ente, come Chirio Fortunaziano: è un manuale
argomenti anche a favore di chi colloca l’autore e le sue opere in un’epoca
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in tre libri che ebbe grande successo nelle scuole, sia per l’organizzazione della m ate­ di qualche decennio più tarda.
ria (suddivisa in inventio, dispositio e elocutió) sia per l’esposizione, condotta a do­
m ande e risposte. I Saturnali: i D opo una prefazione con dedica al figlio Eustazio i Saturnali sono introdotti da
Giulio Vittore Ricordiamo infine Gaio Giulio Vittore, più che altro per segnalare che la sua A rs un prologo fra due personaggi, Decio e Postum iano: quest’ultimo racconta al primo
personaggi del
rhetorica riporta esempi tratti da un retore il cui nom e M arcom anno denuncia u n ’o­ le dotte conversazioni che si tennero nel dicembre del 384 nelle case dei principali
dialogo
rigine germanica: esponenti di questa nazionalità sì erano a tal punto inseriti nella esponenti dell’aristocrazia rom ana, da parte di un gruppo di im portanti personalità
tradizione e nella cultura di R om a d a interessarsi alle questioni di retorica, uno dei della politica e della cultura riunite a convivio per le festività dei Saturnali (17-19
prodotti più raffinati della civiltà classica. dicembre). Al dialogo partecipano figure di prim o piano della Rom a della seconda
m età del IV secolo, da Vezio Agorio Pretestato, che nel prim o giorno ospita gli
amici a casa sua, a Virio Nicomaco Flaviano, l’ospite della seconda giornata, a Quinto
A urelio Simmaco, nella cui casa è am bientata la terza giornata. F ra gli altri protago­
Macrobìo nisti abbiamo scrittori come Avieno, grammatici come Servio, filosofi come Eustazio
ed O ro, medici come Disario, oratori come Eusebio, uomini politici, ecc. A vivaciz­
Vita Le notizie su Ambrogio Teodosio Macrobìo sono poche e gli studiosi hanno zare l’ambiente provvede Evàngelo, probabilm ente un personaggio inventato, che
si distingue per ignoranza e superbia, e provoca le messe a punto degli altri perso­
proposto ricostruzioni piuttosto diverse della sua vita. Certamente non fu romano,
naggi. La prim a giornata, e i primi due libri, sono dedicati ad argomenti di varia
ma non è certo che fosse nativo dell’Africa, come alcuni pensano; a Roma ebbe erudizione su problem i religiosi e al racconto dei m otti di spirito degli antichi; la
una brillante carriera politica e fu in rapporto con le grandi famiglie dell’epoca, seconda e la terza giornata, con tutti i rim anenti libri, hanno per argom ento Virgilio,
in primo luogo quella dei Simmachi. I suoi scritti, secondo la teoria più accredita­ nelle cui opere si trovano inform azioni antiquarie di ogni genere e preziosi modelli
ta, sarebbero certamente posteriori al 384 e anteriori agli ultimi decenni del V di stile. L ’opera presenta varie lacune, anche piuttosto ampie, che rendono a volte
secolo; molti lo identificano con il Macrobio che fu prefetto di Spagna nel 399 difficile seguire il filo del discorso.
e proconsole d’Africa nel 410: se questa ipotesi è vera, Macrobio nacque poco
dopo la metà del IV secolo, forse intorno al 360, e compose la sua opera principa­ L’ambientazione L’ambientazione scelta per i Saturnali risponde a criteri seguiti per altre
le, i Saturnali, fra il 384 e il 395. Altri invece pensano che lo scrittore vada identifi­ tipica opere analoghe, greche e latine, che partono da banchetti e festeggiamenti
cato con il Teodosio che fu prefetto del pretorio per l’Italia nel 430: se fosse
per raccontare poi i discorsi lì tenuti, conferendo in tal modo alla trattazione
vera questa seconda ipotesi Macrobio non sarebbe nato prima del 390, e i Satur­
nali sarebbero stati scritti fra il 430 e il 440.
dottrinale una cornice letteraria che ha il compito di alleggerire la fatica
del lettore e rendere più gradevole l’esposizione. Macrobio sa descrivere molto
bene la società pagana di Roma e i suoi personaggi sono felicemente caratte­
530 DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA I PANEGIRISTI 531

rizzati. Spicca la triade dei padroni di casa, Pretestato, Flaviano e Simmaco, geranno fino a noi attraverso i codici medioevali. Le Storie di Livio sono curate
e soprattutto il primo dei tre: anche dalle epigrafi e da altre opere del tem­ dalle famiglie dei Simmachi e dei Nicomachi, im parentate fra loro; altri dotti si
dedicano alle opere di M arziale, Giovenale, Apuleio e ad altri testi antichi. L ’im pe­
po, non meno che dalle vicende storiche della seconda metà del IV secolo, gno in questo prim o «umanesimo», che non si consum erà nel giro di pochi decenni,
questi tre senatori risultano essere gli esponenti principali del partito pagano. m a — almeno in Italia — durerà un paio di secoli, era avvertito come compito
Pretestato era un gran sacerdote, esperto di culti orientali, ma anche un fondam entale dell’intellettuale e del politico.
abile politico, capace di affrontare e risolvere, tra l’altro, il difficile problema Di questo periodo è u n ’altra opera che ebbe grande fortuna nel Medioevo, la trad u ­
Calcidio e il zione e il parziale commento del Timeo di Platone, che un autore cristiano, Calcidio,
degli scontri tra le fazioni cristiane che tormentarono Roma dopo l’elezione
Timeo platonico compose su invito di Osio di Cordova (su cui cfr. p. 541). Finché gli umanisti del
di papa Damaso: in forza dell’autorità che gli veniva dalla carica di prefetto Q uattrocento non ritroveranno il contatto diretto con la lingua greca, la traduzione
di Roma, eliminò ogni contesa favorendo, lui pagano, il papa in carica. di Calcidio costituirà l’unico approccio per il m ondo occidentale al testo platonico.
Flaviano fu prefetto del pretorio, e recitò una parte importante a favore
dell’usurpatore Eugenio, proclamato imperatore in appoggio alle richieste
dei pagani: sconfitto da Teodosio scelse il suicidio, secondo l’antica tradizio­ I Panegiristi
ne stoica; accanto all’impegno politico coltivava l’attività letteraria e scrisse
opere storiografiche (cfr. p. 542). Simmaco è il famoso oratore ed epistolo­ Collegata con il mondo della scuola e della cultura retorica è anche
grafo di cui si parlerà più avanti, l’esponente per noi più noto di questi circoli. l’oratoria. E questo non solo perché la declamazione di discorsi basati su
Ad essi, come a tutti gli altri personaggi, Macrobio assegna battute ed occasioni fittizie costituiva ancora una delle esercitazioni più importanti e
interventi che rispondono bene al loro carattere: il grande esperto di religio­ diffuse nelle scuole di retorica, ma anche perché erano spesso maestri di
ne, Pretestato, interviene sul calendario, sul diritto pontificale ed in generale scuola a tenere i discorsi ufficiali con cui si ringraziavano gli imperatori
sui problemi religiosi; l’oratore Simmaco sull’eleganza di Virgilio; Servio per le iniziative prese a favore dello stato o di una particolare regione. Si
commenta alcuni passi difficili delle opere virgiliane; il filosofo Eustazio tratta di un preciso genere letterario, non nuovo, ma canonizzato di recente
parla della filosofia in Virgilio e così via; per di più l’esposizione è sempre dai retori greci e soprattutto da Menandro di Laodicea (III secolo d.C.):
piuttosto articolata, e con vari artifizi letterari si evita la monotonia. I Sù- quello dei panegirici.
turnali acquistano così una leggibilità che manca ad altre opere dello stesso
tipo, e divengono un prodotto di buon livello, anche a prescindere dall’utili­ Di queste particolari orazioni ci è pervenuta u n ’im portante raccolta che va sotto
tà delle informazioni in essi contenute. Queste provengono dalle fonti più il nome di Panegyrici L a tin i, e com prende dodici discorsi che coprono il periodo
varie, greche e latine, da Varrone a Plutarco, da Svetonio a Gellio a tanti tra la fine del III secolo e la fine del IV, eccezion fatta per il prim o della serie,
che è il panegirico pronunziato da Plinio il Giovane per Traiano (cfr. p. 436). Dopo
altri eruditi minori a noi più o meno noti; ma l’abilità di Macrobio sta questo discorso, collocato all’inizio sia per l’im portanza dell’autore sia perché è di
nel sapere fondere le sue schede ricavate da questa o da quell’opera in un gran lunga il più antico, seguono gli altri undici in ordine sparso. Di essi, due sono
discorso unitario, senza particolari differenze tra una sezione e l’altra. dedicati a M assimiano, collega di Diocleziano nell’im pero, e un terzo congiuntam en­
Vitalità della Nel sereno ambiente di dotti che ci viene presentato dominano questioni te a Massimiano e Costantino; uno è per Costanzo, il padre di Costantino; a Costan­
tradizione tutt’altro che futili: il tema di fondo è la presenza e l’eredità della cultura tino sono diretti quattro discorsi (ai quali si aggiunge quello che lo vede affiancato
classica a M assimiano); uno è indirizzato a Giuliano; uno a Teodosio; uno, infine, non ha
classica, intesa come tradizione poetica, ma anche come tradizione religiosa. per destinatario un personaggio imperiale, m a il governatore della Gallia.
Attraverso personaggi come Pretestato e Flaviano vengono affrontate le que­ L a raccolta, così come ci è pervenuta, fu messa insieme in G allia tra la fine del
stioni nodali del tardo paganesimo, con una sistemazione teologica ed etica IV secolo ed il V. Dopo il panegirico di Plinio, che doveva costituire una specie
che tende a definire un sistema religioso e filosofico da contrapporre al trion­ di modello indiscusso, seguono altri tre discorsi con l’indicazione del nome degli
autori: Latinio P acato D repanio, autore del panegirico di Teodosio, l’ultimo in ordi­
fante Cristianesimo. Gli interessi di Macrobio per la filosofia, soprattutto ne cronologico (389); Flavio Claudio M amertino, che ringrazia Giuliano per averlo
quella neoplatonica, sono del resto confermati dall’altra opera, il commento nom inato console per il 362; N azario, un retore gallico, autore di un panegirico
al Somnium Scipionis, ricco di osservazioni astronomiche, ma anche di in­ di Costantino nel 321. Gli altri sette discorsi sono raccolti sotto il titolo di Panegyrici
terpretazioni mistiche ed allegoriche. L’opera di Macrobio era accompagna­ diversorum, rinviano tutti agli ambienti della scuola gallica e sono per lo più anonimi.
ta, nei manoscritti antichi, dal testo ciceroniano oggetto di commento, che
così ha potuto evitare il destino degli altri libri del De re publica. Questa collezione di discorsi copre esattamente un secolo di oratoria
elogiativa, e consente di analizzare con sufficiente ampiezza di dati un gene­
re letterario che fu molto importante nella tarda antichità. Il lettore moder­
Le edizioni dei classici
no può rimanere stupito e infastidito dinanzi ad elogi eccessivi ed esaltazioni
A lla passione per gli studi rinviano anche altre attività culturali assai fiorenti in ingiustificate dei potenti, ma va tenuto presente che il discorso scritto era,
questo secolo. E vivace l’iniziativa nel campo della critica testuale con la definizione Il panegirico per il mondo antico, l’unico mezzo di comunicazione di massa e il veicolo
di edizioni sempre più corrette e sicure; si compie ormai in m aniera definitiva il strumento di di diffusione e di propaganda dei programmi politici: l’oratore professioni­
passaggio dal rotolo di papiro al codice di pergamena, e si avverte l’esigenza di propaganda e sta, pronunciando il suo panegirico, assolveva così al compito del pubblici­
com pletare questa operazione con l’allestimento di testi che eliminino gli errori. I d ’intervento
principali esponenti delle famiglie più in vista si dedicano a questo lavoro di revisio­ tario che organizza una campagna di convincimento, ma forse con maggiore
ne insieme con specialisti del settore, em endando i classici nelle form e che poi giun­ autonomia e creatività. Nel citare le qualità delPimperatore, delineava una
532 DA COSTANTINO AL SACCO DI ROMA SIMMACO 533

graduatoria di valori, é se da un lato agiva sugli ascoltatori per farli aderire Opere Dei molti discorsi che compose, e che lo resero famoso, ci sono pervenute soltanto
al progetto dei detentori del potere, dall’altro poteva anche rivolgersi a que­ otto orazioni, per di più assai lacunose: tre sono indirizzate agli imperatori Valentiniano
sti ultimi sottolineando elementi che riteneva di maggior rilievo e sfumando e Graziano, e costituiscono veri e propri panegirici, cinque sono state tenute in senato.
altri aspetti per lui meno convincenti; non era quindi una comunicazione Meglio conservate le Lettere, un epistolario in dieci libri contenente oltre 900 missive.
che andasse in una sola direzione, dal trono verso i sudditi, perché il panegi­ Le Relazioni, infine, sono una cinquantina di lettere ufficiali inviate agli imperatori
nel periodo in cui fu prefetto di Roma.
rista riusciva anche a raccogliere in qualche modo i desideri e le necessità
delle popolazioni e a presentarli al regnante abilmente intrecciati con gli elogi.
Di qui l’interesse che i panegirici presentano su piani diversi, anche se Le orazioni di Il giudizio degli antichi vedeva in Simmaco l’oratore per eccellenza, e
spésso non separati: ci informano sulle scuole di retorica, sulPinsegnamento Simmaco dava poco peso alle altre sue opere; i moderni invece sono costretti a valutar­
in esse impartito e quindi sulla formazione culturale e ideologica non soltan­ lo soprattutto per le sue lettere, che ci sono pervenute in gran numero, e
to dei retori, ma in pratica di tutto l’importantissimo ceto dei burocrati costituiscono una delle nostre fonti migliori sulla tarda antichità. Delle ora­
e dei detentori del potere economico; ci mostrano le tendenze letterarie della zioni ci sono pervenuti soltanto pochi frammenti: mancano del tutto alcuni
prosa tardoantica, la sua sostanziale continuità con quella del I-II secolo discorsi che gli antichi esaltavano come capolavori di arte oratoria e di abilità
Il panegirico (non è un caso che il primo pezzo della raccolta sia il panegirico .di Plinio politica, e anche quelli di cui è pervenuto qualcosa sono gravemente lacunosi.
veicolo di a Traiano); ci illustrano le linee politiche a cui i diversi imperatori si ispira­
riflessione politica
vano, o volevano far credere di ispirarsi; ci documentano sulle condizioni Questi ultimi sono, per di più, opere giovanili: due panegirici di V alentiniano, data­
e culturale bili al 369 e al 370, uno di Graziano del 369; più tard a è u n ’orazione prò p atre,
di vita o su specifici avvenimenti del periodo. Naturalmente non tutti i di­
tenuta in senato, che ringrazia per il consolato concesso al padre e coglie l’occasione
scorsi sono egualmente ricchi o ben riusciti: a volte le preoccupazioni e la
per esaltare gli im peratori. Soltanto pochi periodi ci rim angono degli altri discorsi
paura di compromettersi assumendo posizioni troppo precise provocano ca­ in senato, che avevano come argomento la carriera politica di personaggi più o meno
dute nel generico, rimozione delle questioni più scottanti, fuga verso i più in vista nell’am bito senatorio. Complessivamente, se i discorsi agli im peratori m o­
comodi luoghi comuni; ma, a guardare con attenzione, si nota che ciò avvie­ strano tutti i caratteri propri dei panegirici, quello che si può ricostruire dei discorsi
ne assai di rado, e spesso è soltanto colpa nostra se non sappiamo cogliere in senato rinvia alle architetture tipiche delle scuole dì retorica, con le loro declama­
zioni ricche di pathos e abilmente articolate.
le indicazioni e i precisi riferimenti, abilmente contenuti in sottili allusioni
che non sfuggivano all’esercitato pubblico antico.
L’epistolario di Inserito in una tradizione letteraria che per l’età imperiale era stata resa
Il panegirico di T ra i panegirici più famosi è quello di Eumenio, pronunziato nel 298 ad A utun Simmaco illustre da Plinio il Giovane, l’epistolario di Simmaco offre un repertorio
Eumenio dinanzi al governatore della Gallia Lugdunense, e comunemente intitolato Pro dei personaggi più importanti dell’epoca: Pretestato, Nicomaco Flaviano,
instaurandis scholis. Le devastazioni che avevano afflitto l’im pero nel I I I secolo Ausonio, Ambrogio e altri grandi uomini di cultura vi trovano posto accan­
avevano colpito anche quella città, privandola delle sue scuole, un tempo abbastanza
famose; ora però, nel nuovo clima di tranquillità e di speranza prodotto dalla tetrarchia
to a generali di origine barbarica come Ricomere, Stilicone e Bautone, a
di Diocleziano, si può sperare in una rapida ricostruzione. Eumenio, nom inato a stretti parenti e ad altri personaggi che forse Simmaco non avrà mai visto
capo di queste scuole con un altissimo stipendio, interviene presso il governatore direttamente e a cui si rivolge solo per gli obblighi di cortesia vigenti in
per accelerare la ricostruzione, e a questo fine dedica una notevole parte del discorso una società complessa come quella tardoantica. Una così gran mole di lette­
all’im portanza che ha per il benessere dello stato l’istruzione e la formazione delle re costituisce un prezioso patrimonio di informazioni, ancora in gran parte
nuove generazioni.
da sfruttare. Fra i temi più trattati è quello dell’amicizia, intesa anche come
garanzia di reciproci favori tra i due amici: donde un cospicuo numero di
Simmaco lettere di raccomandazione (perfino S. Agostino si servì di una segnalazione
di Simmaco per avere la cattedra di retorica a Milano); ma anche informa­
L’oratoria, essendo prevalentemente professata dai maestri di retorica, zioni sull’attività edilizia nel Lazio e nella Campania, o riferimenti a qualche
veri professionisti della parola, risultava quindi strettamente connessa con grosso scandalo amministrativo e alle conseguenti vicende giudiziarie, o la­
il mondo della scuola; eppure il più famoso tra gli oratori del IV secolo, Lo stile mentele per l’esosità delle tassazioni. Lo stile è per lo più gradevole, tenden­
Simmaco, il quale è anche un grande scrittore, non proviene dall’ambiente te ad una brevità che Simmaco esplicitamente dichiara essere la principale
scolastico, ma dall’aristocrazia senatoria romana. qualità di una lettera; non mancano qua e là battute di spirito.

Vita Quinto Aurelio Simmaco, soprannominato Eusebio, nacque da nobile famiglia L ’epistolario non fu pubblicato da Simmaco, m a dal figlio Memmio, fra il 402 e
intorno al 340-345. Il padre, Lucio Aurelio Avianìo Simmaco, detto Fosforio, fu un il 408: questo non ci consente di attribuire con certezza all’autore delle lettere anche
importante senatore. Simmaco ebbe una carriera politica rapida e fortunata: tra le i criteri secondo cui queste sono state selezionate e raccolte. È evidente che sono
state eliminate tutte le lettere indirizzate ai personaggi- più scomodi, come usurpatori
cariche di maggior rilievo vanno ricordate il proconsolato d’Africa e soprattutto la
o com andanti traditori, e in generale che è stato com piuto un discreto lavoro di
prefettura di Roma, tenuta fra il 383 ed il 385; console nel 391, fu spesso inviato censura di cui ci sfuggono i term ini precisi. L ’ultim o libro, che com pleta la raccolta
a corte in rappresentanza del senato di Roma; morì intorno al 402-403. Dalla moglie Ru- e porta il numero complessivo dei libri a dieci, tanti quanti sono quelli dell’epistolario
sticiana ebbe due figli, una femmina che sposò un figlio di Nicomaco Flaviano ed un di Plinio il Giovane, conteneva le lettere personali agli im peratori; è andato in gran
maschio, Quinto Fabio Memmio Simmaco, che continuò gli interessi letterari del padre. parte perduto, e ci sono rimaste soltanto una lettera a Teodosio ed una a Graziano.
534 DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA LE DISCIPLINE SCIENTIFICHE 535

Le Relationes: Le Relationes sono invece delle lettere ufficiali, inviate agli imperatori una particolare fioritura specialistica, facilitata da una favorevole legislazio­
un’immagine vìva su questioni amministrative di cui il prefetto di Roma doveva informare ne e motivata da esigenze pratiche di tipo economico o militare: anche per
della realtà la corte, anche per riceverne istruzioni. Se l’epistolario è prezioso per le gli eserciti e le scienze della guerra si affrontano in opere composte al riguar­
burocratica e
notizie sulla vita di tutti i giorni, le Relationes ci schiudono il mondo della do i principali problemi teorici fornendo inoltre indicazioni di comporta­
politica mento in particolari situazioni.
burocrazia, del complesso intreccio di questioni giuridiche e di interessi poli­
tici che condizionavano l’attività di un importantissimo ufficio dello stato.
La Medicina Plinii Probabilm ente nella prim a metà del secolo fu com posta la cosiddetta M edicina Pli­
Ricche di notizie sul diritto e sulla procedura, sono state studiate dagli stori­ e altre opere nii, in tre libri, che rielabora m ateriale tratto dalla Naturalis historia, aggiungendo
ci e dai giuristi più che dai filologi, tranne la famosa Relatio III, quella mediche però ricette nuove inventate dall’autore; non m ancano, infine, alcuni suggerimenti
sull’altare della Vittoria, che vide su opposte posizioni Simmaco e Ambro­ per la preparazione di prodotti cosmetici. Nella prefazione l’autore dichiara di voler
gio, ed è stata sempre presa a simbolo dell’ultimo scontro fra pagani e cri­ fornire a tutti uno strum ento contro l’avidità dei medici, che pretendono compensi
esosi per le loro prestazioni. A ll’inizio del V secolo, Teodoro Prisciano scrisse degli
stiani, con il definitivo prevalere di questi ultimi.
Euporlston libri, giuntici quasi integralmente. T ra il IV secolo e l’inizio del V furono
composte anche alcune opere mediche — fra cui un Erbario — che nel Medioevo
La Relatio III e il L ’altare della V ittoria era stato collocato nella sede del senato da A ugusto, e vi
furono attribuite ad Apuleio, per la fam a di scienziato che circondava questo scrittore.
problema era rimasto senza problemi fino a Costanzo, il quale l’aveva fatto togliere in quanto Per la veterinaria, oltre un trattato sulle m alattie dei cavalli, opera di Pelagonio
La veterinaria
dell’altare della simbolo della vecchia religione; ricollocato al suo posto da Giuliano, fu nuovamente (seconda m età del IV secolo), vanno ricordate l’anonim a M ulom edicina Chironis,
Vittoria rimosso per volontà di Graziano nel 382. Il senato, la cui maggioranza era ancora rielaborazione latina in dieci libri di un originale greco, e soprattutto la M ulom edici­
pagana, inviò a corte Simmaco ed altri influenti senatori, m a la delegazione non Vegezio na di Flavio Vegezio Renato. Vegezio, un cristiano, visse alla fine del IV secolo,
fu ricevuta per un intervento su G raziano da parte di papa Damaso e di Ambrogio. ebbe im portanti incarichi militari e politici, e stese in quattro libri note di veterinaria
Nel 383 G raziano fu ucciso dall’usurpatore M assimo, e si ebbe una forte ripresa tratte da precedenti m anuali greci e latini; quasi a dimostrazione delle strette connes­
del gruppo pagano, con la nom ina di Pretestato a prefetto del pretorio e di Simmaco sioni tra questa scienza e i problem i di arte m ilitare (i cavalli erano fondam entali
a prefetto di Rom a. I senatori tentarono dunque, ancora una volta attraverso Sim­ per gli eserciti tardoantichi), Vegezio scrisse anche un trattato dal titolo Epitom e
maco, di ottenere dall’im peratore Valentiniano II il ripristino dell’altare: la terza
rei militaris, che riprende fonti più antiche sul reclutam ento, gli schieramenti, le
Relatio è appunto il testo in cui, in nome della libertà di religione, si chiede di
tattiche di battaglia e di assedio, gli scontri navali: anche questo secondo scritto
consentire ai pagani di venerare le loro divinità. L a risposta venne ancora una volta
di Vegezio è diviso in quattro libri.
da A mbrogio, il quale, con due lettere che minacciavano l’im peratore di scomunica,
ottenne che la petizione fosse respinta e il Cristianesimo fosse di fatto conferm ato L’anonimo De Di arte militare tratta anche l’anonim o D e rebus bellicis, scritto nella seconda metà
come unica religione consentita (cfr. p. 569). rebus bellicis del IV secolo, una delle opere più lucide della tard a antichità, sia per le molte inno­
vazioni tecnologiche proposte nel campo delle macchine m ilitari, sia per le acute
La trattazione di Simmaco è molto elegante e toccante; Roma stessa, osservazioni di economia e di politica sparse qua e là nell’opera.
personificata, chiede che la Vittoria rimanga sempre al suo fianco, in nome L’agraria: Palladio A ll’agraria appartengono i quattordici libri àtW O pus agriculturae o D e re rustica
di un glorioso passato e del mistero che circonda i fatti della fede: uno di Palladio Rutilio T auro Emiliano. Palladio dedica i libri dal II al X III al lavoro
itinere non potest perveniri ad tam grande secretum («seguendo soltanto una da compiere nei singoli mesi dell’anno, mentre il I funge da introduzione generale:
via non è possibile attingere un così grande mistero»). Ma accanto alla devo­ alla fine, in versi, è aggiunta come XIV libro una parte sugli innesti, intitolata De
insitione (si ricordi che anche Columella aveva scritto in esametri il X libro del suo
zione per l’antica gloria di Roma e al culto per il suo passato non mancano trattato di agricoltura). L ’opera, scritta tra la fine del IV secolo e l’inizio del V,
motivi economici più concreti: l’imperatore deve ristabilire i finanziamenti presenta il punto di vista del proprietario terriero occidentale, alle prese con una
al culto, perché i pagani sanno bene che, se verrà meno la congrua somma rapida innovazione tecnologica e con le modificazioni sociali che porteranno ad una
necessaria al mantenimento dei sacerdoti, il mantenimento degli antichi culti diversa organizzazione del lavoro.
e dei sacerdozi tradizionali diverrà sempre più problematico. Sotto una di­ La geografia: Di geografia si interessò invece Vibio Sequestre, autore del D e flu m in ib u s fo n tib u s
Questioni di sputa dall’apparenza tutta ideologica (che Simmaco affronta distinguendosi Vibio Sequestre lacubus nem oribus paludibus m ontibus gentibus p er litteras, un elenco alfabetico
potere in forma per l’eléganza formale e la capacità di toccare le corde emotive di maggiore di inform azioni tratte dai poeti, soprattutto Virgilio e Lucano, e dai diversi commen­
sublimata ti in circolazione. Allo stesso periodo fra il IV e il V secolo appartengono anche
efficacia, ed Ambrogio invece per la durezza che quasi tocca l’arroganza
alcuni manuali, itinerari e carte geografiche, come il cosiddetto Itinerarium A n to n i­
e per la sicurezza di essere dalla parte vincente) c’è dunque più che un altare ni, composto dopo Diocleziano, con la descrizione dei viaggi dell’im peratore A ntoni­
o la questione del rispetto delle tradizioni: si discute di forti stanziamenti no Pio, e VItinerarium H ierosolym itanum , con le notizie su un viaggio compiuto
di danaro, e con essi di immediate e pressanti situazioni di prestigio e di potere. nel 333 da Bordeaux a Gerusalemme (donde il titolo), a Rom a ed infine a Milano.
Fra tutti questi racconti di viaggi, il più famoso è VItinerarium Egeriae, noto anche
La Peregrinatio come Peregrinatio Aetheriae (il nome dell’autrice non è infatti tràdito concordemente
L e discipline scientifiche Aetheriae dai codici). Scritto da un a nobile signora, probabilm ente spagnola, e dedicato alle sue
consorelle in Cristo, racconta un pellegrinaggio al Sinai, in Palestina e in M esopotam ia
Grammatica e retorica avevano un posto dominante nella scuola tar- com piuto sul finire del IV secolo; l’opera è giustamente fam osa per l’accattivante sem­
doantica, ima non esaurivano il ventaglio delle discipline; c’era posto anche plicità dell’esposizione, e soprattutto per la particolarissim a lingua impiegata dall’autri­
ce, che mescola a form e classiche parole e strutture sintattiche tipiche del linguaggio
per le materie cosiddette scientifiche, dalla medicina alla veterinaria, dall’a­ parlato, in un latino che per vari aspetti prelude ai futuri sviluppi delle lingue romanze.
I manuali tecnico­ graria alla geografia. E anche per queste materie si producono manuali ad
scientifici uso degli studenti e trattati pratici per le applicazioni, con particolare atten­ Il De ponderibus Un vero e proprio trattatello di metrologia in versi è il D e ponderibus et mensuris,
zione agli aspetti tecnici. La tarda antichità conosce anzi in questo campo et mensuris 208 esametri indirizzati da un Remio Favino (così i codici, m a alcuni preferiscono
536 DA COSTANTINO AL SACCO DI ROMA LATTANZIO 537

leggere Remmio Flaviano) ad un Simmaco, che potrebbe essere il figlio del famoso La polemica Il suo obiettivo principale era quello di mostrare l’errore delle dottrine
oratore. N on vi si parla soltanto dei pesi e delle misure dei Greci e dei Rom ani, contro le tesi neoplatonìche. Ma Arnobio doveva essere passato lui stesso attraverso que­
e delle formule matematiche da adottare per passare dagli uni agli altri, m a anche neoplatoniche ste esperienze, ed era rimasto condizionato dalle culture misteriche; grazie
dei liquidi e di alcuni interessanti problemi di fisica.
al suo mestiere, conosceva meglio i classici pagani che la Bibbia, da lui poco
usata per quanto riguarda il Nuovo Testamento e addirittura criticata come
favola giudaica per il Vecchio Testamento. Per Arnobio l’anima umana non
era creata da Dio, ma da una specie di demiurgo, ad esso inferiore e perciò
2. Il trionfo del cristianesimo capace solo di creazioni imperfette, che fanno l’anima mortale, mentre l’im­
mortalità è riservata soltanto ai buoni, per un successivo speciale intervento
divino. Anche sul Cristo la posizione di Arnobio è assai strana: certamente
L’impero di Costantino segna per il Cristianesimo una fase di cambia­
inferiore al Padre, avrebbe soltanto una funzione di insegnamento. Ma quanto
menti profondi, che vanno anche al di là del riconoscimento ufficiale conte­
è insicuro sulla teologia cristiana tanto Arnobio è ben informato sul pagane­
nuto nell’editto di Milano del 313, con cui si sanciva la liceità della nuova
simo, che critica con una carica ironica a volte gustosa, sempre letteraria­
religione. Il progressivo estendersi del Cristianesimo nei ceti abbienti e po­ mente felice, e con un realismo da satira o da commedia che ricorda i mi­
Realismo satirico
tenti, l’attenzione dell’imperatore per le dispute teologiche, il rapido passag­ contro il gliori scrittori dell’età classica.
gio dei cristiani da un atteggiamento difensivo (anche se vivace e a volte paganesimo Con il suo tormentato e irrisolto percorso dal paganesimo al cristianesi­
violento, come quello di parte della precedente apologetica) a una posizione
mo, Arnobio ci rappresenta l’itinerario di molti uomini di cultura fra il III
di potere e addirittura di monopolio ideologico, comportarono di necessità
e il IV secolo, tra dubbi e persecuzioni, adesioni emotive ed ansie di ritorsio­
rivolgimenti profondi, che lasciarono traccia nel dogma non meno che nel­
ne. Se è vero — come sembra — che VAdversus nationes fu scritto da Arno­
l’organizzazione, nella composizione sociale del clero non meno che nella
bio per dimostrare la solidità dottrinaria della propria fede ad un vescovo
produzione letteraria. Un’idea della rapidità con cui intervennero questi cam­ che la metteva in dubbio, la lettura dei sette libri conferma che le preoccupa­
biamenti si può avere confrontando le posizioni di tre scrittori che vissero a
zioni del buon vescovo non erano infondate: ma la circostanza occasionale
pochi anni di distanza l’uno dall’altro: Arnobio, Lattanzio e Firmico Materno.
di composizione che fu alla base dell 'Adversus nationes ci ha consentito
di disporre di un efficace ritratto delle complicate intersezioni tra vecchia
Arnobio e nuova fede, tra filosofia, misteri e teosofia.

Vita Arnobio nacque in Africa, a Sicca Veneria, intorno alla metà del III secolo; Lattanzio
fu maestro di scuola in quella città, e si convertì al Cristianesimo piuttosto tardi,
negli ultimi anni del secolo. Morì in età assai avanzata, intorno al 327.
Vita Lucio Celio Firmiano Lattanzio nacque intorno alla metà del III secolo in Afri­
Opere Adversus nationes, in sette libri. Fu scritto dopo le persecuzioni di Diocleziano, ca, fu allievo di Arnobio e divenne anch’egli maestro di retorica. Insegnò retorica
ricordate nell’opera, ma prima dell’editto di Milano, dunque probabilmente fra il latina in Bitinia, a Nicomedia, dove si trovava all’epoca delle persecuzioni di Dio­
305 e il 3 1 0 .1primi due libri espongono la dottrina cristiana e respingono le accuse cleziano, che lo costrinsero a lasciare l’insegnamento: a Nicomedia, infatti, Lat­
di chi imputava ad essa le recenti disgrazie dell’ impero; i libri dal III al V trattano tanzio si era convertito al Cristianesimo. Nel 317 fu scelto da Costantino come
le dottrine teologiche del politeismo, che vengono confutate negli ultimi due libri. precettore per il figlio, Crispo, e si recò in Gallia per assolvere questo compito.
Morì dopo il 324.
L’apologetica di Arnobio risente molto della violenza che caratterizza Opere Sono completamente perduti gli scritti del periodo pagano, cioè un Sympo­
i primi scrittori cristiani della terra d’Africa: non è un caso che per la pro­ sium , un Hodoepòrìcum, con la descrizione in versi del viaggio daH’Africa alla
pria opera Arnobio abbia scelto un titolo che richiama molto da vicino quel­ Bitinia, ed un trattato grammaticale. Del periodo successivo sono perdute anche
La polemica lo del primo scritto di Tertulliano, l'A d nationes. Ma Arnobio è anche un le Lettere, in otto libri, e ci rimangono invece sei opere. De opificio Dei, scritto
antipagana di un neòfita, convertito solo in età adulta, se non addirittura alle soglie della fra il 303 e il 305, sulla perfetta armonia della natura e suN’immortalità dell’anima,
convertito vecchiaia, e anche per questo avverte più forte l’esigenza di polemizzare che Lattanzio difende con convinzione. Divinae institutiones, in sette libri, dedica­
te a Costantino, che furono iniziate nel 304 e completate nel 314, ma con aggiun­
contro le cose in cui aveva creduto da giovane. La conversione recente si
te degli anni fra il 322 e il 324: i primi due libri sono contro il paganesimo, il
mostra però anche in alcune posizioni teologicamente assai discutibili, in III contro la filosofia, il IV sul Cristo, il V e il VI sulla teologia cristiana, il VII
grosse confusioni che vanno ben al di là di qualunque eresia, in una disin­ sul giudizio universale e il destino delle anime. Del 314 è un 'Epitome che riassu­
formazione che spesso sconfina nella vera e propria ignoranza. Su questi me e rielabora le Divinae institutiones. Dello stesso anno 314 è il De ira Dei,
due binari, quello dell’aggressività antipagana e quello delle inesattezze dot­ sulla necessità che Dio si adiri contro i malvagi per dimostrare il suo amore verso
trinali, si muove tutta l’opera, alternando pagine di elegante retorica (si ri­ i buoni. De mortìbus persecutorum, del 315, con aggiunte del 320, che ricorda
cordi che Arnobio insegnava nelle scuole) e bizzarre costruzioni fantastiche, le drammatiche morti di quanti hanno perseguitato i cristiani. Il carme De ave
che mescolano temi del Cristianesimo e teorie di quelle sette filosofiche e phoenice è, infine, un’elegia sulla fenice, simbolo di Cristo, la cui attribuzione
religiose che Arnobio voleva combattere. a Lattanzio resta incerta.
538 DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA HRMICO MATERNO - GLI ANTIAtUANI 539

Argomentazione Benché sia allievo di Arnobio, Lattanzio, soprattutto nelle sue prime smo della Chiesa ed esaltazione di Costantino) sono presenti, con assai più
sistematica, e maggiori opere, è un pensatore sistematico, assai equilibrato, lontano dagli ampio respiro, nell’opera del contemporaneo di lingua greca Eusebio di Ce­
esposizione eccessi del maestro sia per l’argomentazione sia per lo stile: tradizionalmente sarea; in quegli stessi anni, con la sua Historia Ecclesiastica, egli apriva
classicamente
paragonato a Cicerone, Lattanzio procede con periodi ampi e ben articolati, al genere storiografico una prospettiva nuova, nella quale la Chiesa e le
equilibrata
non ama le battute ad effetto, si affida ad un ragionamento coinvolgente sue vicende si facevano centro di interesse per la narrazione.
e abbastanza pacato. Se il De opificio Dei risente ancora di un’impostazione
filosofica che rinvia alle scuole di pensiero classiche, e soprattutto allo stoi­
cismo, e mostra solo qua e là tratti più definiti di Cristianesimo, le Divinae Firmico M aterno
institutiones ambiscono invece ad essere un libro fondamentale di sistema­
Siciliano — nato forse a Siracusa — retore ed avvocato, Giulio Firmico
zione della dottrina cristiana, così come le molte institutiones composte nella
tarda antichità su vari argomenti, e soprattutto sul diritto. Altro problema Materno fu attivo una ventina di anni dopo Lattanzio.
Prima della conversione, collocabile fra il 337 e il 346, Firmico scrisse
è se Lattanzio sia riuscito o meno a delineare il quadro organico che si
era proposto, e se l’acume della sua riflessione sia paragonabile a quello i Matheseos libri Vili, il più completo trattato latino di astrologia che ci
Un’apologetica dei grandi pensatori cristiani greci o, tra i latini, di un Agostino. Non c’è sia pervenuto. L ’ispirazione filosofica rinvia al neoplatonismo, su cui sono
fatta di innestate le dottrine astrologiche e divinatorie, presentate come unica scienza
dubbio che Lattanzio sia un attento filologo, uno studioso pieno di scrupo­
razionalismo lo, assai più che un filosofo originale o un creatore di teorie; ma si deve, che possa mettere l’uomo in contatto con la divinità e con il proprio fato;
in più, cogliere l’importanza dell’operazione da lui compiuta nel trasportare frequenti sono le digressioni moralistiche e i riferimenti a personaggi e a
vicende dell’epoca. Dopo la conversione, Firmico scrisse il De errore profa-
l’apologetica dal piano della disputa passionale a quello dell’analisi raziona­
narum religionum, dedicato agli imperatori Costanzo e Costante; la confuta­
le. Lattanzio studia il politeismo cercandone le radici nella divinizzazione
zione del paganesimo è condotta con la violenza che aveva caratterizzato
di grandi uomini defunti, esplorando una linea di continuità dal sapere anti­
co a quello moderno; tende quindi a ridurre le contrapposizioni ad un crite­ gli antichi apologisti, con pesanti sarcasmi e un’oratoria di tipo forense,
ma soprattutto è accompagnata da esortazioni agli imperatori perché confi­
rio di evoluzione, dall’errore alla verità, dalla filosofia alla fede.
schino tutti i beni dei templi pagani, impongano con la forza l’abiura a
Il Cristianesimo Lattanzio rompe così con la tradizione apologetica di Tertulliano, anco­
quanti credono ancora nella vecchia religione e, se necessario, facciano ucci­
assorbe la ra tanto presente in Arnobio, e, in coerenza col programma costantiniano,
sapientia classica Firmico e il clima dere quelli che non sono disposti a convertirsi. È la testimonianza più evi­
tende a presentare un Cristianesimo egemone perché capace di arricchirsi
di intolleranza dente di come le cose siano ormai volte a favore del Cristianesimo: si è
del meglio della cultura antica. Il Cristianesimo diventa quasi il frutto natu­ contro i pagani già diffuso, in taluni ambienti cristiani che Firmico ben rappresenta, un cli­
rale della sapientia classica: non deve perciò incutere paura, e può senza
ma di intolleranza, che si alternerà a posizioni più ragionevoli ed umane
Pacatezza di troppi problemi divenire la nuova religione di Roma. La conferma degli
fino all’eliminazione o all’assorbimento di tutte le resistenze pagane.
atteggiamenti e antichi valori, riproposti senza eccessive modificazioni alla luce della nuova
di stile fede, un’ispirazione «liberale» profondamente coerente con il pacato classi­
cismo dello stile, una prospettiva di salvezza che passa attraverso una fine Gli antiariani
del mondo non più catastrofica, ma descritta con i colori dell’età dell’oro,
sono un chiaro segnale di quanto sia cambiato il mondo occidentale nei Tra gli scrittori cristiani che vissero sotto il regno dei discendenti di
dieci anni che vanno dalle persecuzioni di Diocleziano all’editto di Costantino. Costantino se ne segnalano alcuni, particolarmente attivi nella polemica an­
Anche le due opere dal titolo più severo e vendicativo, il De ira Dei Lucifero di tiariana. Lucifero, vescovo di Cagliari, per le sue accese posizioni antiariane
e il De mortibus persecutorum, non contraddicono questo quadro. Il primo Cagliari fu anche esiliato, dal 356 al 361; negli anni dell’esilio, per attaccare l’impe­
testo conferma l’equilibrio del mondo, attraverso la punizione divina per ratore Costanzo — che era ariano —, scrisse cinque trattati. Altro deciso
i malfattori, e finisce in realtà con l’essere consolatorio più che minaccioso; avversario degli ariani fu Eusebio, vescovo di Vercelli dal 345, anche lui
Verso la il secondo, quello apparentemente più lontano dalle posizioni di Lattanzio, esiliato in Oriente per motivi religiosi: di lui ci rimangono alcune lettere.
fondazione di tanto che si è spesso dubitato della sua autenticità, si inserisce altrettanto Nettamente antiariano fu anche Zenone, vescovo di Verona dal 360 al 370;
una storiografia bene nel programma costantiniano, ma da un altro punto di vista e secondo abbiamo alcuni suoi discorsi, oltre a sommari di prediche non sviluppate.
religiosa Ma il personaggio di maggior rilievo nella battaglia contro l’eresia di Ario
le linee di un altro genere letterario, quello storiografico. Gli imperatori
si dividono in due categorie: quelli che hanno tollerato o aiutato il Cristiane- è certamente Mario Vittorino.
siirfo e quelli che l’hanno perseguitato. Questi ultimi sono gli imperatori
malvagi, che hanno fatto male allo stato e hanno giustamente subito la puni­ M ario Vittorino
zione divina, mentre i primi sono gli imperatori buoni, e fra tutti il migliore
è Costantino. Sono così poste le condizioni per il sorgere di una storiografia Vita Gaio Mario Vittorino era di origine africana; nato intorno al 300, passò a
religiosa in lingua latina, e nello stesso tempo si fornisce un contributo alla Roma per esercitare lì, con grande successo, l’attività di retore. Per i suoi meriti
creazione del mito di Costantino, simbolo del rapporto fra potere e Chiesa. scolastici e per le sue qualità di oratore veemente, gli fu perfino innalzata una
È interessante osservare che i due temi conduttori del De mortibus (trionfali­ statua nel Foro, nel 353.
540 DA COSTANTINO A l SACCO DI ROMA LA POESIA ' 541

In questo periodo le sue posizioni sono molto lontane dal Cristianesimo, e Opere Tra i suoi molti scritti sono importanti i 12 libri De Trinitate, il De Synodis,
risentono piuttosto del neoplatonismo. La sua conversione, che va collocata intor­ che espone agli Occidentali la discussione tenuta in alcuni sinodi orientali, una
no al 355, stupì molto i contemporanei; quando, pochi anni dopo, l’imperatore serie di opuscoli contro Costanzo e gli Inni, i primi che siano stati scritti in Occidente.
Giuliano stabilì che i Cristiani non potevano tenere lezioni nelle scuole pagane,
Vittorino si ritirò dall’insegnamento (362), e si dedicò tutto alla pubblicistica cri­ Importante per il ruolo politico che ebbe nella battaglia contro P ariane­
stiana di argomento religioso. Non abbiamo notizie sulla data della sua morte. simo, Ilario fu certo il più sottile ed originale fra i pensatori cristiani occi­
dentali prima di Agostino. &
Opere Al periodo dell’attività di insegnante appartengono un’/4rs grammatica, due Il problema Al centro della sua speculazione è il problema del Cristo, sul quale era
libri di commento al ciceroniano De inventione, un De definitionibus, che riprende cristologico più forte la polemica fra gli ariani e i cattolici: esso è affrontato con le
teorie aristoteliche. Al periodo cristiano appartengono invece \’Ad Candidum Aria-
finezze tipiche delle elaborazioni teologiche in lingua greca, ma sempre con
num, che comprende fra l’altro tre libri Adversus Arium ; tre inni sacri; una serie
di commenti alle Lettere di Paolo. viva attenzione per i passi biblici e per alcune questioni centrali della patri­
stica occidentale, come quella sul tempo (anche per questo aspetto Ilario
può essere considerato un precursore di Agostino).
Mario Vittorino, nonostante l’impegno profuso nella lotta contro l’aria- Il suo stile è pesante e monotono, per quanto recentemente ne sia stata
nesimo, non raggiunge l’importanza di altri grandi personaggi, ad esempio
rivalutata la monumentalità e la nobiltà.
di Ilario di Poitiers, del quale si parlerà subito di seguito; anche la Chiesa
Gli Inni di Ilario Un discorso a parte meritano gli Inni, che sono i primi in lingua latina
del tempo dà giudizi piuttosto diversificati su di lui: non lo amava Girola­
di cui sia noto l’autore. Fra tutti quelli scritti da Ilario e raccolti nel Liber
mo, che lo considerava troppo oscuro e comprensibile solo per un ristretto
hymnorum ce ne sono pervenuti solo tre, e per di più lacunosi, ma sufficien­
numero di persone colte, molto invece lo stimava Agostino, che meglio pote­
ti per notare alcune caratteristiche tipiche, come la varietà dei metri (metri
va apprezzare un Cristianesimo nato dal neoplatonismo e ancora ricco di eolici, giambi, trochei), le frequenti libertà prosodiche, la preferenza per
componenti filosofiche che discendono da quella scuola di pensiero. Gli stu­ i carmi abecedari (con la prima strofa iniziante per a, la seconda per b
Gli studi di logica di di logica a cui Vittorino si era dedicato prima della conversione, e ai
e la formazione
e così via) e la costante presenza della tematica antiariana. Anche per questo
quali aveva dato il significativo contributo di uno specifico lessico latino aspetto Ilario vale come precursore (rispetto ad Ambrogio, il maggiore degli
neoplatonica per la logica formale, ne hanno fatto un pensatore piuttosto isolato e incom­
fondamento del innografi latini).
preso nel mondo cristiano tardoantico e medioevale, e soltanto recente è
pensiero
una ripresa dei giudizi positivi, sulla scia di quello formulato da Agostino.
antiariano di
Vittorino Si apprezza oggi l’originalità del suo contributo di pensiero contro l’ariane­ L a poesia: Giovenco, Optaziano, Tiberiano
simo, non appiattito sulle posizioni ufficiali, ma personalmente derivato dal­
la sua formazione neoplatonica; anche nell’esegesi delle Lettere di Paolo Fino all’età di Costantino, gli autori cristiani avevano scritto in prosa,
Vittorino usa un sistema diverso da quello della tradizione cristiana e più sia perché i temi affrontati non rientravano fra quelli tradizionalmente trattati
vicino a quello dei commenti ai classici che si producevano nelle scuole, in poesia, sia per pregiudizio nei confronti di una modalità di scrittura che
con le ampie parafrasi che illustravano parola per parola. privilegiava particolarmente l’eleganza formale ed i richiami al mito. Dopo
L ’opera principale, A d Candidum Arianum, presenta una struttura inte­ il raggiungimento della pace religiosa, l’allentarsi delle polemiche antipagane
ressante anche sul piano letterario: questo Candido ariano è certamente un consentiva una posizione meno avversa alla poesia, che i cristiani colti, ol­
personaggio fittizio, un eretico in buona fede, amico di Vittorino, che cerca tretutto, erano comunque abituati ad apprezzare per via dell’insegnamento
di convincerlo a tornare all’ortodossia. scolastico. I vari testi biblici latini che circolavano nella pars Occidentis (cfr.
Anche negli inni Vittorino si differenzia dagli altri scrittori a noi noti p. 501 seg.) erano d’altronde di discutibile valore letterario, e cresceva presso
per una tecnica del verso assai libera, simile quasi ad una prosa ritmata i cristiani l’esigenza di scritti che narrassero in maniera più degna ed elevata
più che ad una precisa metrica; anche qui sono forti le presenze neoplatoni­ la storia della salvezza. In questo quadro, sorge e si impone un nuovo gene­
che e le intonazioni antiariane, congiunte ad un lirismo biblico che allontana re letterario, la rielaborazione in versi del testo biblico. Giovenco, un prete
ancora di più queste tre composizioni dalla tradizione classica. spagnolo di Giliberri (oggi Elvira, presso Granada), forse venuto a corte
presso il suo conterraneo Osio di Cordova, il consigliere ecclesiastico del­
Il Vangelo in l’imperatore Costantino, mette in esametri il Vangelo di Matteo, integrato
Ilario di Poitiers esametri con episodi tratti dagli altri Vangeli, sotto il titolo di Evangeliorum libri
IV. Fra i generi letterari tràditi, quello a cui più Giovenco si avvicina è
Vita Ilario nacque intorno al 315 a Poitiers da famiglia benestante; si convertì l’epica: un fatto dì fondamentale importanza per l’umanità, qual è la reden­
in età matura, e nel 350 divenne vescovo della sua città. zione, non poteva essere cantato che nello stile più alto.
Esiliato nel 356 dall’imperatore Costanzo (seguace deH’arianesimo) per le sue
posizioni dichiaratamente antiariane, rimane per alcuni anni in Frigia, dove compo­ L ’opera, che risale al 329-330, nasce da un progetto ambizioso: mettere insieme il
ne le sue opere più famose. Tornato in Gallia nel 360, continua lì la sua lotta fino principale testo del Cristianesimo, i Vangeli, dai quali è desunta la m ateria, ed il
alla morte, avvenuta nel 367. principale autore latino pagano, Virgilio, di cui è utilizzato il verso esametrico, e
542 DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA
L’ULTIMA STORIOGRAFIA PAGANA E LA NUOVA STORIOGRAFIA CRISTIANA 543

che è ripreso in molti nessi e frasi. Dare alla narrazione biblica l’eleganza della poe­ do le posizioni dell’aristocrazia romana, alla quale Aurelio Vittore era assai
sia virgiliana era però u n ’impresa superiore alle forze di Giovenco, che rimane schiac­
ciato sotto il peso dei suoi due modelli. Pochi i suoi interventi personali: una prefa­ vicino nella difesa della tradizione, nella condanna del Cristianesimo, nella
zione, in cui si delinea la nuova poetica cristiana che garantisce la validità del pro­ preoccupazione per gli eccessivi poteri dei militari.
dotto per la sacralità dell’argom ento e l’autenticità dell’ispirazione, dovuta non alle Historia tripertita Il Liber de Caesaribus — dal quale deriva in parte un’opera minore, VEpi­
Muse, m a allo Spirito Santo; qualche descrizione arricchita secondo i canoni della tome de Caesaribus, che tratta il periodo da Augusto alla morte di Teodosio
retorica classica; qualche lieve libertà nella resa dei dialoghi. In complesso Giovenco è
ìj.fedelissimo al testo sacro: la sua dotta rielaborazione ebbe molti imitatori nell’antichità.
(395) — è accompagnato da due operette storiografiche che insieme ad esso
costituiscono un corpus da attribuire certamente ad autori diversi da Aurelio
Vittore, anche se la tradizione manoscritta vorrebbe assegnarlo a lui almeno
A questa tendenza per la poesia dotta, e a raffinatezze tecniche che in parte: un’Origo gentis Romanae, con la «storia» di Roma dal mitico dio
Optaziano sfiorano il gioco di pazienza, rinviano le composizioni di Pubblio Optaziano Saturno fino a Romolo, e un De viris illustribus, quasi in continuazione del­
Porfirio. Optaziano era un senatore pagano; caduto in disgrazia con Co­ l’opera precedente, da Proca, re di Alba Longa, fino ad Antonio e Cleopatra.
stantino, riuscì a riconquistare il favore dell’imperatore inviandogli un volu­
È chiara l’intenzione di creare una sorta di trattato suddiviso in tre parti
me di carmi figurati, molti dei quali di argomento cristiano. Tali carmi si
(un'Historia tripertita, secondo il nome che si suole dare a questa raccolta),
fondano su un difficilissimo gioco poetico, che somiglia un po’ al reticolo dalle età più remote alla fine del IV secolo, quando verisimilmente è stata
delle nostre parole crociate: se i versi della poesia vengono allineati lettera
L ’Origo gentis confezionata la silloge. L’Origo si segnala per l’incredibile quantità di cita­
per lettera l’uno sull’altro, si formano anche altri versi verticali o obliqui, Romanae zioni che sarebbero derivate da annalisti (quali Fabio Pittore e Cincio Ali­
i quali per di più tracciano un disegno geometrico o allegorico, messo in mento) e pontefici di età arcaica: se queste riprese fossero autentiche ci tro­
risalto dal diverso inchiostro usato per le loro lettere. veremmo dinanzi ad un testo di straordinario valore documentario, ma l’at­
Poco docum entata, in questa prim a parte del secolo, è la poesia pagana. Per trovare
tendibilità delle citazioni è a tu tt’oggi controversa.
qualche com ponimento bisogna cercare ndV A nthologia Latina, di cui si è già parlato
per la poesia del III secolo. T ra i non molti autori di cui sappiam o il nome
lib e ria n o e abbiamo qualche com ponimento si può ricordare Tiberiano, governatore della Gal­ Eutropio e i Breviari
lia nel 335, autore di tre carmi moraleggianti e di una descrizione di paesaggio che,
nelle sue parti migliori, può ricordare il Pervigilium Veneris. Quella di disporre di un comodo manuale di storia ad uso delle persone
colte pare un’esigenza molto avvertita nella seconda metà del IV secolo;
appaiono, in questo periodo, diverse opere di tale tipo. Tra esse la più fa­
mosa, destinata ad avere una grande fortuna anche nelle epoche successive,
3. L’ultima storiografia pagana e la nuova storiografia cristiana
è il Breviario di Eutropio.

La produzione storiografica del IV secolo è particolarmente vasta, e Vita Eutropio era un retore di origine italica e partecipò alla spedizione di Giuliano
contro i Parti. Ebbe importanti incarichi sotto l’imperatore Valente (364-378), che
in questo genere letterario si impegnarono anche i principali esponenti della
lo nominò suo magister memoriae.
Nicomaco vita politica, ad esempio Nicomaco Flaviano, autore di Annales per noi per­
Flaviano duti (è il personaggio dei Saturnali di Macrobio). Opere Breviarium ab Urbe condita, scritto per volontà di Valente, in dieci libri: da
Romolo alla morte di Gioviano nel 364.
Il «Cronografo del Le numerose opere che ci sono pervenute si collocano prevalentemente nella seconda
354» m età del secolo, a partire dal cosiddetto «Cronografo del 354», una raccolta di testi
messa insieme appunto in quell’anno, e attribuita dai codici ad un Filòcalo, che L’alto numero di libri non deve ingannare: il Breviario di Eutropio è
potrebbe essere il collaboratore di papa Damaso (cfr. p. 557). Il «Cronografo del un breve manualetto che in un’edizione moderna potrebbe occupare sì e
,354» comprende fra l’altro uno splendido calendario con illustrazioni. no un centinaio di pagine, e la divisione in libri serve essenzialmente a sepa­
Com posto certamente in am biente cristiano, il «Cronografo del 354» contiene notizie rare gli argomenti. Le fonti sono soprattutto Livio per i primi sei libri, Sve­
utilissime, che ci sono pervenute soltanto per questa via: l’elenco dei prefetti di Ro­
m a è fondam entale per la ricostruzione delle vicende politiche fra III e IV secolo. tonio per il VII, e repertori a noi poco noti per i tre libri successivi. La
Esposizione principale qualità di quest’opera è nella sua chiarezza e nello stile elementare,
elementare che ne hanno fatto per secoli uno dei primi testi di lettura per l’apprendimento
Aurelio Vittore e la Historia tripertita
del latino: Eutropio si proponeva infatti di informare l’imperatore in maniera
semplice e non faticosa sulle principali vicende della storia di Roma. L’intento
Liber de Di poco posteriore è l’opera di Sesto Aurelio Vittore, un africano di è pienamente raggiunto, sul piano didattico, sia per la forma utilizzata sia per
Caesaribus umili origini che riuscì a percorrere una prestigiosa carriera fino alla prefet­
la capacità di selezionare, nella massa degli avvenimenti, quelli di maggiore
tura di Roma nel 389. Nel 360 compose un Liber de Caesaribus, noto anche rilevanza ai fini di una ricostruzione del passato tutta in positivo, con un’esal­
col titolo di Historiae abbreviatae, con le biografie degli imperatori da Au­ tazione di Roma e dei suoi ceti egemoni. La fortuna del Breviario fu immedia­
gusto a Costanzo. Suo intento è di unire insieme la tecnica annalistica di ta, ed è confermata da un riconoscimento che toccò a poche opere latine: la
Livio e quella biografistica di Svetonio, interpretando gli avvenimenti secon­ traduzione in greco da parte di Peanio, un contemporaneo.
544 DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA AMMIANO MARCELLINO 545

Rufio Festo Un altro Breviario è quello di Rufio Festo, com posto anch’esso sotto Valente. L ’o­ Anche di Giuliano vengono presentati obiettivamente i difetti e non manca­
pera, scritta dopo il 371, com prende una parte introduttiva sulla cronologia dei re, no critiche proprio al suo atteggiamento nei riguardi dei cristiani, ritenuto
dei consoli e degli im peratori, una rassegna delle diverse province, per narrarne la
conquista, infine la storia dei rapporti tra Rom a e i P arti, dai tempi di Lucullo a volte inutilmente repressivo ed ingiusto. Anche verso l’aristocrazia roma­
(I secolo a.C .) fino all’epoca dell’autore, che si conclude con u n ’esortazione a Valen­ na, che costituiva comunque il suo principale punto di riferimento politico,
te, invitato a risolvere definitivamente la questione orientale. A differenza del Bre­ Ammiano è tu tt’altro che tenero: ne denuncia le colpe e la degenerazione
viario di E utropio, che si proponeva una trattazione globale della storia di Rom a, morale, ne rimprovera l’avarizia e le chiusure, che doveva avere sperimenta­
quello di Festo è evidentemente im postato su due temi principali: le conquiste che
to di persona. Lo storico dà insomma prova di un’autonomia e di una liber­
hanno portato alla creazione dell’im pero e le guerre contro la Persia.
Probabilm ente nel IV secolo fu composto anche quel breviario di storia dal 293 tà di giudizio, che costituiscono un pregio fondamentale della sua opera:
al 337 che va sotto il nome di «primo Anonim o Valesiano» (per distinguerlo da sulle sue valutazioni influiscono molto le personali delusioni e la sua stessa
un secondo analogo breviario, com prendente il periodo 474-526), cosiddetto dall’u ­ formazione greca, che lo metteva nelle condizioni di guardare dall’esterno
manista francese Enrico Valois ( Valesius) che, nella prim a m età del 1600, lo pubblicò. le convenzioni e le consuetudini della società romana.
Le Perìochae di Ricordiamo infine le cosiddette Perìochae del testo di Livio. Si tratta di brevi rias­
Livio sunti dei singoli libri, che finirono col sostituire il testo originale, data la sua enorme Tacito come Ancora più stimolante per noi è il rapporto di Ammiano con Tacito,
mole. Le Perìochae hanno, per gli studiosi m oderni, il merito di inform are sulla modello al quale lo avvicina l’ambizione di essere spassionato, di considerare il pro­
distribuzione della m ateria nei libri liviani che non ci sono pervenuti, consentendoci prio materiale sine ira et studio. Scegliersi Tacito come modello significava
di ricostruire il quadro d ’insieme dell’opera di Livio (cfr. p. 316). contrapporsi alla tendenza invalsa verso la storia biografata secondo la linea
svetoniana, riproporre la priorità degli eventi sui protagonisti, ricollegarsi
A m m iano Marcellino alle origini di una storiografia filosenatoria per proporne il recupero ed il
rilancio in chiave attuale. Ammiano vuole presentarsi come un laico obietti­
Vita Ammiano Marcellino nacque ad Antiochia in Siria intorno al 330-335, da una vo, preoccupato di tutti gli eccessi, convinto che un forte gruppo senatorio
famiglia benestante di lingua e cultura greca; cominciò la sua carriera sotto l’im­ potrà bilanciare il potere imperiale, ora accresciuto dall'oggettiva coinciden­
peratore Costanzo, come ufficiale. Partecipò a diverse campagne contro i Persia­
za di interessi fra l’imperatore e la Chiesa cristiana; la sua principale aspira­
ni per ritirarsi poi a vita privata nella nativa Antiochia. Venuto più tardi a Roma,
zione è un rigoroso garantismo, una pacifica tolleranza che eviti le repressio­
approfondi la conoscenza del latino e cominciò a scrivere la sua opera storiografi­
ca; entrò in contatto con gli ambienti dell’aristocrazia pagana senatoria, ma non ni e le persecuzioni, sempre colpevoli, da qualunque parte provengano. Na­
riuscì mai ad integrarsi completamente in essa. Nell’ultimo decennio del secolo turalmente anche in lui non mancano preclusioni ed idiosincrasie: è troppo
tenne pubbliche letture della sua Storia, con notevole successo di pubblico; la colto, troppo raffinato per capire le motivazioni ed i comportamenti della
sua morte può essere collocata intorno al 400. plebe urbana ma, dimostrando aperture ed interessi rari in uno scrittore
antico, concede spazio a fatti come sommosse urbane o militari che gli stori­
Opere Rerum gestarum libri XXXI. L’opera partiva col regno di Nerva (96) e giunge­
ci classici avrebbero rapidamente liquidato.
va fino alla morte dell’imperatore Valente ad Adrianopoli (378), ma non ci è per­
Erich Auerbach dedica un capitolo del suo famoso libro Mimesis alla
venuta per intero. Abbiamo i libri dal XIV al XXXI, che trattano gli anni dal 353
al 378. Le vicende di Giuliano (355-363) costituiscono la sezione principale della
vicenda dell’arresto di Pietro Valvomeres, un Masaniello del IV secolo, de­
parte rimastaci, il resto della quale è dedicato agli avvenimenti del regno di Va­ scritta da Ammiano in XV 7, per dimostrare l’attenzione che lo scrittore
lentiniano e del fratello Valente. rivolge agli aspetti più grotteschi e degradati della scena, con un gusto per
il macabro e il meraviglioso che, di lontana origine tacitiana, si contrappone
La storia di Ammiano presenta già a prima vista due tratti che meritano però al razionalismo di Tacito; queste descrizioni a tinte fosche mostrano
ulteriori approfondimenti: è chiara la sproporzione fra la parte destinata in Ammiano la convivenza di un vivo interesse per l’orrido e il sensuale;
a Giuliano e lo spazio entro cui sono costrette le altre vicende, e non è nell’ambito di uno stile aulico irrompe così un realismo pittorico che nulla
casuale la scelta del 96 come anno d’inizio per la trattazione, che evidente­ risparmia. Questa tendenza non è esclusiva di Ammiano: con lui la condivi­
Continuatore di mente vuole presentarsi come continuazione dell’opera storiografica di Taci­ dono altri dotti dell’epoca, in particolare S. Girolamo, che non di rado al­
Tacito to. Nei primi tredici libri, oggi perduti, venivano narrati ben 250 e più anni terna momenti di linguaggio alto a squarci di crudo realismo.
di storia, mentre gli undici libri giulianei si soffermano su un arco di meno Pessimismo e A Tacito fa pensare anche l’inquadramento profondamente pessimisti-
di dieci anni, e agli ultimi quindici anni presi in esame sono dedicati solo sfiducia co, la convinzione che lo stato sia ormai tutto in sfacelo, al centro non
sei libri. Non c’è quindi soltanto la naturale tendenza ad una narrazione meno che in periferia, la scarsa o nessuna speranza in un futuro di Roma
più dettagliata per i fatti più recenti, e quindi meglio noti per conoscenza che possa rinnovare le glorie del passato. Roma rimarrà eterna, perché que­
diretta, ma c’è anche la volontà di dare maggior peso ad un’età precisa, sto è il suo fato, ma in un’esistenza sempre più squallida. È questa l’imma­
che per di più ha una forte caratterizzazione ideologica: il breve regno di gine che si ricava da alcune famose digressioni sulla corruzione a Roma,
Giuliano segnò infatti l’effimera ripresa del paganesimo ed una momentanea un paio fra i tanti excursus che compaiono nell’opera e descrivono curiosità
interruzione del cammino trionfale del Cristianesimo. geografiche o sociologiche (famoso il ritratto dei causidici orientali), aned­
Spirito critico di Non si deve però credere che Ammiano voglia presentare Giuliano, l’im­ Gli excursus doti o meditazioni filosofiche sulla giustizia. Soprattutto in questi excursus,
Ammiano peratore apostata, come un eroe completamente positivo, immune da ogni ma anche nel resto dell’opera, Ammiano fa un grande, forse eccessivo uso
difetto, idealizzato nell’utopistica riproposizione di un ritorno al passato. degli artifizi della retorica: è stato osservato che il suo stile si trova sempre
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LA HISTORIA AU G USTA 547
di un rigo sopra il tono giusto, con il risultato di appiattire, anziché enfatizza­ caria come Historia Augusta. Autori delle varie vite sarebbero sei distinti
re, l’espressione. Non è facile dire fino a che punto questo dipenda da una autori (Elio Lampridio, Elio Sparziano, Flavio Vopisco, Giulio Capitolino,
conoscenza limitata del latino, appreso soltanto in età adulta, e impiegato Trebellio Pollione, Volcacio Gallicano), vissuti sotto Diocleziano e sotto Co­
quindi senza la spontaneità che si può avere con la propria lingua madre, stantino; la distribuzione delle vite tra gli autori è molto diseguale, e assai
ma è evidente che la tensione, piacevole e stimolante se applicata a brevi episo­ diversa è la lunghezza delle varie biografie, alcune molto ampie (le cosiddet­
Grecismi lessicali di, finisce per stancare se omogeneamente estesa a tutta l’opera. Del resto so­ te «vite principali»), ‘altre assai brevi.
e sintattici no stati da tempo individuati nella lingua di Ammiano grecismi lessicali e sin­ Sei autori? La «questione delì'Historia Augusta» consiste, sostanzialmente, nell’at­
tattici, spie della doppia cultura dell’autore, e non si deve dimenticare che l’au­ tendibilità delle attribuzioni ai sei nomi sopra ricordati, che non ci sono
tore non è un uomo di scuola, ma un soldato, o meglio un generale in pensione, noti da alcuna altra fonte; ci si chiede quindi — se questa attribuzione viene
miles quondam et Graecus, come dice lui stesso, e la sua competenza sulle fi­ respinta — a quale epoca e a quale ambiente l’opera debba essere assegnata.
nezze della retorica non poteva essere particolarmente approfondita. I dubbi al riguardo sono ben motivati: ci sono infatti contraddizioni nell’at­
Contraddizioni Un’altra caratteristica messa in luce dagli studiosi è una certa contrad­
tribuzione di alcune Vite a questo o a quell’autore, mentre le dediche agli
interne dittorietà fra varie parti delle Storie, e non solo nella valutazione di questo
imperatori sono in contraddizione con altri dati cronologici. Di fronte ai
o quel personaggio (che potrebbe differire da un luogo all’altro, se diverse
molti problemi si è fatta strada l’ipotesi che i sei nomi siano del tutto fittizi,
erano le fonti utilizzate nei due passi). Si è notato come la prefazione meto­
e che l’opera sia stata composta in età più tarda, probabilmente da un unico
dologica al XV libro, quello che apre la sezione giulianea, sia in netto con­
scrittore. Altri hanno preferito un’ipotesi intermedia e cioè che qualcuno,
trasto con quella premessa al libro XXVI, che introduce la sezione successi­
nella seconda metà del IV secolo, abbia ripreso e rielaborato Vite originaria­
va dedicata a Valente e Valentiniano: nella prima l’autore sottolinea la ne­
mente redatte all’epoca di Diocleziano o di Costantino.
cessità di non tacere nulla, anche a rischio di risultare troppo lungo, nella
La discussione, su questo difficile problema, è ancora aperta, ma le
seconda dichiara la propria scelta per una storiografia che selezioni le cose
contraddizioni e le assurdità che discenderebbero dal prestar fede alle attri­
da raccontare, limitandosi soltanto alle più significative. Questa differenza,
buzioni così come sono indicate nel testo sono tali che sembra preferibile la tesi
e la presenza di distinte prefazioni, confermano che l’opera è stata composta
Il problema della del falsario. Si crea cosi un nuovo problema: determinare l’epoca in cui
in più tempi, e poteva quindi esser soggetta a qualche cambiamento nell’im­ datazione questo falsario operò, e i motivi per cui preferì inventare sei diversi nomi
postazione, a seconda del periodo trattato e dell’interesse che l’autore aveva
di autori più antichi per le biografie da lui scritte. Per alcuni aspetti eviden­
per esso.
temente filosenatori e filopagani, ci si è orientati prevalentemente verso gli
Serietà e Ammiano, come la storiografia antica in generale e quella tardoanti-
anni dell’impero di Giuliano, o verso la breve ma intensa ripresa pagana
impegno ca in particolare, fa inoltre uso di discorsi fittizi e di lettere, ma avverte
ai tempi di Simmaco durante l’impero di Teodosio, o ai primi decenni
storiografico prudentemente il lettore che si tratta di missive ricostruite fantasticamen­
del V secolo; ma non manca chi pensa a datazioni anche molto più tarde,
te, con la libertà che il genere letterario consentiva agli scrittori. Anche da
alPinizio o addirittura alla seconda metà del VI secolo. Complessivamente,
questa scrupolosità nelPinformazione si ricava l’impressione di uno scrittore
però, la datazione che riscuote i maggiori consensi è quella fra il 390 e il 420.
serio e sereno, consapevole dei suoi limiti ma intenzionato ad esporre quan­
Le motivazioni Chi pensa che si tratti di un falso, ritiene che lo storiografo non volesse
to ritiene vero ed i propri punti di vista sui singoli fatti, convinto dell’utilità del falso esporsi in prima persona alle possibili reazioni dei sostenitori di posizioni
di fornire anche per gli ultimi secoli una documentazione confrontabile con
contrarie alle sue, e che abbia evitato il rischio antedatando l’opera, in mo­
quella di cui si disponeva per il I secolo dell’impero.
do da conferirle anche maggiore autorità e credibilità. Non manca però chi
ha sottolineato come gli anacronismi, le incongruenze, le confusioni, le pro­
La Historia Augusta fezie post eventum, la palese invenzione di certe fonti, le grossolane esagera­
zioni, debbano far pensare ad una parodia della storiografia più o meno
ufficiale, i cui difetti vengono accentuati fino all’assurdo. Chi invece pensa
L ’opera storiografica più vicina, per ricchezza di informazione e vastità ad un’opera seria, tanto seria da poter essere pericolosa per il suo autore,
di impianto, a quella di Ammiano Marcellino è la cosiddetta Historia Augu­ individua le posizioni «rischiose» nella polemica anticristiana presente nel­
stiì ; essa costituisce anche il più complesso tra i problemi filologici e storio­ l’opera e nell’appoggio dato al ceto senatorio contro i nuovi potenti, soprat­
grafici che presenta la letteratura del IV secolo. tutto quelli provenienti dall’esercito.
Si tratta di una raccolta di biografie che doveva probabilmente com­ Banali biografie o L'Historia Augusta pone dunque problemi difficilmente risolubili, dando
prendere le vite degli imperatori da Nerva agli immediati predecessori di sottile adito a valutazioni fra loro diversissime: il testo può essere visto come una
Diocleziano (Caro, Carino e Numeriano), e quindi complessivamente il pe­ ostentazione di banale raccolta di biografie costruite in maniera del tutto priva di originalità
riodo fra il 96 e il 284; mancano però le prime due vite, quella di Nerva ingenuità?
sulla base di schemi ormai comunemente diffusi e meccanicamente applicati,
e quella di Traiano, e alcune vite di imperatori che regnarono alla metà oppure come uno spiritoso gioco rivolto proprio contro questa tendenza al­
del III secolo (Filippo l’Arabo, Decio, Gallo, Emiliano, nonché la prima l’appiattimento storiografico e narrativo; come un’opera di divulgazione de­
parte della vita di Valeriano). Il titolo dato dai manoscritti è Vita diverso- stinata al grosso pubblico, con generici intenti di informazione, o come un
rum principum et tyrannorum, ma è ormai invalsa la consuetudine di indi- sottile pamphlet a chiave, forse scritto da alti «funzionari di palazzo» e
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destinato a pochi intenditori colti. Resta certo, comunque, che il modello Questo diario sarebbe stato ritrovato in età neroniana e donato all’imperato­
storiografico principale sia da riconoscere nell’opera di Svetonio. re. L’opera afferma di esserne la traduzione.
Le Vite hanno una serie di difetti ampiamente segnalati da tempo: si I primi cinque libri contengono le vicende dell’assedio e della distruzio­
soffermano su particolari secondari perdendo di vista i maggiori problemi ne di Troia, narrate dal punto di vista di uno degli assedianti, testimone
Gusto per il storici, sono piene di fastidiosi pettegolezzi e di notizie certamente false, oculare. I libri rimanenti contengono le storie dei ritorni in patria degli eroi
pettégolezzo e sono scritte in uno stile piatto e monotono, «giornalistico», secondo la defi­ greci, completando quindi la tematica dell 'Iliade con quella dell Odissea.
stile nizione di Arnaldo Momigliano; eppure esse sono per noi fondamentali, per­ Settimio risente molto del latino di Sallustio, che è la sua principale fonte
«giornalistico» linguistica e stilistica, ma non mancano riprese dagli altri classici più diffusi
ché costituiscono la principale — e in molti casi l’unica — fonte di notizie
per buona parte del II secolo e per tutto il III. nelle scuole, soprattutto Cicerone e Virgilio.

Alla saga di Alessandro appartengono VHistoria A lexandri M agni e un Itinerarium


Alexandri, in cui, a differenza degli altri itinerari di cui si è parlato (cfr. p. 535),
L e storie p er temi gli interessi storici sono di gran lunga prevalenti su quelli geografici.
Giulio Valerio Q uanto all’autore si è pensato che possa essere Giulio Valerio Polem io, lo stesso
Polemio per le due opere che nei m anoscritti si presentano unite. Per am bedue le opere alla
Le due tendenze principali della storiografia del IV secolo sono quella all’esposizione base del testo latino sta un originale greco, che per VHistoria è il R om anzo di A les­
continua degli avvenimenti, in form a di breviario o di annali, e quella alla biografia; sandro, così diffuso in Oriente che ne abbiam o redazioni in arm eno e in siriaco.
non m ancano però esempi di storie per temi, che affrontano in form a m onografica Del testo greco rim angono le invenzioni fantasiose, le confusioni, le assurdità, alle
qualche specifico argom ento, ricercandone gli esempi in tu tta la storia di Rom a e quali Giulio Valerio dà la veste di un latino popolare, pieno di term ini della lingua
dell’antichità, oppure selezionano una vicenda, storica o mitica, e la narrano in d ’uso, adatto al pubblico a cui l’autore si rivolge.
Giulio m aniera romanzesca. Così, ad esempio, Giulio Ossequente compose un Liber prodi-
Allo stesso ciclo appartiene anche wn’Epitom e rerum gestarum Alexandri Magni,
Ossequente giorum che si proponeva di raccogliere ed elencare tutti i miracoli compiuti dagli
databile fra la fine del IV e l’inizio del V secolo, che ci è pervenuta incompleta.
dèi pagani ricordati nell’opera di Livio. Ciò allo scopo di respingere gli attacchi L'Historia Molto più difficile da datare è VHistoria A pollonii regis Tyrii (le datazioni proposte
di quella storiografia cristiana che negava il favorevole intervento delle divinità paga­ oscillano fra la fine del III e la prim a m età del VI secolo) anche perché non è da
Apollonii regis
ne nella storia di Rom a, e di dim ostrare la necessità di perseverare nell’antico culto escludere tu tta u na serie di rielaborazioni e rimaneggiamenti operati su una tram a
per assicurarsi la continuità della loro protezione. Tyrii
via via accresciuta e perfezionata. È possibile ipotizzare anche per questo racconto
un originale greco. F ra tutte le storie rom anzate di quest’epoca è il testo che presenta
Egesippo Della storia ebraica si interessa invece il cosiddetto Egesippo nel suo D e bello Iudai- più evidenti i caratteri d ’invenzione, con personaggi e vicende fantastici in un intrec­
co: si tratta in realtà di un rifacim ento (quasi un a traduzione) in latino dell’opera cio complicatissimo: tra storie d ’am ore ed incesti, tra fughe e rapim enti, tra navi
di Flavio Giuseppe (lo stesso nom e di «Egesippo» nasce da una deform azione di pirate e postriboli si snoda la storia di Apollonio prim a esule da A ntiochia e poi
Iosephus, divenuto prim a Ioseppus, quindi nobilitato in Egesippus o Hegesippus. re. Il rom anzo h a tutti i requisiti per affascinare il grosso pubblico, dalPambientazio-
L ’opera, della seconda m età del IV secolo, è stata erroneamente attribuita ad A m ­ ne esotica e suggestiva ai più disparati elementi fiabeschi, che, recuperati dalla tradi­
brogio; com posta certamente in am bito cristiano, è carica di sentimenti antiebraici, zione favolistica antica, si conserveranno fino a noi (ad esempio sono promesse le
messi in forte evidenza fin dal prologo. nozze con la figlia del re a chi risolverà un indovinello, m entre chi tenterà senza
successo la soluzione pagherà con la vita).
Nella redazione che ci è pervenuta, YHistoria A pollonii è il più «medioevale» fra i testi
narrativi dell’antichità latina, m a anche il più simile alla tradizione del romanzo greco.
L e storie romanzate

Molto successo ebbero anche le storie romanzate di argomento orienta­ L e vite di santi
le, che preferivano come temi il ciclo troiano e l’avventura di Alessandro
Letteratura Magno. Erano letture di evasione (storie di eroi, luoghi sconosciuti e meravi­ Alla storiografia delle vite di personaggi famosi appartengono anche le
d’evasione gliosi) destinate ad un pubblico non particolarmente colto ma benestante. vite di santi, di monaci e di vescovi che i cristiani producono in quantità
Si trattava spesso di rielaborazioni o di traduzioni da originali greci, talora sempre maggiore.' Esse riprendono elementi vari da diverse forme letterarie:
più antichi di alcuni secoli. Con queste opere si apre il filone del romanzo se l’impostazione rinvia fondamentalmente alla biografia tardoantica di im­
popolare medioevale, destinato ad avere grande fortuna. pianto svetoniano, innegabile è anche l’influsso delle Passioni e degli A tti
Lucio Settimio e L’opera più nota di questo genere è, nel IV, secolo, YEphemeris belli dei Martiri risalenti all’età delle persecuzioni, e non mancano spunti derivati
«Ditti Cretese» Troiani. L’autore, uno scrittore latino che dice di chiamarsi Lucio Settimio, Edificazione dalla letteratura prodigiosa e fantastica. Questi scritti si proponevano una
riprende, riducendolo, un testo greco del I secolo d.C. sulla guerra di Troia.
spirituale e duplice finalità: consolidare l’unità dei credenti attraverso il culto di perso­
consolidamento naggi esemplari, distintisi nell’amministrazione ecclesiastica o nell’ascesi reli­
Che Pautore'del testo latino si chiamasse veramente Settimio non possiamo ecclesiastico
darlo per certo, perché la fantasia di questi romanzieri si esercitava anche giosa, e rafforzare il ruolo della gerarchia ecclesiastica, le cui funzioni dive­
sui nomi e sulle attribuzioni; l’esistenza di un modello greco è invece sicura, nivano sempre più importanti man mano che il Cristianesimo si affermava
perché due papiri ce ne hanno conservato qualche breve pezzo. Il prologo come elemento di coesione tra le diverse realtà dell’impero. Di qui anche
narra che Ditti Cretese, un greco che aveva partecipato alla guerra di Troia, una differenza rispetto alle tradizionali vite di imperatori o personaggi illu­
aveva tenuto un diario, in cui annotava gli avvenimenti di cui era testimone. stri, nelle quali l’informazione, il gusto per il particolare erudito o piccante
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prevalevano certamente sulle finalità educative. Per questo aspetto, più simi­ tevoli varietà di temi e di atteggiamenti, anche se è possibile rilevare almeno
li sono altre vite di ambiente pagano che tendevano a presentare come possi­ un tratto comune a questa poesia: la ripresa dei classici dell’età augustea,
bile modello alternativo dei «santi» non cristiani (il «santone» itinerante Apol­ sia perché erano considerati gli autori di assoluta eccellenza e quindi da
lonio di Tiana, ad esempio). imitare, sia perché il principato di Augusto era sempre il modello ideale
a cui dichiaravano di volersi ispirare gli imperatori tardoantichi.
La Vita di T ra le biografie cristiane fu m olto diffusa la Vita di A n to n io , l’eremita del deserto,
Antonio quello che oggi è indicato come S. Antonio abate. Scritta in greco dal vescovo di
Alessandria A tanasio poco dopo la m orte del m onaco, avvenuta nel 356, ebbe subito Ausonio
grandissima fortuna e fu trad o tta in tutto il m ondo mediterraneo. Anche a Roma
ebbe tanto successo che in poco più di quindici anni ne furono curate due versioni.
Le ragioni di tale successo sono molteplici: c’è forse da considerare anche la curiosità Vita Decimo Magno Ausonio nacque a Burdìgala (Bordeaux) intorno al 310, studiò
per l’ambientazione esotica della biografia (Antonio era copto) e la sua vivacità ro ­ a Tolosa fra il 320 e il 328, quindi a Bordeaux, dove divenne professore, prima
manzesca; sicuramente, inoltre, fece presa negli am bienti cristiani la scelta di vita di grammatica, poi di retorica. Chiamato a corte nel 364 come maestro del futuro
descritta nell’opera, la rinuncia alle cose terrene che sembrava andare in direzione imperatore Graziano, ricoprì in seguito importanti cariche pubbliche. Ritiratosi a
opposta a quella della Chiesa ufficiale, sempre più im pegnata ad allargare il proprio vita privata dopo la morte di Graziano, nel 383, morì intorno al 393-394.
potere istituzionale.
Di A ntonio è brevemente riassunta la giovinezza, m a il centro dell’opera è la sua Opere Numerosissime le opere (quasi tutte poetiche; ma ce ne sono anche in pro­
vocazione all’eremo: prim a conduce vita ascetica in casa, poi si sistema in un luogo sa), giunte a noi col titolo complessivo di Opuscula, delle quali qui di seguito
isolato ai margini del villaggio, poi, proseguendo nella via della perfezione, si reca ricorderemo solo le principali. Sono precedute da tre Praefatiunculae in distici
in un cimitero abbandonato, infine si ritira nel deserto e attira altri monaci che, elegiaci, probabilmente posteriori al 383.
come lui, rifiutano la civiltà. Su questo filone della fuga dalla società e dell’aspira­
zione alla solitudine si innestano racconti di miracoli e incontri con pellegrini, medi­
tazioni morali e massime, con una varietà che riesce quasi sempre ad evitare la noia. Ausonio è il più noto fra ,i poeti dotti attivi nella seconda metà del
IV secolo. La sua opera è fortemente segnata dalla sua attività di maestro
Le più antiche A parte il resoconto su Cipriano (cfr. p. 509), che è a metà fra la passio­ Dottrina di scuola: i temi delle sue molte poesie, per lo più di breve estensione, sono
vite latine ne e la biografia, le più antiche vite latine sono quelle di tre vescovi: Ambro­ sofisticata e quelli tipici del mondo dell’insegnamento, e anche la scrupolosa attenzione nel­
gio, Martino di Tours (cfr. p. 581) e Agostino. Rispetto alle biografie orien­ artificiosità la scelta delle parole e il gusto per i giochi metrici dimostrano tutta l’esperienza
tali esse si caratterizzano per una scarsa presenza del meraviglioso e per del retore abituato a lavorare sul materiale verbale. Sarebbe però sbagliato pen­
il fatto che i tre protagonisti, pur dotati di virtù monastiche, fanno però sare che tale poesia fosse sentita dai contemporanei come astrusa, compieta-
parte della gerarchia ecclesiastica. Questi scritti concorrono perciò a propor­ mente «fuori del mondo», occupata in problemi grammaticali ridicoli ed astratti;
re — in un Occidente che al vescovo va delegando funzioni proprie della e ce lo dimostra la stessa vicenda personale di Ausonio, al quale l’attività politi­
sfera politica — un modello di santità attiva, vista nel suo agire sociale ca aprì l’accesso a corte e garantì successo e potere. Il fatto è che la scuola,
e priva ormai della carica eversiva che caratterizzò al suo sorgere il mona­ la grammatica, la parola erano per il mondo tardoantico realtà piuttosto diver­
cheSimo orientale. se da quelle a cui è abituata la nostra cultura: allora gli strumenti per il convin­
cimento e la stessa definizione dei valori e degli ideali erano affidati in gran
parte proprio a quegli ambienti e a quelle discipline, e fare poesia su di essi, ma­
gari ironizzando bonariamente su alcuni limiti o mettendo in parodia gli aspetti
4. La poesia e il teatro più discutibili dell’insegnamento, significava rispondere agli interessi culturali
di quello che era uno dei settori più importanti per l’organizzazione sociale dello
Le corti imperiali della seconda metà del IV secolo sono importanti cen­ stato; si capisce che il tema avesse in sé rilievo e fosse di grande attualità.
tri di produzione poetica. Il fenomeno si spiega con la presenza di un pub­
Solo guardandole da questo punto di vista si possono capire opere come la C om m em o­
blico colto relativamente ampio, con le opportunità di carriere anche brillan­ ra tio professorum Burdigalensium; i personaggi vengono colti nelle loro occupazioni
ti procurate da un carme ben composto, con l’interesse dei regnanti a circon­ quotidiane, senza trascurare i pettegolezzi tipici degli ambienti scolastici: «A n­
La poesia per darsi di letterati e soprattutto di poeti, che potevano all’occorrenza diffon­ che se tu hai, come si dice, usurpato ingiustamente una catted ra...» (10,1, trad.
celebrare i dere le ideologie dominanti presso i ceti economicamente e politicamente Una società colta Pastorino). Ne deriva un ritratto chiaro, sostanzialmente credibile, di una società colta
potenti più significativi. e provinciale di provincia, attraverso gli epitaffi, le finte iscrizioni tom bali, che ci raccontano le storie
di tante persone, una varietà incredibile di vicende in definitiva piuttosto simili tra loro.
Intorno agli imperatori circolavano scrittori di vario genere: ricchi si­ La Commemoratio (un illustre precedente poetico, se vogliamo, àt\VAntologia di Spoon
gnori che si dilettavano di letteratura, e componevano nel tempo libero dal­ R iver di E. Lee M asters) costituisce così un eccezionale docum ento sulle consuetudini
l’attività politica e dalle cure del patrimonio; rispettabili uomini di scuola di vita sociale in una vivace città del IV secolo.
che si erano segnalati per la loro cultura, ed erano stati chiamati per questo A ncora al mondo della scuola rinviano le composizioni dell’Eclogarum liber, su alcuni
dei più tipici argom enti di insegnamento (come sia fatto l’uom o onesto, quali siano le
a corte; infine veri e propri poeti itineranti, quasi dei cantastorie, costretti parti dell’anno, quali le fatiche di Ercole e così via) e il Protrepticus ad nepotem , un
a trarre dal loro mestiere di poeta il necessario per vivere, e quindi abituati vero e proprio piano di studi da seguire per la form azione culturale.
a comporre versi per esaltare i potenti. Queste differenze comportavano no­ A ltrettanto si può dire delle molte opere composte da pezzi di pochi versi dedicati a
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illustrare personaggi famosi (come i Caesares), o i sette sapienti (Ludus septem sapien- attraverso la poetica dei novelli, e resa così meno provocatoria, meno rivolu­
tium) o le città più im portanti dell’im pero (Ordo urbium nobilium). zionaria, e quindi più adatta alla corte); l’eleganza compositiva e gli equili­
Virtuosismo I virtuosismi nella versificazione e il pieno dominio della lingua e delle parole regna­ bri formali degli augustei, trasportati sulle misure più piccole richieste dal
tecnico-formale no incontrastati in opere come VOratio, una preghiera scritta tu tta in versi ropalici
(cioè con la prim a parola di una sola sillaba, la seconda di due, la terza di tre nuovo gusto; la passione per le battute di spirito negli epigrammi, che ricor­
e così via); il Griphus ternarii numeri, un lungo indovinello sul num ero tre, ricco dano a volte quelli di Marziale.
di dottrina pitagorica; il Cento nuptialìs, che utilizza versi di Virgilio, tagliati e acco­ La grande erudizione che caratterizza l’opera di Ausonio non è (o non
stati in modo da modificare com pletamente il loro significato originario, e da piegar­ è soltanto) uno sfoggio narcisistico di dottrina: l’interesse per la notizia pe­
li a descrivere — con ampiezza di dettagli — la celebrazione e la consumazione regrina, per il dato non ovvio della storia o del mito, tende al recupero
di un m atrim onio; il G ram maticom astix (Frustagram m atici), una specie di elenco
delle più difficili questioni linguistiche di cui è costretto ad occuparsi il povero do­ di una tradizione che, in quanto tale, è sentita come degno soggetto per
cente di gramm atica. una poesia che trae parte del suo significato dalla capacità di confrontarsi
— attraverso una rielaborazione originale — con temi consacrati da secoli
Le opere meglio Alla poesia funeraria appartengono invece gli Epitaphia, iscrizioni fitti- Un ideale di letteratura. Questa tendenza ad evitare che potesse andare perduta anche
riuscite: zie per le tombe dei grandi personaggi della letteratura (Agamennone, Achil­ estetizzante di una piccola parte della cultura di Roma è importante per capire l’atteggia­
Parentalia, le, Ulisse, ecc.) ed i Parentalia, carmi che il poeta dedica ai propri defunti. conciliazione mento di Ausonio nei riguardi del Cristianesimo. Si ricordi, innanzitutto,
Bissula, Mosella Non mancano in quest’ultima opera espressioni di tenerezza ed affetto, ma sem­ culturale che la divisione fra pagani e cristiani, nel IV secolo, era assai meno netta
pre assai discrete, come in altre opere che tradizionalmente vengono indi­ di quanto comunemente si creda: le due religioni convivevano abbastanza
cate come le più riuscite: la Bissula, per una schiava germanica liberata ed istruita serenamente in tutti i ceti sociali, e a volte all’interno di una stessa famiglia;
nella cultura di Roma, e la Mosella, un epillio dedicato a questo fiume, con d’altra parte la presenza (possibile nell’una e nell’altra religione) di posizioni
ampie descrizioni di paesaggi: si presenta, anche esteriormente, per le sue di­ anche assai differenziate faceva sì che su diversi problemi l’accordo fra un
mensioni (consta di 483 esametri), come l’opera di maggiore impegno tra quelle cristiano e un pagano, non ostacolati dal settarismo, fosse più facile che
di Ausonio, ed è ricca di reminiscenze da Virgilio, Orazio, Ovidio, ecc. fra due cristiani o due pagani. Ausonio si colloca così nell’area cristiana,
T ra le altre opere che ci rim angono vanno ricordati i 114 epigrammi e le 25 epistole ma assai lontano dai rigorismi estremistici, e ben deciso a difendere tutto
metriche ad amici: -tra questi alcuni dei personaggi più im portanti del tem po, come ciò che, del paganesimo, poteva essere utilizzato per esaltare Roma e l’impero.
l’oratore Simmaco, o Paolino di N ola, o il retore Assio Paolo, a cui Ausonio invia
tra l’altro una curiosa lettera bilingue greco-latina, prim o esempio di poesia macche­ Un p o ’ per la sua abilità, un p o ’ per il suo concreto potere politico, un p o ’ per
ronica, in cui alle parole latine sono applicate desinenze greche e viceversa. Per la il suo atteggiamento conciliante, A usonio ebbe grande successo presso i contem pora­
produzione in prosa, accanto ad alcune prefazioni in form a di lettera, va ricordata nei: Teodosio, im peratore, si rivolge a lui con grande rispetto per chiedergli una
la Gratiarum actio pronunziata nel 379 in onore di Graziano. copia di tutti i suoi scritti, e Simmaco, uno dei capi del gruppo senatorio pagano,
Omaggio all’alta Infine YEphemeris descrive la giornata tipica di un alto burocrate imperiale. Anche intrattiene con lui una fitta e amichevole corrispondenza, anche su argomenti letterari.
burocrazia qui non m ancano ricercatezze form ali, come l’uso di metri diversi per le varie fasi M a il successo diminuì col tem po, fino alle valutazioni anche troppo negative di
del giorno: ci sono il risveglio e il controllo dei servi che non debbono indugiare una parte della critica recente, che non è disposta a perdonare quegli atteggiamenti
troppo nel sonno, c’è la preghiera del m attino, l’uscita di casa per incontrare gli superficiali e scherzosi, se non addirittura fatui, di bonaria provocazione metrica
amici, le disposizioni im partite agli schiavi per l’allestimento del pranzo e la conse­ e linguistica, che costituiscono l’aspetto più personale della poesia di A usonio, forse
gna degli inviti, le istruzioni al cuoco. il suo principale pregio.

Nella sua poesia Ausonio dà un certo spazio al biotico, alle cose —


di un realismo spicciolo e quotidiano — tratte dalla vita sua e di chi gli Claudiano
sta intorno: stanno a testimoniarlo opere come i Parentalia, i Professores
Gli occhi chiusi o YEphemeris. Egli mostra invece totale sordità ai reali problemi — sociali, Vita Claudio Claudiano nacque ad Alessandria in Egitto intorno al 370. Era a Ro­
sul presente economici, politici — che minano la solidità dell’impero: il contrasto con ma nel 395, poi si recò alla corte di Onorio a Milano, dove si legò soprattutto
la consapevolezza di Ambrogio, colui che gradualmente lo soppianterà come ai generale Stilicone. Nel 400 il senato di Roma gli decretò una statua nel Foro;
morì intorno al 404.
consigliere del giovane Graziano, non potrebbe essere maggiore. Nella visio­
ne ideale di Ausonio non c’è posto per le frontiere insicure, per lo spopola­ Opere Numerose composizioni poetiche in lingua latina, quasi sempre in esametri
mento e l’impoverimento delle campagne, per le dispute religiose fra setta o in distici, databili fra il 395 e il 404: le passeremo in rassegna qui di seguito.
e setta: lo stato è considerato ancora quello del I secolo d.C.; i barbari so­ Si possono individuare tre gruppi principali: carmi per l’imperatore Onorio, carmi
no sempre inferiori fornitori di schiavi e sconfitti; i luoghi di confine (la Mosel­ per Stilicone, poemi epici di argomento mitologico. Tra le opere giovanili una
la, ad esempio, tema di un epillio), dove ormai hanno luogo continui scontri Gigantomàchia in greco, di cui ci restano due frammenti.
militari, vengono ancora considerati come piacevoli mete di turismo e svago.
Omaggio alla Conformemente a questa ottica, la grande tradizione letteraria del­ Un poeta Ad un’altra categoria, quella dei poeti professionisti che vivevano dei
tradizione l’epoca più fortunata viene recuperata per intero, anche se in forme di­ cortigiano propri versi, appartiene Claudio Claudiano, attivo nella corte d’Occidente
letteraria classica verse. Ecco dunque l’uso di vari tipi di verso (la polimetria) e la sperimenta­ pochi anni dopo Ausonio. Nonostante l’affinità formale, tra i due c’è una
zione poetica analoga a quella dei poeti neoterici di età repubblicana (filtrata straordinaria differenza: Ausonio, che pure è un importante uomo politico
554 DA COSTANTINO A I SACCO DI ROMA CLAUDIANO 555

e di potere, sembra vivere in un mondo felice ed irreale, mentre Claudiano, regno dei m orti), e anche i personaggi sono oggetto di analisi minuziose; il che va
solo indirettamente a contatto con le notizie e le direttive dei centri decisiona­ spesso a danno dell’azione, resa lenta e spezzata in scene giustapposte.
li dello stato, appare tuttavia molto più informato e consapevole dei problemi. Altri Ricordiamo infine alcuni com ponimenti di occasione, scritti per influenti personaggi,
componimenti alcune lettere in versi, alcuni idilli per lo più di argom ento scientifico e vari epigram­
Orientale di lingua greca, che aveva cominciato la sua carriera scrivendo mi. Gli idilli sono piuttosto interessanti per i temi affrontati, che suscitavano m olta
in greco le prime poesie, Claudiano giunge in Italia e in breve tempo diviene curiosità nel pubblico colto (per esempio la fenice, il mitico uccello che risuscitava
il più acclamato poeta latino, uomo di fiducia del barbaro Stilicone, il gene­ dalle proprie ceneri, e aveva un forte valore simbolico sia presso i cristiani sia presso
rale supremo di origine vàndala che di fatto occupa il primo posto nella i pagani, per l’idea di rinnovam ento, di rinascita connessa con la vicenda della sua
gerarchia del potere. Questa mescolanza di Oriente e Occidente, di greco, risurrezione).
di latino e di germanico, di organi costituzionali dell’impero e di forza degli Un poeta di Claudiano scrisse molto, e la quantità delle sue opere è ancor più sor­
eserciti, può dare l’idea delle condizioni di Roma tra il IV e il V secolo, mestiere prendente se si pensa che esse risalgono tutte al decennio fra il 395 e il
ora che la presenza dei Germani ha profondamente cambiato il quadro di 404. Sorprende anche l’alta qualità tecnica dei suoi versi: il suo esametro,
riferimento, con la pressione alle frontiere ma soprattutto con l’occupazione prosodicamente impeccabile, presenta affinità con quello dei poeti del I se­
dei posti di maggior rilievo alPinterno delle istituzioni: l’immagine della Ger­ colo dell’impero ed è costruito in accordo con la migliore tradizione latina.
mania non è più Bìssula, la dolce schiava di Ausonio, ma Stilicone, il duro Alla stessa tradizione espressiva latina Claudiano si rifà d ’altra parte nel
generale su cui bisogna contare per difendere la pace e la sopravvivenza rivisitare miti o nel trattare temi d’origine greca.
individuale e collettiva.
Rimangono l’ideale di Roma e l’aspirazione ad un modello di perfezione Stilicone doveva essere un patrono piuttosto esigente, che pretendeva dal suo «addet­
classica, ma tutti i percorsi sono più tormentati e complessi: accusato dallo to alla propaganda» una presenza quasi ossessiva nella continua produzione di novi­
storico Orosio (cfr. p. 588) di essere un paganus pervicacissimus, Claudiano tà letterarie. In queste sue poesie impegnate, m a al tempo stesso d ’occasione, Clau­
diano rimette in discussione i generi letterari così come erano stati definiti dall’età
non si assimila culturalmente alla parte pagana rappresentata da Simmaco, classica, in una commistione di epica e panegirico, che aveva forse dei precedenti,
e svolge tutta la sua attività di poeta latino presso una corte cristiana. Egli m a che in lui viene codificata nella form a più chiara.
Un paganesimo sente il fascino di un paganesimo orientale, fortemente venato di presenze
tinto di orfiche e misteriche: di qui un certo gusto per immagini dell’aldilà e certe Una nuova epica Il recupero dell’epica di argomento storico contemporaneo, assai poco
misticismo intonazioni mistiche lontane sia dalla serenità della poesia ufficiale dell’età celebrativa praticata in età imperiale, e la sua fusione con i caratteri tipici della poesia
classica, sia dall’equilibrato buon senso di un Ausonio. encomiastica, rispondevano all’esigenza di cercare successo presso il pubbli­
co senatorio colto, a cui erano indirizzati i componimenti e che Stilicone
Della produzione più antica di Claudiano, quella in greco, rim angono alcuni fram ­ voleva raggiungere. A tale fine Claudiano apportò al genere alcuni corretti­
menti di una Gigantomàchia, sulla mitica guerra dei giganti contro gli dei dell’Olim­ vi: ne ridusse l’ampiezza e ne rese esplicito il messaggio, perché un componi­
po, e qualche epigramma. mento troppo lungo poteva stancare e perché il pubblico poteva non essere
Nel 395 a Rom a Claudiano tenne in una pubblica recitatio il panegirico per il conso­ pronto a decodificare allegorie ambigue.
lato di Anicio Olibrio e Anicio Probino, con cui si segnalò all’attenzione della corte,
I carmi per tanto che fu incaricato di celebrare il terzo consolato di O norio (396), e in seguito Da questa tendenza si discostano in parte i poemi di argomento mitolo­
Onorio anche il quarto (398) e il sesto (404): i tre panegirici uniscono gli elogi dell’im perato­ gico, dove il poeta si pone altri obiettivi: consolidare la propria fama, e
re all’esaltazione della grandezza di Rom a e del suo Im pero. A ncora per Onorio quindi accrescere il valore delle proprie prestazioni, e difendere le sue conce­
è il D e nuptiis H onorii et Mariae, un epitalamio per le sue nozze con la figlia di zioni filosofiche e religiose in una società che vedeva sempre più affermarsi
Stilicone, uno dei momenti di maggior potere per il generale vàndalo e quindi per
il suo entourage-, il testo è ricco di riferimenti mitologici e di lodi degne di un panegi­
il Cristianesimo come religione di stato.
rico, mentre a parte sono i Fescennina, versi più licenziosi in vario m etro, secondo
la tradizione classica propria del rito nuziale. Il poeta inglese Coleridge, che considerava Claudiano «il prim o dei moderni», am m ira­
I carmi in onore Al ciclo di Stilicone appartengono il D e bello Gildonico, la Laus Stilichonis (in tre va in lui la tensione fra le esigenze antiche di una poesia oggettiva e la tendenza m oderna
di Stilicone libri) e il D e bello Gothico. Stilicone è paragonato a Scipione A fricano, ed è inserito al soggettivismo e al bisogno di conseguire un effetto; un altro grande estimatore di
senza problem i, pur essendo egli un barbaro, fra i grandi Rom ani che hanno com­ Claudiano, Huysm ans, che gli dedica un passo del suo famoso A rebours, apprezzava
battuto i nemici stranieri; come questi hanno avuto i loro poeti, a partire da Ennio, soprattutto le capacità artistiche nella costruzione dell’esametro e il gusto linguistico.
così è giusto che anche per Stilicone le Muse intonino i loro canti. Claudiano scrisse Più recentemente le valutazioni su Claudiano sono spesso state meno favorevoli, per
inoltre due invettive contro due potenti personaggi nemici di Stilicone, In R ufinum i pregiudizi che agivano contro una poesia m ercenaria, o anche per riserve classicistiche;
e In Eutropium . A ncora indirettam ente in onore di Stilicone è la L aus Serenae: Sere­ solo in questi ultimi tempi, in una complessiva rivalutazione della tard a antichità, si
na era la moglie di Stilicone e Claudiano la considerava una delle sue benefattrici; riesce ad apprezzare di nuovo la poesia di un raffinato artefice non privo di grandi idea­
a lei attribuisce, fra l’altro, il m erito del proprio fortunato m atrim onio; naturalm en­ li, capace di interpretare un difficile momento di transizione culturale e politica.
te l’elogio della gran dam a consente ampie digressioni sul suo potente m arito.
La mitologia Due sono i poemi di ispirazione mitologica: una Gigantomàchia, che riprende in
latino l’argom ento del giovanile poem a in lingua greca (ma anche del testo latino A ltr i p o e ti di corte: A v ien o , N aucellio, A v ia n o
ci rim angono poco più di cento versi), e il D e raptu Prosèrpinae. L ’argom ento è
il mito di Prosèrpina rapita dal dio degli inferi, Ade. Particolarm ente ampie sono Avieno L ’esordio ufficiale di Claudiano come poeta latino era avvenuto a Rom a con il pane­
le parti descrittive: Claudiano si compiace di rappresentare puntualm ente gli scenari girico per P robino e Olibrio, della illustre famiglia degli Anicii. Ciò m ostra che,
con tutti i colori della retorica (particolarm ente suggestive le rappresentazioni del accanto alla corte imperiale, esisteva un altro am biente attento a favorire la produ­
556 DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA LA POESIA CRISTIANA DI ISPIRAZIONE RELIGIOSA 557

zione poetica: i circoli senatori di Rom a, con il loro pubblico colto e la loro passione L’accettazione scelgono come loro fonti principali Virgilio ed Orazio, favoriscono la vitto­
per la letteratura. A questi circoli apparteneva Rufio Festo Avieno, amico di Simma­ della grande ria della linea sostenuta dal Cristianesimo più conciliante, meno integralista,
co. La sua passione era la geografia, da quella astronom ica a quella fisica, come
dim ostrano i suoi poemetti didascalici: Aratus, una traduzione in esametri dei F eno­
letteratura e forniscono a questi poeti e agli altri scrittori classici una patente di legitti­
m eni di A rato, il trattato astronom ico già trad o tto da Cicerone e Germanico; Des- pagana mità a cui si deve, almeno in parte, la loro conservazione attraverso il Me­
criptio orbis term e (in esametri); Ora maritima, con la descrizione delle coste del­ dioevo. Questa scelta non fu certo sempre lucida e consapevole, e anzi spes­
l’im pero (ma l’opera, scritta in trim etri giambici, è incompleta). so si conformò ad una tendenza al recupero già in precedenza praticata e
Naucellio Agli stessi circoli apparteneva anche Giunio (o Giulio) Naucellio, a cui vanno attri­
buiti alcuni degli Epigrammata Bobiensia, una raccolta di 70 carmi, tra i quali il
diffusa. Ciò non toglie che il ruolo della poesia latina cristiana fu prezioso,
più famoso è la Sulpiciae conquestio, una satira il cui autore finge di essere la poe­ non solo perché contribuì a quella mediazione fra classicismo e Cristianesi­
tessa Sulpicia, vissuta alla fine del I secolo d.C . (sulla quale cfr. p. 366), per lam en­ mo che è alle origini di tutta la civiltà moderna, ma anche perché pose
tare la situazione in cui si trovano gli intellettuali. le basi di molta della successiva produzione latina medioevale in versi.
Aviano Meno certa, m a piuttosto probabile, è l’appartenenza al circolo rom ano del favolista
Aviano, autore di rifacimenti in distici elegiaci di quarantadue favole esopiche.
L ’opera, di valore letterario m olto scarso, incontrò notevole fortuna nel M edio­ Damaso
evo.

Gli epigrammi La fama letteraria di Dàmaso rimane legata agli epigrammi che fece incide­
L a poesia cristiana di ispirazione religiosa incisi sulle tombe re sulle tombe dei martiri venerati a Roma, anche se di lui ci rimangono pure
dei martiri alcune lettere. Nel quadro di un’opera di restaurazione architettonica dei mo­
numenti cristiani, questo papa pieno di iniziative, che governò la Chiesa dal
Accanto alla poesia di corte, che è prevalentemente poesia d’occasione
366 al 384, incaricò un prestigioso calligrafo, Furio Dionisio Filòcalo, di inci­
oppure poesia ufficiale, e quindi celebrativa, l’altro grande filone poetico
dere in eleganti caratteri su lastre di marmo i versi composti da lui. L’omaggio
della seconda metà del IV secolo è quello della poesia cristiana di ispirazione
reso ai martiri non rispondeva unicamente a scopi devozionali. In un periodo
religiosa. Sotto questa denominazione si possono raccogliere opere anche
nel quale il primato romano non si era ancora definitivamente affermato, Da­
molto diverse fra loro per il genere letterario, per la tecnica della versifica­
maso aveva interesse a sottolineare, attraverso la testimonianza dei martiri ed
zione, per il pubblico a cui erano destinate, ma che sono unite dall’intenzio-
in una forma letteraria facilmente accessibile, la centralità di Roma nella testi­
La poesia ne di propagandare la nuova fede e di combattere i residui di paganesimo,
celebra monianza data alla fede. La novità di un papa poeta, la devozione per i martiri,
ancora molto forti sia nelle classi più alte sia in quelle più povere. Una
l’affermazione del la bellezza delle lettere di Filòcalo colpirono i visitatori, e le epigrafi di Dàmaso
poesia latina cristiana, anche se non molto diffusa, si era avuta anche nei
Cristianesimo furono presto ricopiate su codici, sfuggendo così alle distruzioni ed ai saccheg­
decenni precedenti, già prima di Costantino, ma più ancora, ovviamente,
gi di Roma, che provocarono la perdita di vari originali. Alle composizioni
con il nuovo corso successivo all’editto di Milano. La maggiore sicurezza
autentiche, una sessantina, se ne aggiunsero poi altre che non possono però
garantita dalla scelta religiosa degli imperatori in favore del Cristianesimo,
essergli attribuite. I testi presentano qualche irregolarità prosodica, secondo
la rapida diffusione della nuova fede presso i ceti colti e quindi capaci di
i caratteri di molte delle composizioni dell’epoca, e riprendono spesso espres­
comporre testi letterari, la complessiva ripresa del gusto per la poesia nell’e­
sioni usate dai poeti classici; assai evidente è l’influsso di Virgilio: è, questa,
tà che va dal regno dei discendenti di Costantino a quello dei discendenti
una caratteristica che le iscrizioni damasiane hanno in comune con la poesia
di Teodosio, sono tra i principali motivi di questo aumento della produzio­
epigrafica coeva. Questo uso dei classici trova riscontro anche nella politica
ne poetica e della sua progressiva differenziazione nella seconda metà del
secolo. seguita da Dàmaso durante il suo pontificato, che sempre tese a garantire buoni
rapporti con i pagani. Sul piano più strettamente letterario, come si è detto,
Si continuano a scrivere inni, un genere che non doveva mancare anche
assistiamo a un atteggiamento aperto all’eredità letteraria profana, soprattutto
nella Chiesa delle origini, ma che conosce ora il suo periodo di massima
quella rappresentata da Virgilio, poeta particolarmente caro ai cristiani che lo
fioritura, con autori come Ilario di Poitiers e soprattutto Ambrogio; le tra­
studiavano a scuola e che avevano incominciato a leggere la IV Egloga in riferi­
Inni, epitaffi, dizionali iscrizioni funebri in versi assurgono a una nuova dignità letteraria
centoni grazie agli epitaffi di papa Dàmaso; esercizi di bravura come i centoni ven­ mento alla venuta del Cristo. Il grande prestigio goduto da Virgilio presso i
gono praticati dai cristiani a fini edificanti e trovano una diffusione anche cristiani nella seconda metà del IV secolo è mostrato anche dall’attività cento-
superiore che presso i pagani; soprattutto emergono figure di poeti cristiani naria di Proba.
che recuperano la tradizione della poesia classica, per fare dei versi antichi
su concetti nuovi. In questo senso, la poesia cristiana del IV-V secolo contri­ Proba
buisce a saldare la frattura che si era determinata fra Cristianesimo rigorista
e tradizione classica, in una contrapposizione che continuerà ad angosciare Una poetessa Se Dàmaso rappresenta il raro caso di un papa poeta, anche P ro b a è un a rarità
per secoli molti cristiani (è lecito — ci si domandava — studiare, amare autrice di un nella letteratura latina: una poetessa, e per di più autrice di un carme inconsueto,
la letteratura classica, che è opera di autori pagani, e racconta perciò miti centone
come è il suo lungo centone virgiliano su temi dell’Antico e del Nuovo Testamento.
A ttiva a Rom a intorno alla m età del IV secolo, appartenente ad una delle più illustri
e vicende culturalmente legati a quella religiosità pagana che i cristiani deb­ famiglie dell’aristocrazia, moglie di un im portante m agistrato, P ro b a ebbe grande
bono combattere?). Quando Dàmaso, Proba, Prudenzio, Paolino di Nola successo in questo particolare genere letterario, che consisteva nel trarre da Virgilio
558 DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA PRUDENZIO 559

versi e parti di versi e ricom porli insieme in m odo d a creare u n a poesia nuova, ricorda la possibilità di avere sogni rivelatori e raccom anda il segno della croce.
di senso e contenuto com pletamente diversi. Il successo del centone di P ro b a fu Gli altri sei inni, quelli per le ricorrenze annuali o per funzioni particolari, sono
tale che esso venne considerato quasi un testo dottrinale: non molto tempo dopo anch’essi ordinati in tre coppie: il settimo e l’ottavo riguardano i periodi di digiuno,
la sua composizione un decreto attribuito a papa Gelasio si preoccupa di elencarlo che bisogna praticare ma senza eccedere, perché la volontà del Cristo è sempre quella
fra i testi che non hanno autorità nel campo della fede, segno che per alcuni, al del buon pastore. Il nono è 1’H ym nus om nis horae, che può essere cantato in ogni
contrario, l’opera di P roba aveva acquisito lo stesso valore che le opere dei Padri mom ento del giorno, e racconta la storia di Cristo, con particolare riferimento alla
della Chiesa. discesa agli inferi e all’ascensione; il decimo è un inno per i m orti, che ricorda come
Endelechio il Cristianesimo assicuri l’im m ortalità dell’anima e la resurrezione dei corpi. Gli ulti­
Alla fine del secolo Endelechio, un amico di Paolino di N ola, scrive un D e m ortibus
boum , pieno di echi virgiliani, in cui si parla di una m orìa di bestiame, per giungere mi due inni, infine, sono per due festività solenni: il Natale (XI) e l’Epifania (XII).
alla conclusione che solo nel Cristianesimo si può trovare la salvezza.
Il Peristèphanon Il Peristèphanon comprende invece quattordici inni in onore di santi
che per la loro fede avevano ricevuto la corona del martirio: il titolo deriva
Prudenzio proprio dalle corone (perì stephànon, in greco, vuol dire «intorno alle coro­
ne») che erano simbolo della vittoria dei martiri sul peccato e sulle forze
Vita Aurelio Prudenzio Clemente nacque a Calagurris (Calahorra, in Spagna) nel del male rappresentate dai persecutori del Cristianesimo.
348, fu avvocato, poi entrò neH’amministrazione dello stato. Fra il 401 e il 403
fu a Roma; le ultime notizie su di lui risalgono al 405. I protagonisti dei carmi sono spesso spagnoli, come Emeterio e Chelidonio di Cala­
Opere horra ( I inno) o Eulalia, celebrata nel I I I , uno dei più famosi e meglio riusciti,
Praefatio, del 405, in 45 versi lirici, fa da introduzione a tutta la raccolta oppure i diciotto m artiri di Saragozza (IV), Vincenzo (V), ecc. N on m ancano però
delle opere. Cathemèrinon, dodici inni in metri vari. Apotheòsis, in esametri, af­ altri santi, come gli A postoli Pietro e Paolo (XII), o i rom ani Lorenzo ( I I ) , Ippolito
fronta il mistero della Trinità e quello della passione di Cristo. Hamartigenìa, in (XI) e Agnese (XIV). Si distingue per le inconsuete dimensioni l’inno X, in onore
esametri, tratta dell’origine del peccato e della responsabilità delPuomo. Psycho- di S. Rom ano, che conta ben 1140 versi; m a Rom ano è il protettore dei m uti, perché
màchia, in esametri, sulla lotta tra vizi e virtù nell’anima umana. Contra Symma- nel m artirio gli fu tagliata la lingua, e pareva perciò giusto che fosse com pensato
chum, del 402-403, in due libri di esametri, sulla questione dell’altare della Vitto­ con un canto più lungo (in cui molto spazio è dato proprio ai prolissi discorsi del santo).
ria che i cristiani avevano fatto togliere dal senato, e i pagani volevano far rico­
struire (cfr. p. 534). Peristèphanon, quattordici inni in metri vari, composti in onore Al lettore moderno il Cathemèrinon risulta più gradevole del Peristèpha­
di martiri cristiani. Dittochaeon, 48 strofe di quattro versi ciascuna su episodi
non — appesantito, quest’ultimo, dalle descrizioni macabre, che proprio per
dell’Antico e del Nuovo Testamento. Epilogus, 34 versi lirici a conclusione della
raccolta. l’eccesso dei particolari ributtanti rischiano di diventare involontariamente
ridicole, e pieno di narrazioni inverosimili perfino nel campo dei miracoli —;
ma alla fine del IV secolo, quando le persecuzioni cominciano ad essere
Prudenzio è, con Paolino di Nola, la figura di maggior rilievo nella
poesia cristiana. ragionevolmente lontane, si sviluppa un interesse alla ricostruzione del pas­
sato di martirio, di cui si idealizzano sempre più gli aspetti eroici. La combi­
A parte la Praefatio e YEpilogus, le opere di Prudenzio si possono riuni­
nazione di orrido e meraviglioso attrae il pubblico, come è testimoniato dal­
re in tre gruppi: gli inni, le poesie didascaliche (ma con forti coloriture epi­
la grande fortuna che un genere narrativo come quello delle Passiones cono­
che), un componimento di carattere apologetico. Le due raccolte più famose
scerà nel corso del V secolo.
sono quelle che contengono i ventisei inni, cioè il Cathemèrinon liber ed
il Peristèphanon. La competizione Tanto il Cathemèrinon quanto il Peristèphanon contengono preziose in­
Il Cathemèrinon coi classici formazioni sulle consuetudini di vita dei cristiani, sulle loro aspirazioni, sul­
Il Cathemèrinon comprende sei canti da eseguire quotidianamente in
la nuova poetica che si confronta con quella antica senza timori reverenziali,
determinati momenti della giornata, a cui se ne aggiungono altri sei per
perché l’eccellenza degli argomenti compensa ampiamente i limiti soggettivi
particolari festività o ricorrenze cristiane; la vita del fedele è così scandita
dei poeti. Di qui l’intenzione di competere con i classici, nella certezza di
ritmicamente, dall’alba alla notte e secondo le principali occasioni.
risultare ad essi superiori per l’aiuto di Dio. Prudenzio si sceglie come mo­
Il primo inno è dedicato al sorgere del sole ed al canto del gallo, un evento simbolico
dello e rivale Orazio, dalle cui odi riprende molti dei metri adottati negli
particolarm ente caro all’innografia del tempo per le molteplici allegorie che era pos­ inni, e non poche immagini e frasi; non c’è più la mitologia, ma al suo
sibile costruire fra risveglio e risurrezione, gallo e Cristo-salvezza, e per l’ovvio ri­ posto vengono utilizzati i racconti biblici o le narrazioni a volte un po’ fan­
chiamo al noto episodio evangelico di Pietro, il quale per tre volte negò di conoscere tastiche dei martìri.
il suo m aestro, la notte dell’arresto, prim a che il gallo cantasse. Anche il secondo Fortuna degli inni Anche se l’esposizione è spesso difficile, oscura, inutilmente prolissa,
inno è un canto del m attino, m a il ritorno della luce è visto soprattutto in rapporto
con le attività diurne del cristiano e con la sua battaglia per non cadere nel peccato.
di Prudenzio e non sempre i passaggi da un tema all’altro seguono un filo logico impecca­
La seconda coppia di inni è relativa all’ora del pasto: il terzo andava cantato prim a bile, gli inni prudenziani ebbero grande diffusione e successo, e sono stati
di mangiare, per ringraziare Dio di aver dato all’uom o la possibilità di cibarsi; il utilizzati per secoli e secoli nella liturgia ecclesiastica; anche dal punto di
quarto, p o st cibum , elogia la moderazione e ricorda come Dio n o n consenta che vista letterario, essi costituiscono un’opera di non secondaria importanza:
i credenti m uoiano di fame. La terza coppia com prende gli inni serali: il quinto,
per l’accensione della lam pada, dichiara che anche la luce del fuoco, come quella la ricchezza di erudizione sia nel campo della tradizione classica sia in quello
del giorno, è u n dono di Dio, ed il sesto, d a cantare prim a di andare a dormire, della cultura biblica, il pieno possesso degli strumenti metrici, l’abilità reto­
560 PAOLINO D I NOLA 561
DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA

rica e oratoria perfino eccessiva (non dobbiamo dimenticare che Prudenzio nell’arte figurativa; i tipi allegorici creati da Prudenzio andranno al di là
svolse per anni l’attività di avvocato) rendono la lettura degl’inni se non delle zone di cultura latina e romanza, e si diffonderanno anche in quelle
piacevole, almeno interessante. di cultura tedesca.
Apotheòsis e Alla produzione didascalica appartengono tre poemetti, VApotheòsis,
Hamartigenìa PHamartigenìa e la Psychomàchia, nonché il Dittochaeon. Dittochaeon Didascalico può essere considerato anche il Dittochaeon. In una cinquantina di stro­
fe sono illustrate altrettante scene dell’A ntico e del Nuovo Testamento; i «due nutri­
menti» a cui fa riferim ento il titolo sono appunto i due Testamenti. I brevi carmi
V A p o th eò sis consta di poco più di mille esametri, ed è preceduta da un inno sulla erano stati com posti per fungere da didascalia a raffigurazioni pittoriche o a mosaico
Trinità, anch’esso in esametri, e da una prefazione in giambi; l’argom ento è stretta- in qualche chiesa. Si conferm a così l’interesse di Prudenzio al rapporto fra testo
mente teologico, e riguarda i misteri della T rinità e della Passione del Cristo: le e immagine, fra poesia e pittura, prefigurato già nella spiccata icasticità di molte
dottrine sostenute da alcuni eretici vengono confutate contrapponendo ad esse l’o rto­ scene della Psychomàchia.
dossia della Chiesa di Roma. T ra le questioni affrontate con maggiore ampiezza
sono la divinità del Figlio ed il rapporto fra l’anim a um ana e Dio. Alla religione
giudaica ed agli Ebrei sono dedicati toni di opposizione violenta. T ra i personaggi Contra Resta infine il poema apologetico Contra Symmachum, in due libri. L’ar­
storici ricordati nell 'A potheòsis c’è anche Giuliano l’A postata, l’im peratore che ave­ Symmachum gomento è la disputa, vecchia ormai di una ventina d ’anni (risaliva al 382-
va lasciato il Cristianesimo per abbracciare la filosofia antica e la fede pagana: P ru ­ 384) fra Ambrogio e Simmaco sull’opportunità di ricollocare nel senato l’al­
denzio lo ricorda con molto rispetto per le capacità di com andante, di legislatore
tare della dea Vittoria (sulla quale cfr. p. 534).
e di letterato, anche se condanna, naturalm ente, la sua scelta religiosa: perfidus ille
Deo, quam vis non perfidus orbi, «mancò di fede a Dio, m a non al m ondo». U na
citazione così favorevole per un personaggio che la propaganda cristiana raffigurava Prudenzio, naturalm ente, fa sue le tesi di A m brogio contro l’idolatria pagana, riba­
con ostilità m erita di essere ricordata, e m ostra atteggiamenti assai meno rigidi di dendo l’assurdità del politeismo classico e l’utilità della sua eliminazione, e confutan­
quelli che, nel D e m ortibus persecutorum (cfr. p. 538), attribuivano agli im peratori do gli argomenti di Simmaco: la tradizione, a cui il senatore si appella, non deve
che non fossero avversi a Dio anche abilità di governo, mentre i persecutori erano prevalere sulla verità della nuova fede, e la grandezza di R om a non è stata voluta
giudicati cattivi governanti. L ’esperienza di funzionario può nel caso di Prudenzio dagli dèi pagani, m a da Dio, che preparava così la diffusione del Cristianesimo in
aver favorito il giudizio positivo sull’am ministrazione giulianea. tutto il m ondo politicamente unificato dall’im pero. A ncora un a volta, e in forme
L 'Hamartigenìa («origine del peccato») tratta dell’anima um ana e delle responsabili­ anche più chiare che altrove, Prudenzio insiste nel Contra Sym m achum sulla necessi­
tà dell’uomo con l’intento di confutare le eresie. Il poem a, dopo un inizio di caratte­ tà di non contrapporre il Cristianesimo alla civiltà rom ana (e quindi rappresenta
re dottrinale, si distende nell’esame dei peccati e delle varie manifestazioni del male l’avversario Simmaco come persona dotta e grandem ente rispettabile, purtroppo ca­
cosmico (piante e animali nocivi, tempeste, inondazioni) con descrizioni eleganti e duta in errore). In questa prospettiva, attribuire alla volontà divina i successi di
quadretti di piacevole lettura, con moralistiche condanne del lusso e accorati attacchi Rom a è un m odo per recuperarne la tradizione, lim itando i cambiamenti al solo
contro le donne, strum enti del dem onio volti alla perversione dell’uomo. Conclude fatto religioso, senza rinunciare alla cultura classica.
il poem a una rappresentazione dell’inferno e del paradiso, il prim o pieno di fiamme,
di pece, di piom bo fuso, di vermi, il secondo ricco di fiori, di profum i, di ruscelli;
infine la preghiera del poeta a Dio perché guardi a lui con speciale indulgenza. Paolino di Nola

Psychomàchia Dei tre poemetti il più complesso e riuscito è la Psychomàchia, il com­ Vita Meropio Ponzio Paolino nacque nel 353 a Burdìgala (Bordeaux), fu alunno
di Ausonio e intraprese una brillante carriera politica. Console nel 378, fu gover­
battimento fra i vizi e le virtù nell’anima umana con la descrizione epica
natore della Campania; sposò una ricca spagnola, Terasia, e anche per suo in­
dei duelli tra Fede e Idolatria, Pudicizia e Lussuria, Pazienza e Ira, Umiltà flusso abbandonò la politica. Si ritirò dapprima in Spagna, dove divenne prete
e Superbia, ecc. L ’opera consta di 915 esametri. nel 394, quindi in Campania, a Nola, dove curò la costruzione di un monumentale
complesso architettonico, del quale ci rimangono tuttora imponenti resti presso
Gli scontri sono descritti con tutti gli strumenti della tecnica epica, e le personifica­ il paese campano di Cimitile. Vescovo di Nola dal 409, morì nel 431.
zioni delle virtù e dei vizi si com portano come gli eroi omerici o virgiliani, anzi
forse con crudeltà anche maggiore: per esempio la Fede soffoca l’idolatria, facendo­ Opere Epistulae, una cinquantina, scritte prevalentemente fra il 394 e il 413. Carmi­
le schizzare gli occhi fuori dalle orbite, la Pudicizia sgozza la Lussuria, l’Umiltà na, poco più di 30, in vari metri, ma con prevalenza deil’esametro. Sono andati
taglia la testa della Superbia, ecc. ; solo la Pazienza può evitarsi gesti crudeli, perché perduti un Panegirico di Teodosio e alcuni altri scritti, mentre è quasi certo che
l’ira si uccide da sola, infuriata per non essere riuscita a sconfiggere la sua nemica. non sono di Paolino il De obitu Baebiani e i 4 carmi deW’Appendix attribuiti a
Il gusto per il m acabro che caratterizza le descrizioni dei m artìri nel Peristèphanon
lui dai manoscritti.
ritorna qui nell’insistenza sui particolari delle uccisioni, anche se stavolta le parti
sono invertite, ed è il bene che mette a m orte il male.
Le lettere di I destinatari delle lettere sono spesso personaggi di primo piano, da Gi­
Paolino: rolamo ad Agostino, da Ausonio a Rufino e a Sulpicio Severo. Le lettere
Ai duelli si alternano i discorsi, ai quali è principalmente affidato l’inse­ l’aspirazione alla parlano spesso di questioni concrete, o danno semplici, anche se interessan­
gnamento morale: in questo modo la commistione fra epos e poesia didasca­ pace e alla ti, notizie di vita quotidiana e sono a volte accompagnate dalle risposte degli
lica si fa ancora più stretta, e attraversa tutte le parti del poema. La descri­ serenità interlocutori; non mancano temi di maggiore impegno teologico, soprattutto
zione, vivace e dettagliata, ricorre continuamente all’allegoria e diviene in
nella corrispondenza con Agostino, ma Paolino era assai lontano dalla luci­
alcuni casi quasi una pittura, una rappresentazione iconologica di quella vir­
dità del filosofo o dalla combattività del difensore dell’ortodossia: il suo
tù o di quel vizio. Tali rappresentazioni avranno grande successo durante
ideale era un mondo pacifico e sereno, in cui le cose andassero tutte per
il Medioevo, e ancora nel Rinascimento, non solo in letteratura, ma anche
562 DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA IL QUEROLUS 563

il loro verso, magari grazie all’intervento provvidenziale di qualche santo che Prudenzio e Prudenzio e Paolino rappresentano significativamente due diversi livelli
al momento opportuno risolvesse i problemi troppo difficili. In quest’ottica Paolino ed aspetti della poesia cristiana in questi anni: Prudenzio è espressione del
anche la fede non deve richiedere uno sforzo eccessivo, che rischia di diventare ceto medio dei funzionari dello stato, che costituiva la spina dorsale del tardo
superbo, ed è meglio la devozione istintiva degli umili; anche nelle polemiche Impero; Paolino appartiene alla ricca nobiltà senatoria. Prudenzio deve tutto
sulle eresie Paolino cercava di tenersi da parte, rischiando a volte anche qual­ ai suoi studi, alle sue capacità professionali; Paolino può compiere il gesto
che reprimenda per quella che veniva considerata tepidità verso la vera fede, di rinunciare ai suoi beni, e imporsi di essere sempre più vicino ai poveri,
ed era piuttosto una profonda aspirazione alla pace e alla fratellanza, con­ di sentire come loro, di partecipare alle loro gioie e ai loro dolori per le piccole
giunta con la chiara consapevolezza dei propri limiti di pensatore e di teologo. cose. Di qui anche il diverso ruolo che i due scrittori assegnano alle loro poe­
Tra gli argomenti esaminati in una lettera è anche il rapporto fra Cri­ sie: Prudenzio, che ha vissuto a corte, e vi ha conosciuto l’importanza propa­
stianesimo e cultura pagana, che secondo Paolino è pericolosa se viene colti­ gandistica dei carmi, si propone di realizzare il proprio cristianesimo attraver­
vata per sé (è la posizione di Girolamo), ma può essere conservata se viene so la letteratura, di dare alla nuova fede una voce poetica che possa contribui­
utilizzata al fine di propagandare la nuova fede; in questo senso sembra re a diffonderla; Paolino punta piuttosto sulle realizzazioni materiali, che del
andare anche lo stile della sua prosa, che usa tutti gli artifici della retorica, resto sono di sua competenza perché egli è (o sarà) anche vescovo. Al centro
ma è anche piena di parole e intere frasi tratte di peso dalla Bibbia, in di una rete di relazioni epistolari con gli uomini più significativi del suo tempo
uno strano collage che a volte può ricordare i centoni. (alcuni in polemica fra loro), e preoccupato dei problemi sociali della sua
I Carmina La parte migliore della produzione di Paolino è nei suoi carmi; quasi una diocesi, Paolino vede anche nella poesia un mezzo di edificazione e di inter­
natalicia metà è dedicata a S. Felice, il protettore di Nola, celebrato con una composizio­ vento, ma non la considera — come sembra fare Prudenzio, ben più lontano
ne ogni anno, in occasione del suo natalicium (il giorno del martirio, così chia­ dai circoli che contano — come il mezzo principe per esercitare la propria
mato perché quel giorno i santi nascono alla vera vita, quella celeste). Ci sono influenza. La costruzione di una chiesa può impegnarlo più della poesia: il
pervenuti quattordici Natalicia di varia lunghezza, dal primo, scritto per il 395, nobile Paolino ha in questo campo ambizioni minori del funzionario Pruden­
a quello del 408, parzialmente perduto. Si tratta a volte di semplici e brevi pre­ zio, anzi ogni suo sforzo sembra essere volto a un’attenuazione dei toni, delle
ghiere, altre volte di esposizioni della vita del martire, altre volte ancora del passioni troppo intense, delle espressioni troppo forti. La vita dei contadini
racconto di alcuni tra i suoi miracoli. In qualche caso, invece, Paolino si soffer­ e le storie degli animali sono i suoi argomenti preferiti, e anche questa passio­
ma sulle vicende del momento, come nel carme 26, dedicato prevalentemente ne per i campi contribuisce a farlo paragonare al grande modello che si era
alle preoccupazioni per la presenza di Alarico e dei suoi Goti in Italia. proposto, il Virgilio delle Bucoliche e delle Georgiche.
Lo stile di Paolino Lo stile di Paolino poesia è piuttosto sostenuto, la lingua epicheggiante
nell’insieme; egli viene incontro ai suoi fedeli più nella scelta dei temi (spesso Il Querolus
tratti dalla realtà rurale di Nola) che sul piano della forma dell’espressione.
Le scene più riuscite sono quelle che, con vivace freschezza, descrivono le
L’unica Accanto alla ripresa dell’attività poetica, la seconda metà del IV secolo
feste popolari tenute nel giorno consacrato a S. Felice: in questi casi Paolino commedia di età segna anche un ritorno della produzione teatrale. Opera di un anonimo,
sa trovare accenti di incantevole candore e di disarmante sincerità. imperiale comunque di ambiente gallico, è la commedia intitolata Querolus sive Aulu-
pervenutaci laria. Il Querolus («piagnone») va collocato negli ultimi anni del IV secolo
Ecco, ad esempio, le precauzioni prese perché i pellegrini non si ubriachino, oppure
il «miracolo» della vacca che fugge tra la disperazione dei paesani e poi ricom pare o nei primi del V, ed è importante perché costituisce l’unico caso di comme­
giusto in tem po per essere m acellata per la festa. Ecco ancora l’episodio del contadi­ dia latina di età imperiale che ci sia pervenuta: essa ci mostra quanto è
no che va a protestare col santo che non gli h a fatto un miracolo, e con queste cambiata la struttura di uno scritto teatrale rispetto ai testi di Plauto e Te­
rimostranze riesce ad ottenerlo, oppure il racconto delle traversie incontrate da P ao ­
lino per far abbattere due vecchie case che rovinano l’estetica della nuova chiesa Un testo in renzio, e come è ora diversa la sua fruizione da parte del pubblico. L’autore
(in questo caso un incendio «miracoloso» risolve il problem a). prosa, dedicato dichiara di aver composto la sua opera fabellis atque mensis, cioè perché
alla lettura fosse letta o rappresentata durante i banchetti, dunque in recite private, e
Il resto della Fra le altre poesie non dedicate ai natalicia vanno ricordate le lettere non più sulla scena. Un’altra importante novità è che il testo è scritto in
produzione in versi ad Ausonio, che rispondono a quelle con cui il vecchio maestro prosa, e non in versi come era consuetudine del teatro greco e di quello
poetica di aveva cercato di dissuadere l’allievo dalla decisione di abbandonare le cose latino, anche se si tratta di una prosa un po’ particolare, ricca di andamenti
Paolino metrici. È significativo che i testi drammatici tardoantichi, destinati ad un
del mondo e di dedicarsi alla Chiesa: Paolino ribadisce la sua scelta, ed
esalta la superiorità della vita spirituale e della dedizione alla fede. pubblico diverso e più selezionato rispetto a quello che aveva assistito alle
rappresentazioni nei teatri, adottino una differente forma di espressione che
Vanno ricordati anche un epitalamio del 403, per le nozze di Giuliano d ’Eclano anticipa di molti secoli il moderno teatro in prosa.
(sul quale cfr. p. 590), un propem pticon, carme di augurio per il buon viaggio di
un amico; una consolatio per u n a coppia di coniugi che avevano perso un figlio
in tenera età. Epitalam io, propem pticon e consolatio erano tre generi letterari tipici Riassunto del A parte queste differenze form ali, il Querolus si discosta dalle commedie antiche
della poesia classica: Paolino li rivisita apportando peraltro innovazioni significative Querolus anche per la tram a e per la caratterizzazione dei personaggi. Il riferimento nel titolo
(specialmente nel caso dell’epitalamio, che si trasform a in esortazione ai due sposi all’Aulularia plautina non significa che ci si trovi davanti al rifacim ento di un pezzo
perché pratichino la castità). di sicuro successo: il Querolus è semmai il seguito dell’Aulularia, una continuazione
564 DA COSTANTINO AL SACCO D I ROMA BIBLIOGRAFIA 565

del racconto, in cui il tem a dell’avarizia, centrale nella commedia di P lauto, è molto ria F. A r n a l d i , D opo Costantino, Pisa Su A rnobio, F. G a b a r r o u , Arnobe:
meno im portante. 1927; sul m ondo della scuola M. P a v a n , son oeuvre, Paris 1921; H . H a g e n d h a l ,
La storia è questa: il vecchio Euclione, l’avaro dell’Aulularia, morente in terra stra­ L a crisi della scuola nel I V secolo d .C ., L a prose m étrique d ’A rnobe, Góteborg
niera, confida a M andrògero che ha nascosto, nella sua casa, un tesoro, e lo prega Bari 1952. 1937; E . L o e f s t e d t , Arnobiana, Lund-
di inform are di ciò il figlio Querulo; in cambio, M andrògero sarà coerede. M andrò­ Su Elio D onato si vedano L. H o l t z , Leipzig 1917; E . R a p is a r d a , A rnobio,
gero, con due lestofanti, si introduce nella casa di Querulo, dopo averlo convinto D onai et la tradition de l ’enseignement Catania 1945.
che solo lui può liberarlo dalla m ala sorte praticando una magia, e ruba il tesoro. grammatical: étude sur l ’«A rs Donati» et Su L attanzio, F. A m a r e l l i , Vetustas-
A perta la cassa, i tre ladri trovano u n ’urna funeraria, e convinti di essere stati im­ sa diffusion ( I ^ - I X 11siècle) et édition cri- Innovatio, Napoli 1978; V. Loi, Lattanzio
brogliati da Euclione, la gettano dalla finestra. L ’urna si rompe e ne esce l’oro che tique, Paris 1981; N. M a r in o n e , Elio D o­ nella storia del linguaggio e del pensiero
tutti vedono. M andrògero chiede allora a Querulo la promessa partecipazione all’ere­ nato, Macrobio e Servio commentatori di teologico preniceno, Ziirich 1970; R. M.
dità; Querulo gli rinfaccia il tentato furto: alla fine si ricorre ad un arbitro, che Virgilio, Vercelli 1946. O g il v ie , The Library o f Lactantius,
assegna tutto l’oro a Querulo, m a lo obbliga a mantenere Mandrògero come parassita. Su Tiberio Claudio D onato, M. O xford 1978; R. P ic h o n , Lactance, Paris
S q u il l a n t e S a c c o n e , L e «Interpretatio- 1901.
il personaggio di Il protagonista, Querulo, è un personaggio ben delineato: è sfortunato, nes Vergilianae» di Tiberio Claudio D o­ Su Firmico M aterno (edizione com­
Querulo ma la sfortuna sembra cercarsela, con quel suo continuo lamentarsi di tutto nato, Napoli 1985. m entata del De errore profanarum reli-
Su Servio (ed. G. Thilo - H. Hagen, gionum a cura di A. P a s t o r in o , Firenze
e di tutti; è un misantropo convinto che i difetti e le colpe siano sempre negli Leipzig 1881 segg.), si veda il volume di 1956) si veda A. J. F e s t u g iè r e , Trois dé-
altri, ma è costretto a sostenere un lungo colloquio, o piuttosto interrogatorio, N. M a r in o n e citato qui sopra. vots paì'ens, Paris 1944.
con il Lar familiaris. Anche nell’Aulularia c’è il Lar, il genio tutelare, che svol­ Su Nonio Marcello, W. M. L in d s a y , Su M ario V ittorino, Β. C it t e r io , C.
ge funzioni di prologo, ma nel Querolus esso diventa molto più importante: Nonius Marcellus, D ictionary o f Re- Mario Vittorino, Brescia 1948; P. H a d o t ,
public Latin, Oxford 1901; AA.VV., Stu­ M arius Victorinus: Recherches sur sa vie
è in un certo senso lo sdoppiamento di Querulo, la sua metà più lucida, e la di Noniani, Genova 1967-. et ses oeuvres, Paris 1971.
scena del loro dialogo è come un esame di coscienza, di quelli che gli stoici Su Fortunaziano, il commento all’e­ Su Ilario di Poitiers, P . G a l t ie r ,
tardoantichi raccomandavano quotidianamente al vir bonus. Non siamo certo dizione di L. C alboli M o n t e f u s c o (Bo­ Saint Hilaire de Poitiers, le prem ier doc-
ai livelli delle Confessioni di Agostino: ma l’insistenza sul fatto che nessuno logna 1979). teur de l ’église latine, P aris 1960;
ha il diritto di considerarsi astrattamente giusto è frutto della medesima conce-. Su M acrobio, N. M a r in o n e , Il So- AA.VV., Hilaire de Poitiers, évèque et
mnium Scipionis ciceroniano nella esege­ docteur, Paris 1968; A A .V V ., Hilaire et
zione morale, assai diffusa nei ceti benestanti della tarda antichità. si di M acrobio, Torino 1970; T h . W h it - son temps, Paris 1969.
Un moralismo La commedia, oltre che agli ideali di questi colti signori, risponde anche t a k e r , Macrobius, or Philosophy, Sci­ Su Giovenco, R. H e r z o g , D ie Bibe-
rispondente agli alle loro consuetudini di vita, con la descrizione (abbastanza credibile) di ence and Letters in thè Year 400, Cam ­ lepik der lateinischen Spatantike, Miin-
ideali dei signori una villa gallica e delle persone che la abitavano, dal padrone ai servi. Ad bridge 1923. chen 1975; F. L a g a n à , Giovenco, C ata­
Sui Panegyrici L atini (ed. P . F e d e l i nia 1947.
uno schiavo è assegnato un lungo monologo con l’esposizione della vita dei - V. P a l a d in i , Rom a 1976), S. D ’E l ia ,
servi. Non è certo una descrizione di quello che essa era in realtà, o di Ricerche sui Panegirici di M am ertino a L ’ultim a sto riog ra fia pa g a n a e la n u o ­
come la vedessero gli schiavi stessi: il punto di vista, anche se a parlare M assimiano, N apoli 1961. va st o r io g r a fia c r is t ia n a
è un servo, è sempre quello dei padroni, tanto consolatorio da concludere Per Simmaco si vedano i C om m enti
che la vita degli schiavi non ha niente da invidiare a quella dei signori; storici ai vari libri dell’epistolario in corso T ra i numerosi lavori sulla storiogra­
di stampa a Pisa ( 1981 -) a cura di vari autori. fia del IV secolo si ricordano in partico­
questi anzi non possono permettersi certe libertà e certi piaceri consentiti Su Vegezio, A . A n d e r s s o n , Studia lare I. L a n a , L a dissoluzione della sto ­
invece a chi appartiene agli strati più umili della società. Vegetiana, Uppsala 1938. riografia pagana negli ultimi secoli di R o ­
L’intento moralistico presente un po’ dappertutto, ma non in maniera Sull’anonimo D e rebus bellicis, E. A. ma, Torino 1963; J. S t r a u b , H eidnische
così opprimente da distruggere la piacevolezza del racconto, ha assicurato T h o m p s o n , A R om an R eform er and In- Geschichtsapologetik in der christlichen
ventor, O xford 1952. Spatantike, Bonn 1963.
un buon successo al Querolus anche durante il Medioevo; esso fu letto e Su Palladio, J. S v e n n u n g , Untersu- Su Aurelio V ittore, S. D ’E l ia , Studi
citato, e non mancò chi lo riprese per scrivere una nuova Aulularia, conti­ chungen zu Palladius, U ppsala 1935. sulla tradizione manoscritta di A urelio
nuando così la fortuna del titolo plautino. Sugli itinerari, K. M il l e r , Itineraria Vittore, N apoli 1965.
R om ana, Stuttgart 1916; in particolare Sul D e viris illustribus, L. B r a c c e -
sull’Itinerarium Egeriae (o Peregrinatio s i , Introduzione al «D e viris illustribus»,
Aetheriae) E. L o e f s t e d t , Philologischer Bologna 1973.
Kom m entar zur «Peregrinatio Aetheriae», Su Eutropio (edizione di C . S a n t i ­
Bibliografìa LA GRANDE RINASCITA CULTURALE buts du M oyen A ge, Paris 1968; E. S t e i n , U ppsala 1936·. n i , Leipzig 1979) si veda M . C a p o z z a ,
Histoire du Bas-Empire, trad. francese P a ­ R om a fr a monarchia e decemvirato nel­
Oltre ai manuali di K ovaliov , M aier ris 1949; fondamentale la raccolta di saggi l ’interpretazione di Eutropio, Roma 1973.
e M a z z a r in o ed il volume di B r o w n già a cura di A. M o m ig l ia n o , Il conflitto tra L ’e t à di C o st a n t in o Su Festo, J. W. E a d ie , The Brevia-
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secolo, per il quadro storico complessivo trad. it. Torino 1968; assai utile L a so­ Per un quadro del periodo della di­ Su A m m iano Marcellino, P . M. C a ­
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SuìYEphemeris belli Troiani, N. E. rino 1976. Il «secolo d ’oro» Gli anni dalla seconda metà del IV secolo al sacco di Roma sono, com­
G r if f in , Dares and Dictys. A n Introduc- S u Prudenzio, R. H e r z o g , D ie alle-
tion to thè Study o f M edieval Version o f gorische D ichtung des Prudentius, Miin-
del pensiero plessivamente, uno dei momenti più felici nella produzione letteraria latina,
thè Story o f Troy, Baltimore 1907. chen 1966; I. L a n a , Due capitoli pruden- cristiano sia per la quantità delle opere, sia per la loro ricchezza culturale, sia per
Sull’H istoria A lexandri M agni, D. ziani, Rom a 1962; E. R a p is a r d a , Studi l’eleganza della forma; ma c’è soprattutto un campo di una fertilità vera­
R o m a n o , Giulio Valerio, Palerm o 1974. prudenziani, C atania 1969; D. R o m a n o , mente prodigiosa, ed è quello della patristica. Padri della Chiesa sono chia­
Sulle Vite dei santi (edizioni coordi­ Carattere e significato del « Contro Sym -
nate da C h r . M o h r m a n n , Fond. Valla, m achum », Palerm o 1955; A n t o n io S a l ­
mati gli scrittori cristiani di questo periodo, sia greci sia latini, i quali com­
1974), e in particolare sulla vita di A nto­ v a t o r e , Studi prudenziani, Napoli 1958; pirono un’opera di mediazione tra la cultura classica e quella cristiana, e
nio si veda H . H o p p e n b r o u w e r s , L a plus K . T h r a e d e , Studien zu Sprache und Stil portarono l’analisi dei problemi etici e religiosi a sottigliezze e profondità
ancienne version latine de la vie de St. des Prudentius, Gòttingen 1965. mai raggiunte fino allora. Si può dire — ed è stato detto — che nell’epoca
A nto in e par St. A thanase, Nijmegen Su Paolino di N ola, oltre il saggio
1960.
antica ci furono due momenti fondamentali per la definizione dell’uomo,
di d e L a b r io l l e , ricordato nella biblio­
grafia su A usonio, e A A .V V ., A tti del delle sue caratteristiche sociali e culturali: il V e il IV secolo a. C., in Grecia,
La p o e sia e il te a t r o convegno X X X I Cinquantenario della ed il IV e V secolo d.C. per il pensiero cristiano.
m orte d i S. Paolino di N ola, Rom a s.d., Emergere di Il mondo latino continua ad essere, almeno sul piano della riflessione
Su A usonio si vedano G. B ellissi ­ si vedano R. A r g e n io , S. Paolino da N o ­ grandi pensatori teologica e delPesegesi biblica, parzialmente debitore di quello greco, come
m a , Saggi ausoniani, Siena 1932; F. B e ­ la cantore di miracoli, Roma 1970; P. Fa- nel mondo latino attestano le numerose traduzioni, ma riesce anche a produrre figure di pri­
n e d e t t i , La tecnica del «vertere» negli b r e , St. Paulin de N oie et l ’am itié chré-
Epigram m i di A usonio, Firenze 1980; P. tienne, Paris 1948; K . K o h l w e s , Christli- missimo piano, sotto l’aspetto della politica ecclesiastica, della catechesi, del­
d e L a b r io l le , L a correspondance d A u ­ che D ichtung und stilistischè Form bei l’analisi dottrinale, e soprattutto è vivificato da una fitta trama di intellet­
sane et de Paulin de Noie, Paris 1910; Paulinus von N ola, Bonn 1979; S. P r e ­ tuali per così dire intermedi, i quali si assumono con buoni esiti il compito
S. P r e t e , Ausonio nella testimonianza dei t e , Paolino di N ola e l ’umanesimo cri­
prim i umanisti, Firenze 1976.
di trasmettere ai fedeli le elaborazioni dei grandi pensatori, di orientarli nelle
stiano, Bologna 1964.
Su Claudiano, A. C a m e r o n , Clau- Sul Querolus, F. C o r sa r o , Quero- difficili controversie tra dottrina ufficiale ed eresie, di rendere sempre più
dian. Poetry and Propaganda at thè lus. Studio introduttivo e com mentario, capillare e funzionante la rete organizzativa della Chiesa. Fra tutti svettano
Court o f H onorius, O xford 1970; S. Bologna 1965. però i nomi di tre grandi Padri, che per diversi aspetti hanno condizionato
tutta la storia del Cristianesimo occidentale, Ambrogio, Girolamo e Agostino.

2. Ambrogio

Vita Nacque intorno al 339-340, a Trèviri, una delle principali città della Germa­
nia, dove suo padre risiedeva come prefetto del pretorio per la Gallia. Di impor­
tante famiglia senatoria, già cristianizzata (imparentata con la potente gens Aure-
lia, di cui facevano parte i Simmachi, pagani), Ambrogio segui gli studi tipici dei
giovani di buona famiglia destinati a fare carriera nell’amministrazione pubblica,
frequentando le migliori scuole di Roma. Poco più che trentenne, intorno al 370,
568 L APOGEO DELLA CULTURA CRISTIANA AMBROGIO 569

fu inviato a Milano come consularis Liguriae et Aemiliae, in pratica come gover­ Queste vivaci composizioni (in dimetri giambici catalettici) che hanno condizionato
natore di tutta l’Italia settentrionale, guadagnandosi la stima e l’affetto dei cittadi­ il canto e la musica cristiana, hanno una storia interessante, raccontata dallo stesso
ni, e risolvendo anche situazioni difficili. Dopo la morte (374) dei vescovo di Mila­ A m brogio nel Sermo contra A u xen tiu m , un discorso antiariano: nel 386 il vescovo
no Aussenzio, che era ariano, riuscì a sopire i conflitti e le violenze reciproche era riuscito a strappare agli eretici tutte le chiese di M ilano, e quando l’imperatrice
tra ariani e cristiani ortodossi tanto che la sola via d’uscita da uno scontro altri­ Giustina decise che almeno una, la Porziana, fosse destinata alle esigenze del culto
della com ponente ariana, che fino a pochi anni prim a rappresentava la m età del
menti insolubile fu di nominare vescovo proprio lui, nonostante fosse catecume­
popolo cristiano, A m brogio andò ad occuparla insieme con una massa di fedeli,
no, e non avesse quindi ricevuto ancora il battesimo. Morì nel 397, dopo aver
per impedire l’entrata delle forze dell’ordine che avevano il com pito di restituirla
avuto per oltre venti anni un ruolo di primo piano nelle principali vicende dell’im­ agli ariani. Per intrattenere gli occupanti durante le lunghe giornate trascorse nella
pero e deila Chiesa, alle quali Ambrogio partecipò sempre con l’abilità del grande chiesa assediata dall’esercito ed infiammare sempre più i loro animi, Ambrogio pensò
politico, ma anche con battagliera veemenza. Ebbe un ruolo fondamentale nel di far cantare questi testi dal facile ritmo e dai contenuti edificanti; il successo che eb­
concilio di Aquileia del 381, che sancì la sconfitta dell’arianesimo in Occidente; bero presso i fedeli e il positivo esito della battaglia per la Porziana fecero sì che
contrastò Simmaco nella disputa sull’altare della Vittoria in senato; intervenne gli inni entrassero stabilmente nella liturgia milanese e poi in tu tta la liturgia cristiana.
sui problemi della Chiesa orientale; fece pressioni su Teodosio per una politica ri­
gorosamente antigiudaica; minacciò di scomunica l’imperatore e gli impose pubblica L’epistolario Assai efficace è anche l’epistolario, che alterna lettere familiari e lettere
penitenza dopo un intervento di polizia contro la città di Tessalonica. Ambrogio
ufficiali, espressioni di affetto e di tenera attenzione per il gregge a lui affi­
fu, di fatto, una delle principali autorità dello stato, e il suo ruolo fu assai più inci­
sivo di quello di molti papi, messi in secondo piano dalla sua vigorosa personalità.
dato e severe minacce di punizioni divine. Si tratti di fondamentali vicende
della storia dell’Occidente romano, o dei doveri dei cristiani, Ambrogio di­
Opere Nonostante gii impegni politici ed ecclesiastici, Ambrogio compose un numero mostra una raffinata eleganza nel raccontare e una brillante capacità di pre­
notevole di scritti, anche se non tutto quello che ci è pervenuto sotto il suo nome sentare tutte le questioni sempre nella luce a lui più favorevole. Fra i temi
va attribuito con certezza a lui. Novantuno lettere, inni famosissimi (ma quelli sicu­ ricorrenti c’è naturalmente lo scontro con gli ariani, che Ambrogio condusse
ramente suoi sono soltanto quattro), prediche, discorsi funebri o polemici. Le sue non solo nelle massime assise della Chiesa, come nel concilio di Aquileia
prediche sono state a volte rielaborate e riunite insieme a formare nuove opere. del 381, ma anche in mezzo al popolo, con molteplici iniziative edificanti
Così è per I’Hexàmeron (sei libri contenenti nove discorsi sulla creazione), per il come il grande risalto dato al ritrovamento dei corpi dei santi Gervasio e
De sacramentis, per molte delle sue opere sulla verginità (De virginibus, De virgini- Protasio, allora molto famosi a Milano; nelle lettere di Ambrogio è anche
tate, Exhortatio virginitatis, De institutione virginis, ecc.). La teologia trinitaria è
l’eco dell’ultima battaglia contro il paganesimo, la più volte ricordata dispu­
affrontata nel trattato De fide, in tre libri, e in vari altri scritti; sul peccato e la grazia
è il De paenitentia. Tra le opere più note è il De officiis ministrorum, in tre libri,
ta sull’altare della Vittoria, che i senatori volevano ricollocare nella Curia:
che elenca i doveri dei sacerdoti e fornisce ad essi, ma anche a tutti i cristiani, Simmaco, come abbiamo visto, preparò un elegantissimo e convincente di­
dei precetti di vita; interessante è anche il De Nabùthae sul problema della proprie­ scorso in questo senso, ma due lettere durissime di Ambrogio dissuasero
tà e sul rapporto fra i ricchi e i poveri. Numerosissimi i commenti a libri e passi l’imperatore dal prestare ascolto alle richieste dei pagani. Con un frequente
dell’Antico e del Nuovo Testamento, tra cui alcuni Salmi, e il Vangelo di Luca. uso di citazioni bibliche, ma anche con un latino chiaro e perfino elegante,
l’epistolario tratteggia il ruolo del vescovo — o almeno di un grande vescovo
Ambrogio e la La figura di Ambrogio è molto ricca e complessa: risale almeno in parte — nella tarda antichità: i suoi impegni spirituali e temporali, i suoi doveri
secolarizzazione a lui quel fenomeno di secolarizzazione che portò la Chiesa ad intervenire verso la diocesi e verso la Chiesa tutta.
della Chiesa sempre più nelle vicende del mondo, ed a sostituirsi progressivamente alle Il De officiis Ai doveri degli ecclesiastici Ambrogio era particolarmente attento, fino
decadenti istituzioni politiche. In particolare, con Ambrogio si assiste ad ministrorum a dedicare loro un’intera opera: il De officiis ministrorum che già nel titolo
una delimitazione dell’autonomia decisionale delPimperatore, il quale — in e nel numero dei libri, tre, rinvia al ciceroniano De officiis. Del mondo
quanto cristiano — è soggetto alla Chiesa per tutte quelle iniziative politiche antico si recuperano tutti i valori e i comportamenti compatibili con la nuo­
che hanno rilievo sul piano morale. Interessanti al riguardo sono anche i va etica cristiana: le virtù cardinali, il concetto di diritto naturale, il primato
due discorsi funebri pronunciati dal Vescovo di Milano per Valentiniano dei diritti della collettività su quelli dei singoli; ma la tesi del libro è che
II e Teodosio: in essi egli traccia l’identikit del pius princeps e, nello stesso questi princìpi raggiungono la loro completa attuazione solo all’interno di
tempo, stabilisce una sorta di legame fra la pietà cristiana dell’imperatore un sistema fondato sulla fede cristiana. Nel continuo confronto fra le idee
e il suo diritto a governare. La sua azione di predicatore non ebbe riverberi classiche e quelle moderne Ambrogio opera più o meno consapevolmente
solo in campo politico: anche alle sue omelie — il cui bello stile era partico­ degli aggiustamenti e dei travisamenti di concetti e posizioni, e non c’è soltan­
larmente apprezzato dal professore di retorica Agostino — si deve la conver­ to una cristianizzazione del pensiero antico: altrettanto evidente è la «classiciz-
sione di quest’ultimo e l’acquisizione al Cristianesimo di uno degli spi­ zazione» del Cristianesimo, peraltro del tutto coerente con il progetto di
riti più sottili e capaci di affrontare problemi di altissima teologia e filosofia. integrazione fra Chiesa e Impero di cui Ambrogio era il principale sostenitore.
Gli Inni Se la grandezza di Ambrogio come figura storica è senz’altro fuori di­ L'Hexameron Come altri scritti, il De officiis ministrorum nacque da alcuni discorsi
scussione, più controversa è la valutazione di Ambrogio scrittore. Unanime tenuti ai sacerdoti della diocesi. Da una serie di omelie per la settimana santa
è, comunque, il giudizio assai positivo sugli inni: l’autenticità di Aeterne trasse origine anche l’opera esegetica più famosa, VHexameron, che, come
rerum conditor (il più noto), Iam surgit hora tertia, Deus creator omnium, dice il titolo, commenta i sei giorni della creazione, e quindi il libro veterote­
Veni redemptor gentium è garantita dalla testimonianza di Agostino. stamentario della Genesi. 'L’Hexameron è in sei libri, e risente senza dubbio
570 L’APOGEO DELLA CULTURA CRISTIANA GIROLAMO 571

di analoghi scritti di autori cristiani greci. Forse qui, più che nelle numero­ Il difficile conto delle molte inimicizie che si creò ai suoi tempi, e dei giudizi spesso
sissime altre opere esegetiche, Ambrogio riesce a dare gradevolezza letteraria carattere di molto severi degli studiosi moderni. Caratteristica da questo punto di vista
Girolamo e la è soprattutto la sua aspra polemica con Rufino (cfr. più avanti): Girolamo
alla sua scrittura: sa porsi dinanzi al mondo creato con l’ingenuo stupore
polemica con aveva a lungo condiviso il suo entusiasmo per Origene e per il suo metodo
dell’uomo che vede la natura per la prima volta, ma anche descriverla con
Rufino
una raffinata esposizione che utilizza al meglio le figure retoriche tradizionali. di interpretazione della Bibbia fondato sulla lettura allegorica, per cui i vari
Il tema della Un tema ripreso in varie opere è quello della ricchezza e della proprietà passi non andavano intesi in senso letterale, ma ricercando un più profondo
ricchezza privata, che Ambrogio condanna quando comporti inammissibili differenze significato nascosto; Girolamo anzi era stato il promotore della diffusione
tra ricchi e poveri. Soprattutto nel De Nabùthae (la storia del povero Na- di Origene e delle sue teorie in Occidente, traducendo in latino alcune opere
both privato della sua piccola vigna e ucciso dal prepotente re Achab) ma del pensatore greco: fu perciò assai discutibile il voltafaccia del 395, quan­
anche nel De Tobia, le accuse contro l’avarizia, strettamente connessa con do, preoccupato di certi aspetti poco ortodossi del pensiero origeniano, egli
la passione per il possesso, sono molto forti; anche nel De officiis ministro- scrisse un duro attacco contro il vescovo di Gerusalemme, Giovanni, che
rum ritornano osservazioni sulla necessità di considerare la terra e i suoi non condivideva la sua nuova posizione, ed era invece un sincero sostenitore
beni come patrimonio di tutti. di Origene. All’attacco a Giovanni rispose Rufino, ma in toni distesi e abba­
Ambrosiaster Ad Ambrogio sono state attribuite, nei secoli, anche molte opere che stanza sereni, dichiarando di non condividere il ripensamento di Girolamo,
certamente non gli appartengono; per alcune di queste (un commento alle e di voler anzi continuare l’opera di lui, proseguendo nelle traduzioni dei
Lettere di Paolo) si suole individuare l’autore col nome di Ambrosiaster testi di Origene: la risposta fu il violento scritto di Girolamo contro Rufino
— cioè falso Ambrogio — che gli fu dato dagli umanisti. del 402-403, dove si evita qualsiasi discussione sulle idee e sui problemi reli­
giosi che sarebbero dovuti essere al centro del dibattito, e si sceglie la via
dell’invettiva personale e dell’improperio.'
Girolamo e Su questo piano Girolamo ricorda la violenza di un Tertulliano; ma la sua
3. Girolamo Tertulliano aggressività è molto meno giustificata, perché sono profondamente cambiati
i tempi e il Cristianesimo non è più minacciato dalle persecuzioni; inoltre all’o­
Vita Sofronio Eusebio Girolamo nacque a Stridòne in Dalmazia intorno al 347; rigine si avvertono motivazioni personali non sempre disinteressate, piccole e
venne a Roma nel 354, studiò nelle migliori scuole della città, avendo per maestri grandi ambiguità, gli eccessi di chi vuole rimediare a posizioni precedentemen­
Mario Vittorino e Donato, e per compagno il suo futuro nemico Rufino. Viaggiò te assunte presentandosi poi come il più saldo sostenitore delle tesi opposte.
molto, soprattutto in Oriente dove apprese il greco e fu ordinato sacerdote, e
L’epistolario di Del carattere aspro di Girolamo è testimone anche l’epistolario: a parte
trascorse anche tre anni di vita monastica nel deserto della Càlcide (ma non
fu favorevolmente colpito dai monaci, troppo dediti alle controversie teologiche).
Girolamo le numerose lettere che hanno direttamente per argomento la polemica orige­
Nel 382 tornò a Roma, dove ebbe un grande successo: il papa Dàmaso lo scelse niana, dalla lettura dell’epistolario emerge netta la figura di un uomo bril­
come suo segretario, e molte nobili dame lo elessero a proprio consigliere spiri­ lante, affascinante, pieno di ingegno, ma anche violentemente emotivo, con­
tuale, costituendo un circolo che si ispirava al suo insegnamento. Alla morte di dizionato dal desiderio di primeggiare, non disposto ad accogliere serena­
Dàmaso (384) l’autorità e il prestigio di Girolamo caddero rapidamente, e si diffu­ mente le obiezioni o a tollerare pareri diversi dal suo. Già con Cicerone
sero pesanti critiche sugli eccessi del suo ascetismo; nel 385 lasciò quindi la e Plinio l’epistolografia si era mostrata un ‘genere’ letterario aperto, nel
città per l’Oriente seguito da alcune delle matrone che si erano affidate a lui. quale entravano temi di ogni tipo: problemi politici, letterari e fatti di vita
Per sua iniziativa furono fondati conventi maschili e femminili, uno dei quali nel quotidiana. Con Girolamo questa tendenza raggiunge il punto più alto; non
389 a Betlemme, dove Girolamo trascorse l’ultimo periodo della sua vita e dove soltanto si trova una più grande ricchezza di temi e argomenti, ma si assiste
morì, nel 419 o nel 420.
anche a una modifica strutturale: nei suoi sviluppi occasionali l’epistola si
Opere L’opera principale di Girolamo, che ha condizionato tutta la cultura occiden­ trasforma fino ad avvicinarsi a diverse, specifiche forme letterarie. Abbiamo
tale, è la traduzione in latino della Bibbia, la cosiddetta Vulgata. Di lui abbiamo così, all’interno dell’epistolario geronimiano, una lunga biografia (Ep. 108,
anche un ricco epistolario; tre vite di monaci eremiti; commenti a libri dell’Antico il cosiddetto epitaphium Sanctae Paulae), un trattatello sulle tecniche di tra­
e del Nuovo Testamento; testi di polemica religiosa, come ì’Apològia adversus duzione (Ep. 57, de optimo genere intepretandi), scritti esortatori alla vergi­
lìbros Rufini in tre libri e il Contra lohannem Hierosolymitanum episcopum, sulla nità, consolationes\ e infine lunghe disquisizioni a carattere esegetico su pas­
controversia origeniana; l'Adversus lovinianum, sull’ascetismo e la verginità; \'Ad- si problematici della Bibbia.
versus Vigilantium, sul culto dei martiri; il Dialogus adversus Pelagianos, in tre
libri, contro l’eresia di Pelagio; traduzioni dal greco di autori cristiani. Per gli studi Alcune lettere sono divenute famose, soprattutto quelle in cui G irolam o affronta
di letteratura sono particolarmente importanti due scritti: il Chrònicon, che tradu­ il problem a del rapporto fra Cristianesimo e tradizione classica; notissimo è il sogno
ce ed aggiorna ampliandola l’opera dallo stesso titolo dello scrittore greco Euse­ che racconta di aver fatto durante il primo soggiorno in T errasanta. Egli aveva por­
tato con sé nel deserto alcuni classici, e continuava a leggerli alternandoli ai testi
bio, con molte importanti notizie sugli autori latini antichi, e il De viris illustribus,
di fede, finché una notte gli comparve in sogno il giudice divino, che lo rimproverò
con 135 biografie di scrittori cristiani, da S. Pietro allò stesso Girolamo. e gli dom andò chi fosse; alla risposta di Girolam o «Sono cristiano», Dio replicò
« Ciceronianus es, non Christianus», e ciò convinse Girolam o ad un a solenne abiura
Se non come uomo di lettere, almeno come uomo di Chiesa, Girolamo del classicismo e alla promessa di non prendere più in m ano un autore latino. Ma
mostrò in più occasioni un carattere decisamente difficile: e ciò può rendere la promessa non fu certamente m antenuta, e i rapporti di G irolam o con Rom a e
572 l ’a p o g e o della cultura c r is t ia n a AGOSTINO 573

la sua cultura furono com unque più intensi di quanto forse lo scrittore stesso avreb­ so, perché, essendo perdute tutte le sue fonti, rimane per noi l’unico testi­
be voluto: in u n ’altra lettera, successiva al sacco di Rom a del 410, egli esprime il mone di importanti notizie, soprattutto di argomento storico-letterario.
proprio sbigottimento per la caduta della capitale del m ondo e la sensazione che Da Svetonio trae il titolo l’altra opera storiografica di Girolamo, il De
Il De viris
ormai tutto stia cam biando, e che il venir meno delle consolidate strutture politiche
e culturali dell’im pero non possa essere privo di conseguenze anche sul piano religioso. iliustribus viris iliustribus, che appartiene al genere delle biografie, e rielabora in parte
materiale desunto dalla Historia ecclesiastica di Eusebio, ma aggiunge molte
La Vulgata Ma il capolavoro di Girolamo è, come si è detto, la Vulgata. Del testo e interessanti vite di scrittori latini cristiani. Le valutazioni sono molto per­
biblico circolavano già varie traduzioni latine, che proprio per il loro nume­ sonali, e risentono di antipatie e simpatie: è chiaro che Girolamo preferisce
ro e le non poche differenze creavano vari problemi; di qui la necessità figure rigorose e ascetiche, come Tertulliano, nel quale si riconosce forse
di una revisione che stabilisse un testo definitivo e canonico. anche per la durezza di polemista, mentre maltratta gli esponenti della «se­
colarizzazione» della Chiesa, e soprattutto Ambrogio.
D urante il periodo rom ano Girolam o, su incarico di papa D am aso, allestì la traduzione
del Nuovo Testam ento e una traduzione dei Salmi, effettuata sul testo greco più diffuso,
quello cosiddetto dei Settanta, che traduceva a sua volta l’originale ebraico. D opo la
partenza da Rom a, nei lunghi anni di Betlemme G irolam o riprese il lavoro, utilizzando
per la traduzione l’edizione della Bibbia preparata da Origene (la cosiddetta Esapla)
4. Agostino
che riportava su sei colonne il testo ebraico, la sua traslitterazione e quattro diverse
traduzioni greche; Girolam o si convinse ben presto della necessità di tradurre in latino Vita Aurelio Agostino nacque a Tagaste, una città della Numidia, in Africa setten­
direttamente dalPoriginale ebraico, 1’Hebraica veritas, senza passare per l’interm edia­ trionale, nel 354; la madre, Monica, era una fervente cristiana. Studiò dapprima
rio di un testo greco, e riprese e perfezionò per questo scopo i suoi studi di ebraico.
a Madaura, poi a Cartagine, dove, giovanissimo, ebbe un figlio illegittimo; a 19
In quindici anni di lavoro costante e fervido, fra il 391 ed il 406, l’opera fu com pletata.
anni la lettura deWHortensius di Cicerone gli causò una profonda crisi spirituale,
Con la traduzione di Girolamo la Chiesa d’Occidente ebbe finalmente che lo portò ad accostarsi alla dottrina del manicheismo, la quale tentava di conci­
un testo unitario e abbastanza attendibile, destinato a rimanere praticamente liare il carattere di trascendenza proprio di ogni religione con aspetti di razionali­
fino ad oggi come unica versione autorizzata circolante in tutti i paesi di smo assai stimolanti per un intellettuale. Insegnò a Tagaste, poi a Cartagine, infine
(nel 384) a Roma. Grazie alla raccomandazione di Simmaco, il capo del gruppo
lingua latina prima, neolatina e germanica poi.
senatorio pagano, ottenne la cattedra di retorica a Milano, e qui insegnò dall’autun­
Fortuna della Il successo della Vulgata non fu però immediato: ci furono in primo no del 384. A Milano gli stretti rapporti con i circoli neoplatonici della città, l’ascolto
Vulgata luogo problemi pratici, che ritardarono la diffusione del nuovo testo, come delle prediche di Ambrogio, la presenza della madre, che lo aveva raggiunto col
la necessità di avere un numero sufficientemente alto di copie circolanti; figlio, lo portarono alla definitiva conversione. Lasciato l’insegnamento e ricevuto
ci furono le naturali resistenze dei cristiani che erano abituati a leggere e il battesimo (387) tornò in Africa (sulla via del ritorno gli morì la madre), e qui si
a citare i libri sacri in un’altra versione; ci furono soprattutto alcune resi­ dedicò alla vita monastica. Nel 391 fu ordinato prete ad Ippona (oggi Bona, in Alge­
stenze di carattere ecclesiale, come quella di Agostino. Questi espresse la ria), di cui divenne vescovo nel 395 o l’anno successivo. Come capo della diocesi
sua preoccupazione per il pericolo che un testo latino completamente indi- combattè contro varie sette ed eresie, soprattutto contro i manichei, i donatisti ed
pendente da quello greco dei Settanta, perché tradotto direttamente dall’e­ i pelagiani, ma si preoccupò anche dei problemi concreti dei suoi fedeli, sempre
braico, potesse provocare un allontanamento della Chiesa d’Occidente da più gravi e pressanti man mano che le strutture dell’impero cedevano dinanzi alle
invasioni. Morì nel 430, mentre Ippona era assediata dai Vandali che, guidati da
quella d’Oriente, che aveva appunto nei Settanta il suo testo ufficiale. In
Genserico, stavano procedendo alla conquista dell’Africa settentrionale.
effetti i rapporti fra Chiesa latina e Chiesa greca divennero col tempo sem­
pre più difficili; d’altronde le distanze fra le due parti dell’impero erano
Opere Secondo un calcolo del suo amico e discepolo Possidio, Agostino fu autore
destinate a crescere sempre più e per motivi anche più concreti ed ineluttabi­ di 1030 scritti; non tutti ci sono pervenuti, e alcuni possono essere riuniti in rac­
li. In compenso, la Vulgata rappresentò un fondamentale momento di ag­ colte, come i Sermoni o le Lettere, ma si tratta comunque di un numero di opere
gregazione per un Occidente devastato e diviso dalle invasioni dei vari popo­ così alto che non si può ragionevolmente pensare di indicarle tutte. Esse coprono
li germanici, sicché la sua funzione unificante prevalse largamente sulle frat­ un arco di cinquant’anni, dai primi lavori composti a Cartagine intorno al 380
ture che potè contribuire a provocare. fino ai trattati databili agli ultimi anni di vita. Una suddivisione tradizionale le
Il Chronicori Resta da dire del Chronìcon e del De viris iliustribus. La Cronaca di Euse­ raggruppa in: 1) opere autobiografiche; 2) opere filosofiche; 3) opere apologeti­
bio era una breve sintesi di notizie fino al 325, un lavoro preparatorio per le che; 4) opere dogmatiche; 5) opere polemiche; 6) opere morali; 7) opere esegeti­
più impegnative opere storiografiche dello scrittore greco, ed era preziosa co­ che; 8) lettere; 9) sermoni; 10) opere poetiche.
Alle opere autobiografiche appartengono le Confessiones, l’opera più nota
me repertorio di notizie. Durante il soggiorno a Costantinopoli, nel 381, Giro­
e diffusa, in tredici libri. Il titolo non fa tanto riferimento ad una confessione dei
lamo la tradusse in latino, e soprattutto la integrò con le notizie più recenti,
propri peccati, ma significa piuttosto «lode, esaltazione di Dio». Furono scritte
dal 325 al 378, e con informazioni sul mondo latino che Eusebio non aveva nei primi anni di vescovato, fra il 397 e il 400. Nei libri l-IX sono narrate le vicende
potuto o voluto registrare. Girolamo è particolarmente attento alle vicende di di Agostino dalla nascita alla morte della madre. Col libro X la narrazione autobio­
storia letteraria, per le quali può usare una documentazione assai valida, come grafica lascia il posto a riflessioni filosofiche (nel libro X si affronta soprattutto
quella del De viris iliustribus di Svetonio; nonostante le inesattezze, dovute an­ il problema della memoria) che negli ultimi tre libri sono sviluppate sotto forma
che alla fretta con cui Girolamo era solito lavorare, il Chronicon è assai prezio­ di commento al testo biblico della creazione: in particolare, il libro XI è occupato
574 l ’a p o g e o della cultura c r is t ia n a AOOSTINO E LE CONFESSIONI 575

quasi interamente dall’esame del concetto di tempo. Allo stesso gruppo si posso­ me con quelle di Agostino ci sono state tramandate anche alcune epistole dei
no assegnare le Retractationes, due libri composti nel 426-427, in cui Agostino suoi corrispondenti. Si va da semplici biglietti a veri e propri trattati o a relazioni
riesamina e corregge tutte le sue opere precedenti, eccetto i Sermoni e le Lettere stenografiche di sedute del clero di Ippona; tra i destinatari più noti sono Girola­
che non fece in tempo a rivedere. mo, a cui Agostino scrive su problemi di esegesi biblica, e Paolino di Nola.
Tra le opere filosofiche, alcune delle quali sono perdute, vanno ricordati al­ Alle epistole agostiniane da tempo note se ne sono ora aggiunte altre venti­
meno i Dialoghi di Cassiciàco (386-387), tre opere in forma dialogica (tre libri sette finora ignote, che ci sono tramandate da due manoscritti conservati in Fran­
Contra Academicos, un De beata vita, due libri De ordine), che riportano le di­ cia. Si tratta di un ritrovamento significativo sia per l’ampiezza del materiale* sia
scussioni del gruppo di intellettuali che si era ritirato con lui in una villa di Cassi- per i temi trattati in queste epistole, che risalgono agli ultimi anni di Agostino.
ciaco presso Milano dopo la crisi spirituale che precedette la conversione, e i Di particolare interesse è la Ep. 1 *A, in precedenza considerata erroneamente
Solìloquia, in due libri, con il dialogo fra Agostino e la Ragione sulla conoscenza il prologo al De civitate Dei, ed edita come tale.
di Dio e deH’anima. A questo gruppo si possono assegnare anche il De musica I Sermoni sono più di 500, anche se non tutti quelli attribuitigli sono veramen­
in sei libri, dove si sostiene che l’armonia musicale è fondata su precise norme te suoi. A volte esaminano passi biblici, altre volte hanno per argomento le vicen­
matematiche, e riflette la divina armonia del creato; e il De magistro, un dialogo de di martiri e di santi, altre volte prendono spunto da problemi morali e di com­
col figlio sui metodi e i limiti deH’insegnamento scolastico. portamento o da particolari ricorrenze. Si distinguono sempre per la chiarezza
Opera apologetica è il De civitate Dei, in ventidue libri, composti e pubblicati dell’esposizione e per l’efficacia della nuova retorica cristiana a cui sono ispirati,
per gruppi fra il 413 e il 427; è, con le Confessioni, uno degli scritti di maggiore impor­ quella teorizzata nel De doctrina Christiana.
tanza, destinato ad avere grande diffusione tra i contemporanei e successo fra i po­ Pochissime le composizioni in versi: in pratica merita di essere ricordato sol­
steri. Dopo il sacco di Roma del 410 i pagani accusavano i cristiani di aver provocato tanto il carme Psalmus abecedarius contra partem Donati del 394: si tratta di
lo sfaldamento e la caduta dell’impero; Agostino risponde ribadendo gli errori del un carme assolutamente innovativo, costituito da distici inizianti con le lettere
paganesimo, e teorizzando quindi l’esistenza di due città, la città terrena, del diavo­ dell’alfabeto in successione; il suo ritmo non è più basato sulla prosodia classica,
lo, e la città celeste, di Dio; i confini delle due città non coincidono con confini politici, ma si fonda sugli accenti di parola. Tali caratteristiche rendevano il carme facile
anzi, esse coesistono addirittura all’interno di ogni singolo. Gli stati, espressione a memorizzarsi anche da parte di persone non colte. È questa una prova ulteriore
della città terrena, sono destinati a morire, ma la città di Dio è eterna. della duttilità di Agostino, che sa adattare stile e procedimenti espressivi al tipo
Fra le opere dogmatiche la principale è il De Trinitate, quindici libri che impe­ di pubblico cui di volta in volta si rivolge.
gnarono Agostino per 20 anni, dal 399 al 419: in essi è affrontato il problema
della Trinità sulla base di citazioni bibliche e di speculazioni filosofico-teologiche.
Le opere polemiche si oppongono alle dottrine dei manichei, come ad esem­ Agostino e le Confessioni
pio i tre libri De libero arbitrio, completati ad Ippona, in difesa di quella libertà
di scelta che i manichei negavano, o soprattutto i trentatre libri Contra Faustum Originalità e Agostino è il più ricco e originale dei pensatori latini, e al tempo stesso
Manichaeum, del 397-400, con la definizione del rapporto tra fede e ragione; profondità di uno scrittore elegantissimo, che sa dare alle sue profonde elaborazioni da
contro i donatisti sono i sette libri De baptismo del 400-401 e il Post conlationem pensiero un lato una chiarezza ammirevole, dall’altro un’efficacia emotiva che fa ca­
contra Donatistas, del 412, con la difesa della validità dei sacramenti, indipenden­ pire al lettore di trovarsi dinanzi ad idee dì portata poderosa. Le sue teorie
temente dalle condizioni di grazia del sacerdote, e contro forme di contestazione hanno dominato gran parte del Medioevo, anzi si può dire che ne siano
violenta che mescolavano rigorismo religioso e istanze di giustizia sociale, costi­ state alPorigine; ma quando la società occidentale affrontò il nuovo cambia­
tuendo bande di infatuati come i circumcelliones che andavano devastando le mento epocale, dal Medioevo all’età moderna, fu ancora in lui che la Rifor­
grosse proprietà; alla disputa contro i pelagiani appartengono il De spiritu et atte­ ma protestante trovò i fondamenti teorici delle proprie dottrine. Le sue ar­
ra del 412 e il De praedestinatione sanctorum, del 428-429, per chiarire il ruolo gomentazioni filosofiche sono sottilissime e straordinariamente moderne; si
della grazia divina nella salvezza, e l’impossibilità che l’uomo si salvi con le sue
sole forze. Altri scritti si occupano dell’arianesimo e di altre eresie.
pensi alla scoperta della relatività del tempo, che non è una categoria assolu­
Del gruppo delle opere morali fanno parte scritti contro la menzogna, sulla ver­
ta, ma esiste solo in rapporto ai singoli soggetti che di questa categoria si
ginità, sul matrimonio e più in generale sul comportamento da tenere in vari casi servono: il passato, in quanto tale, non è più; il futuro non è ancora; il
della vita. A questo gruppo appartengono anche il De opere monachorum, del 400, presente è il fugace momento di passaggio fra questi due non essere, sicché
sulle attività a cui debbono dedicarsi i monaci, ed il De doctrina Christiana in quattro è più opportuno parlare di una memoria presente del passato, di un’aspetta­
libri, un altro degli scritti di maggior importanza, iniziato nel 397 e completato solo tiva presente del futuro, di una consapevolezza presente del presente. E non
nel 426. In esso Agostino si occupa di come debbano essere tenute le prediche, meno sottili e fertili di sviluppi sono le sue considerazioni sul rapporto fra
e soprattutto di come debbano essere interpretati i testi biblici; particolarmente im­ destino, grazia divina, peccato originale e libero arbitrio, che lo portano
portante è il IV libro, che analizza i rapporti fra la retorica classica e la retorica cristia­ ad una complessa dottrina che respinge contemporaneamente sia le posizioni
na, e quindi fra la tradizione culturale greco-latina e le nuove esigenze di una fede
manichee, più rigidamente deterministiche, che privavano l’uomo di qualsia­
che non vuole operare selezioni di classe o di istruzione.
si possibilità di intervento, sia quelle più seducenti del pelagianesimo, che
Tra le opere esegetiche sono molto numerose quelle che riguardano i primi
libri dell’Antico Testamento, e in particolare la Genesi. Sul Nuovo Testamento accentuavano lo spazio di autonomia dell’uomo, e garantivano la salvezza
vanno ricordati, fra gli altri, i quattro libri De consensu evangelistarum, scritti in­ per i soli meriti individuali.
torno al 400, che esaminano e tentano di risolvere le contraddizioni fra le quattro Introspezione e Dare un’idea anche approssimativa dell’immensa produzione letteraria
narrazioni evangeliche, e i vari lavori sul testo di Giovanni. analisi psicologica di un uomo capace di portare in luce gli aspetti più oscuri e inquietanti
Le lettere sono oltre 200, di vario argomento e di diversa estensione, e insie­ della sua anima e di scriverne usando magistralmente tutti gli artifizi formali
576 L ’APOGEO DELLA CULTURA CRISTIANA
AGOSTINO E LA CITTÀ D I DIO 577
della retorica è un’impresa scoraggiante: Agostino ha sempre qualche sor­
presa, qualche balzo improvviso, che rendono precarie e discutibili tutte le di vendetta. Uno dice: — Andiamo, facciamo —, e si ha pudore a non
sistemazioni. Il punto di maggior ripiegamento introspettivo Agostino lo rag­ essere spudorati».
giunge nelle Confessioni, nelle quali egli tocca livelli di analisi psicologica Problemi posti Un lettore moderno non avrebbe dubbi circa il genere letterario cui le
mai raggiunti in precedenza e difficili da trovare anche in opere di epoche dalie Confessioni Confessioni appartengono: si tratta di autobiografia. Ma la cosa non doveva
successive: l’angoscia per il peccato, oppressivamente presente nelle descri­ essere ugualmente ovvia per un lettore antico, che nello scritto di Agostino
zioni dell’infanzia e della fanciullezza; i drammatici travagli delle crisi; la non trovava molte delle informazioni d’obbligo per una biografia: notizie
famosa scena della conversione con la voce infantile che ripete come una sui genitori, la città natale, il corso degli studi ecc. Le notizie che Agostino
cantilena tolle, lege, «prendi e leggi»; Agostino che apre a caso la Bibbia dà invece su di sé riguardano assai marginalmente questi dati, che ricevono
e trova nella lettera di Paolo ai Romani le parole che segnano il suo passag­ attenzione solo in quanto si ripercuotono sull’animo del protagonista. Oltre
gio dalla vita mondana all’ascesi del Cristianesimo. Sono tutti quadri di ad essere una delle pochissime autobiografie antiche, l’opera di Agostino
grande effetto, per l’abilità di enfatizzare il sentimento, di mescolare al pa­ — proprio per i suoi tratti anticonformistici — è la prima autobiografia
thos un linguaggio lirico forte di coloriture poetiche, in cui anche le frequen­ nel senso moderno del termine.
ti reminiscenze bibliche creano un’atmosfera di commossa sacralità. Diario Inoltre, un’opera così dichiaratamente autobiografica — anche se di bio­
di un’angosciosa ricerca di verità che culmina nella conversione, le Confes­ grafia interiore, di storia di un’anima — si chiude con quattro libri che
sioni si allontanano dai comuni itinerari di salvezza noti anche al mondo il lettore moderno trova difficoltà a legare con i primi nove; ed anche l’ipo­
pagano (un esempio classico è quello della felicità iniziatica conquistata da tesi che il passaggio dalla biografia individuale al commento allegorico della
Lucio, il protagonista delle Metamorfosi di Apuleio), perché rimane nell’A- Genesi serva a sottolineare il rapporto fra uomo e natura, il ruolo di Dio
gostino convertito un senso di inquieta precarietà, che lo fa sentire un eterno creatore, e l’opportunità di cantargli le lodi, sembra un filo ancora insoddi­
convalescente, sempre minacciato da possibili ricadute nel peccato. Questa sfacente per un progetto che nella mente dell’autore doveva forse essere più
consapevolezza che nessuna conquista è definitiva fa delle Confessioni un complesso e significativo. È certo però che per un pubblico tardoantico la
unicum all’interno della produzione patristica, che in genere vede nella con­ varietà stessa presente all’interno delle Confessioni poteva avere valore posi­
versione il parto felice di una certezza raggiunta. tivo: se i primi nove libri mostravano a tutti i peceatori che non si deve
Le Confessioni: Si tratta di uno scritto esemplare anche per quanto riguarda le novità mai disperare della salvezza, gli ultimi tre libri dispiegavano una dottrina
una rivoluzione introdotte dal Cristianesimo nei canoni dei generi letterari antichi: il prota­ che poteva essere apprezzata da cristiani colti, interessati all’esegesi della
nei generi gonista non è un personaggio eccezionale per il ruolo che ricopre o per le Scrittura. Anche lo stesso titolo è poco chiaro: non si tratta della confessio­
letterari
sue vicende, ma un comune peccatore, che per volontà di Dio ha trovato ne nel senso che le diamo noi moderni, anche se Agostino dichiara pubblica­
la strada della salvezza, come tanti altri prima e dopo di lui; gli avvenimenti mente tanti suoi peccati e se ne accusa per chiedere perdono a Dio; c’è
non sono eccezionali o meravigliosi in sé, ma diventano tali solo per la pre­ piuttosto la testimonianza resa a Dio, il ringraziamento per avergli indicato
sentazione che ne fa l’autore, per la sua capacità di ingrandire a dismisura la strada attraverso il peccato, e insieme la lode per la meravigliosa architet­
il più piccolo particolare, di dare dignità a fatti che la letteratura tradiziona­ tura della creazione: le Confessioni sono in tutta la loro estensione un’unica,
le passava sotto silenzio o riduceva al solo registro del comico. Basta pensa­ immensa preghiera a Dio, l’interlocutore onnisciente cui Agostino rivolge
re al famoso episodio del furto delle pere, una ragazzata che acquista il il proprio discorso in un linguaggio che — non a caso — risente fortemente
suo spessore perché consente all’autore di scoprire, alla base di questa azio­ dello stile dei Salmi.
ne trasgressiva, il gusto per l’atto gratuito. In compagnia di un gruppo di Fortuna delle Ogni volta che le Confessioni, nella storia millenaria della loro fortuna,
scapestrati coetanei, aveva rubato da un albero carico di pere, che apparte­ Confessioni s’incontreranno con la passione per il dialogo interiore, con la forma dell’in­
neva a un vicino, alcuni frutti di cui la maggior parte era stata poi gettata dagine introspettiva, con il gusto per la letteratura dei ricordi, troveranno
ai porci: il ricordo di quella bravata giovanile, apparentemente senza impor­ sempre ammiratori pronti a lasciarsene suggestionare; il modello sarà attiva­
tanza, offre ad Agostino lo spunto per una serie di riflessioni di eccezionale mente operante (o almeno presupposto, qualche volta in polemica) in un
profondità sulla natura e le motivazioni del peccato: (2, 16 segg.) «Dunque umanista pronto alla confessione come Petrarca, nell’ardore religioso di Lu­
non amai null’altro che il furto. [...] I peccati chi li capisce? Era il riso tero e Calvino, nell’empito contemplativo dei mistici spagnoli, nella pacata
che ci sollecitava, per così dire, il cuore al pensiero di ingannare quanti riflessione di Montaigne, nei giansenisti e soprattutto in Pascal, fino a che
‘non sospettavano un’azione simile da parte nostra e ne sarebbero stati forte­ la «poesia della memoria» farà di Agostino giovane un eroe romantico.
mente contrariati. Perché dunque godevo di non agire da solo? Forse perché
non è facile ridere da soli? [...] Ecco dunque davanti a te, Dio mio, il ricor­
L a C ittà di D io
do vivente della mia anima. Da solo non avrei compiuto quel furto ih cui
non già la refurtiva ma il compiere un furto mi attraeva; compierlo da solo
non mi attraeva davvero e non l’avrei compiuto. Oh amicizia inimicissima, Problemi di E così è anche per l’altro grande capolavoro, la Città di Dio: qui la
seduzione inesplicabile dello spirito, avidità di nuocere nata dai giochi e dal­ inquadramento grandezza dell’idea di fondo, che la storia non deve essere più storia delle
posti dal De nazioni, ma storia dell’umanità, e il fondamentale contributo che essa reca
lo scherzo, sete di perdita altrui senza brama di guadagno proprio né avidità
civitate Dei all’edificazione di un sistema ideologico del Cristianesimo, debbono fare i
578 l ’a p o g e o della cultura c r is t ia n a AGOSTINO E LA CITTÀ D I DIO 579

conti con problemi di inquadramento per noi ancora irrisolti, e resi più com­ vano vizi o virtù dei Romani; che i Romani, anzi, non erano né migliori
plessi dalla pubblicazione avvenuta per gruppi di libri via via che la stesura né peggiori di altri popoli; che l’impero romano, lungi dall’essere l’oggetto
procedeva. Questo può spiegare le ripetizioni e qualche contraddizione, ma privilegiato della Provvidenza Divina, era del tutto inessenziale per la salva­
non basta a chiarire le difficoltà nello stabilire il rapporto fra Chiesa e città zione delPumanità, era semmai un fenomeno storico destinato col tempo
di Dio e quello fra città terrena e stato pagano-temporale, che a volte sem­ a scomparire. Ogni punto della sua argomentazione necessitava di esemplifi­
brano identificarsi, a volte invece avere ruoli ben distinti. cazioni e discussioni storiche: il pubblico cui Agostino si rivolgeva era abi­
La più Certo, nella vasta produzione di Agostino, la Città di Dio è l’opera tuato a pensare in termini di storia romana. Così il De civitate Dei, e spe­
consapevole tra non solo più imponente per impegno e mole (l’autore stesso la definiva «un cialmente i primi libri, è tutta una lunga polemica minuta contro fatti, per­
le opere di grande e arduo lavoro», magnum opus et arduum) ma anche la più consape­ sone, credenze, pratiche culturali e religiose della storia di Roma (parti­
Agostino vole che egli abbia mai scritto: si trattava di contrastare definitivamente colarmente del periodo repubblicano): in essa Agostino mostra una straor­
la forza della grande intellettualità pagana, di respingere la minaccia insita dinaria conoscenza degli storici classici e dei più recenti epitomatori. La
nel neopaganesimo letterario e filosofico che ancora cercava di imporre il Una filosofia della sua filosofia della storia raggiunge orizzonti inusitati per ampiezza di tempi
proprio primato culturale. Non si trattava solo di opporsi a conservatori storia: l’azione e di spazi: da sempre e in tutto l’universo la Divina Provvidenza guida e
intransigenti ma singolarmente isolati, quanto invece di impedire che l’ari­ della Provvidenza regge meravigliosamente tutte le cose e tutti gli eventi, preparando la salvez­
stocrazia intellettuale — coscientemente e coerentemente organizzata — tem­ e il destino delle
za dell’umanità. Agostino dichiara che gli uomini non sono sempre esistiti
due città
prasse contro la diffusione del Cristianesimo la prestigiosa tradizione paga­ e non sono destinati ad esistere sempre; che la giustizia sociale in questo
na. Vista in questa luce, la Città di Dio è l’ultimo atto di un lungo dramma: mondo (nella civitas mundi) non è mai raggiunta e compiuta. Le due città
scritta da un antico protetto di Simmaco (l’autorevole campione del «parti­ (quella terrena e quella divina) hanno avuto il loro principio, avranno i loro
to» pagano), essa doveva sancire il definitivo ripudio del paganesimo da progressi e la loro fine. Le due città hanno caratteri opposti anche se esse
parte di un’aristocrazia che aveva preteso di dominare la vita intellettuale di fatto convivono intrecciate e mescolate in ogni uomo. Il futuro dell’uma­
della sua epoca. nità è che l’inseparabile mescolanza delle due realtà diventi alla fine separa­
Resistenze Basterà ripensare ai Saturnali di Macrobio per riconoscere chiaramente zione; con lo sguardo della sua speranza Agostino separava quello che egli
dell’ultima cultura i gusti di questo ambiente di conservatori: un libro di conversazioni immagi­ ancora vedeva unito e mescolato nella realtà del mondo: al di là delle appa­
pagana narie che ritrae i grandi tradizionalisti romani al tempo del loro apogeo renze egli vedeva appunto due popoli, i fedeli e gli infedeli.
(intorno al 380). In queste conversazioni possiamo cogliere qualcosa di più Le contraddizioni Il bisogno di salvare la propria identità di cittadino del Cielo è, pertan­
che non l’aristocratico godimento di un grande passato: è tutta una cultura del peregrinus to, il centro di gravità della concezione agostiniana, del suo modo concreto
che lotta per sopravvivere. La Vecchia Tradizione, la vetustas, deve adesso nella città del di intendere i rapporti tra la città di Dio e la città del mondo. L’ordinaria
mondo
essere «sempre venerata». Ci troviamo di fronte a un curioso fenomeno, società umana deve far posto a un gruppo di uomini consapevoli di essere
quello della conservazione nel presente di tutto un sistema di vita, che si diversi, a una civitas peregrina, una comunità di cittadini che siano «stranie­
cerca di salvare trasfondendo in esso l’inviolabile sicurezza di un passato ri in patria». Il peregrinus, lo straniero-pellegrino, dovrà compiere il suo
venerato. Ma non era tutto: questi uomini erano anche profondamente reli­ viaggio per uscire dal mondo in cui si trova ad esistere, e raggiungere la
giosi; potevano gareggiare con i Cristiani nella loro solida credenza in premi città di Dio: egli è appunto peregrinus in quanto è uno «straniero» che tem­
e pene dopo la morte. Si può anzi ricordare che Macrobio aveva scritto poraneamente risiede nel mondo perché non può rifiutare un’intima dipen­
anche un commento al Sogno di Scipione in cui si mostrava come «le anime denza dalla vita che lo circonda. È questa forse la più affascinante lezione
di coloro che hanno ben meritato dalla società umana lasciano il corpo per agostiniana: la consapevolezza che l’uomo, anche il Cristiano, è realmente
ritornare al Cielo a godervi una beatitudine eterna». A questi uomini il Cri­ legato a questo mondo, è legato da vincoli che già solo per essere umani
stianesimo appariva come una religione disgiunta dagli assunti naturali di sono in qualche modo necessari e mai del tutto ricusabili; questi vincoli
tutta una cultura. A loro, anzi, i grandi platonici dell’epoca, Plotino e Por­ impongono doveri comuni che vanno accettati. Così, in ultima analisi, la
firio, potevano offrire una visione profondamente religiosa del mondo, in Città di Dio non sarà un libro che propone la fuga dal mondo: resterà un
cui confluiva del tutto naturalmente una tradizione antichissima e profonda­ ardente invito a vivere dentro il mondo, ma allo stesso tempo distaccati
mente radicata. Le asserzioni dei Cristiani, all’opposto, mancavano di fon­ dal mondo.
damenti intellettuali, mancavano di conoscenze razionalmente conquistate.
La demitizzazione È insomma a questa (anzi, contro questa) aristocrazia colta pagana che
della storia si rivolge Agostino nella Città di Dio: e mentre mira a costruire un fonda­ Pensiero e stile di A gostino
romana mento intellettuale del Cristianesimo, non manca di demitizzare il grande
passato dei Romani, rifugio idealizzato in cui la cultura pagana cercava scam­ Un mondo Il complicato itinerario individuale di Agostino ha arricchito il suo pen­
culturale di siero di una quantità di tematiche e di spunti, che non hanno forse trovato
po contro l’amara realtà del presente. Con ironia appassionata egli sa mo­
straordinaria una definitiva collocazione sistematica, ma proprio per questo esercitano
strare che la storia romana non è affatto piena di exempla morali; che disa­ attualità
stri di ogni tipo erano gravi e frequenti nel passato come nel presente; che un fascino ancora più grande soprattutto su quelle epoche che, come la pre­
questi non erano se non i segni della peccaminosità umana; che nulla conta­ sente, rifuggono da costruzioni ingenuamente integrali. Maestro di scuola,
580 l ’a p o g e o della cultura c r is t ia n a ALTRI PADRI DELLA CHIESA 581

si è formato sui testi della tradizione classica, e da essi ha appreso i migliori 5. Altri Padri della Chiesa
prodotti della cultura greca e latina; manicheo, è venuto in contatto con
le elaborazioni di una setta tra le più vivaci e stimolanti dell’epoca, la cui
R ufino
importanza sul piano del pensiero antico è ora oggetto di attente analisi
e rivalutazioni; neoplatonico, ha approfondito la lezione di quello che per Accanto a questi tre protagonisti, Ambrogio, Girolamo ed Agostino,
lui è il più grande filosofo dell’antichità, Platone, e al tempo stesso ha par­ che ebbero il ruolo più rilevante nell’ampio scenario della patristica latina,
tecipato alle elaborazioni filosofiche dell’ultima corrente di pensiero del pa­ operarono molti altri autori, alcuni con maggiore impegno per le questioni
ganesimo. Nel De civitate Dei egli ridimensiona il ruolo di Roma e del suo teologiche e dottrinali, altri più attenti all’aspetto più propriamente lettera­
Impero, ma non esita a sollecitare, con epistole di impressionante durezza, rio. Va ricordato in primo luogo quel Tirannio Rufino di Aquileia (circa
l’aiuto dello stato nella repressione dello scisma donatista; profondamente 345-411) che fu prima compagno ed amico di Girolamo, e poi divenne og­
legato alla cultura classica, non esita a porla in discussione nel De doctrina getto dei suoi durissimi attacchi.
Christiana-, raffinato intellettuale, ha scelto di cimentarsi con le problemati­ Rufino e Origene La produzione originale di Rufino è quasi tutta legata alla polemica
che più complesse, che da tempo travagliavano i pensatori più agguerriti, su Origene, che egli difende ipotizzando che i vari passi non ortodossi repe­
ed ha addirittura messo a fuoco nuove questioni, non meno angosciose e ribili nelle opere dello scrittore greco siano frutto del lavoro di falsari: que­
difficili delle precedenti; uomo di Chiesa, riteneva suo dovere raggiungere sto sostiene nel De adulteratione librorum Origenis, mentre altri scritti, e
il più debole e incolto dei suoi fedeli, e si sforzava di scrivere per tutti e soprattutto i due libri àtìV Apologia contra Hieronymum, servono a giustifi­
non soltanto per una élite di studiosi. care le proprie posizioni di caldo apprezzamento per il grande pensatore
Uno stile Alla necessità di raggiungere ogni genere di pubblico risponde anche greco. Per invito di Paolino di Nola scrisse invece il De benedictionibus
personalissimo lo stile, che presenta moltissime variazioni da un’opera all’altra. Sostenuto patriarcharum, un’opera di esegesi veterotestamentaria. Ma, come è per Gi­
negli scritti che si destinano a lettori dotti e uomini di chiesa, è invece assai rolamo, anche per Rufino l’attività di traduttore è più imponente e significa­
più colloquiale nei Sermoni, dove si cerca — attraverso la ripetizione dei tiva di quella di scrittore: moltissime le traduzioni da Origene, ma anche
singoli nessi e singoli termini — di imporre alla memoria dei fedeli alcuni dai grandi Padri orientali del IV secolo; le più interessanti sono forse quelle
concetti fondamentali. Molto vario anche lo stile delle epistole, che conosce sulle storie dei monaci d’Egitto, che contribuirono alla diffusione del feno­
toni di deferente mondanità verso i corrispondenti che occupano posti di meno monastico nell’Occidente latino, e la rielaborazione della Historia ec­
rilievo nell’amministrazione dell’impero o fra i ranghi della nobilitas. La clesiastica di Eusebio, che Rufino tradusse, integrò e completò aggiungendo
sua scrittura si articola in frasi composte di brevi elementi, musicalmente la parte che tratta gli anni dal 324 al 395.
disposti all’interno del periodo secondo precise corrispondenze di durata,
rime ed assonanze; uno stile che presuppone una lettura a voce alta, come
era quella degli antichi, e perde molto della sua efficacia con la nostra lettu­ Sulpicio Severo
ra silenziosa, anche se non può comunque sfuggire l’eleganza della costru­
zione, a volte fin troppo artificiosa, che riesce ad inglobare le numerosissime Vita di Sulpicio Scrittore brillante e piacevole è il gallico Sulpicio Severo. Nato nella
citazioni bibliche in un discorso continuo senza far avvertire sgradevoli salti Severo Gallia Aquitanica intorno al 360, studiò a Bordeaux, divenne famoso come
di tono. avvocato e fece un ottimo matrimonio con una ricchissima giovane di fami­
Agostino si presta alle letture più svariate: ci si può compiacere di glia consolare. L ’immatura morte della moglie e i suggerimenti dell’amico
individuare le tecniche di costruzione del discorso, restando gratificati nel- Paolino di Nola lo spinsero verso la vita ascetica, quando aveva circa 30
Γindividuare un rassicurante sistema di perfetti equilibri, che garantiscono anni; dopo alcuni anni trascorsi in varie località della Gallia si recò a Tours
la stabilità dell’insieme; si possono seguire i difficili percorsi del suo pensie­ nel 396: qui conobbe il famoso vescovo Martino, che ebbe una grande in­
ro, affannandosi dietro un ingegno che tende ad alzarsi verso Dio lungo fluenza sulla sua futura attività di scrittore. Nel 399 rinunziò a tutti i suoi
strade ardue tracciate da una logica sottile e spietata; si può a volte beni, e con l’appoggio finanziario della suocera costruì un convento nella
gettare lo sguardo negli abissi profondi che cingono queste strade, o verso Gallia meridionale, a Primuliacum; qui rimase fino alla morte, avvenuta
le cime che a volte si intravedono, anche se ci si rende conto che non intorno al 420.
si può reggere a lungo a queste tensioni. Con Agostino si sono cimentati La Vita sancii Molto della produzione letteraria di Sulpicio Severo ruota intorno alla
i maggiori ingegni di tutti i tempi, ma non è facile trovare chi abbia Martini figura di Martino cui dedicò varie opere fra le quali la Vita sancii Martini,
saputo interpretare e comprendere, senza immiserirla, tutta la sua vitale uno dei primissimi esempi di vite di santi scritte in Occidente (cfr. p. 550).
problematicità. Tutte le fonti vengono utilizzate, senza essere sottoposte ad un vaglio criti­
co, e largo spazio è lasciato ai miracoli ed alle descrizioni fantasiose: ne
viene in parte danneggiata l’attendibilità storica delle ricostruzioni, ma il
risultato è assai efficace sul piano della propaganda, e la stessa lettura è
piuttosto gradevole, come quella delle vite dei monaci orientali. Martino
è presentato come ideale di ascetismo e dedizione a Dio, in continua lotta
582 L’APOGEO DELLA CULTURA CRISTIANA
BIBLIOGRAFIA 583

Su Agostino, F. B o l g ia n i , L a con­ gustinus, A m sterdam 1965; M. P el l e g r i ­


con il diavolo, protagonista di vicende edificanti spesso con evidenti tratti
versione di S. Agostino e l ’VIII libro delle n o , Problemi vitali nelle Confessioni di
di soprannaturale. Anche se questo può stupire il lettore moderno (tanto Confessioni, Torino 1956; P . B r e z z i , S. Agostino, Tolentino 1961; A. P in c h e r -
più che questi fatti poco credibili ci sono narrati da un intellettuale piuttosto A nalisi e interpretazione del «D e civitate l e , Vita d i S. A gostino, Bari 1980; L.
snob), bisogna tener conto di due fatti: innanzitutto, a quei fenomeni di Dei» di S. A gostino, Tolentino 1960; P. F. P iz z o l a t o , L a fo n d a zio n e dello stile
credenza superstiziosa che oggi si tendono a considerare propri della cosid­ B r o w n , Agostino d ’ippona, trad. it. T o­ nelle Confessioni di S. A gostino, Milano
rino 1971; I d ., Religione e società nell’e­ 1972; H . C h a d w i c k , A gostino, trad. it.
detta «religiosità popolare» partecipavano nella tarda antichità anche perso­ Einaudi, Torino 1989. Le nuove lettere
tà di S. A gostino, trad. it. Torino 1975;
ne di cultura; e poi, rispetto alle vite orientali, Sulpicio appare straordinaria­ P . C o u r c e l l e , Recherches sur les Con- di Agostino sono ora edite con traduzio­
mente parco di visioni demoniache e fatti miracolosi. In ogni caso, la note­ fessions de St. Augustin, Paris 1950; I d ., ne e com mento in Bibliothèque Augusti-
vole capacità, che Sulpicio dimostra, di colpire la fantasia dei lettori ha Les Confessions de St. A ugustin dans la nienne, Ceuvres de Saint A ugustin, 46 B,
senza dubbio avuto un ruolo non secondario nella creazione della leggenda tradition littéraire, Paris 1963; É . G ilso n , Lettres l*-29*, Paris 1987.
Introduction à l ’étude de St. A ugustin, Su Rufino, F. X. M u r p h y , R ufinus
di S. Martino, molto diffusa in tutto l’Occidente e soprattutto in Francia. Paris 1949; I d ., Les m étamorphoses de o f Aquileia, W ashington 1945.
la Cité de D ieu, Paris-Louvain 1952; H . Su Sulpicio Severo, G . K. v a n An-
Altre opere di Al ciclo per M artino appartengono anche due D ialogi, di poco posteriori alla Vita, H a g e n d a h l , A ugustine and thè Latin d e l , The Christian Concepì o f H istory
Sulpicio Severo che narrano con toni ancora più popolari i miracoli e le imprese del santo: l’opera Classics, Goteborg 1967; Η . I. M a r r o u , in thè Chronicle o f Sulpicius Severus,
è in form a di dialogo della d urata di due giorni tra Sulpicio stesso, un monaco L ’ambivalence du temps de l ’histoire chez A m sterdam 1976; F. G h iz z o n i , Sulpicio
occidentale e un viaggiatore reduce dalPOriente, ed è im postata sul confronto tra St. A ugustin, Paris-M ontréal 1950; I d ., Severo, Rom a 1983.
gli atti miracolosi dei monaci d ’Egitto e quelli operati da M artino, che non risulta, S. A g o stin o , trad. it. Milano 1960; C h r . Sulle polemiche antiariane si veda Μ.
ovviamente, per nulla inferiore agli orientali. Di lui abbiam o inoltre alcune lettere, M o h r m a n n , Die altchristliche Sonder- S im o n e t t i , Studi su ll’arianesimo, Roma
anch’esse relative alle vicende della vita e della m orte di M artino e al suo culto, sprache in den «Sermones» des hi. A u- 1965.
e uno scritto storiografico in due libri, intitolato Chronica. Q uest’ultim o si propone
di fornire un breve, facile m anuale di storia ecclesiastica dalle origini del m ondo fino
all’anno 400 d.C . Particolarm ente ampia è la trattazione dell’eresia di Priscilliano (su
cui cfr. p. 523); del resto, Sulpicio non sembra immune da simpatie verso alcune eresie.

Sulpicio Severo e Le affinità tra Sulpicio Severo e Paolino di Nola non si limitano alle
Paolino di Nola vicende biografiche: anche come scrittore Sulpicio ha molti punti in comune
con il suo amico e conterraneo. Pur venendo entrambi da ottimi studi e
da ceti elevati sanno tuttavia cogliere quanto di meraviglioso e affascinante
circola nei ceti subalterni, e divenire i cantori — in poesia Paolino, in prosa
Sulpicio — di un mondo fantastico abitato da santi e da diavoli; così attra­
verso il Cristianesimo, sovvertiti valori e gerarchie, emergono ambienti e
realtà che erano finora rimasti ai margini della cultura classica, e che saran­
no invece tra gli elementi più vivi della nuova realtà medioevale.

Bibliografia Oltre i già citati m anuali di lettera- το , L a dottrina esegetica di S. A m bro-


tura cristiana, per la patristica vanno con- gio, Milano 1978; AA.VV., A m brosius
sultati B. A l t a n e r , Patrologia, trad. it. episcopus, a cura di G. L a z z a t i , Milano
Torino 1968; H . v o n C a m p e n h a u s e n , I 1976.
Padri della Chiesa latina, t r a d . it. F ire n - Su G ir o la m o , P . A n t i n , Recueil sur
ze 1969; J . Q u a s t e n , Patrologia, tr a d . St. Jéróme, B ruxelles 1968; Y . B o d in , St.
it. T o rin o 1969. Jéróme et l ’église, P a ris 1966; F . C a va l -
Su A m b ro g io si v e d an o H . v o n C am - l e r a , Saint Jéróme. Sa vie et son ozu-
p e n h a u s e n , A m brosius von M ailand als vre, I- I I , P a r is 1922; R . H e l m , H ierony-
Kirchenpolitiker, B e rlin -L eip zig 1929; P . muszusàtze in Eusebius’ Chronik und ìhr
C o u r c e l l e , Recherches sur St. A m broi- Wert f ù r die Literaturgeschichte, L eip zig
se, P a r is 1973; G . L a z z a t i , Il valore let- 1929; J . N . D . K el ly , Jerome: H is Life,
terario dell’esegesi ambrosiana, M ila n o W ritings and Controversies, L o n d o n
1960; G . M a d e c , St. A m broise et la phi- 1975; I. O p e l t , H ieronym us’ Streitschrif-
losophie, P a ris 1973; A . V . N a z z a r o , ten, H e id e lb e rg 1973; S. P r ic o c o , Storia
Simbologia e poesia d ell’acqua e del ma- letteraria e storia ecclesiastica dal «De vi-
re in A m brogio di M ilano, N a p o li 1977; ris illustribus» d i Girolamo a Gennadio,
J . R . P a l a n q u e , St. A m broise et l ’E m - C a ta n ia 1979; J . S t e in m a n n , St. Jéróme,
pire Rom ain, P a r is 1933; L . F . P iz z o l a - P a ris 1958.
LA ΓΙΝΕ DELL’IMPERO D ’OCCIDENTE 585

al potere degli Unni ed al grande impero costruito in pochi anni fra il Reno,
DA ONORIO A ODOACRE gli Urali e il Danubio. Cessato questo pericolo, i diversi stati germanici co­
minciarono a consolidarsi: conobbero certo ancora molti cambiamenti, sia
(410-476) nella consistenza territoriale, sia nelPinsediamento delle diverse popolazioni,
ma si avviò un processo dì definizione dei rapporti con la nobilìtas romana
— i grandi proprietari terrieri — e con la Chiesa, governata da esponenti
di questa stessa nobilìtas. Ciò porterà ad accordi che consentiranno, nella
maggior parte dei casi, un’integrazione relativamente pacifica.

Crisi economica Il cambiamento istituzionale, con il disfacimento dell’impero e il sorgere


generalizzata di vari regni che tendono a caratterizzarsi come stati nazionali, fu accompa­
gnato da un pesante regresso economico: all’inizio del V secolo le casse im­
periali potevano ancora far fronte alle spese, anche se a prezzo di imposizio­
1. La fine dell’impero d’Occidente: un nuovo quadro politico- ni fiscali assai gravose; la proprietà fondiaria, soprattutto in Gallia e in
istituzionale Africa, produceva ingenti ricchezze, e i latifondisti erano detentori di grossi
capitali liquidi in preziose monete d’oro; i commerci erano attivi nelle mag­
giori città, dove la ricchezza circolava ancora in maniera soddisfacente. Alla
La divisione tra Gli ultimi decenni dell’impero d ’Occidente sono un susseguirsi di inva­ metà del secolo, invece, la crisi è fortissima e coinvolge non solo le finanze
Impero d ’Oriente sioni e di sempre meno efficaci tentativi di resistenza. La divisione fra le dello stato, completamente esauste, ma anche i patrimoni privati: le distru­
e Impero
due parti dell’impero, quella d ’Oriente e quella d ’Occidente, era ormai defi­ zioni delle città, la riduzione delle aree coltivate, il fortissimo aumento della
d ’Occidente
nitiva, e anche i rapporti culturali fra le due partes erano divenuti sempre tassazione nei territori ancora soggetti all’impero producono conseguenze
più precari. Del resto anche all’interno dell’Occidente le singole regioni co­ disastrose sull’economia, soprattutto a carico dei ceti medio-bassi. Contadi­
Disgregazione noscevano vicende diverse, che portavano ad un progressivo differenziarsi ni e schiavi, ridotti alla disperazione, si riunivano in gruppi armati per com­
dell’ impero delle varie zone, anche sul piano linguistico e letterario. Le aree più periferi­ battere sia contro i barbari, sia contro i rappresentanti del potere imperiale:
che vengono di fatto abbandonate anche prima dell’invasione germanica per soprattutto in Spagna e in Francia le rivolte popolari furono frequenti, e
l’impossibilità di garantirne i collegamenti con il centro: così è per la Britan- per spegnerle si mobilitarono spesso insieme gli eserciti di Roma ed i Germa­
nia, che nel corso del secolo si allontana dalla tradizione e dalla cultura ni foederati, cioè insediati nei territori dell’impero e legati con un patto
romana, ed assiste ad un recupero del sostrato celtico, che finisce col diveni­ di alleanza. Alcuni esponenti dei ceti senatori impiegarono le loro ricchezze
re dominante fino aU’arrìvo degli Angli e dei Sassoni. Le altre province per. dotarsi di milizie private; altri stipularono accordi con gli invasori; molti
attraversano una serie di vicende drammatiche che incidono pesantemente fuggirono portando con sé tutti i loro tesori.
sulle loro possibilità produttive, debilitandone le economie e peggiorando
gravemente le condizioni di vita: l’Africa — insieme con la Sardegna, la
Corsica e le Baleari, e più tardi la Sicilia — è conquistata dai Vandali. Que­ Dalla crisi ad una nuova sintesi culturale
sti già nel 429 vi costituiscono un autonomo stato nazionale — il primo
stato germanico sul territorio dell’impero — che priva l’Italia dei preziosi In una realtà così mutata, non mancano però aspetti di conservazione,
rifornimenti alimentari provenienti da quella provincia; la Spagna è attraver­ sia pure ad un livello più basso, di alcune fra le caratteristiche più tipiche
sata, in ondate successive, dai Vandali, dagli Alani, dai Suebi, e infine dai del sistema imperiale: i Germani, ad esempio, non avevano proprie tradizio­
Visigoti che vi si insediano, prima come alleati di Roma, poi, a partire dal ni burocratiche e amministrative che potessero competere con quelle dei Ro­
466, come stato autonomo; la Gallia viene divisa tra gli stessi Visigoti a mani, e dovettero perciò servirsi delle strutture preesistenti; questa esigenza
sud, i Burgundi al centro, i Franchi a nord-est, i Bretoni a nord-ovest; tra comportò la necessità di continuare a formare personale adeguato al compi­
questi due ultimi insediamenti, un residuo territorio continua a riconoscersi to, e quindi la sopravvivenza delle scuole. Per di più, nella maggior parte
come romano anche se, perduto ogni contatto con l’Italia, per un certo pe­ dei casi, i Germani erano già da tempo in stretto contatto con la cultura roma­
riodo si costituisce in autonomo regno; l’Italia, dopo l’invasione dei Visigoti na, e questo rese meno pesante l’impatto dell’occupazione, consentendo, sia
di Alarico, riesce ad evitare quasi tutte le ondate, e viene investita solo mar­ pure tra molte difficoltà, un’integrazione che si verificò in tempi e forme
ginalmente dalla più forte, quella degli Unni. molto diversi, ma su tutto il territorio dell’antico Impero. Questo complesso
Gli Unni e il Ai problemi della sistemazione dei popoli germanici negli antichi territo­ mescolarsi di fattori, che dà alle varie regioni aspetti molto differenziati,
consolidarsi degli ri dell’impero si aggiunsero infatti anche le scorrerie di questo popolo no­ compone un quadro assai poco omogeneo della vita culturale e letteraria
stati germanici
made delle steppe, che alla metà del secolo devastò tutta l’Europa; solo dell’Occidente: alcune zone attraversano una fase di pesante degradazione,
la morte del loro re Attila, più che qualche sconfitta riportata contro l’eser­ altre continuano a produrre scrittori ed opere ben paragonabili a quelli delle
cito romano o l’azione politica della Chiesa con papa Leone I, pose fine età precedenti. Agli ideali della tradizione classica, sempre molto forti, anzi
586 DA ONORIO A ODOACRE
LA FINE DELL’IMPERO D ’OCCIDENTE 587

in qualche caso esaltati dalla necessità di individuare valori su cui unificare faticosamente da un pagano neoplatonico di epoca tarda; proprio in questo
il gruppo romano e da contrapporre a quelli dei Germani, si affianca in sta la sua grandezza e la sua importanza storica, anche se la fabula non
alcuni scrittori la disponibilità più o meno interessata a confrontarsi col mondo esaurisce solo in questo il suo significato, trovandovi larga parte lo stesso
dei vincitori, a trasporre nei canoni latini la loro cultura, a presentarsi come mondo religioso-misterico del sincretismo tardo-antico.
soggetti di una mediazione tra passato e presente. Lo stile della prosa e della poesia è estremamente artificioso e complica­
to, di difficile e problematica lettura, costruito com’è con forte intonazione
Marziano Capella retorica, sapientemente, anche se non sempre felicemente, strutturato, pieno
di riecheggiamenti di autori classici, ma anche questi variati a formare nuo­
ve immagini, con un nuovo impasto linguistico che bisognerà pazientemen­
Tra i generi più diffusi nel secolo precedente che continuano ad essere te analizzare e scomporre nei suoi elementi costitutivi prima di bollarlo come
ampiamente praticati c’è la grammatica, con nuovi manuali come YOrtho- brutto e illeggibile, come si fa ancora oggi. L ’esposizione della dottrina delle
gràphìa di Agrecio, VArs di Consenzio, il commento a Donato di Pompeo; arti è invece condotta con una prosa tecnica e concettosa, ma certamente
e, come per il IV secolo, accanto alle opere grammaticali, vanno ricordati
più semplice.
anche commentari e repertori enciclopedici di maggiori ambizioni, come quello
di Marziano Capella.
Prontuari scientifici
Cartaginese, avvocato divenuto scrittore in età avanzata, pagano, o al­
meno non cristiano, Marziano Capella fu attivo nell’Africa romana tra due La medicina: Sono assai vivi anche gli interessi per vari settori scientifici: soprattutto
avvenimenti nefasti per i Romani: il sacco di Roma del 410 e il sacco di a) Marcello la medicina è molto coltivata. Tra gli scrittori in questo campo troviamo
Cartagine, compiuto dai Vandali nel 439. Elaborò un’enciclopedia delPeru- Empirico Marcello, noto come Marcello Empirico, un alto funzionario dell’impero
dizione classica, il De nuptiis Mercurii et Philològiae, in 9 libri. Ma questo d’Oriente originario di Bordeaux, il quale dedica ai suoi figli un De medica-
titolo, anche se ormai divenuto corrente, non è concordemente testimoniato mentis, perché non abbiano bisogno di ricorrere troppo spesso ai medici;
dalle superscriptiones dei codici e correttamente si applica alla sola sezione tra le fonti esplicitamente citate troviamo Plinio il Vecchio, lo Pseudo-Apuleio
narrativo-allegorica dell’opera (libri I e II). È probabile che il titolo dell’in­ e Celso. Le ricette suggerite sono oltre 2.500, elencate secondo l’ordine delle
tera enciclopedia fosse invece Philologia, come risulta da alcuni accenni con­ malattie, dalla testa ai piedi, in un latino pieno di termini tecnici, di greci­
tenuti in un’institutio metrica recentemente attribuita con piena certezza a smi, di parole dell’uso popolare, di gallicismi e perfino con qualche influsso
Marziano Capella (prima si era soliti attribuirla al grammatico Servio o a germanico; non mancano alcune formule magiche. Altro manuale della stes­
un più sconosciuto Sergio): in quest’operetta metrica, infatti, l’autore, rife­ b) Cassio Felice sa materia è il De medicina di Cassio Felice, composto nel 447; l’autore,
rendosi a un’opera sua, dice esplicitamente in tertio Philologiae libro e altro­ un cristiano d’Africa, riporta vari termini delle lingue locali.
ve ut est in Philologia meus versus. L ’opera è in prosa ma con frequenti
parti in versi, che costituiscono quasi un’antologia dei metri antichi e avvici­ Un compendio di T ra le opere di geografia va ricordata la Cosmografia di Giulio O norio. Si tratta
nano il genere letterario dell’opera a quello della satura Menippea (cfr. p. geografia di un a serie di lezioni trascritte da uno scolaro dell’autore e pubblicate contro la
185 segg.). L ’opera, che sarà diffusissima nel Medioevo cristiano, è costruita volontà del m aestro; com m entando una carta geografica com posta nel IV secolo,
O norio, vissuto probabilm ente nel V secolo, illustra le varie regioni della terra, con
Il gusto allegorico con un forte gusto per l’allegoria: riprendendo da Apuleio — africano anche particolare riguardo alla geografia fisica e soprattutto ai fiumi.
lui, come Marziano Capella — temi e immagini e presentando personifica­
zioni che somigliano molto a quelle di certe opere di Prudenzio, e anticipano
la Filosofia della Consolatio di Boezio. Diritto e burocrazia
La maggiore continuità con le elaborazioni dei decenni precedenti può
In questa fa b u la epitalamica allegorica (i cui prim i due libri contengono i preliminari
essere riscontrata nelle opere di carattere giuridico e burocratico. Tra le altre
delle nozze, che si svolgono nello scenario del galattico palazzo di Giove) sono pre­
sentate come dono nuziale di M ercurio alla sposa Filologia sette delle nove discipline se ne segnalano soprattutto due, entrambe composte sotto Teodosio II impe­
liberali (libri 3-9) contenute nei Disciplìnarum libri di Varrone (cfr. p. 182). Sono ratore d’Oriente (408-450); si tratta del Codex Theodosianus e della cosid­
le A rtes o Disciplinae enciclopediche (tutte riassunte nella figura simbolica della d o t­ Il Codex detta Notitia dignitatum. Il Codex Theodosianus raccoglie le leggi promul­
tissima Filologia) che espongono in prim a persona, di fronte al senato celeste riunito Theodosianus gate dall’età di Costantino in poi, suddivise per argomento (diritto civile,
per la cerimonia nuziale, Yars di cui sono eponime: G ram m atica, Dialettica, Retori­
ca, Geometria, A ritm etica, A stronom ia, Musica (esposta dalla virgo Harm onia); M e­
amministrativo, penale, finanziario, costituzionale, ecclesiastico).
dicina e A rchitettura vengono qui escluse e cosi non entreranno nella futura organiz­ L ’opera è fondamentale per la conoscenza non solo del diritto, ma
zazione scolastica del Medioevo, il Trivio e il Q uadrivio, che ha proprio l’enciclope­ anche della storia della tarda antichità: è infatti una fonte preziosa sulle
dia m arzianea come indiscusso modello; essa ebbe fortuna grandissima, come linee politiche dei diversi imperatori, e fornisce informazioni di grande valo­
testimonia anche l’enorme numero di codici manoscritti di età medievale del D e nuptiis. re sui magistrati a cui le leggi erano indirizzate per la concreta applicazione.
La Notitia La Notitia dignitatum omnium tam civilium quam militarium è una vera
L’opera, la cui importanza letteraria, culturale e storica oggi si comincia dignitatum e propria pianta organica dell’impero, sia d’Occidente che d’Oriente, con
a riconoscere, è una summa della cultura e della scienza antiche, recuperate l’elenco di tutte le cariche amministrative, con relative mansioni e competen­
588 DA ONORIO A ODOACRE CRONACA E STORIOGRAFIA CRISTIANA 589

ze dei rapporti gerarchici. Il repertorio fornisce anche un quadro delle dioce­ Salviano
si e delle province dell’impero ed unisce quindi all’interesse storico e giuridi­
co anche quello geografico. Di poco posteriore a Orosio è il gallico Salviano (circa 400-470) che
scrisse un A d ecclesiam, in quattro libri, con cui invitava tutti i Cristiani
a consegnare alla Chiesa le proprie ricchezze per rafforzare la resistenza
2. Cronaca e storiografia cristiana da opporre al pericolo delle invasioni barbariche.
La rivalutazione L’angosciosa minaccia delle invasioni, e delle disgrazie che per loro cau­
degli invasori sa sconvolgevano l’impero, è presente anche negli otto libri del De guberna-
La storiografia del IV secolo era stata coltivata prevalentemente da au­ tìone Dei, composto intorno al 450. La risposta di Salviano ai problemi
tori di origine pagana (si pensi soprattutto ai suoi principali rappresentanti, storici e morali sollevati dalla conquista dei Germani è diversa sia da quella
Ammiano Marcellino e YHistoria Augusta)-, nel V secolo l’egemonia cultura­ di Agostino (nel De civitate Dei) sia da quella di Orosio: per il primo la
le è anche in questo campo degli scrittori cristiani, che elaborano una nuova contrapposizione Romani/barbari andava eliminata come categoria storio­
metodologia storiografica con Agostino. Dopo di lui, due sono i nomi da grafica, in favore della nuova antinomia città terrena/città celeste; per il
ricordare: Orosio e Salviano. secondo non c’era motivo di preoccupazione, perché tutto rientrava in un
disegno della provvidenza, e comunque i barbari sarebbero stati riassorbiti
Orosio nel quadro della cultura romano-cristiana.
Salviano non nega la drammaticità degli eventi contemporanei, ma la attri­
Vita Paolo Orosio era spagnolo forse di Tarragona (nato circa nel 390); sacerdote,
buisce ad un disegno divino che tende a punire i Cristiani delle loro colpe. Per
fu costretto a fuggire dalla penisola iberica per l’invasione dei Vandali. In Africa Orosio l’impero dì Roma era lo strumento di cui Dio si serviva per la diffusione
nel 414 fu in contatto con Agostino e in Palestina (415) con Girolamo. Nel 417 della fede; per Salviano strumento divino sono invece i barbari: questo com­
completò le Historiae-, da quella data non abbiamo più notizie di lui. porta una perfino eccessiva rivalutazione degli invasori, che vengono conside­
rati più onesti, più morali, meno degenerati e crudeli dei Romani, e comunque
meno colpevoli perché non sono stati ancora raggiunti dalla vera fede.
Opere Commonitorium de errore Priscillianistarum et Orìgenistarum, il primo scritto,
dedicato ad Agostino, sulle eresie più diffuse in Spagna; Liber apologeticus, con­
tro l’eresia pelagiana; Historiae adversus paganos, in sette libri, la sua opera Storici minori
principale, che fu sollecitata da Agostino come raccolta di materiale da utilizzare
poi per il De civitate Dei: i primi sei libri sono dedicati alla storia dell’umanità Prospero di Di minore rilevanza come storiografo, m a com unque figura di un certo rilievo come
dalle origini alla venuta di Cristo e all’impero di Augusto, mentre il settimo riguar­ Aquitania scrittore e come uom o di Chiesa, è Prospero di A quitania, nato intorno al 390 e
da il periodo imperiale fino al 417. m orto nel 463. Suo è un Chronicon, che riprende l’opera di Girolam o e la continua
fino al 455, con inform azioni di prim a mano per gli ultimi anni, a partire dal 425;
Prospero, attivo nella battaglia contro l’eresia pelagiana, tra l’altro compose un carme
Lo scarso valore Orosio non ha l’originalità di Agostino: segue schemi tradizionali e si in esametri intitolato D e ingratis, su quelli che sono ingrati nei riguardi di Dio,
di Orosio come rifà per la massima parte alle fonti più consuete, non senza gravi fraintendi­ m a anche su quanti negano l’importanza fondamentale della grazia divina nella salvez­
storico . za dell’uom o, come facevano appunto i pelagiani. C ontinuatore del Chronicon di
menti. Le notizie di qualche utilità riguardano il periodo a lui più vicino,
cioè gli ultimi anni del IV secolo e i primi due decenni del V: per quest’epo­ Girolamo è anche Idazio, un vescovo spagnolo che prolunga l’opera fino al 468, occu­
pandosi soprattutto delle invasioni barbariche e dei drammatici lutti da esse provocati.
ca Orosio ci fornisce informazioni che non ci sono state tramandate da altri A ll’am bito storiografico rim andano le molte vite di vescovi e di santi com poste in
scrittori. Ma Orosio è importante per la sua complessiva impostazione inter­ questo periodo; fra le altre possono essere ricordate la V ita di Am brogio, com posta
pretativa che si contrappone sostanzialmente a quella di Agostino, anche da Paolino di M ilano, e la Vita di Agostino, opera di Possidio, scritta prim a del
La visione se ciò non avviene in maniera consapevole né volontaria. Per Orosio è la Qennadio 439. U na serie di biografie assai utili per la conoscenza degli scrittori latini cristiani
provvidenziale elaborò G ennadio di Marsiglia, che negli ultimi anni del V secolo aggiunse al D e
provvidenza divina che ha voluto l’impero romano, e la coincidenza fra viris iliustribus di Girolam o un a novantina di altre vite.
delflm pero
la nascita di Cristo e l’impero di Augusto non è casuale. La missione del­
l’impero è di facilitare la diffusione del Cristianesimo, e per volontà di Dio
le condizioni dell’umanità, dopo i molti drammatici avvenimenti delle età I Sermoni
precedenti la venuta di Cristo, sono ora in progressivo miglioramento. Ne
consegue un’evidente sottovalutazione del problema germanico e delle inva­ Tra i generi letterari più coltivati in questo periodo si possono ricordare
sioni (che per Orosio sarà presto risolto con l ’assorbimento dei barbari nella i Sermoni: per dovere d’ufficio molti vescovi e uomini di Chiesa tenevano ome­
cultura romano-cristiana), e l’elaborazione di un sistema fondato sulla sa­ lie, spesso di notevole livello stilistico, che venivano trascritte e conservate.
cralità dello stato e sulla sua funzione provvidenziale, che condizionerà mol­
T ra gli autori di Sermoni a noi meglio noti segnaliamo Massimo di T orino, m orto p ro ­
to il Medioevo. Il testo di Orosio ebbe infatti una grande diffusione, e alla
babilmente intorno al 423, Q uodvultdeus, un discepolo di Agostino che nel 437 divenne
sua visione sono ispirate le principali opere di storiografia cristiana dei futu­ vescovo di Cartagine, autore di un D e prom issionibus et praedicationibus Dei, che la
ri secoli, fino alla stessa Commedia di Dante. tradizione assegna a Prospero d’A quitania; Pietro Crisologo, vescovo di Ravenna, m orto
590 DA ONORIO A ODOACRE LA NUOVA POESIA 591

intorno al 450, Leone M agno, p ap a dal 440 al 461, di cui ci rim angono i Sermoni, L ette­ la carriera di Namaziano fu anche più brillante dì quella paterna: fu infatti prefetto
re, e il Tom us adF lavianum , u n ’opera teologica contro l’eresia detta «monofisismo», di Roma nel 414. Nel 417 tornò in patria, perché le gravi notizie provenienti dalla
che negava la duplice natura divina e um ana di Cristo, e optava per la sola natura divina. Gallia gli suggerirono di sorvegliare personalmente le sue proprietà.

Opere De reditu suo, in due libri di distici elegiaci: ci è pervenuto incompleto. La


Giuliano d ’Eclano; Cassiano parte di cui disponiamo (tutto il primo libro e pochi versi del secondo) racconta
il viaggio per mare da Ostia fino alla parte settentrionale della Toscana; qualche
Giuliano d’ Eclano Tra gli autori di opere esegetiche va ricordato soprattutto Giuliano d’E­ accenno alla Liguria è in un frammento del secondo libro di più recente ritrovamento.
clano. Pugliese, nato fra il 380 e il 390, vescovo di Eclano, sostenne le tesi
pelagiane e per questo ruppe i rapporti con Agostino, che prima lo conside­ Un pagano che Poeta pagano, legato agli ultimi ambienti di intellettuali neoplatonici
rava quasi un suo discepolo. L ’attenzione che Agostino dedica a confutare si rifugia nel e in contatto con alcuni dei personaggi della Roma senatoria pagana descrit­
le sue tesi fa capire come in realtà lo temesse e lo considerasse il più lucido passato ti da Macrobio, Namaziano riempie il proprio giornale di viaggio con malin­
e pericoloso fra i pelagiani, e le poche opere che ci sono pervenute (com­ conici rimpianti per un mondo che sta finendo. Di fronte al problema dei
mentari ai testi dei Profeti, oltre alle lunghe citazioni da alcuni altri scritti barbari i Cristiani si ponevano in maniere diverse, ma sempre con l’attenzio­
conservateci in opere di Agostino) dimostrano che la valutazione di Agosti­ ne rivolta al futuro, al «che fare» per superare le attuali difficoltà in una
no era pienamente giustificata. Nonostante la censura operata dalle età suc­ nuova sistemazione politica e sociale che poteva prescindere dall’impero,
cessive, possiamo ritrovare in Giuliano un rigore logico, un’aspirazione ad ma non dalla religione; Rutilio non ha questa speranza, e per lui unico rifu­
una «morale laica», sostanzialmente moderna, che affascinano e ne fanno gio è il passato, da esaltare acriticamente e da confrontare con il presente,
una figura interessante e diversa nel quadro degli ultimi decenni dell’impero. sempre a scapito di quest’ultimo.
È vero che Namaziano sostiene esplicitamente che Roma è eterna, sottrat­
Cassiano Nella controversia pelagiana, e su posizioni antiagostiniane, furono coin­ ta al destino degli altri imperi, perché capace di trovare in se stessa la forza
volti a n c h e altri importanti nomi della cristianità del V secolo, c h e per altri di rinascere dalle disgrazie, e in uno dei suoi passi più famosi, che è appunto
aspetti diedero contributi fondamentali allo sviluppo della Chiesa; primo l’elogio di Roma nel I libro, scrive versi che diverranno luoghi comuni nelle
fra tutti Giovanni Cassiano, uno dei padri del m o n a c h e S im o occidentale: esaltazioni del ruolo storico dell’impero, come fecisti patriam diversis genti-
il suo De institutis coenobiorum, del 420, illustra le regole dei monaci in bus imam oppure urbem fecisti quod prius orbis erat-, ma è anche vero che
Palestina e in Egitto, e contiene un elenco dei principali peccati e dei modi le descrizioni di località viste durante il viaggio presentano una serie quasi
per combatterli. L ’opera principale di Cassiano sono le ventiquattro Conla- ininterrotta di rovine e distruzioni: città devastate, campagne abbandonate,
tiones, conferenze apparse tra il 420 e il 429, in alcune delle quali è assai desolazione e povertà che regnano in ogni luogo. Il quadro, tutto negativo,
esplicita la condanna delle teorie di Agostino sulla grazia. rende ancora più penoso un ritorno in Gallia che in realtà è una fuga.
La polemica Namaziano sa a chi dare la colpa di quanto è avvenuto: ha parole assai
anticristiana dure per i Cristiani, in particolare per i monaci, e per i Germani inseriti
Storie romanzate
nelle strutture dell’impero, soprattutto per Stilicone. I monaci, rifiutando
«Darete Frigio» Continua con un certo successo la produzione d i storie rom anzate e di narrazioni
la vita sociale e l’impegno militare e politico, privano lo stato di forze che
fantastiche che aveva avuto notevole diffusione già nel secolo precedente. Agli sarebbero utili in un momento di difficoltà, e dimostrano un disprezzo del­
ultimi anni del V secolo (ma secondo altri in pieno VI secolo) v a collocata la l’umanità che li fa nemici del mondo; Stilicone ha tradito Roma, accordan­
De excidio Troìae historia, in cui l’autore, che finge di essere Cornelio Nepote dosi con i suoi connazionali Germani ai danni dell’impero (così avevano
e di dedicare la sua opera a Sallustio, presenta la vicenda di Troia dal punto
di vista dei Frigi: si tratterebbe infatti di una traduzione latina dall’originale di
sostenuto l’imperatore Onorio e la letteratura a lui favorevole quando si
un sacerdote troiano ricordato nell 'Iliade, D arete Frigio; l’opera costituisce per decise di eliminare il troppo potente generale), e ha mostrato come sia im­
così dire l’opposto speculare del Ditti Cretese ed ebbe grandissim a diffusione nel prudente dar fiducia ai barbari ed attribuire loro rilevanti cariche militari
Medioevo, soprattutto quando allo stesso Darete fu attribuita un 'H istoria de origine e politiche. Altri obiettivi degli attacchi di Namaziano sono gli Ebrei, diso­
Francorum che sosteneva l’origine troiana dei Franchi, e quindi la loro nobiltà
pari a quella dei Romani. nesti ed avari, e gli amministratori corrotti, una categoria che il poeta dove­
va aver conosciuto bene nella sua carriera di alto funzionario.
Namaziano e Accostato spesso a Claudiano come ultimo cantore dell’impero e del
Claudiano mondo pagano, Namaziano in realtà è molto diverso da questo poeta; e
non li divide solo l’opposta valutazione espressa su Stilicone, esaltato da
3. La nuova poesia
Claudiano e condannato da Namaziano, perché questa in fondo si potrebbe
anche spiegare col fatto che Claudiano scriveva nel momento della massima
Rutilio Namaziano fortuna del generale barbaro, e Namaziano invece dopo la sua disgrazia.
È vero piuttosto che Claudiano e Namaziano esprimono interessi ed espe­
Vita Rutilio Claudio Namaziano, di origine gallica, si era trasferito a Roma in età rienze assai differenti: il primo è un professionista che vive della propria
relativamente giovane; il padre ricopriva posti di rilievo nell’amministrazione, e poesia, deve cercarsi finanziatori e protettori, e mettere le sue capacità di
SIDONIO APOLLINARE 593
592 DA ONORIO A ODOACRE

Vita Gaio Sollio Modesto Apollinare Sidonip nacque a Lione intorno al 431 da
scrittore al servizio delle loro idee; il secondo è un ricco proprietario, impor­ un’importante famiglia e sposò una figlia dell’imperatore Avito (455-456). Fu con­
tante funzionario dello stato, che scrive per difendere le proprie idee e la pro­ sole nel 468, poi prefetto di Roma, ma, improvvisamente, lasciò la carriera politi­
pria posizione, e non quelle di un committente. Una visione storiografica che ca per dedicarsi a quella ecclesiastica. Vescovo di Arverna (Clermont-Ferrand)
tendeva a staccare in modo netto la parte pagana da quella cristiana aveva forse dal 470, organizzò la resistenza contro l’invasione dei Visigoti comandati
additato in Rutilio il campione strenuo e senza compromessi del paganesimo da Eurìco, che però si stanziarono nella zona e ne presero possesso. Dopo un
periodo trascorso in prigione, fu liberato dallo stesso Eurìco e tornò al suo posto
morente: molti accenni del I libro, e soprattutto l’attacco ai monaci, confer­
di vescovo, che ne faceva il rappresentante della comunità romana presso i nuovi
mano questa opinione. Tuttavia, il frammento da poco ritrovato del II libro
signori germani. Morì intorno al 486.
porta alla scoperta di un atteggiamento meno rigido. Nei «nuovi» versi è in­
fatti contenuta anche la lode del cristiano Flavio Costanzo, il futuro imperato­ Opere Ventiquattro Carmina, suddivisi in panegirici (in esametri) agli imperatori
re Costanzo III. Bisognerà dunque sfumare il giudizio e concludere che Ruti­ Avito, Maggioriano e Antemio, e poesie di occasione (epitalami, descrizioni di
edifici, epistole in versi, ecc.); queste composizioni poetiche sono anteriori alla
lio, pur non amando affatto il Cristianesimo, lo condanna senza possibilità
nomina a vescovo. Più importanti i nove libri delle Lettere, pubblicati fra il 469
di appello solo quando esso assume forme eversive, di ritiro dal mondo, e e il 482, dove Sidonio inserisce frequenti composizioni in versi, che dimostrano
fa perciò venir meno ogni protezione ad uno Stato di cui si riconosce la crisi. la continuità della produzione poetica anche durante il vescovato: notevole, tra
queste, un elogio dì Eurìco, che servì certamente a raddolcire l’animo del re
Merobaude germanico ed ebbe probabilmente un certo peso nella sua decisione di scarcera­
re il vescovo.
Vita di Più simile a Claudiano è invece un altro poeta di corte, spesso ingiusta­
Merobaude mente sottovalutato: Flavio Merobaude. Di origine spagnola, unì l’attività La fusione fra Sidonio rappresenta le fasce più benestanti della nobiltà gallica, la loro
poetica a quella militare. Visse a Ravenna alla corte di Valentiniano III, tradizione posizione all’interno dello stato e della Chiesa, il loro atteggiamento nei
e qui ebbe come protettore il potente generale Ezio. Per i suoi meriti lettera­ classica e confronti dei barbari. Tradizione classica e Cristianesimo convivono in lui
Cristianesimo senza difficoltà, sia sul piano dei contenuti sia su quello formale: comincia
ri ebbe anche lui, come Claudiano, il riconoscimento di una statua a Roma,
che gli fu innalzata nel Foro Traiano nel 435. La sua opera principale, il anzi con lui quel fenomeno di definizione di un patrimonio culturale atto
De Christo, in esametri, fu a lungo attribuita erroneamente a Claudiano; a superare le precedenti contrapposizioni, da cui erano state angosciate per­
compose anche panegirici e carmi per Ezio e i suoi familiari, nonché per sonalità come Girolamo, in nome di una nuova distinzione, che vede adesso
l’imperatore. Queste composizioni non sempre ci sono pervenute per intero. Greci e Latini, pagani e Cristiani tutti da una stessa parte contro il nuovo
Merobaude e Lo stretto rapporto con Claudiano non è fondato solamente sull’analo­ mondo, quello dei Germani.
Claudiano gia tra le vicende personali dei due poeti, m a nasce anche da un’evidente Un tentativo di Ma non si tratta di una contrapposizione tra il felice passato, quello
imitazione da parte di Merobaude. Di Claudiano vengono ripresi titoli e recupero del dei grandi classici e della Bibbia, invocato come sereno rifugio ideale, ed
temi, immagini e giri di parole in un’aemulatio che non è banale dipendenza passato per il drammatico presente: l’impegno di Sidonio nelle cose del mondo è reale
da un modello, ma elegante rielaborazione, recupero dotto, attualizzazione
mutare il e preciso, quindi anche la sua opera di letterato va vista come un modo
presente per intervenire sulla realtà cercando di porre le basi perché tornino tempi
di spunti e di episodi.
sereni, perché il patrimonio ereditato dalle età precedenti possa nuovamente
Altri modelli di Accanto a Claudiano sono evocati numerosi altri scrittori delle età precedenti, tra fruttare, cancellando quanto di incivile e di sgradevole c’è nei Germani e
Merobaude cui Seneca, Virgilio, Stazio e Prudenzio. P urtroppo le pessime condizioni in cui ci nella loro conquista.
è pervenuta la maggior parte dei carmi, che sono tram andati dalla scrittura inferiore Di qui un’attenzione erudita al particolare minuto, agli aspetti più tecni­
di un palinsesto (cioè d a un codice cancellato e p o i nuovam ente utilizzato per un
nuovo testo; per scrittura inferiore si intende quella precedente, che ha subito la
ci del linguaggio e della metrica; di qui l’aspirazione a riunire nelle sue opere
cancellatura ed è quasi sparita) non consentono una valutazione pienamente docu­ tutte le finezze formali accumulatesi in secoli di tradizione retorica. Perfino
m entata delle qualità letterarie di M erobaude; non ci sono però dubbi sulla sua utili­ nelle scelte lessicali Sidonio cerca dì recuperare quanto trova dì più elabora­
tà come fonte storica per la prim a metà del V secolo, oltre che sulla sua abilità to nei suoi predecessori, ma al tempo stesso non rinuncia a proporre parole
di versificatore e sulla sua erudizione. Al testo di M erobaude si interessò anche il nuove, a dimostrazione che la lingua latina è ancora viva e vitale, capace
Leopardi, che propose alcune integrazioni di passi lacunosi.
di confrontarsi con le nuove esigenze e i nuovi problemi. La sua opera,
in special modo l’epistolario, è anche una preziosa fonte storica, che ci do­
Sidonio Apollinare cumenta sulla situazione della Gallia al tramonto dell’impero. Naturalmen­
te, come si è già detto per Simmaco, sarebbe un errore attendersi dalle lette­
Un funzionario Namaziano assiste alla caduta di un Impero con profonda malinconia, re di Sidonio precisi riferimenti a specifici avvenimenti: si tratta spesso di
sul finire senza essere capace di iniziative o di resistenze; Merobaude, vent’anni dopo, sottili allusioni, tuttavia sufficienti a documentarci su una realtà assai più
dell’impero
nel pieno delPeffimera ripresa legata alle vittorie di Ezio, ci presenta l’otti­ fervida culturalmente rispetto a quanto comunemente si creda per questi
mistico punto di vista della corte; pochi anni più tardi un altro funzionario ultimi anni dello stato di Roma.
e poeta, Sidonio Apollinare, visse gli ultimi momenti dell’impero, e seppe
dimostrare un onorevole impegno ed un’ammirevole capacità organizzativa.
594 DA ONORIO A ODOACRE BIBU OC ÌR AHA 595

I poeti minori La n u o v a p o e sia Su Sidonio Apollinare, I. G u a l a n d r i ,


Su Rutilio Nam aziano si vedano Furtiva lectio. S tu d i su Sidonio A pollina­
AA.VV., Il nuovo Rutilio Namaziano, in re, Milano 1979; A. L o y e n , Recherches hi-
Intorno a queste personalità più rilevanti operano molti altri autori di composizioni
«M aia», 1975; F. C o r s a r o , Studi ruti- storiques sur les panégyriques de Sidoine
in versi: ne segnaleremo qui alcuni fra i più notevoli. Cipriano Gallo, un poeta attivo
liani, Bologna 1981; I. L a n a , Rutilio N a­ Apollinaire, Paris 1942; I d ., Sidoine Apol-
nei primi decenni del V secolo, compone un H eptateuchos (7 libri di esametri), p ara­
m aziano, Torino 1961; E. M e r o n e , R u ­ linaire et l ’espritprécieux en Gaule aux der-
frasi dei prim i 7 libri dell’Antico Testamento; Claudio M ario V ittorio (o Vittore),
di Marsiglia, m orto fra il 425 e il 450, scrive in esametri u n ’A lethìa (La verità), tilio ellenizzante, Napoli 1954. niers jo u rs de l ’empire, Paris 1943.
Sedulio una parafrasi della Genesi, il prim o libro dell’Antico Testam ento. Sedulio (forse
Celio Sedulio), form atosi in Italia agli studi classici e poi passato alla poesia di carat­
tere religioso, scrive fra il 425 e il 450 un Carmen paschale (cinque libri di esametri)
su alcuni episodi dell’Antico Testamento e sulla vita di Cristo, ricavata dai Vangeli;
di quest!opera poetica lo stesso autore curò una seconda stesura in prosa, 1O p u s
Orienzio paschale. Orienzio vescovo di Auch in G uascogna nella prim a m età del secolo scrive
un C om m onitorium (due libri di distici elegiaci) per esortare i fedeli a dedicarsi com­
pletamente a Dio ed a fuggire il peccato: frequenti gli accenni alle devastazioni pro­
vocate in Gallia dall’invasione dei barbari, interessante l’uso del VI libro à ù \’Eneide
Paolino di Pella come modello per la descrizione del m ondo infernale. Paolino di Pella, un nipote
di Ausonio, scrisse nel 459 un Eucharisticos: aveva allora più di 80 anni, e con questo
poem etto ringraziava Dio di tutte le disgrazie che gli aveva m andato, dai molti lutti
familiari alla povertà sopravvenuta dopo le invasioni, quando i barbari si erano im ­
padroniti dei suoi ingenti patrim oni: proprio queste sofferenze gli avevano infatti
consentito di indirizzarsi verso u n ’esistenza sempre più devota. Paolino di Périgueux
intorno al 470 compose una Vita di M artino (sei libri di esametri), rielaborazione
in versi di quella scritta da Sulpicio Severo.
L’Aegritudo Ricordiamo infine 1’A egritudo Perdicae, una composizione anonim a che si suole col­
Perdicae locare nel V secolo. In poco meno di 300 esametri vi si n arra di Perdicca, figlio
di Alessandro I di M acedonia, che si innam ora della m adre e per questo deperisce;
chiamato a corte, il grande medico Ippocrate capisce qual è il male che affligge
il giovane, e com unica la sua diagnosi ai genitori; inutilmente questi gli fanno cono­
scere le più affascinanti donne del paese: agli occhi di Perdicca nessuna può compe­
tere con la madre. Vista l’impossibilità di risolvere il proprio dram m a, alla fine il
protagonista si uccide. È una traccia narrativa ben docum entata in altre opere greche
e latine, in prosa e in versi, che nella stesura dell ’Aegritudo interessa anche per
il grande spazio assegnato alla visita di Ippocrate e dedicato alla medicina.

Bibliografia La f in e d e l l ’im p e r o d ’o c c id e n t e Orose et ses idées, Paris-M ontréal 1965;


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citati nelle bibliografie relative al III e des Salvian vòn Marseille an die Kirche,
al IV secolo si vedano A A .V V ., Il pas­
Bern 1976; M. P el l e g r in o , Salviano di
saggio dall’antichità all’alto m edioevo in
Marsiglia, Rom a 1940; G. V e c c h i , Studi
occidente, Spoleto 1962; AA.VV., L a cul­
salvianei, Bologna 1951.
tura in Italia fra tardo antico e alto m e­
Su Gennadio, il già citato Storia let­
dioevo, Rom a 1981; S. M a z z a r in o , S ti­
teraria e storia ecclesiastica dal De viris
licone. La crisi imperiale dopo Teodosio,
iliustribus di Girolamo a Gennadio, di S.
Rom a 1942; S. M a z z a r in o , L a fin e del
P r ic o c o (Catania 1979).
m ondo antico, M ilano 1959.
Su M arziano Capella, F. L e M o in e , Su Leone Magno, P. B r e z z i , S. Leo­
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I codici di Marziano Capella, Padova 1962. Cassian, Cambridge 1968.
Su «Darete Frigio», oltre il già ci­
C ronaca e st o r io g r a fia c r is t ia n a
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A n Introduction to thè Study o f M edie­
Su Orosio si vedano E. C o r s in i , In­ val Version o f thè Story o f Troy, Balti­
troduzione alle Storie d i Orosio, Torino more 1907, si veda O. S c h issel v o n
1968; H . H a g e n d a h l , Orosius und Iu- F l e s c h e n b e r g , Dares-Studien, H alle
stinus, Goteborg 1941; G. B. L a c r o ix , 1908.
LA CULTURA NELL’ITALIA DEL VI SECOLO: BOEZIO E CASSIODORO 597

po un anno di lavoro, alla fine del 534, fu promulgato il Codex repetitae


GLI ALBORI DEL MEDIOEVO praelectionis, che possediamo in 12 libri.
Infine le leggi entrate in vigore nel successivo trentennio, fino alla
morte di Giustiniano (avvenuta nel 565), ci sono giunte, anche se non rac­
colte organicamente, col nome di Novellae (sottinteso constitutiones): molte
di esse sono scritte in lingua greca, o in entrambe le lingue, greca e latina.
Cambiamenti Ma nel frattempo gli sconvolgimenti etnici e sociali rinnovano profon­
nella lingua damente il quadro dell’Occidente europeo e mediterraneo. I cambiamenti
latina: nascita più profondi investono la lingua latina, in cui il divario fra lingua scrìtta
delle lingue e lingua parlata cresce al punto che quest’ultima non può più essere ricono­
romanze scibile come forma popolare dell’idioma in cui continuano ad essere compo­
1. Continuità e innovazione nella letteratura medioevale sti i libri: nascono così le lingue romanze, e il latino diviene una lingua
dotta, destinata allo scambio culturale ad alto livello, oltre che ad una
effettiva continuità come lingua liturgica della Chiesa d’Occidente. È, già
Differenze di Dopo la caduta dell’impero si continuò a scrivere in latino, ma la all’epoca di Carlo Magno, quasi un linguaggio artificiale, un sistema di
tempo nella rottura dell’unità politica ebbe varie conseguenze anche sulla letteratura. comunicazione per poche persone colte: ciò segnerà in modo decisivo tutta
fioritura letteraria la letteratura a partire dal IX secolo.
In una prima fase, fino all’impero di Carlo Magno, il lento assestamento
delle diverse Intorno a Carlo si riunisce una corte, le ambizioni del regnante favori­
dei vari regni e le differenze di tempo nell’integrazione fra Romani e Germa­ La rinascita sotto
regioni
ni nelle diverse regioni provocarono difformità nell’attività letteraria; l’Italia Carlo Magno scono i letterati, nasce un circolo di poeti, la cui produzione letteraria
è ancora piuttosto attiva nel VI secolo, con figure come Boezio e Cassiodoro — che per molti aspetti recupera miti e temi della poesia augustea — è
che, fra l’altro, definiscono un’enciclopedia del pensiero filosofico, religio­ tu tt’altro che spregevole per quantità e qualità delle opere; ma ormai il
so, scientifico da trasmettere alle future generazioni; la Spagna e l’Inghilter­ rapporto fra la lingua latina e la società è profondamente alterato, compro­
ra acquistano invece un ruolo di primo piano qualche decennio più tardi, messo; vi saranno rinascenze, recuperi, nobili forme di filologia e di erudi­
rispettivamente all'inizio del VII e delPVIII secolo, quando con Isidoro zione, ma il collegamento, il filo della continuità è ormai irrimediabilmente
di Siviglia e con Beda esprimono i momenti più rilevanti della cultura spezzato: lo scrivere latino è divenuto un’elaborazione mediata e simbolica.
europea.
Prisciano Questi grandi dotti costituiscono, in un certo senso, il ponte tra il 2, La cultura nell’Italia del VI secolo: Boezio e Cassiodoro
mondo classico e quello medioevale, raccogliendo e riassumendo quanto
più possibile della tradizione antica. Da questo punto di vista una figura Boezio: uomo di I tre secoli che portano a questa nuova situazione non hanno più i
non meno rilevante, anche se dagli interessi più settoriali, è il grande gram­ cultura e politico caratteri dell’antichità classica e non hanno ancora quelli del Medioevo:
matico Prisciano, attivo a Costantinopoli nella prima metà del VI secolo intransigente sono una di quelle complesse zone di confine che mettono in crisi le nostre
ed autore di quella Institutio de arte grammatica che sarà libro di testo periodizzazioni e le classificazioni, pur preziose ai fini della sistemazione
principe di tutto il Medioevo (e Dante inserirà Prisciano nella Commedia). del sapere. In Italia, prima dei Longobardi, sembra di vivere ancora un
Il Corpus iuris Nell’ambito della conservazione della tradizione antica, importanza fon­ incredibile prolungamento della stagione letteraria tardoantica: Boezio è
damentale riveste il Corpus iuris civilis, o più semplicemente Corpus iuris, uomo di erudizione notevolissima non solo per l’epoca sua, è un politico
nome col quale, a partire dal Basso Medioevo, è nota la monumentale impegnato in una difficile lotta per cancellare almeno gli effetti più vistosi
sintesi del diritto romano, compilata dal 528 in poi per impulso dell’impera­ e sgradevoli della disfatta dell’impero di Roma, è un pensatore che segna
tore Giustiniano. uno dei più alti punti di contatto tra la visione del mondo che era stata
Il primo frutto di questa attività fu una raccolta di leggi, pubblicata propria della filosofia pagana e quella del Cristianesimo.
nel 529 sotto il nome di Codex Iustinianus e oggi perduta. Seguì, dopo L’influenza che egli ebbe sul Medioevo occidentale, la sua capacità
tre anni di lavoro (530-533), la pubblicazione di una raccolta di brani di di valutare la portata della tradizione classica e di delinearne un bilancio
giuristi classici, col titolo di Digesta (o Pandectae): ad essa dobbiamo in attento ai grandi problemi ideali, la sua lungimiranza, paradossalmente con­
massima parte la nostra conoscenza del diritto romano antico. Giustiniano traddittoria rispetto al suo programma sostanzialmente conservatore, ne
le attribuì valore non solo storico, ma anche normativo: a tal fine i brani hanno fatto la figura di maggiore spicco, e hanno in qualche modo oscurato
furono, dove occorreva, modificati per adattarli alle esigenze pratiche. Subi­ l’esistenza di un altro settore dell’intellettualità romana, più realista, più
to dopo i Digesta, nello stesso 533, furono pubblicate le Institutiones, in portato al compromesso, disposto ad una serie di mediazioni con i Goti
4 libri (contro i 50 dei Digesta), una sorta di riassunto dell’opera maggiore pur di salvare, al presente e non in un incerto futuro, qualcosa della tradi­
a scopo didattico. Cassiodoro: zione classica. Di quest’altra linea, in un certo senso più sottile e difficile,
L ’intensa attività giuridico-legislativa degli ultimi anni rese necessaria realismo e perché esposta ad ingiuste accuse di interessato collaborazionismo, il rap­
la pubblicazione di un nuovo codice, che sostituisse quello del 529: e do- mediazione presentante di maggior rilievo è senz’altro Cassiodoro, il quale nella sua
598 GLI ALBORI DEL MEDIOEVO 599
LA CULTURA NELL’ITALIA DEL VI SECOLO: BOEZIO E CASSIODORO

difficile vita tessuta di complesse mediazioni non conobbe gli scontri fron­ ro d’Oriente nel 554; tornò allora nella sua Calabria, e vi fondò il monastero
tali che costarono la vita a Boezio, ma dovette certo fare i conti con di Vivarium: lì morì più che novantenne, dopo il· 580.
molte amare sconfitte, e visse abbastanza da vedere completamente annullati Opere I numerosi scritti di Cassiodoro si possono dividere abbastanza nettamente
tutti i suoi sforzi per fondere Goti e Romani in un’unità nazionale italiana. in due gruppi: uno che comprende le opere fino al 540, più impegnate sul
piano politico, l’altro quelle successive a tale data, di argomento prevalentemente
religioso o erudito. Alla prima fase appartengono le Variae, pubblicate nel 538,
Boezio che raccolgono in 12 libri 468 lettere ufficiali da lui scritte in veste di alto fun­
zionario. Dello stesso periodo sono i Chronica che, sul modello di Girolamo,
Vita . Anicìo Manlio Severino Boezio, nato a Roma intorno al 480, studia filosofia passano in rassegna gli avvenimenti da Adamo fino all’anno 519. È andata
nell’Oriente greco. È uno dei primari esponenti della nobiltà romana. Prefetto perduta un’opera storica in 12 libri, il De origine actibusque Getarum, composta
di Roma, prefetto del pretorio per l’Italia, console nel 510, magister officiorum tra il 526 e il 533, che avrebbe costituito una preziosa testimonianza sulla popola­
nel 522, ottiene dall’attività politica le maggiori soddisfazioni che un Romano zione dei Goti e sui complessi e tormentati rapporti che Cassiodoro ebbe con
di quei tempi potesse sperare. Poi, improvvisamente, il crollo delle sue fortune: essa. Ce ne rimane solo il riassunto e la continuazione fino al 551, opera di
accusato di congiurare contro Teodorico (il re dei Goti che era di fatto il padrone Jordanes (o Jordanis), un goto che fu vescovo di Crotone.
dell’Italia), viene imprigionato e quindi messo a morte nel 524. Alla seconda fase della produzione di Cassiodoro appartengono le Institutio-
nes in 2 libri, un prontuario enciclopedico dedicato alle lettere sacre e profane,
Opere Ad un corpus enciclopedico che doveva affrontare sistematicamente tutti
con una buona bibliografia sui diversi argomenti. NeN’estrema vecchiaia, a 92
i problemi dello scibile appartengono la Institutio arithmetica e il De institutione
anni, Cassiodoro era ancora attivo: compose infatti un De orthogràphia ad uso
musica. Fondamentali sono le opere filosofiche che hanno per argomen­
dei monaci di Vivarium.
to la logica o la dialettica: traduzioni e commenti di opere di Aristotele, del
neoplatonico Porfirio, di Cicerone; due scrìtti sul sillogismo, un trattato in quattro
Cassiodoro è la figura più adatta a far risaltare i caratteri tipici dell’ope­
libri De differentiis topicis, un De divisione. Tra le opere teologiche si possono
ricordare uno scritto sulla Trinità ed un testo polemico contro alcune eresie. ra di Boezio, e ad esserne a sua volta illuminata, tante sono le analogie
L’opera più famosa è però il dialogo De consolatione philosophiae, formalmente e le opposizioni fra le loro vicende personali e i loro programmi culturali.
una satira menippea, cioè composta di prosa e versi (cfr. p. 185). Il dialogo Un progetto Cassiodoro è un romano che cerca di capire il mondo dei vincitori ger­
sì svolge tra l’autore prigioniero e la Filosofia che lo visita in carcere per consolar­ politico destinato manici ed auspica una fusione dei due popoli: è tra i pochi, nell’Italia di
lo e discute i grandi temi (consolatori) della filosofia, l’infelicità, il bene e il al fallimento allora, ad aver chiaro che l’impero è ormai finito, e bisogna costruire nella
male, il libero arbitrio, ecc. pace e senza improduttive contrapposizioni il nuovo stato e la nuova civiltà.
Il suo progetto politico è destinato al fallimento, e dopo la guerra gotica
Il De L’importanza del D e consolatione non sta soltanto nella sua enorme sì trasforma in un’iniziativa culturale di tipo enciclopedico, paragonabile
consolatione fortuna in tutto il Medioevo e nell’età moderna, ma anche nel ruolo che a quella di Boezio, anche se molto diversa da essa. Boezio infatti aveva
philosophiae quest’opera assume nella vicenda di un intellettuale che, partito con l’ambi­ in vista un ideale di cultura a carattere elitario, e insisteva perciò sugli aspet­
zioso programma di delineare la summ a del pensiero antico per dimostrare Un sapere ti teorici delle discipline, sui loro caratteri più astratti; Cassiodoro invece
la superiorità greco-latina sul mondo germanico, deve giungere all’amara «pratico» è attento ai contenuti pratici, diremmo oggi tecnologici, delle varie arti, lun­
conclusione che non sempre ai meriti e alle virtù corrisponde il successo, go un filone enciclopedico che avrà grande fortuna divenendo sempre più
e quindi cerca di spiegare quest’ingiustizia in un’ottica più ampia. Filosofia nettamente storico-naturalistico: poca letteratura e molti testi che insegnano
e grande letteratura, cultura greca e latina e drammatiche esperienze perso­ come operare nelle varie attività, dall’agricoltura alla medicina, dall’epistolo­
nali sono fuse in un impasto reso più suggestivo dalle circostanze in cui grafia alla trascrizione dei codici. Nel monastero di Vivarium, sotto la sua gui­
l’opera fu scritta. Una rigorosa impostazione teorica che si fonda su Aristo­ da, si raccolse una preziosa biblioteca e si iniziò un lavoro sui testi classici
tele, sugli stoici, sui neoplatonici, ma anche su Cicerone, Seneca e Agostino, (collazione ed emendazione di codici, versioni, riassunti, volgarizzamenti,
si coniuga con una prospettiva morale che fa dell’opera un’esortazione ecc.) che anticipa i centri scrittorii delle grandi abbazie dei secoli seguenti.
al bene; la finissima competenza retorica e la vasta erudizione letteraria
non precludono tentativi di sperimentazione anche audaci, come l’alternarsi,
all’interno di ciascun libro, di brani in prosa e di parti in poesia, e anche I p o e ti
l’uso di forme metriche anomale ed inconsuete.
Anche nel cam po della poesia si incontrano autori di grande eleganza form ale, con
Ennodio personalità originali, che compongono carmi di buona fattura, come Ennodio, nato
Cassiodoro ad Arles fra il 473 e il 474 m a vissuto soprattutto a Payia di cui fu vescovo fino
al 521,, anno della sua m orte. Oltre che di opere in prosa fu autore di carmi ed
epigrammi, nei quali è assai presente il mondo classico e pagano, ricordato con un
Vita Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore, nato a Squillace in Calabria
Aratore rim pianto che stupisce in un vescovo. Un suo alunno, A ratore, fu poeta di gran
prima del 490, fu questore, poi console, infine sostituì Boezio come magister successo: nel 544 lesse davanti a papa Vigilio e a una folla entusiasta raccolta nella
officiorum. Quando i Bizantini nel 540 conquistarono Ravenna, togliendola ai chiesa di San Pietro in Vincoli il suo poem a in due libri, in esametri, dal titolo
Goti, si trasferì a Costantinopoli, dove rimase fino alla definitiva vittoria dell’lmpe- De actibus Apostolorum.
600 G II ALBORI DEL MEDIOEVO LA LETTERATURA IN AFRICA 601

Massimiano Anche più affascinante di E nnodio, il quale è a volte appesantito dall’erudizione ultimi anni del V secolo e morto intorno al 500, va ricordato per la commi­
scolastica e dal gusto per la bella letteratura, è un altro poeta, Massimiano. Origina­
rio dell’E truria, vissuto probabilm ente alla m età del VI secolo, è autore di sei elegie,
stione di argomenti pagani e argomenti cristiani: una tragedia, Orestis tra-
in cui l ’incombere della m orte e la tristezza dell’invecchiare sono visti come rappre­ goedia o più semplicemente Orestes (che in realtà è un poema in esametri)
sentazione della fine della cultura pagana, con la sua gioia di vivere. e due epilli, il De raptu Helenae e la Medea (riuniti, insieme ad altri compo­
nimenti di genere molto vario, in una raccolta intitolata Romùlea) ci riporta­
Benedetto da Norcia e Gregorio Magno no già con i soli titoli in pieno contesto mitologico classico, rivissuto attra­
verso l’esperienza della scuola e degli studi di retorica, ma anche attraverso
Accanto a questi autori in cui è prevalente la continuità con il passato la tradizione degli spettacoli (soprattutto i mimi), che continuavano ad avere
di Roma, non mancano però anche altri i quali sono espressione della nuova successo nell’Africa del V secolo. Al contrario il carattere «cristiano» è più
realtà medioevale, come Benedetto da Norcia (ca. 480-ca. 547), il fondatore evidente nella Satisfactio, in distici elegiaci, indirizzata a Guntamondo re
dell’abbazia di Montecassino, la cui Regola, rielaborazione della più antica dei Vandali allo scopo dì chiedere il suo perdono per una colpa commessa
Regula magistri, sarà destinata a governare per secoli e secoli le comunità (Pavere celebrato, in vece sua, un altro personaggio, probabilmente l’impe­
monastiche, e soprattutto il papa Gregorio Magno (540-604), una figura di ratore d’Oriente Zenone), e nel De laudibus Dei in tre libri di esametri,
grande rilievo politico ma tu tt’altro che insignificante sul piano letterario. che si propone di cantare la benevolenza di Dio verso gli uomini, la sua
pietas, per suscitare in questo modo la pietà del re ed ottenere la grazia.
Convinto della necessità di consolidare il prim ato del vescovo di Rom a, non badò
a mezzi e ad alleanze per raggiungere questo scopo; preoccupato dalle aspirazioni La cultura come È interessante questo tentativo di usare la cultura, la capacità tecnica
dell’im peratore d ’Oriente che m irava al ruolo di tutore del papato, sfruttò per ripa­ merce di scambio di scrivere versi, come merce di scambio presso il re: c’era una tradizione
rarsene gli scontri e i conflitti fra i regni barbarici e l’im pero; consapevole dei van­ di poeti che, caduti in disgrazia, avevano riacquistato o tentato di riacquista­
taggi derivanti da una solida situazione economica e da possessi territoriali, pose re la loro fortuna per mezzo delle proprie opere, e Draconzio dimostra di
le basi dello Stato Pontificio e teorizzò l’opportunità di disporre di mezzi profani conoscerli bene con le sue citazioni da Ovidio e da Optaziano, ma la novità
da impiegare al servizio della Chiesa. Di qui l’am ore e l’odio che nutrirono per
lui i guelfi e i ghibellini di tutti i tempi, creando una serie di sovrapposizioni ideolo­ è nell’interlocutore: indirizzare un carme ad Augusto o a Costantino era
giche che rendono praticam ente impossibile una valutazione serena della sua perso­ infatti ben diverso che scrivere al barbaro Guntamondo. Colpisce tuttavia
nalità storica e condizionano spesso anche il giudizio sulla sua produzione letteraria. la fiducia del poeta nella sua arte, e la disponibilità a credere che siano
Su questi interventi di Gregorio ci inform ano i quattordici libri di Epistole, che sono ancora proponibili schemi di relazioni fra potere e cultura come quelli che
una fonte preziosissima per la ricostruzione della vita politica e religiosa del tempo.
Di famiglia nobile e già prefetto del pretorio di Rom a, Gregorio si colloca su
vigevano nei primi quattro secoli dell’impero.
posizioni di rifiuto per quel che riguarda l’eredità culturale profana. Sintom atica una
sua epistola al vescovo di Vienne Desiderio, che aveva aperto per i suoi chierici una Fulgenzio
scuola in cui faceva loro lezione secondo il solito program m a com prendente i classici:
Gregorio glielo vieterà. A utore di ponderose opere esegetiche, Gregorio tentò peraltro L’interpretazione In età vandalica è attivo anche Fabio Planciade Fulgenzio (ma non m anca chi lo
anche una form a letteraria che fosse — per temi e stile — di più imm ediata presa dei classici nel considera più antico di oltre un secolo), una curiosa figura di erudito autore di q u at­
anche su un pubblico non particolarm ente colto: si tra tta dei quattro Dialogorum libri, trapasso al tro opere: i M ythologiarum libri, che cercano le motivazioni «scientifiche» sottostan­
il secondo dei quali è una biografìa di Benedetto da Norcia. In quest’opera — restiamo Medioevo
ti ai racconti della religione pagana, per ricavare dal simbolo le verità da esso nasco­
debitori ad Auerbach (Lingua letteraria e pubblico) per alcune felicissime osservazioni ste, e renderle accessibili al Cristiano; YExpositio Vergilianae continentiae, un dialo­
— il papa usa un linguaggio colloquiale ed affresca una realtà rurale certo assai lonta­ go in cui Virgilio illustra all’autore le allegorie riposte sotto i versi dell’Eneide e
na dal m ondo dei dotti e dei teologi cui le altre sue opere sono destinate. propone una possibile lettura dell’epos in chiave morale; il D e aetatibus m undi et
hominis, un riassunto di storia dal peccato originale alla seconda m età del IV secolo
La rinascita Negli ultimi decenni del secolo le condizioni dell’Italia cambiano profon­ (il testo è certamente incompleto) che ha la sua principale caratteristica nel fatto
carolingia in Italia di essere stato scritto con la tecnica del lipogramma, per cui nel prim o capitolo
damente: con i Longobardi tutto diventa più difficile, e per due secoli la lettera­ non com pare mai la a, nel secondo m anca la b, nel terzo la c e così via; VExpositio
tura non è un’attività a cui sia facile o utile dedicarsi: bisognerà attendere gli ulti­ serm onum antiquorum , che illustra il significato di 76 parole con un a serie di citazio­
mi anni del dominio longobardo e il nuovo clima carolingio per trovare uno sto­ ni da vari autori, le quali a volte danno l’impressione di essere state inventate di
rico come Paolo Diacono, autore della Historia Langobardorum, o un gram­ sana pianta, o quantom eno sensibilmente alterate.
matico come Pietro da Pisa, e più in generale una significativa ripresa degli studi. L ’insieme di queste quattro opere è significativo di una fase di passaggio dall’antichi­
tà al Medioevo: le nuove proposte di interpretazione e di uso dei classici, la nuova
collocazione dell’edificio mitologico che questi presuppongono, la nuova valutazione
della storia in chiave salvifica si uniscono ad una lingua ricercata ed efficace, m a
lontanissima dalle consuetudini vigenti fino a pochi decenni prima.
3. La letteratura in Africa
Vittore di Vita
Draconzio
A ncora agli ultimi anni del V secolo appartiene Vittore, vescovo di Vita, una città
La commistione Anche in Africa gli ultimi anni del V secolo e la prima metà del VI dell’Africa settentrionale, il quale scrisse u n ’Historia persecutionis Africanae provin-
di argomenti ciae, che racconta le crudeltà dei Vandali dall’invasione, avvenuta nel 429, fino alla
costituiscono un periodo di notevole fioritura letteraria, nonostante la du­ fine del regno di Unerico nel 484, insistendo soprattutto con m acabre descrizioni
cristiani e pagani rezza dell’occupazione vandalica; un poeta come Draconzio, vissuto negli sulle persecuzioni religiose ai danni dei Cristiani.
602 GLI ALBORI DEL MEDIOEVO
LA LETTERATURA IN SPAGNA E IN FRANCIA 603

Corippo fu educato dal fratello maggiore Leandro, a sua volta importante figura di lettera­
to, vescovo di Siviglia. Alla morte del fratello, nel 600, Isidoro gli successe come
Di fronte a questa considerevole fioritura di scrittori nel periodo fra vescovo, dedicandosi alla riorganizzazione della Chiesa spagnola, curando i rap­
il 480 e la riconquista della provincia da parte delle truppe di Giustiniano porti con i re visigoti e accrescendo il potere temporale dei vescovi. Morì nel 636.
nel 534, c’è la strana diminuzione della produzione letteraria allorché la re­
gione torna a far parte dell'impero: va segnalato un solo poeta di buon Opere La sua produzione letteraria è di ampiezza impressionante; in gran parte
è di carattere strettamente religioso o ecclesiastico, ma numerosi sono anche
rilievo, Corippo, che alla metà del VI secolo canta la gloria degli eserciti
La lohannis gli scritti storiografici (De viris iliustribus·, Chronica, dalla creazione al 615; Histo­
imperiali guidati dal generale Giovanni con un poema epico, la lohannis
ria Gothorum, Vandalorum, Sueborum). Fondamentali sono le opere enciclope­
(La Giovànnide) che, non solo nella forma del titolo, ma anche nella costru­ diche, e soprattutto le Origines sive Etymologiae in venti libri: partendo dalle pa­
zione dei personaggi, ricalca VEneide. Il poema (otto libri di esametri) narra role usate per definire le varie arti e scienze e dai termini relativi ai concetti
In laudem lustini la guerra contro i Mauri del 546-48. Poco più tardo è un In laudem lustini e agli strumenti, Isidoro cerca, attraverso l’etimologia, di risalire alle radici, alla
Augusti minoris, in quattro libri, dedicato all’insediamento dell’imperatore verità originaria, e nello stesso tempo di conservare e diffondere conoscenze e
(avvenuto nel 565) e ai primi tempi del suo regno. Corippo è poeta di grande tecnologie che altrimenti si sarebbero perdute. I venti libri sono divisi per ar­
cultura, che intreccia Cristianesimo e tradizione classica così come si è visto gomento; all’inizio sono le arti del trivio e del quadrivio, seguono altre attività
fare ad altri scrittori dell’epoca; in lui si notano anche alcuni caratteri parti­ come la medicina e le leggi, poi problemi di vita religiosa, le diverse lingue, i
popoli, gli stati, gli eserciti, i cittadini, i parenti. Il X libro è un vero e proprio
colari, più evidenti forse nell’/» laudem lustini, come il gusto per la rappre­
vocabolario, con la spiegazione di una serie di parole difficili. I secondi dieci libri
sentazione degli apparati e dei cerimoniali ed una notevole lentezza nel pro­ affrontano argomenti che noi potremmo chiamare più «scientifici»: uomini e mo­
cedere dell’azione, sostituita spesso dalla descrizione degli ambienti e dai stri, animali, l’universo e le sue parti, la terra e le sue parti, case e campagne,
discorsi dei personaggi. rocce e metalli, agricoltura e giardinaggio; curiosi per gli strani accostamenti dei
contenuti sono gli ultimi libri: il XVIII è sulla guerra e sui giochi, mentre il XIX
parla di navi, di edifici e di vestiti, e il XX di cibarie e di utensili per la casa
e per la campagna.

4. La letteratura in Spagna
Un recupero Isidoro non era un nostalgico d d l’Impero, e non voleva contrapporsi
culturale in ai Germani: vero continuatore di Cassiodoro anche per questo aspetto, egli
Un’articolata In Spagna la positiva evoluzione del rapporto fra Romani e Visigoti chiave individua nei Goti i fondatori del nuovo stato nazionale: i Romani dell’im ­
società di dotti e progressiva pero d’Oriente sono anzi dei nemici, contro ì quali è giusto combattere.
diede vita, sul finire del VI secolo, ad un’articolata società di dotti, che
un re visigoto comprendeva vescovi e uomini di Chiesa, ma perfino un re visigoto, Sisebu- Il recupero della cultura classica non è operato, quindi, in chiave nostalgica,
poeta ma per attrezzare il nuovo popolo alla sua storia futura, per fornirgli tutto
to, il quale coltivava le scienze e la poesia. L’interesse per gli studi scientifici
è una delle componenti più interessanti di questa «rinascenza visigotica», l’essenziale del sapere antico nelle forme più semplici e adatte alla compren­
che elabora un compendio del sapere a cui faranno ricorso ancora per secoli sione, senza discriminazioni fra testi cristiani e testi pagani, anche perché
i dotti di tutta l’Europa occidentale. Protagonista indiscusso di questa rina­ la pericolosità ideologica di questi ultimi è ormai fortemente ridotta. La
scita, anche se sono molti gli scrittori «minori» che lo affiancano, è Isidoro, scrupolosa fedeltà ai testi antichi ha spesso comportato per Isidoro accuse
il doctor egregius del Medioevo. da parte dei medievisti, che lo hanno trovato poco originale, e comunque
Martino di Braga Una figura notevole in questo contesto è quella di Martino, vescovo inferiore per levatura a un Boezio, un Cassiodoro, un Beda; ma la novità
di Braga (nell’attuale Portogallo). Originario della Pannonia, per motivi che del progetto, e il suo accompagnarsi con un concreto impegno politico, sug­
ignoriamo, si trasferì nell’altro estremo d’Europa e divenne, dopo la metà geriscono di considerare l’insieme delle sue opere non un asettico prodotto
da tavolino, ma una proposta organica (e funzionale, come dimostrerà la
del VI secolo, vescovo di Braga: morì nel 580. I suoi scritti morali (De
sua fortuna in tutto il Medioevo) di sistemazione della cultura ai fini della
ira e Formula vitae honestae) hanno come fonte principale Seneca; l’opera
formazione delle nuove generazioni e dei nuovi ceti dirigenti.
maggiore, il De correctione rusticorum, ci testimonia come, nelle campagne
Poi, all’inizio dell’VIII secolo, la Spagna passa a far parte della sfera
della Galizia, ancora nel VI secolo sopravvivessero pratiche pagane tra gli
strati umili della popolazione. d’influenza dell’IsIam, e la letteratura latina vi entra in crisi.
Ma il protagonista indiscusso di questa rinascita è Isidoro, il doctor
egregius del Medioevo.
5. La letteratura in Francia
Isidoro di Siviglia
Un livello Assai più complesse sono le vicende della storia letteraria in Francia,
Vita Nato a Siviglia, che anticamente si chiamava Hìspalis (donde il suo nome culturale sempre anche perché più faticosa fu in questa regione la costituzione di un regno
latino di Isidorus Hispalensis), intorno al 570 da famiglia di origini romane, Isidoro notevole germanico: i Franchi dovettero prima allontanare i Visigoti dalle zone meri­
604 G II ALBORI DEL MEDIOEVO LA LETTERATURA IN FRANCIA 605

dionali e poi assorbire i Burgundi; a lungo ebbero gravi problemi interni Gregorio di Tours
per le divisioni tra i vari rami delle famiglie regnanti dei Merovingi. Gli
ultimi anni del V secolo e i primi del successivo vivono ancora sull’onda
dell’alto livello culturale che da oltre cent’anni caratterizzava la Gallia: si Vita e opere di Nato nel 538 a Clermont-Ferrand da una delle più illustri famiglie roma­
possono ricordare Avito, vescovo di Vienne, autore fra l’altro di un poema Gregorio ne della città, compì nel 563 un pellegrinaggio a Tours per motivi di salute,
epico di argomento religioso (i Libelli de spiritalis historìae gestis, in 5 libri e rimase lì come diacono presso il vescovo Eufronio, suo parente. Alla mor­
di esametri, scritti nei primi anni del VI secolo) e Cesario, arcivescovo di te di Eufronio, nel 573, gli successe e tenne per vent’anni la sede episcopale
Arles dal 502 al 542, autore di 238 Sermones nei quali, forse per la prima più prestigiosa di Francia, con grande capacità e coraggio.
volta, l’eloquenza sacra assume caratteri popolareggianti, adattandosi, sia Autore di una produzione in versi totalmente perduta e di opere di ca­
sul piano dei contenuti che nel linguaggio, al livello culturale ormai modesto rattere religioso, Gregorio è noto soprattutto per il suo capolavoro: le Histo-
degli ascoltatori. Ma le personalità di maggior rilievo sono attive nella se­ riae, più note come PHistoria Francorum in dieci libri, un testo fondamen­
conda metà del VI secolo: Venanzio Fortunato, con le sue fresche composi­ tale nella storiografia medioevale. Composta fra il 575 e il 594 (anno della
zioni poetiche, è forse l’autore più significativo, ma anche la figura di Gre­ morte di Gregorio), VHistoria Francorum comincia con Adamo e narra gli
gorio di Tours riveste particolare interesse. avvenimenti fino al 591, dedicando particolare spazio a quelli più recenti,
che l’autore ha potuto conoscere direttamente.
L’impassibilità La storia dei Franchi è prevalentemente storia di misfatti e di crudeltà,
dello storico di usurpazioni, assassini, torture che in noi suscitano indignazione, e che
Venanzio Fortunato l’autore narra invece con una distaccata serenità (che gli costò finanche
l’accusa di insensibilità). È probabile che, a vivere in quei tempi, si dovesse
Vita Venanzio Onorio Clemenziano Fortunato nacque a Valdobbiàdene (allora Du- finire con l’abituarsi a certi comportamenti e col ritenerli pressoché usuali;
plàvilis) presso Treviso intorno al 530, studiò a Ravenna, poi lasciò l’Italia verso è anche possibile che Gregorio avvertisse l’inutilità di infarcire la sua storia
il 565 cominciando un lungo pellegrinaggio tra Francia e Germania: passò da
con tirate moralistiche, che sarebbero state così frequenti da perdere di
Tours a Magonza, da Colonia a Trèviri, da Metz a Verdun, da Reims a Soissons
a Parigi, scrivendo panegirici di vescovi e signori del luogo e guadagnandosi
valore e da risultare solo fastidiose per il lettore; è importante però ri­
da vivere con la sua produzione letteraria. Infine a Poitiers nel 567 conobbe Ra- cordare che per lui la storia si presenta come costante conflitto fra il
degonda, vedova del re Clotario, che si era ritirata in un convento di quella città; bene — presente in terra attraverso l’organizzazione della Chiesa — e
divenne il suo segretario e si fece sacerdote, restando nel tranquillo asilo del il male che si mostra nei vizi di molti potenti, nella loro bramosia di
suo monastero anche dopo la morte di Radegonda, avvenuta nel 587. Vescovo ricchezze e di sangue. In questa visione qualsiasi misfatto è un modesto,
di Poitiers dal 597, morì settantenne intorno al 600. marginale episodio della più grande guerra cosmica fra male e bene, che
si chiuderà con la sicura vittoria di quest’ultimo e il risarcimento delle
Opere In prosa scrisse alcune vite di santi ed una biografia di Radegonda, compo­
ingiustizie.
sta dopo la sua morte; in versi sono invece la Vita Martini, in quattro libri di
Storia di fatti e Accanto ai grandi, la storia dì Gregorio non trascura però personaggi
esametri, e vari inni destinati a sopravvivere nella liturgia occidentale (fra cui
i famosi Vexilla regis prodeunt e Pange lingua) e molte brevi composizioni poeti­
personaggi minori più modesti, e fatti che uno storico antico avrebbe certamente escluso dalla
che raccolte negli undici libri dei Miscellanea. propria opera; soprattutto quando si tratti di vicende avvenute nella sua
diocesi. In questi casi Gregorio non sa rinunciare al racconto, anche se si
Una voce poetica Al di fuori di valutazioni moralistiche sugli aspetti discutibili della sua tratta soltanto dell’omicidio di un servo, o di un’inimicizia fra privati citta­
«diversa» figura, prima di scrittore d’occasione e poi di sacerdote per comodità, egli dini, ricca di complicazioni e di colpi di scena, ma in definitiva assai poco
è per molti motivi una voce diversa da quella di parecchi contemporanei, rilevante sul piano dei grandi avvenimenti. Questa sensibilità per le condizio­
soprattutto per la facilità e la freschezza della sua vena di poeta; la sua ni di vita di tutte le classi sociali che avvicina molto VHistoria Francorum
competenza linguistica e metrica può suscitare critiche per la distanza che alle tendenze più moderne della storiografia, non nasce però dalle medesime
lo separa dai modelli classici, ma anche entusiasmi per la nuova autenticità Un orizzonte motivazioni: l’orizzonte storico e politico di Gregorio si è ristretto, rispetto
che fa di Venanzio l’iniziatore di una poesia medioevale che recupera l’espe­ ormai ristretto a quello degli scrittori di un tempo, e per lui esiste quasi solo la Francia,
rienza elegiaca volgendola a cantare nuovi soggetti, non da ultimo rapporti e in particolare il territorio di Tours, ed è diverso anche il modo di usare
di amore spirituale: per questo aspetto Venanzio è da alcuni considerato le fonti, perché viene privilegiata la visione diretta dei fatti. Questo compor­
un precursore della poesia trobadorica. ta una nuova gerarchia degli avvenimenti, che favorisce quelli di cui Grego­
Come poeta, la facilità della sua vena gli consente di trovare le parole rio è sicuro per averli visti con i propri occhi, e costituisce uno degli aspetti
e le immagini giuste, anche se il suo patrimonio culturale non è paragonabile Il talento più significativi della sua opera. Resta solo da ricordare la felice impressione
a quello di altri scrittori italiani o africani; Venanzio sa passare dal livello narrativo che deriva al lettore davanti a pagine segnate da un talento narrativo ecce­
rarefatto e tenue delle piccole cose quotidiane legate alla vita di convento zionale, animate di forza descrittiva, mosse dalla drammaticità di uno stile
alle grandi costruzioni degli inni, che nella crudezza delle rappresentazioni vario e tumultuoso, nuovo ma capace di lasciar trasparire l’assimilazione
della Passione del Cristo inaugurano la nuova estetica del pubblico medioevale. paziente dei grandi modelli tradizionali di storiografia.
606 GLI ALBORI DEL MEDIOEVO
VERSO LA NASCITA DELLE LETTERATURE NAZIONALI 607

6. Beda il Venerabile che costituirono il bagaglio culturale di ogni intellettuale. In questa compa­
gnia Beda si distingue per l’attenzione prevalentemente dedicata agli studi
Anche in Francia, come e più che in Italia, il VII secolo è l’«età del storici, ma anche per le particolari caratteristiche della sua vicenda persona­
ferro», in cui poco o nulla di importante c’è da registrare, e la produzione le: gli altri sono tutti personaggi di grande rilevanza anche politica, ammini­
letteraria sembra tacere. In Britannia invece la ripresa dell’attività culturale stratori dello stato o ecclesiastici detentori di concreto potere temporale; Be­
(dopo che, a partire dal V secolo, si era completamente interrotta la conti­ da è un monaco qualunque, che non apparteneva a famiglie potenti, che
nuità di cultura col mondo latino) è più tarda — avviene solo verso la metà non raggiunse alcun grado nella gerarchia ecclesiastica, e neppure nel suo
del VI secolo, quando il britanno Gilda scrive il De excidio et conquestu stesso convento.
Britanniae, opera in cui delinea le vicende storiche del suo popolo ma so­
prattutto fornisce un quadro drammatico della situazione morale nella quale
esso versa — ma si protrae più a lungo. La figura dominante di tale proces­ 7. Verso la nascita delle letterature nazionali: un’irradiazione più che
so è quella di Beda il Venerabile. una fine

Vita Nacque nel 672-73 sulla costa orientale dell’Inghilterra del Nord (Northum-
bria) vicino al Vallo d ’Adriano; a 7 anni fu affidato al monastero di Wearmouth
Nascita delle Dopo Beda si verifica un interessante fenomeno: dotti anglosassoni e
per esservi educato, e trascorse tutta la sua esistenza nei conventi gemelli di
letterature monaci soprattutto irlandesi riesportano in Francia e in Italia la cultura lati­
nazionali na elaborata nelle isole britanniche. Con questa operazione compiuta da in­
Wearmouth e di Jarrow. Diacono e poi prete, non si allontanò mai molto dai
suoi monasteri, e comunque non uscì mai dalla sua regione. Morì nel 735. dividui che non parlano il latino come lingua madre, né l’hanno nella loro
tradizione nazionale, si chiude un ciclo di storia letteraria; nascono ora le
Opere Le opere in versi sono quasi tutte perdute (ne rimangono solo tre, fra cui letterature nazionali in lingua romanza o germanica, che prima convivono
un carme De die iudìcii sul giudizio universale). La produzione in prosa compren­ con una letteratura latina sempre più riservata a ristretti ambiti di dotti,
de lettere, omelie, scritti religiosi, scientifici, grammaticali e storiografici. Tra le poi la sostituiranno del tutto al nascere del mondo moderno.
opere scientifiche sono notevoli il De natura rerum, fondato su Plinio e Isidoro,
Un grande sforzo Nei secoli fra la caduta dell’impero romano d’Occidente e la restaura­
e il De temporibus sull’anno e le sue parti, che utilizza Isidoro, Plinio e Macrobio;
di carattere grammaticale sono il De orthographia, il De metrica arte e il De sche-
di sintesi zione imperiale di Carlo la letteratura latina assolve un compito importante
matibus et tropis, sulle figure retoriche, con esemplificazione tratta dalla Bibbia. nella storia della cultura: la trasmissione del sapere dalla vecchia organizza­
Gli scritti più importanti sono quelli storiografici: De ratione temporum, sulle diver­ zione statale alla nuova Europa. Nello svolgimento di questa funzione l’ori­
se cronologie e l’opportunità di datare gli anni dalla nascita di Cristo; i’Historia ginalità delle ricostruzioni, la solidità (a volte perfino eccessiva e opprimen­
ecclesiastica gentis Anglorum, in cinque libri, con una descrizione dell’isola e te) dei sistemi ideali, la difficile sintesi fra paganesimo e Cristianesimo, fra
la narrazione degli avvenimenti da Cesare ai suoi tempi; l'Historia abbatum, sugli mondo romano e mondo germanico, in breve ciò che viene prodotto da
abati di Wearmouth e Jarrow.
questi intellettuali, presuppone uno sforzo quale forse non è mai stato com­
piuto in altre fasi della storia dell’umanità.
Rigore e acume
In Beda sorprendono il rigore del metodo storiografico, l ’acutezza dei Intellettuali e Se poi questo sforzo è stato attuato in una condizione di separatezza
di Beda
giudizi, la sorprendente ricchezza della documentazione: egli capisce l’im­ società nel dalle vicende sociali che agitavano le popolazioni medioevali, ovvero se gli
portanza del documento e del confronto tra le varie notizie; riporta il testo Medioevo scrittori e i letterati fossero inseriti in questi avvenimenti, e da protagonisti,
di epigrafi e cita le fonti letterarie; è puntiglioso negli elenchi cronologici, è questione complessa e aperta, anche se certamente troppo estremistica è
nelle notizie geografiche, e tenta perfino di fornire dati statistici sulla popo­ l’immagine di una cultura tutta conventuale, chiusa ai rapporti con un mondo
lazione e sul numero delle famiglie. Nelle sue ricostruzioni non si limita che non parla più latino, e avverte come lontana — se non estranea — la
ai semplici avvenimenti, ma dimostra un apprezzabile interesse per la storia tradizione classica; a dimostrare questo stanno le storie personali di molti
della cultura, per le tradizioni locali e per la cultura materiale. La compo­ scrittori, e lo conferma, indirettamente, il ruolo che le loro opere ebbero per
nente religiosa ha naturalmente il primo posto nella narrazione, ma non il nascere delle nuove letterature, a cui diedero contenuti e strutture formali.
per una deviazione dovuta alla personale ottica dell’autore: il fatto è che Questo latino che sopravvive a lungo alla sua morte, questa letteratura
la religione e i suoi problemi occupavano davvero un posto di primo piano scritta in una lingua che nessuno usa più come strumento di comunicazione
nella vita dell’epoca; i miracoli, gli aneddoti, le virtù e i difetti si mescolano naturale, ma che continua ad essere la lingua ufficiale della Chiesa, e che
in una narrazione credibile, non fastidiosa, che punta ad una ricostruzione risponde, e assai bene, all’esigenza di informazione avvertita dai dotti e da­
complessiva, e tra i molti meriti dello scrittore va senz’altro ricordata l’ele­ gli scienziati, sono tra le più curiose contraddizioni di un’epoca fertile di
ganza della sua scrittura, chiara e lineare. incongruenze, lacerata fra l’aspirazione all’universale e le tendenze centrifu­
Uno dei padri del
Beda è una delle figure più notevoli nella storia letteraria del primo ghe verso il particolare. Una letteratura, una lingua con caratteristiche pro­
Medioevo
Medioevo: Dante lo colloca in una serie ideale che parte da Boezio e prose­ prie, con una loro autonomia, eppure strettamente legate al passato, in quel
gue con Isidoro, identificando così i tre grandi pilastri che, insieme con Cas­ complesso alternarsi di continuità e rottura che costituisce forse il maggiore
siodoro, fornirono a tutto il Medioevo il patrimonio di dati e di nozioni fascino del Medioevo.
608 GLI ALBORI DEL MEDIOEVO

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Milano 1968; per un argom ento più spe- 1956. carsi nell’orbita politica dell’im pero.
amhitio / ambitus II termine deriva da am bi­
re («fare il giro», e di qui «sollecitare», quasi «cor­ Ben presto, almeno dall’età scipionica, gli in­
teggiare»), e designa l’insieme dei mezzi con i qua­ tellettuali rom ani incominciano a provare fastidio
per l’inadeguatezza di questo «modello» di amici­
li l’uomo politico si procura la gratia («favore»,
e perciò «influenza») necessaria all’esercizio della zia rispetto alla nuova sensibilità che l’affinam en­
sua attività; ben presto ambire si specializza per to dei costumi e la penetrazione della cultura filo­
indicare soprattutto il «giro dell’elettorato» fatto sofica greca contribuiscono ad alimentare. La ten­
dal candidato a una magistratura per sollecitare ap­ denza si delinea con difficoltà, perché il bisogno
poggio in prossimità delle elezioni. L ’ambitio è per di amicizie disinteressate e «appaganti» — cioè fon­
i Romani una attività normale, di cui per esempio date su somiglianza di costumi, scelte m orali, gusti
Cicerone difende la legittimità; ciò nonostante il — si scontra con l’esigenza di non spuntare l’arm a
termine va caricandosi di una sfum atura peggiora­ politica della amicitia, importante cemento dei grup­
tiva, e per esempio in Sallustio designa quasi co­ pi dirigenti. Il Laelius de amicitia di Cicerone co­
stantemente un com portam ento im prontato a una stituisce il tentativo più significativo di composi­
demagogica sm ania di popolarità, e biasimevole in zione di queste spinte divergenti.
quanto fattore di corruzione. A m b itu s non sembra
in origine distinguersi molto da am bitio quanto a auctoritas / dignitas La nozione di auctoritas
significato. Tuttavia nell’ultimo secolo della repub­ — legata al fondo primitivo, giuridico e religioso,
blica am bitio va assumendo un valore generale e del vocabolario latino: cfr. augere, auctor, augur,
astratto, mentre am bitus indica più concretamente augustus — esprime la capacità di esercitare, at­
i diversi procedimenti della corruzione elettorale, traverso la propria influenza o il proprio ascen­
e diviene perciò un termine tecnico della giurispru­ dente, una funzione dirigente nella vita politica.
denza: si ricordi la variegata legislazione de ambi- Essa si fonda su un complesso di fattori: le tradi­
tu, che cercava appunto di contrastare il fenome­ zioni familiari, le qualità personali, l’esperienza ac­
no della corruzione. quisita con l’età, la potenza materiale, la ricchezza
e i legami di amicitia, di clientela, ecc. La auctori­
amicitia II concetto di amicizia (philia) svi­ tas si accresce con le imprese militari, m a soprat­
luppato nella riflessione filosofica greca (si pensi a tu tto è proporzionale all’avanzam ento nel cursus
Platone, Aristotele, Epicuro) investe soprattutto il honorum. Dal punto di vista di chi la riconosce
rapporto affettivo, fondato su basi etiche, che si e vi si sottomette, la auctoritas è fondata sulla con­
instaura fra due personalità. Radicalmente diversa vinzione che chi la detiene possiede qualità che lo
è invece la prassi della amicitia rom ana, che non rendono degno di esercitare un ruolo dirigente; pre­
si comprende senza tenere presenti le condizioni suppone u n ’adesione e un a sottomissione volonta­
in cui si svolge la lotta politica (vedi) nella res p u ­ rie, basate sul rapporto di fides. Perciò la auctori­
blica. L ’uom o politico rom ano è in prim o luogo tas non si esprime di solito attraverso degli ordini,
il capo di una fazione, che fa uso di u na vasta m a attraverso consigli e pareri (sententia è il term i­
rete di relazioni familiari e personali allo scopo di ne tecnico per designare l’avviso — consilium —
ottenere cariche e di favorire i propri sostenitori. espresso in senato), o anche attraverso com porta­
Perciò amicitia e inimicitia sono spesso, nella so­ menti esemplari, che altri si ritengono vincolati ad
cietà rom ana, non rapporti fra privati m a situazio­ imitare.
ni codificate e quasi istituzionalizzate: Vamicitia lega Il concetto di dignitas, strettam ente connesso
fra loro, in gruppi di potere, individui di pari con­ con quello di auctoritas, esprime il diritto al rico­
dizione sociale (mentre la clientela garantisce la su­ noscimento della propria eminenza, e contem pora­
bordinazione degli individui dei ceti subalterni a neamente il complesso di obblighi, regolati dalla
quelli delle classi dominanti). È im portante che il fides, che da essa scaturiscono. Per l’aristocratico
concetto trovi un a sua precisa sfera di applicazio­ rom ano, è un dovere e un punto d ’onore cercare
ne anche nel campo del diritto internazionale, do­ di mantenere e di accrescere la propria dignitas,
ve si parla di amicus po p u li R om ani per definire difendendola dagli attacchi di chi vorrebbe metter-
610 GLOSSARI BREVE GLOSSARIO DI CULTURA ROMANA 611

la in discussione. Così Cesare afferm ava di avere repentaglio le istituzioni. D ’altra parte, almeno dagli impegno di protezione, mentre il cliens deve pre­ cui a Roma si svolgeva la lotta politica, le gentes
scatenato la guerra civile soprattutto per salvaguar­ ultimi decenni della res publica, quella della seve­ stare i suoi servigi e m anifestare la propria devo­ arrivarono tuttavia a giocare un ruolo politico e
dare la propria dignitas: la sua vicenda mostrò co­ ritas si rivela una via difficilmente praticabile, per­ zione), nel rapporto fra vincitore e vinti (il vincito­ sociale di grande im portanza al di fuori delle for­
me in questo ideale del perseguimento della digni­ ché fondata su u n ’idea di dominio puram ente re­ re che accoglie la resa si impegna a moderazione me istituzionalizzate: le loro estese ramificazioni e
tas si celasse il rischio della elevazione del singolo pressiva, che rischia di sgretolare l’egemonia della e clemenza), fra stato egemone e stati «clienti», ecc. rapporti di clientela permettevano di tenere sotto
individuo al di sopra dello stato. Alcuni, come Ci­ classe dirigente, radicata anche nel consenso delle Per il suo ruolo nel sistema ideale di Roma, controllo settori della cittadinanza, e procuravano
cerone, cercheranno di prendere opportune misure masse subalterne. La necessità di con temperare le il concetto ricevè anche sanzione religiosa. U na tra ­ un largo appoggio a chi si affacciava alla carriera
cautelari, indicando la necessità che la dignitas dei opposte esigenze si esprime in alcune figurazioni dizione fa risalire a N um a Pom pilio l’introduzione politica. C arattere di alleanza politica avevano pu­
singoli membri dell’aristocrazia non venga antepo­ etiche particolarm ente care a Cicerone e ad altri del culto di Fides come divinità; un tem pio, situa­ re i m atrim oni «dinastici» fra membri di gentes
sta a quella del senato e della res publica. autori del tem po, come la com itas non sine severi- to sul Campidoglio accanto a quello di Giove, le diverse.
boni II term ine bonus, che nella sua accezio­ tate o la com itate condita gravitas. venne elevato nel III secolo a.C . gloria / existimatio Secondo i princìpi codifi­
ne politica designa originariamente i proprietari ter­ concordia ordinum, vedi senatus. frugalitas II termine (che deriva da fru x ) in­ cati nel mos maiorum, la virtus politica o militare
rieri aristocratici, contraddistinti dal valore milita­ consilium, vedi auctoritas. dica propriam ente lo stile di vita del coltivatore dispiegata dall’aristocratico rom ano, anela a un pie­
re, subisce un im portante allargam ento soprattutto diligente, che vive dei frutti del proprio raccolto. no riconoscimento da parte dei concittadini, che
nel pensiero politico di Cicerone. Nell’uso di que­ constantia, vedi sistema delle virtù. Col progressivo distacco di Rom a dalle primitive ne costituisce, per così dire, la ricompensa: è que­
st’ultim o, boni sono i membri dei ceti abbienti, cursus honorum II termine indica l’ordine in tradizioni agricole, e le trasform azioni della socie­ sto il concetto tradizionale di gloria. Essa è un pos­
schierati in favore della difesa dell’ordine costitui­ cui vengono ricoperte le diverse m agistrature ro­ tà determinate dall’afflusso di ricchezze e di merci sesso quasi ereditario delle grandi famiglie, che si
to, e avversi alle agitazioni dei populares. Il term i­ mane; la trafila abituale, dopo il preliminare servi­ di lusso, il concetto di frugalitas entra a fare parte trasm ette attraverso le generazioni, e può accre­
ne assume così una connotazione morale oltre che zio militare, era questura - pretura - consolato - del mos maiorum; in essa incomincia a venire ad­ scersi o scemare a seconda che l’individuo si m o­
politico-sociale: bonus è chi è fornito di qualità censura. Se uno rivestiva il tribunato della plebe ditato il modello da restaurare se si vuole porre stri o meno all’altezza dei suoi antenati. Il concet­
etiche che lo m ettono al riparo dal fu ro r dei sov­ e l’edilità, ciò avveniva di norm a dopo la questu­ rimedio alla crisi della res publica-, si celebra l’e­ to di gloria va incontro a una grave crisi con gli
versivi, e contem poraneam ente chi ha delle pro­ ra. Per un complesso di motivi, né il tribunato né sempio di condottieri come Cincinnato, che passa­ sconvolgimenti dell’ultimo secolo della res publi­
prietà che quel fu ro r mette in pericolo. Il bonus la edilità vennero resi obbligatori; agli inizi del II no dall’aratro alla guerra, e quindi all’aratro fan­ ca, quando appare evidente che il riconoscimento
è ispirato dalla iustitia in ogni sua azione, possiede secolo a.C . l’aver rivestito la pretura divenne un no ritorno. M entre la figura dell’h o m o fru g i ac di- della collettività, che ne costituisce il contenuto,
la fides e le altre qualità necessarie a un membro necessario prerequisito per il consolato. L ’omissio­ ligens acquista carattere normativo nella letteratura viene troppo spesso tributato alle arti demagogi­
della classe dirigente per esercitare funzioni politi­ ne della questura, già rara in precedenza, venne giuridica come criterio per valutare la capacità di che di chi blandisce il popolo per creare una base
che o am ministrative, fornisce un sostegno sicuro proibita da Siila. Nel 180 a.C . la lex Villia annalis amministrazione del patrimonio, Cicerone, nella sua di massa a un potere personale e prevaricatorio.
e costante alla politica del senato. Verso la fine regolò ancora più rigorosamente il cursus hono­ opera filosofica, si sforza di am m odernare il con­ S oprattutto a Cicerone si deve la distinzione fra
della repubblica, il termine boni indica perciò es­ rum , e uno schema ancora più vincolante entrò in cetto di frugalitas avvicinandolo a concetti etici gre­ vera e falsa (o popularis) gloria: la vera gloria è
senzialmente i membri di una «classe media», che vigore con gli inizi del principato, quando il vigin- ci. La frugalitas si avvia lentam ente a divenire so­ il retaggio dei pochi che nella loro azione politica
comprende strati dell’ordine senatorio, il ceto eque­ tivirato divenne un prerequisito per la questura, p rattutto un atteggiamento interiore, che delle ori­ ancora restano fedeli agli ideali che in passato han­
stre e le fasce superiori del popolo, e si trova col­ e nell’intervallo fra queste due m agistrature veniva gini agricole manterrà solo un remoto ricordo, senza no reso grande Roma: noncuranti dell’opinione dei
locata fra le più grandi famiglie senatorie della no- di solito rivestito il tribunato militare. La carica più designare un concreto stile di vita: un processo più, e pronti a sfidare l’avversione di un popolo
bilitas e la plebe più disagiata. di governatore provinciale e le nuove cariche non che può dirsi com piuto in certi passi delle Epistole corrotto. Lo svuotam ento del concetto tradiziona­
magistratuali, come quella di praefectus o di cura- di Seneca. le di gloria può dirsi com piuto nel Som nium Sci-
clientela, vedi patronato.
tor, venivano di solito ricoperte in punti fissi al­ pionis che chiude il D e re publica, dove la caduca
l’interno di questo schema basilare. gens Secondo la teoria oggi più diffusa, la
cognomen, vedi gens. gloria terrena viene derisa come u n ’aspirazione me­
gens («casata», o «clan»; il term ine è etimologica­
decorum, vedi sistema delle virtù. schina, e ai politici che nella vita hanno perseguito
comitas / severitas Comitas indica un atteg­ m ente collegato con gignere) è l’insieme dei gruppi
l’ideale della grandezza della propria patria, viene
giamento di am abile e sorridente cortesia, di piena dignitas, vedi auctoritas. familiari che si riconoscono legati da vincoli di di­
invece additata la m etaforica ricom pensa di una
disponibilità nel rapporto con gli altri; appare spesso equites, vedi senatus. scendenza da un comune progenitore. A Roma ogni
finalizzata alla conquista del consenso; altrettanto beatitudine celeste.
cittadino aveva un nome personale (praenomen),
spesso, è un com portam ento che non si esercita existimatio, vedi gloria. L a gloria, legata soprattutto alle gesta politi­
un nom en che denotava la gens cui apparteneva,
su un piano di parità col suo destinatario, m a piut­ e un cognomen che indicava la famiglia o il grup­ che e militari, rimane un appannaggio della aristo­
fides È probabile che quella di fid e s sia in crazia dirigente; mentre ci si avvale del termine exi­
tosto «discende» dall’uomo di condizione sociale origine una nozione giuridica ( = «garanzia») piut­ po di famiglie all’interno della gens: per esempio
stimatio per esprimere il concetto generale della
superiore a quello di condizione sociale inferiore: tosto che m orale; ma, anche se il concetto avrà Publius (praenomen) Cornelius (nomen) Scipio (co-
«buona reputazione» che ci si costruisce in vari set­
per esempio, è il modo di fare che contrad­ sempre una grande im portanza in campo giuridi­ gnom en). Fino dall’età più antica, la gens aveva
tori, e scaturisce soprattutto dalla diligenza di un
distingue certi capi militari nel rapporto con i loro co, sarà la nozione morale a divenire prevalente riti religiosi (sacra) in comune, e possedeva un luo­
impegno infaticabile: per esempio nella attività di
soldati. La com itas fa parte del nucleo di valori nel sistema dei valori rom ani, dove fid e s assumerà go comune di sepoltura. Strettam ente legati alla
avvocato, o anche in molte attività economiche o
«m oderni» che emergono con la cultura della hu- un ruolo centrale. In term ini m olto generali, la f i ­ gens dal rapporto di patronato, m a non suoi mem­
semi-economiche, come quella di «incaricato d ’af­
manitas e della urbanitas; la tradizione arcaizzante des può essere definita come il valore che fonda bri a pieno titolo, erano i clientes. È tuttavia tra ­
del mos maiorum preferisce evidentemente, nel rap­ fari» in cui eccelleva Attico, l’amico di Cicerone.
e garantisce il rapporto fra due parti, la «fiducia» m ontata da tempo la teoria che, alle origini dello
porto con i singoli o i gruppi di condizione infe­ dell’una nell’altra. Anche se ha sempre a suo fon­ stato rom ano, individuava nei plebei i clienti dei gravitas II term ine gravitas («peso») assom­
riore, un atteggiamento im prontato a severitas: il dam ento la reciprocità dell’impegno, la fid e s assu­ patrizi: la divisione fra plebe e patriziato ha pro­ m a in sé una serie di sfum ature di significato; al­
rigore austero e accigliato, l’inflessibilità verso se me caratteristiche e contenuti diversi a seconda della babilmente origine in distinzioni di rango e di ric­ l’esterno essa si m anifesta in un atteggiamento al­
stessi come verso gli altri. I tradizionalisti vedono, condizione dei contraenti; essa garantisce così rap ­ chezza: m a i plebei erano organizzati in gentes co­ tero, fatto di serietà, di riservatezza e di autocon­
non senza ragioni, celarsi nella com itas i pericoli porti fra soggetti uguali (come nel matrimonio, nella me i patrizi, e come loro si procuravano clienti. trollo di fronte alle circostanze impreviste; sul piano
della demagogia e della sovversione: l’accondiscen- amicitia, nelle alleanze e nei trattati internazionali, Le gentes non ebbero mai un ruolo ufficiale intellettuale, designa la conoscenza della vita e de­
denza ai desideri del popolo o dei soldati può ser­ e in genere in tutti i negozi giuridici); m a il rap­ nello stato, e non assolsero mai specifici compiti gli affari politici che deriva dagli anni e dall’espe­
vire alla creazione di un potere personale fondato porto può essere anche asimmetrico, come nel pa­ pubblici o polìtici, a parte quello dì sovrìntendere rienza; sul piano etico, caratterizza una condotta
su un largo seguito di massa, tale da m ettere a tronato (il patronus non deve venir meno al suo a diversi culti e cerimonie. Date le condizioni in di vita im prontata a dignità, austerità e rigore m o­
612 GLOSSARI BREVE GLOSSARIO D I CULTURA ROMANA 613

rale. In quest’ultim o senso il term ine è abbastanza credito e prestigio per venire in soccorso alle per­ la più coerente sistematizzazione nell’opera storica pricciosità, e come un fattore di potenziale minac­
vicino a severitas, che descrive più specificamente l’a­ sone della propria cerchia. Il termine può tuttavia di Sallustio (di recente ne è stata tuttavia segnalata cia nei confronti della com pattezza dell’ordine co­
spetto esteriore di una personalità rigida e austera, designare anche una «generosità» squisitamente po­ l’efficace presenza anche in Varrone), m a che a stituito). Di qui la connotazione prevalentemente
poco propensa ai piaceri o all’allegria. La gravitas litica e strum entale, volta a procacciarsi il favore Rom a risale m olto più indietro, alla cultura di età negativa che term ini come novus, novitas e simili
presuppone l’accordo delle azioni con i propri senti­ e l’appoggio di chi la riceve; diviene allora quasi scipionica, e ha probabilm ente radici nel pensiero assumono nel vocabolario etico-politico rom ano:
menti profondi, cioè il perpetuo accordo con la pro­ sinonimo di largitio, che resta com unque di uso greco: esso individua una delle cause principali della con l’espressione rebus novis studere si indica ad
pria coscienza e l’indiscussa fedeltà ai propri princi­ più frequente quando si vuole indicare una gene­ crisi della res publica e del divampare delle sangui­ esempio l’attività di chi tram a progetti di sovver­
pi che si esprim ono nel concetto di constantia. rosità corruttrice e demagogica, come quella dei nose guerre civili nella pace e nella prosperità suc­ sione.
hom o novus, vedi novus hom o. candidati alle m agistrature nei confronti dei loro cedute alla vittoria su Cartagine, dopo la quale era Il tradizionalismo che si esprime nel mos maio-
potenziali elettori (organizzazione di feste, giuochi venuto a m ancare il «tim ore dei nemici esterni» rum è essenzialmente quello della società agraria
hum anitas II concetto di humanitas ha forse arcaica: in essa affondano le loro radici concetti
e spettacoli; distribuzione di denaro e di generi di che aveva a lungo costretto i cittadini rom ani alla
alcune radici nella cultura ateniese, m a è soprat­ etici come industria, labor, pudor, pietas, frugali-
prim a necessità). concordia per la salvezza comune. In origine, il
tu tto una elaborazione rom ana. A ncora prim a che tas, ecc. Ben presto, a causa del rivolgimento dei
concetto di metus hostilis fu u n ’arm a politica nelle
il termine humanitas venga coniato, alcune delle lotta politica L ’esperienza ottocentesca dei costumi indotto soprattutto dall’espansione impe­
mani dei gruppi nobiliari che si opponevano a una
idee fondam entali che entreranno a far parte del partiti parlam entari portò a proiettare nel contra­ rialistica e dall’afflusso dì ricchezze, questi concet­
politica di espansione m editerranea ai loro occhi
suo concetto trovano am pia risonanza in età sci­ sto fra optim ates e populares quello fra conserva- ti vengono a trovarsi in una « ro tta di collisione»
eccessivamente radicale (e probabilm ente favorita
pionica, soprattutto nel teatro di Terenzio e nell’o­ tori e liberali, individuando in essi quasi due « par­ con i nuovi e più moderni valori, legati alle esigen­
dai ceti mercantili e finanziari, interessati alla sop­
pera letteraria di Lucilio. M a la nozione di huma­ titi» nel senso m oderno, con opposti programmi: ze di una società «affluente», che cercano di affer­
pressione dei grossi centri commerciali concorrenti
nitas viene sviluppata soprattutto nella cultura de­ conservatore quello degli ottim ati, ispirato a vasti nel M editerraneo): sappiam o che, dopo la vittoria marsi. Non si arriva, in verità, a una contrapposi­
gli ultimi decenni della repubblica, in prim o luogo progetti di riform a dello stato e della società quel­ zione frontale con il mos maiorum·. la morale «mo­
su A nnibaie, Scipione A fricano cercò di frenare
da parte di Cicerone. Negli scritti di quest’ultimo lo dei popolari. Nel nostro secolo, soprattutto in d erna» non si p ro p o n e com e radicalm ente
quella politica — che esigeva una pace a condizio­
la humanitas è uno «stile» che contraddistingue il Inghilterra e in Germania, è invece andato affer­ alternativa rispetto all’antica; cerca piuttosto, in ge­
ni durissime — con l’argomento che la presenza
com portam ento dei membri più aperti dell’aristo­ mandosi, come reazione alla interpretazione sopra nerale, di aggiornarla salvaguardandone alcuni
di un forte avversario avrebbe conservato nelle co­
crazia, e si configura come un insieme di modi raf­ delineata, il cosiddetto metodo «prosopografico», aspetti fondam entali. Ciò è vero anche per quel
scienze dei Rom ani il tim ore necessario a m ante­
finati, tatto, sensibilità ed educazione letteraria. Per fondato sullo studio minuzioso delle biografie dei settore della produzione culturale romana — la poe­
nerli nella saggezza e nell’ordine, e a evitare che
questi aristocratici, la humanitas si dispiega soprat­ personaggi impegnati nella lotta politica, delle lo­ sia neoterica ed elegiaca — in cui si fanno sentire
essi insolentissero per la prosperità. Il concetto ven­
tutto nella vita privata, quando sono liberi dai do­ ro connessioni fam iliari, di amicitia, di clientela, più vivacemente gli spunti di insofferenza e di con­
ne riutilizzato, in polemica con Catone, da Scipio­
veri verso lo stato; m a essa ha un ruolo di primo ecc. In breve, secondo questa interpretazione non testazione nei confronti del mos maiorum. Cicero­
ne Nasica alla vigilia della terza guerra punica,
piano anche nel com portam ento di chi (è il caso esistevano, nell’antica Rom a, partiti nel senso m o­ ne cercò il compromesso su u n ’altra strada: sele­
quando era in discussione l’opportunità di elimi­
dell’Attico raffigurato da Cornelio Nepote) sceglie derno del term ine, fom iti di program m i organici: zionò e «filtrò» con attenzione alcuni filoni del pen­
nare definitivamente Cartagine. I gruppi aristocra­
di astenersi dalla vita pubblica per dedicarsi solo le alleanze politiche non avevano carattere di sta­ siero greco, soprattutto depurandoli degli aspetti
tici che si opponevano alla radicalizzazione della
ai propri interessi privati. La humanitas com porta bilità, m a si form avano occasionalmente, in base più pericolosamente «illuministici», e si sforzò di
politica espansiva, probabilm ente presentivano co­
garbo, disponibilità e partecipazione nel trattare con ai program m i proposti dai candidati alle m agistra­ immetterli nel complesso culturale del mos maio-
me quella politica, in un futuro più o meno lonta­
gli altri: essa contribuisce così ad appianare e a ture; l’uom o politico era soprattutto il capo di una rum: per am m odernarlo senza scuoterne le fonda-
no, avrebbe potuto portare alla fine del dominio
rendere scorrevole ogni genere di rapporto fra per­ fazione, e il dominio restava sostanzialmente con­ m enta, garanzia di stabilità sociale.
dell’oligarchia; nel tim ore di questa prospettiva,
sone. centrato nelle mani di poche grandi famiglie (nobi- avranno preferito continuare a condividere con al­ negotium / otium II term ine negotium indica
In età imperiale, il concetto di humanitas ac­ litas). Per spezzarne il predominio, i loro rivali era­
tre oligarchie il dominio sul M editerraneo. fondam entalm ente il tem po e le attività dedicate
quisisce contenuti in gran parte nuovi, che finisco­ no in genere costretti a ricercare l’appoggio dei tri­
Allontanandosi dalle sue origini storiche, il con­ al servizio dello stato: la politica, l’oratoria che
no per modificarne radicalm ente il significato; ora buni della plebe, proponendo misure che apparivano
cetto di metus hostilis diviene un luogo comune della politica è strum ento, l’attività militare. Otium
humanitas è soprattutto un corrispettivo del greco gratificare il popolo. L ’agitazione demagogica al della storiografia «moralistica», e u n ’universale
philanthropia («amore verso gli uomini»): una qua­ fine di procurarsi il sostegno delle masse costitui­ designa, inversamente, il tempo libero da questi im­
chiave interpretativa della crisi della res publica'. pegni; vi sono, naturalm ente, vari m odi, più o me­
lità che caratterizza il rapporto, condiscendente e sce l’unico denom inatore comune della politica dei
le Historiae dello stesso Sallustio, col loro accre­ no «dignitosi» per un m em bro della classe dirigen­
paternalistico, del principe o dei suoi funzionari populares.
sciuto pessimismo rispetto alle prime monografie, te, di riempire Yotium. L ’abbandono a forme di
con i cittadini e le popolazioni sottoposte all’am- Questa interpretazione, che muove dalla giusta se m antengono ferm a l’idea del metus Punicus, in­
ministrazione imperiale. esigenza di respingere una visione anacronistica dei inattività molli o neghittose si esprime per lo più
dividuano un più antico fattore di crisi nel venir con i term ini di ignavia, inertia, socordia, desidia-,
im perator, vedi princeps. «partiti» antichi, richiede tuttavia varie precisazio­
meno del metus hostilis nei confronti degli E tru ­ mentre la cultura rom ana privilegia, in genere, quel­
ni. Le cricche personali non possono essere consi­
industria, vedi sistema delle virtù. schi, che portò al divampare delle discordie fra p a­ le form e di otium che conservano con il negotium
derate il m otore principale della lotta politica; pre­
inimicitia, vedi amicitia. trizi e plebei e così alla prim a dilacerazione del cor­ un legame più o meno m ediato, e perm ettono, per
suppongono, piuttosto, una lotta dove sono in giuo­
po cittadino. esempio, l’approfondim ento intellettuale dell’atti­
largitio, vedi liberalitas. co forze più vaste: la form azione del proletariato
militare e urbano in seguito alle grandi conquiste, vità che si compie nei negotia. U n buon modo di
liberalitas II termine caratterizza in origine lo mos maiorum Verso il «costume degli ante­ impiegare Yotium da parte dell’uom o politico era
stile di vita che si addice all’uom o libero, in oppo­ la scomparsa quasi totale della piccola agricoltura,
nati» la cultura rom ana ostenta, tranne poche ec­ così il dedicarsi alla storiografia; mentre Cicerone
sizione allo schiavo. Ben presto, tuttavia, a questo la concentrazione in poche mani di vastissime pro­ cezioni, una costante venerazione: il patrim onio
prietà terriere. Dietro i gruppi personali si m uovo­ ebbe le sue difficoltà ad accreditare presso i suoi
significato generale (che si potrebbe rendere più o ideale e morale della tradizione è ritenuto la base concittadini u n ’attività di riflessione filosofica che
no strati sociali più o meno am pi, le cui esigenze
meno con «signorilità») si associa quello più spe­ su cui poggia la stessa potenza imperiale di Roma. pure conservava un legame organico con i proble­
non arrivano però a esprimersi in program m i sta­
cializzato di «generosità», «munificenza» (un p o ’ Q uanto ai suoi contenuti, il mos maiorum è un mi etico-politici della res publica.
bili e organici; i potentes possono così appoggiarsi
come nel nostro «com portarsi da signore»). La li­ coacervo di concetti, valori e usanze tradizionali,
di volta in volta sulle esigenze di strati diversi della nobilitas II term ine indica l’insieme delle po­
beralitas presuppone spesso una posizione di supe­ popolazione. di origine e senso talora diversi o perfino contrad­
riorità nei confronti del destinatario del beneficio; dittori, m a tutti concorrenti al fine fondam entale che famiglie che costituivano, in età repubblicana,
si esprime, per esempio, nell’addossarsi i debiti di magnitudo animis, vedi sistema delle virtù. di fare da argine a qualsiasi innovazione (che il la oligarchia che deteneva l’effettivo governo di Ro­
parenti, amici, o addirittura clienti, nell'impegnare metus hostilis È un concetto di cui troviamo pensiero tradizionalistico sente come frutto di ca­ m a (nobiles = «personaggi noti» per il loro ruolo
614 GLOSSARI BREVE GLOSSARIO DI CULTURA ROMANA 615

di prim o piano). Dopo che i plebei ebbero ottenu­ officium II term ine, che probabilm ente deri­ otium, vedi negotium. populares, vedi optimates.
ta com pleta parità di diritti con i patrizi, questa va d a opificium (cfr. opifex, e officina d a opifici- patronato / clientela II patronato, m olto an ­ praenomen, vedi gens.
oligarchia era com posta di famiglie di origine ta n ­ na), sembra avere indicato originariamente la rea­
to plebea (per la maggior parte) che patrizia (lo tico nella società rom ana, è il rapporto di prote­ princeps / imperator II term ine princeps —
lizzazione del lavoro dell’artigiano. Ben presto, tu t­
status di patrizio conferiva ancora un sovrappiù zione instaurato da un potente con persone di più che propriam ente significa, in senso m olto generi­
tavia, a questo significato del tu tto concreto e
di distinzione sociale). Le famiglie della nobilitas modesta condizione sociale (clientes) dalle quali ri­ co, «colui che occupa il prim o posto» — sì trova
materiale venne a sovrapporsi quello più astratto
detenevano u n a specie di m onopolio delle magi­ ceve in contraccambio sottomissione e devozione impiegato a designare sia la priorità cronologica
di «regole che determ inano un a attività», «obbli­
strature: date le condizioni in cui a Rom a si svol­ (obsequium), sostegno attivo nelle competizioni po­ in una iniziativa (princeps consilii = «prom otore
ghi com portati da una funzione». In particolare,
geva la lotta politica, la loro rete di clientelae e litiche, ecc. Il poter contare su un folto seguito di un progetto»: in questo senso il term ine è prati­
officium si specializza per designare gli obblighi di clienti contribuiva evidentemente al prestigio so­ camente sinonimo di auctor), sia il «prim ato», cioè
di amicitìae lì avvantaggiava grandemente nelle ele­ derivanti da una determ inata funzione, attività o
zioni. ciale del patronus; quest’ultimo, dal canto suo, for­ l’eccellenza e la superiorità in un determinato campo
condizione sociale: si parla così di officium consu-
Per quanto non venisse mai recepito dalla co­ lis, officium praetoris, officium matronarum (il niva al cliente aiuto in necessità di vario genere, (princeps ingenii, princeps eloquentiae, princeps phi-
dificazione strettam ente legale, il term ine nobilis com portam ento doveroso da parte di una donna
assicurandogli in particolare assistenza legale in tri­ losophiae, ecc.). Nel lessico politico, princeps ser­
finì per assumere un significato sempre più esclusi­ sposata) e così via. M olto im portante è il concetto bunale. Il rapporto di clientela era regolato dal vin­ ve di frequente a esprimere la nozione di leader:
vo: nell’ultimo secolo della repubblica, spettava solo di officia amicitiae, che, date le peculiari caratteri­ colo della fides, sancito già nelle Leggi delle XII si applica alle personalità dirigenti, che possiedono
a chi avesse dei consoli fra i propri antenati (non stiche della amicitia rom ana, indica gli obblighi sca­ Tavole, che com portavano gravi sanzioni per il pa­ al più alto grado la auctoritas: così, al plurale, in­
bastava cioè più che avessero ricoperto m agistra­ turenti dal rapporto di reciproca assistenza che de­
tronus che venisse meno agli impegni assunti nei dica in genere le figure più eminenti all’interno del
ture «inferiori», come la pretura). N onostante la ve intercorrere fra gli amici, o anche nel patronato. confronti del cliens. senato. A una ristretta élite di personalità del ge­
tendenza della nobilitas a considerare il consolato Si deve infine ricordare che, a partire d a Cice­ Lo schiavo affrancato (libertus) diveniva au to ­ nere pensava probabilm ente Cicerone quando ela­
come una propria prerogativa da custodire gelosa­ rone, officium inizia a svolgere un ruolo im por­ maticamente cliente del proprio ex-padrone, nei borò nel De re publica la teoria del princeps, nella
mente, qualche novus homo di origine senatoria tante anche nella term inologia tecnica della filoso­ confronti del quale conservava un certo numero quale si è voluta erroneamente individuare una «pre­
o, più di rado, non senatoria (come Cicerone) riu­ di doveri, fissati dalla legge. figurazione» del «principato» di un solo uomo, cioè
fia; dove serve a «rendere» il greco kathèkon («azio­
sciva, più o m eno occasionalmente, a conquistare È da notare che in età repubblicana anche il del ruolo assunto nello stato da A ugusto. In effetti
ne conveniente», «dovere» nel lessico degli stoici).
la suprem a m agistratura, di solito proprio grazie vincolo che lega il generale vittorioso ai popoli sot­ quest’ultimo finì con lo scegliere il term ine prin­
all’appoggio di fazioni della nobilitas. Questi novi optimates / populares I testi latini tendono tomessi veniva interpretato come un rapporto di ceps come quello che gli sem brava indicare più da
homines si integravano perfettam ente nell’oligar­ abbastanza spesso a sovrapporre i concetti di boni clientela; lo stesso avveniva nel caso di una com u­ vicino — perché privo di risonanze «autocratiche»
chia, e ne assicuravano così la vitalità attraverso e di optimates', una distinzione appare tuttavia pos­ nità straniera che scegliesse un cittadino rom ano — la sua posizione costituzionale (che solo form al­
il ricambio. Sotto l ’im pero il term ine nobilis, dive­ sibile, e perm ette di individuare negli optimates influente per sostenere i suoi interessi a Roma. m ente rispettava i limfti della costituzione repub­
nuto una pura etichetta di distinzione sociale, ve­ gruppi aristocratici interessati al m antenim ento del L ’istituto della clientela va gravemente deterio­ blicana, m a in realtà li travalicava; cfr. Tacito, An­
niva solitamente applicato ai discendenti dei con­ potere senatoriale principalmente per motivi di pri­ randosi in età imperiale; i clienti si trovano p ro ­ nales, 1, 1: cuncta discordiis civilibus fessa nomine
soli della res publica. vilegio e di casta. Gli optimates esercitano spesso gressivamente ridotti al rango di volgari parassiti, principis sub imperium accepit). È da notare che
una egemonia politica sui boni, servendosene abil­ legati in un rapporto di umiliante dipendenza a si­ sotto l’im pero princeps non fu mai un titolo u ffi­
nomen, vedi gens. mente come di una massa di manovra; proprio que­ gnori che am ano soprattutto esibire il proprio fa ­ ciale: l’im peratore lo assumeva al m om ento della
novus homo In età repubblicana il termine ha sta funzione egemonizzante fa sì che nella tarda sto: si vedono allora i clienti affollare gli atri delle sua ascesa al trono, senza che il suo conferim ento
due significati che conviene tenere distinti: in un repubblica il term ine optimates serva abbastanza case dei ricchi in attesa dell’elargizione di una sor­ venisse sanzionato dal senato; e non com pare nella
senso più generale indica il prim o m em bro di una spesso a designare nel suo complesso il partito p o ­ ta di «stipendio» (sportula: dapprim a una cena, titolografia ufficiale di docum enti e iscrizioni.
famiglia a entrare in senato; in un senso più speci­ litico che si oppone ai populares. La propaganda poi una m odesta somm a di denaro); una condizio­ Praticam ente sinonimo di princeps è, da A u­
fico il primo a raggiungere il consolato e, con ciò, di parte aristocratica o com unque conservatrice ha ne denunciata soprattutto da alcuni poeti satirici, gusto in poi, il term ine imperator, che enfatizza
contribuito a delineare un quadro a tinte fosche come M arziale o Giovenale. l’autorità militare del «prim o cittadino» e il suo
a entrare nella ristretta cerchia della nobilitas. E ra
soprattutto raro il caso di chi riuscisse a raggiun­ dei populares e della loro azione politica, insisten­ legame con gli eserciti: Ottaviano lo usò quasi co­
do soprattutto su connotazioni negative dal punto pietas L ’aggettivo pius, probabilm ente da ri­ me un praenomen (imperator Caesar), fornendo così
gere il consolato provenendo da una famiglia di connettersi col verbo piare («purificare»), sembra
rango non senatorio; di solito ciò avveniva comun­ di vista morale: si sente parlare abbastanza spesso un esempio ai suoi successori.
del furor dei populares, bollati come inprobi o mali avere avuto in origine il significato di «puro di cuo­
que grazie all’appoggio di gruppi della stessa nobi­ re». La pietas indica così la purezza morale otte­ probitas, vedi sistema delle virtù.
litas: C atone il Censore e Cicerone sono fra gli (in opposizione a boni, pii, ecc.). Al di là di ogni
deformazione, i populares sono comunque cosa ben n u ta grazie al compimento dei propri doveri nei rusticitas, vedi urbanitas.
esempi più noti. La carriera dell 'homo novus (nel confronti delle divinità e degli altri uomini, in pri­
diversa d a un p artito «dem ocratico» nel senso m o­
secondo senso, più specifico, del termine) si svolge mo luogo dei propri parenti di sangue. In questo senatus / equites Sono i due ceti, o ordines,
secondo u n m odello particolare: durante la pro­ derno del term ine. I capi dei populares sono in ge­
senso, il concetto di pietas conserverà sempre forti superiori dei cittadini rom ani. In epoca repubbli­
pria ascesa, egli tende a sottolineare la propria vir- nere essi stessi degli aristocratici che sfruttano de-
connotati religiosi, testim onianza del suo carattere cana i senatori costituiscono la classe politicamen­
tus, paragonandola a quella dei capistipite delle fa­ magogicamente, a fini di potere personale, le esi­
«arcaico», legato alle forme della vita associata nella te dirigente, al cui interno si deve ancora distin­
miglie della nobilitas, i cui degenerati discendenti genze dei ceti diseredati. Se è impossibile parlare
comunità prestatale, retta dalla organizzazione gen­ guere la nobilitas, u n ’aristocrazia solitam ente ar­
invece denigra. D opo il conseguimento del conso­ di un «program m a» organico dei populares, di un
tilizia; questi connotati religiosi valgono altresì a roccata in difesa dei propri privilegi, costituita da
lato , l 'homo novus tende a integrarsi nella nobili­ loro progetto coerente in vista del risanamento della
distinguere la pietas dal dovere (officium) derivan­ coloro i cui antenati hanno ricoperto le m agistra­
tas, e a difendere le prerogative dell’ordine del quale società, si deve com unque registrare u na certa con­
te da rapporti esclusivamente sociali. Il ruolo delle ture più elevate. È opportuno ricordare che quella
è entrato a far parte, aspirando a un riconosci­ tinuità nelle loro proposte legislative, per esempio
in campo fiscale (sgravio o cancellazione dei debi­ relazioni familiari nella vita polìtico-sociale dì R o­ rom ana non è una aristocrazia di sangue, m a di
m ento sociale pari a quello dei nobiles di più anti­ m a, insieme alla necessità di una sanzione religiosa «ufficio»; l’appartenenza all’ordine senatorio non
ca tradizione: operazione che riuscì a Catone, gra­ ti) e agrario (ridistribuzione dei territori): segno di
per il dominio imperiale dello stato rom ano, spie­ è cioè ereditaria, m a dipende dall’avere ricoperto
zie anche alla sua longevità, e molto meno bene una costante tendenza a fare leva sui problemi più
gano come la pietas abbia continuato ad essere per determinate m agistrature, ed è teoricam ente possi­
a Cicerone. sentiti dalle fasce proletarizzate della popolazione,
vari secoli un concetto centrale nel sistema dei va­ bile che il figlio di un senatore ricada nell’ordine
e della ostilità sistematica alla politica del senato,
lori etici rom ani. È inutile ricordare come Virgilio equestre; anche se in pratica alle m agistrature dif­
obsequium, vedi patronato. unico vero denom inatore comune dei populares.
abbia posto al centro del suo poem a imperiale la ficilmente accedono coloro i cui antenati già non
officia amicitiae, vedi officium. ordo, vedi senatus. figura del pius Aeneas. facciano parte del ceto senatorio, e soprattutto il
616 GLOSSASI

consolato è gelosamente custodito dai membri del­ è una virtù popolarizzata soprattutto nel De offi­
la nobilitas come una prerogativa quasi ereditaria.
Subito al di sotto dell’ordine senatorio si col­
ciis di Cicerone. Industria è l’attività infaticabile Breve glossario di termini retorici, metrici
che il membro dell’aristocrazia rom ana dispiega nei
loca quello equestre, in larga parte com posto di
proprietari terrieri (la cosiddetta «borghesia» del­
vari settori dell’esistenza: come avvocato, come uo­
mo politico, come capo militare. Probitas designa
e della critica letteraria
l ’Italia); m a dalle guerre puniche in poi, gli strati il com portam ento della «persona perbene», dal ca­
più elevati del ceto equestre si orientano verso atti­ rattere schietto e trasparente. La magnitudo ani­
vità economiche e commerciali; le societates pùbli- mi, infine, è la capacità di pensare e operare «in
canorum, dirette prevalentemente da equites, o t­ grande», su vasta scala; è la virtù del popolo ro ­
tengono in appalto l’esazione delle imposte nei paesi mano come «conquistatore», e soprattutto una delle
conquistati, traendone profitti enorm i. Verso la fi­ virtù precipue dei suoi gruppi dirigenti: di essa si
ne della repubblica si fanno particolarm ente fre­ è trattato analiticam ente a proposito del De offi­
quenti i contrasti fra direzione politica e interessi ciis di Cicerone. acròstico Com ponimento poetico in cui le let­ verso o di un a frase all’inizio del verso o della fra­
economici, cioè in pratica fra l’ordine senatorio e
societates publicanorum, vedi senatus. tere iniziali dei versi (o — più raram ente — quelle se successivi. Esempio: «questo voi renderete bel­
l ’ordine equestre, quest’ultimo spesso egemonizza­
finali), lette di seguito in senso verticale, form ano lissimo per G allo ,/ per Gallo, l’am ore del quale...»
to dai suoi m em bri più ricchi e influenti, impegna­ sportala, vedi patronato.
ti nelle societates publicanorum. Un program m a di nomi o parole. D al greco acros, «estremo», e sti- (Virgilio).
concordia ordinum venne form ulato da Cicerone urbanitas / rusticitas Urbanitas è un concet­ chos, «verso». anàfora Ripetizione di parole o gruppi di p a­
al tempo del suo consolato, nel 63: esso prevedeva to sotto certi punti di vista non distante da quello actio Ultima delle cinque grandi partizioni del­ role in posizione iniziale (di frase o, in poesia, di
un a sorta di alleanza fra tutti i ceti abbienti (in di humanitas: indica l’eleganza delle maniere e del l’arte retorica: riguarda i modi di eseguire il di­ verso); per esempio terruit urbem, terruit gentis
sostanza fra ordine senatorio e ordine equestre) per vestiario, il tratto affabile e cortese nel com porta­ scorso (recitazione, mimica, ecc.). (Orazio).
arginare i pericoli di una sovversione dal basso. mento, lo spirito fine e arguto, e, non da ultimo, adèspoto Si dice di un testo di autore ignoto, anapesto Piede di due brevi e una lunga
Fu tuttavia il principato augusteo che seppe venire un modo di parlare corretto, che non lascia tra ­ non attribuibile con sicurezza. (" ~ - ) usato in alcuni tipi di verso della poesia
incontro alle esigenze della «borghesia» italica: ac­ sparire accenti o inflessioni provinciali: tutte ca­ scenica latina.
ratteristiche di chi vive, e preferibilm ente sia nato, adonio Verso usato nella poesia eolica come
collandosi la direzione politica dello stato, le per­
nell’ Urbs per eccellenza, a Roma. clausola della strofe saffica: è equivalente agli ulti­ anàstrofe Inversione nell’ordine abituale del­
mise di dedicarsi liberamente alle proprie attività
La urbanitas richiama, come suo contrario, la mi due piedi dell’esametro dattilico, e deriva il suo le parole (esempio: haec inter per inter haec).
economiche. Sotto l’im pero gli equites continue­
ranno a dedicarsi ad affari di varia natura; dal lo­ rusticitas (del resto già la cultura dell’Atene classi­ nome da u n ’invocazione al dio A done fatta in tale anticlìmax G radazione discendente (vedi
ro ordo proverranno tuttavia spesso anche i più ca aveva opposto la asteiotes, «urbanità», alla metro: Ò ton Adònin (- ” w - “ ). climax).
solerti funzionari della burocrazia imperiale. agroikia, «rusticità»): una «rozzezza da villani» che adynaton Figura retorica che per indicare l’im­ antifrasi Propriam ente, l’uso di un termine di
si esprime nella sensibilità grossolana, nelle m anie­ possibilità — anche solo soggettiva — che un de­
sententia, vedi auctoritas. valore positivo per indicare un concetto negativo,
re ruvide, nel vestire trasandato, in una frugalità term inato evento si realizzi, lo m ette in relazione e viceversa (come il colloquiale «O ra viene il bel­
severitas, vedi comitas. da spilorci. L ’opposizione di urbanitas e rusticitas con un altro evento, naturale o storico, impossibi­ lo!»). Più in generale, nella term inologia lettera­
sistema delle virtù Le principali virtutes che è un portato del nuovo stile che si impone nella le o quasi paradossale. Esempio: «in cielo dunque ria, un procedimento compositivo che — prenden­
entrano a fare parte del sistema di valori del mos vita cittadina dopo l’afflusso di grandi ricchezze pascoleranno i cervi..., e l’esule P arto berrà nel- do spunto da precedenti letterari (vedi intertestua­
maiorum sono trattate singolarmente in questo glos­ dai territori conquistati. L ’ideologia della urbani­ l’A rari, il Germano nel Tigri, prim a che dal nostro lità) — li riutilizza ribaltandone il segno. Dal greco
sario; è opportuno richiamarne qui poche altre che tas evita tuttavia — a parte sporadiche m anifesta­ cuore scompaia la sua immagine» (Virgilio). Dal anti, «contro», e phrasis, «espressione».
ugualmente concorrono a costituire il modello eti­ zioni di anticonform ism o — di entrare in frizione verbo greco dùnamai, con prefisso negativo.
co in cui si riconosce la classe dirigente rom ana. radicale con i valori arcaici, radicati nella morale antilogìa Discorso che sostiene tesi opposta
aforisma Breve massima di validità generale. ad un altro; com porre discorsi contrapposti, a cop­
Abstinentia è la capacità, necessaria al rafforza­ «agraria» tradizionale, che si esprim ono nel mos
m ento del carattere, di resistere alle seduzioni dei maiorum; e ricerca piuttosto u na difficile m edia­ agnizione (riconoscimento) Situazione tipica (e pie antilogiche, era un diffuso esercizio retorico.
piaceri di ogni sorta; il termine si specifica a indi­ zione. Il rifiuto della rusticitas è in genere circon­ analizzata da Aristotele) nello scioglimento di ope­ «a parte» A teatro, battuta che convenzional­
care particolarmente il comportamento «pulito» nel dato di molte cautele: la classe dirigente teme che re dram m aturgiche, sia in tragedia che in comme­ m ente si ritiene n o n udita da altri personaggi pre­
maneggiare il denaro pubblico. Constantia indica u n ’accettazione incondizionata del m odo di vita dia: consiste nella rivelazione della vera natu ra o senti sulla scena. P uò essere esplicitamente rivolta
la fermezza del carattere, la capacità di m ostrarsi «m oderno», e dei nuovi valori che ne scaturisco­ origine di un personaggio. al pubblico.
coerenti con se stessi in ogni situazione, senza la­ no, possa aprire un varco incontrollabile alla espan­
alessandrino (-ismo) Derivato da Alessandria, aposiopèsi Reticenza: interruzione deliberata
sciarsi trasportare dall’esaltazione o dall’abbattimen­ sione illim itata dei consumi, e m ettere in pericolo
la m etropoli ellenistica dell’Egitto, il term ine si ap ­ da una frase, che lascia al destinatario il compito
to: è, evidentemente, una delle qualità che si ri­ le basi — etiche ed economiche a 'u n tempo — su plica, in senso letterario, a una fase storica della
chiedono soprattutto a chi deve com andare agli al­ cui poggia l’assetto tradizionale della società. di integrarla (esempio: quos ego... Virgilio, Eneide
poesia e della cultura greca (suoi autori caratteriz­ 1, 135).
tri uomini. Il decorum indica il com portam ento zanti sono Teocrito, Apollonio Rodio, e soprattut­
conveniente e appropriato alle diverse occasioni: virtù, vedi sistema delle virtù. to Callimaco), nel periodo che corre tra il princi­ aprosdòketon Propriam ente è l’«inatteso»
pio del III secolo a.C. e la fine del II. emergere nel discorso di un aspetto a cui l’ascolta­
tore non è preparato. È procedim ento tipico, ad
allitterazione Ripetizione in inizio di parola esempio, di certa letteratura, ad effetto (epigram­
della stessa consonante o, meno propriamente, della ma, satira) in cui u n ’imprevista aggiunta o conclu­
stessa vocale. Esempio: o Tite, tute, Tati, tibi tan­ sione sorprende bruscamente il lettore che per con­
ta, tyranne, tulisti (Ennio). suetudine era preparato ad un esito diverso del di­
allusiva (arte) In letteratura, richiamo di un scorso. Dallo scarto inatteso nasce un effetto di
modello anteriore, con cui il nuovo testo si con­ straniamento (vedi), per lo più con intenzione co­
fronta. mica.
anadiplosi Ripetizione dell’ultima parola di un arcaismo Termine, form a, o costruzione ap­
618 GLOSSARI TERMINI RETORICI, METRICI E DELLA CRITICA LETTERARIA 619

partenente a uno stadio della lingua sentito come bri, e questa attenzione è conferm ata dalla pratica cursus Fenomeno della prosa letteraria me­ emistichio «Mezzo verso»; nella pratica, ad
passato o in disuso (arcaismi «lessicali», «m orfo­ dei prosatori d ’arte (per esempio Cicerone, P etro­ dioevale che riprende l’eredità della clausola (vedi) esempio, dell’esametro dattilico, il verso è diviso
logici», «sintattici»). nio, Tacito). Si possono così distinguere clausole in un m utato contesto della lingua, fondandosi ora in due emistichi dalla cesura principale (per esem­
archètipo Immagine che si può ritenere uni­ privilegiate e clausole sgradite nei diversi autori. su basi ritmico-accentative (come quelle dell’italia­ pio Tityre tu patulae recubans sub tegmine fagi).
versalmente valida, all'interno di una data cultura, In età tardoantica la clausola cede il passo al cur­ no moderno) e non più quantitative. enàllage Figura retorica non facile da defini­
o per l’um anità in genere. In critica testuale, la sus (vedi), parallelamente all’estinguersi della sen­ dattilo Piede di tre sillabe e quattro tempi re esattamente, e molto importante soprattutto nella
redazione di un testo a cui possono rifarsi, indiret­ sibilità quantitativa. (- - - ). Il verso più comune costituito da dattili struttura del linguaggio poetico. È basata su uno
tamente o direttam ente, tutte le testimonianze che climax U na climax è una progressione ascen­ è l’esametro dattilico. scambio funzionale tra parti del discorso, per esem­
studiamo. dente, che nasce ad esempio se si accostano parole denotazione Opposto a connotazione (vedi) in­ pio ibant obscuri sola sub nocte (Virgilio), dove
asìndeto Serie di unità lessicali o di proposi­ di lunghezza crescente (uri vinàri verberari), o di dica il significato principale e in qualche modo sta­ propriam ente — cioè nel linguaggio della com uni­
zioni accostate senza congiunzioni, per esempio ve­ senso progressivamente più m arcato, spesso facen­ bile di un vocabolo riconosciuto come tale da una cazione quotidiana — obscuri sarebbe più prevedi­
ni, vidi, vici. do leva sulla ripetizione e il parallelismo verbale. d ata com unità linguistica. bile come attributo della notte, e sola come attri­
La progressione contraria, discendente, è detta an­ buto delle persone che in quella notte si muovono.
assonanza, vedi omofonia.
ticlimax (vedi). deverbia P arti dialogate dalla commedia ro­
m ana, distinte in particolare dai cantica (vedi), le endìadi Espressione che sostituisce al gruppo
canticum Vale in genere qualsiasi tipo di «can­ coliambo (o scazonte) «Giambo zoppo»: for­ nome + aggettivo o nome + com plem ento due nomi
zone, aria cantata»; è term ine tecnico per le parti parti «cantate».
ma particolare del trim etro giambico, che presenta coordinati fra loro. Esempio: pateris libamus et au­
cantate delle opere drammatiche, in opposizione alle una lunga irrazionale nella penultim a sillaba del diàtriba Dissertazione a contenuto moraleg­ ro («libiamo con le coppe e con l’oro») usato da
parti recitate e in particolare a quelle recitate senza giante che può assumere varie forme e gradi di ela­ Virgilio nel senso di — per ipotesi — libamus pa-
verso (detto perciò «zoppicante»): di fatto, così,
accom pagnam ento musicale. In particolare, nella nell’ultim o piede invece di - - c’è - - . E ra chia­ borazione letteraria; in genere fonde dottrine e pro­ teris aureis («libiamo con coppe d ’oro»). Dal gre­
palliata romana i cantica sono prevalentemente degli blematiche filosofiche con un realismo attento alla co hen dia duoìn, «una cosa tram ite due».
m ato anche ipponatteo perché adoperato dappri­
«a solo» di singoli attori. H anno forme metriche vita quotidiana.
ma dal poeta greco Ipponatte (VI secolo), che lo enjambement Effetto che nasce quando la fra­
complicate e variegate, in opposizione ai versi stan­ dièresi In cam po metrico, è un a pausa rego­
usò nelle sue poesie ingiuriose. Fu ripreso in età se continua oltre la m isura del verso; ad esempio
dard usati nelle parti recitate (senari e settenari; ellenistica da Callimaco e da E roda, che se ne ser­ lare del verso che non «taglia» (come fra la cesu­
vedi anche deverbia). quando un sintagma (vedi) è diviso tra la chiusa
vì nei suoi mimiambi. A Rom a incontrò il gusto ra: vedi) un piede al suo interno; per esempio la di un verso e il principio del successivo, per esem­
catalèttico Catalessi vale «sospensione, cessa­ dei preneòterici e dei neoterici (Levio, Cinna, Cal­ dieresi detta «bucolica» cade tra quarto e quinto pio innumerabilis/annorum series (Orazio).
zione», perciò catalettico è detto di un verso in vo, Catullo). D opo Catullo — e modellati soprat­ piede nell’esametro dattilico (ad esempio arma vi-
cui è soppresso qualcosa, una o due sillabe, alla rùmque canò, Troiàe qui / prìmus ab òris). epicèdio Com ponim ento poetico in morte di
tutto secondo la sua tecnica — coliambi si ritrova­
fine. no in Persio, Petronio, M arziale, Ausonio. I com ­ una persona cara (o di un animale: il passero di
dispostilo La seconda delle cinque grandi ri- Catullo).
catarsi «Purificazione», effetto di liberazio­ portam enti scritti in tale m etro hanno per lo più partizioni in cui si scompone l’arte retorica: riguarda
ne dalle passioni che, secondo la nota teoria ari­ intonazione comico-satirica. essenzialmente Vordine in cui si presentano gli ar­ epidìttica O ratoria rivolta alla dimostrazione
stotelica, la poesia tragica produce sui suoi desti­ colon, cola (membro, -i) Sezione del verso o gomenti e i temi. Tale ordine può essere sia «natu­ delle proprie qualità e sprovvista di finalità prati­
natari. del periodo prosastico che può sentirsi come carat­ rale» (cioè aderente alla logica e alle abitudini del­ che (diversa quindi dall’oratoria politica e da quel­
terizzata da un suo ritm o autonom o, per esempio la comunicazione quotidiana) sia «artificiale» (cioè la giudiziaria).
catastrofe «Rovesciamento», mutamento di si­
tuazione e di fortuna dei personaggi che conduce un emistichio (vedi); è im portante nella stru ttu ra­ elaborato, perturbato per motivazioni artistiche, di epifonèma Esclamazione, spesso a carattere
allo scioglimento della tram a nella tragedia classica. zione della prosa ciceroniana. efficacia e di persuasione). - sentenzioso e generalizzante, per esempio O curas
concinnitas Ricerca di equilibrio nella strut­ dìstico S trofa di due versi; caso più noto è hominum! (Persio).
centone Componimento form ato da «ritagli»,
citazioni di testi classici: l’abilità sta nel produrre turazione artistica del periodare (tipica per esem­ il distico elegiaco, form ato da un esametro e un epillio Vocabolo di uso m oderno, composto
un insieme coerente ed, eventualmente, significati pio dello stile di Cicerone); interessa la distribuzio­ pentam etro. dal term ine greco epos più il suffisso greco -yllion,
nuovi rispetto a quelli dei contesti originali da cui ne delle parole e l’architettura compositiva del di­ egloga (o ecloga) Termine greco usato dai che ha valore diminutivo; si applica alle poesie epi­
si cita. scorso. Vedi anche inconcinnitas. grammatici latini per indicare i singoli com poni­ che «brevi» dell’età alessandrina, come 1’Hekale di
connotazione O pposto a denotazione (vedi), menti in cui si articolano le Bucoliche di Virgilio Callimaco o, a Rom a, il carme 64 di Catullo.
cesura II termine definisce un particolare rap­
porto fra le unità semantiche — le parole concate­ indica in genere il senso «aggiuntivo» che una pa­ (si dice perciò «il libro delle Bucoliche» m a «la epinìcio Nella ripartizione dei generi poetici
nate a form are i versi —- e le unità metriche. P ro ­ rola può assumere o sviluppare in un determ inato prim a, la seconda egloga»). Un term ine corrispon­ della Grecia classica indica poesie d ’occasione scritte
priam ente si ha cesura (da caedo, «taglio») ogni contesto rispetto al suo significato standard (deno­ dente nella letteratura greca è idillio (vedi), che pe­ per celebrare vittorie (famosi gli epinici di Pindaro
volta che la fine di parola «taglia» il piede o il tativo). rò ha avuto fortuna anche in un senso più lato. in onore di vincitori dei Giochi olimpici, ecc.).
m etro (per i casi in cui fine di parola e di unità contaminatio Nella filologia dei m oderni, in­ èkphrasis Termine retorico greco che designa epitafio Elogio funebre, che può essere rap ­
metrica coincidono vedi dieresi); m a di fatto ogni dica ili genere il procedimento di fondere assieme descrizioni letterarie di opere d ’arte, un soggetto mol­ presentato sia d a u n ’orazione, sia d a un componi­
tipo di verso ha sue sedi privilegiate, in cui la cesu­ due o più modelli; la fortuna del termine deriva to am ato nella letteratura ellenistico-romana (per mento poetico.
ra si realizza con regolarità creando u n ’abitudine dalla poetica di Terenzio, che difende contro i suoi esempio il copriletto con la storia di A rianna nel car­ epitalàmio Com ponim ento poetico destinato
ritmica e una particolare architettura. critici la legittimità di questa operazione condotta me 64 di Catullo, lo scudo di Enea in Virgilio, ecc.). a una celebrazione nuziale (per esempio Catullo 61
chiasmo Disposizione incrociata di elementi sui modelli teatrali greci delle sue opere. elisione, vedi sinalefe. e 62).
della frase che si corrispondono, e formano lo sche­ controversia Tipico esercizio retorico che al­ ellissi Figura retorica che consiste nella sop­ epìteto Aggettivo qualificativo; nella misura
m a A B B A. Esempio: satis eloquentiae, sapien- lena a dibattere un caso giudiziario attraverso si­ pressione di un elemento della frase. in cui esprime qualità generali, sganciate dal con­
tiae parum (Sallustio). tuazioni poste in m odo ipotetico.
elocutio Terza parte della tecnica retorica: testo immediato della frase (per esempio «la velo­
clàusola In genere, la parte terminale di un corpus G ruppo di testi o documenti che ci so­ scelta e combinazione accorta delle parole che for­ ce nave» detto di una nave che sta all’ancora); si
verso, di un enunciato, di un discorso. La retorica no stati tram andati insieme; o anche, insieme di te­ m ano il discorso (il vocabolo greco corrispondente parla di epiteto ornans, esornativo, o anche di epi­
classica disciplina attentam ente le sequenze quanti­ sti accomunati dalla paternità di un unico autore, o è lexis). È un livello della pratica letteraria piutto­ teto «perpetuo».
tative poste in chiusura della frase o di suoi mem­ attribuiti (anche falsamente) ad un unico autore. sto affine al nostro concetto di «stile». epòdo (letteralmente «canto che viene dopo»,
620 GLOSSARI
TERMINI RETORICI, METRICI E DELLA CRITICA LETTERARIA 621

«canto aggiunto») Il nome è usato nella metrica ferecratèo Verso denominato dal poeta comico ipèrbole Figura retorica basata sull’esagera­
go alla sinalefe, m antengono il loro valore proso­
e nella poesia antica in varie accezioni: propria­ ateniese Ferecrate, usato a Rom a in strofi liriche, dico e la loro autonom ia sillabica. Esempio: èvolat zione.
m ente è il verso o colon che funge da clausola (ve­ associato ad altri versi, per esempio Ò Hymèn Hy-
di) a un periodo metrico. L ’accezione che qui inte­
ìnfelìx et fèmineò ululàtu (la -o finale non entra ipèrm etro Verso che h a apparentem ente una
menàee (Catullo). in sinalefe con u-).
ressa è quella che indica il secondo verso (più cor­ sillaba in più; in realtà la sillaba entra in sinalefe
figura Corrisponde al greco tropos. Individua­ icònico Qualsiasi tipo di segno che visualizza con l’iniziale del verso successivo, per esempio sors
to) che segue un verso più lungo, form ando con
re, descrivere e classificare i vari tipi di figura è il proprio significato. exitura et nos in aetern(um) / exilium impositura
esso un distico. Così è in Archiloco e in Orazio
il principale com pito della retorica classica. cumbae (Orazio).
in cui il distico è costituito per lo più da un trim e­ iconografia Insieme di testimonianze figura­
tro giambico seguito da un dim etro giambico. figura etimologica Impiego a distanza ravvi­ tive legate a un tem a, un personaggio, ecc. ipotassi («subordinazione») Strutturazione sin­
Grammatici posteriori chiam arono Epodi il libro cinata — e con scopo enfatico — di due o più tattica per cui le proposizioni del periodo sono or­
term ini in cui si ripresenta la stessa radice. Esem­ ictus Accento metrico che nasce dall’alternan­
che Oràzio chiam ava lambì a significare sia il m e­ dinate ed espresse secondo un rapporto di dipen­
pio: emit morte immortalitatem «acquista l’imm or­ za di sillabe «forti» e «deboli». Oggi si tende a
tro prevalente sia il carattere «giambico» (cioè lo denza logica e tem porale. L ’ipotassi, che è il p ro ­
talità con la m orte» (Quintiliano). negarne l’esistenza nella metrica classica, che pare
spirito aggressivo e satirico, il tono di invettiva per­ cedimento sintattico più comune nella prosa d ’arte
fondarsi su u n ’alternanza, puram ente quantitativa,
sonale o di risentimento morale: era questo il ca­ fonèm a U nità minima isolabile nella catena (cfr. Cicerone), si oppone alla paratassi, uno stile
di lunghe e di brevi.
rattere tradizionale del genere giambico, anche se parlata, e sprovvista di senso proprio; ad esempio di scrittura in cui due o più frasi sono disposte
con molte diverse sfum ature e diversi atteggiamen­ /p /. idillio Dal greco eidyllìon (all’incirca «vignet­ l’una accanto all’altra, giustapposte come equiva­
ti stilistici, ora più impetuosi ora più riflessivi). ta»), che è il term ine usato dai gramm atici greci per lenti e non come interdipendenti (loquens ridet ri­
fonostilistica Studio dei «messaggi formali» indicare i singoli componimenti, i poemetti della rac­
esametro dattilico (o semplicemente esame­ che la poesia trasm ette attraverso il gioco dei si­ spetto alla form a paratattica loquitur et ridet’, op­
colta di Teocrito (analogo l’uso di egloga per Virgi­ pure illum vivere credo rispetto a ille vivit, credo;
tro) Verso canonico della poesia epica greco-latina gnificanti che è la sua struttura fonica. L ’onoma- lio e le sue Bucoliche). D ato il contenuto prevalente­ oppure cum omnia periissent, ego perii rispetto a
com posto da sei piedi dattilici dei quali l’ultimo topea (vedi) è solo un caso particolare tra gli effet­ mente pastorale della poesia teocritea, «idillio» e «idil­ omnia perierunt, (et) ego perii.
è catalettico (vedi). Il dattilo può essere sostituito ti studiati dalla fonostilistica. lico» sono divenuti anche term ini contenutistici,
— teoricam ente in tutte le sedi — da uno spon­ isocolia Parallelismo e corrispondenza equi­
galliambo Verso che ha preso il nome dai Gal­ riferiti a un certo tipo di temi poetici (scenario natu­
deo. Lo schema risulta quindi: - =—=— - ^ = —
li, i sacerdoti della dea Cibele; in latino noto so­ rale, idealizzazione della vita pastorale, ecc.). librata tra i cola (vedi) di un periodo.
~ ~ —— - - , In associazione al iunctura Associazione di parole dall’effetto
p rattu tto per il carme 63 di Catullo. ìncipit «Com incia», sottinteso «il libro», ter­
pentam etro (vedi), l 'esametro com pone il distico originale e innovativo, che si distacca dalla lingua
elegiaco (vedi). geminatio Ripetizione imm ediata della stessa mine in uso nei manoscritti latini, oggi vocabolo
parola o gruppo di parole. tecnico per indicare le prime parole di un testo; d ’uso ricavando nuove connotazioni dai componen­
escatologico Che si riferisce ai momenti fina­ il simmetrico è explicit (vedi). ti, cioè dalle singole parole.
li ed ultram ondani della vita dell’uom o e dell’uni­ giambo Piede form ato da una sillaba breve litote Affermazione di un significato attraver­
verso (la morte, l’aldilà...). Dal greco éschatos, «fi­ e una sillaba lunga (- - ). I versi giambici sono inconcinnitas Rifiuto dei principi della con-
cinnitas (vedi); ricerca di uno stile asimmetrico, im­ so la negazione del suo contrario.
nale», e logos, «discorso». in genere considerati i più vicini al ritm o del lin­
guaggio quotidiano, e sono perciò tra i preferiti prevedibile, soprattutto per reazione alle classiche locus amoenus Classico topos (vedi) descrit­
ethos In greco significa sia «carattere» che architetture ciceroniane. tivo, rappresentazione di un ameno paesaggio idea­
«sentimento»; il term ine è di uso retorico in oppo­ della commedia. Per l’uso che dei versi giambici
fecero poeti come Archiloco o Ipponatte, entrò in lizzato, dove la serenità della natura cancella i pro­
sizione a pathos (vedi), e indica la produzione di in medias res Lo è, ad esempio, l’inizio del- blemi della società e della storia.
effetti non concitati e dram m atici, m a più m ode­ uso anche la designazione lambì per poesie dal con­ VOdissea·, è un m odo di cominciare i racconti «a
rati, volti a suscitare consenso e a provocare pia­ tenuto aggressivo e realistico. metà» della storia, per poi risalire agli antefatti. locus communis (luogo comune), vedi topos.
cere. gliconèo Verso usato per lo più in poesia liri­ La tecnica in medias res corrisponde, nell’ordina­ melica F orm a di poesia dei Greci destinata
ca, in sequenze strofiche; per esempio Dìanàe su- mento retorico della dispositio (vedi), a un ordine originariamente a essere cantata con accom pagna­
etopèa Rappresentazione dell 'ethos, inteso co­
mus in fidè (Catullo). artificiale, non naturale, della narrazione. mento musicale: spesso era accom pagnata anche
me carattere, di un determ inato personaggio. Indi­
ca anche un certo tipo di esercizio retorico o lette­ inno C anto in onore di una divinità; può es­ dalla danza ed era com posta da elementi di ritm o
glossa 1) termine difficile (perché arcaico, ra­ e lunghezza differenti. I gramm atici alessandrini
rario, che consiste nel dar voce a un personaggio, ro, o dialettale, ecc.) studiato d a grammatici o poeti sere destinato a una situazione rituale, liturgica,
sia esso figura storica, mitologica, o fittizia. o anche essere u n ’elaborazione puram ente lettera­ usarono spesso, in concorrenza con la definizione
«dotti» (ad esempio alessandrini, vedi alessandri­ di «poesia melica», quella di «poesia lirica» (cioè
no); 2) nota — posta tra una riga e l’altra del testo ria di temi mitici e religiosi.
excerpta Brani staccati dal testo continuo di poesia cantata al suono della lira, giacché la lira
un autore e presentati in m odo autonom o. o a margine — che spiega locuzioni difficili o com­ intertestualità Fenomeno per cui, in lettera­
era stata una volta il più im portante degli strumenti
m enta il contenuto di un passo. U na raccolta au­ tura, ogni nuovo testo si costituisce in una rete di
èxplicit «Si conclude», sottinteso «il libro»; di accom pagnamento); così era stata redatta dai
tonom a di glosse, ordinate alfabeticamente, costi­ relazioni con testi già scritti (e li ricorda, li imita,
termine in uso nei m anoscritti, poi passato a indi­ filologi una lista scelta dei «Nove Lirici» (Pinda­
tuisce un glossario. li parodizza, insom m a li presuppone).
care in genere la parola o le parole finali di un ro, Bacchilide, Saffo, A nacreonte, Stesicoro, Si-
testo; si oppone a incipit (vedi). gnome Sentenza, massima a carattere insegna­ intreccio Costruzione narrativa di un raccon­ monide, Ibico, Alceo e Alcmane). Nella letteratu­
tivo e generale. to, distinta dalla fabula (vedi), che è la presenta­ ra augustea lyricus divenne il term ine usuale lati­
fabula II vocabolo copre, in latino, non solo zione riassuntiva, lineare e cronologica, degli stessi no: Orazio spera di essere incluso fra i lyrici vates\
il nostro «favola», m a praticam ente tutti i tipi di hàpax legòmenon «D etto una volta»; parola eventi che l’intreccio organizza. Ovidio dice sempre lyricus e non melicus, e così
finzione: miti e leggende, romanzi, testi scenici, sia­ che ricorre una volta sola (in una determ inata lin­
inventio A rte di trovare gli argom enti e le ar­ fanno pure Quintiliano, Plinio e Seneca. L ’uso mo­
no essi comici o dramm atici. Nella critica lettera­ gua, in un autore, in un testo).
gomentazioni, prim a parte dell’arte retorica; l 'in­ derno del term ine «lirico» deriva dalla letteratura
ria m oderna fabula indica in genere una descrizio­ hysteron pròteron «Successivo precedente»; fi­ latina (Quintiliano e Orazio divennero gli autori
ne piuttosto astratta e lineare del contenuto narra­
ventio h a al suo servizio un ricco repertorio di loci
gura retorica che consiste nell’invertire la succes­ communes, di topoi (vedi topos). preferiti nel Rinascimento italiano).
tivo di u n ’opera (si oppone così a «intreccio», che sione logica o prevedibile di due elementi, per esem­
indica la concreta struttura narrativa dell’opera). ipèrbato Figura basata sull’ordine della p a­ memoria Q uarta parte della tecnica retorica: la
pio moriamur et in media arma ruamus (Virgilio). capacità dell’oratore di m andare a mente il discorso
role, che dissocia tra loro due term ini norm alm en­
falecio Verso di undici sillabe, in genere uti­ iato Fenomeno metrico prosodico opposto alla che ha elaborato in vista della recitazione (vedi actio).
te associati in un sintagma (vedi) continuo, per
lizzato per poesie di contenuto leggero e occasio­ sinalefe (vedi): le due vocali — finale e iniziale di esempio inter audaces lupus errat agnos (Orazio); menippea Genere di satira risalente all’opera
nale (spesso è presente nelle nugae catulliane). parola — che di norm a, incontrandosi, danno luo­ multa gracilis puer in rosa (Orazio). del polemista greco M enippo di G adara (II secolo
622 GLOSSARI TERMINI RETORICI, METRICI E DELLA CRITICA LETTERARIA 623

a.C .), praticato poi da Varrone; ebbe profondi in­ omofonia Similarità, o identità, nel suono di polimetri Carm i composti in vario metro. saffica (ode) Composizione costituita da strofi
flussi su Petronio e soprattutto su Seneca (Apokolo- parole diverse. saffiche (tre endecasillabi seguiti da un adonio).
kyntosis) e Luciano di Samosata. Per quanto se ne sa, poliptòto Ripetizione contestuale di una p a­
onomatopèa E ffetto di imitazione dei suoni rola in differenti casi grammaticali, per esempio È così chiam ata perché prediletta da Saffo, m a in
la menippea è caratterizzata da mescolanze voluta- realtà è form a metrica propria della lirica eolica
naturali ottenuto con mezzi linguistici, per esem­ pectora pectoribus rumpunt (Virgilio).
mente disarmoniche tra prosa e versi (vedi prosime­ (la usa anche Alceo). Ripresa dai poeti ellenistici,
pio allitterazioni e iterazioni foniche. In poesia, an­
l o ) , serietà e com icità (vedi spoudogeloion), reali­ polisemìa Pluralità di significati di cui si do­ fu portata in latino da Catullo (carmi 11 e 51) e
che il ritm o può collaborare a questo procedimen­
smo popolare e raffinate citazioni o parodie letterarie. ta una parola, o un intero enunciato. fu usata largamente da Orazio che vi impose alcu­
to espressivo.
metafora Figura retorica di prim aria im por­ polisìndeto Successione m arcata di congiun­ ne particolari restrizioni; se ne servirono anche Se­
ordine Disposizione lineare delle parole, op­ neca (in alcune parti corali delle sue tragedie), Sta­
tanza, basata su uno spostamento guidato da una zioni fra più term ini o più enunciati (vedi anche
pure dei contenuti: la retorica oppone un ordo ar- zio, Paolino di N ola, Prudenzio e altri.
sim ilarità, per esempio «la sera della vita = la vec­ asindeto).
tificialis e un ordo naturalis, a seconda che questa
chiaia». In generale si può dire che la m etafora preterizione Figura retorica per cui si com u­ scazonte, vedi coliambo.
disposizione appare o meno «naturale» e prevedi­
opera una sostituzione di termini, là dove la simili­ bile. nica ciò che si ostenta di voler tacere. Esempio: scolio A nnotazione che spiega e com menta
tudine offre un accostamento. «perché ricordare le navi arse sulla costa ericina?»
ossimòro Figura basata sull’accostamento di una parola, o un passo, di un testo antico. Gli
metonimia Figura retorica di prim aria im por­ (Virgilio). scolli possono essere tram andati insieme al testo
parole antitetiche, che sembrano escludersi l’un l’al­
tanza, basata su uno spostam ento guidato da una proemio Form a di esordio tipica del poema che com m entano, o in raccolte autonom e.
tra, per esempio symphonia discors (Orazio), «una
relazione di contiguità, per esempio vulnera dirige­ epico.
discordante armonia»; strenua inertia, «un irrequie­ scrittura bustrofedica Prende il nome dal «vol­
re (Virgilio) = «lanciare ferite» per «lanciare dar­ to torpore» (Orazio).
di». Le differenze tra metonimia e metafora (vedi) prosìmetro Form a letteraria caratterizzata da tare i buoi» come si fa quando si ara la terra; anti­
panegirico Discorso pubblico in celebrazione u n ’alternanza frequente, non episodica, di prosa chissimo tipo di scrittura che procede, a righi al­
pongono notevoli problemi agli studiosi di retorica
di un personaggio illustre. e versi; spesso associata alla menippea (vedi). terni, una volta verso destra e una volta verso sini­
e poetica.
stra. È attestata anche in testi latini epigrafici
metrica (da métron, in greco = «misura») È pantom im o Sorta di balletto, spettacolo di prosodia (Propriamente in greco vale «m odu­
lazione della voce», in latino corrisponde per certi arcaici.
la scienza che m isura il ritm o (vedi): in poesia gre­ musica e danze molto popolare nella Rom a del I
secolo d.C. Poteva essere basato su noti temi mi­ aspetti ad accentus, da ad e cantus). È quella parte semantica Studio dei significati delle parole
ca e latina basandosi il ritm o sull’alternanza di sil­
tologici e sostenuto da una vera e propria sceneg­ della fonetica che tratta della quantità delle sillabe e della loro evoluzione.
labe lunghe e brevi, la metrica presuppone la pro­
sodia (vedi). giatura scritta. e dell’accentazione delle parole. Il termine rivela senario Verso latino com posto di sei piedi,
l’originaria n atu ra melodica che l’accento ha sia specialmente «senario giambico»; corrisponde al tri­
metro È l’irriducibile unità di m isura di un paratassi Rapporto di coordinazione fra due
in greco che in latino. Lo studio della prosodia metro giambico greco che però, come dice il no­
dato verso (termini come dìm etro, trim etro, tetrà­ o più frasi, opposto a ipotassi (vedi).
è comprensibilmente fondam entale, in quanto la me, è organizzato non per singoli piedi m a per di­
m etro indicano il numero di tali unità contenute paronomàsia Accostamento di parole dotate versificazione latina, come quella greca, era basata podie, o «m etri», ed è regolato da principi stru ttu ­
in un verso). In certi casi la nozione di m etro coin­ di qualche somiglianza fonica; procedimento-base sull’alternanza (secondo certi schemi) di sillabe lun­ rali notevolmente diversi.
cide con quella di piede (vedi) (così nel caso dei dei «giochi di parole». ghe e brevi.
metri dattilici, come l’esametro: vedi), in altri con pathos effetto violento, dramm atico, intensa­ sermo cotidianus Lingua in uso nella norm a­
l’insieme di due piedi (dipodia: come nel caso dei prosopografia Studio storico e sistematico dei le comunicazione di tutti i giorni.
mente sentimentale, distinto per grado di intensità
metri giambici e trocaici). personaggi di una data epoca, nazionalità, ecc.
d eli’ethos (vedi); viene consapevolmente ricercato sermo familiaris Lingua parlata in rapporti
mimo «Imitazione» della vita di tutti i gior­ con strategie di stile e di contenuto sia dall’oratore prosopopea A rtificio mediante il quale si dà non ufficiali e form ali, m a in classi sociali istruite
ni: testo destinato alla scena, o anche alla lettura, che dal poeta. voce, impersonandolo, a un personaggio, o a u n ’a­ ed elevate; è quindi un livello distinto dal sermo
che rappresenta personaggi e situazioni quotidia­ strazione (ad esempio lo Stato, la N atura). vulgaris (vedi).
pentametro Verso dattilico usato solo in cop­
ne. P uò essere tanto un genere poetico ricercato pia con l’esam etro (vedi), a form are il distico ele­ pseudepigrafo Si dice di opera erroneamente sermo vulgaris Lingua parlata dal popolò, lin­
(come tale è frequente ad esempio in poesia ales­ giaco (vedi). Si può considerare come il raddoppio attribuita, per errore o per consapevole falsifica­ gua non colta distinta dalla lingua letteraria e an ­
sandrina) quanto una form a di spettacolo farsesco di un emistichio (vedi) di esametro: - - - - - - zione, a un certo autore, che dal sermo familiaris·, ci è testim oniata in modo
e commerciale (è questa la tendenza che finisce per Il ~ quadrivio, vedi trivio. filtrato, oppure fram m entario e occasionale (iscri­
prevalere a Roma). Vedi anche pantom im o. zioni, graffiti pompeiani, glosse, comparazione con
peripezia Passaggio di personaggi da una si­ recensio Prim a fase del lavoro di costituzio­
neologismo P arola non attestata in passato, ne critica del testo, che consiste nella raccolta, de­ le lingue romanze; e qualche testo letterario, so­
tuazione a u n ’altra, elemento basilare nelle tram e
che non com pare in testi anteriori. scrizione e valutazione dei m anoscritti che lo tra­ p rattu tto il Satyricon di Petronio e certe opere del­
(tragedia, commedia, rom anzo, ecc.).
m andano (da recenseo «raccogliere, passare in ras­ la tarda latinità).
ode Componimento lirico, di varia form a me­
piede U nità di misura del verso greco-latino segna»). settenario Verso latino di sette piedi, trocai­
trica e strofica; vario è pure il contenuto anche
costituita dall’aggregazione di determ inate quanti­ co o giambico. Il settenario trocaico, insieme al
se prevalentemente am oroso o etico-civile. Origi­ reticenza, vedi aposiopesi.
tà sillabiche. A d esempio il dattilo (- - - ), lo senario il verso più comune nella scena rom ana,
nariam ente, in greco, la parola faceva riferimento spondeo (- - ), il giambo (- - ), il trocheo (- - ). retorica A rte della parola e dei suoi effetti,
all’unione della poesia con il canto e la musica; corrisponde in greco ad un tetram etro trocaico ca­
articolata, in età classica, in cinque grandi settori:
a Rom a si preferì ad essa il term ine carmen. plurilinguismo A pertura dello stile letterario talettico (quattro dipodie meno un piede = 7), con
inventio, dispostilo, elocutio, memoria e actio (ve­
verso una pluralità di livelli e di registri linguistici; sensibili differenze di struttura metrico-verbale.
omeoptòto E ffetto prodotto dalla similarità di le singole voci).
la tendenza opposta, selettiva e omogenea, si può similitudine Elementare figura retorica che ac­
di desinenze che ricorrono insieme, per esempio riconoscimento, vedi agnizione,
definire monolinguismo. costa due realtà paragonandole; dalla similitudine
sparsis hastis longis (Ennio), o in fine di cola (ve­
ritmo M isura che regola e rende percepibile può nascere, per sostituzione, la metafora (vedi).
di) paralleli. R ientra nella definizione più generale poetismo Termine proprio della lingua poe­
di omeoteleuto (vedi). tica. il flusso di un movimento continuo (il battito del
simposiale «Conviviale», detto di poesia de­
cuore o dell’orologio, se li interpretiam o come tic­
omeotelèuto E ffetto prodotto dalla similari­ poikilìa «Varietà» di temi, strutture metriche, stinata all’uditorio di un convivio, o comunque che
tac, in due tempi). È percepibile sia in prosa che
tà di fonemi finali in parole tra loro vicine, per e soprattutto di stile e linguaggio, all’interno di una in poesia. In latino è basato sull’alternanza quan­ canta temi connessi a questa situazione.
esempio veni, vidi, vici, o in fine di cola (vedi) poetica consapevole. Termine greco, dal verbo poi- titativa, di lunghe e brevi: su questo si fonda la sinalèfe Fusione fra due sillabe vocaliche —
paralleli. kìllo, «rendere vario, ricamare». metrica latina di età classica. rispettivamente finale ed iniziale di parola — che
624 GLOSSARI

danno luogo, ai fini metrici, ad una sillaba sola;


se la sinalefe non entra in funzione si ha lo iato
topos Luogo comune; motivo stabile e con­
venzionale che entra a far parte degli arsenali della Repertorio dei riferimenti alla letteratura greca
(vedi). Questo fenomeno è rappresentato in modo retorica o della letteratura, può essere memorizza­
meno corretto dal termine elisione. to, utilizzato in varie occasioni, ed eventualmente
' sinèddoche Figura retorica che si può consi­ riadattato o trasform ato.
derare un tipo particolare di metonimia (vedi); lo treno (threnos) Lam ento funebre.
spostam ento avviene fra due term ini di cui uno in­
tricolon Costruzione sintattica com posta da
clude l’altro, con una relazione fra tutto e parte,
tre cola (vedi), sintatticam ente corrispondenti.
fra classe e sottoclasse.
Esempio: «il vizio ha vinto il pudore, la sfrenatez­
sinestesia «Percezione simultanea»; fenomeno za il tim ore, la follia la ragione» (Cicerone).
tipico della lingua poetica per cui si associano sfe­
trimetro Verso greco o m utuato dal greco,
re sensoriali diverse, per esempio auditiva e visiva. Achille Tazio, II secolo d.C .: il suo Leucippe que libri fu curata dal filologo alessandrino A ri­
composto di tre metri; trim etro giambico, consta
sintagma C ostrutto sintattico, combinazione di tre dipodie, cioè di sei giambi uniti a coppie; e C litofonte è uno dei migliori esempi di romanzo starco. Enorm e la sua fortuna in età ellenistico-
di elementi (due o più) nella catena parlata. vedi senario. greco d ’am ore a noi giunti. Forte la componente rom ana, soprattutto come esponente di una poesia
sotadeo Verso ionico che prende nome dal trivio Nel Medioevo furono dette «arti del tri­ retorico-sofistica, che fa pensare ad Apuleio. frivola d ’amore: tanto che la sua opera genuina
poeta ellenistico Sòtade, licenzioso e mordace. Oc­ vio» (o semplicemente «il trivio») le tre arti libera­ Alcèo di Mitilene, poeta lirico del VII-VI seco­ fu progressivamente soppiantata dalla voga di con­
casionali sotadei si trovano nei fram m enti di E n­ li: gram m atica, dialettica, retorica, considerate ar- lo a.C .: la sua opera poetica fu riordinata dagli traffatte Anacreòntiche. A Rom a im portante so­
nio e Varrone, nonché nella commedia e più tardi tes del discorso, a distinzione delle arti scientifiche Alessandrini in dieci libri, divisi per genere e per p rattutto come modello della poesia oraziana.
in Petronio e Marziale: hanno spesso carica paro­ o «arti del quadrivio» (aritmetica, musica, geome­ tema. Sempre apprezzato fra i massimi poeti greci, Anassagora, filosofo del V secolo a.C. che ope­
distica. tria, astronom ia). L ’insieme del trivio e del qu a­ e oggetto di studi eruditi, fa sentire il suo influsso rò in Atene e fu anche m aestro di Pericle: a lui
spondaco (o spondàico) Esametro che presen­ drivio costituiva nel Medioevo il canone caratteri­ soprattutto sulla poesia lirica oraziana. si deve la teoria delle «omeomerie», le infinite par­
ta, eccezionalmente, uno spondeo invece di un dat­ stico degli studi scolastici. E rano state regolarizza­ Alcìfrone, retore e sofista del II secolo d.C ., ticelle originarie che, ordinate da u n ’intelligenza di­
tilo al quinto piede, per esempio sàxa per èt sco- te in una sorta di enciclopedia del sapere dalle opere im portante soprattutto per la storia del genere epi­ vina, avrebbero dato origine alle varie forme del
p u lò s et dèpressàs convàlles (Virgilio). M olto più di Boezio e Cassiodoro (ma la classificazione delle stolare. I temi delle sue epistole si inquadrano nel reale.
rari gli esametri interamente fatti di spondei, che arti liberali, che com prendevano insieme trivio e lontano mondo della Com media N uova ateniese. Antigono di Caristo, letterato e probabilmente
si dicono olospondiaci (ad esempio olii rèspondìt quadrivio, risale fino a Platone). scultore del III secolo a.C ., popolare biografo e
Alcmane, poeta lirico del VII secolo a.C . (al
rex À lb aì Longài, Ennio). trocheo Piede form ato da una sillaba lunga fonte di rilievo per la storia dell’arte greca.
prim o posto nel canone alessandrino dei poeti liri­
spondeo Piede di due sillabe lunghe, e perciò e una sillaba breve (- “); entra in alcuni tipi molto ci), si segnalò anche come iniziatore della poesia Antimaco di Colofone, poeta epico ed elegia­
quattro tempi (- - ), equivalente al dattilo al quale usati di verso scenico, per esempio — in greco — melica corale (scrisse celebri Parteni, cori eseguiti co della prim a m età del IV secolo a.C. Ricca e
si alterna nella versificazione esametrica. il tetram etro trocaico catalettico (otto dipodie tro ­ da giovinette). Il suo difficile linguaggio, misto di problem atica figura, fu criticato da Callimaco, ma
caiche meno un trocheo) che ha come corrispon­ vari dialetti letterari, non ne favorì particolarm en­ sembra avere anche anticipato per certi aspetti la
spoudogèloion È lo stile «serio-comico» usa­
dente latino il settenario trocaico. te la fortuna a Roma. poesia erotico-mitologica degli Alessandrini. I poeti
to dal filosofo greco M enippo e dalla menippea
(vedi), in cui è data formulazione scherzosa e tra t­ tropo Nome greco delle figure, oggetto fon­ Alessandro (Romanzo di), complessa trafila di elegiaci rom ani riprendono piuttosto passivamente
tam ento comico ad argomenti filosofici. dam entale della retorica. Figure sono ad esempio testi narrativi in varie lingue, più volte rielaborati le critiche di Callimaco. Come poeta epico, influì
metafora, metonimia e sineddoche (vedi). e trasform ati (se ne hanno esemplari greci, latini, forse già sull’epica arcaica rom ana, e certamente,
stemma A lbero genealogico della tradizione
urbanìtas Qualità pura ed elegante del lati­ armeni, copti, siriaci), che risalgono a compilazio­ con la sua Tebaide, sull’omonimo poema di Stazio.
di un testo, che la critica testuale ricostruisce (se
possibile) attraverso la recensio (vedi) dei testim o­ no parlato a R om a, in opposizione alla lingua ni di fonti storico-romanzesche più antiche. Vedi Antioco di A scalona, filosofo dell'inizio del I
ni manoscritti. del contado (rusticitas), al latino delle provincie (pe­ anche Pseudo-Callistene. Il rappresentante latino secolo a.C . Insegnò in A tene, dove furono suoi
regrinitas), o addirittura al latino «im barbarito», di questa tradizione è Giulio Valerio (III-IV secolo alunni i giovani Varrone e Cicerone, sui quali eb­
stilema Preferenza stilistica; nesso o costru­ parlato da stranieri e m odificato da influssi d.C.). bero notevole influenza le sue posizioni di uno scet­
zione sintattica che si può ritenere significativa dello esterni. ticismo aperto all’eclettismo.
Alessandro «Poliìstore», erudito e poligrafo del
stile di un autore, o di un genere, di una tradizio­ I secolo a.C . C ondotto schiavo a Rom a in seguito
ne letteraria. vertere Termine usato spesso dai letterati ro­ Antipatro di Sidone, pregevole poeta di epi­
mani per indicare la «traduzione» da originali gre­ alle campagne in Oriente di Siila, fu da questi libe­ grammi alla fine del II secolo a.C ., preservatoci
straniamento Procedimento artistico che pro­ ci; in certi casi è evidente che il vertere consiste rato e praticò il suo insegnamento in Rom a. In ne\V A ntologia Palatina.
duce uno scarto dall’abitudine e dall’autom atism o in una transcodificazione e addirittura una vera e campo linguistico si schierò con le posizioni ano-
dell’esperienza quotidiana, rinnovando la nostra maliste; le sue opere di erudizione ebbero grande Antipatro di Tessalonica, poeta di epigrammi
propria ricreazione del modello. del I secolo a.C ., attivo anche a Rom a e legato
percezione della realtà. successo nella letteratura latina.
xenia «Doni ospitali», poesiole epigrammati­ a L. Calpurnio Pisone. Preservato dall’Antologia
suasoria Esercizio retorico: analisi delle pos­ che che si offrono in segno di amicizia, e accom­ Alessi di Turi, poeta della cosiddetta Comme­ Palatina.
sibili iniziative da prendere in una situazione fitti­ pagnano un dono. dia di Mezzo ateniese (IV secolo a.C .), così defini­
zia (per esempio «Alessandro M agno delibera se ta perché media il passaggio tra VAntica di A risto­ Antìstene di A tene, filosofo del V-IV secolo
zeugma Figura che pone due termini in una fane e la N uova di M enandro. N oto a noi solo a.C ., considerato un precorritore dei Cinici, au to ­
continuare la m arcia verso Oriente»),
reggenza gramm aticale che propriam ente si adatte­ in fram m enti, ebbe una certa influenza sulla pal­ re di dialoghi e orazioni epidittiche (come un di­
tetrametro Successione di quattro metri a for­ rebbe ad uno solo, per esempio pacem an bellum battito fra Aiace e Odisseo, ancora noto a Ovidio).
liata rom ana: suo (Il Cartaginese) è il modello del
mare un verso. Il tetram etro più com une è il tetra­ gerens (Sallustio; solo bellum gerere, «condurre la
Poenulus di Plauto; anche se in generale la fortu­ Antologia Palatina, vasta raccolta di epigram­
metro trocaico nella form a catalettica, divenuto poi guerra», e non pacem gerere, è fraseologia norm a­ na della Com m edia di Mezzo fu nettam ente oscu­ mi greci in quindici libri, messa assieme in età bi­
fra i Latini il settenario trocaico o versus quadratus. le in latino). rata da quella della Commedia Nuova. zantina e fondata su tre raccolte di epoca ben di­
Anacreonte di Teo, autore di elegie e giambi stinta (quella di Meleagro, 70 a.C .; di Filippo, 40
del VI secolo a.C .; u n ’autorevole edizione in cin­ a.C .; di Agatia, VI secolo d.C .). Si tratta di una
626 REPERTORIO DEI RIFERIMENTI ALLA LETTERATURA GRECA REPERTORIO DEI RIFERIMENTI ALLA LETTERATURA GRECA 627

fonte inestimabile per conoscere i modelli dell’epi­ di com andanti rom ani (M ario, Lucullo). Difeso da Aristòfane di Bisanzio, grande filologo del III-II poeta ellenistico che ha più profondo influsso sul­
gram m a latino. Cicerone in una fam osa orazione. secolo a.C ., bibliotecario di Alessandria, editore la cultura rom ana. La sua poetica è percepibile già
Antonino Liberale, m itografo del II secolo di testi epici, lirici, tragici, gram m atico, metricolo- in Ennio, che risente nel proem io degli A nnales
Archìloco di P aro, poeta giambico ed elegiaco
d.C .; una sua raccolta di miti chiam ata M etam or­ del VII secolo a.C ., considerato dagli Alessandrini go, fu m aestro di Aristarco. del proemio degli A itia, e in Lucilio, che risente
fo si è importante perché utilizza poeti ellenistici per­ Aristotele di Stagira, nato nel 384 e m orto nel soprattutto dei Giambi. La poesia callimachea di­
il massimo esponente della poesia giambica. Influssi
duti (Nicandro, Boios) che Ovidio ebbe presenti a Roma sono attestati fin da Ennio e Lucilio, e 322 a.C .: la sua immensa opera filosofica ed eru­ venta poi modello program m atico dei poetae n o vi;
nelle sue M etam orfosi. culminano nella poesia epodica di Orazio. dita è tra i principali riferimenti della cultura ro ­ Catullo lo imita, e lo traduce nel c. 66. I poeti
mana. Nell’84 a.C . una vasta collezione delle sue elegiaci e Virgilio trovano in Callimaco il modello
Antonio Diògene, attivo verso la fine del I se­ Archimede di Siracusa, m atem atico e scienzia­ di una poesia raffinata; tipicamente callimacheo è
colo d .C ., compose un vasto rom anzo di avventu­ to, morì nel 212 a.C ., durante la presa rom ana opere fu p ortata a Roma da Siila, e a Rom a se
il modulo della recusatio augustea (opposizione tra
re fantastiche, le Meraviglie di là da Tuie, di cui di Siracusa: universalmente celebre come m atem a­ ne fecero im portanti edizioni: in questo periodo
genere «sottile» e poesia epica elevata: Virgilio, Ora-
abbiam o un riassunto bizantino. Il suo interesse tico, astronom o e, anche a livello popolare, come quindi aum enta la notorietà delle opere nate dal-
zio, Properzio, Ovidio). Ormai assimilato alla cul­
per viaggi e sensazionali avventure lo stacca dalla inventore. l’insegnamentò aristotelico, m a non pubblicate da
tu ra letteraria latina, Callimaco è ancora letto di
tradizione principale del rom anzo d ’amore. Aristotele stesso. Inversamente, alcune opere pub­
A retino di M ileto, poeta epico del VII secolo prim a mano nel I secolo d.C. (Petronio, Stazio);
blicate già da Aristotele, m a a noi perdute, ebbero
A pollodòro di Caristo, poeta minore della a.C. (?). Figura evanescente: già in età classica, tra gli elegiaci del secolo precedente, Properzio si
fondamentale influsso sulla cultura rom ana di età
Commedia Nuova ateniese, ripreso da Terenzio nel- è noto come autore di poemi epici del Ciclo Troia­ repubblicana (per esempio il Protrèptico, im por­ presenta come il callimacheo più «puro» (ma si trat­
I ’Hecyra (insieme a un testo di M enandro) e nel no, fra cui in particolare u n ’Etiopide, forse fra le ta più di un gesto letterario che di reale vicinanza),
tante modello di Cicerone).
Phormio (i titoli corrispondenti sono Hekyrà e Epi- fonti minori dell 'Eneide virgiliana. m a anche il più cauto Tibullo è in realtà per nulla
dikazòm enos). Arriano Flavio di Nicomedia, prosatore del II alieno da influssi callimachei.
Ario Dìdimo di Alessandria, filosofo eclettico secolo d .C ., ci ha conservato l’insegnamento di
Apollodòro di Pergam o, celebre retore di ten­ che fu tra i m aestri di Augusto; noto anche come Caliino di Efeso, VII secolo a.C ., è il più anti­
Epitteto (vedi), ed è autore di un testo storico in
denza atticista, tra l’altro m aestro di O ttaviano. autore di una Consolatio a Livia per la scomparsa co poeta elegiaco di cui ci sia rim asta notizia. Le
sette libri su Alessandro Magno (Anàbasi).
Un suo scritto teorico fu tradotto in latino da Val­ di Druso. sue elegie (ne abbiamo frammenti) sembrano di ca­
gio Rufo. Asclepìade di Samo, III secolo a.C ., poeta ales­ rattere prevalentemente guerresco, esortazioni a
Aristarco di Sam otracia, filologo del III-II se­ sandrino legato a Teocrito, autore di raffinati epi­ com battere gli invasori.
Apollonio Rodio, poeta epico del III secolo colo a.C ., fu il più popolare esponente della scuo­ grammi.
a.C ., nativo di Alessandria e poi ritiratosi a Rodi. la filologica di Alessandria. A utore di edizioni e Callìstene, vedi Pseudo-Callìstene.
Fu im portante anche come erudito, tra l’altro suc­ Atenèo di N àucrati, erudito del II-III secolo
studi fondam entali su classici quali Omero, P inda­ Caritene, romanziere del I secolo d .C ., espo­
cessore di Zenodoto alla Biblioteca di Alessandria. d.C ., compose in quindici libri i Deipnosofisti (giun­
ro, ecc., influenzò tu tta la tradizione ellenistico- nente di un fortunato genere di storie d ’amore idea­
L a sua fortuna poggia più che altro sul poem a L e ti a noi parte nell’originale, parte abbreviati), una
rom ana degli studi letterari. U na celebre polemica lizzate (il titolo del suo rom anzo è Chèrea e Calli-
Argonautiche in quattro libri, m onum entale com ­ preziosa raccolta di aneddoti e dottrina della G re­ roe), che forse trova riflessi parodici nel romanzo
di metodo filologico opponeva le sue posizioni
promesso fra tradizione omerica e nuovo gusto ales­ cia classica. di Petronio.
«analogiste» (secondo le quali la lingua era fonda­
sandrino, e unico poem a èpico greco rimastoci per ta sulla regolarità e sul rispetto dei modelli ricono­ Atenodòro di Tarso, filosofo stoico del I seco­ Camèade di Cirene, illustre filosofo del II seco­
intero, tra Omero e l’età imperiale rom ana. È fra sciuti, e non am m etteva quindi i neologismi o le lo a.C ., risulta essere fra i modelli delle opere eti­ lo a.C ., fondatore della Terza Accademia. Im por­
i modelli favoriti di Virgilio; versione latina nei per­ deviazioni dall’uniform ità della norm a) a quelle che di Seneca. tante nella cultura rom ana per aver guidato (insieme
duti A rgonautae di V arrone Atacino; in età im pe­ «anomaliste» dei dotti pergameni guidati da Cra- Bàbrio, II secolo d .C ., forse un Rom ano gre­ ad un peripatetico e a uno stoico) una storica am ba­
riale è im itato da molti poeti epici, ed è la fonte tete di Mallo (vedi) i quali consideravano la lingua cizzato, compose, pare originariamente in dieci li­ sceria di filosofi greci giunta a Roma nel 155 a.C.
principale di Valerio Flacco. una libera creazione dell’uso, e ammettevano le de­ bri, una raccolta di fiabe esopiche in m etro co­
viazioni dalla norm a come un fenomeno necessario. Cassio Dione di Nicea, influente uom o politi­
Apollonio di Tiana, santone pitagorico del I- liambico. U na raccolta abbreviata ci è pervenuta. co rom ano nell’età dei Severi, lasciò una Storia di
II secolo d.C .: fu oggetto di un culto personale Aristarco di Tegea, poeta tragico contem pora­ Influenzò nel IV secolo il favolista latino Aviano, Rom a in o ttan ta libri, in parte conservata, in parte
circa un secolo dopo, alla corte dei Severi, quando neo di Euripide, noto indirettam ente come fonte e il suo materiale favolistico e novellistico ebbe larga ricostruibile da rielaborazioni bizantine. Fonte as­
Filostrato (vedi) gli dedicò una romanzesca Vita. utilizzata da Ennio nelle sue tragedie. fortuna nel Medioevo. sai im portante per il periodo tra T arda Repubblica
A ppiano di Alessandria, funzionario imperiale Aristèneto, compose nel V secolo d.C. epistole Bacchìlide, poeta lirico corale del V secolo a.C., e primi im peratori, epoca per cui possediamo po­
del II secolo d.C ., compose una Storia Rom ana su temi am orosi, che presuppongono anche m o­ la cui produzione fu raccolta in nove libri dagli che trattazioni storiografiche sia latine che greche.
in ventiquattro libri, dalle origini fino a T raiano, delli poetici alessandrini; docum enta lo sviluppo di Alessandrini. P oeta difficile e posto un p o ’ in om ­ Càstore di Rodi, I secolo a.C ., compilò pre­
conservata solo in parte. una narrativa «epistolare» (vedi le H eroides ovi- bra da Pindaro, ha lasciato comunque qualche trac­ ziose tavole sinottiche di cronologia orientale, gre­
Arato di Soli, insigne poeta ed erudito del III diane). cia nella poesia latina (Virgilio, Orazio lirico). ca, rom ana, utilizzate da V arrone e da altri succes­
secolo a.C ., fam oso a Rom a soprattutto per il suo Aristide di M ileto, forse alla fine del II secolo Bione di Borìstene, vissuto nel III secolo a.C ., sivi studiosi di cronologia.
poem a astronom ico Fenomeni. Intensam ente com­ a.C ., scrisse una raccolta di M ilesiakà, (Storie Mi- è considerato uno dei principali iniziatori del gene­ Cecilio di Calatte, retore e critico letterario at­
m entato nel II-I secolo a.C ., ebbe un gran numero Iesie, trad o tta nel I secolo a.C . in latino da Sisen­ re diatribico. A perto ecletticamente a vari influssi tivo anche a Rom a (fine I secolo a.C .), noto so­
di traduttori latini (Cicerone, Varrone Atacino, Ger­ na. Entram be le opere sono perdute, m a Aristide filosofici, influenzò la poesia etica di Orazio e la p rattutto per aver influenzato Longino (vedi).
manico, sino al tardo Avieno), e influenzò tu tta è considerato l’iniziatore della novellistica «com i­ prosa filosofica di Seneca.
la tradizione della poesia didascalica (in particola­ Celso, autore del II secolo d .C ., polemista an­
ca», un genere di gran successo commerciale che Bione di Smirne, poeta del tardo periodo ales­
re Virgilio georgico, Ovidio, Manilio). ticristiano, noto dalla veemente risposta (Contro
ha precise influenze sui rom anzi di Petronio e di sandrino (fine II secolo a.C .), imitò Teocrito su m o­ Celso) di Origene.
Archèstrato di Gela, attivo nel IV secolo a.C ., Apuleio. di bucolici. Conservato il suo E p itaffio di A done,
compose in esametri ep'icheggianti un poem a ga­ Cèrcida di Megalòpoli, autore di M eliambi in
A ristofane di Atene, V-IV secolo a.C ., unani­ forse noto anche ai poeti rom ani del I secolo a.C.
stronom ico, H edypàtheia, dedicato ai piaceri della una vena cinico-diatribica (III secolo a.C .). Insie­
memente Considerato il maggior poeta della Com ­
tavola, conservatoci solo in parte. Fonte diretta de­ Boio, misterioso poeta alessandrino (?) autore me a Bione di Borìstene e a M enippo, form a una
media A ntica ateniese, e come tale celebre anche
gli Hedyphagetica di Ennio. di una Ornithogonia, fonte probabile di Ovidio e tradizione diatribica ancora percepibile nella cultu­
a Roma. Scarso il suo influsso diretto sul teatro
Àrchia di A ntiochia, II-I secolo a.C ., modesto Emilio Macro. ra rom ana (satira, dialoghi filosofici).
comico latino, che si attiene generalmente alla Com­
poeta specializzato in epiche laudative sulle gesta media N uova (M enandro, D ifilo, Filemone). Callimaco di Cirene, circa 320-240 a.C ., è il Chèrilo di Iaso, IV secolo a.C ., poeta epico,
628 REPERTORIO DEI RIFERIMENTI ALLA LETTERATURA GRECA REPERTORIO D EI RIFERIMENTI ALLA LETTERATURA GRECA 629

è un tipico (e per questo malfamato) esponente della secolo?) rom anzo latino D e excidio Troiae. Caso Dionigi detto il Trace, gramm atico del II seco­ berato, si trasferì a Rom a (I secolo d.C .), dove
poesia epica storica «cortigiana». Cantò le gesta parallelo a quello di Ditti Cretese (vedi). lo a.C ., ebbe u n ’immensa influenza sull’insegna- possedeva una formidabile biblioteca e curò edi­
di Alessandro Magno. mento grammaticale; il suo influsso fu mediato a zioni di classici greci con tecnica alessandrina.
Democrito di A bdera, grande pensatore del V
Chèrilo di Samo, V secolo a.C ., scrisse un epos secolo a.C ., celebre soprattutto per le sue teorie Rom a soprattutto attraverso Remmio Palemone. Epicarm o, VI-V secolo a.C ., grande poeta co­
storico sulle guerre persiane, con interessi anche atomistiche, che a Rom a sopravvivono più che al­ Dionisio Trace, vedi Dionigi detto il Trace. mico siciliano, nella tradizione della commedia «do­
etnografici. tro per la mediazione degli Epicurei. rica», specializzato in parodie mitologiche e in sce­
Dioscòride di A nazarba (in Cilicia), I secolo
Ciprii (Canti), poem a epico del Ciclo Troiano, Demòfilo, com mediografo greco del III secolo d .C ., medico autore di u n ’opera, dal titolo Sulla ne di vita quotidiana. Apprezzate anche le antolo­
cantava in undici libri gli antefatti dell 'Iliade. N o­ a.C . Di lui si sa solo che la sua commedia Onagòs materia medica, che esercitò grande influenza nel gie di sentenze tratte dalla sua opera, che ispiraro­
to solo (a noi come probabilm ente ai dotti romani) (L ’asinaio) è modello àtW Asinaria di Plauto. campo farmaceutico e medico fino ai tempi m o­ no a Ennio u n ’opera intitolata Epicharmus.
per riassunti in prosa. Demostene, 384-322 a.C ., considerato dalla po­ derni. Le forti analogie tra Dioscoride e la Natura­ Epicùro di Samo, 341-270 a.C ., celeberrimo
Claudiano, poeta epico greco, molto probabil­ sterità, anche rom ana, il più grande oratore attico; lis Historia di Plinio il Vecchio (la quale è di qual­ fondatore della scuola filosofica che da lui prende
mente identico con il celebre poeta latino om oni­ im portante anche per lo sviluppo dell’oratoria ro­ che decennio posteriore) si spiegano comunemente il nome. I papiri ercolanesi sono una delle fonti
mo (che era notoriam ente bilingue). m ana, in particolare Cicerone (che deriva da lui con l’uso delle stesse fonti greche (Sestio Nigro); principali sull’epicureismo, che ebbe profondo in­
il titolo Filippiche). si pensa invece che Plinio non abbia letto Diosco­ flusso nella cultura rom ana tra I secolo a.C . (Lu­
Cleante, filosofo del IV-III secolo a.C ., suc­ ride.
Dexippo, storico attico del III secolo d .C ., no­ crezio) e I secolo d.C.
cessore di Zenone e capofila degli Stoici. Compose
anche un Inno a Zeus. tevole come fonte per le guerre gotiche com battute Ditti Cretese, fantom atico autore di un rom an­ Epittèto di Ieràpoli in Frigia, I secolo d.C. Pen­
dall’im pero nel periodo 238-274 d.C. zo sulla guerra di Troia, probabilm ente composto satore stoico, schiavo liberato, attivo a Rom a e poi
Clemente di Alessandria, II-III secolo d.C., teo­ nel II-III secolo d.C .; ne resta un fram m ento e la coinvolto nel bando di Domiziano ai filosofi. Le
logo illustre, si convertì al Cristianesimo e fu per­ Dicearco di Messene, filosofo peripatetico del
fortunata versione latina dovuta a tale Lucio Setti­ sue meditazioni ci sono note tram ite il discepolo
seguitato da Settimio Severo; nei suoi ultimi anni IV secolo, scolaro di Aristotele, notevole anche per
mio (IV secolo d.C .). A rriano.
fu vescovo di Gerusalemme. La sua opera è im­ interessi politici, letterari e geografici che ne fanno
portante per originalità teorica e insieme per ricca una fonte autorevole. Dùride di Samo, IV-III secolo a.C ., storico ed Eraclito di Efeso, VI-V secolo a.C ., filosofo
cultura classica pagana. Dìfilo di Sìnope, uno dei migliori commedio­ erudito, discepolo di Teofrasto. Le sue storie nar­ affascinante anche per lo stile involuto delle sue
grafi attici, esponente di prim o rango (con M enan­ ravano gli eventi dal 370 al 282 a.C. La sua opera, formulazioni (che gli valsero l’epiteto di «oscuro»).
Clitarco, storico del IV-III secolo a.C . Fu au­ di taglio fortem ente moralistico, influenzò Nepote
dro e Filemone) della Com media Nuova (IV seco­ Sosteneva che ogni cosa «è» in quanto si trasfor­
tore di u n ’opera storica su Alessandro che ebbe e Livio.
lo a.C .). Sembra essere tra i modelli principali di ma in qualcos’altro, in un eterno divenire che co­
u n ’eccezionale fortuna e rimase per secoli il lavoro
Plauto (è attestato come modello di Casina, Ru- Efestione di Alessandria, II secolo d .C ., signi­ stituisce la realtà nel m om ento stesso in cui la di­
più letto sull’argom ento. Curzio Rufo la cita, ma
dens, Vidularia). ficativo metricologo, conservatoci in un compendio. strugge {pànta rèi, «tutto scorre», è la frase più
anche altri storici rom ani furono influenzati dalla
celebre che com pendia la sua teoria).
sua storiografia «tragica», da Sisenna allo stesso Diodòro Siculo, attivo in età cesariana e augu­ Èforo di Cum a, IV secolo a.C ., storico, scola­
Livio. stea, compose una storia universale (Biblioteca) in ro dell’oratore Isocrate. La sua storia in ventinove Eratòstene di Cirene, III secolo a.C ., filologo,
quaranta libri, dalle origini al 54 a.C ., parte con­ libri, che arrivava a Filippo il M acedone, fu riuti­ geografo, poeta didascalico, erudito instancabile in
Cornuto (Lucio Anneo Cornuto), I secolo d.C.,
a Rom a fu m aestro di Lucano e Persio. Scrisse servata, parte n o ta per riassunti o estratti. Utilizzò lizzata per esempio da Diodoro Siculo. moltissimi campi anche scientifici, fu il successore
sia in latino che in greco. Ci è pervenuto un suo anche fonti rom ane. di Apollonio Rodio alla Biblioteca di Alessandria.
Egèsia di Magnesia, retore e storico del III se­
Diògene di E noanda, II secolo a.C ., fece ese­ Im portante la sua auto-definizione «philologos»,
compendio di m itologia (in lingua greca) orientato colo a.C ., spesso individuato, anche polemicamen­
guire u n ’iscrizione a carattere filosofico, molto utile che avrà fortuna.
sulla dottrina stoica. Pubblicò postum o, insieme te, come tipico rappresentante dello stile «asiano».
a Cesio Basso, il poem a di Lucano sulla guerra per lo studio della tradizione epicurea. Ermàgora di Tem no, retore del II secolo a.C .,
Eliano Claudio, nativo di Preneste, retore a
civile. Dione, vedi Cassio Dione. im portante soprattutto per le sistematiche classifi­
Rom a nel II-III secolo d .C ., noto per miscellanee
cazioni; fonte di Quintiliano.
Cratète di M allo, filosofo storico e gram m ati­ Dione di P rusa, I-II secolo d .C ., sofista e re­ e raccolte di curiosità sugli animali e sulla storia
co, capo della scuola di Pergam o, fu uno dei più tore viaggiante, allievo di M usonio e maestro di umana. Ermesianatte di Colofone, III secolo a.C ., poe­
influenti intellettuali del II secolo a.C ., e nel 168 Favorino. ta alessandrino noto solo in scarsi fram m enti, au­
Elio Aristide, II secolo d .C ., seguitissimo o ra­
si trattenne piuttosto a lungo a Rom a, dove le sue tore e conferenziere viaggiante, autore fra l’altro tore di elegie mitologiche legate, non sappiamo esat­
lezioni ebbero notevole impatto. Fu maestro di P a­ Dionigi di Alicarnasso, critico letterario, re­ tamente come, al nome della sua am ata Leonzio.
tore e storico, insegnò a Rom a nel periodo augu­ di un Panegirico per Roma e di rievocazioni idea­
nezio. U n’im portante polemica di m etodo lo op­ lizzanti della civiltà attica. Ermete Trismeglsto, nome greco corrispondente
pose alla scuola analogista di Alessandria. steo. Nel 7 a.C . pubblicò un a Storia antica di R o ­
ma, dalle origini al 264 a.C ., in venti libri (in­ Eliodòro di Emesa, III oppure IV secolo d .C ., all’egizio «grandissimo T oth», sotto cui circolano
Cratìno, poeta comico ateniese del V secolo tegrando cioè il periodo precedente al classico la­ in età imperiale numerosi scritti religiosi, magici,
scrisse L e Etiopiche, da molti considerato il mi­
a.C ., fu insieme a Eupoli e naturalm ente A ristofa­ voro di Polibio). L ’opera è conservata circa per filosofici (Hermetica), che arieggiano con superfi­
glior romanzo greco. Le sue connessioni personali
ne tra i più rinomati autori della Commedia Antica. la m età, e ricostruibile per altre parti. Im portante ciale esotismo dottrine egizie e orientali in genere.
con il culto del dio Sole sono evidenti anche nel
Cratippo di Pergam o, filosofo peripatetico del anche come gram m atico e studioso di stile poetico romanzo. Ermògene di Tarso, II-III secolo d .C ., im por­
I secolo a.C ., insegnò a Mitilene ed Atene. Delle (soprattutto nel trattato Sulla com posizione delle tante fonte per la storia della retorica e delle d ot­
Ellanìco di Mitilene, V secolo a.C ., storico­
sue concezioni sui sogni ci dà testim onianza Cice­ parole). trine stilistiche.
antiquario molto attivo, fu tra l’altro uno dei pri­
rone nel De divinatione.
Dionigi Areopagita, sotto questo nome (appar­ mi a illustrare la saga di Enea in Italia. Eroda, III secolo a.C ., notevole poeta alessan­
Crinàgora di Mitilene, poeta epigrammatico del tenente a un Ateniese del I secolo d .C ., convertito Empèdocle di Agrigento, V secolo a.C ., filo- drino di M im iam bi, mimi composti in m etro co­
I secolo a.C ., notevole soprattutto per i suoi lega­ al Cristianesimo da S. Paolo), circolano (V-VI se­ sofo-scienziato-guaritore, autore di due poemi in liambico: fine stilista orientato su bozzetti di vita
mi con la cerchia di Augusto. colo?) scritti filosofici segnati da u n ’audace fusio­ esametri con rivelazioni cosmologiche e di metemp­ quotidiana e semplice.
Crisippo di Soli, filosofo stoico del III secolo ne di Cristianesimo e neoplatonismo. sicosi, Sulla Natura e Purificazioni. Numerosi fram­ Erode Attico, console rom ano nel 143 d .C .,
a.C ., prolifico pensatore e rifondatore della Stoa. Dionigi Periegèta, attivo sotto A driano, com­ menti, ricostruzione controversa. Stim ato e utiliz­ addetto (come Frontone) all’educazione di Marco
Darète Frigio, presunto autore di una storia pose una descrizione della terra in esametri, usata zato come poeta didascalico ancora da Lucrezio. Aurelio e Lucio Vero, ricco filantropo ed esponen­
della guerra di T roia che sopravvive nel tardo (V anche come testo geografico per le scuole. Epafrodìto di Cheronea, coltissimo schiavo li­ te della Seconda Sofistica.
630 REPERTORIO DEI RIFERIMENTI ALLA LETTERATURA GRECA REPERTORIO DEI RIFERIMENTI ALLA LETTERATURA GRECA 631

Erodiano, storico del III secolo d .C ., autore Fànocle, poeta alessandrino (III-II secolo a.C.), considerato fra gli iniziatori della tragedia, mise rodico del VI secolo a.C ., ben rappresentato in
di una storia romana dal 180 al 238 d.C ., non molto compose elegie sugli am ori pederastici della m ito­ in scena u n ’opera sulla Presa di M ileto solo un frammenti papiracei, ebbe influsso anche sulla poe­
approfondita, m a utile nella scarsità di fonti sul logia. paio d’anni dopo l’avvenimento stesso. sia latina (particolarmente Orazio lirico ed epodico).
periodo. Favorino di Arelate, II secolo d.C ., oratore for­ Galeno di Pergam o, m orto nel 199 d .C ., me­ Irenèo di Lione, II secolo d .C ., padre della
Erodiano di Alessandria, II secolo d.C ., l’ulti­ tunatissimo e brillante, fu legato a Frontone, E ro ­ dico di corte nella Rom a di M arco A urelio, autore Chiesa autore di una Confutazione degli Eretici pre­
mo gramm atico illustre della tradizione alessan­ de Attico e Gellio; pur essendo gallico di nascita, di una vastissima produzione di opere mediche e servata in versione latina.
drina. coltivava di preferenza l’espressione1in greco. filosofiche. Galeno costituì per tu tto il Medioevo Isocrate, 436-338 a.C ., oratore ateniese, figura
E ròdoto di Alicarnasso, V secolo a.C ., univer­ Filarco, storico del III secolo a.C ., vissuto ad e fino al Rinascimento il testo-principe dell’inse­ centrale nella sua epoca e nello sviluppo dell’ora­
salmente considerato «padre della storia» (il rico­ Atene. E ra autore di u n ’opera che narrava gli av­ gnam ento della medicina, godendo di una fortuna toria, della prosa in genere, e dell’insegnamento.
noscimento è di Cicerone), ebbe grande influsso venimenti dal 272 al 220 a.C . D ava ampio spazio paragonabile a quella di Aristotele; tu tto ra può es­ Im portante presenza nell’ideale dell’eloquentia ela­
(molto più dello stesso Tucidide) sulla tradizione alla ricerca dell’effetto e allo sfoggio dell’abilità sere considerato il fondatore della fisiologia speri­ borato da Cicerone.
della storiografia antica. retorica. Fu fonte di Polibio e Plutarco (che ne mentale e della medicina sistematica.
Leonida di T aranto, III secolo a.C ., pregevole
danno peraltro un severo giudizio) e, tra i latini, Giàmblico, II secolo d .C ., autore dell’effettì­ poeta di epigrammi dalla vena realistica e insieme
Èschilo, 525-456 a.C ., è fra i tre grandi tragici
di Pom peo Trogo e, in qualche misura, di Livio. stico romanzo Storie Babilonesi (noto solo da u n ’e­ raffinata. Considerato spesso il miglior epigram-
greci il più lontano dal gusto rom ano, m a la sua
utilizzazione in singoli casi è fortem ente probabile Filèmone, IV-III secolo a.C., grande poeta della pitom e e frammenti). m atista alessandrino, è im itato anche da poeti ro ­
(per esempio da Ennio nelle Eumenides). Commedia N uova ateniese molto im itato a Roma Giuliano detto l’Apostata, im peratore rom ano mani (per esempio Properzio).
e molto divertente (modello di Plauto in Mercator, (360-363), autore di orazioni m a anche di satire Lesche, vedi Iliade (Piccola).
Èschine di A tene, IV secolo a.C ., celebre ora­
Trinum m us e probabilm ente Mostellaria). menippee, ascetico esponente di un monoteismo
tore attico avversario di Demostene e a lui legato Libànio di A ntiochia, III secolo d .C ., retore
nella tradizione oratoria greco-latina. Filèta, o Filita, di Cos, celebre poeta alessan­ neoplatonico, anti-cristiano.
e prosatore torrenziale, amico dell’imperatore Giu­
drino di elegie mitologico-amorose (IV-III secolo Giuseppe Flavio, I secolo d .C ., im portante sto­
Esiodo di Cum a («di A scra», come viene m ol­ liano, ha lasciato una vasta raccolta di lettere e
a.C .), spesso citato dagli elegiaci latini come ante­ rico degli Ebrei dalle origini all’età neroniana, e
to più spesso indicato), vissuto all’incirca tra VIII orazioni.
signano, accanto a Callimaco, della tradizione ele­ storico delle guerre giudaiche di Vespasiano e Tito
e VII secolo a.C ., considerato il fondatore della Licòfrone di Càlcide, poeta del III secolo a.C .,
giaca vera e propria. (scrisse una Guerra giudaica in greco, il cui rifaci­
poesia didascalica (Teogonia, Opere e giorni, Eee), soprattutto tragico, esponente di un alessandrini­
spesso affiancato a Omero. Studiato e molto riva­ Filino di Agrigento, III secolo a.C., storico filo­ mento in latino si deve al cosiddetto Egesippo). smo difficile ed ermetico. Ci è rim asto VAlessan­
lutato in epoca alessandrina, influenza direttam en­ cartaginese e fonte di Polibio sulla guerra punica. Fu anche autore di uno scritto anti-antisemita (Con­ dra, un ampio com ponim ento mitologico in trim e­
te la poesia rom ana di età augustea, in particolare Filodèmo di Gàdara, I secolo a.C., filosofo epi­ tro A pionem ). tri giambici, che contiene fra l’altro una profezia
Virgilio. cureo attivo a Ercolano e Napoli: le sue opere di­ Gregorio di Nazianzo, IV secolo d .C ., bravis­ della storia di R om a (questa parte, secondo alcu­
dattiche sono ben testim oniate dai papiri ereolane- simo retore e poeta molto versato nel rivestire temi ni, è u n ’interpolazione, una profezia ex eventu del
Esòpo, figura semileggendaria di schiavo trace si e sono tra le principali fonti sulla scuola epicu­
(sarebbe vissuto nel VI secolo a.C .) cui si fa risali­ teologici cristiani in forme classicheggianti. I secolo a.C .).
rea. Probabilm ente legato a Virgilio, che frequen­
re la tradizione della favola testim oniata soprat­ Gregorio di Nissa, IV secolo d .C ., amico di Lido, Giovanni, nel VI secolo d.C . insegnò la­
tò da giovane gli ambienti epicurei napoletani. Si­
tutto da Fedro e Babrio. Le ricche testimonianze Gregorio di Nazianzo (vedi) e come lui campione tino a Costantinopoli: alcune sue opere antiquarie
gnificativo anche come poeta epigrammatico d ’a­
sulla sua biografia che lo riguardano compongono dell’ortodossia cristiana. E ntrò in contatto con Gi­ attingono a buone fonti anche rom ane di età re­
more. Partecipò alla vita politica rom ana prenden­
una sorta di rom anzo popolare. rolam o, sul quale ebbe notevole influsso. pubblicana e imperiale.
do posizione nel 43 a.C . contro A ntonio, e influen­
zò il De m orte di Vario Rufo. Historia Apollonii regis Tyrii, un romanzo Lisia, oratore ateniese del V-IV secolo a.C .,
Euforione di Càlcide, poeta alessandrino del
tardo-rom ano (V-VI secolo d.C .), anonim o, pre­ am m irato modello di stile soprattutto in età
III secolo a.C ., bibliotecario ad A ntiochia, autore Filone di Larissa, II-I secolo a.C ., filosofo ac­
suppone un originale greco del II-III secolo d .C ., ellenistico-romana, quando le correnti atticistiche
di numerosi poem etti mitologici dallo stile origina­ cademico attivo anche a Rom a tra i maestri di Ci­
le e difficile. Influì sulla poesia neoterica rom ana, cerone, e da lui utilizzato come fonte in alcune ope­ nel periodo di massima fioritura del romanzo greco. ne ripropongono l’elegante semplicità.
sembra in particolare su Gallo. re filosofiche (Academ ica priora, Lucullus, ecc.). ìbico di Reggio, VI secolo a.C ., poeta lirico Lolliano (II secolo d.C .?), autore di un sensa­
Èupoli, grande poeta della Com media A ntica magno-greco il cui nome è tradizionalm ente asso­ zionale rom anzo d ’avventure chiamato Phoinikikà
Filòstrato, nome portato da alcuni membri di
(V secolo a.C .), noto a Rom a solo indirettam ente ciato a quello di Stesicoro (vedi). (fram menti papiracei, editi solo nel 1972), l’esem­
una famiglia di letterati (II-III secolo d.C .), diffi­ pio greco più vicino a ciò che chiamiamo «narrati­
come autore di proverbiale aggressività. cili da districare fra loro. Fra le opere tram andate Iliade (Piccola), poem a epico del Ciclo attri­ va commerciale».
Euripide, l’ultim o dei tre grandi tragici (V se­ sotto questo nome, molto interessanti la Vita di buito a Lesche.
Apollonio di Tiana, vita romanzesca e agiografica «Longino», nome tram andato, m a probabil­
colo a.C .), è insieme a M enandro il dram m aturgo Uiupèrsis, altro poem a epico del Ciclo Troia­ mente errato, dell’autore di un affascinante tra tta ­
greco più im itato e conosciuto a Rom a. Tutti i tra ­ dell’omonim o personaggio vissuto nel I-II secolo no, attribuito a A retino o Lesche: fonte di Virgilio
d.C. (su di lui vedi in questo stesso indice), e le to letterario, il Perì hypsous (Del Sublime), com­
gici rom ani arcaici hanno ripreso almeno qualche per il II libro dc\V Eneide. posto pare nella prim a m età del I secolo d.C . L ’o­
suo dram m a; m a forte è la presenza di Euripide Imm agini, esercizi retorici di descrizione applicata
ad opere d ’arte. Iperìde, oratore attico del IV secolo a.C ., molto pera ha un notevole ruolo nella storia dell’estetica
anche nella poesia d ’amore del I secolo a.C ., nel­ ben considerato (secondo dopo Demostene) nella anche moderna.
l’epica (Virgilio, Ovidio, Stazio) e nel teatro di Se­ Flavio Giuseppe, vedi Giuseppe Flavio. tradizione oratoria greco-romana.
neca. Longo (II secolo d.C .), forse di Lesbo, noto
Ipparco, II secolo a.C ., forse il più grande anche con l’epiteto di Sofista, misterioso autore
Flegonte di Traile, II secolo d .C ., liberto di
Eusebio di Cesarea, III-IV secolo d.C ., grande astronom o dell’antichità. La sua straordinaria au­ di un affascinante romanzo in quattro libri su Dafni
A driano, raccolse notizie di antiquaria rom ana e
iniziatore della storia ecclesiastica, è fra l’altro au­ torità, basata su teorizzazioni e scoperte che resta­ e Cloe: sottile atm osfera erotica, senso della natu­
mirabilia di varia um anità.
tore della Cronaca che possediamo nella versione no valide ancora oggi, ebbe però anche la conse­ ra, scarse le peripezie e le avventure. Il tutto è smor­
latina di Girolam o. Focìlide di M ileto, VI secolo a.C ., poeta ele­ guenza «negativa» di fare abbandonare le teorie zato in un quadro bucolico di tipo teocriteo.
giaco di impostazione didascalico-moraleggiante, vi­ eliocentriche, pur diffuse nella scienza greca: Ip- Luciano di Samosata, retore-narratore dalla ric­
Evèmero di Messene, IV-III secolo a.C ., u to ­
cino sia a Esiodo (vedi) che a Teognide (vedi); eb­ parco era infatti un deciso sostenitore della teoria ca vena um oristica (II secolo d.C .). Imprime nuo­
pista, noto soprattutto per le sue teorie sulPorigine
be m olta fortuna nei secoli successivi. che voleva la T erra al centro dell’Universo. ve tendenze al dialogo, alla parodia e alla satira
um ana degli dèi: la sua fortuna è testim oniata dal-
1’Euhem erus di Ennio. Frinico, poeta ateniese del VI-V secolo a.C ., Ipponatte, poeta essenzialmente giambico e pa­ «menippea». Nel corpus di Luciano figura (non
632 REPERTORIO DEI RIFERIMENTI ALLA LETTERATURA GRECA REPERTORIO DEI RIFERIMENTI ALLA LETTERATURA GRECA 633

è suo, m a forse deriva da una sua opera narrativa sofo stoico, m aestro di Epitteto e di numerosi per­ che causa di accese polemiche (celebre quella tra Vite Parallele (biografie appaiate di uomini illustri
perduta) quel L ucio o l ’A sino che docum enta ai sonaggi rom ani. Ebbe rapporti difficili con N ero­ Rufino, am m iratore e seguace di Origene, e G iro­ greci e romani) un a tendenza a bilanciare il rico­
nostri occhi un perduto modello del rom anzo di ne e con Vespasiano. lamo, che da un certo momento in poi ritenne ere­ noscimento dei successi di Rom a con il recupero
Apuleio. Vedi anche Lucio di Patre. Nechepso e Petosiride, fantom atici preti egizi ticali le posizioni di Origene). dell’antico patrim onio storico greco. Le sue Quae-
Lucillio, dotato poeta epigrammatico di età ne- sotto il cui nome circolava (a partire dal II secolo Panezio di Rodi, filosofo stoico del II secolo stiones Rom anae sono un preziosissimo repertorio
roniana, attivo anche a Rom a e frequente modello a.C .) un im portante testo di astrologia. a.C ., attivo anche a Roma, fu molto legato a Sci­ di antichità romane.
di Marziale (poesie d ’occasione, scherzi, epigram­ pione Emiliano e all’ambiente culturale che si usa Polibio di Megalopoli, II secolo a.C ., legò la
Neottòlem o di Pario, fine IV secolo a.C ., poe­
m a satirico). chiamare «circolo degli Scipioni». È una figura cru­ sua fam a di storico a una lucida analisi dell’ascesa
ta e gram m atico, scrisse due poemi epici (uno su
Lucio di P atre, presunto autore di un rom an­ Dioniso) e varie opere grammaticali, fra cui una ciale nel rinnovam ento ideologico della cultura ro­ di Rom a verso il potere mondiale. Ambasciatore
zo M etam orfosi: le generalità concordano con il Poetica in versi che è tra i modelli dell’A rs poetica m ana fra II e I secolo a.C ., modello di Cicerone acheo a Rom a, e successivamente inlcuso tra i mil­
protagonista del Lucio o l ’A sino attribuito a L u­ di Orazio. soprattutto nel trattato D e officiis. le ostaggi achei che, dopo la disfatta di Pidna, fu­
ciano (vedi), e la notizia rinvia al complicato pro­ Paolo di Tarso, I secolo d. C ., comunemente rono consegnati ai Rom ani, fu vicinissimo a Sci­
Nicandro di Colofone (probabilm ente II seco­ pione Emiliano e al suo am biente culturale. Le sue
blem a delle fonti delle M etam orfosi apuleiane. lo a.C .), significativo poeta alessandrino di epica noto Come S. Paolo, il massimo propagatore del
messaggio cristiano nel m ondo ellenistico-romano. Storie dal 220 al 146 a.C. (da A nnibaie alla distru­
M arco Aurelio A ntonino, 121-180 d.C ., impe­ didascalica: conservati i Theriakà (serpenti, bestie zione di Cartagine) sono una fonte basilare per gli
ratore rom ano, pensatore stoico, im portante nella velenose) e gli Alexipharm aka (Contravveleni). I Le sue Lettere, di im portanza capitale per la for­
mazione della teologia cristiana, furono variamen­ storici successivi greci e latini (per esempio, fra quel­
storia delle lettere greche per dodici libri di rifles­ titoli di alcune opere perdute (M etam orfosi, Geor­ li conservati, Tito Livio).
sioni A se stesso composti nel corso di dure cam ­ giche e un poem a sulle api) fanno pensare che sia te tradotte in lingua latina.
Pollùce, sofista del II secolo d .C ., attivo ad
pagne militari. stato utilizzato da poeti latini di prim o piano (Vir­ Parm ènide di Elea, filosofo del V secolo a.C .,
Atene, ci ha lasciato una compilazione enciclope­
Massimo di Tiro, II secolo d .C ., sofista (cioè gilio, Ovidio, Emilio Macro). fu im portante anche per un poem a didascalico in
dica, di notevole interesse specialmente per la sto­
conferenziere viaggiante) attivo anche a Rom a sot­ Nicola di Damasco, I secolo a.C ., poligrafo esametri, che contribuì alla tradizione del genere
ria delle antichità teatrali.
to il regno di Com modo. e storico di corte di Erode il G rande, noto soprat­ didascalico.
Porfirio di T iro, III secolo d .C ., fu allievo di
Meleagro di G àdara, I secolo a.C ., poeta epi­ tutto per un a laudativa biografia di A ugusto e per Partenio di Nicea, prigioniero di guerra rom a­
Plotino a Rom a e editore delle sue opere. La sua
grammatico e satirico, raccolse il primo nucleo della una vastissima storia universale. no durante la III guerra m itridatica, giunse a R o­
vasta produzione filosofico-religiosa dette un forte
fu tu ra Antologia P alatina (vedi). Nino (Romanzo di) (forse II secolo a.C .), no­ m a nel 73 a.C. ed ebbe poi un ruolo cruciale nel
contributo alla diffusione del Neoplatonismo.
to in frammenti papiracei, è per ora il più antico diffondere il gusto poetico alessandrino. Documen­
Menandro, 342/1-291/0 a.C., il più grande poe­ tabili i suoi rapporti con Gallo e Virgilio. Com po­ Posidippo di Cassandrèa, III secolo a.C ., poe­
ta della Com m edia Nuova, è anche il principale rom anzo greco conosciuto, e il più legato alla tra ­
se elegie mitologiche nella tradizione di Callimaco ta minore della Com m edia N uova, sembra venisse
modello del teatro comico latino, e in particolare dizione storico-biografica.
e E uforione, e un a raccolta in prosa di rari miti ripreso da poeti comici rom ani.
della palliata di P lauto (Bacchides, Cistellaria, Sti- Nonno di Panòpoli (forse V secolo d.C .) au to ­ d ’am ore (E rotikà Pathèmata), dedicata, perché ne Posidonio di A pam ea, II-I secolo a.C ., filoso­
chus, Aulularia), Cecilio e Terenzio (Andria, Eu- re del lunghissimo epos Dionysiakà e per noi, ac­ faccia uso, al poeta d ’am ore Cornelio Gallo. fo e scienziato, passò diversi anni a Rom a e eserci­
nuchus, H eautontimorumenos, Adelphoe). Il ritro­ canto a Claudiano, principale figura dell’epica
Physiologos, raccolta anonim a di meraviglie tò profondo influsso su Cicerone; m a la sua in­
vam ento di numerosi frammenti papiracei in que­ tardo-antica. Utilizza intensamente poesia m itolo­
della storia naturale (forse II secolo d.C .), poi tra ­ fluenza fu molto più duratura, e tocca i più vari
sto secolo consente sia nuove precisazioni sulla sua gica alessandrina, secondo alcuni anche rom ana.
d o tta in latino (Physiologus) e fortunatissim a nel poeti, pensatori, storici e naturalisti del periodo ce­
arte, sia qualche insperato confronto (Dis exapa- Omero, nom e convenzionale con cui si indica sariano, augusteo e della prima età imperiale. Com­
ton ~ Bacchides plautine) con le trasform azioni Medioevo.
l’autore dell’Iliade e dell’Odissea, testi in realtà frut­ pose anche im portanti Storie, dalla fine di Polibio
romane. Im portante ancora come modello della to di varie stratificazioni, m a il cui nucleo origina­ Pindaro di Cinoscèfale, 518-438 a.C ., il mag­ (146 a.C .) alla d ittatu ra di Siila, che prendevano
poesia d ’am ore, del rom anzo e nella tradizione dei rio si colloca com unemente nell’VIII secolo a.C . gior lirico corale greco, molto studiato in età ales­ posizioni precise nel dibattito politico e ideologico
florilegi di massime morali (sententiae). La sua fortuna è una costante in tu tta la storia sandrina, influì episodicamente — il suo stile era rom ano.
M enandro di Laodicea, III secolo d.C ., retore letteraria di Rom a fin dalla versione dell O dissea ritenuto, giustamente, inimitabile — sulla poesia
augustea (Virgilio e soprattutto Orazio lirico). Pseudo-Callìstene, al nome di Callistene (storico
greco teorizzatore del genere letterario encomiasti­ di Andronico; in tu tta la latinità classica è autore di Alessandro, IV secolo a.C .) si ricollega la trad i­
co. A lui si ispireranno i panegiristi latini. scolastico, e la sua diffusione di massa cala solo P itàgora di Samo, VI secolo a.C ., m aestro di
zione tarda del R om anzo di Alessandro, rappre­
M enippo di G àdara, III secolo a.C ., schiavo in età tarda, quando declina in Occidente lo studio saggezza, non lasciò scritti e tutte le opere attribui­ sentata in latino da Giulio Valerio (III secolo d.C.).
liberato, filosofo cinico importante nella storia della del greco. Nel frattem po vanno afferm andosi sur­ tegli sono frutto di successive elaborazioni. Tradi­
rogati romanzeschi della sua opera, «Romanzi di zioni pitagoriche hanno notevole spazio nella cul­ Q uinto di Smirne, poeta epico del IV secolo
diatriba e iniziatore di un genere satirico che (at­
Troia» come quelli di Darete Frigio e Ditti Cretese tu ra rom ana già in età arcaica; notevoli gli influssi d .C ., compose in quattordici libri una continua­
traverso le Satire M enippee di Varrone) è inscindi­
(vedi). su Ennio e, più tardi, sulle M etam orfosi di Ovidio. zione dell'Iliade (Posthomerica), che presuppone
bilmente legato al suo nome. Sperimentò, si dice
Oppiano (II-III secolo d.C .; forse identico al Platone, 427-347 a.C ., celeberrimo filosofo ate­ molte fonti letterarie, greche e forse anche latine
per prim o, form e satiriche miste di versi e prosa (Virgilio, Ovidio).
(cfr. Petronio, e V Apokolokyntosis), e ancora nel seguente), autore di un poem a didascalico sulla pe­ niese, influisce sulla cultura rom ana sia attraverso
II secolo d .C ., influenzò Luciano (vedi). sca. i suoi scritti che nella progressiva evoluzione della Riano di Creta, poeta epico del III secolo a.C .,
Oppiano di A pam ea (II secolo d.C .) dedica a sua scuola, YAccademia. compose numerosi poemi di argomenti storico (te­
M imnermo di Colofone, poeta elegiaco del VII
Caracalla un poem a didascalico sulla caccia, in P lotino, 205-270 d .C ., fondatore del N eopla­ mi di guerra, geografici, etnografici). Il genere ha
secolo a.C ., trattò vari temi, m a in età ellenistico-
quattro libri. tonismo e autore di una vastissima opera saggisti­ avuto probabilm ente influssi sulla form azione del­
rom ana è fam oso soprattutto come poeta d ’am o­ l’epos storico latino.
re, precursore della vera e propria elegia d ’amore. Origene, teologo cristiano del III secolo d.C ., ca, fu a lungo attivo a Rom a, dove animò un cir­
al quale si deve il prim o grande tentativo di orga­ colo intellettuale; d a lui prende avvio la filosofia Rintone dì T aranto, III secolo a.C ., si segnalò
M osco di Siracusa, II secolo a.C ., poeta ales­ nizzare un saldo pensiero filosofico e teologico a pagana dom inante nel m ondo rom ano sino alla to ­ in un genere comico variamente etichettato («ila­
sandrino di temi bucolici e autore dell’epillio Eu­ partire dalla Scrittura e dalla tradizione ecclesiasti­ tale soppressione, nel V secolo, dei centri d ’inse­ rotragedia», farsa fliacica, più tardi, per l’appunto,
ropa', è fra i modelli minori della poesia neoterica ca. Le sue teorie, imbevute di platonism o e neo- gnam ento non cristiani. fa bula Rhintonica), che si basava su crude parodie
e bucolica rom ana nel I secolo a.C. P lutarco di Cheronea, I-II secolo d .C ., autore
platonism o, ebbero grande influenza sulla specula­ di temi tragici, e che potè influire sullo sviluppo
M usonio R ufo di Volsinii, I secolo d.C ., filo­ zione cristiana, sia greca che latina, m a furono an­ di scritti etici e religiosi, biografo, m ostra nelle sue della farsa italica e del teatro comico rom ano.
634 REPERTORIO DEI RIFERIMENTI ALLA LETTERATURA GRECA
REPERTORIO DEI RIFERIMENTI ALLA LETTERATURA GRECA 635

Saffo, VII-VI secolo a.C ., offrì con la sua lin­ Virgilio. Cicerone, che si diceva suo amico, loda
gua eolica e i suoi metri oggetto di studio agli Ales­ distici elegiaci (la cosiddetta Silloge), la quale pone Tolomeo, Claudio, II secolo d .C ., in età impe­
la ricchezza della dottrina di Sirone.
sandrini, che ne raccolsero i testi in u n ’edizione vari problemi per Peterogeneità delle poesie che ne riale la massima autorità su astronom ia e geogra­
Sòfocle, 497-406 a.C ., fu modello di stile tragi­ fanno parte: il nucleo principale consiste in precet­ fia; il suo nome rimane nella posterità legato alla
canonica. È una presenza ancora viva nella poesia co nella poesia rom ana; numerosi gli adattam enti
d ’am ore di Catullo (gli epitalam i, carmi 61 e 62, ti m orali forniti a un giovinetto, Cirno. presentazione sistematica della concezione geocen­
da Sofocle di cui possiamo indicare la probabilità, trica di Ipparco (vedi). Im portante anche come fon­
e la ispirata ricreazione del c. 51; il nom e di L e­ nonostante lo scarso num ero di tragedie sofoclee Teone, Elio, I-II secolo d .C ., retore, autore
sbia è un indice nella stessa direzione), poi in Ora- della più antica raccolta di progymnàsmata, eser­ te sulle concezioni astrologiche (Tetrabiblos). E b­
pervenuteci integre (sette), e lo stato fram m entario be grande fortuna anche nella versione araba (A l­
zio lirico e in Ovidio, che in una delle Eroidi si cizi retorici, a noi pervenuta, im portante per la sto­
della tragedia rom ana arcaica. Più frequenti risul­ magesto).
ispira alla ricca tradizione di leggende biografiche tano, com unque, le riprese dal «m oderno» teatro ria della retorica e della declamazione.
fiorita intorno alla personalità di Saffo, T erpandro di Antissa nell’isola di Lesbo, VII Tucidide, V secolo a.C ., è lo storico antico più
euripideo.
Sàtiro di Callatis, III secolo a.C ., grammatico secolo a.C ., è il quasi mitico progenitore della poe­ apprezzato, ma non certo il più seguito: il suo esem­
Sofròne di Siracusa, V secolo a.C ., sem bra es­ pio di storiografia risulta arduo d a imitare, sia per
ed erudito di tendenza peripatetica, ha un ruolo sere il prim o poeta che dia form a regolare alla tra­ sia melica di Saffo (vedi) e Alceo (vedi).
la profondità delle trattazioni problem atiche, sia
im portante nella form azione del genere biografico dizione «realistica» e quotidiana del mimo. Timàgene, I secolo a.C ., retore e storico, am i­ per lo stile personalissimo. E rodoto e Isocrate eb­
poi ripreso a Rom a. co personale di Pollione, scrisse u na Storia dei Re
Soloné di A tene, VII-VI secolo a.C ., grande bero, anche a Rom a, un influsso più penetrante.
Senofane di Colofone, VI secolo a.C ., origi­ figura di legislatore e uomo politico. Fu anche poeta utilizzata da Pom peo Trogo.
nale figura di poeta-filosofo, si segnalò soprattut­ Zenòdoto di Efeso, IV-III secolo a.C ., filologo
elegiaco, del filone politico-moraleggiante. Timèo di Taurom enio, IV-III secolo a.C ., au­ alessandrino, prim o direttore della Biblioteca di
to per le sue polemiche poesie (chiamate Siili), con tore di una Storia in trentotto libri, dalle origini
Sòtade di M aronea, poeta giambico, inventò Alessandria, uno dei pionieri dell’esegesi omerica,
revisioni critiche della mitologia e della teologia tra­ greche fino al principio della I guerra punica; sto­
il verso «sotadeo» e sviluppò un genere di scanzo­ Divise fra l’altro in libri i due poemi omerici.
dizionale. rico stimato e molto utilizzato, fino almeno al I
n ata parodia epica (III secolo a.C .); fu ripreso da Zenone di Cizio, filosofo del IV-III secolo a.C .,
Senofonte, V-IV secolo a.C ., raggiunse nel pe­ Ennio nel Soia, e influenzò una tradizione di spet­ secolo d .C ., come fonte soprattutto di storia sice-
riodo rom ano l’apice della sua popolarità, più che fondatore della Stoa, im portante soprattutto per
tacolo comico interpretato da effeminati (kinaido- liota e italica in genere.
le sue dottrine etiche (lo «stoicismo», appunto).
come storico, come narratore e come divulgatore logoi). Tirannione il Giovane, I secolo a.C ., liberto
di ideali etico-politici, in uno stile di pensiero p ra­ della vedova di Cicerone, gramm atico greco attivo Zenone di Sidone, II-I secolo a.C ., filosofo epi­
tico e rispettoso dei poteri costituiti. Cicerone e Stesìcoro, VI secolo a.C ., lasciò u n ’am m irata cureo, ebbe come ascoltatore Cicerone (che lo uti­
raccolta di poem i lirici a tem a narrativo e influen­ a Rom a, fra l’altro m aestro di Strabone.
Sallustio risentono variamente delle sue im posta­ lizza nel D e natura deorum) e come allievo Filode­
zioni. zò il rinnovam ento della poesia mitologica. Tirannione il Vecchio, I secolo a.C ., gram m ati­ mo di G adara.
co di scuola alessandrina, fu portato a Rom a da Lu-
Senofonte Efesio, probabilmente II secolo d.C., Strabène di Amasea, I secolo a.C . - I secolo Zòilo di Anfipoli, IV secolo a.C ., pensatore ci­
cullo: im portante come insegnante, fu amico di Ci­
autore del rom anzo d ’am ore Ephesiakà. d .C ., perduto come storico e conservato come geo­ nico, noto soprattutto per i suoi attacchi contro
cerone, Cesare e A ttico, e si interessò anche di lìn­
Settanta, versione greca delle Sacre Scritture grafo, è la massima autorità della sua epoca in cam­ Platone e addirittura contro Omero (soprannome
gua latina. Si occupò dei m anoscritti greci introdotti
dall’ebraico e dall’aramaico, com posta a più mani po geografico. Si segnala per orientam ento cultu­ «Frusta' di Om ero», H om erom astix).
a Rom a da Siila (tra cui le opere di Aristotele).
in diversi periodi di tem po, e com pletata pare en­ rale filorom ano.
tro il principio dell’era cristiana. L ’opera, che de­ Tirtèo di Sparta, VII secolo a.C ., poeta autore Zòsimo, V-VI secolo d .C ., storico pagano del­
Suda, titolo di un lessico bizantino à carattere
ve il suo nom e a u n ’originaria commissione di 70, di elegie guerresche e in ciò iniziatore, con Callino l’im pero da A ugusto al 410, fonte di rilievo per
enciclopedico com pilato nel X secolo d .C ., minie­ (vedi) di un filone dell’elegia greca.
o 72 dotti ebrei, divenne ben presto l’accesso al ra di inform azione sulla letteratura classica. il periodo più recente.
Vecchio Testam ento per i Cristiani di lingua greca.
Telète, III secolo a;C ., filosofo cinico, espo­
Le versioni latine, sino a S. Girolam o, si basarono
nente popolareggiante della tradizione diatribica che
su questo testo, senza ricorso diretto alle lingue
influenzerà la satira e là cultura filosofica latina.
semitiche originali.
Teocrito, III secolo a.C ., modello principale
Sibillini (Oracoli), collezioni in esametri di re­
della poesia bucolica greca e latina, circola nel I
sponsi sibillini circolarono a più riprese nell’anti­
secolo a.C . in edizioni curate da filologi alessan­
chità greco-romana; una famosa leggenda narra che
drini, probabilm ente attivi anche a Rom a, e la sua
il re di Rom a Tarquinio Prisco ne consegnò una raccolta di tren ta idilli (così i gramm atici chiam a­
copia, che divenne ufficiale, a un apposito collegio vano le singole composizioni) ispira, dopo vari ten­
sacerdotale rom ano. Anche questa collezione «uf­
tativi minori di poesia pastorale, le Bucoliche di
ficiale» fu più volte distrutta e nuovam ente forgia­
Virgilio, che si am algamano con l’originale teocri-
ta. La raccolta che possediamo è una compilazio­
teo nel fissare il quadro di riferim ento della tradi­
ne tardo-antica, interpolata di materiali ebraico- zione pastorale europea.
ellenistici e cristiani.
Teòfane di Mitilene, I secolo a.C ., consigliere
Sìmia di Rodi, IV secolo a.C ., versificatore e politico di Pom peo e storico, di dubbia obiettività,
gram m atico noto più che altro come iniziatore del delle sue imprese.
filone dei Technopaegnia, poesie come L ’uovo che
mim ano graficamente la form a dell’oggetto da de­ T eofrasto, IV-III secolo a.C ., il successore di
scriversi. A ristotele, gode di vasta fortuna soprattutto per
la sua produzione naturalistica, che è ad esempio
Simònide di Ceo, VI-V secolo, poeta lirico ed tra le fonti principali, dirette e indirette, della Na-
elegiaco am m irato per stile e sentimento; certe sue turalis Historia-, m a è presente anche, come filoso­
intonazioni sopravvivono nella lirica oraziana. fo «puro», in Cicerone e Seneca.
Sirène, I secolo a.C ., filosofo epicureo attivo Teògnide di M egara, VI secolo a.C ., poeta ele­
a Napoli. Della sua cerchia fece parte il giovane giaco autore di una raccolta di com ponimenti in
TAVOLE CRONOLOGICHE
Secoli VIII-IV a.C.

CULTURA LATINA STORIA ROMANA STORIA E CULTURA GRECA

814 D ata della contem poranea fondazione di Rom a e C arta­


gine secondo t im e o .
776 D ata tradizionale della prim a Olimpiade.

21-4-753 D ata della fondazione di R om a secondo v a r r o n e .


753 A nno dal quale decorrono gli anni ab Urbe condita
(753 = anno 1 a.U .c.).
751 D ata della fondazione di R om a secondo c a t o n e . In questo secolo si colloca comunemente la data della redazione scritta dei due poemi
attribuiti ad Omero, Iliade e Odissea.
750 D ata della fondazione di Rom a secondo po lib io e
DIODORO.

747 D ata della fondazione di Rom a secondo fa b io p it t o r e .


H a inizio, verso la m età del secolo, la colonizzazione greca in Occidente. Secondo la
tradizione, la colonia di più antica fondazione sarebbe stata c u m a . Seguono, in questo
secolo (sempre secondo la tradizione), le fondazioni di m e t a p o n t o , Re g g io , n a x o s , s ir a -
CUSA, ZANCLE (MESSINA), CATINA (CATANIA), LEONTINOI (LENTINl), MEGARA HYBLAEA, SIBA-
RI, CROTONE, TARANTO.

728 Data della fondazione di Roma secondo c in c io a l im e n t o .

716 M orte di Romolo, secondo la tradizione.


715 Comincerebbe il regno di Numa Pompilio, il leggendario
fondatore delle istituzioni religiose di Rom a. 700 A ttorno a quest’anno si colloca la fioritura di Esiodo, l’autore di L e opere e i giorni
e della Teogonia.
Sono del settimo secolo le fondazioni delle colonie di g e l a , p a r t e n o p e , s e l in u n t e , h im e -
RA, POSIDONIA.
676-673 In questo periodo il poeta lirico Terpandro di Lesbo avrebbe riportato la vittoria in
673 Leggendaria m orte di Numa Pompilio, cui sarebbe suc­ una festa in onore di A pollo Carneo, a Sparta.
cesso Tulio Ostilio (673-642). Sotto il suo regno sarebbe È attivo nella prim a m età del secolo il poeta elegiaco Caliino di Efeso.
avvenuta la distruzione di a l b a l o n g a , in seguito allo
scontro fra Orazi e Curiazi. 6-4-648 Eclisse totale di sole citata dal poeta giambico Archiloco di Paro: è la prim a data certa
della letteratura greca.

642 D ata tradizionale della m orte di Tulio Ostilio. Gli succe­


derebbe Anco Marzio (642-617), il fondatore di o s t i a .
Nella seconda m età del secolo si colloca l’attività poetica dell’elegiaco Tirteo di Sparta
e del fondatore della lirica corale, Alcmane.

617 M orrebbe Anco Marzio. Gli succederebbe un sovrano


etrusco, Tarquinio Prisco (616-579): evidentemente, in
questo periodo gli Etruschi occupano Rom a, pur senza
sottom etterla del tutto. Nella scultura greca ha inizio la rappresentazione del corpo maschile nudo (Kouroi) e
di quello femminile drappeggiato (Korai). Di qui nascono i due temi, del nudo e del
579 M orte, tradizionale, di Tarquinio Prisco. Sempre secon­ panneggio, che saranno alla base dell’arte europea.
do la tradizione, a lui succederebbe Servio Tullio (578-
535). Avrebbe istituito lui l’ordinam ento centuriato, b a­ ca. 590 A ttorno a questo periodo fioriscono i due sommi poeti lirici di Lesbo, Saffo e Alceo.
se dell’organizzazione sociale di Rom a, e avrebbe con­ 581 Fondazione della colonia greca di a g r ig e n t o , che assurge subito a grande potenza.
cluso un prim o trattato coi Latini.
640 TAVOLE CRONOLOGICHE
TAVOLE CRONOLOGICHE 641

CULTURA LATINA STORIA ROMANA STORIA E CULTURA GRECA

ca. 550 Sono attivi, in questi decenni, i due più antichi filosofi greci, entram bi di Mileto nella Ionia:
Talete e Anassimandro. Negli stessi decenni si colloca la fioritura del poeta elegiaco Mimner-
mo, di Solone e del prim o poeta greco d ’Italia di cui si abbia notizia, Stesicoro di Imera.
546 I Persiani, guidati dal re c i r o , conquistano la Lidia.
ca. 540 Battaglia di a l a l i a , in Corsica: Cartaginesi ed Etruschi, alleati, sconfiggono la flotta
greca dei Focesi.
535 M orrebbe Servio Tullio. Gli succederebbe l’ultimo re di
Rom a, Tarquinìo il Superbo (534-510). Sono attivi il poeta elegiaco Teognide, l’autore di giambi Ipponatte, il filosofo Anassiine-
ne di Mileto, il poeta lirico magno-greco Ibico di Reggio.
531 Il filosofo Pitagora emigra da Samo a Crotone, in M agna Grecia.
527 In Atene muore p i s i s t r a t o , che con alterne vicende h a tenuto il potere per quasi qua-
ra n t’anni.
Risalgono almeno a que­ 525 Nasce ad Eieusi Eschilo.
sto secolo i più antichi do­
cumenti in lingua latina 522 11 poeta Anacreonte si trasferisce ad Atene. In quest’anno (o nel 518) nasce Pindaro,
(iscrizioni di vario genere) sommo poeta lirico.
giunti fino a noi. 514 In Atene il tiranno i p p a r c o è ucciso da quelli che diverranno i «tirannicidi» per antono­
masia: ARMODIO ed ARISTOGITONE.
510 Cacciata di Tarquinìo il Superbo. Il re etrusco p o r s e n n a
muoverebbe guerra a Roma: è il periodo degli eroi leg­ 510 F rontone ovest del Tempio di A th en a A phaia, ad e g in a . Fine della tirannide in Atene.
gendari MUZIO SCEVOLA, ORAZIO COCLITE, CLELIA.
509 Sono eletti i due primi consoli della Repubblica, Bruto È attivo il tragediografo Frinico. O perano anche il filosofo Eraclito di Efeso e il primo
e Collatino, p o l i b i o ricorda di quest’anno un prim o tra t­ storiografo greco di cui si abbiano notizie certe, Ecateo di Mileto.
tato commerciale fra Rom a e Cartagine.
497 Nasce il tragediografo Sofocle.
494 Lotte in Rom a tra patrizi e plebei: la tradizione colloca
in questo contesto Menenio Agrippa.
493 T rattato coi Latini (foedus Cassianum).
492 Frinico scrive La presa di M ileto, tragedia che ha per argomento un fatto contemporaneo.
491 Secondo la tradizione, spedizione di Coriolano e dei Volsci
contro Roma. 490 Sbarco in Grecia dei Persiani, guidati da d a r i o : battaglia di m a r a t o n a e vittoria atenie­
se. Contem poraneo è il F rontone est del Tempio di A th en a A phaia ad Egina.
485 Verso quest’anno nasce il tragediografo Euripide.
484 Nasce lo storico Erodoto.
480 Nuovo sbarco in Grecia dei Persiani, guidati da s e r s e : battaglia di s a l a m i n a , e vittoria
dei Greci guidati da T e m i s t o c l e . I Siracusani, coalizzati con gran parte delle città greche
di Sicilia, sconfiggono i Cartaginesi nella battaglia di i m e r a . Di questi anni è la fondazio­
ne dell’originario Teatro d i Siracusa.
472 Eschilo: I Persiani, la più antica tragedia greca giunta a noi. Negli stessi anni, ad Elea
in Cam pania, è attiva la scuola filosofica fondata da Senofane, che ha tra i maggiori
rappresentanti Parmenide e Zenone.
ca. 470 Nasce Socrate. Si costruisce il Tempio di Zeus a Olimpia.
467 Eschilo: I Sette a Tebe.
ca. 460 Nasce il sommo storiografo Tucidide. Sono di questo periodo i Frontoni del Tempio
di Zeus a Olimpia.
458 Eschilo rappresenta la trilogia A gam ennone, Coefore, Eum enidi, la cosiddetta «Orestia»,
tra i capolavori di ogni tempo.
456 M uore Eschilo.
451 I consoli sono sostituiti dai decemviri, che iniziano la
stesura delle Leges X I I Tabularum.
450 I decemviri com pletano la stesura delle Leges X I I Ta­ 450 È attivo in questi anni il filosofo Empedocle di Agrigento.
bularum.
TAVOLE CRONOLOGICHE 643
642 TAVOLE CRONOLOGICHE

STORIA E CULTURA GRECA


CULTURA LATINA STORIA ROMANA

449 Cacciata dei decemviri: si ripristina il consolato. 447 H a inizio ad Atene la costruzione del Partenone. Posteriore a quest’anno è la morte
447 Istituzione della questura. di Pindaro.
445 Nasce Aristofane, il massimo com mediografo ateniese.
445 L ex Canuleia: possibili i matrim oni tra patrizi e plebei.
444 Abolizione del consolato e istituzione dei tribuni m ili­
timi consulari potestate.
443 Istituzione della censura. 442 Sofocle: A ntigone, la sua più antica tragedia di cui si conosca la data e che ci sia pervenuta.
438 Si conclude la costruzione del Partenone. Lo scultore Fidia crea Y Athena Parthenos,
statua fra le più celebri dell’antichità. Nello stesso anno Euripide rappresenta YAlcesti,
la prim a sua tragedia giuntaci.
436 Fidia scolpisce u n ’altra statua celeberrima, lo Zeus di Olimpia.
433 Sull’Acropoli di Atene si conclude la costruzione dei Propilei.
432 Fidia com pleta Fregio e fro n to n i del Partenone.
431 Euripide: M edea. Scoppia la guerra del Peloponneso, fra Atene e Sparta.
431 V ittoria dei Rom ani sugli Equi, presso il m o n te a lg id o .
429 M uore p e r i c l b , che per circa un trentennio ha guidato la politica di Atene. Prim a rap ­
presentazione del com m ediografo Eupoli.
428 Euripide: Ippolito. In quest’anno, o nel successivo, nasce Platone.
425 Aristofane: Acarnesi, la sua più antica commedia pervenutaci. È attivo in Atene anche
il com mediografo Cratino.
424 M uore Erodoto. In quest’anno e nei successivi Aristofane rappresenta alcuni suoi capo­
lavori.
- 420-417 In questi anni fiorisce lo scultore Policleto, autore del D oriforo.
415 Euripide: L e Troiane.
411 Aristofane: Lisistrata.
406 M uore Euripide: le sue ultime tragedie, di quest’anno, sono Ifigenia in A ulide e Baccanti.
Si conclude YEretteo, Sull’Acropoli di Atene.
405 M uore Sofocle: YEdipo a Colono sarà rappresentato postum o.
403 L ’oratore Lisia pronuncia il discorso Contro Eratostene, tra i suoi più celebri. In questi
anni m uore Tucidide, autore di u n ’opera storica sulla Guerra del Peloponneso (che si
è conclusa l’anno precedente con la vittoria di Sparta su Atene).
399 Uccisione di Socrate. Platone comincia a scrivere i suoi dialoghi.
Nei primi anni di questo secolo sembra si debba collocare l’attività di Antimaco, autore
di una L ide e di una Tebaide.
388 Aristofane: P luto, l’ultim a sua commedia sicuramente datata. Platone fonda l’Accade-
mia in Atene.
387 d io n ig i d i s ir a c u s a ha di fatto l’egemonia su tutti i Greci di Sicilia.
387 (secondo altre fonti 390). I Galli incendiano Roma.
385 M uore Aristofane.
384 Nascono, nello stesso anno, Aristotele e Demostene.
380 L ’oratore ateniese Isocrate (436-338) pronuncia il Panegirico.
Di questo periodo (fra il 388 e il 366) sono i più celebri dialoghi di Platone: Simposio,
378 Costruzione, in Rom a, delle cosiddette M ura serviane. Fedone, L a Repubblica, Fedro ecc.
371 Battaglia di l e u t t r a : i Tebani sconfiggono gli Spartani. Tebe è la città più im portante
della Grecia.
368 Aristotele si trasferisce in Atene.
367 M uore d i o n i g i d i s i r a c u s a , dopo un potere quasi quarantennale che lo aveva portato
alla egemonia sulla Sicilia greca.
644 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 645

CULTURA LATINA STORIA ROMANA STORIA E CULTURA GRECA

366 Reintroduzione del consolato, aperto anche ai plebei. Isti­


tuzione della pretura.
364-361 In questi anni culmina l’attività dello scultore Prassitele, l’autore dell 'A fro d ite di Cnido.
364 Livio ci dà notizia di
una rappresentazio­
ne di Fescennini in
Roma.
362 Senofonte, nella sua opera storica Elleniche, narra gli eventi fino a quest’anno.
359 F ilip p o ii diventa re di Macedonia.
355 Isocrate pronuncia il suo discorso Sulla Pace.
351 Demostene pronuncia la Prima Filippica.
In questi anni Archestrato di Gela compone un poemetto sull’arte di mangiar bene.
348 T rattato commerciale fra Rom a e Cartagine.
347 M uore Platone. In questi anni è attivo Alessi, autore della Com media di Mezzo che
sarà modello di P lauto e Turpilio.
343 Prim a guerra sannitica. 343 Demostene pronuncia la sua Seconda Filippica.
341 Nascono nello stesso anno il com mediografo Menandro e il filosofo Epicuro. Demostene:
Terza Filippica.
340 Cam pani e Latini si alleano contro Roma.
338 R om a sconfigge la Lega Latina: fra i suoi generali Man­
lio Torquato e Decio Mure. 338 Con la battaglia di c h e r o n e a , F i lip p o n ottiene il predominio sulla Grecia.
336 F i lip p o ii è ucciso: il ventenne A l e s s a n d r o diventa re di M acedonia. Di quest’epoca,
più o meno contemporanee, sono le opere storiche di Eforo (Storie) e di Teopompo
(Storia Filippica).
333 A l e s s a n d r o m a g n o sconfigge i Persiani nella battaglia di isso.
331 A l e s s a n d r o m a g n o sbaraglia i Persiani nella battaglia di g a u g a m e la . Fondazione di a le s -
s a n d r i a , in Egitto.
330 L ’oratore Eschine pronuncia il discorso Contro Ctesifonte, Demostene: Sulla Corona.
327 Assedio di Napoli e inizio della seconda guerra sannitica. 328-325 In questi anni culmina l’attività dello scultore Lisippo.
326 A l e s s a n d r o m a g n o raggiunge i confini del mondo conosciuto.
323 M uore A l e s s a n d r o m a g n o . In Egitto è sovrano t o l o m e o i s o t e r (323-283). Iperide: Con­
tro' Demostene.
322 M uoiono nello stesso anno Aristotele e Demostene.
321 I Rom ani, sconfitti dai Sanniti, subiscono l ’umiliazione
delle Forche Caudine.
320 Menandro rappresenta la sua prim a commedia. In questi anni (o nei successivi) nascono ·
i poeti Callimaco, Teocrito, Arato, m entre forse già inizia la sua attività Fileta.
319 I due principali alunni di Aristotele sono attivi: Dicearco e soprattutto Teofrasto, che
in quest’anno scrive I Caratteri.
317 Menandro: Dyskolos.
316 Ripresa della guerra contro i Sanniti.
312 Appio Claudio è 312 A ppio Claudio costruisce la Via A ppia. 312 Si trasferisce ad Atene il filosofo Zenone, fondatore della scuola stoica.
censore. Di questi anni è il fiorire della storiografia su Alessandro Magno e le sue imprese: l’au to ­
re che avrà più influsso sulla letteratura latina è Clitarco.
307 Appio Claudio è
console.
646 TAVOLE CRONOLOGICHE
TAVOLE CRONOLOGICHE 647

CULTURA LATINA STORIA ROMANA


STORIA E CULTURA GRECA

306 Nuovo trattato fra Rom a e Cartagine.


306 Epicuro fonda la sua scuola in Atene.
304 II giurista Gneo Fla­ 304 Pace tra Roma e i Sanniti.
vio espone nel Fo­
ro u n suo c a ­ 301 Zenone fonda la sua scuola in Atene, nella Stoà, donde il nome «stoica» della sua cor­
lendario. rente filosofica.
In questo periodo è attivo il retore Egesia, considerato il fondatore dell’«asianesimo».

III secolo a.C.

CULTURA LATINA STORIA ROMANA


STORIA E CULTURA GRECA

298 H a inizio la terza guerra sannitica.


296 Secondo consolato di Appio Claudio.
Nel prim o decennio di questo secolo si collocano all’incirca la m orte del com m ediografo Difi­
lo, la composizione dello Scritto sacro di Evemero, la nascita del grande poeta epico Apollonio
Rodio.
295 Battaglia di s e n t i n o e grande vittoria ro­
m ana sui Sanniti.
290 Pace tra Rom a e i Sanniti.
290 M uore Menandro; fiorisce in questi anni Asclepiade, insieme al poeta elegiaco Ermesianatte
e al com mediografo Apollodoro di Caristo, tra i principali modelli di Terenzio.
287 M uore Teofrasto.
283 M uore il re d ’Egitto t o l o m e o i s o t e r . Gli succede t o l o m e o ii f i l a d e l f o (283-247).
280 Discorso contro P irro di Appio Claudio, 280 Pirro, re dell’Epiro, sbarcato in Italia su
vecchio e ormai cieco (da cui l’appellati­ In questo periodo all’incirca Duride di Samo scrive la sua Storia M acedone. Il filologo Zeno-
invito di T aranto, sconfigge i Rom ani a
vo di Cieco aggiunto al suo nome). Il giu­ ERACLEA.
doto è a capo della Biblioteca di Alessandria.
rista Coruncanio è console.
279 Battaglia di a s c o li e pace di Pirro coi
Rom ani.
278 Pirro sbarca in Sicilia: Rom a e Cartagi­
ne si alleano contro di lui.
275 Pirro è definitivam ente sconfitto a B e ­
n e v e n to .
Sono attivi in questo periodo i filosofi Menippo di G adara (autore di opere in cui si alternava­
no prosa e versi) e Bione di Boristene, entram bi cinici: Bione è considerato l’elaboratore della
diàtriba. Più o meno negli stessi anni, alla corte di Tolomeo Filadelfo, Sotade di M aronea
scrive com ponimenti licenziosi.
272 Livio Andronico, forse bam bino, è con­ 272 ta r a n to si arrende ai Romani.
dotto schiavo da T aranto a Roma. Di questo periodo sono all’incirca gli Idilli di Teocrito.
270 A ttorno a quest’anno nasce Nevio, in 270 Roma conquista R e g g io ed è padrona del­
Cam pania. l’intera Italia peninsulare. 270 M uore Epicuro.
In età giovanile, all’incirca in quest’epoca, Apollonio Rodio scrive le Argonautiche.
265 Verso quest’anno Apollonio Rodio succede a Zenodoto nella direzione della Biblioteca di Ales­
sandria.
264 H a inizio la p r im a g u e r r a p u n i c a .
264 M uore vecchissimo il com m ediografo Filemone. La Storia della Sicilia di Timeo di Taurome-
È di quest’anno il primo spettacolo di gla­
nio — opera in cui sono trattate anche le vicende storiche di Rom a — arriva a narrare i
diatori che si sia tenuto a Roma.
fatti di quest’anno.
262 M uore Zenone, il fondatore della scuola stoica; nella direzione di questa gli succede Cleante.
260 Prim a battaglia navale dei Rom ani, vit­
260 Poco dopo questa d ata Teocrito muore.
toriosi a m i l a z z o .
648 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 649

CULTURA LATINA STORIA ROMANA STORIA E CULTURA GRECA

254 II giurista Coruncanio è il primo ponte­


fice massimo plebeo.
251 Prim a di quest’anno nasce Plauto, a
Sarsina.
247 M uore il sovrano d ’Egitto t o lo m eo ii f il a d e l f o . Gli succede il figlio to lo m eo ih ever-
gete.

246 sposa B e r e n i c e . Callimaco scrive la Chioma di Berenice, inserendola forse


t o lo m e o e v e r g e t e
in una nuova edizione degli A itia, la sua opera più celebre, che forse era già stata pubblicata
negli anni precedenti,
Nella direzione della Biblioteca di Alessandria il grande scienziato e poligrafo Eratostene suc­
cede ad Apollonio Rodio, il quale si ritira a Rodi (da cui l’appellativo) e insegna,gram m atica
fino alla sua m orte.
In anni imprecisati (verosimilmente gli ul­
timi del conflitto) Nevio partecipa alla
guerra punica.
241 Battaglia delle e g a d i : la flotta cartagine­ 241 attalo i diventa re di p e r g a m o : sotto la sua dinastia la città raggiungerà un grande splendore
se è definitivamente sconfitta. Si conclu­ economico e soprattutto culturale ed artistico, raccogliendo in un certo senso l’eredità di Ales­
de la p r im a g u e r r a p u n i c a . sandria che si avvierà al declino.
240 Ai ludi R om ani, festa in onore di Giove 240 A ttorno a quest’anno m uore Callimaco.
Ottim o Massimo, Livio Andronico met­
te in scena una tragedia di argomento gre­
co: è il primo testo dram m atico «regola­
re» scritto in lingua latina.
239 Nasce Ennio, a Rudiae.
235 Nevio e s o r d is c e c o m e a u t o r e d r a m m a t ic o .

234 Nasce Catone, a Tusculum.


In un periodo imprecisato, m a non tro p ­ 232 Crisippo assume la direzione della scuola stoica: la terrà fino al 207.
po distante da questi anni, Livio Andro­
nico scrive VOdusia.
230 Nel decennio che si apre con quest’anno
si colloca la nascita di Cecilio Stazio, for­
se a M ediolanum.
227 Sicilia e Sardegna diventano province
rom ane.
222 Lo storico Fabio Pittore partecipa alla 222 Claudio Marcello sconfigge gl’insubri a
guerra contro gl’insubri. Posteriore a que­ ed espugna M ediolanum.
c la s tid iu m
sta data è il Clastidium di Nevio.
221 M uore t o l o m e o ni e v e r g e t e . Gli succede sul trono d ’Egitto t o l o m e o i v e i l o p a t o r e . Fiorisce
in questi anni il poeta Euforione di Calcide, modello della poesia neoterica latina.
220 Nasce Pacuvio, a Brindisi. 220 Costruzione della Via Flaminia.
218 Dopo quest’anno Nevio scrive il Bellum 218 H a inizio la s e c o n d a g u e r r a p u n i c a :
Poenicum. Annibaie passa le Alpi e sconfigge i Ro­
mani al T i c i n o e alla t r e b b i a .
217 D isfatta rom ana al T r a s im e n o .
216 Fabio Pittore è inviato a consultare l’o­
racolo di Delfi. 216 2 -8 : b a t t a g lia di c a n n e , e d is t r u z io n e
p r e s s o c h é t o t a l e d e l l ’e s e r c i t o r o m a n o .
TAVOLE CRONOLOGICHE 65 1
650 TAVOLE CRONOLOGICHE

CULTURA LATINA STORIA E CULTURA GRECA


STORIA ROMANA

212 Forse di quest’anno è VAsinaria di Plau­ 212 212 In seguito alla presa di Siracusa è ucciso lo scienziato Archimede.
I Rom ani riconquistano Siracusa. M olte
to. Nello stesso anno si istituiscono i lu­ opere d ’arte sono trasportate a Rom a.
di Apollinares.
210 Lo storico Cincio Alimento è pretore.
207 Livio Andronico scrive un inno sacro in 207 Battaglia del m e t a u r o : il generale carta­
onore di Giunone. Istituzione del colle- ginese a s d r u b a l e è sconfitto e ucciso.
gium scribarum histrionumque.
206 Nevio è fatto incarcerare dai Metelli.
205 A ttorno a questa data gli studiosi pon­ 205 Scipione, eletto console, porta la guerra
gono il Miles gloriosus di Plauto. in Africa.
204 Catone incontra in Sardegna Ennio e lo
conduce a Rom a. Cetego, primo grande
oratore rom ano, è console. È introdotto
dall’Asia M inore il culto di Cibele: s’isti­
tuiscono ih suo onore i ludi Megalenses.
202 Battaglia di z a m a e definitiva sconfitta
dei Cartaginesi.
201 Di quest’anno, o di poco precedente, è 201 T rattato di pace tra Rom a e Cartagine:
la m orte di Nevio. ha term ine la s e c o n d a g u e r r a p u n i c a .

II secolo a.C.
STORIA ROMANA STORIA E CULTURA GRECA
CULTURA ROMANA

200 Plauto: Stichus. 200 Verso quest’anno nasce lo storico Polibio.


198 II giurista Elio Peto è console.
197 Quinzio Flaminino, giovane generale 197 Sale sul trono di p e r g a m o il grande so­
aperto alla cultura, sconfigge i Macedoni vrano e u m e n e n: la sua città, che assur­
a CINOSCEFALE. gerà a grande prestigio, sarà fedele allea­
ta di Roma.
196 Flaminino proclam a solennemente la li­
bertà della Grecia, a Corinto.
195 II filologo Aristofane dirige la Biblioteca
195 Catone è console. In quest’anno o nel successivo (anziché nel 185 o nel 184, come attesterebbe
di Alessandria.
la tradizione) si fissa comunemente la nascita di Terenzio, a Cartagine.
194 Nei ludi Megalenses si cominciano a rappresentare opere teatrali.
191 Plauto: Pseudolus.
190 Ennio è già un afferm ato autore teatrale. Catone s’impegnerà, negli anni successivi, nei p ro ­ 190 Scipione «Asiatico» sconfigge a m a g n e ­
cessi contro gli Scipioni. s iail re di Siria a n t i o c o h i , alleato di
ANNIBALE.

189 Ennio partecipa alla spedizione di Fulvio Nobiliore contro A mbracia: in seguito ad essa scrive­
rà VAmbracia.
Circa in quest’anno Plauto scrive le Bacchides. 188 Pace di a p a m e a : il territorio della Siria
è diviso tra Rodi e Pergam o, che diven­
tano città di massima importanza in Asia.
652 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 653

CULTURA ROMANA STORIA ROMANA STORIA E CULTURA GRECA

Di questo periodo è la scultura, in Rodi,


della N ike di Samotracia.
185 Plauto: Casina. 185 Nasce il filosofo stoico Panezio.
184 M uore Plauto. Nello stesso anno (o nel precedente) la tradizione antica fissava la nascita
di Terenzio. Ennio ottiene la cittadinanza rom ana. Catone è censore.
183 Scipione Africano m uore, dopo aver su­
bito vari processi in Roma.
Annibaie si uccide per non cadere nelle
mani dei Romani.
181 Catone parla in difesa della l'ex Orchia, contro il lusso eccessivo. 181 H a inizio la costruzione à tW A ra di
Pergamo.
180 Secondo alcuni studiosi nasce in quest’anno Lucilio, a Sessa A urunca (la data tradizionale,
148, è certamente errata). In questo periodo sembra da porsi l’attività di Titinio, autore di
commedie togate.
179 Fiorisce Cecilio Stazio.
173 Istituzione dei Floralia, durante i quali si rappresentano mimi. Forse è di quest’anno l’espul­
sione di due filosofi epicurei da Roma.
172 Ennio ha già scritto i libri 1-12 degli Annales. Si colloca in questi anni l’attività del commedio­
grafo Luscio di Lanuvio.
170 Nasce Accio, a Pesaro.
169 Ennio: Thyestes. M uore durante i ludi Apollinares dello stesso anno. Catone appoggia la lex
Voconia, che limita per le donne il diritto di eredità.
168 M uore Cecilio Stazio. Posteriore a quest’anno è il Paulus di Pacuvio. Secondo alcuni studiosi 168 Emilio Paolo sconfigge nella battaglia di
in quest’anno (e non nel 180) nasce Lucilio: in astratto sembra questa la data più probabile. il re di M acedonia, p e r s e o .
p id n a
Dopo Pidna, e m ilio p a o l o trasferisce a Rom a la biblioteca di p e r s e o . Giunge a Rom a il
gramm atico Cratete di Mallo, principale sostenitore della teoria anom alista.
167 T ra i prigionieri della guerra di M acedonia giunge a Rom a lo storico Polibio.
Catone: Oratio prò Rhodiensibus. Probabilm ente lavora già alle Origines.
166 Terenzio: A ndria.
165 Terenzio: Hècyra (prima rappresentazione).
163 Terenzio: H eautontim orum enos.
161 Terenzio: Eunuchus, Phorm io. Un editto bandisce da Rom a retori e filosofi.
160 Terenzio: Adelphoe, Hècyra (seconda e terza rappresentazione).
159 M uore Terenzio. 159 H a termine l'A ra di Pergamo. Muore e u ­
m e n e ii: col suo successore, a t t a l o ii
(159-138) si conclude il «periodo d ’oro»
di Pergamo.
155 Giungono in Roma per u n ’ambasceria i filosofi c a r n e a d e , D io g e n e , c r i t o l a o : hanno grande suc­
cesso e l’annalista Gaio Acilio fa loro da interprete; su richiesta di Catone sono espulsi da Roma.
153 Visita di Catone a Cartagine. Nasce in questi anni il grande filologo Elio Stilone, di Lanuvio. In questi anni Panezio aderisce alla filo­
sofia stoica.
152 È l’ultim o anno trattato nelle Origines di Catone.
151 L ’annalista (in greco) Postumio Albino è console; l’oratore Sulpicio Galba è pretore.
A ttorno a questi anni nasce Lutazio Catulo.
149 M uore Catone. 149 H a inizio la t e r z a guerra p u n ic a
(149-146).
654 TAVOLE CRONOLOGICHE
TAVOLE CRONOLOGICHE 655

CULTURA ROMANA
STORIA ROMANA STORIA E CULTURA GRECA

146 Posteriori a questa data sono gli A nnales di Cassio Emina.


146 Scipione Emiliano distrugge c a r t a g i n e . 146 Le Storie di Polibio arrivano a narrare
Lucio Mummie saccheggia e distrugge gli eventi di quest’anno.
CORINTO. 145 II re d ’Egitto t o l o m e o f i s c o n e allontana
da Alessandria gli studiosi greci. Il gram ­
matico Dionisio Trace ripara a Rodi, che
con Pergamo è la città più viva d ’Oriente.
In questi anni si trasferisce a Rom a Pa­
nezio, che è accolto nel «Circolo degli
Scipioni».
144 L ’oratore Sulpicio Galba è console.
142 Acilio scrive in greco di storia rom ana.

141 Panezio accom pagna Scipione Emiliano


nel suo viaggio in Asia: si colloca in que­
sto periodo il trattato Sul Conveniente,
che influenzerà Cicerone.
140 Esordio come autore tragico di Accio, mentre tiene ancora la scena il vecchio Pacuvio.
Lelio, l’amico di Scipione Emiliano, apprezzato oratore, è console.

138 Muore il re di Pergamo at ta lo i i : gli suc­


cede. ATTalo ni.
136 Circa di quest’anno è il Brutus di Accio.
135 Accio compie un viaggio d ’istruzione à Pergamo.
135 Nasce verso quest’anno Posidonio, filo­
sofo stoico, storiografo ed erudito.
133 Lucilio partecipa alla guerra di n u m a n z ia , dove lo storico Sempronio Asellione com batte come
tribuno militare. Tiberio Gracco, oratore oltre che uom o politico, è tribuno della plebe, e 133 Scipione Emiliano conquista n u m a n z ia e
nello stesso anno è ucciso. debella la rivolta di Spagna. Nello stesso
L ’annalista Calpurnio Pisone Frugi e il giurista P. Muzio Scevola sono consoli. anno l’ultimo re dì Pergam o lascia, m o­
rendo, i Romani eredi del suo regno. Di­
sordini in Rom a e uccisione di Tiberio
Gracco a causa della «questione agraria».
130 A ttorno a questo anno si colloca la pubblicazione dei prim i libri delle Satire di Lucilio, la
m orte di Pacuvio e forse anche la fioritura dell’autore di togate Afranio.
129 Si rifà a eventi di quest’anno il Bellum H istricum del poeta epico Hostius.
129 Scipione Emiliano è ucciso. 129 Panezio assume la guida della scuola stoi­
ca; si fa meno frequente la sua presenza
a Roma.
123 Gaio Gracco, celebrato oratore, è tribuno della plebe.
122 L ’annalista Gaio Fannio è console.
121 Uccisione di Gaio Gracco.
120 In questi anni Accio è figura eminente nel eollegium poetarum , dove otterrà una statua.
120 A ttorno a quest’anno m uore Polibio.
119 Esordio dell’oratore Licinio Crasso.
119 Mario è tribuno della plebe.
118 Intorno a quest’anno (più precisamente tra il 124 e il 114) nasce lo storico Sisenna.
116 Nasce Varrone, a Rieti.
115 Emilio Scauro, autore di Commentarii autobiografici, è console.

Ili H a inizio la guerra contro g iu g u r t a , do-


. po schermaglie durate vari anni.
110 A ttorno a questa data Celio Antipatro com pone la sua opera storica.
109 In quest’anno (o nel precedente) nasce Attico.
109 Cecilio Metello e il suo luogotenente Ma­ 109 M uore Panezio.
rio assumono il com ando delle operazio­
ni nella guerra contro g i u g u r t a .
107 Lucilio: Satire (gli ultimi riferimenti interni alludono a fatti di quest’anno).
107 Mario è co n so le : g i u g u r t a è rip etu ta m en ­
te s c o n f it t o .
TAVOLE CRONOLOGICHE 657
656 TAVOLE CRONOLOGICHE

STORIA ROMANA STORIA E CULTURA GRECA


CULTURA ROMANA

106 Silla, questore di Mario, avvia trattative


106 Nasce Cicerone, ad A rpino. Nasce il m im ografo Laberio. L ’oratore Licinio Crasso, già dem o­
cratico, passa dalla parte degli aristocratici. di pace con b o c c o , alleato di g i u g u r t a .
105 g iu g u r t a è condotto a Rom a, dove sarà
105 Rutilio Rufo, autore di Com mentarii autobiografici, è console.
giustiziato: si conclude la guerra.
In questo decennio si colloca probabilm ente l’attività dei poeti amici di Lutazio Catulo: Vale­
rio Edituo, Porcio Licino, Volcacio Sedigito.
104 Mario, console per la seconda volta, è
l ’uom o più in vista di Roma.
103 M uore in tarda vecchiaia, l’autore di palliate Turpilio.
102 Lutazio Catulo è console, insieme a m a r io . M uore Lucilio. 102 Mario sconfigge i Teutoni ad a q u a e
s e x tia e .
101 Mario, insieme a l u t a z i o c a t u l o , scon­ In questi anni Aristide di Mileto scrive
figge i Cimbri ai ca m p i r a u d i i . le Storie Milesie, che Sisenna trad u rrà in
latino.

I secolo a.C. - I secolo d.C.


STORIA
STORIA ROMANA
CULTURA ROMANA E CULTURA GRECA

100 Nasce Cesare, a Roma. Circa nello stesso periodo nasce Cornelio Nepote, nella P adania. In 100 Il tribuno della plebe Saturnino propone radicali riform e, ma
seguito alla repressione della rivolta di Saturnino, Elio Stilone segue in esilio il suo amico viene ucciso.
m e t e l l o n u m id ic o (il vincitore di Giugurta).
99 L ’oratore Marco Antonio è console.
98 Forse in quest’anno nasce Lucrezio.
97 Fiorisce il poeta «preneoterico» Levio, autore di Erotopaegnia.
95 L ’oratore Licinio Crasso e il giurista Q. Muzio Scevola sono consoli. In questi anni nasce
il poeta e filologo Valerio Catone.
92 L ’oratore Licinio Crasso è censore. Chiusura, in Rom a, della scuola di Plozio Gallo.
91 Muore l’oratore Licinio Crasso. L ’opera storica di Sempronio Asellione è scritta dopo quest’anno. 91 Druso propone e fa passare un corpo di leggi e riform e in
senso democratico.
In questi anni va situata la m orte di Elio Stilone.
90 Druso è ucciso. Scoppia la g u e r r a s o c i a l e : si apre per Roma
un sessantennio di guerre.
89 Fiorisce l’autore di atellane Pomponio, di Bologna; all’incirca suo contem poraneo è Novio,
altro autore di atellane.
L ’oratore e tragediografo Giulio Cesare Strabone è console.
88 L ’oratore «asiano» Sulpicio Rufo, tribuno della plebe, è ucciso. Il filosofo eclettico Antioco 88 Silla, eletto console, pone fine alla g u e r r a s o c i a l e ; poi m ar­
di Ascalona, proveniente da Atene, giunge a Roma. cia su Roma, da dove Mario è costretto a fuggire.
87 Repressioni operate da s i l l a : sono uccisi Giulio Cesare Strabone e l’oratore Marco Antonio, 87 Siila è inviato in Oriente, contro m i t r i d a t e re dei P onto. Cin­
si suicida Lutazio Catulo. In quest’anno — o in quelli imm ediatamente successivi — nasce na, seguace di Mario, è eletto console ed è il padrone di Roma.
Catullo, a Verona.
86 Ultim a attestazione che Accio è in vita: in quest’anno o, in quelli imm ediatamente successivi 86 Mario è console per la settim a volta: nello stesso anno muore.
va collocata la sua m orte. Nasce Sallustio, ad A miternum. È a Rom a il greco Posidonio. I suoi seguaci sono padroni di Rom a: rappresaglie antisillane.
658 TAVOLE CRONOLOGICHE
TAVOLE CRONOLOGICHE 659

CULTURA ROMANA STORIA


STORIA ROMANA E CULTURA GRECA

85 Intorno a quest’anno si data la Rhetorica ad Herennium.


85 L ’opera storica di
Posidonio n arra gli
eventi dal 145 a
quest’anno.
84 (circa) Cicerone: De inventione. Precedente questa data è il De antiquitate litterarum di Varro­
ne, dedicato ad Accio, s i l l a porta a Rom a una collezione delle opere di Aristotele. 84 Cinna è ucciso, mentre Siila miete successi in Oriente.

83 Siila to rn a in Italia, e comincia la guerra contro i seguaci di


M ario.
82 Nascono Varrone Atacino, ad A tax, e Licinio Calvo, a Rom a. A ll’incirca loro coetaneo sem­
bra essere anche Furio Bibaculo, di Crem ona. T ra i prigionieri politici portati a Rom a da 82 (1-11) battaglia di p o r t a c o l l i n a : Silla sconfigge i mariani
s i l l a sono Tirannione il Vecchio, gramm atico analogista, e il teorico dell’anom alia Alessandro
ed è il padrone di Roma.
Poliistore.
81 Cicerone: Pro Quinctio, il prim o dei suoi discorsi. In questi anni fiorisce l’annalista Valerio
Anziate. 81 Siila assume la d ittatu ra e scatena le tristemente celebri pro­
scrizioni. T ra i suoi collaboratori principali sono i giovani pom -
ΡΕΟ, CRASSO, LUCULLO.
80 Cicerone: Pro Roscio Amerino. Forse a partire da questo periodo sono composte le Saturae
Menippeae di Varrone.
79 Cicerone compie un lungo viaggio in Grecia e in Asia.
79 Silla, dopo aver riordinato con un corpo di leggi l’assetto del­
la repubblica rom ana, si ritira a vita privata.
78 Sisenna è pretore: posteriori a quest’anno sono le sue Historiae. Silla scrive Commentarii
autobiografici. 78 M uore Silla: si ribella s e r t o r i o in Spagna.
77 Varrone: Ephemeris navalis. M uore l’autore di togate Atta.
77 ha conquistato l’intera Spagna: Pompeo è inviato
s e r to r io
contro di lui.
76 Nasce Asinio Pollione, a Chieti.
75 (circa) A rriva in Rom a dalla Grecia il filosofo epicureo Filodemo: terrà lezione ad Ercolano.
Cicerone è questore in Sicilia. 75 Pompeo com batte contro s e r t o r i o , che ha stretto alleanza con
MITRIDATE.
74 lucullo, console, è inviato contro m it r id a t e .
73 L ’annalista Licinio Macro è tribuno della plebe. Vario, poco più anziano dell’amico Virgilio,
nascerà verso quest’anno. Giunge schiavo a Rom a Partenio di Nicea, che diverrà amico di 73 se r t o r io si difende, com mettendo anche atrocità. Si ribellano
Gallo e gli dedicherà i suoi Erotika pathemata. gli schiavi, capeggiati da s p a r t a c o .
72 se r t o r io è ucciso dal suo luogotenente p e r p e r n a . c r a sso è
inviato contro gli schiavi in rivolta.
71 Cicerone: Pro Tullio.
71 Pompeo, dopo avere sconfitto p e r p e r n a , dom a anche la ri­
volta degli schiavi.
70 Nasce (il 15-10) Virgilio, presso M antova. Cicerone scrive le Verrinae.
70 Consolato di Pompeo e Crasso.
69 Cicerone: Pro Fonteio, Pro Caecina. L ’oratore Ortensio è console. Verso quest’anno nasce
Gallo.
68 Inizio della corrispondenza tra Cicerone e a t t i c o . Cesare è questore.
67 M uore Sisenna.
67 Pompeo sgomina i pirati e, con la lex Manilia, è inviato con­
tro MITRIDATE.
66 Cicerone è pretore, e pronuncia il discorso Pro lege Manilia. Si suicida l’annalista Licinio Macro.
65 (8-12) nasce Orazio, a Venosa. Cesare è edile. Dopo più di vent’anni trascorsi ad A tene torna
a Rom a Attico.

64 Pompeo ottiene clamorose vittorie su m i t r i d a t e , che si uccide.


63 Cicerone è console. Pronuncia quattro discorsi: De lege agraria, Pro Rabirio, Pro Murena,
Catiiinariae. 63 Scoperta e repressione della «congiura» di c a t il in a .
Nasce Ottaviano, lo stesso anno del suo futuro generale Agrippa.
62 Cicerone: Pro Sulla, Pro Archia poeta. Cesare è pretore.
62 c a tilin a è sconfitto e ucciso: Pompeo to rn a trionfatore dal-
l’Oriente.
660 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 661

STORIA
CULTURA ROMANA STORIA ROMANA E CULTURA GRECA

61 H a inizio l’am ore di Catullo per «Lesbia».


60 Prim o trium virato, fra Pompeo, Cesare e Crasso.
59 Nasce Livio, a Padova. Cicerone: Pro Flacco. 59 Cesare è console: ottiene, per l’anno successivo, un com ando
sulla Gallia.
58 Cicerone in esilio. Finisce l’am ore di Catullo per «Lesbia». Il filosofo e poligrafo Nigidio 58 Cesare comincia la sua cam pagna di Gallia.
Figulo è pretore. Successivo a quest’anno è il Bellum Sequanicum di Varrone Atacino. È
pretore g a i o m em m io, amico di l u c r e z i o , c a x u l l o e c i n n a .
57 Cicerone è rim patriato: D e dom o sua. Catullo e Cinna partecipano a una spedizione in Bitinia.
56 Cicerone: D e haruspicum responso, Pro Sestio, In Vatinium, Pro Caelio, D e provinciis consu- 56 II congresso di Lucca proroga di cinque anni il com ando di
laribus, Pro Balbo. Cinna sc riv e un Propem ptikon p er p o l l i o n e . Cesare in Gallia.
55 Verso quest’anno m uore Lucrezio; nello stesso periodo nasce forse Tibullo. Cicerone: In Piso- 55 Pompeo e Crasso sono consoli.
nem e De oratore. Lo storico greco Timagene è condotto prigioniero a Rom a. Costruzione
del primo teatro di pietra in Rom a, il Teatro di Pom peo.
54 Forse in quest’anno Catullo pubblica il suo L iber e muore. Si pensa che Cicerone pubblichi, 54 Crasso è inviato in Oriente contro i Parti.
sempre quest’anno, il D e rerum natura di Lucrezio, postum o. Cicerone: Pro P iando, Pro
Scauro, Pro Rabirio P ostum o. Cesare: D e analogia.
53 Battaglia di c a r r é : Crasso è ucciso.
52 Cicerone: Pro M ilone. Sallustio è tribuno della plebe. 52 A narchia in Rom a, dove si fronteggiano bande rivali (m ilo n e
uccide c l o d i o ) . Pompeo è console senza collega. Cesare espu­
gna a l e s i a e conquista la Gallia.
51 Cicerone: De re publica. Cesare: D e bello Gallico. 51 M uore Posidonio.
50 M uore Ortensio. Sallustio è espulso dal senato per indegnità m orale. Nasce in questi anni
Seneca il Vecchio. (Circa) Comincia la costruzione del Teatro di Marcello.
49 Cesare varca il Rubicone: è la guerra civile. Pompeo si rifugia
in Grecia.
48 (9-8) battaglia di f a r s a l o : Cesare sconfigge Pompeo che, ri­
parato in Egitto, è ucciso dal re t o l o m e o .
47 M uore Licinio Calvo. Forse in quest’anno nasce Properzio, forse ad Assisi. Varrone: A n tiq u i­ 47 Cesare sconfigge in Oriente f a r n a c e , poi sbarca a T aranto.
tates rerum divinarum. Attico: L iber annalis.
46 Cesare: D e bello civili. Cicerone pronuncia i discorsi Pro Marcello e Pro Ligario, m a principal­ 46 Solenni onori a Cesare, che nella battaglia di t a p s o , in A fri­
mente si dedica a retorica (Brutus, Orator) e filosofia (Paradoxa Stoicorum ). Sallustio, riabilitato ca, vince le ulteriori resistenze dei pompeiani.
da Cesare, è pretore; nello stesso anno diverrà governatore della provincia di «A frica nova».
G ara di mimo, davanti a Cesare, tra Laberio e Publilio Siro. Suicidio di c a t o n e , a litica.
45 Cicerone pronuncia il discorso Pro rege Deiotaro, poi si tu ffa nelle opere filosofiche: A cade­ 45 A m u n d a , in Spagna, Cesare vince le ultime resistenze pom ­
mica, D e fin ib u s bonorum et maiorum, Tusculanae disputationes, D e natura deorum. Varro­ peiane. T orna in R om a da padrone, si fa tributare onori da
ne: D e lingua Latina. M uore in esilio Nigidio Figulo. sovrano orientale, vara un num ero imponente di riform e co­
stituzionali.
44 Cesare è ucciso. Cicerone scrive u n ’opera retorica (Topica) e molte opere filosofiche: De D ivi­ 44 (15-3) Cesare è ucciso. Gli uccisori b r u t o e c a s s i o fuggono
natione, D e fa to , Cato maior, Laelius, D e officiis. dall’Italia: Antonio appare l’erede morale di Cesare. E ntra
in scena il giovane Ottaviano, che Cesare aveva adottato nel
suo testam ento.
43 Cicerone: Philippicae. Il 7-12 è ucciso. Varrone, anche lui proscritto, riesce a salvarsi: scrive 43 Guerra tra Ottaviano (alleato coi due consoli dell’anno, i r z i o
il D e gente populi R om ani. M uore Laberio. Forse di quest’anno è il Bellum Catilinae di Sallu­ e p a n s a ) e Antonio. Battaglia di m o d e n a : Antonio è sconfit­
stio. Nasce Ovidio, a Sulmona. Nasce Ligdamo. to , i due consoli m uoiono. Accordo fra i due nemici e secon­
do trium virato, con Antonio, Ottaviano e Lepido. Seguono
proscrizioni e uccisioni dei nemici, soprattutto di Antonio.
42 Virgilio inizia le Bucoliche. Orazio com batte a Filippi, dalla parte dei cesaricidi. 42 Battaglia di F ilip p i: l’esercito di Antonio sconfigge b r u t o e
CASSIO.
TAVOLE CRONOLOGICHE 663
662 TAVOLE CRONOLOGICHE

STORIA
STORIA ROMANA
CULTURA ROMANA E CULTURA GRECA

41 Distribuzione di terre ai veterani e conseguenti espropri.


41 Orazio inizia gli Epodi. Virgilio riesce a m antenere i suoi possessi mantovani.
40 Sallustio: Bellum Iugurfhinum. Asinio Pollione è console, ed è in una certa m isura l’arbitro
della politica rom ana. 40 l u c i o A n t o n i o , fratello del trium viro, è sconfitto nella b atta­
Fiorisce Cornelio Nepote. glia di PERUGIA.
Antonio sposa o t t a v i a , sorella di Ottaviano. La pace sembra
tornare a Roma.

39 Virgilio: Bucoliche. Probabilm ente in quest’anno entra nel circolo di m e c e n a t e . Sallustio ini­
zia le Historiae. Varrone: Imagines. Asinio Pollione istituisce in Rom a la prim a biblioteca
pubblica.
38 Virgilio e Vario presentano Orazio a m e c e n a t e , che lo am m etterà nel suo circolo.
37 Varrone: Rerum rusticarum libri. Virgilio inizia le Georgiche. Viaggio a Brindisi di m e c e n a t e :
ci sono Virgilio e Orazio.
36 Ottaviano sconfigge s e s t o p o m p eo a n a u l o c o ; Lepido è pri­ 36 Posteriore a questa
vato del trium virato. data è la Biblioteca
di Diodoro Siculo.
35 Orazio: Satire: I libro (secondo altri è del 33). In quest’anno (o nel successivo) m uore Sallu­
stio. Pollione comincia le Historiae.
33 Varrone: Disciplinarum libri. Orazio ottiene da m e c e n a t e un podere in Sabina.
32 Antonio, che ha già sposato c l e o p a t r a , ripudia ufficialmente
32 Cornelio Nepote pubblica negli anni 35-30 iì De viris illustribus. Si sa che sopravvive ad Atti­
o t t a v i a : tra lui e Ottaviano è guerra aperta.
co, il quale muore in quest’anno.
31 (2-9) Battaglia di Azio: Ottaviano sbaraglia la flotta di Anto­
31 V a l e r i o m e s s a l l a è console.
nio, che si uccide.

30 Orazio: Satire (II libro), Epodi. Gallo è governatore dell’Egitto. Almeno da quest’anno Orazio 30 c le o p a tr a si suicida: l’Egitto diventa provincia rom ana.
inizia le Odi.
29 Trionfo di Ottaviano, la cui posizione giuridica non è ancora
29 Virgilio legge le Georgiche a o t t a v i a n o che to rn a dall’Orienté; inizia VEneide. Properzio si
. chiara.
innam ora di «Cinzia». Vario: Thyestes.
28 Properzio: «Monobiblos». E ntra nel circolo di m e c e n a t e .
27 M uore Varrone. T rionfo di m e s s a l l a sugli A quitani: Tibullo ha partecipato alla spedizione. 27 Ottaviano «regolarizza» la sua posizione con una riform a co­
stituzionale. Assume l’appellativo di Augusto.

26 Suicidio di Gallo. Di quest’anno (o del successivo) è il prim o libro delle Elegie di Tibullo.
Cecilio Epirota apre in Rom a una scuola in cui si com m enta Virgilio.
25 Properzio term ina il II libro delle Elegie (forse non lo pubblica separatam ente, m a lo unirà
al III). Livio è già attivo alla sua opera storica.
23 N uova e definitiva riform a costituzionale. M uore non ancora
23 Orazio: Odi (libri 1-3). Vitruvio: De architectura.
ventenne m a r c e l l o , figlio della sorella di Augusto (del quale
ha anche sposato la figlia G iu lia ) ed erede designato.
22 Properzio: Elegie (libri 2-3).
21 Agrippa sposa G iu lia , figlia di A ugusto, rim asta vedova di m a r c e l l o .
20 Orazio: Epistole (I libro). Di poco posteriore è la prim a edizione degli Amores di Ovidio.
19 Virgilio: Eneide (lasciata incom piuta, e pubblicata da Vario). M uore il 21-9. Nello stesso anno
(o all’inizio del successivo) m uore Tibullo.
17 Augusto celebra i Ludi Saeculares. Orazio: Carmen Saeculare.
16 Properzio: Elegie (IV libro). M uore il poeta didascalico Emilio Macro.
15 Ovidio: Heroides (prima raccolta). Nasce Germanico.
14 In quest’anno — m a com unque dopo il 16 — m uore Properzio.
13 (circa) Orazio: Odi (IV libro), Epistole (II libro).
12 M uore Agrippa. Il poeta elegiaco Valgio Rufo è console.
664 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 665

CULTURA ROMANA STORIA


STORIA ROMANA
E CULTURA GRECA

9 Fiorisce l’erudito Igino. Inaugurazione dell’eira Pacis Augustae. 9 M uore d r u s o , fratello di t i b e r i o figliastro di Augusto.
8 Il 27-11 muore Orazio, seguendo di pochi mesi l’amico m e c e n a t e .
4 Fiorisce Gaio Melisso, inventore della fabula trabeata. Verso quest’anno nasce Seneca, a Cor­
dova in Spagna.
1 (circa) Ovidio: A m ores (seconda edizione), A rs amatoria, Rem edia amoris.
2 Ovidio inizia le M etam orfosi e i Fasti. 2 M uore g a io , figlio di a g r ip p a , designato erede imperiale.
4 M uore Asinio Pollione. 4 M uore l u c i o , l’altro figlio di a g r i p p a . Augusto è costretto
a adottare il figliastro t i b e r i o , con la clausola che questi adotti
a sua volta non il figlio d r u s o , m a g e r m a n i c o , figlio di suo
fratello.
5 Il giurista Ateio Capitone è console.
8 Ovidio è relegato a Tomi, sul M ar Nero. Nel viaggio com pone i Tristia (I libro). Fiorisce 8 L ’esercito rom ano guidato da v a r o è sconfitto dai Germani
l’erudito Verrio Fiacco. Prim a di questo anno Grattio compone i Cynegetica. M uore Valerio a t e u t o b u r g o . Si arresta l’avanzata rom ana in Germania: il
Messalla, letterato e protettore di poeti. confine rim arrà fissato dal Reno e dal Danubio.
9 Ovidio: Tristia (II libro). Verso quest’anno Pompeo Trogo pubblica le Historiae Philippicae.
12 Ovidio: Ibis. Si suicida Labieno, dopo che la sua opera storica è stata bruciata.
13 Ovidio: E x P onto (libri 1-3).
14 M uore Augusto, lasciando come testam ento letterario e storico le R es gestae. Forse di questi
anni sono gli A stronom ica di Manilio. Di quest’anno o di quelli imm ediatamente successivi 14 (9-8) M uore Augusto. Dopo un mese d ’interregno gli succede
sono gli Aratea e i Prognostica di Germànico. Tiberio.
15 Velleio Patercolo esercita la pretura, conferitagli da Tiberio. 15 g e r m a n ic o ottiene notevoli successi contro i Germani.
17 M uore Livio. Nello stesso anno o nel successivo m uore anche Ovidio, in esilio. 17 g e r m a n ic o è inviato in Oriente, contro i Parti.
19 M uore Germanico. Forse nello stesso anno muore lo storico Fenestella. 19 Misteriosa m orte di g e r m a n ic o .

22 D opo quest’anno m uore Verrio Fiacco.


23 In quest’anno o nel successivo nasce Plinio il Vecchio, a Como. 23 M uore d r u s o , figlio di Tiberio.
25 Suicidio dello storico antitiberiano Cremuzio Cordo.
26 Seneca parte per l’Egitto. Nasce Silio Italico.
27 Verso quest’anno Celso compone il D e medicina. Valerio Massimo accom pagna in Asia il 27 Tiberio si ritira a Capri: il prefetto del pretorio s e i a n o è al
suo protettore Sesto Pom peo. culmine del potere.
30 Velleio Patercolo: Historiae. In questi anni il gastronom o Apicio è amico di Seiano.
31 'Seneca torna a Rom a e inizia l’attività forense. Fedro ha già com posto il I libro delle 31 s e ia n o è ucciso: si delinea come successore c a l ig o l a , figlio
Favole. Posteriori a quest’anno sono i Factorum et dictorum memorabilium libri di Valerio di g e r m a n ic o .
Massimo.
33 H a inizio la predi­
cazione di Paolo di
Tarso.
34 Si suicida il tragediografo Mamerco Scauro, incrim inato per il suo A treus. Nasce Persio, a
Volterra.
35 Lo storico Servilio Noniano è console. Nasce in questi anni Quintiliano, a Calagurris in Spagna.
37 In questi anni Seneca il Vecchio pubblica le Controversiae e le Suàsoriae. Poco tempo dopo 37 M uore Tiberio, a Capri. Gli succede Caligola (37-41).
(prima del 41) muore.
39 Nasce Lucano, a Cordova in Spagna.
41 In un anno compreso fra il 38 e il 41 nasce Marziale, a Bilbilis in Spagna. Seneca è esiliato: 41 Caligola è ucciso. Gli succede suo zio Claudio, fratello di Ger­
ha da poco scritto la Consolatio ad Marciam. manico.
666 TAVOLE CRONOLOGICHE
TAVOLE CRONOLOGICHE 667

CULTURA ROMANA STORIA


STORIA ROMANA
E CULTURA GRECA

42 Forse a fatti del 41 allude, come molto recenti, Curzio Rufo nella Historia A lexandri M agni. Claudio darà grande spazio ai liberti, il più potente dei quali
Seneca: Consolatio ad H elviam matrem (si trova in esilio in Corsica). è POLIBIO
43 Seneca: Consolatio ad Polybium .
44 Verso quest!anno si colloca la Chorographia di Pomponio Mela. In questi anni (40-50) nasce 44 Claudio c o n q u is t a la B r ita n n ia .
Stazio, a Napoli.
48 Scribonio Largo: Compositiones. Fiorisce il grammatico Remmio Falcinone.
48 (circa ) n a sc e Plu­
tarco.
49 Seneca è richiamato dall’esilio. In questi anni muore Fedro. 49 Claudio, u c c is a la m o g lie m e s s a l i n a , s p o s a a g r ip p in a , fig lia
d i c a l i g o l a , la q u a le h a g ià u n f ig lio n e r o n e , c h e l ’a n n o s u c ­
c e s s iv o sa rà a d o tt a t o d a ll’im p e r a to r e . E s p u ls io n e d e i G iu d ei
da R om a.
Nasce in questi an­
ni il filosofo stoico
51 II tragediografo Pomponio Secondo trionfa in Germania: partecipa alla spedizione il suo am i­ Epitteto.
co Plinio il Vecchio. Nel decennio che si apre con quest’anno si fissa comunemente la nascita
di Giovenale, ad Agrino.
52 Seneca: D e brevitate vitae (la data non è sicura).
53 n e r o n e s p o s a o t t a v i a , fig lia d i Claudio.
54 Seneca: A pokolokyntosis. 54 Muore Claudio: g li succede Nerone.
55 A ttorno a questa data nasce Tacito, a Terni o più probabilm ente in Gallia. 55 Nerone fa uccidere b r i t a n n i c o , figlio di Claudio e Messalina.
56 Seneca: D e clementia. È l’anno del suo consolato. 56 S e n e c a ( c o n s o le ) , e b u r r o (p r e fe tto d e l p r e to r io ) h a n n o g r a n ­
d e in flu e n z a su Nerone.
57 Inizia la sua attività il gramm atico Valerio Probo. L ’altro gramm atico Asconio Pediano pub­
blica il com mento ai discorsi di Cicerone.
58 (circa) Seneca: D e vita beata.
59 M uore lo storico Servilio Noniano. 59 Nerone u c c id e la m a d r e: n o n è c h ia r a la p a r te a v u ta d a S e n e ­
c a n e l d e litto .
60 È molto vecchio lo storico Aufidio Basso tra i più celebrati autori della sua epoca. Ai Neronia 60 Istituzione dei N eronia , giochi poetici.
Lucano recita lodi di Nerone: forse sta già lavorando al Bellum civile (Pharsalia).
61 In quest’anno o nel successivo nasce Plinio il Giovane, a Com o. Il gramm atico e poeta Cesio
Basso ha già scritto le sue liriche.
62 Forse di quest’anno è il De otio di Seneca, che si ritira gradualm ente dalla vita pubblica. 62 b u r r o m u o r e , fo r s e a v v e le n a to : t i g e l l i n o è il n u o v o p r e fe tto
M uore Persio. E attivo il poeta bucolico Calpurnio Siculo. Petronio è console intorno a que­ d e l p r e to r io .
st’anno.
63 In quest’anno — o già nel precedente — Seneca comincia a scrivere le Epistulae ad Lucilium .
64 Seneca: D e beneficiis. Marziale arriva a Rom a. Com incia la costruzione della D om us Aurea. 64 Persecuzione di Nerone contro i Cristiani.
65 In seguito alla «congiura di Pisone» sono costretti al suicidio Seneca e Lucano; è esiliato 65 È sventata la «congiura dei Pisoni».
il filosofo Cornuto In questi anni si data il D e re rustica di Columella.
66 Suicidio di Petronio e di Trasea Peto.
67 A ltra possibile data di nascita di Giovenale. 67 Fallita congiura del generale c o r b u l o n e , che si uccide. Viag­
gio in Grecia di Nerone, che ne proclama la libertà.
68 Silio Italico è console. Quintiliano inizia l’attività di m aestro di retorica in Roma. 68 insurrezione, domata, di G iu lio v i n d i c e . Altra insurrezione,
vittoriosa, di Galba che si proclama imperatore. Nerone si uc­
cide. Insorge anche n i n f i d i o s a b in o ; la sua rivolta è repressa.
69 (15-1)1 pretoriani uccidono Galba e proclamano imperatore Oto-
ne; le legioni acclamano Vitellio. Tre mesi dopo Otone è sconfit­
to e si uccide. L’l-7 le legioni d’Oriente acclamano Vespasiano
che invia a Roma l i c i n i o m u c ia n o . Battaglia di c r e m o n a : Vitel­
lio è sconfitto, Vespasiano rimane unico imperatore.
668 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 669

CULTURA ROMANA STORIA


STORIA ROM A N A
E C U L T U R A G RECA

70 Poco dopo questa data nasce probabilm ente Svetonio. H a inizio la costruzione del Colosseo. 70 figlio dell’im peratore, dom a una rivolta ebraica e occu­
TiTO,
In questo decennio culmina l’attività del filologo Valerio Probo. pa Gerusalemme.
74 Frontino è console. T ra quest’anno e il 77 m uore il poligrafo Licinio Mudano.
77 In quest’anno, o nel successivo, Plinio il Vecchio pubblica la Naturalis historia.
78 Quintiliano è chiamato da Vespasiano a occupare la prim a cattedra statale di retorica. Tacito
sposa la figlia di Agricola e comincia la sua carriera politica.
79 Nell’eruzione del Vesuvio muore Plinio il Vecchio: è pubblicata postum a la sua opera storica 79 Muore Vespasiano; gli succede il figlio Tito.
A fine Aufidii Bassi. D opo quest’anno si collocano gli Argonautica di' Valerio Fiacco.
80 Marziale: Liber de spectaculis. Inaugurazione del Colosseo; s’inizia YArco di Tito (che sarà
concluso sotto Domiziano).
81 M uore Tito; gli succede il fratello Domiziano.
85 T ra quest’anno e il precedente Marziale pubblica Xenia e Apophoreta
86 Marziale: Epigrammi (libri I e II). Gli altri libri saranno pubblicati uno alla volta durante .
gli anni successivi.
88 Tacito è pretore. Quintiliano si ritira dall’insegnamento.
92 Stazio: Tebaide. D a quest’anno si dedica alla composizione delle Silvae. È da poco m orto
Valerio Fiacco.
95 In quest’anno, o nel successivo, Quintiliano pubblica la Institutio oratoria. La sua m orte è 95 Persecuzione contro i Cristiani.
di poco posteriore.
96 Verso quest’anno muore Stazio. Foro di Nerva. 96 Domiziano è ucciso. Gli succede un senatore, Nerva.
97 Tacito è console. Frontino: De aquis urbis Romae.
98 Tacito: Agricola, Germania. Marziale ritorna definitivam ente in Spagna. 98 Nerva muore dopo avere adottato Traiano, che gli succede.

Secoli II-III d.C.

CULTURA ROMANA STORIA


STO RIA RO M A N A
E C U L T U R A G RECA

100 Plinio il Giovane è console e scrive il Panegyricus. Verso quest’anno Silio Italico pubblica
i Punica. In quest’epoca Giovenale comincia a scrivere le Satire.
101 Muore Silio Italico.
102 Marziale: Epigrammi (libro 12, l’ultimo). Verso quest’anno Tacito scrive il Dialogus de ora­
toribus.
104 (circa) m uore Marziale.
106 Traiano conquista la Dacia, che diviene provincia rom ana.
110 Tacito: Historiae. Forse in quest’anno Plinio il Giovane conclude la pubblicazione dei primi
nove libri delle Epistulae.
113 (circa) m uore Plinio il Giovane. In quest’anno (o nel precedente) Tacito è proconsole in Asia.
Colonna Troiana.
114 L ’A rm enia diventa provincia rom ana.
115 Posteriore a questa data è YEpitoma de Tito Livio di Floro. H a inizio la ricostruzione del 115 Conquista di M esopotam ia e Arabia: l’im pero rom ano rag­
Pantheon. giunge la sua massima estensione.
670 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 67 1

STORIA
CULTURA ROMANA STORIA ROM ANA
E C U L T U R A G RECA

117 Verso quest’anno si collocano gli Annales di Tacito, che poco dopo muore. Svetonio è addetto 117 M uore Traiano. Gli succede Adriano — da lui adottato
alla corrispondenza delPim peratore e all’archivio imperiale. — che rinuncia alle province di recente acquisizione.
120 (circa) Svetonio: De vita Caesarum. 120 A ttorno a que­
st’anno si col­
locano la m or­
te di Plutarco e
la nascita di
Luciano.
121 Adriano viaggia nelle province occidentali dell’im pero.
122 Cade in disgrazia Svetonio, insieme al suo protettore s e t t i c i o c l a r o : di lui non si sa più nulla.
124 Viaggio di Adriano in Grecia.
125 Verso quest’anno nasce Apuleio, a M adaura in Africa. Inizia la costruzione della Villa Adriana.
127 Ultimo riferimento cronologico nelle Satire di Giovenale. Com pletamento del Pantheon.
130 In questo periodo fiorisce il gramm atico Cesellio Vindice; Salvio Giuliano, grande giurista,
redige l 'edictum perpetuum·, l’altro giurista Pomponio scrive ì’Enchìridion. Nasce l’erudito
Gellio.
132 Inizio del Mausoleo di Adriano. 132 Scoppia una rivolta ebraica. Adriano assume il titolo di
«panellenio».
135 Fiorisce Frontone, considerato il massimo oratore del suo tempo. Di questo periodo è l’opera 135 Adriano reprime con gravi perdite la rivolta ebraica.
storica di Granio Liciniano. Villa Adriana, Tempio di Venere e Roma.
138 Muore l’im peratore Adriano, autore di poesie affini alla corrente dei «poetae novelli». 138 M uore Adriano: gli succede l’adottato Antonino Pio.
139 Mausoleo di Adriano.
143 Frontone è console. H a inizio la sua corrispondenza col futuro im peratore m a r c o A u r e l i o ,
di. cui si sono rimaste le lettere al 147.
148 Il giurista Salvio Giuliano è console.
150 A ttorno a quest’anno (o poco più tardi) nasce Tertulliano, a Cartagine.
158 Apuleio: Apologia (De magia). Successive a quest’anno devono essere le Metamorfosi.
160 Verso quest’anno muore il grande erudito Sulpicio Apollinare, maestro di Frontone e di Gellio.
161 Successiva a quest’anno è la pubblicazione delle Institutiones del giurista Gaio. 161 M uore Antonino Pio. L ’adottato Marco Aurelio coopta
il fratello Lucio Vero.
169 Di quest’anno — o poco precedenti — sono le Noctes Atticae di Gellio. In questo decennio 169 M uore Lucio Vero: le popolazioni germaniche dei q u a d i
fiorisce il più celebre dei poetae novelli, Anniano. e dei m a r c o m a n n i avanzano fin quasi in Italia.
170 Apuleio: Florida (di quest’anno sono gli ultimi riferimenti contenuti nell’opera). D a quest’an ­
no cessano le notizie su di lui.
175 Dopo quest’anno (ma secondo altri qualche anno prima) m uore Frontone.
Di questo periodo sono forse le epitomi a Pompeo Trogo di Giustino e a Verrio Fiacco di Festo.
177 Marco Aurelio coopta all’im pero il figlio Commodo.
180 Acta martyrum Scillitanorum. 180 M uore Marco Aurelio; gli succede Commodo. 180 D opo que­
st’anno muore
Luciano.
192 Commodo è ucciso; è acclamato im peratore Pertinace.
193 Colonna Antonina. 193 Pertinace è ucciso; il suo successore Didio Giuliano è
a sua volta ucciso da Settimio Severo, che resta unico
im peratore e si sbarazza di vari altri pretendenti.
195 Circa di quest’anno è la conversione di Tertulliano. Nell’ultimo decennio del secolo si colloca
secondo i più la produzione di Terenziano Mauro.
197 Tertulliano: Ad nationes, Apologeticum, De testimonio animae.
672 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 673

STORIA
CULTURA ROMANA STO RIA ROM A N A
E C U L T U R A G RECA

198 Prim a di quest’anno il giurista Papiniano compone le Quaestiones; degli anni successivi sono
i Responso.
200 Verso quest’anno nasce Cipriano, a Cartagine.
202 Passio Perpetuae et Felicitatis. Di questo decennio, secondo buona parte degli studiosi, è 1’Oc- 202 E ditto contro Cristiani e Giudei.
tavius di Minucio Felice.
203 A rco di Settim io Severo.
205 Verso questi
an n i nasce
Plotino.
207 Tertulliano si avvicina all’eresia m ontanista.
211 (circa) Tertulliano: De anima. 211 M uore Settimio Severo; gli succedono i figli Caracalla
e Geta.
212 Papiniano è ucciso. Tertulliano: A d Scapulam. In questi anni si colloca gran parte della p ro ­ 212 Caracalla uccide il fratello e prom ulga la Constitutio A n - 212- Origene: D e
duzione del giurista Ulpiano. toniniana: tutti gli abitanti liberi dell’im pero acquistano 215 ca. principiis.
la cittadinanza rom ana.
213 Tertulliano aderisce ufficialmente al montanism o.
216 Terme di Caracalla. 216 Caracalla compie una spedizione contro i Parti.
217 Caracalla è ucciso: è nom inato im peratore il prefetto del
pretorio Macrino.
218 Solino: Collectanea rerum m emorabilium (ma la datazione è molto controversa). 218 È ucciso Macrino; è acclamato Elagabalo (ma in realtà
com andano sua nonna G iu lia m e sa e sua m adre s o e m ia ).
È introdotto il culto del Sole, tornano in auge i liberti;
220 Dopo questa data m uore Tertulliano. sono svalutati alcuni aspetti fondamentali della romanità.
222 Ulpiano è prefetto del pretorio. 222 Elagabalo e la m adre sono uccisi; è im peratore Severo
Alessandro, che rivaluta le tradizioni militari rom ane e
concede ampio spazio politico ai giuristi.
224 In Oriente al regno dei P arti succede quello dei Sassani-
di, ancor più antirom ani.
228 Ulpiano è ucciso. Di questo periodo è il Liber medicinalis di Sereno Sammonico.
229 Secondo consolato di Cassio Dione, autore greco di una
' storia di Roma.
235 Uccisione di Severo Alessandro e fine della dinastia dei
Severi. I soldati cominciano a essere arbitri dell’im pero:
nom inano Massimino il Trace (235-238), che non si reca
neppure a Roma.
238 Censorino: De die natali. 238 Ultimi tentativi del Senato per avere peso nella nom ina
dell’im peratore: i due Gordiani (padre e figlio), poi Pu-
pieno e Balbino. M a si è aperto il periodo della cosiddet­
ta «anarchia militare». È eletto Gordiano III (238-244).
244-249 Filippo l’Arabo è im peratore.
246 Conversione di Cipriano: A d D onatum .
248 Cipriano diventa vescovo di Cartagine.
249-251 È im peratore Decio, che nel 250 scatena una grande per­
secuzione anticristiana.
251 Cipriano: De lapsis, D e catholicae ecclesiae unitale, Scisma di Novaziano. 251-252 Treboniano Gallo. 252 M uore Qrige-
(o 253) ne, in seguito
alla persecu­
zione di DECIO.
252-259 È im peratore Valeriano insieme al figlio Gallieno.
674 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 675

STORIA
C U L T U R A RO M A N A STO RIA ROM A N A E C U L T U R A G RECA

257 Persecuzione anticristiana.


258 M artirio di Cipriano. In questi decenni si colloca, da parte dei più, la produzione poetica
di Commodiano.
259-268 È im peratore, da solo, Gallieno.
260 Muore lo scrittore di botanica e di medicina Gargilio Marziale.
268-270 È im peratore Claudio il Gotico.
270-275 È im peratore Aureliano. 270 M u o re P io ­
tino.
271 Mura Aureliane (la costruzione si protrarrà per circa un decennio).
275-276 Claudio Tacito. Crocifissione di Mani.
276-282 È im peratore Probo, che to rn a a una politica filose­
natoria.
282-285 Caro, poi i suoi figli Carino (in Occidente) e Numeriano
(in Oriente).
284 Nemesiano: Cynegetica.
285 Rimane unico im peratore Diocleziano.
286 Diocleziano si associa Massimiano come imperatore d ’Oc-
cidente.
293 Diocleziano stabilisce un complesso meccanismo per la
successione imperiale.
298 Eumenio: Panegirico per il governatore di Gallia. Inizio delle Terme dì Diocleziano.

Secoli IV-Vili d.C.

C U L T U R A ROM A N A STORIA ROM ANA

301 Provvedimenti in difesa della m oneta.


303 Lattanzio, che ha ottenuto da Diocleziano una cattedra di retorica a Nicomedia, si converte 303 Diocleziano scatena la più feroce tra le persecuzioni anticristiane.
al Cristianesimo.
304 M artirio di Vittorino di Poetovium.
305 Lattanzio: De opifìcio Dei. 305 Diocleziano e Massimiano abdicano: subentrano Galerio (Oriente) e Costanzo Cloro (Oc­
cidente).
306 M uore Costanzo Cloro; quattro pretendenti si contendono la sua successione: i principali
sono c o s t a n t i n o (figlio di Costanzo Cloro), e m a s s e n z io (figlio di Massimiano).
310 A ttorno a quest’anno Arnobio scrive YAdversus nationes. Nello stesso periodo nasce Ausonio,
a Bordeaux.
312 D opo complesse vicende m ilitari, a p o n t e m ilv io Costantino sconfigge Massenzio e rim a­
ne l’unico im peratore d ’Occidente.
313 Costantino e Licinio (im peratore d ’Oriente) proclam ano I’e d i t t o d i t o l l e r a n z a verso
la religione cristiana ( e d i t t o d i M ila n o ).
676 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 677

CULTURA ROMANA STORIA ROM ANA

314 Lattanzio: Divinae institutiones (I edizione), Epitom e, D e ira Dei.


315 (circa) Lattanzio: D e m ortibus persecutorum . A rco di Costantino.
317 Lattanzio è nom inato, a Trèviri, precettore di c r i s p o , figlio di c o s t a n t i n o : è l’ultima notizia
certa su di lui.
321 Nazario: Panegirico di Costantino.
324 U n’iscrizione africana cita un Nonio Marcello, forse da identificarsi col gramm atico autore 324 Costantino sconfigge per due volte Licinio e rimane l’unico im peratore.
del D e compendiosa doctrina. Dopo quest’anno m uore Lattanzio.
325 Optaziano: Carmina. 325 Concilio di n ic e a .

327 (circa) M uore Arnobio.


330 Giovenco: Evangeliorum libri IV . In questo periodo nasce Ammiano Marcellino, ad Antiochia. 330 Co s t a n t in o p o l i diviene capitale dell’im pero.
337 Firmico Materno: M atheseos libri. 337 M uore Costantino. Gli succedono i tre figli Costantino II, Costante e Costanzo.
339 (circa) nasce Ambrogio, a Treviri.
340 Costantino II è ucciso. Costante è imperatore d ’Occidente, Costanzo imperatore d ’Oriente.
345 Verso quest’anno nasce Simmaco. Eusebio diventa vescovo di Vercelli.
347 (circa) Nasce Girolamo, a Stridone in Dalmazia.
348 Nasce Prudenzio, a Calagurris in Spagna.
350 Firmico Materno: D e errore profanarum religionum. Ilario diviene vescovo di Poitiers. 350 Costante è ucciso da m a g n e n z io , che si proclam a im peratore.
351 In una sanguinosa battaglia m a g n e n z io è sconfitto da Costanzo, che rimane l’unico im­
peratore di Rom a. Egli ha abbracciato l’eresia ariana.
353 Il retore Mario Vittorino ottiene una statua nel Foro. Nasce Paolino di Nola, a Bordeaux.
354 Nasce Agostino, a Tagaste in Africa. Fiorisce il gramm atico Elio Donato. Scrive la sua opera
il «Cronografo del 354».
355 Costanzo nom ina «Cesare» in Gallia g i u l i a n o che sarà denom inato l ’a p o s t a t a .
356 Ilario di Poitiers e Lucifero di Cagliari sono esiliati dall’im peratore c o s ta n z o , seguace dell’a- 357 Solenne visita a Rom a di Costanzo, mentre g i u l i a n o sconfigge gli Alam anni.
rianesimo.
357 Forse di quest’anno è la conversione al Cristianesimo di Mario Vittorino.
358 Il grammatico Carisio ottiene una cattedra a Costantinopoli.
359 (circa) Ilario dì Poitiers: D e Trinitate. Dì questi anni sono i Centones di Proba.
360 Zenone diventa vescovo di Verona. 360 Giuliano è acclamato im peratore dal suo esercito.
361 Costanzo muore: Giuliano rim ane il solo im peratore.
362 Mario Vittorino deve lasciare l’insegnamento. Mamertino: Panegirico di Giuliano. 362 Giuliano tenta una restaurazione pagana; esclude i Cristiani dall’insegnamento. Fissa la
sua capitale ad a n t i o c h i a .
363 Giuliano, mentre muove contro i Persiani, è ferito e muore: gli succede Gioviano.
364 Ausonio è a Treviri, precettore del futuro im peratore g ra z ia n o . 364 Gioviano muore; gli succede Valentiniano, che coopta Valente come im peratore d ’Orien-
te. Entram bi gl’imperatori sono ferventi cristiani.
365 Mario Vittorino: A dversus A rium .
366 Damaso è eletto papa. Negli anni successivi saranno incisi sulle tom be dei m artiri i suoi epi­
grammi.
367 M uore Ilario di Poitiers. 367 Valentiniano associa nell’im pero d ’Occidente suo figlio Graziano.
369 Ausonio: Bissula.
370 A ttorno a quest’anno Eutropio scrive il Breviarium ab urbe condita. Ambrogio si trasferisce
a M ilano come consularis Liguriae et A em iliae. Nasce Claudiano, ad Alessandria in Egitto.
371 Ausonio: Mosella. Posteriore a quest’anno è il Breviarium di Rufio Festo.
373 Prim a crisi spirituale di Agostino, a Cartagine. Girolamo parte per l’Oriente.
374 Il 7-12 Ambrogio è eletto vescovo di Milano.
678 TAVOLE CRONOLOGICHE
TAVOLE CRONOLOGICHE 679

CULTURA ROMANA STORIA ROMANA

375 Valentiniano muore. Graziano associa nell’im pero d ’Occidente Valentiniano II.
378 Paolino di Nola è console, Ausonio prefetto del pretorio. 378 Nella battaglia di a d r i a n o p o l i Valente è sconfitto e ucciso dai Goti.
379 Ausonio è console: Gratiarum actio all’im peratore G raziano. 379 Graziano nom ina im peratore d ’Oriente Teodosio.
380 Teodosio proclam a unica religione di stato il Cristianesimo quale
e d it t o d i te s s a lo n ic a :
risulta dai dettam i del concilio di Nicea.
381 Girolamo è a Costantinopoli, dove com pone il D e viris illustribus e conosce g r e g o r i o d i n a - 381 Teodosio scende a patti coi G oti. Il concilio di Aquileia sancisce la sconfitta deU’arianesi-
ZIANZO e GREGORIO DI NISSA. mo in Occidente.
382 Girolamo, tornato a Rom a, è incaricato da papa Damaso (che lo sceglie come segretario) 382 Graziano fa rimuovere dal Senato l’altare della Vittoria.
di tradurre in latino la Bibbia.
383 .Pretestato è prefetto del pretorio; Ausonio si ritira a vita privata. Simmaco è prefetto di 383 Si ribella in Spagna Massimo, che sconfigge e uccide Graziano.
Rom a (lo rim arrà fino al 385).
384 Girolamo: Vulgata (N uovo Testamento). Simmaco: Relatio III. M uore papa Damaso. 384 Teodosio riconosce Massimo come im peratore d ’O ccidente.,
385 Girolamo parte di nuovo per l’Oriente. A Treviri Priscilliano è condannato a morte come eretico.
386 Ambrogio: D e officiis ministrorum, Inni. Si converte Agostino: D e ordine, Contra Academ i-
cos, D e beata vita, Soliloquia.
387 Agostino è battezzato. Gli m uore la madre. 387 Massimo invade l’Italia: fugge Valentiniano II, che è protetto da Teodosio.
388 Definitiva sconfitta di Massimo. Valentiniano II rimane l’unico im peratore d ’Occidente.
389 Ausonio: Parentalia, Com m em oratio professorum Burdigalensium. Drepanio: Panegirico di
Teodosio. Girolamo fonda un convento a Betlemme. Aurelio Vittore è prefetto di Roma.
390 Agostino: D e magistro. Forse di quest’anno è 1’Exameron di Ambrogio. 390 Teodosio uccide 7.000 abitanti di Tessalonica. a m b r o g io lo costringe a confessare pubbli­
camente la propria colpa.
391 Agostino è ordinato sacerdote. Simmaco è console.
392 Valentiniano II m uore: si proclam a im peratore Eugenio (non riconosciuto da Teodosio),
che dà vita all’ultim a ripresa del paganesimo in Roma.
393 In quest’anno o nel successivo m uore Ausonio. Di questi anni, sotto l’impero di e u g e n i o , è la
pubblicazione dei Rerum gestarum libri di Ammiano Marcellino, che muore qualche anno dopo.
394 Paolino di Nola è o r d in a to sa c e r d o te : a p a rtire d a q u e s t ’a n n o c o n s e r v ia m o le su e Epistulae. 294 Il 6-9, nella battaglia del f r i g i d o , Teodosio sconfigge Eugenio e per l’ultim a volta l’im ­
Nicomaco Flaviano è c o n s o le , e si s u ic id a d o p o la s c o n f it t a d i e u g e n i o . Agostino: Psalmus pero rom ano ha un unico im peratore.
contra partem Donati.
395 Agostino diventa vescovo di Ippona. Girolamo: Contra Iohannem H ierosolym itanum episco- 395 Teodosio m uore, affidando i figli al generale barbaro s t i l i c o n e : Arcadio avrà l’im pero
p u m . Claudiano è a Rom a, da dove si trasferisce a M ilano, alla corte di O norio. Precedenti d ’Oriente, Onorio quello d ’Occidente. Il goto a l a r i c o invade l’Illiria.
a quest’anno sono, secondo la cronologia alta, i Saturnalia di Macrobio. Verso quest’anno
m uore Ammiano Marcellino. Paolino di Nola comincia a scrivere, uno per anno, 14 Carmina
natalicia.
397 M uore Ambrogio. Agostino inizia forse in quest’anno le Confessiones.
398 Claudiano: D e bello Gildonico e altre «poesie di corte». Rufino traduce il De principiis di 398 Onorio sposa m a r ia , figlia di s t i l i c o n e .
Origene.
399 Agostino inizia il De Trinitate. Sulpicio Severo rinuncia ai suoi beni e fonda un convento:
di questi anni è la Vita sancii M artini.
400 Forse in quest’anno Agostino term ina le Confessiones-, dello stesso anno è il Contra Faustum
M anichaeum e il D e opere m onachorum . Claudiano ottiene una statua nel Foro.
401 Agostino: D e baptismo. Prudenzio si trasferisce a Rom a e inizia la sua attività poetica.
402 Claudiano: De bello Gothico. Muore Simmaco; suo figlio memmio pubblica postume le Epistulae. 402 st il ic o n e sconfigge i Goti di a l a r ic o a po l l e n z o e a Ve r o n a .
403 Girolamo: In R ufinum . Prudenzio: Contra Sym m achum . Paolino di Nola: Epitalamio (per
le nozze di Giuliano da Eclano).
404 Claudiano: D e V I consulatu Mono rii. Poco dopo m uore. Forse di quest’anno Cathemerinon
liber e Peristephanon di Prudenzio.
405 Prudenzio: Praefatio.
680 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 681

CULTURA ROMANA STORIA ROM ANA

406 Girolamo: Vulgata (Antico Testamento). Posteriore a quest’anno è il Com m onitorium di


Orienzio. 406 Nuova vittoria di st il ic o n e sui Goti: m a il fronte del Reno ha ormai ceduto.
408 Paolino di Nola scrive l’ultimo dei 14 Carmina natalicia. 408 s t i l i c o n e viene a patti con a l a r i c o ; m a poco dopo viene fatto uccidere da Onorio.
In Oriente m uore Arcadio: gli succede Teodosio II (408-450).
409 Paolino è eletto vescovo di Nola.
410 Pelagio si reca a Cartagine. A ttorno a quest’anno si collocano forse il C om m ento a Virgilio 410 a l a r ic o saccheggia l’Italia e la stessa Roma; poi muore sul fiume Busento, presso Cosenza.
di Servio e (ma la datazione è assai incerta) il Querolus sive Aulularia. Posteriore a questa
data è il D e nuptiis M ercurii et Philologiae di Marziano Capella (che è precedente al 439).
411 M uore Rufino.
412 Agostino: P ost conlationem contra Donatistas, D e spiritu et littera.
413 Agostino comincia a scrivere il D e civitate Dei. Paolino di Nola: Epistulae.
414 Rutilio Namaziano è prefetto di Rom a. Forse di quest’anno è il D e medicamentis di Marcello. 414 Nozze tra il nuovo re dei Goti a t a u l f o e la sorella di Onorio e Arcadio, galla p l a c id i a .
Orosio conosce Agostino e, l’anno successivo, Girolamo. I Goti si stanziano in Spagna.
417 Di quest’anno — o del precedente — è il D e reditu suo di Rutilio Namaziano. Fino a quest’an ­
no giunge la narrazione di Orosio: Historiae adversus paganos.
418 Stanziam ento dei Goti in Gallia, nella regione di Tolosa.
419 Agostino: De Trinitate.
420 M uore Girolamo (in quest’anno o nel precedente). M uore Pelagio; attorno a quest’anno m uo­
re Sulpicio Severo. Cassiano: De institutis coenobiorum.
421 galla p l a c id ia sposa il generale rom ano fl a v io c o sta n zo .

422 Dopo quest’anno, secondo la teoria più accreditata, muore Macrobio.


423 M uore Onorio: s’impadronisce dell’im pero d ’Occidente il funzionario Giovanni.
425 Ucciso Giovanni, è proclam ato im peratore il figlio bam bino di g a l l a p l a c i d i a , Valenti-
427 Agostino: D e civitate Del·, Retractationes. niano III, sotto la tutela della madre.
429 Agostino: D e praedestinatione sanctorum. Cassiano: Conlationes. 429 I Vandali, guidati da g e n s e r ic o , conquistano l’Africa e vi costituiscono un autonom o
stato nazionale.
430 M uore Agostino. Sedulio: Carmen paschale (in ogni caso, è precedente al 450). Macrobio:
Saturnalia (secondo la cronologia bassa, sono da collocare nel decennio che si apre con que­
st’anno).
431 M uore Paolino di Nola.
432 Merobaude com pone un Panegirico per il prim o consolato di ezio. 432 Il generale e z io è in realtà arbitro dell’im pero d ’Occidente.
433 Gli Unni si stanziano in Pannonia.
435 Merobaude ottiene una statua a Rom a, nel foro Traiano. 435 Rom a riconosce la sovranità di g e n se r ic o su M auritania e Numidia.
437 Quodvultdeus diviene vescovo di Cartagine. 437 Valentiniano III sposa la figlia di Teodosio II.
438 Codex Theodosianus.
439 P rim a di quest’anno Possidio scrive la biografia di Agostino. 439 I Vandali conquistano e saccheggiano c a r t a g in e .

440 M uore Giuliano da Eclano. Leone Magno è eletto papa. Verso quest’anno si colloca l ’A d
ecclesiam di Salviano.
446 Merobaude scrive un Panegirico per il terzo consolato di ezio; da quindici anni è il «poeta 444 a t t il a diventa unico re degli Unni.
di corte» ufficiale.
447 Cassio Felice: D e medicina.
450 (circa) Salviano: D e gubernatione Dei. 450 È im peratore d ’Oriente Marciano (450-457).
451 e z io sconfigge a t t il a in Gallia.

452 a t t il a m arcia sull’Italia: lo ferm a papa l e o n e m agno.


453 M uore Quodvultdeus, probabile autore del D e prom issionibus et praedicationibus Dei. 453 M uore a t t il a .
454 e zio è assassinato.
682 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 683

CULTURA ROMANA STO RIA ROM ANA

455 Fino a quest’anno arriva il Chronicon di Prospero d’Aquitania. 455 È ucciso Valentiniano III. Gli succede Petronio Massimo, che sposa la vedova di lui.
M a g e n s e r i c o , re dei Vandali, occupa Rom a e pone sul trono il senatore Avito.
456 Sidonio Apollinare scrive un Panegirico per l’im peratore Avito, di cui ha sposato la figlia. 456 Avito è deposto. A rbitro del potere è ora il generale barbaro r i c i m e r o .
457 r i c i m e r o pone sul trono d ’Occidente Maggioriano. In Oriente c’è Leone (457-474). Il
nuovo im peratore d’Occidente è filosenatorio e tradizionalista.
458 Sidonio Apollinare scrive un Panegirico per l’im peratore M aggioriano.
459 Paolino di Pella: Eucharisticos
461 M uore papa Leone Magno, autore di Serm oni e Lettere. 461 si sbarazza di M aggioriano e nom ina Libio Severo.
r ic im e r o

465 Per due anni si ha un interregno nell’im pero d ’Occidente.


466 Fondazione dello stato dei Visigoti in Spagna.
467 È nom inato im peratore d ’Occidente il neoplatonico Procopio Antemio.
468 Sidonio Apollinare è console: Panegirico per l’im peratore Procopio Antem io. Fino a quest’an ­
no arriva il Chronicon di Idazio.
470 Sidonio Apollinare diventa vescovo di a r v e r n a . Verso quest’anno Paolino di Périgueux com ­
pone la Vita M artini.
472 Conflitto tra r i c i m e r o e Procopio Antemio, che muoiono entrambi. È imperatore Olibrio.
473 Il burgundo g u n d o b a d o nom ina im peratore Glicerio.
474 O r e s t e , già segretario di a t t u a , nom ina im peratore Giulio Nepote. In Oriente è impera­
tore Zenone (474-491).
475 Giulio Nepote fugge. O r e s t e nom ina im peratore suo figlio Romolo Augustolo.
476 o d o a c r e uccide O r e s t e , depone Romolo Augustolo (23-8) senza nom inare un successore: as­
sume il titolo dipatricius, riconosciutogli da Zenone. È la fine dell’im pero romano d’Occidente.
480 Nascono Boezio e Benedetto da Norcia.
482 Sidonio Apollinare: Lettere (469-482).
484 A rriva qui la narrazione della H istoria persecutionis Africanae provinciae di Vittore di Vita.
484-496 guntam ondo è re dei Vandali, succedendo a u n er k jo .

486 A ttorno a quest’anno muore Sidonio Apollinare.


490 Nell’ultimo decennio del secolo fiorisce il poeta africano Draconzio (la sua Satisfactio, dedica­
ta a G untam ondo, è precedente al 496).
Sempre alla fine del secolo, Gennadio aggiunge u n ’appendice al D e viris iliustribus di Girolamo.
491-518 Anastasio è im peratore d ’Oriente.
493 t e o d o r ic o , re dei Goti, fa assassinare odoacre e diventa padrone dell’Italia.
510 Boezio è console.
514 Cassiodoro è console.
518 M uore Avito di Vienne. 518-527 Giustino è im peratore d ’Oriente.
520 Di questo periodo (e com unque posteriore al 510) è VInstitutio de arte grammatica di Prisciano.
521 M uore Ennodio, poeta e vescovo di Pavia.
522 Boezio è magister officiorum .
524 Boezio: D e consolatione philosophiae. Nello stesso anno è ucciso.
526 Muore t e o d o r ic o .
528 A partire da quest’anno si compone il Corpus iuris. 527-565 Giustiniano è im peratore d ’Oriente.
529 Benedetto da Norcia fonda il monastero di Montecassino.
530 A ttorno a quest’anno nasce Venanzio Fortunato, a Valdobbiadene.
533 Corpus iuris·. Digesta, Institutiones.
534 Corpus iuris: Codex repetitae praelectionis. 534 Giustiniano sconfigge i Vandali e riconquista l’Africa.
535-553 Guerra greco-gotica, com battuta dai generali b e l i s a r i o e poi n a r s e t e (inviati da Giusti­
niano), contro i Goti capeggiati successivamente da t e o d a t o , v i t i g e , t o t i l a e t e i a . L ’I­
talia ne è com pletamente devastata.
684 TAVOLE CRONOLOGICHE TAVOLE CRONOLOGICHE 685

CULTURA ROMANA STORIA ROM ANA

538 Nasce Gregorio di Tours. Di quest’anno (o del precedente) è la pubblicazione delle Variae
di Cassiodoro.
540 (circa) Nasce Gregorio Magno; Cassiodoro fonda la com unità di Vivarium. 540 Giustiniano riconquista Ravenna togliendola ai Goti.
542 M uore Cesario di Arles, autore di Sermones.
544 Aratore dà pubblica lettura in Rom a del D e actibus apostolorum.
547 (circa) M uore Benedetto da Norcia.
550 Verso quest’anno Corippo compone la Johannis; degli stessi decenni sono le Elegie di Massi­
miano e il De excidio et conquestu Britanniae di Gilda.
565 Venanzio Fortunato lascia l’Italia e comincia il suo pellegrinaggio per l’Europa, 565 M uore Giustiniano. Giustino II è im peratore d ’Oriente.
567 Corippo: In laudem Iustini. Di poco successiva è la sua morte.
568 I Longobardi, guidati da a l b o in o , scendono in Italia.
570 Nasce Isidoro di Siviglia.
573 Gregorio diventa vescovo di Tours.
575 Gregorio di Tours comincia a com porre la H istoria Francorum.
576 Venanzio Fortunato: Vita M artini.
580 (circa) M uore Cassiodoro. M uore Martino di Braga. 580 Per l’ultim a volta si trova m enzionato il senato di Roma.
587 Venanzio Fortunato: Vita Radegundis.
590 Gregorio Magno è eletto papa.
591 Si arresta agli eventi di quest’anno la H istoria Francorum di Gregorio di Tours.
593 Gregorio Magno: D e vita et miraculis patrum Italorum .
594 M uore Gregorio di Tours.
597 Venanzio Fortunato è eletto vescovo di Poitiers.
600 Alla m orte di suo fratello Leandro, Isidoro diventa vescovo di Siviglia. Successiva a quest’an­
no è la m orte di Venanzio Fortunato.
603 Pace tra Bizantini e Longobardi, auspice papa g r e g o r io m a g n o . I Longobardi si conver­
tono al cattolicesimo.
604 M uore Gregorio Magno.
612-620 È re dei Visigoti di Spagna s is e b u t o , un letterato autore di poesie in latino.
615 Isidoro di Siviglia: Chronica (dedicati a Sisebuto re dei Visigoti).
618 (circa) Isidoro di Siviglia: De viris illustribus.
632 M uore m a o m e t t o .
634 H a inizio l’espansione araba.
636 M uore Isidoro di Siviglia: le Etym ologiae sive Origines saranno pubblicate postume.
643 E ditto di Rotari.
672 Nasce Beda il Venerabile.
697 Gli A rabi conquistano l’intera Africa.
703 Beda: D e temporibus.
711 Gli A rabi abbattono il regno dei Visigoti in Spagna.
728 Donazione di Sutri: ha inizio lo Stato Pontificio.
731 Beda: Historia ecclesiastica gentis A nglorum .
735 Muore Beda.
776 carlo m a g n o instaura il suo dominio sull’Italia, sconfiggendo i Longobardi.
787 (circa) Paolo Diacono: Historia Langobardorum . È incerta la data della E pitom e a Festo.
800 Incoronazione, in Rom a, di carlo m a g n o : nasce il Sacro Rom ano Impero.
Indice dei nomi*

Accio (Lucius Accius), 8, 14, 24, 27, 29, 30, 63, 82, 91- Am pelio (Lucius Ampelius), 457.
95, 96, 101, 108, 139, 182, 218, 475, 477, 526. Anacreonte, 250, 261.
Achille Tazio, 383. Anassagora, 138.
Acilio (Gaius Acilius), 54. A ndronico, vedi Livio Andronico.
Acilio Glabrione, 70. Anicii, famiglia degli, 555.
Acrone (Helénius Acron), 268, 272, 483, 516. Annales Maximi, 7, 63.
A cta Martyrum, 435 , 502-503, 549. Anneo C ornuto, vedi C ornuto, filosofo stoico.
A cta Martyrum Scillitanorum, 502-503. Anneo Mela, fratello di Seneca, 367.
A driano, im peratore (Publius Aelius Hadrianus), 75, 390, A nniano, poeta novellus (Annianus Faliscus), 492.
396, 432, 433, 453, 457, 484, 485, 487, 488 e n., 491, Annibale, 53, 62, 72, 191, 319, 410, 411, 412.
492-493, 498. Anonim o Valesiano, 544.
Aegritudo Perdicae, 594. Antem io, im peratore, 593.
Aetna, 362. Anthologia Latina, 378, 511-512, 513, 542.
A fra, vedi Vetus A fra. Anthologia Palatina, 364, 422.
A franio, autore di togatae (Lucius A franius), 110, 526. Antim aco di Colofone, 275, 276, 405.
A franio Burro, vedi Burro, prefetto del pretorio di Ne­ A ntioco, re di Siria, 55.
rone. Antioco di Ascalona, 167, 169, 181.
A fricano M aggiore, vedi Scipione A fricano. A ntipatro, vedi Celio A ntipatro.
A fricano M inore, vedi Scipione Em iliano. A ntipatro di Sidone, 148.
Agostino (Aurelius Augustinus), 84, 165, 183, 184, 189, Antistio Labeone, vedi Labeone.
248, 395, 464, 465, 487, 506, 508, 523, 525, 532, 538, Antologia Palatina, vedi Anthologia Palatina.
540, 541, 550, 561, 564, 567, 568, 572, 573-580, 588, A ntonini, famiglia degli, 475, 512.
589, 590, 598. A ntonino Pio, im peratore, 457, 485, 488, 491, 535.
Agrecio, gram m atico (Agroecius), 586. A ntonio, console nel 63 a .C ., 204.
Agricola, suocero di T acito, 440, 442-443. A ntonio, erem ita e santo, 550.
A grippa (Marcus Vipsanius Agrippa), 252, 318, 328-329. A ntonio, oratore (M arcus Antonius), 104, 162.
Agrippina, m adre di Nerone, 343, 353, 448. A ntonio, trium viro, 152, 155, 160, 161, 162, 215, 216,
Alam anni, L ., 282. 217, 218, 224, 226, 231, 232, 236, 278, 317, 351, 360,
Alarico, re dei Visigoti, 524, 562, 584. 368, 543.
A lbinovano Pedone (Albinovanus Pedo), 359-360, 422. A ntonio M usa (Antonius M usa), 327.
Alceo, 218, 250, 259-261, 262, 265, 267. Anziate, vedi Valerio Anziate.
Alceo, filosofo epicureo, 136. Apicio (Marcus Gavius Caelius Apicius), 330.
Alessandro I di M acedonia, 594. Apollodoro di Caristo, 76, 78, 79.
Alessandro M agno, 64, 107, 313, 322-323, 359, 369, 416, Apollonio di T iana, 434, 464, 550.
548. Apollonio Rodio, 32, 125, 240, 307, 405, 407-408, 409.
Alessandro Polììstore, 109. Appendix Perottina, 364.
Alessi, 42. Appendix Vergilìana, m , 123, 126 n ., 228, 247, 360-362,
Alfeno Varo, 126, 227, 231. 388, 492.
Alfieri, V., 211, 355, 376, 399, 452. Appiano, 182, 195, 433.
Alfio Avito, vedi A vito, poeta novellus. A ppio, seguace di Pom peo, 368.
Alighieri, vedi Dante. A ppio Claudio Cieco (Appius Claudius Caecus), 5, 8-9,
Alpinus, vedi Furius Alpinus. 331.
A m afinio (Gaius Am afinius), 137, 138. A pro, vedi M arco A pro.
Am biorige, 196. Apuleio (Apuleius), 60, 107, 127, 280, 284, 286, 383, 384,
Ambivio Turpione, 20, 49, 76. 385, 459-474, 484, 485, 492, 531, 535, 576, 586, 587.
Ambrogio (Ambrosius), 533, 534, 541, 548, 550, 552, 556, A rato di Soli, 125, 139, 175, 176, 233, 234, 235, 357,
561, 567-570, 573, 581, 589. 358, 556.
Ambrosiaster, 570. A ratore (A rator), 599.
Am m iano Marcellino (Ammianus Marcellinus), 399, 452, A rchestrato di Gela, 60.
544-546, 588. Archiloco, 133, 218, 250, 254, 259, 275.

* I nomi a cui segue, tra parentesi, il corrispondente in lingua latina, sono quelli dei personaggi trattati anche
— 0 esclusivamente — come autori della letteratura latina. Le pagine in cui si ha la trattazione principale (o le
trattazioni principali) di un dato autore sono indicate in corsivo.
688 INDICE DEI NOMI INDICE DEI NOMI 689

Arellio Fusco, 291. Baudelaire, C., 248. Carmina triumphalia, 13. 74, 75, 83, 92, 93, 95, 96, 104, 105, 107, 108, 109,
A rio, eretico, 521, 539. Bautone, generale di origine germanica, 533. Cam eade, 54, 57, 58, 70, 165. 112, 117, 118, 119, 120, 122, 127, 135, 136, 137, 138,
A riosto, L ., iv, 47, 84, 289, 308, 399. Beaum ont, F ., 473. C aro, im peratore, 546. 139, 149, 152-179, 181, 182, 183, 184, 186, 187, 189,
Ariovisto, 125, 196. Beccafumi, D ., 321. Cartesio, R ., 201. 190, 192, 194, 195, 197, 199, 200, 202, 203, 204, 205,
Aristarco, gram m atico alessandrino, 476. Beda il Venerabile (Beda), 596, 603, 606-607. Cassiano (Iohannes Cassianus), 590. 206, 209, 210, 215, 217, 226, 234, 278, 309, 311, 313,
Aristarco, tragico del V secolo, 63. Bellum Africum , 195, 199. Cassio, il cesaricida, 136, 137, 218, 311, 322. 315, 317, 318, 326, 327, 332, 337, 338, 348, 357, 360,
Aristide di Mileto, 107, 384, 466. Bellum Alexandrinum, 195, 199. Cassio Dione, vedi Dione Cassio. 369, 427, 429, 433, 434, 437, 438, 441, 443, 453, 463,
A ristippo di Cirene, 270. Bellum Hispaniense, 195, 199. Cassio Em ina (Lucius Cassius Hem ina), 106. 476, 479, 480, 481, 483, 484, 487, 507, 516, 526, 528,
A ristofane, 20, 22, 34, 80, 85, 99, 102, 255. Bembo, P ., 178. Cassio Felice (Cassius Felix), 587. 529, 530, 538, 540, 549, 556, 569, 571, 573.
A ristofane, filologo alessandrino, 86. Benedetto da N orcia (Benedictus Nurcinus), 600. Cassio Longino, giurista (Gaius Cassius Longinus), 333. Cicerone, fratello dell’oratore (Quintus Tullius Cicero),
Aristotele, 60, 118, 164, 165, 166, 272, 314, 325, 416, 598. Berenice, 132. Cassio Parm ense, 283. 95, 136, 147, 166, 169, 177.
A rnobio (Arnobius), 536-537, 538. Bibaculo, vedi Furio Bibaculo. Cassiodoro (Flavius Magnus Aurelius Cassiodorus Sena- Cincio Alimento (Lucius Cincius Alimentus), 53-54, 543.
A rria M aggiore, 391. Bibulo, 194. tor), 596, 597, 598-599, 603, 606. Cincio, antiquario, 54.
A rriano, storico greco, 433. Bione di Boristene, 142. Catalepton, 227, 228, 360, 361. Cinna, poeta neoterico (Gaius Helvius Cinna), 122, 125,
A rrunzio, 209. Bissula, schiava di Ausonio, 552, 554. Catilina, 152, 157, 158, 175, 177, 190, 197, 203-206, 208, 126, 131, 136, 317, 480, 491.
A rtem idoro di Daldi, 460. Boccaccio, G., 308, 316, 425, 469, 473. 210, 372, 447. Cinna, seguace di M ario, 194.
A rusiano Messio (Arusianus Messius), 528. Bocco, 206. Catóne, vedi Valerio Catone. Cipriano (Thascius Caecilius Cyprianus), 502, 503, 506,
Asconio Pediano (Quintus Asconius Pedianus), 153, Boezio (Anicius M anlius Severinus Boethius), 586, 596, C atone il Censore (Marcus Porcius C ato «Censorius»), 508-509, 550.
480-481. 597-598, 599, 603 , 606. v i i , 7, 9, 11, 14, 52, 54, 56, 57, 58, 59, 64, 68, 70-75, Cipriano Gallo (Cyprianus Gallus), 594.
A sdrubale, 314. Boiardo, Μ. M ., 473. 107, 136, 157, 169, 170, 183, 184, 187, 188, 190, 202, Ciris, 308, 362.
Asellione, Vedi Sem pronio Asellione. Boileau, N ., 273. 209, 310, 327, 433, 483, 484, 487, 514. Claudiano (Claudius Claudianus), 308, 403, 425, 553-555,
Asinio Gallo (Gaius Asinius Gallus); 337. Borgia, G ., 135. C atone il Giovane, vedi C atone Uticense. 591, 592.
Asinio Pollione (Gaius Asinius Pollio), 95, 125, 177, 211, Botticelli, S., 150. C atone il Vecchio, vedi C atone il Censore. Claudio, im peratore (Tiberius Claudius Nero Germani-
216, 218, 223, 225-226, 227, 230, 231, 232, 233, 252, Bracciolini, P ., 136, 150, 178, 316. C atone M aggiore, vedi C atone il Censore. cus), 309, 322, 327, 329, 337-338, 343, 344, 351, 354,
311, 317-318, 337, 341, 356, 477-478, 479. Bruni, L ., 178, 211, 316. C atone M inore, vedi Catone Uticense. 356, 364, 386, 414, 448, 451, 481.
A spro, vedi Emilio A spro. Bruto, il cesaricida (Marcus Iunius Brutus), 105, 136, 164, Catone Uticense, 157, 158, 169, 194, 197, 204, 205, 206, Claudio M am ertino, panegirista (Flavius Claudius Ma-
Assio Paolo, retore, 552. 166, 167, 169, 177, 200, 218, 250, 311, 322, 368. 211, 322, 368, 369, 373-374, 376, 391, 451. m ertinus), 531.
A tanasio, vescovo di Alessandria, 550. Bruto, l’instauratore della repubblica rom ana, 92. Catullo (Gaius Valerius Catullus), 6, 11, 13, 68, 95, Claudio M ario V ittorio (Claudius M arius Victorius Mas-
A teio Capitone, vedi Capitone. Bruto, vincitore dei Galleci nel 136 a.C . e amico di Ac­ 96, 105, 112, 117, 119, 120, 121, 122, 125, 126-134, siliensis), 594.
Atilio (Marcus Atilius), 83, 109. cio, 92. 136, 139, 146, 159, 191, 233, 238, 244, 261, 265, Claudio Quadrigario (Quintus Claudius Quadrigarius),
A tta (Titus Quinctius A tta), 110. Buecheler, F ., 513. 268, 277, 278, 284, 286, 287, 289, 293, 294, 295, 107, 310, 526.
A ttalo, filosofo stoico, 343. Burro, prefetto del pretorio di Nerone, 343, 448. 297, 298, 317, 354, 359, 361, 362, 381, 388, 402, Clemente R om ano, papa, 501, 502,
A tti dei Martiri, vedi A cta M artyrum. 422, 423, 484, 491, 492, 514. Cleopatra, 218, 232, 251, 265, 369, 543.
A ttico (Titus Pom poniiis Atticus), 118, 136, 137, 152, Catullo, m im ografo (Catullus), 339 n. Clitarco, 107, 323.
164, 166, 167, 169, 170, 174, 177, 181, 182, 188, 190, Calcidio (Calcidius), 531.
Calderón de la Barca, P ., 47, 473. Càzio (Titus Catius), 137, 138. Clodia, 126, 127, 159, 463.
191, 192, 311. Cecilio, poeta neoterico (Caecilius), 131. Clodio Albino, 468.
A ttila, re degli U nni, 584. Caleno, m arito della poetessa Sulpicia, 366.
Caligola, im peratore, 322, 329, 339 n., 340, 343, 344, Cecilio di Calatte, 479. Clodio Pulcro, 126, 158, 159, 160, 162, 202.
Attilio Regolo, 411. Cecilio E pirota (Quintus Caecilius E pirota), 247 , 480. C lotario, re dei Franchi, 604.
A uerbach, E ., 473, 545, 600. 345, 350, 354, 356, 364, 422, 451..
Callimaco, 6, 11, 66, 99, 100, 122, 132, 148, 149, 218, Cecilio Metello, 126. Cluvio Rufo (Cluvius Rufus), 451.
A ufidio Basso (Aufidius Bassus), 322, 414, 451. Cecilio Stazio (Caecilius Statius), 18, 25, 49-51, 77, 82, Codex Gregorianus, 517.
A ugusto (Gaius Iulius Caesar Octavianus Augustus), 64, 219, 235, 255, 259, 267, 276, 281, 285, 288, 297, 300,
305, 307, 361, 363, 385, 405, 479. 83, 88 n „ 89, 109, 110, 123, 477, 483, 486, 487. Codex Hermogenianus, 517.
• 95, 108, 117, 124, 152, 160, 161, 181, 190, 191, 215, Celio Antipatro (Lucius Caelius Antipater), 106, 148, 203, Codex Theodosianus, 517, 587.
216, 217, 218, 221, 222, 223, 224-225, 226, 228, 230, Caliino, 275.
Calpurnio Fiacco (Calpurnius Flaccus), 485. 410. Coleridge, S. T ., 555.
231, 232, 233, 236, 239, 240-241, 242, 246-247, 250, Celio Rufo (Marcus Caelius Rufus), 127, 159, 197. Columella (Lucius Iunius M oderatus Columella), 11, 327-
251, 252, 253, 254, 264, 265, 271, 272, 278, 279, 284, Calpurnio Pisone, vedi Pisone, autore della «congiura».
Calpurnio Pisone Cesonino, 137. Celso (Aulus Cornelius Celsus), 326-327, 417, 587. 328, 417, 535.
285, 287, 288, 291, 292, 295, 301, 305, 306, 309, 310, Censorino (Censorinus), 189, 456, 517-518. Com mentator Cruquianus, 273.
311, 312, 317, 318, 320, 321, 322, 324, 325, 327, 329, Calpurnio Pisone Frugi (Lucius Calpurnius Piso Frugi),
106. Cèrinto (Cerinthus), 280, 284. Com m odiano (Com m odianus), 509-511.
332, 337, 339, 342, 356, 357, 358, 359, 360, 362, 364, Cesare (Gaius Iulius Caesar), 8, 71, 75, 81, 83, 84, 95, Com m odo, im peratore, 431.
371, 440, 446, 447, 448, 454, 455, 457, 478, 480, 515, Calpurnio Siculo (Titus Calpurnius Siculus), 338, 365,
371, 515, 516. 96, 103, 109, 111, 112, 113, 117, 118, 124, 125, 126, Conone, astronom o, 132.
518, 534, 542, 543, 551, 588, 601. 127, 137, 152, 157, 158, 159, 160, 161, 166, 169, 170, Consenzio, gram m atico (Consentius), 586.
A ulo Gellio, vedi Gellio, l’erudito. Calvino, G ., 577.
Calvino, I., 415. 172, 181, 182, 185, 189, 190, 194-201, 202, 204-206, Copa, 362.
A ulo Irzio, vedi Irzio. 209, 210, 215, 216, 217, 225, 226, 230, 236, 242, 250, Corbulone (Gnaeus Domitius Corbulo), 414, 448, 449, 451.
A ureliano, im peratore, 498. Calvo, poeta neoterico (Gaius Licinius Macer Calvus),
105, 106, 122, 125-126, 131, 289, 491. 301, 311, 312, 317, 318, 319, 320, 322, 325, 337, 357, C ordo, vedi Cremuzio Cordo.
Aurelio Opillo (Aurelius Opillus), 109. C ordo, seguace di Pom peo, 369.
Camòes, L. V. de, 248. 367 n., 368, 369, 371, 372, 373, 374, 382, 419, 442,
Aurelio Vittore (Sextus Aurelius Victor), 542-543. C orippo (Flavius Cresconius Corippus), 602.
Capitone (Gaius Ateius C apito), 332-333. 443, 453, 457, 606.
Ausonio (Decimus Magnus Ausonius), 308, 425, 533, 551- Corneille, P ., 47, 355, 452.
Caracalla, im peratore, 497, 514, 517. Cesare, vedi Nerone, imperatore.
553, 554, 561, 562, 594. Cornelia, 104.
Aussenzio, vescovo di M ilano, 569. C arbone, 16. Cesare Augusto, vedi Augusto.
Carducci, G ., 273, 282, 399. Cesare O ttaviano, vedi Augusto. Cornelia, moglie di Pom peo, 368, 369, 374.
Avancio, 150.
C arino, im peratore, 515, 546. Cesare Strabone, vedi Giulio Cesare Strabone. Cornelio, papa, 509.
Aviano, autore di favole (Avianus), 556. Cornelio Celso, vedi Celso.
Avieno (Rufius Festus Avienus), 357, 529, 556. Carisio, gram m atico (Flavius Sosipater Charisius), 525. Cesario di Arles (Caesarius Arelatensis episcopus), 604.
Caritone, 383. Cesellio Vindice (Lucius Caesellius Vindex), 482. Cornelio Crisogono, favorito e liberto di Siila, 155.
Avito, im peratore, 593. Cornelio Gallo, vedi Gallo, poeta elegiaco.
A vito, poeta novellus (Alfius Avitus), 492. Carlo M agno, 596, 597, 607. Cèsio Basso (Caesius Bassus), 366, 391, 514.
Carmen Arvale, 12, 15. Cetego (Marcus Cornelius Cethegus), 52. Cornelio Nepote (Cornelius Nepos), 71, 75, 118, 126, 177,
Avito di Vienne (Alcimus Ecdicius Avitus), 604. 180, 181, 190-193, 329, 454, 590.
Carmen Nelei, 15. Chateaubriand, F. R. de, 282.
Carmen Priami, 15. Cherilo di Iaso, 64. Cornelio Severo (Cornelius Severus), 360, 370.
Bacchilide, 261. Carmen Saliare, 12, 108, 476. Chirio Fortunaziano, vedi Fortunaziano. Cornelio Siila, vedi Siila.
Barchiesi, M ., 45. Carmina convivalia, 14, 15. Cicerone (Marcus Tullius Cicero), v i i , 7, 9, 10, 14, 27, Cornelio Sisenna, vedi Sisenna.
Basso, vedi Cesio Basso. Carmina Einsidlensia, 365, 371. 28, 29, 30, 35, 47, 49, 52, 57, 60, 61, 63, 71, 72, C ornuto, amico di Tibullo, 280.
690 INDICE DEI NOMI
INDICE DEI NOMI 691

Cornuto, filosofo stoico (Lucius Atmaeus Cornutus), 367, Domizio A fro, retore, 426.
Erode A ttico, 432. Frontino (Sextus Iulius Frontinus), 419-420.
391. Domizio Corbulone, vedi Corbulone. Eschilo, 61, 93 n ., 148, 351. Frontone (Marcus CorneliUs Fronto), 75, 107, 369, 376,
Corpus iuris Iustiniani, 488, 517, 596-597. Domizio E nobarbo, censore nel 92 a .C ., 104. Eschine, 164. 429, 432, 471, 482, 484-486, 491, 492, 506.
Corpus Tibullianum, 226, 279, 282, 283-284. Domizio E nobarbo, seguace di Pom peo, 369, 374. Esiodo, 66, 93, 139, 219, 234, 363, 411, 477. Fufio Caleno, 182.
Coruncanio (Tiberius Coruncanius), 331. Domizio M arso (Domitius M arsus), 279, 356, 422. E sopo, 363. Fulgenzio (Fabius Planciades Fulgentius), 187, 468, 601.
C ostante, im peratore, 539. Domizio U lpiano, vedi U lpiano, giurista. E uforione di Calcide, 120, 125, 278, 279. Fulvio Nobìliore (M arcus Fulvius Nobìlìor), 30, 59, 64,
Costantino, imperatore, 504, 521, 522, 531, 536, 537, 538, D onato, eretico, 523.
E ufronio, vescovo di T ours, 605. 65, 66, 108.
539, 541, 547, 556, 587, 601. D onato, gram m atico (Aelius D onatus), 77, 82, 84, 110, Eugenio, usurpatore dell’im pero, 530. Fundania, moglie di V arrone, 188.
Costanzo, im peratore figlio di Costantino, 534, 539, 540, 135, 228, 453, 482, 526, 527, 570, 586.
541, 542, 543, 544. Eum enio, panegirista (Eumenius), 532. Furio Anziate (Aulus Furius A ntias), 96.
D onato, vedi Tiberio Donato. Furio Bibaculo (Marcus Furius Bibaculus), 96, 122, 124,
Costanzo, im peratore padre di Costantino, 531. Eupoli, 255.
Dositeo, gram m atico (Dositheus), 525. Eurico, re dei Visigoti, 593. 125.
Crassicio (Lucius Crassicius Pasicles Pansa), 480. Draconzio (Blossius Aemilius Dracontius), 600-601. Euripide, 19, 24, 29, 61, 62, 63, 85, 93, 148, 218, 245, Furius Alpinus, 96, 124.
Crasso, l’oratore (Lucius Licinius Crassus), 104, 152, 162, Drepanio, panegirista (Latinus Pacatus Drepanius), 531.
163. 350, 351, 352, 405.
Druso, fratello di Tiberio, 309, 357, 443. Eusebio, oratore, 529.
Crasso, il trium viro, 16, 135, 152, 158, 194. Duride, 314. Gaio, filosofo platonico, 460.
C ratete di M allo, 77, 109, 124, 453 , 476, 479. Eusebio di Cesarea, 135, 456, 539, 570, 572, 573, 581. Gaio, giurista (Gaius), 488-489.
Cratino, 255. Eusebio di Vercelli (Eusebius Vercellensis), 539. Gaio Caligola, vedi Caligola, im peratore.
C ratippo di Pergam o, 250. Ebuzio Liberale, amico di Seneca, 346. Eustazio, figlio di M acrobio, 529. Gaio Cesare, nipote di Augusto, 324.
Cremuzio Cordo (Auhis Cremutius Cordus), 322, 337, 344. E dituo, vedi Valerio Edituo. Eustazio, filosofo, 529, 530. Gaio Fannio, vedi Fannio.
Crisogono, 155. E foro, 314. E utropio (Eutropius), 543. Gaio Gracco (Gaius Sempronius Gracchus), 103, 104, 105.
Crispino, filosofo stoico, 251. Egesia di M agnesia, 105. Evemero da Messina, 60. Gaio M ario, vedi M ario, generale rom ano.
Crispo, figlio di C ostantino, 537. Egesippo (Hegesippus), 548. Ezio, generale, 592. Gaio Melisso (Gaius Melissus), 26.
Critolao, 54. Egnazio (Egnatius), 139. Gaio Memmio, vedi Memmio, amico di Catullo e Lu­
«Cronografo del 354», 542. Elegiae in Maecenatem, 362. crezio.
Fabio Giusto, console nel 102 d .C ., 440, 441.
Cruyck, J. Van, 273. Elenio Acrone, vedi Acrone. Fabio Massimo (Quintus Fabius Maximus Cunctator), 52, Gaio Tizio, vedi Tizio.
Culex, 361-362. Elio Aristide, 432; 461. 412. G alba, im peratore, 426, 444, 445-446, 447.
Curiazio M aternus (Curiatius M aternus), 351, 441. Elio D onato, vedi D onato, gram m atico. Fabio Pittore (Quintus Fabius Pictor), 52-53, 65, 91, 108, Galeno, medico greco, 433.
Curione, partigiano di Cesare, 368. Elio L am pridio, 547. Gallione, vedi Giunio Gallione, retore e N ovato, fratello
310, 543.
Curzio Rufo (Quintus Curtius Rufus), 322-323. Elio Peto (Sextus Aelius Petus Cato), 332, 477. Fabio Rustico (Fabius Rusticus), 451. di Seneca.
Elio Sparziano (Aelius Spartianus), 547. Fabio Valente, 446. Gallo, im peratore, 546.
Elio Stilone, vedi Stilone. Fannio (Gaius Fannius), 106. Gallo, poeta elegiaco (Gaius Cornelius Gallus), 117, 216,
Dacico, vedi T raiano, imperatore. Eliodoro, 383.
Dam aso, papa (Damasus), 530, 534, 542, 557, 570, 572. Fanocle, 276. 219, 220, 222, 223 , 227, 230, 231, 232, 233 , 275 , 278-
Eliot, T. S., 248. 279, 293.
Daniel, P ., 527. Fasti consulares, 7.
Elvio Cinna, vedi Cinna. Fasti pontificales, 7. Gargilio Marziale (Quintus Gargilius M artialis), 518.
D ’A nnunzio, G ., 308.
Em iliano, im peratore, 546. Fasti triumphales, 7. Gassendi, P ., 150.
D ante, 47, 84, 145, 178, 248, 308, 316, 376, 399, 406,
Emilio A spro (Aemilius Asper), 482, 483. Fedro, autore di favole (Phaedrus), 362-364. Gelasio, papa, 558.
525, 588, 596, 606.
Emilio M acro (Aemilius Macer), 356-357. Felice, santo protettore di Nola, 562. Gellio, l’erudito (Aulus Gellius), vm , 30, 41, 49, 50, 75,
D a Ponte, L ., 47.
Emilio Paolo (Lucius Aemilius Paulus Macedonicus), 30, Fenestella (Fenestella), 322. 88 n „ 107, 178, 182, 186, 187, 189, 457, 461, 480,
«D arete Frigio», 590. 52, 56, 57, 77, 92.
Decimo Giunio Silano, vedi Silano. Fenicide, 87. 482, 483, 484, 486-487, 492, 530.
Emilio Papiniano, vedi Papiniano, giurista. Ferrando da Brescia, 136. Gellio, lo storico (Gnaeus Gellius), 106.
Decimo Laberio, vedi Laberio. Emilio Scauro (Marcus Aemilius Scaurus), 107, 195.
Decio, im peratore, 508, 509, 546. Fescennini versus, 13. Gennadio (Gennadius), 589.
Em ina, vedi Cassio Emina. Festo (Sextus Pom peius Festus), 325, 483 n., 516. Genserico, re dei Vandali, 573.
Decio M ure, 92.
Empedocle, 137, 138, 139, 140, 234. Germanico (Germanicus Iulius Caesar), 322, 343, 357,
Dem ocrito, 138. Festo, vedi R ufio Festo.
Endelechio (Severus Sanctus Endelechius), 558. Filarco, 314. 358, 359, 444, 448, 449, 556.
Dem ofilo, 42.
Ennio (Quintus Ennius), vii, 6, 10, 11, 12, 16, 20, 24, Filèmone, 85. Germ anico, vedi T raiano, im peratore.
Demostene, 160, 164, 174, 484.
27, 29, 30, 31, 32, 33, 35, 49, 52, 56, 59-67, 82, 91, Fileta, 275, 276, 281. Gervasio e P rotasio, santi, 569.
D e ponderibus et mensuris, 535.
92, 93, 94, 96, 97 e n., 100, 101, 108, 112, 120, 122, Filino, 53. Giavoleno Prisco, giurista (Gaius Octavius Tidius Tos-
D e rebus. bellicis, 535.
139, 148, 175, 186, 218, 239, 243, 244, 255, 354, 359, Filippo di M acedonia, 160, 319. sianus Lucius Iavolenus Priscus), 488.
Desiderio, vescovo di Vienne, 600.
363, 370, 409, 410-411, 433, 472, 475, 480, 483, 526, Filippo l’A rabo, im peratore, 546. Gilda (Gildas Sapiens), 606.
De viris illustribus, 74, 543. 554.
Dicearco, 165, 184. Filisco, 136. Giovanni, generale di Giustiniano, 602.
E nnodio (Magnus Felix Ennodius), 599, 600. Filocalo, collaboratore di papa D am aso, 542, 557. Giovanni, l ’evangelista, 574.
Dieta Catonis, vedi Disticha Catonis. Epam inonda, 192.
D iderot, D ., 452. Filodem o di G adara, 118, 137, 224. Giovanni, vescovo di Gerusalem me, 571.
Epicarm o, 60. Giovanni Cassiano, vedi Cassiano.
Difilo, 42, 51, 76, 79, 85. Firenzuola, A ., 473.
Epicuro, 118, 135, 137, 138, 140, 141, 142 e n., 143, Firmico M aterno (Iulius Firmicus M aternus), 536, 539. Giovenale (Decimus Iunius Iuvenalis), 211, 255, 339, 341,
Digesta, 488, 596.
144, 145, 146, 147, 150, 236, 257, 263, 268, 348, 476. Flaubert, G „ 379, 473. 386, 390, 391, 392, 396-400, 401, 402, 403, 404, 421,
Diocleziano, im peratore, 497, 509, 521, 531, 532, 535,
Epigrammata Bobiensia, 556. Flavi, famiglia dei, 248, 338, 339, 351, 401, 414, 422, 426, 431, 482, 491, 514, 531.
536, 537, 538, 546, 547.
E pirota, vedi Cecilio Epirota. 439, 475, 481, 484. Giovenco (Gaius Vettius Aquilinus Iuvencus), 541-542.
Diogene, 54.
Epistulae ad Caesarem, 202, 210-211. Flaviano, vedi Nicomaco Flaviano. Gioviano, im peratore, 542.
Diomede, gram m atico (Diomedes), 525. Epitom e de Caesaribus, 543.
Dione Cassio, 195, 202, 344, 354, 451. Flavio, vedi Gneo Flavio. Girolamo (Sophronius Eusebius Hieronymus), 30, 49, 98,
Epitome rerum gestarum Alexandri Magni, 549. Flavio Giuseppe, 548. 126, 135, 136, 182, 189, 191, 202, 248, 291 n., 309,
Dionigi di Alicarnasso, 7, 53, 106, 479. Eraclito, 138.
Dionisio Trace, gram m atico greco, 109, 476. Flavio Vopisco (Flavius Vopiscus), 547. 395, 426, 453, 456, 481, 502, 509, 527, 540, 545, 561,
Erasm o da R otterdam , 178. Floro (Lucius Annaeus [Annius?] Florus), 456-457, 512. 562, 567, 570-573, 575, 581, 588, 589, 593, 599.
Dioscoride, 514. Eratostene, 233, 235.
Dirae, 361. Focilide, 275. G iuba, re di Num idia, 202.
Erbario, 535. Fortunaziano (Gaius [Chirius] Consultus Fortunatianus), G iugurta, 206, 208, 210.
Disario, medico, 529.
Erennio Modestino, giurista (Herennius Modestinus), 517. 528. Giulia, figlia di A ugusto, 329.
Disticha Catonis, 514. Erennio R ufino, 462.
« D itti. Cretese», 548-549, 590. Foscolo, U ., 134, 376. Giulia, figlia di Cesare, 368.
Erm a, 501. Giulia, zia di Cesare, 194.
Domiziano, im peratore, 97, 339, 396, 401, 402, 424, 426, Fozio, 467.
Erm esianatte, 275, 276. Fragmentum Censorini, 518. Giulia Livilia, 343.
436, 437, 440, 441, 442, 444, 446, 453, 457. E roda, 123.
Frazer, J. G ., 305. Giulia M inore, nipote di Augusto, 291.
692 INDICE DEI NOMI· INDICE DEI NOMI 693

Giuliano, vedi Salvio Giuliano, giurista. Igino, m itografo ed autore di Fabulae (Hyginus), 324. 14, 15, 16, 18, 19, 24 n., 27-29, 30, 31, 32, 33, 35, M arco A ntonio, vedi A ntonio, trium viro.
Giuliano d ’Eclano (Iulianus Aeclanensis), 562, 590. Ilario di Poitiers (Hilarius Pietàviensis), 540-541, 556. 49, 59, 60, 62, 64, 66, 67, 93, 96, 250, 364, 477, 526. M arco A pro, 441.
Giuliano l’A postata, imperatore, 524, 525, 531, 534, 540, Ilias Latina, 338, 366. Livio Salinatore, 27, 30. M arco Aurelio, im peratore (Marcus Annius Verus, come
543, 544, 547, 560. Induziom aro, 196. Longo Sofista, 383. imperatore Marcus Aurelius Antoninus), 431, 432, 433,
Giulio Agricola, vedi Agricola, suocero di Tacito. Invectiva in Ciceronem, 202, 210. Luca, l’evangelista, 500, 568. 434, 484, 485, 486, 488-489, 491.
Giulio Capitolino (Iulius Capitolinus), 547. Invectiva in Sallustium, 210. Lucano (Marcus Annaeus Lucanus), 96, 97 n., 190, 308, Marco Bruto, vedi Bruto, il cesaricida.
Giulio Cesare, vedi Cesare. Iperide, 164. 315, 339, 351, 359, 360, 361, 364, 365, 366, 367-377, M arco Vinicio, 320.
Giulio Cesare Strabone (Gaius Iulius Caesar Strabo Vo- Ippocrate, 594. 381 n ., 387, 391, 401, 404, 405, 406, 408, 409, 411, M arcom anno, retore, 528,
piscus), 95, 162. Irzio (Aulus H irtius), 194, 195, 196, 199, 200, 283. 412, 417, 427, 448, 450, 453, 457, 535. M ariano, poeta novellus (M arianus), 592.
Giulio Igino, vedi Igino. Isidoro di Siviglia (Isidorus Hispalensis), 189, 456, 596, Lucceio, 177. M arino, G. B., 308,
Giulio Naucellio, vedi Naucellio. 602-603, 606. Luciano di Sam osata, 354, 433, 467. M ario, generale rom ano, 93, 104, 107, 117, 118, 122,
Giulio Onorio (Iulius H onorius), 587. Isocrate, 174, 175, 484. Lucifero di Cagliari (Lucifer C aralitanus), 539. 162, 175, 194, 198, 206, 207, 368.
Giulio Ossequente (Iulius Obsequens), 548. Itala, vedi Vetus Itala. Lucilio (Gaius Lucilius), v i i , v i i i , 8, 23, 58, 82, 92, 95, M ario Prisco, proconsole d ’Asia, 436, 440.
Giulio Paolo, giurista (Iulius Paulus), 517. Itinerarium Alexandri, 549. 98-102, 108, 109, 119, 120, 124, 175, 185, 186, 187, M ario Sacerdote, vedi Sacerdote, gram m atico.
Giulio Paride (Iulius Paris), 321. Itinerarium Antonini, 535. 251, 255-256, 257, 259, 268, 386, 390, 392, 475, 479, Mario Vittorino (Gaius M arius Victorinus), 539-540, 570.
Giulio Rom ano, gram m atico (Iulius Rom anus), 516. Itinerarium Egeriae, vedi Peregrinano Aetheriae. 480, 526. M arm ion, 473.
Giulio Secondo, 441. Itinerarium Hierosolymitanum, 535. Lucilio, amico di Seneca, 346, 348. M artino, vescovo di Tours e santo, 550, 581, 582, 594.
Giulio Solino, vedi Solino. Lucillio, epigram m ista, 364, 422, 424. M artino di Braga (M artinus Bracarensis), 602.
Giulio Valerio (Iulius Valerius Alexander Polemius), 549. Jacoby, F ., 276. Lucio Acilio (Lucius Acilius), 477. M arullo, M ., 150.
Giulio Vittore, retore (Gaius Iulius Victor), 528. Jordanes (Iordanes), 599. Lucio Am pelio, vedi Ampelio. Marziale (Marcus Valerius M artialis), 134, 175, 316, 339,
G iuniano Giustino, vedi Giustino. Joyce, J., 379. Lucio Cesare, nipote di Augusto, 324.
Giunio Bruto, vedi Bruto, l’instauratore della repubblica 366,369,376,388,395,396,421-425,426,438,531,553.
Lucio di P atre, 467.
rom ana. Marziale, vedi Gargilio Marziale.
Klingner, F., 243. Lucio Domizio, vedi Domizio E nobarbo, pom peiano.
Giunio B ruto, giurista, 477. M arziano Capella (M artianus Minneius Felix Capella),
Lucio Emilio Paolo, vedi Emilio Paolo.
Giunio Gallione, retore, 345. Lucio M unazio, amico di D onato, 527. 187, 469, 586-587.
Giunio Graccano (Marcus Iunius Gracchanus), 108. Labeone (Marcus A ntistius Labeo), 332-333. Masaniello, 545.
Lucio Pisone, vedi C alpurnio Pisone Cesonino.
Giustina, im peratrice, 569. Laberio (Decimus Laberius), 111-113, 123, 526. M assim iano, im peratore, 531.
Lucio Settimio (Lucius Septimius), 548-549.
G iustiniano, im peratore, 331, 488, 596, 597, 602. Labieno (Titus Labienus), 322. Massimiano, poeta elegiaco (Marcus Aurelius Valerius Ma-
Lucio T arquinìo, vedi Tarquinìo il Superbo.
Giustino, epitom atore di T rogo (M arcus Iunian[i]us Iu- Lachm ann, Κ., 126 n ., 150, 297. ximianus), 600.
Lucio Vero, im peratore, 484, 485, 486.
stinus), 318, 457. La Fontaine, J. de, 364, 473. Massimo, usurpatore dell’im pero, 534.
Lucrezia, 314.
Giustino, im peratore, 602. Lam bino, D ., 150. Massimo di Torino (Maximus episcopus Taurinensis), 589,
Lucrezio (Titus Lucretius Carus), iv, 68, 119, 121, 135-
Giustino, m artire, 504. Lam padione, vedi Ottavio Lam padione. Massinissa, 314.
151, 173, 176, 218, 220, 224, 233, 234-235, 236, 237,
Gneo Flavio (Gnaeus Flavius), 331. L atini, B., 211. M asurio Sabino (M asurius Sabinus), 333.
269, 295, 296, 325, 358, 393, 514, 526.
Gneo Mazio, vedi Mazio. Lattanzio (Lucius Caelius Firmianus Lactantius), 135, 395, Lucullo (Lucius Licinius Lucullus), 108, 167, 168, 478, 544. M aterno, vedi Curiazio M aterno.
Goethe, J. W „ 282, 289, 376. 464, 512, 536, 537-539. M atteo, l’evangelista, 541.
Luigi XIV, 273.
Goldoni, C ., 47. L attanzio Placido (Lactantius. Placidus), 401. Luscio di Lanuvio (? Lavinius Luscius Lanuvinus), 82,109. Mazio (Gnaeus M atius), 123, 124.
G ordiani, famiglia dei, 514. Laus Pisonis,· 365. Mecenate (Gaius Maecenas), 26, 216, 217, 218, 221, 222,
Lutazio Catulo (Quintus L utatius Catulus), 107, 121,
G ordiano I, im peratore, 514. Leandro di Siviglia (Leander Hispalensis), 603. 223, 224, 225, 226, 227, 232, 233, 236, 250, 251, 252,
122-123.
G ordiano II, im peratore, 514.. Lee M asters, È ., 551.
L utero, M ., 577. 253, 256, 257, 284, 285, 287, 288, 320, 337, 356, 359,
Gorgia, 432. Leggi delle X II Tavole, 6-7, 10, 109, 331, 332, 477.
Lydia, 361. 479.
Gracchi, famiglia dei, 18, 93, 95, 103, 104, 106, 107, Lelio (Gaius Laelius), 5 8 ,7 6 ,9 9 ,104,106,164,170,187,332. Lyly, J „ 473.
Lentulo, seguace di Pom peo, 369. Medicina Plinii, 418 , 535.
108, 122, 197, 207. M ela, vedi P om ponio Mela.
Gracco, vedi Gaio Gracco e Tiberio Gracco. Lentulo Crure, 197.
Lentulo Getulico (Gnaeus Cornelius Lentulus Gaetulicus), Machiavelli, N ., 47, 84, 316. M emmio, amico di Catullo e Lucrezio, 126, 135, 136,
Granio Liciniano (Granius Licinianus), 457. 138, 236.
G rattio Falisco (G rattius «Faliscus»), 357, 358, 515. 422. M acro, vedi Emilio Macro.
Lentulo L upo, 100. M acro, vedi Licinio M acro. Memmio, tribuno della plebe, 207.
Graziano, im peratore, 533, 534, 551, 552.
Leo, F ., 276, 454. M acrobio (Am brosius Theodosius M acrobius), vm , 123, Memmio, vedi Simmaco, figlio dell’oratore.
Gregorio, giurista, 517.
Leone I, papa (Leo Magnus), 584, 590. 139, 189, 247, 248, 456, 464, 482, 527, 528-530, 542, M enandro, 6, 22, 33, 37, 42, 50, 51, 76, 78, 79, 81, 82,
Gregorio di Tours (Gregorius Turonensis), 604, 605.
G regorio M agno (Gregorius M agnus), 600. Leopardi, G ., 150, 273, 376, 592. 578, 591, 606. 83, 84, 85, 86, 88, 89, 90, 109, 110, 113 n., 427,
Gromatici, 420. Lepido, console nel 78 a .C ., 208. Madvig, J. N ., 315. 486, 487.
Guicciardini, F ., 452. Lepido, trium viro, 152, 161. M aggioriano, im peratore, 593. M enandro, liberto di Claudio, 354.
G untam ondo, re dei Vandali, 601. Lessing, G. E ., 48, 424. M agone, scrittore di agricoltura, 416. M enandro di Laodicea, 531.
Gutenberg, J., inventore della stam pa, 482. Levio (Laevius), 123, 124, 134, 491-492. Mai, A ., 35, 47, 165, 485. M enippo di G adara, 186, 187, 354, 385.
Licambe, 254. M am erco Scauro (M amercus Aemilius Scaurus), 351. M erobaude (Flavius M erobaudes), 592.
Licinio Calvo, vedi Calvo. M am ertino, vedi Claudio M am ertino, panegirista. Messalina, 398, 448.
Heywood, T h., 473. Licinio Imbrice (Licinius Imbrex), 83, 109. M ani, fondatore del m anicheismo, 522-523. Messalino, 280, 283.
Historia Alexandri Magni, 549. Licinio M acro (Gaius Licinius M acer), 106, 125, 310. Manilio (Marcus M anilius), 325, 357-359, 362. Messalla (Marcus Valerius Messal[l]a Corvinus), 222, 223,
H istoria A polloni regis Tyrii, 549. Licinio M acro, tribuno della plebe, 208. M anilio, tribuno della plebe, 156. 226, 279, 280, 283, 284, 291, 361.
H istoria Augusta, 453, 456, 546-548, 588. Licinio Muoiano (Gaius Licinius M ucianus), 416, 447. M anlio, seguace di C atilina, 204. Messalla, vedi Vipstano Messalla.
H istoria de origine Francorum, 590. Licinio M urena, vedi M urena. M anlio T orquato, amico di Catullo, 126, 132. Metelli, famiglia dei, 20, 30.
H istoria tripertita, 543. Licòfrone, 62. M anzoni, A ., 201.
Metello, 206.
H ostius, vedi Ostio. Licurgo, 62. Marcello, nipote di A ugusto, 285.
Milone, 158, 159, 160, 162, 202.
H ugo, V., 399. Ligdam o (Lygdamus), 283 , 308. Marcello, ucciso nel 45 a .C ., 332.
M ilton, J., 248.
H uysm ans, J. Κ., 555. Lisia, 105, 163, 164, 484. Marcello, vincitore degl’insubri, 31.
M im nerm o, 275, 287. *
Livio (Titus Livius), 7, 10, 13 n., 19, 27, 53, 71, 75, 99 Marcello Empirico (M arcellus Empiricus), 587.
Minucio Felice (M arcus M inucius Felix), 485, 504, 506-
n., 106, 215, 218, 226, 288, 305,309-316, 318, 319, 337, M archetti, A ., 150.
Ianuario Nepoziano, vedi Nepoziano. M arcio Filippo, console nel 91 a .C ., 208. 507, 509.
369, 410, 412, 427, 439, 443, 447-448, 452, 457, 531,
Idazio (Hydatius), 589. 542, 543, 548. M arco, figlio di C atone, 71, 514. M itridate, 152, 156, 208, 319.
Igino (Gaius Iulius Hyginus), 247, 324, 480. Livio A ndronico (Lucius Livius A ndronicus), 3, 5, 12, M arco, figlio di Cicerone, 152, 170. Molière, J. B., 40, 47, 84, 150.
694 INDICE DEI NOMI INDICE D EI NOMI 695

M olone di Rodi, 152. Orazio (Quintus H oratius Flaccus), 12, 13, 28, 29, 35, Pelagio (Pelagius), 523-524, 570. Pontano, G., 134, 150, 425.
M om igliano, A ., 548. 49, 61, 96, 98, 99, 101, 102, 119, 124, 125, 147, Pelagonio (Pélagonius), 535. Ponziano, amico di Apuleio, 459, 462, 463.
M ommsen, T ., 178. 149, 176, 185, 189, 215, 216, 217, 218, 221, 222, Pentadio (Pentadius), 512, 513. Ponzio, diacono (Pontius), 509.
M onica, m adre di Agostino, 573. 223, 224, 225, 227, 231, 232, 250-274, 275, 279-280, Perdicca, 594. Poppea, moglie di Nerone, 343, 353.
M ontaigne, Μ. E . de, 201, 577. 284, 317, 327, 351, 356, 359, 363, 376, 386, 390, Peregrinano Aetheriae, 535. Porcio Latrone, 291.
M onti, V., 396. 393, 394, 395, 397, 402, 429, 453, 479, 483, 514, Periochae, 310, 316, 544. Porcio Licino (Porcius Licinus), 123.
Monumentum Ancyranum, 225, 318. 516, 552, 557, 559. Perotti, N ., 364. Pordenone, G. de’ Sacchis, detto il, 321.
M orel, W ., 194. Perseo, 55, 56, 57. Porfirio, filosofo neoplatonico, 578, 598.
Orbilio (Lucius Orbilius Pupillus), 124, 250.
M oretum , 123 , 361, 362. Persio (Aules Persius Flaccus), 211,255, 341,351,362,364, Porfirione, com m entatore di Orazio (Pom ponius Porphy-
Orienzio (Orientius), 594.
M òrike, E ., 282. 365, 366, 367, 386, 390, 391-396, 397, 417, 481, 482. rio), 253, 272, 273, 483, 516,
Origene, 571, 572, 581.
M ozart, W. A ., 47. Pervigilium Veneris, 492, 512, 542. Posidonio di A pam ea, 118, 183, 346, 443.
Origo gentis Romanae, 543.
M uciano, vedi Licinio Muciano. Petrarca, F „ 47, 134, 178, 189, 273, 308, 316, 321, 376, Possidio, biografo di Agostino (Possidius), 573, 589.
Oro, filosofo, 529.
Mulomedicina Chìronis, 535. 399, 456, 577. Postum io Albino (Aulus Postum ius Albinus), 54, 71.
Orosio (Paulus Orosius), 554, 588, 589. Petronio (Petronius A rbiter), in, iv, vìi, 13, 97 n., 101,
M unazio, vedi Lucio Munazio. Ortensio (Quintus Hortensius H ortalus), 105, 122, 126, Pound, E ., 289.
M urena, 157, 158. 107, 186, 247, 251, 340, 341, 360, 363, 364, 366, 376, Pretestato (Vettius Agorius Praetextatus), 529, 530, 533,
132, 155, 156, 174. 378-389, 448, 449, 450, 464, 466, 511.
M ureto, M. A ., 126 n. Osidio Geta (Hosidius Geta), 513. 534.
Piccolom ini, E. S., 47.
Osio di C ordova (Hosius [o Osius] Cordubensis), 531, Priapea, 387, 388.
Pietro, apostolo, 508, 558, 559, 570.
N am aziano, vedi Rutilio N am aziano. 541. Priapea dell’A ppendix Vergiliana, 126 n ., 362.
Pietro Crisologo (Petrus Chrysologus), 589.
Narciso, liberto di Claudio, 448. Ossequente, vedi Giulio Ossequente. Prisciano, gram m atico (Priscianus), 596.
Pietro da Pisa, 600.
Naucellio (Iunius [o Iulius?] Naucellius), 555-556. Ostio (Hostius), .96, 284. Pietro Valvomeres, 545. Priscilliano, eretico (Priscillianus), 523, 582.
N azario, panegirista (Nazarius), 531. Otone, im peratore, 445 , 447. P roba (Proba), 557-558.
.P in d aro , 261-262, 477.
Nemesiano (Marcus Aurelius Olympius Nemesianus), 365, O ttavia, moglie di Nerone, 353. Probino, console nel 395 d .C ., 528, 554, 555.
Pirro, 9, 62, 319.
492, 515-516. Ottaviano e O ttaviano Augusto, vedi Augusto. P robo, gram m atico (Marcus Valerius Probus), 248, 272,
Pisone, adottato da G alba, 445, 447.
Neobuie, fidanzata di Archiloco, 254. Ottavio L am padione (Gaius Octavius Lam padio), 30, 391, 395, 427, 453, 481-482, 483, 487.
Pisone, autore della «Congiura», 343, 365, 367, 421, 448.
Neottolemo di P ario, 253.. 109, 476. Proculo (Proculus), 333.
Pisone, console nel 7 a.C ., 448.
Nepote, vedi Cornelio Nepote. Ovidio (Publius Ovidius Naso), vii, 68, 91, 92, 93, 95, Properzio (Sextus Propertius), 216, 218, 220, 221, 222,
Pisone, vedi Calpurnio Pisone Frugi.
Nepoziano (Ianuarius Nepotianus), 321. 97, 148, 149, 176, 215, 218, 222, 265, 275, 278, 224, 232, 265, 275, 276, 277, 278, 279, 281, 282, 284-
Pisoni, famiglia dei, 253, 272.
Nerone, im peratore (Nero Claudius Caesar), 338, 343, 279, 281, 282, 283 , 285, 286, 288, 291-308, 324, 290, 292, 293, 294, 295, 297, 304, 305, 359, 402, 479.
P itagora, 301, 303.
344, 346, 353, 354, 356, 361, 362, 364-366, 367, 368, 337, 342, 351, 353, 354, 356, 357, 359, 360, 361, Prospero di A quitania (Prosper Tiro), 589.
P ittore, vedi Fabio Pittore.
369, 371, 372, 374, 378, 379, 380, 381 n., 390, 391, 362, 376, 388 n., 401, 405, 408, 412, 470, 484, 515, Platone, 118,.148, 153, 164, 166, 268, 343, 348, 459, 461, Prudenzio (Aurelius Prudentius Clemens), 556, 558-561,
409, 414, 421, 447, 448, 449, 450, 451, 491, 501. 552, 601. 563, 586, 592.
469, 531, 580.
N erva, im peratore, 390, 419, 421, 431, 436, 440, 444, Pseudo-A crone, vedi Acrone.
P lauto (Titus Maccius Plautus), in, iv, 5, 6, 10, 11, 14
445-446, 447, 544, 546. Publilia, 152.
n „ 16, 18, 19, 21 e n., 22, 23, 25 , 27, 30, 33, 35-48,
Nevio (Gnaeus Naevius), vìi, 5, 6, 15, 16, 20, 22, 24 Publilio Sir.o (Publilius Syrus), 111-113, 123.
Pacuvio (Marcus Pacuvius), 29, 30, 56, 59, 91-95, 100, 49, 50, 51, 59, 63, 64, 77, 78, 80, 81, 82, 83, 85,
n., 29, 30-34, 41, 59, 60, 64, 65, 66, 67, 68, 82, 83, Pudente, figlio di Pudentilla, 463.
101, 526. 87, 90, 109, 110, 111, 112, 123, 184, 185, 186, 218,
93, 97 n., 100, 109, 110, 123, 240, 370, 411, 477, 526.' Palem one, vedi Remmio Palem one. Pudentilla, moglie di Apuleio, 459, 463.
364, 381, 472, 475, 476, 477, 480, 483, 484, 514, 526,
Nicandro di Colofone, 139, 233, 234, 235, 300, 302. Palladio (Palladius Rutilius T aurus Aemilianus), 535. 531, 563-564.
Niceo, scolaro di Servio (Nicaeus), 399. Quadrigario, vedi Claudio Quadrigario.
Panegyrici, 436, 531-532. Plinio il Giovane (Gaius Plinius Caecilius Secundus), 149,
Nicete Sacerdote,. 436. Querolus sive Aulularia, 563-564.
Panegyricus Messallae, 226, 283-284. 309, 409, 410, 415, 421, 422, 426, 431, 432, 436-439,
Nicomachi, fam iglia dei, 531. Panezio, 57, 58, 77, 170, 171, 172. 440, 446, 451, 452, 453, 491, 531, 532, 533, 571. Q uintilia, 126.
Nicomaco da Gerasa, 459. Quintiliano (Marcus Fabius Quintilianus), 49, 86, 99, 105,
Panorm ita, A . Beccadelli detto il, 134. Plinio il Vecchio (Gaius Plinius Secundus), 93, 189, 191,
Nicomaco Flaviano (Virius Nicomachus Flavianus), 529, 124, 149, 178, 187, 199, 201, 210, 255, 267 n ., 275,
Pansa, console nel 43 a.C ., 283. 309, 322, 325, 328, 329, 351, 357, 378, 388 n ., 414-
530, 532, 533, 542. 279, 282, 307, 309, 311, 313, 326, 343, 350, 355, 360,
Paolino, amico di Seneca, 345. 420, 436, 438, 443, 451, 486, 514, 518, 587, 606.
Nigidio Figulo (Publius Nigidius Figulus), 118, 189-190, 364, 366, 369, 374, 388 n „ 395, 402, 407, 414, 417,
Paolino di M ilano, biografo di Am brogio (Paulinus Me- Plotino, 460, 578.
358. 421, 426-430, 436, 438, 441, 480, 481, 484, 485, 487,
diolanensis), 589. Plozio Gallo (Lucius Plotius Gallus), 104-105.
N onio Marcello (Nonius Marcellus), 98, 526. Plozio Sacerdote, vedi Sacerdote, gram m atico. 489.
Paolino di Nola (Pontius M eropius Paulinus Nolanus),
N orden, E ., 471. Quintino Pinnio, 188.
523, 552, 556, 558, 561-563, 575, 581, 582. P lutarco, 71, 75, 153, 175, 192, 195, 391, 433, 434, 451,
N otitia Dignitatum , 587-588. Q uinto Cedicio, 72.
Paolino di Pella (Paulinus Pellaeus), 594. 454-455, 530.
Novato, fratello di Seneca, 345. Q uinto Cerellio, amico di Censorino, 517.
Paolino di Périgueux (Paulinus Petricordiensis), 594. Polemio, vedi Giulio Valerio.
Novaziano, antipapa (Novatianus), 508, 509. Paolo Diacono (Paulus Diaconus), 325, 600. Polibio, 6, 53, 56, 57, 58, 69, 77, 165, 183, 310. Q uinto, vedi Cicerone, fratello dell’oratore.
Novio (Novius), 25, IH , 526. Quodvultdeus, 589.
P aolo di T arso, l’apostolo, 344, 355, 435, 500, 523, Polìgnac, M. de, 150.
Num a Pom pilio, 12, 301. 540, 559, 570, 576. Poliziano, A ., 150, 178, 211.
Num eriano, im peratore, 515, 546. Paolo Fabio Massimo, 252. Pollione, vedi Asinio Pollione. Rabirio, difeso da Cicerone, 157.
Paolo Festo, vedi Paolo Diacono. Pom peo, 8, 117, 118, 135, 152, 156, 157, 158, 159, 166, Rabirio, storico (Rabirius), 360, 370.
Octavia, 353, 491. P apiniano, giurista (Aemilius Papinianus), 488, 517. 181,' 194, 202, 204, 208, 311, 317, 318, 343, 367 n „ Racine, J ., 355, 452.
Odoacre, che pose fine all’im pero d ’Occidente, 584. Papirio Fabiano, retore e filosofo, 343. 368, 369, 371, 373, 374, 382. Radegonda, regina dei Franchi, 604.
Olibrio, console nel 395 d.C ., 528, 554, 555. Paride, attore, 339. Pom peo, gram m atico (Pom peius), 586. Raterio, 134.
Om ero, 3, 6, 11, 27, 28, 29, 32, 65, 66, 67, 68, 93 n., Parini, G., 399. Pom peo Festo, vedi Festo. Remio Favino, 535.
97 n., 100, 137, 148, 218, 219, 233, 239-241, 243, Parm enide, 139, 234. Pom peo Strabone, 152. Remmio Flaviano, 536.
245, 246, 247, 248, 252, 287, 302, 303, 366, 376, 386, Parteniò di Nicea, 117, 120, 125, 278, 279, 302. Pom peo Trogo, vedi Trogo. Remmio Palem one (Quintus Remmius Palaem on), 426,
387, 388, 406, 407, 409, 411, 476, 477, 479, 512. Pascal, B., 577. Pom ponio, autore di atellane (Lucius Pom ponius), 25, 427 , 480-481.
O norio, vedi Giulio Onorio. Pascoli, G., 134, 248. 111, 526. Remo, 62.
O norio, im peratore, 553, 554, 584, 591. Passio Perpetuae et Felicitatis, 503-504. Pom ponio, giurista (Sextus Pom ponius), 488. Reposiano (Reposianus), 492, 512-513.
Opillo, vedi Aurelio Opillo. Passiones, 503-504, 549, 559. Pom ponio Mela (Pom ponius Mela), 328-329, 417, 518. Rhetorica ad Herennium, 104-105, 162.
O ptaziano Porfirio (Publilius Optatianus Porfyrius), 542, P atin, H . J. G ., 145. Pom ponio Secondo (?Publius ?Calvisius Sabinus Pom ­ Ricomere, generale di origine germanica, 533.
601. Peanio, traduttore in greco di E utropio, 543. ; ponius Secundus), 351, 414. Riese, A ., 513.
696 INDICE DEI NOMI
INDICE D EI NOMI 697

Rom olo, 12, 31, 60, 62, 158, 242, 306, 543. Sereno, vedi Settimio Sereno, poeta novellus. Stilicone, generale di origine germ anica 524, 533, 553, T irannione il Vecchio, 109.
Ronsard, P ., 289. Sereno Sammonico, scrittore di antiquaria (Serenus Sam- 554, 555, 591. Tirone, 177.
Rosvita, 84. monicus), 514. Stilone (Lucius Aelius Stilo Praeconinus), 108-109, 181, Tirteo, 275.
R ufino di Aquileia (Tyrannius Rufinus), 561,570, 571,581. Sereno Sam monico, scrittore di medicina (Quintus Sere­ 184, 475 , 476-477. Titinio, autore di togatae (Titinius), 110, 526.
R ufio Festo (Rufius Festus), 544. nus Sam monicus), 514-515. Suda, lessico, 453. Tito, im peratore, 407 , 414, 415 , 421, 440, 441, 445.
Rullo, 157. Sertorio, 181, 208, 318. Sueio (Sueius), 123-124. Tito Livio, vedi Livio.
Rusticiana, moglie di Simmaco, 532. Servilio N oniano (Marcus Servilius Nonianus), 322. Suffeno, 122. Tito Tazio, 64, 288.
Rutilio N am aziano (Rutilius Claudius Nam atianus),· Servio (M aurus [Marius] Servius H onoratus), vm , 189, Sulpicia, nipote di Messalla, 280, 284. Tizio (Gaius Titius), 95.
590-592. 228, 233, 247, 248, 273, 329, 369, 376, 456, 482, 527- Sulpicia, poetessa lodata da Marziale, 366, 556. Tolom eo, re d ’Egitto, 369.
Rutilio Rufo (Publius Rutilius Rufus), 107, 108. 528, 529, 530, 586. Sulpiciae conquestio, 556. Tolom eo III Evergete, 132.
Ruzante, 47. Servio G alba, vedi G alba, im peratore. Sulpicio A pollinare, gram m atico (Gaius Sulpicius A pol­ Trabea (Quintus Trabea), 109.
Servio Sulpicio, vedi Sulpicio R ufo, il giurista. linaris), 482, 486, 487. T raiano, im peratore (Marcus Ulpius Traianus Germani-
Servio Sulpicio G alba, vedi Sulpicio Galba. Sulpicio G alba (Servius Sulpicius G alba), 52, 71, 72. cus Dacicus), 322, 419, 431, 432, 436-437, 439, 440,
Sabino, amico di Ovidio, 308. Sestii, scuola dei, 343. 442, 444, 445, 446, 447, 453, 457, 482, 491, 531, 546.
Sulpicio Rufo, il giurista (Servius Sulpicius Rufus), 157,
Sabino, vedi M asurio Sabino. Sestilio E na (Sextilius Ena), 360. T raina, A ., 80, 83.
158, 284, 332.
Sacerdote, gram m atico (Marius Plotius Sacerdos), 516. Sestio, tribuno della plebe, 158. Sulpicio Rufo, l’oratore (Publius Sulpicius Rufus), 105, TraseaPeto (Publius Clodius Thrasea Paetus), 391,448,451.
Saffo, 130, 132, 133, 261, 297, 299, 366, 477. Sesto Pom peo, console nel 14 d .C ., 321. Trebellio Pollione (Trebellius Pollio), 547.
163.
Sallustio (Gaius Sallustius Crispus), 118, 119, 177, 202- Sesto Pom peo, figlio di Pom peo M agno, 215, 360, 368, Sulpicio Severo (Sulpicius Severus), 523, 561, 581-582, 594. Trifone, «editore» di Q uintiliano, 427.
211, 216, 226, 309, 311, 312, 313, 314, 315, 317, 318, 372, 373. Svetonio (Gaius Suetonius Tranquillus), 59, 76, 77, 124, T rogo (Pom peius Trogus), 318-319, 457.
319, 322, 329, 427, 433, 443, 447, 449, 457, 482, 483, Sesto Roscio, 152, 155. 125, 126, 127, 135, 175, 189, 195, 228, 253, 278, Tucidide, 139, 209, 315, 427.
526, 528, 549, 590. Setticio Claro, amico di Plinio il Giovane e Svetonio, 279, 322, 324, 337, 367, 415, 434, 439, 446, 451, Tuditano, vedi Sem pronio Tuditano.
Sallustio, autore degli Empedoclea (Gnaeus Sallustius), 437, 453. 453-458, 475, 478, 480, 482, 518, 527, 542, 543, 548, Tullia, figlia di Cicerone, 152, 166, 332.
139, 202. Settimio, vedi Lucio Settimio. 572, 573. T urpilio, autore di palliatele (Sextus Turpilius), 109, 526.
Salutati, C., 178. Settimio Sereno, poeta novellus (Septimius Serenus), 492. T urpione, vedi Ambivio Turpione.
Salviano (Salvianus), 589. Settimio Severo, im peratore, 468, 514, 517. Turranio Nigro, 188.
Salvio Giuliano, giurista (Lucius Octavius Cornelius Sal- Severi, famiglia dei, 433, 482, 488, 497, 514, 517. Tacfarinate, generale num ida, 448.
vius Iulianus Aemilianus), 488. Severo, vedi Cornelio Severo. Tacito (Cornelius Tacitus), v i i , 7, 124, 199, 211, 311,
Severo, vedi Sulpicio Severo. 322, 337, 343, 344, 345, 351, 354, 367, 378, 379, 380, Ulpiano, giurista (Domitius Ulpianus), 488, 517.
Sam monico, vedi Sereno Sammonico.
Severo A lessandro, im peratore, 434, 514, 517, 518. 409, 414, 415, 418, 426, 427, 429, 430, 431, 432, 436, Unerico, re dei Vandali, 601.
Sannazaro, J., 425, 515.
Shakespeare, W ., iv, 47, 76, 355. 438, 439, 440-452, 544-545.
Saturnino, proconsole del II sec. a .C ., 502.
Sidonio A pollinare (Gaius Sollius M odestus Apollinaris Tarquini, famiglia dei, 92.
Saturnino, tribuno della plebe, 157. Vacca, biografo di L ucano (Vacca), 367, 371.
Sidonius), 403 , 425 , 439, 592-593. Tarquinio il Superbo, 5.
Saumaise, C. de, 511. Valente, im peratore, 543, 544, 546.
Sienkiewicz, H ., 380. Tasso, T ., 248, 289, 376.
Scaligero, G. C „ 232, 360, 410. Teocrito, 112, 219, 228-229, 230, 365, 479. Valentiniano I, im peratore, 533, 544, 546.
Scauro, vedi Emilio Scauro. Silano, am ante di Giulia M inore, 291.
Silano, console nel 62 a.C ., 204. Teodorico, re dei G oti, 598. Valentiniano II, im peratore, 534, 568.
Scevola, l ’Augure (Quintus Mucius Scaevola «Augur»), Teodoro Prisciano (Theodorus Priscianus), 535. Valentiniano III, im peratore, 592.
150, 332. Silio Italico (Tiberius Catius Asconius Silius Italicus), 97
n., 248, 315 , 401, 406, 409-413 , 421, 422, 438. Teodosio, im peratore, 322, 522, 530, 531, 533, 543, 547, Valeriano, im peratore, 508, 509, 546.
Scevola, giurista padre del Pontefice (Publius Mucius Scae­ 553, 556, 561, 568. Valerio Anziate (Valerius Antias), 106, 310, 410.
Silla (Lucius Cornelius Sulla Felix), 8, 71, 103, 107, 108,
vola), 7, 477. Teodosio II, im peratore, 587. Valerio C atone (Publius Valerius Cato), 98, 124, 131,
109, 111, 117, 118, 122, 155, 162, 194, 195, 198, 202,
Scevola, il Pontefice (Quintus Mucius Scaevola «Ponti- Teodosio, prefetto del pretorio nel 430 d .C ., 528. 475, 478-479, 491.
204, 208, 211, 318, 368.
fex»), 152, 332, 477. Simia di Rodi, 492. Teofrasto, 79. Valerio E dituo (Valerius Aedituus), 123.
Scipione A fricano (Publius Cornelius Scipio A fricanus Simmachi, famiglia dei, 528, 531, 567. Teognide, 275. Valerio Fiacco (Gaius Valerius Flaccus Setinus Balbus),
M aior), 52, 57, 60, 64, 70, 71, 74, 104, 165, 410, Simmaco, amico di M acrobio, 529. Teom nesto, 250. 308 , 360, 401, 407-409, 422.
411, 412, 554. Simmaco, figlio dell’oratore (Quintus Fabius Memmius T eopom po, 319. Valerio Fiacco, protettore di Catone, 70.
Scipione Emiliano (Publius Cornelius Scipio Aemilianus Symmachus), 532, 533, 536. Terasia, moglie di Paolino di N ola, 561. Valerio M assimo (Valerius Maximus), 320-321, 323, 419.
Africanus N um antinus), 57, 58, 76, 98, 99, 103, 104, Simmaco, oratore (Quintus Aurelius Symmachus Euse­ Terenzia, 152. Valerio Messalla, vedi Messalla.
164, 165, 170, 171. bius), 439, 529, 530, 532-534, 536, 547, 552, 553, 554, Terenziano M auro (Terentianus M aurus), 492, 513-514. Valerio P robo, vedi Probo.
Scipioni, famiglia e «circolo» degli, 11, 15, 30, 57, 69, 556, 561, 568, 569, 573, 578.. Terenzio (Publius Terentius Afer), 18, 19, 20, 21, 30, Valéry, P ., 248.
70, 77, 96, 98, 99, 100, 123, 164, 332. Simmaco Fosforio, padre dell’oratore, 532. 33, 39, 42, 44, 45, 47, 49, 50, 57, 61, 68, 76-84, 85, Valgio Rufo (Gaius Valgius Rufus), 283, 356.
Scribonio Largo (Scribonius Largus), 327. Simonide di Ceo, 261, 422. 87, 89, 93, 98, 99, 109, 110, 112, 123, 175, 194, 218, Valla, L ., 178.
Sedulio (Sedulius), 594. Siro, vedi Publilio Siro. 453, 475, 482, 526, 527, 528, 529, 563. Valois, E ., 544.
Seiano, 320, 321, 322, 363, 448. Sirone, 137, 227. Terenzio L ucano, 76. Vario Rufo (Lucius Varius Rufus), 95, 216, 223-224, 228,
Sem pronio Asellione (Sempronius Asellio), 106. Sisebuto, re dei Visigoti, 602. Terenzio V arrone, vedi Varrone. 247, 250, 271, 351, 356, 359-360.
Sempronio Tuditano (Gaius Sempronius Tuditanus), 106. Sisenna (Lucius Cornelius Sisenna), 107, 208, 322, 384, Tertulliano (Quintus Septimius Florens Tertullianus), 395, Varo, vedi A lieno Varo.
Seneca (Lucius Annaeus Seneca), 93, 95, 100, 110, 149, 466, 468, 471, 526. 468, 485, 503, 504, 505-506, 507, 508, 509, 510, 513, Varo, generale di A ugusto, 310.
177, 186, 187, 209, 308, 318, 327, 338, 339, 340, 342, Socrate, 432, 461. 523, 536, 538, 571, 573. Varrone (Marcus Terentius V arrò), 14, 15, 28, 36, 41,
343-355, 362, 364, 367, 371, 373, 374, 385, 386, 391, Sofocle, 19, 29, 61, 218, 225, 245, 351. Testamentum Porcelli, 517. 47, 49, 92, 93, 102, 108, 109, 118, 167, 180, 181-189,
Sofonisba, 314. Tiberiano (Tiberianus), 542. 190-191, 192,· 232, 235, 305, 311, 324, 325, 326, 327,
405, 406, 408, 411, 416, 417, 418, 421, 427, 428, 429,
Tiberio, im peratore, 252, 320, 321,322, 330, 337, 340, 351, 329, 358, 385, 417, 418, 454, 456, 457, 475, 476, 481,
443, 448, 451, 452, 484, 487, 491, 511, 513, 592, 598, Solino (Gaius Iulius Solinus), 418, 518-519.
Solone, 275. 356, 357, 358, 363, 364, 448, 449-450, 451, 481, 491. 514, 518, 526, 530, 586.
602.
Sotade di M aronea, 60. Tiberio Coruncanio, vedi Coruncanio. Varrone Atacino (Publius Terentius Varrò Atacinus), 96,
Seneca il Vecchio (Lucius Annaeus Seneca), 211, 247, 309, 122, 124-125, 234, 235, 357, 407.
Tiberio D onato (Tiberius Claudius D onatus), 248, 527.
315, 317, 318, 322, 323, 340-341, 343, 369, 424, 457, Stazio (Publius Papinius Statius), 97, 149, 248, 308, 339,
Tiberio Gracco (Tiberius Sempronius Gracchus), 103, 104, Vatinio, 125.
485. 342, 359, 360, 361, 367, 369, 401-407, 409, 422, 427,
106. Vegezio (Flavius Vegetius Renatus), 535.
Senofane, 275. 479, 592.
Tibullo (Albius Tibullus), 218, 220, 222, 226, 232, 252, Velleio Patercolo (Velleius Paterculus), 49, 320-321.
Senofonte, 153, 327. Stazio, padre del precedente, 405. Venanzio Fortunato (Venantius H onorius Clementianus
275 , 277, 279-284, 289, 292, 293 , 294, 356, 361.
Senofonte Efesio, rom anziere greco, 383. Stazio, vedi Cecilio Stazio. Tigellino, prefetto del pretorio di Nerone, 343, 448. Fortunatus), 403, 604.
Serena, moglie di Stilicone, 554. Stefano, papa, 508. Vennonio (Vennonius), 106.
Timagene, 319, 323.
Sereno, amico di Seneca, 345. Stesicoro, 261. Vercingetorige, 196.
Tim eo, 74.
698 INDICE DEI NOMI

Verre, 152, 154, 155, 156. 470, 472, 479, 480, 481, 482, 483, 484, 513, 515, 516,
Verrio Flacco (Verrius Flaccus), 189, 305, 324-325, 483 526, 527, 528, 529, 530, 535, 541, 549, 552, 557, 558,
n., 516.
Vespa (Vespa), 513.
563, 592, 601.
Virginio R ufo, console nel 97 d .C ., 440.
Indice generale
Vespasiano, im peratore, 338, 351, 407, 409, 414, 416, Vita di A ntonio, 550.
426, 427, 440, 445, 447, 451, 478. Vitellio, im peratore, 409, 445, 446.
Vettio Filocom o (Vettius Philocom us), 109. Vitorio Marcello, oratore amico di Quintiliano, 427.
Vetus A fra, 502. Vitruvio (Vitruvius Pollio), 325-326, 328, 417.
Vetus Itala, 502. V ittore di Vita (Victor Vitensis), 601.
Vetus Latina, 501-502. Vittorino, vedi M ario Vittorino.
Vibia, vedi Vinia Aurunculeia. Vittorino di Poetovium (Vìctorinus Poetovionensis), 509.
Vibio Sequestre (Vibius Sequester), 535. Volcacio Gallicano (Volcacius Gallicanus), 547.
Vigilio, papa, 599. Volcacio Sedigito (Volcacius Sedigitus), 49, 61, 83, 123,
Vinia (o Vibia) A urunculeia, 132. 477.
Vipstano Messalla (Vipstanus Messalla), 441, 451. Voltaire, F . M ., 355.
Virgilio (Publius Vergilius M aro), ni, vili, 6, 11, 68, 69, Volumnia, 278. ..................................... P· III
76, 93, 96, 97, 117, 119, 135, 137, 139, 147, 148, Volusio, 96, 122. Nota dell’ed ito re..................................................................... V
149, 176 e n., 183, 189, 201, 215, 216, 217, 218, 219, Voss, J. H „ 283.
220, 221, 222, 223, 224, 225, 227-249, 250, 269, 273, Vulteio, seguace di Pom peo, 368. Nota alla nuova edizione..................................................... VI
278, 279, 284, 285, 297, 300, 303, 307, 312, 317, 324, Nota sulla trasmissione dei te s ti..................................... . VII
327, 337, 338, 351, 354, 356, 357, 359, 360-362, 365, Zenodoto, gram m atico alessandrino, 124, 479.
370-371, 372, 373, 376, 386, 387, 388, 401, 402, 405, Zenone, im peratore, 601.
406, 407, 408, 409, 410, 411, 433, 434, 453, 457, Zenone di Verona (Zeno Veronensis), 539.

parte I
ALTA E MEDIA REPUBBLICA

LE O R IG IN I. . ......................................................................................................... p . 3
1. Cronologia e diffusione della scrittura.......................................................... » 4
2. Le forme comunicative non letterarie.......................................................... » 5
Leggi e trattati, p. 6. I fasti e gli annales, p. 7. I commentarii, p. 8.
Gli albori delPoratoria: Appio Claudio Cieco, p. 8.
3. Le forme pre-letterarie: i carmina.................................................................... » 9
Poesia sacrale, p. 11. Poesia popolare, p. 13. Canti eroici, p. 13. La que­
stione del saturnio, p. 15.
Bibliografia..............................................................................................................» 17

IL T E A T R O R O M A N O A R C A IC O .......................................................... ..... . » 18
1. La scena.............................................................................................................. » 18
2. Le forme ...........................................................................................................» 21
3. Un «sottogenere» teatrale: l’a te lla n a .......................................................... » 24
Bibliografia.............................................................................................. ..... . . » 25
La terminologia romana dei generi tea tra li..................................................... » 26

LIV IO A N D R O N IC O ............................................................................................... » 27
Vita, opere, f o n t i .................................................................................................... » 27
Nascita della traduzione poetica.......................................................... . . . » 28
Bibliografia.............................................................................................................. » 29

N E V IO ............................................... .............................................................................. » 30
Vita, opere, f o n t i .................................................................................................... » 30
Tra mito e s to ria .....................................................................................................» 31
Bibliografia.......................... ................................................................................... » 34
700 INDICE GENERALE INDICE GENERALE 701

P L A U T O ......................................................................................................................... » 35 3. I prologhi di Terenzio: poetica e rapporto con i m odelli................................» 81


4. Temi e fortuna delle commedie di Terenzio.......................... ..........................» 83
Vita, opere e f o n t i .................................................................... ...............................» 35 Bibliografia.............................................................................................................. » 84
1. Tipologia degli intrecci e dei personaggi..........................................................» 36
2. I modelli greci............................................................... .................................... » 41 U N A CO N C LU SIO N E D ’IN SIEM E SU LLA PA L L IA T A : PL A U T O , T E ­
3. Il «lirismo com ico»..................................................................................... . » 43 R E N Z IO E LA C O M M E D IA N U O V A ................................................................» 85
4. Le strutture degli intrecci e la ricezione del teatro p la u tin o ..................... » 45
1. Dalla tragedia tardo-euripidea alla commedia dei sentimenti..................... » 85
5. Fortuna del teatro plautino...............................................................................» 47
2. Convenzionalità e finzione teatrale................................................................» 86
Bibliografia..............................................................................................................» 48
3. Consapevolezza delle convenzioni e m e ta te a tro ..................................... » 88

C E C IL IO S T A Z I O .....................................................................................................» 49 LO S V IL U PPO D E L L A T R A G E D IA : PA C U V IO E A C C I O ..................... » 91


Vita, opere, f o n t i .................................................................................................... » 49 1. P acu v io ...............................................................................................................» 91
Un grande commediografo.................................................................................... » 49 Vita, opere, fonti, p. 91
Bibliografìa..............................................................................................................» 51 2. A ccio................................................................................................................... » 92
Vita, opere, fonti, p. 92.
O R A T O R IA E ST O R IO G R A FIA IN E P O C A A R C A IC A .......................... » 52 3. Lo sviluppo della tragedia ................................................................................ » 93
Bibliografia..............................................................................................................» 95
1. L ’o r a to r ia ..................................... .................................................................... » 52
2. L’annalistica di Fabio P itto re .......................................................................... » 52 LO SV IL U PPO D E L L A PO E SIA E P IC A : D A E N N IO A V IR G IL IO . . » 96
3. Cincio Alimento e gli altri annalisti................................................................» 53
Bibliografìa..............................................................................................................» 54 L U C IL IO » 98
Vita, opere, f o n t i .................................................................................................... » 98
LET TER A TU R A E C U LTU RA N E L L ’E T À DELLE CO N Q U ISTE . . . » 55 Lucilio e la satira .....................................................................................................» 99
Bibliografia..............................................................................................................» 102
E N N I O .............................................................................................. .............................................. 59
P O L IT IC A E C U L T U R A F R A L ’E T À D E I G R A C C H I
Vita, opere, f o n t i .................................................................................................... » 59 E L A R ESTA U R A ZIO N E SILLA N A . . . » 103
1. Il te a tro ...............................................................................................................» 61
1. Oratoria e tensioni p o litich e.......................................................................... » 103
2. Gli Annales·. struttura e composizione.......................................................... » 64
Asianesimo e atticismo, p. 105.
3. Ennio e le muse: la poetica............................................... ............................... » 65
2. Lo sviluppo della storiografia..........................................................................» 106
4. Lo sperimentalismo enniano: lingua, stile e m etrica..................................... » 66
Sisenna e la storiografia «tragica», p. 107. Gli inizi dell’autobiografia, p. 107.
5. Ennio e l’età delle conquiste.......................................................................... » 68
3. Studi antiquari, linguistici, filologici............................................................... » 108
Bibliografia.............................................................................................................. » 69 Analogia e anomalia nell’uso della lingua, p. 109.
4. La commedia dopo Terenzio: la fabula palliata e la fabula togata . . » 109
CA TO N E . . . .......................................................... ............................... » 70 5. L’atellana nella Roma della tarda repubblica: Pomponio e Novio . . . . » Ili
Vita, opere, f o n t i ............................................................................................... . » 70 6 . Il mimo. Laberio e S iro .....................................................................................» 111
1. Gli inizi della storiografia senatoria . ...........................................................» 71 Bibliografia.................................................................... ......................................... » 114
2. Il trattato sull’agricoltura..................................................... .......................... » 72
3. La battaglia politico-culturale di C atone.....................................' . . . . » 73
4. La fortuna di Catone . .................................................................................... » 75 P a rte II
Bibliografia..............................................................................................................» 75 LA TARDA REPUBBLICA

T E R E N Z IO ..................................................................................... ............................... » 76 IL PE R IO D O CESARIA NO (78-44 a .C .) ...............................................................p. 117


Vita, opere, f o n t i .................................................................................................... » 76
L A PO E S IA N E O T E R IC A E C A T U L L O .......................................................... » 120
1. Lo sfondo storico...............................................................................................» 77
2. Stile e lingua in T erenzio ..................................... .......................................... » 80 1. I p o e ti « p r e n e o te r ic i» ....................................................., ......................................................» 122
702 INDICE GENERALE
INDICE GENERALE 703
2. I poeti neoterici ................................................ ..... . . ...........................» 124
3. C a tu llo ............................................................................................................... » 126 p. 182. Opere letterarie e filosofiche, p. 185. Agricoltura ed espansione dei
consumi, p. 188. Fortuna di Varrone, p. 189.
Vita, opere, fonti, p. 126. I carmi brevi, p. 127. I carmina docta, p. 131. Lo
stile, p. 133. La fortuna, p. 134. 4. Nigidio F igulo.................................................................................................... » 189
Bibliografia.............................................................................................................. » 134 5. Cornelio N e p o te ............................................................................................... » 190
Vita, opere, fonti, p. 190. Valori tradizionali e relativismo culturale nelle
biografie di Cornelio Nepote, p. 191.
L U C R E Z I O ................................................................................................................. » 135 Bibliografia.............................................................................................................. » 193
Vita e testimonianze, o p e r e ............................................................................... » 135
C E S A R E .......................................................................................................................» 194
1. Lucrezio e l’epicureismo rom ano .......................... ..........................................» 136
2. Il poema didascalico..........................................................................................» 138 Vita, opere, f o n t i . ............................................................................................... » 194
3. Studio della natura e serenità dell’u o m o ..................................................... » 142 1. Il commentarius come genere storiografico................................................» 195
4. Il corso della s to ria ..................... ..... ........................... ............................... » 143 2. Le campagne in Gallia nella narrazione di C esare..................................... » 195
5. L’interpretazione dell’o p e ra ...............................................................................» 145 3. La narrazione della guerra civile..................................................................... » 197
6. Lingua e stile di L ucrezio............................................................................... » 147 4. La veridicità di Cesare e il problema della «deformazione storica» . . . » 198
7. La fortuna di Lucrezio . ..................................................................... ..... . » 149 5. I continuatori di C esare....................................................................................» 199
Bibliografia..............................................................................................................» 150 6. Le teorie linguistiche di C e sa re .......................................................... ..... . » 199
7. Fortuna di Cesare scrittore . .....................................................» 200
C IC E R O N E . ................................................ ...............................................................» 152 Bibliografia.............................................................................................................. » 201

Vita, opere, f o n t i . . . .................................................................................... » 152 S A L L U S T I O ............................................ ..................................................................» 202


1. Tradizione e innovazione nella cultura ro m a n a .......................................... » 153
Vita, opere, f o n t i . - ............................................................................................... » 202
2. L’egemonia della parola: carriera politica e pratica oratoria . . . . » 154
1. La monografia storica come genere lette ra rio .......................................... » 203
I primi successi e il processo di Verre, p. 154. Il progetto di concordia dei
ceti abbienti, p. 156. La difesa di Marco Celio: Cicerone e la gioventù roma­ 2. La congiura di Catilina e il timore dei ceti su b altern i...........................» 203
na, p. 159. Discorsi reali e discorsi scritti: la difesa dì Milone, p. 159. Dalla 3. Il Bellum Iugurthinum: Sallustio e l’opposizione antinobiliare . . . . » 206
guerra civile alla dittatura di Cesare, p. 160. La lotta contro Antonio, p. 4. Le Historiae e la crisi della res pu b lica .......................................................... » 208
160. Significato del progetto politico di Cicerone, p. 161.
5. Lo stile di Sallustio ............................................................................ . . » 209
3. L’egemonia della parola: le opere reto rich e................................. . . » 161
Eloquenza e filosofia, p. 161. Storia dell’eloquenza e polemiche di stile, p. 163. 6. Le Epistulae e 1’In vectiva ............................................................................... » 210
4. Un progetto di s ta to ..................................................... ................................ » 164 7. Fortuna di Sallustio.......................................................................................... » 211
5. Una morale per la società romana . ................................ ..... . . . . » 166 Bibliografia..............................................................................................................» 211
La teoria della conoscenza, p. 168. Sistemi etici a confronto: l’eclettismo
filosofico di Cicerone, p. 168. La vecchiezza e l’amicizia, p. 169. I doveri
della classe dirigente, p. 170. Il sistema delle virtù, p. 171. Le prime origini
del galateo, p. 172. Flessibilità e pluralismo dei valori, p. 173. Parte III
6. Cicerone prosatore: lingua e stile ..................................................................... » 173 L ’ET À D I AUGUSTO
7. Le opere poetiche................................................................................ . . » 175
8. L’e p is to la rio ..................................................... ...............................................» 176 43 A .C .-17 D .C .: C A R A TTER I DI U N P E R IO D O .......................................... p. 215
9. Fortuna di Cicerone..........................................................................................» 177
Bibliografia .............................................................................................................. » 179 1. In tro d u z io n e .....................................................................................................» 215
Una m atura consapevolezza letteraria: il sistema dei generi, p. 218. Autenticità
dei poeti e ideologia augustea, p. 221.
FIL O L O G IA , B IO G R A FIA E A N T IQ U A R IA 2. La letteratura, lo sfondo politico e i circoli p o e tic i................................» 223
A L LA FIN E D E LLA R EPU B BLICA . . . ..................................................... » 180
V I R G I L I O .......................................................... ..........................................................» 227
1. Studi di antichità e nostalgia del passato ro m a n o ..................................... » 180
2. Tito Pomponio Attico studioso di antiquaria e «organizzatore di cultura» . » 181 Vita, opere, f o n t i .................................................................................................... » 227
3. V arrone.....................................................................181 1. Le B ucoliche.....................................................................................................» 228
Vita, opere, fonti, p. 181. Erudizione antiquaria, filologia e studi linguistici, Teocrito e Virgilio, p. 228. Il libro delle Egloghe, p. 229. I confini del ge­
nere bucolico, p. 230.
704 INDICE GENERALE INDICE GENERALE 705

2. Dalle Bucoliche alle Georgiche (38-26 a .C .) ................................................» 232 6. I F a s t i ............................................................................................................... » 304


3. Le G eorgiche.....................................................................................................» 233 7. Le opere dell’e s ilio .......................................................................................... » 306
Le Georgiche come poema didascalico, p. 233. Lo sfondo augusteo, p. 8 . La fo rtu n a .......................................................... ............................................... » 307
236. Struttura e composizione, p. 237. La storia di Aristeo e Orfeo, p. 238.
Bibliografia............................................... .............................................................. » 308
4. Dalle Georgiche all’E neide............................................................... . . . » 239
5. L’Eneide..............................................................................................................» 239
Omero e Augusto (I), p. 239. La leggenda di Enea, p. 241. Il nuovo stile LIV IO ................................................................................................................................» 309
epico, p. 243. Omero e Augusto (II): le ragioni dei vinti, p. 246.
Vita, opere, f o n t i .................................................................................................... » 309
6. Cenni sulla fortuna di V irgilio.....................................................................» 247
1. Il piano dell’opera di Livio e il suo metodo storiografico...........................» 309
Bibliografia......................................................... .................................................... » 249
2. Il nuovo regime e le tendenze della storiografia liviana................................» 311
3. Lo stile della narrazione liv ia n a ..................................................................... » 313
O R A Z IO . . . . . . . . . . . .. . \ » 250
4. Fortuna di L iv io ................................................................................................» 315
Vita, opere, f o n t i ............................................................................................... » 250 Bibliografia.............................................................................................................. » 316
1. Gli Epodi come poesia dell’e c c e s s o ..................................... » 253
2. Le Satire......................................................... ....................................................» 255 O R IEN TA M EN TI D ELLA STO R IO G R A FIA .....................................................» 317
Un genere tutto romano: Orazio e Lucilio, p. 255. Satira e diatriba: la mora­
le oraziana, p. 256. Il II libro e il nuovo assetto della satira oraziana, p. 1. Asinio Pollione e la storia delle guerre civili................................................» 317
258. Lo stile del sermo oraziano, p. 258. 2. Autobiografia e propaganda: A ugusto.......................................................... » 318
3. Le Odi . ................................................ ......................................................... » 259 3. Pompeo Trogo e i riflessi dell’opposizione an tiro m an a...........................» 318
I presupposti culturali e letterari della lirica oraziana, p. 259. Temi e caratte­ 4. La storiografia del consenso: Velleio Patercolo e Valerio Massimo . . . . » 320
ristiche della lirica oraziana, p. 262.
5. Storiografia dell’opposizione senatoria.......................................................... » 321
4. Le Epistole·, progetto culturale e anacoresi filosofica................................» 268
6 . Storiografia come intrattenimento letterario: Curzio R u fo .......................... » 322
5. La fo rtu n a ........................................................................................... . . » 272
Bibliografia . ..................................... ....................................................................» 323
Bibliografia.......................... ................................................................................... » 273

E R U D IZ IO N E E D IS C IP L IN E T E C N I C H E ..................................................... » 324
L ’ELE G IA : TIB U LLO E P R O P E R Z IO .......................... .................................... » 275
1. Erudizione e studi grammaticali in età augustea...........................................» 324
1. Cornelio G a l l o ............................................................................................... » 278
Verrio Fiacco, p. 324.
2. T ib u llo ..................................................... ..........................................................» 279
2. Le discipline tecniche in età augustea e giulio-claudia . . . . . . . . 325
Vita e testimonianze, opere, p. 279. Il mito della pace agreste, p. 280. Tibullo L’architettura: Vitruvio, p. 325. La medicina: Celso, p. 326. L’agricoltura:
poeta doctus, p. 281. La fortuna, p. 282. Columella, p. 327. La geografia: Agrippa e Pomponio Mela, p. 328. La
3. Il Corpus Tibullianum .....................................................................................» 283 precettistica culinaria: Apicio, p. 330.
Ligdamo, p. 283. Il Panegirico di Messalla e gli altri componimenti, p. 283. Bibliografìa .............................................................................................................. » 330
4. P r o p e rz io ..........................................................................................................» 284
Vita, opere, fonti, p. 284. Nel nome di Cinzia: il primo canzoniere, p. 286. Il
canzoniere maggiore e il distacco, p. 287. L’elegia civile, p. 288. La densità L E T T E R A T U R A G IU R ID IC A : L IN E E D I SV IL U PPO
dello stile, p. 289. La fortuna, p. 289. FIN O A L L A P R IM A E T À IM P E R IA L E ...........................................................» 331
Bibliografia..............................................................................................................» 289
Bibliografia.......................................... . . .....................................................» 333

O V I D I O ..................... ............................................................... .................................... » 291


Vita e testimonianze, opere.................................................................................... » 291
1. Una poesia «m oderna».................................................................................... » 292 P a rte IV
2. Gli A m o re s............................................... ......................................................... » 293 LA PRIMA ETÀ IMPERIALE
3. La poesìa erotico-didascalica..................................................................... ........» 294
4. he Heroides........................................................................................................ » 296 C U L T U R A E SPE T T A C O L O : L A L E T T E R A T U R A
5. Le M eta m o rfo si................................................................................................» 300 D E L L A P R IM A E T À I M P E R I A L E p. 337
Composizione e struttura, p. 301. La metamorfosi e l’universo mitico, p.
302. Poesia come spettacolo, 304. 1. La fine del m ecenatism o................................................................................» 337
INDICE GENERALE 707
706 INDICE GENERALE

2. Letteratura e te a tro .......................................................................................... » 339 LA SA TIR A SO TTO IL P R IN C IP A T O : P E R SIO E G IO V EN A LE . . . » 390

3. Seneca il Vecchio e le declamazioni . ...........................................................» 340 1· P e r s i o · . . . . . » 391


4. Le recitazioni, o la letteratura come spettacolo............................................... » 341 Vita e testimonianze, opere, p. 391. Satira e stoicismo, p. 392. Dalla satira
Bibliografia..............................................................................................................» 342 all’esame di coscienza, p. 393. L’asprezza dello stile, p. 394. La fortuna
p. 395.
2. G io v e n a le
S E N E C A ..........................................................................................................................» 343 Vita e testimonianze, opere, p. 396. La satira «indignata», p. 397. Lo stile
satirico sublime, p. 399. La fortuna, p. 399.
Vita, opere, f o n t i ....................................................................................................» 343 Bibliografia » 400
1. I Dialogi e la saggezza s to ic a ..................................................... . . . » 344
2. Filosofia e p o t e r e ..................................................... ...................................................346 L ’E P IC A D I E T À F L A V I A 401
3. La pratica quotidiana della filosofia: le Epistole a Lucilio . . . . . . . 347
4. Lo stile «drammatico» . ................................ ...............................................» 349 1. S t a z i o » 4 oi

5. Le tragedie......................................................................................................... » 350 Vita, opere, fonti, p. 401. Le Silvae, p. 401. La Tebaide, p. 404.
L’Achilleide, p. 406. La fortuna, p. 406.
6. UApokolokyntosis ..................................................... .................................... » 353 2. Valerio Flacco » 407
7. Gli epigram m i.................................................................................................... » 355 Vita, opere, p. 407. Gli Argonautica, p. 407.
8. La fo rtu n a ..........................................................................................................» 355 3. Silio Italico » 409
Bibliografia.......................... ............................................................................. » 355 Vita, opere, fonti, p. 409. I Punica, p. 409.
Bibliografia » 412
I GEN ERI P O E T IC I N E L L ’E T À G IU LIO -C LA U D IA . . ...........................» 356
1. La poesia minore della generazione ovidiana . . ......................................» 356 P L IN IO IL V E C C H IO E IL SA PE R E S P E C IA L IS T IC O » 414
2. La poesia astronomica: Germanico e M a n ilio ..................... ..... . . . » 357
3. Sviluppi dell’epos storico . . . . . . *................................................» 359 Vita, opere, f o n t i . » 414

4. L ’Appendix Vergilìana.....................................................................................» 360 1. Plinio il Vecchio e l’enciclopedismo » 415


Eclettismo e progetto enciclopedico, p. 417. Fortuna della Naturalis historia,
5. Fedro: la tradizione della fav o la ..................................................................... » 362 p. 418.
6. I generi poetici in età neroniana . ................................................................ » 364 2. Uno scrittore tecnico: Frontino . » 419
Il ritorno della pastorale, p. 364. Poesia mitologica e generi minori, p. 365.
Bibliografia . . » 420
Bibliografia : ......................................................................... ...............................» 366

L U C A N O ........................................................................................................................ » 367 M A R Z IA L E E L ’E P IG R A M M A » 421

Vita, opere, f o n t i . ..................................................... ..........................................» 367 Vita e testimonianze, opere » 421


1. Una storia versificata?..................................................... ...............................» 368 1 . L’epigramma come poesia realistica » 422
2. Lucano e Virgilio: la distruzione dei miti augustei................................ . » 370 2. Il meccanismo dell’arguzia............................................................................... » 424
3. L’elogio di Nerone e l’evoluzione della poetica lucanea................................» 371 3. La fo rtu n a .......................................................................................................... » 425
4. Lucano e l’anti-mito di Roma ................................................ ..........................» 372 Bibliografia..............................................................................................................» 425
5. I personaggi del p o em a.................................................................................... » 373
6. Lo s tile ............................................................................................................... » 374 Q U I N T I L I A N O ..................................................................... .....................................» 426
7. La fo rtu n a .......................................................................................................... » 376
Bibliografia..............................................................................................................» 377 Vita, opere, f o n t i .................................................................................................... » 426
1. I rimedi alla corruzione dell’eloquenza.......................................................... » 426
P E T R O N IO .................................................................................................................... » 378 2. Il programma educativo di Q uintiliano.......................................... . . . » 428
3. L’oratore e il p rincipe.....................................................................................» 429
Vita e testimonianze, opere ............................................................................... ..... » 378
Bibliografia..............................................................................................................» 430
1. Il Satyricon......................................................................................................... » 379
Autore e datazione, p. 379. La trama del romanzo, p. 381. Il genere lette­
rario: menippea e romanzo, p. 383. Realismo e parodia, p. 386. L ’E TÀ D E G L I IM P E R A T O R I P E R A D O ZIO N E ........................................... » 431
I P r ia p e a ...............................................................................................................» 388
1. Un periodo di pace e di stabilità................................................................ » 431
Bibliografia..............................................................................................................» 388
708 INDICE GENERALE .
INDICE GENERALE 709

2. Raffinatezza culturale e filologismo erudito.................................................... » 432 3. Aulo G ellio......................................................................................................... » 486


3. I segni del futuro: sincretismo religioso e rinascita di credenze oltremon­ 4. Letteratura giuridica: la sistemazione della dottrina . . ...........................» 487
dane .....................................................................................................................» 433 Bibliografia..............................................................................................................» 489

P L IN IO IL G IO V A N E ............................................................................................... » 436 SVILUPPI DELLA POESIA: I P O E T A E N O V E L L I ..................................... » 491


Vita, opere, f o n t i .................................................................................................... » 436 Bibliografia............................................................................................................. » 493
1. Plinio e Traiano ................................................................................................» 436
2. Plinio e la società del suo te m p o ............................................................... » 437
Bibliografia..............................................................................................................» 439

T A C IT O ..................................................................... .....................................................» 440 Parte V


Vita, opere, f o n t i ....................................................................................................» 440 LA TARDA ETÀ IMPERIALE
1. Le cause della decadenza dell’o ra to ria .......................................................... » 441
2. Agricola e la sterilità dell’opposizione.......................................................... » 442
D A I SEV ERI A D IO C L E Z IA N O (1 9 3 -3 0 5 )..................................................... p. 497
3. Virtù dei barbari e corruzione dei R om ani.....................................................» 443
4. I parallelismi della s to r ia ............................................................................... » 444 1. I grandi mutamenti sociali.......................................................................... . » 497
5. Le radici del principato.................................................................................... » 447 L’affermarsi del Cristianesimo, p. 499.
6 . Le fonti di T acito.............................................................................................. » 451 2. Alle origini di una letteratura cristiana.......................................................... » 500
7. La fo rtu n a ..........................................................................................................» 452 Le traduzioni dei testi sacri, p. 501. Gli A cta martyrum e le Passiones, p. 502.
Bibliografia........................................................................................................................... 452 3. Gli apologisti . ................................................................................................» 504
TERTULLIANO, p. 505. MINUCIO FELICE, p. 506. CIPRIANO, p. 508. Altri apo­
SV ETO N IO E L A ST O R IO G R A FIA M IN O R E ................................................» 453 logisti, p. 509.
4. C om m odiano.................................................................................................... » 509
Vita e testimonianze, opere .....................................................................................» 453 5. Gli ultimi prodotti della poetica dei novelli.....................................................» 511
1. La biografia in Svetonio....................................................................................» 454 Generi letterari e poeti della A nthologia L atina , p. 511. Il Pervigilium Vene­
2. La fo rtu n a ..........................................................................................................» 456 ris, p. 512. Gli altri poeti dell’Anthologia L atina , p. 512. Terenziano Mau­
3. Floro e la «biografia di R o m a » .....................................................................» 456 ro, p. 513. Saggezza e medicina in versi, p. 514. Nemesiano e la poesia
didascalica, p. 515.
Bibliografia..............................................................................................................» 458
6. La letteratura erudita.........................................................................................» 516
I giuristi: Papiniano, Ulpiano, ecc., p. 517. Censorino, p. 517. Solino, p. 518.
A P U L E I O .................................................................................................................... » 459
Bibliografia..............................................................................................................» 519
Vita e testimonianze, opere.................................................................................... » 459
1. Una figura complessa di oratore, scienziato, filosofo.....................................» 460 D A CO STA N TIN O A L SA CCO D I R O M A (306-410)..................................... » 521
2. Apuleio e il rom anzo......................................................................................... » 464
3. Lingua e s tile .....................................................................................................» 471 1. La grande rinascita culturale.......................................................................... » 521
4. La fo rtu n a .......................................................................................................... » 473 Le grandi eresie, p. 522. L’Impero d’Occidente e i barbari, p. 524. I gram­
matici: Carisio, Diomede, Dositeo, p. 525. Nonio Marcello, p. 526. I com­
Bibliografia..............................................................................................................» 473 mentatori: Donato e Servio, p. 526. I retori, p. 528. m a c r o b io , p. 528. Le
edizioni dei classici, p. 530. I Panegiristi, p. 531. s im m a c o , p. 532. Le
discipline scientifiche, p. 534.
FIL O L O G IA , R E TO R IC A E C R IT IC A LET T E R A R IA , D IR IT T O . . . » 475
2. Il trionfo del cristianesimo............................................................... . . . » 536
1. La filologia latina: un riepilogo del suo sviluppo storico ........................... » 475 a r n o b io , p. 536. l a t t a n z io , p. 537. Firmico Materno, p. 539. Gli antia-
Nascita della filologia in Roma, p. 475. Elio Stilone e le tendenze della filo­ riani, p. 539. Mario Vittorino, p. 539. Ilario di Poitiers, p. 540. La poe­
logia del II secolo a.C., p. 476. Valerio Catone e la filologia di età cesariana, sia: Giovenco, Optaziano, Tiberiano, p. 541.
p. 478. La filologia in età augustea, p. 479. Remmio Palemone e Asconio 3. L’ultima storiografia pagana e la nuova storiografia cristiana..................... » 542
Pediano, p. 480. Valerio Probo e i successivi sviluppi della filologia, p. 481.
Aurelio Vittore e la H istoria tripertita, p. 542. Eutropio e i Breviari, p.
2. La tendenza arcaizzante nel II se co lo .......................................................... » 483 543. ΑΜΜΙΑΝΟ MARCELLINO, p. 544. LA «HISTORIA AUGUSTA», p. 546. Le
Frontone, p. 484. storie per temi, p. 548. Le storie romanzate, p. 548. Le vite di santi, p. 549.
in d ic e GENERALE 711
710 INDICE GENERALE

Breve glossario di cultura romana (politica-società-ideologia) . ........................... » 609


p. 551. c l a u d i a n o , p. 553. Altri poeti di corte: Avieno, Naucel-
a u so n io , Breve glossario di termini retorici, metrici e della critica letteraria............................... » 617
lio, Aviano, p. 555. La poesia cristiana di ispirazione religiosa, p.
556. Damaso, p. 557. Proba, p. 557. p r u d e n z i o , p. 558. p a o l in o d i n o - Repertorio dei riferimenti alla letteratura g rec a ..................... .....................................» 625
l a , p. 561. Il Querolus, p. 563.
Bibliografia..............................................................................................................» 564 Tavole cronologiche .......................................................................................................... » 637
Indice dei n o m i ..................................................... .......................... ............................... » 687
L ’A P O G E O D E L L A C U L T U R A C R IS T IA N A ................................................» 567
1. I Padri della C hiesa.......................................................................................... » 567
2. A m b ro g io .......................................................................................................... » 567
Vita, opere, p. 567.
3. Girolamo .......................................................................................................... » 570
Vita, opere, p. 570.
4. Agostino..................... ........................................................................................ » 573
Vita, opere, p. 573. Agostino e le Confessioni, p. 575. La Città di Dio,
p. 577. Pensiero e stile di Agostino, p. 579.
5. Altri Padri della C hiesa..................................................... 581
Rufino, p. 581. Sulpicio Severo, p. 581.
Bibliografia................................................................................................... ..... . » 582

D A O N O R IO A O D O A C R E (410 -4 7 6 )..................................................... ..... . » 584


1. La fine dell’impero d’Occidente: un nuovo quadro politico-istituzionale . » 584
Dalla crisi ad una nuova sintesi culturale, p. 585. Marziano Capella, p.
586. Prontuari scientifici, p. 587. Diritto e burocrazia, p. 587.
2. Cronaca e storiografia cristian a.....................................................................» 588
Orosio, p. 588. Salviano, p. 589. Storici minori, p. 589. I Sermoni, p.
589. Giuliano d’Eclano; Cassiano, p. 590. Storie romanzate, p. 590.
3. La nuova p o e sia ............................................................................................... » 590
Rutilio Namaziano, p. 590. Merobaude, p. 592. Sidonio Apollinare, p.
592. I poeti minori, p. 594.
Bibliografia..............................................................................................................» 594

G L I A L B O R I D E L M E D IO E V O ..................................... .....................................» 596

1 . Continuità e innovazione nella letteratura medioevale . . . . . . . » 596


2. La cultura nell’Italia del VI secolo: Boezio e Cassiodoro . . . . . . . 597
Bo e z io , p. 598. c a s s io d o r o , p. 598. I poèti, p. 599. Benedetto da Norcia
e Gregorio Magno, p. 600.
3. La letteratura in A fric a ................................................« .............................. » 600
d r a c o n z i o , p. 600. Fulgenzio, p. 601. Vittore di Vita, p. 601. Corippo,
p. 602.
4. La letteratura in S p a g n a ..................... ..........................................................» 602
ISIDORO DI SIVIGLIA, p. 602.
5. La letteratura in Francia.......................... ......................................................... » 603
VENANZIO FORTUNATO, p. 604. GREGORIO DI TOURS, p. 605.
6 . Beda il Venerabile.................................................................... . . . » 606
7. Verso la nascita delle letterature nazionali: un’irradiazione più che una fine » 607
Bibliografìa.................................................................... ......................................... » 608

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