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CANANA’ MASSIMILIANO PLAUTO-AULULARIA ANALISI E COMMENTO DEL

TESTO

AULULARIA ANALISI E COMMENTO AL TESTO


La Trama
Il titolo Aulularia (“la commedia della pentola”) prende spunto dalla pignatta piena d’oro (da fabula
sottinteso e da aulula, diminutivo d’aula o olla, in altre parole pignatta).Una pignatta piena d’oro è,
infatti, potremmo dire, la protagonista di questo lavoro drammatico, che per molti caratteri differisce
dalla maggior parte delle commedie plautine. Euclione, il vecchio avaro, ha trovato, sotto il
pavimento di casa sua, una pignatta piena d’oro, nascostavi dal nonno. Il ritrovamento della
pignatta è voluto dal Lar Familiaris, cioè il dio che tutela la casa, per procurare una dote a Fedra,
figlia di Euclione, che è stata violentata, durante una cerimonia sacra a Cerere, da Liconide e che
ora sta per partorire. All’oscuro di tutto ciò, l’anziano e ricco vicino Megadoro, zio di Liconide,
chiede la mano della ragazza, e i vecchi decidono per le nozze immediate. Nel bel mezzo della
preparazione delle nozze, Euclione viene derubato della pentola da Strobilo, astuto servo di
Liconide: non appena si accorge, il vecchio si dispera e Liconide, dopo essersi incontrato con il
vecchio, credendo che lo faccia perché ha scoperto la condizione di Fedra, confessa la sua colpa
e si dichiara pronto a sposare la ragazza, che ora ama, e con la quale ora lo zio Megadoro ha
interrotto il fidanzamento. Nel frattempo, dopo una serie di chiarimenti, Strobilo offre a Liconide il
tesoro di Euclione in cambio della libertà. Su questo dibattito si interrompe la commedia, di cui
purtroppo l’ultima parte è andata perduta.
I Personaggi
Nelle commedie plautine, così come in tutta la tradizione della fabula palliata, i personaggi non
sono caratterizzati(non presentano cioè dei propri tratti individuali)ma maschere. Una maschera è
sostanzialmente un personaggio teatrale piatto e statico: piatto poiché è dipinto con brevi tratti e la
sciato ad una descrizione superficiale sia fisica che morale(il contrario di un personaggio piatto è
un personaggio a tutto tondo,descritto cioè nei minimi particolari), statico poiché compie un
cambiamento, un’evoluzione(soprattutto a livello morale) durante il proseguimento
dell’opera(opposto a questo tipo di personaggio troviamo il personaggio dinamico). L’uso di
maschere non è chiaramente casuale. I vantaggi che questo espediente narrativo può dare sono
innumerevoli e tra questi i più importanti due:in primo motivo essi possono ripetersi in più
commedie(infatti la loro descrizione superficiale fa si che non siano legate ad un particolare
contesto ma possano adattarsi a diverse ambientazioni), in secondo luogo le maschere
presentano un ruolo predeterminato e ben preciso conosciuto anche dal pubblico cosi che
possono creare una maggior intesa e un maggior coinvolgimento di quest’ultimo con la
rappresentazione(a questo proposito è bene ricordare che spesso anche il nome del personaggio
è preconosciuto e predeterminato). Inoltre è importante ricordare che i personaggi sono funzionali
all’azione scenica e non viceversa. I personaggi presenti nella commedia sono circa tredici: il genio
della famiglia, Euclione, Stafila, Eunomia, Megadoro, Strobilo, Congrione, Antrace, Pitodico,
Liconide, il servo di Liconide, Fedria, alcune flautiste ed alcuni personaggi muti. I personaggi
principali, “i protagonisti”, sono pochi. Molti invece sono personaggi minori, figure occasionali ma
comunque essenziali perché necessarie per la creazione dell’atmosfera(quasi come una
scenografia).Essi nel corso della vicenda compiono delle azioni in base alla propria indole ed al
fatto che rappresentino un valore positivo o negativo.

EUCLIONE
Il personaggio principale è sicuramente Euclione. Euclione, anche se per avarizia vive come un
poveraccio, appartiene alla classe dei piccoli borghesi,infatti possiede anche una schiava, Stafila;
tuttavia il ruolo sociale di Euclione non viene specificato.
Caratterizzazione e ruolo interpretato: Il carattere di Euclione può essere sintetizzato nella
parola avaro. Euclione è un vecchio avaro, sospettoso e iracondo talmente preso dalla sua avidità
da non curarsi nemmeno della figlia e non accorgersi che questa è in procinto di partorire. E'
dominato dal desiderio di possedere(ruolo del personaggio), a prescindere dal valore delle cose;
vede dappertutto una minaccia ai suoi averi e perciò è preso continuamente dalla paura, che lo
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conduce ad essere frenetico e lo sospinge a continue verifiche ed ispezioni. E' inoltre bisbetico, a
volte addirittura violento, stressato com'è dai suoi sospetti. Euclione è perennemente agitato,
sospettoso, impaurito. Quando parla con Megadoro, che vuole solo fare del bene alla sua famiglia,
pensa che questi parli della pentola d'oro ed è roso dal sospetto(problema iniziale). Continuamente
cambia nascondiglio alla pentola, tanta è la sua paura che questa gli venga portata via. E' talmente
avaro che va al mercato e torna a casa senza aver acquistato niente, tantopiù che era uscito
senza soldi. Rispetta gli Dei solo per interesse personale, non per vera fede, come si vede
chiaramente al termine della seconda scena del quarto atto, quando afferma "o Buona Fede,
t'offrirò un vaso da un congio di vin melato. Sì, te l'offrirò; ma, quando te l'avrò offerto, me lo berrò
io". L'avarizia, difetto di per se comune, è da Euclione condotta all'esasperazione, all'estremo; le
maschere interpretano infatti ruoli della vita comune ma iperbolizzati allo scopo di renderli buffi).
Da tutte le parole di Euclione si delineano anche le sue idee: questi ritiene stupido spendere
(pensa infatti che "se nel giorno di festa sperperi, in quelli feriali dovrai tirar la cinghia, per non aver
risparmiato"), inoltre pensa che tutti mirino ad impossessarsi delle sue ricchezze (è infatti cosi
sospettoso da cogliere allusioni alla sua pentola in ogni frase che glia altri gli rivolgono, ignorando
l'esistenza del tesoro). Euclione appare come un personaggio piuttosto negativo anche se alla fine
si ravvede e dà il tesoro in dote alla figlia.
Ruolo della maschera Euclione nell’intento di Plauto: Plauto, con Euclione, affronta la tematica
dell'avarizia, anzi di come l'avaro possa giungere a comportamenti estremi e illogici. Tra i temi
minori si ritrova quello relativo agli stupri che avvenivano durante i festeggiamenti in onore di
Bacco. Dalle parole di Liconide, sembra,però, che Plauto non disapprovi più di tanto tali feste e ciò
che veniva commesso, a patto che,dopo, il violentatore sposi colei che ha violato.
Rapporto con gli altri personaggi: Tutti i personaggi della commedia ruotano attorno al
protagonista, tranne Eunomia, sorella di Megadoro, che non ha contatti con il vecchio. Il genio
della famiglia aiuta il protagonista, infatti gli dice dove si trovi la pentola; stessa cosa si può dire di
Liconide il quale,alla fine, costringe il proprio servo a restituire la pentola, aiutando in maniera
determinante Euclione; Stafila cerca di rendere servizio al vecchio, che però non è mai soddisfatto
della sua opera; anche Megadoro cerca di dar aiuto ad Euclione ed alla sua famiglia proponendosi
come marito di Fedria; Strobilo,dal canto suo, fa di tutto per organizzare il matrimonio senza far
alterare il vecchio chiedendogli utensili o quant'altro possa servirgli per preparare i festeggiamenti,
quindi anche lui, se proprio non aiuta Euclione nella vicenda principale, almeno cerca di non
creargli problemi ;i due cuochi potrebbero anche arrecar danno a Euclione,data la loro fama di
ladri, ma non ne hanno la possibilità data la totale assenza, nella casa del vecchio, di oggetti da
rubare; il servo di Liconide trae vantaggio dalle azioni di Euclione e dal suo morboso attaccamento
alla pentola d'oro, ma tale vantaggio è solo temporaneo, in quanto alla fine restituisce il maltolto al
vecchio.
STAFILA
Serve il padrone nonostante venga trattata malissimo. E' il simbolo della persona sottomessa e
consapevole di non poter cambiare la propria posizione, manca infatti in lei un qualsiasi slancio di
ribellione ai soprusi del vecchio.
EUNOMIA
Spinge Megadoro a trovar moglie, e dimostra, parlando, di amare il fratello. Rappresenta la donna
intelligente e affettuosa che non pensa solo al proprio bene ma anche a quello dei suoi cari.
MEGADORO
Convinto dalla sorella sposarsi, cerca di non creare problemi alla famiglia della fanciulla, anche
perché ne conosce il padre e sa come la pensi riguardo hai soldi. Lui stesso ha un'idea diversa da
quella di tutti i ricchi suoi contemporanei, in quanto pensa che se tutti i ricchi sposassero ragazze
povere, senza dote, si eviterebbero molti problemi e molte spese. E' il modello di uomo razionale e
intelligente che vorrebbe cambiare i costumi della sua epoca.
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STROBILO
E' il devoto servo di Megadoro. Cerca di servire il padrone al meglio delle sue capacità e per
questo è molto esigente con i suoi sottoposti. E' il modello classico di servo che si aveva
nell'epoca.
SERVO DI LICONIDE
E' un uomo furbo e desideroso di arricchirsi. Non può però fare a meno di essere sincero col
proprio padrone. Anche lui come Strobilo si attiene alle caratteristiche che all'epoca di Plauto si
attribuivano al servo modello.
La figura del Servus la figura del “servus” è certamente la più grandiosa, il vero motore delle
fabulae plautine. L’intreccio dell’opera è spesso il risultato delle sue idee e delle sue trovate
geniali. Il servus e dipinto solitamente come un personaggio geniale e impertinente;è lui a creare
problemi, danni ed inganni a favore dell’ adulescens e contro l’arcigna taccagneria del senex. La
sua virtù principale è la furbizia, visibile tra l’altro anche nell’attento modo di vivere e di manipolare
la realtà che ha incontro. E’ un’ironia dissacrante, che non risparmia niente e nessuno, nemmeno
l’amato padroncino per il quale il servo rischia ogni volta le ire del vecchio padrone: la sua forza è
la giocosità creativa delle sue invenzioni, la gratuità un po’ folle e anarchica delle sue scommesse,
naturalmente sempre vinte; su di lui incombe perennemente la minaccia delle sferze e delle
catene, gli strumenti di punizione dello schiavo, a cui tuttavia il servo plautino risponde con la forza
superiore dei suoi geniali raggiri. Il servus è in genere orgoglioso e vanesio spesso autoglorificante
benché la deformità mostruosa del fisico sembri una sfida al destino, e un segno della vitalità
trionfante del teatro plautino, che rappresenta una sorta di universo rovesciato, nel quale i servi
trionfano sui padroni e i figli sui padri, sovvertendo ogni codice sociale e facendosi beffe di ogni
legge. Per far ridere infatti, Plauto affida ruoli primari a personaggi umili: in questo modo li può
caratterizzare in modo più forte senza compromettersi. Plauto non è mai sovversivo ma al
contrario questo suo valorizzare i personaggi più umili ha un intento ironico e carnevalesco. Il
servus plautino, mostruoso nel corpo, dirompente nel linguaggio (spesso osceno e volgare),
spudorato negli atteggiamenti, animalesco nei suoi istinti, dimostra di essere anche il più
intelligente, e risulta perciò anche il più simpatico, quello per il quale il pubblico "tifa" fin dall’inizio
della rappresentazione.
LICONIDE
E' un giovane responsabile e romantico. Cerca di rimediare alla violenza usata su Fedria
sposandola. E' il simbolo dell'uomo che, maturato, cerca di porre rimedio agli errori fatti in
precedenza.
La figura dell’Adulescens L ’ ”adulescens” rappresenta il giovane innamorato perso nell’ amore
che lo travolge e lo ammalia, rendendogli impossibile superare gli ostacoli e le difficoltà che lo
assalgono durante il suo cammino. Il suo atteggiamento è sempre languido e sospiroso, come
tipico degli innamorati, e pensieroso. Plauto però non prende mai sul serio la sua storia né i suoi
lamenti d’amore: lo guarda divertito, costringendolo spesso a subire i lazzi spiritosi del servus. Il
linguaggio dell’adulescens tocca spesso i registri "alti" e patetici della tragedia, naturalmente con
effetti comici e parodistici, voluti dall'autore.
FEDRIA
Protagonista della vicenda ma assente dalla scena. Fedria ,assieme a Liconide, rappresenta
perfettamente il motore immobile generalmente usato da Plauto nelle sue commedie. I motori
immobili della commedia I motori immobile sono dei personaggi essenziali dal punto di vista
narrativo ma assenti dalla scena. Questa loro assenza è spiegata dal fatto che la loro unica
funzione è quella di tener legato l’intreccio ad un unico argomento. Non è necessario che
intervnegano nella rappresentazione dato che non sono inclusi nell’elemento tematico della
commedia (non devono comunicare generalmente niente).
CUOCHI (CONGRIONE ed ANTRACE)
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Entrambi rispettosi del padrone e obbedienti a Strobilo che li coordina, hanno però fama di ladri, e,
quando possono, fanno ciò che gli ha dato tale fama: rubano.
PITODICO
Figura molto confusa e dubbia per molti esperti. Alcuni sostengono che si tratti di un terzo
cuoco(con Congrione ed Antrace) altri che sia Strobilo. Non possiamo stabilire con certezza
nessuna delle due ipotesi.

GENIO DELLA FAMIGLIA (o LARE FAMIGLIARE)

Linguaggio dei personaggi


Il linguaggio dei personaggi, data la loro estrazione sociale relativamente popolare, è un linguaggio
quotidiano, a tratti condizionato dai rapporti tra i personaggi che stanno parlando. Tra Euclione e
Stafila è fortemente rude, offensivo(a sottolineare il potere del Pater Familias sulla serva), tra
Euclione e Megadoro è invece rispettoso(rispecchia l’atteggiamento verso una persona più
importante socialmente), altrettanto non si può dire quando invece Euclione parla con il servo di
Liconide e con il cuoco Congrione, dove il linguaggio è arrogante, iroso e offensivo. I diversi tipi di
linguaggio servono a definire il ruolo e il comportamento sociale dei personaggi e per
caratterizzarne i comportamenti. Inoltre la semplicità del linguaggio(nonché il torpiloquio) avvicina
lo spettatore all'attore. Un'allusione chiara alla corporalità la si ritrova nella scena in cui Euclione
perquisisce il servo di Liconide e gli dice "Fammi vedere una mano. L'altra? E la terza?". Questa e
altre chiare allusioni al sesso venivano spesso usate da Plauto, anche per mantenere la commedia
il più vicina possibile agli spettatori e alla loro estrazione sociale poco elevata.

Il Prologo:
Il prologo nell'Aulularia, come del resto anche nelle altre commedie di Plauto, ha un carattere
prevalentemente informativo, porta gli spettatori in mediam rem informandoli sull'antefatto, sullo
svolgimento e anche sulla conclusione del dramma, al contrario di quanto avviene in Terenzio che,
spinto dalle proprie vicende personali, cambia la funzione del prologo che assume così un tono
polemico ed apologetico. Nel prologo dell'Aulularia è visibile comunque un geniale adattamento dei
modelli greci, simbolo della libertà del commediografo latino nel rielaborare il materiale a sua
disposizione. Siffatto modus operandi è attestato, in particolare, dalla presenza di una divinità
tipicamente romana: il Lare protettore della casa. Il Lare domestico è il nume tutelare della casa
venerato sul focolare in una piccola nicchia con offerte e libagioni: qui appare di persona al
pubblico, e svolge una vivida presentazione dell'ambiente della casa di Euclione, dominata da una
tenace avarizia ereditata dagli avi: solo sua figlia è immune dal vizio di famiglia e venera
generosamente il Lare. Il dio decide così di premiarla rivelando al padre la presenza di un tesoro,
una pentola piena di quattro libbre d'oro, in casa nascosto dall'avo e rimasto inviolato. Il padre
potrà così consentire alla figlia di sposarsi convenientemente con un giovane; Liconide, che
l'aveva sedotta durante le feste in onore di Cerere. Tuttavia il Lare vuole raggiungere il suo fine in
maniera piuttosto tortuosa, perché per facilitare le nozze della ragazza fa in modo che l'anziano
Megadoro, zio di Liconide, la chieda in moglie, inducendo poi Liconide stesso a chiederla in sposa.
Inoltre né Liconide né Megadoro sono al corrente del tesoro, né entrambi vogliono la dote per
sposarsi. Il carattere del Lare è felicemente schizzato: comicamente ostile ai proprietari della casa
che, a causa della loro ereditaria avarizia, non gli tributano i dovuti onori, è al contrario generoso e
buono verso la giovane che ha riacceso il culto con gentilezza e devozione nell'arida casa del
padre.

Il rapporto con il pubblico:


Plauto, come sappiamo, traduce, o meglio adatta, riprende, rielabora commedie greche che noi
non possediamo in testo originale. Plauto si ispira alle commedie greche, ma durante la
rielaborazione dei vari testi inserisce elementi che differenziano i suoi lavori da quelli già esistenti.
Plauto da ampio spazio alla musica e al canto e fa spesso riferimenti ad usi e costumi romani. Non
mancano i veri e propri interventi sulla struttura drammatica, con ampliamenti motivati
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dall’inserzione di motivi comici particolarmente cari a Plauto. Si rileva in particolare la tendenza a


dare spazio a momenti di puro divertimento e gioco, mirando più all’efficacia comica che alla
funzionalità drammatica. Rispetto a Menandro (il principale esponente della commedia greca, che
fu più volte il modello del poeta latino), si nota un minore interesse e poca cura per la coerenza e
l’organicità della trama. Plauto è disposto a sacrificare alla comicità immediata della singola scena
sia gli equilibri della struttura narrativa sia le esigenze della logica e della verosimiglianza: ogni
scena è come se fosse un’entità a sé stante, come uno “sketch” da rivista, con aggiunte farsesche
fini a se stesse (per esempio sfilze d’ingiurie, scambi di minacce, malintesi, scene clownesche). Il
ricorso a questi motivi di comicità bassa e buffonesca era certamente una concessione ai gusti del
vasto pubblico, andava incontro alle preferenze degli spettatori meno colti e raffinati e si
ricollegava alla tradizione delle forme italiche di teatro popolare, come l’atellana, improntate a una
comicità farsesca e grossolana. Uno dei tanti espedienti narrativi utilizzati da Plauto per rendere
l’opera il più comico possibile è l’utilizzo della caricatura dei personaggi. Plauto, infatti, per sfruttare
fino in fondo le proprie potenzialità comiche mette in scena il capovolgimento del ruolo sociale dei
protagonisti; gli schiavi svolgono spesso un ruolo principale e questo, all’interno di un’opera
letteraria, crea una situazione carnevalesca.

Il teatro come vero e proprio gioco:


Uno degli aspetti più tipici del teatro plautino è la tendenza a rilevare, per trarne effetti comici, il
carattere fittizio e ludico dell’evento teatrale. A differenza di molti autori che tendono e fare
immedesimare il pubblico in un mondo diverso, chiuso in se stesso, in cui il pubblico è in preda
della “illusione scenica”, Plauto ama svelare esplicitamente e quasi smascherare la finzione
teatrale in quanto tale, come per richiamare gli spettatori alla consapevolezza di partecipare
insieme all’autore, gioiosamente complici, ad un gioco che li diverte entrambi. Si vedano per
esempio gli inviti rivolti scherzosamente al pubblico ad intervenire nell’azione drammatica, come
nel celebre monologo dell’Aulularia in cui Euclione, il vecchio avaro, implora gli spettatori perché lo
aiutino a ritrovare la pentola del suo tesoro: “Voi, aiutatemi voi, ve ne scongiuro! Ve ne prego! Vi
supplico! Mostratemi quell’uomo che l’ha portata via! Tu, che dici? A te, si, ben posso credere, ti
vedo nella faccia che sei buono…!” In tutte le commedie plautine il motore della storia è la tecnica
dell’imbroglio; l’interesse del pubblico nasce dal tentativo di sciogliere l’inganno. Il pubblico
interagisce con l’autore ed è tenuto desto dalla curiosità di sciogliere l’inghippo; Plauto, a questo
proposito, utilizza numerosi espedienti comici per fare in modo che lo spettatore sia attratto dalla
storia e coinvolto a tal punto da assistere a tutta la commedia, dal momento che, in passato, lo
spettatore tendeva a rimanere poco tempo a teatro. Uno dei tanti modi per fare ridere gli spettatori
era la rottura dell’illusione scenica; una di queste e molto sfruttata da Plauto è costituita dai
procedimenti riconducibili al cosiddetto “metateatro”, cioè al teatro nel teatro, al teatro che
rappresenta se stesso o parla di se stesso. “ Per non allungare ancora di più questa commedia
che è già lunga…..” ( Casina, vv.1004-1006) A differenza di Menandro e Terenzio, che fanno in
modo che l’autore non parli mai direttamente in prima persona, ma sempre per bocca dei suoi
personaggi e che il lettore e lo spettatore capiscano benissimo da che parte sta il poeta, Plauto
non ha da comunicare un personaggio preciso, di tipo politico o morale, non intende ammaestrare
il suo pubblico, non pretende di dimostrargli qualcosa; vuole semplicemente rallegrarlo e divertirlo.
A questo scopo si fa di volta in volta portavoce di posizioni, opinioni, giudizi diversi e anche
contrastanti, spesso espressi, per di più, in modo scherzoso o caricaturale, per cui egli sembra
deriderli e negarli nel momento stesso in cui li propone, coerentemente con la scelta di fondo di
non precludersi mai alcuna occasione di divertimento e di gioco. Con la commedia plautina spesso
si tende ad assistere a capovolgimenti burleschi della realtà, dove per esempio il servo prevale sul
padrone oppure i figli sottomette il padre. In una specie di mondo alla rovescia, in cui i sogni più
audaci si possono avverare e le gerarchie di potere si possono capovolgere, quelli che erano i reali
rapporti di forze all’interno della famiglia appaiono ribaltati. Questo può avvenire soltanto grazie
alla magia della finzione teatrale, in un contesto chiaramente e dichiaratamente ludico e
scherzoso, senza che sia messa seriamente in discussione la normalità dei rapporti sociali e
familiari, ristabilita, anzi, e riaffermata nella riconciliazione finale, dopo la temporanea, illusoria,
giocosa sospensione propria dell’evento comico. I successi straordinari degli schiavi non si
caricano d’implicazioni politiche, non sono la protesta degli umili contro i potenti, ma costituiscono
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l’affermazione strepitosa di una vitalità esplosiva presente nella commedia, in cui il principio del
piacere e del divertimento prevale su quello della realtà.
Analisi Stilistica
Da un punto di vista formale la struttura dell’Aulularia è,invece, costituita da tre elementi: il prologo
che introduce l’azione, i deverbia, cioè le parti recitate, i cantica cioè le parti cantate che
nell'Aulularia sono particolarmente felici e notevoli per la varietà, l’animazione e la fantasia. (Es. il
duetto fra Eunomia e Megadoro (vv.120-177); la monodia di Congrione (vv.406-414); il duetto fra
Euclione e Congrione (vv.415-446); la monodia di Euclione (vv.713-726).
Nell’originale vi era un svolgimento continuato dell’azione, suddivisa solamente in scene, senza la
ripartizione in cinque atti operata solo nel 500’ da alcuni studiosi plautini. I due argumentum furono
composti da grammatici posteriori all’età di Plauto: il primo da Sulpicio Apollinare, vissuto nel
secondo secolo d.C., maestro di Gellio e dell’imperatore Pertinace, autore anche degli argomenti
delle commedie di Terenzio; il secondo da Aurelio Opillo, del I secolo a.C.
Dal punto di vista della ‘’tecnica’’ utilizzata da Plauto possiamo individuare tre momenti principali
all’interno della commedia: il primo ha come termini principali di riferimento Euclione e la pentola, il
vecchio dopo aver trovato i tesoro, accecato dall’amore per il prezioso metallo diventa sospettoso
di tutto e di tutti; la comicità in questa parte nasce da una serie di contrasti che si vengono a creare
tra il protagonista e i vari personaggi che incontra; vi è inoltre un vasto uso di dialoghi che
conferiscono vivacità e velocità a ciò che accade, discorsi a parte che producono consapevolezza
tra emittente e destinatario, istituendo un rapporto di interazione tra i due termini, sul fatto che il
dualismo opera/pubblico è il pilastro che regge tutto.
Nel secondo è, invece, protagonista l’esasperazione dei sospetti di Euclione a tal punto che alla
richiesta di matrimonio da parte di Megadoro teme insidie per il suo tesoro, e quando vede i cuochi
e le flautiste inviati in casa sua dal ricco anziano per preparare il banchetto nuziale, temendo per la
sua pentola, reagisce prendendo a bastonate Congrione e scacciando tutti quanti. Giunto al
culmine dell’esasperazione Euclione si lascia cogliere dalla paura e decide di portare via da casa
sua, luogo ormai troppo pericoloso, per andare a nasconderlo da qualche altra parte.
La comicità è l’effetto prodotto dall’estrema ed eccessiva esaltazione delle preoccupazioni del
protagonista, dalla sua crescente diffidenza verso chiunque si avvicini a casa sua o nomini
qualunque cosa che abbia a che fare con la pentola. Tale effetto viene reso con grande maestria
ed efficacia da Plauto mediante l’uso di monologhi e soliloqui recitati dai vari personaggi per
esprimere i loro timori come nel caso di Euclione, oppure per comunicare la loro perplessità
riguardo al taluni comportamenti e situazioni come nel caso di Megadoro. Inoltre l’esasperazione
dei sospetti contribuisce a produrre uno degli elementi fondamentali della commedia plautina: gli
equivoci, basati principalmente su fraintendimenti e doppi sensi, che creano una comicità
particolare legata all’ambiguità. Congrione ed Euclione. Sono scene, comunque un po’ grossolane
che testimoniano le origini popolari della commedia ( nel nostro caso Plauto adotta come modello
di base i Fescennini).
Il terzo, infine, corrisponde all'ultima parte della commedia, in cui, nonostante la paranoica cura
adottata da Euclione per nascondere la pentola, questa gli viene sottratta da Strobilo, servo di
Liconide, che vedendo l'avaro abbandonato ad una tragicomica disperazione crede che sia
addolorato per ciò che è accaduto alla figlia. Nasce cosi un diverte equivoco.
A mio giudizio, questa è la parte più divertente ed importante dell'opera poichè in essa si
convogliano contemporaneamente la commedia della beffa, dell'avventuroso e della caricatura.
C'è la beffa, che nonostante sia presente anche in altre parti della commedia, come per esempio
l'episodio in cui sono di scena i servi e i cuochi, raggiunge il suo culmine proprio in questa terza
parte in quanto l'avaro protagonista viene beffato e derubato; c'è pero anche dell'avventuroso nella
vicenda di Fedra e Liconide e nelle varie peripezie che dovrà affrontare la pentola, il cui
ritrovamento permetterà ai due giovani di coronare il loro sogno d'amore; e infine, c'è la caricatura
della figura dell'avaro divenuto per antonomasia il prototipo del taccagno spilorcio.
In secondo luogo, nella parte finale della commedia si assolve l'intera vicenda: l'ordine iniziale rotto
da equivoci, fraintendimenti, torna nuovamente ad essere il protagonista primario e a regnare sulla
scena. I due giovani si sposano, ed Euclione, tediato dalla pentola e da tutte le complicazioni che
essa ha creato (non solo a lui), la dona alla figlia; di conseguenza si nota anche un'evoluzione dal
punto di vista psicologico-caratteriale del protagonista. Dal punto di vista stilistico, Plauto non
lesina certamente, in quest'ultima parte, un uso vario ed particolareggiato di monologhi, soliloqui,
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discorsi a parte, e ovviamente dialoghi che vengono "mixati" in un insieme armonico con grande
sapienza e maestria che detonato la bravura e l'originalità di Plauto.
La disperazione tragicomica di Euclione quando gli viene sottratta la pentola è resa da monologo
di bellezza straordinaria che accentua gli aspetti più significativi dell'avaritia di Euclione, mettendoli
alla berlina, che lo rende quasi cieco a tutte le altre cose che accadono, la stessa cosa si verifica
anche all'interno del monologo a cui Plauto affida il compito di porre in rilievo la scaltrezza del
servo Strobilo.(vv.710-726)
Al contrario l'autore utilizza un dialogo per dirimere l'equivoco che si era venuto a creare tra il
protagonista e il giovane Liconide perché, caratterizzato da un rapido scambio di battute tra i
personaggi, conferisce al testo e alla sua rappresentazione un grande vigore e una grande
vivacità, e di conseguenza si presta meglio al raggiungimento del suo intento. Invece, troviamo per
esempio un soliloquio nell'episodio in cui il servo Strobilo, riuscito finalmente ad impadronirsi della
tanto ambita pentola ringrazia gli dei, l'uso del soliloqui qui è indispensabile per creare la comicità:
il pubblico infatti è in grado di immaginare abbastanza semplicemente l'esito dell'episodio ma non il
suo svolgimento ed è proprio il risolversi della situazione a produrre un effetto di gran comicità.
(vv.800-810)
L'Aulularia può essere considerata una commedia, al contempo, di carattere e di intreccio. Di
carattere perché prevale soprattutto la figura dell'avaro che è ben delineato sia nei gesti sia nella
sua psicologia. Di intreccio perché, accanto alle vicende dell'avaro e del suo tesoro, si sviluppano
parallelamente le peripezie amorose dei due giovani innamorati, con un conflitto nascosto tra
Megadoro e il nipote perché entrambi vogliono sposare Fedra, e tra quest'ultima e suo padre per il
possesso del tesoro. Alla fine però prevalgono i due giovani: Fedra si tiene il tesoro e Liconide
sposerà la ragazza, di contro quindi l'avaro perderà il suo oro e Megadoro la fidanzata. Inoltre,
questa commedia ci fornisce una vivace rappresentazione della vita economica e sociale
dell'epoca di Plauto (inizi II A.C.).
Nell'Aulularia inoltre viene continuata e portata alla sua massima espressione la commedia
popolaresca. Per raggiungere il suo scopo l'autore mixa armoniosamente all'interno dell'opera vari
elementi: prima tra tutti la tecnica dell'inganno su cui si basa un po' tutta la commedia. Ad essa è
connesso, di conseguenza, l'uso di ambiguità e doppi sensi che hanno una duplice funzione: in
primis alterano positivamente il clima della situazione in cui sono inseriti, in secundis sono
determinanti per la comicità. Altro elemento che riveste un'importanza primaria è il turpiloquio ,
cioè un linguaggio sboccato, scurrile, basso che rivela le origini bucoliche del popolo romano e i
modelli della commedia popolare adottati da Plauto.
Il Pubblico richiede tale registro lessicale: la lingua corrisponde alla lingua parlata del tempo, ma
rielaborata e piegata ai fini della comicità con assoluta padronanza. Vengono utilizzati tutti gli
espedienti stilistici al fine di conferire brio e vivacità al testo: allitterazioni, assonanze, anafore,
"cumuli" di insulti, giochi di parole, lapsus e deformazioni verbali di ogni tipo; che vengono
perfettamente adattati alle esigenze della scena e delle situazioni, soprattutto nei dialoghi. Ogni
personaggio parla il linguaggio che gli si confà maggiormente con l'utilizzo anche di parole greche.
(vv.280-290).
Vi è poi anche un vasto uso di monologhi, soliloqui, dialoghi e discorsi a parte che sono
disseminati all'interno dell'opera con grande maestria consentendo a Plauto di raggiungere
efficacemente gli effetti che voleva creare, per esempio l'interazione con il pubblico, che, resa
possibile soprattutto da discorsi a parte e soliloqui, permette un maggior coinvolgimento degli
spettatori che non restano passivi alla rappresentazione, ma diventano in qualche modo parte
attiva poiché vengono coinvolti all'interno della situazione dagli attori. Dal punto di vista metrico si
nota una straordinaria attenzione ritmica straordinaria creata dalla prevalenza di giambi che
conferiscono al linguaggio contemporaneamente una grande rapidità e vivacità.

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