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Dopo il 1929 l’intero Occidente industrializzato subì, come si è visto, un generale

processo di impoverimento. Ma questo non impedì che nuove abitudini di vita, nuovi e
più moderni modelli di consumo si affermassero, anche in Europa, presso vasti strati
della popolazione, soprattutto urbana. Nel corso degli anni ’30, il processo di
urbanizzazione accelerò a causa della grave crisi in cui versava il settore agricolo.
Crescita delle città significava sviluppo del settore edilizio. Lo sviluppo edilizio ebbe a
sua volta conseguenze notevoli non solo sull’economia, ma anche sul modo di vivere
delle masse urbane. L e case di nuova costruzione, in particolare quelle destinate ai ceti
medi, erano di solito fornite di acqua corrente e di elettricità; inoltre, dato che si
trovavano per lo più in zone periferiche, resero necessario uno sviluppo dei trasporti
pubblici e della stessa motorizzazione privata.
Inoltre la grande crisi, se per un verso accentuò le distanze fra ricchi e poveri, e fra
occupati e disoccupati, per un altro determinò un certo miglioramento nelle
retribuzioni reali e nei livelli di consumo di quei lavoratori che avevano mantenuto la
loro occupazione e che, grazie al drastico calo dei prezzi agricoli, avevano potuto ridurre
la quota di reddito riservata ai consumi alimentari, aumentando quindi quella da
destinare ad altri beni. Così si spiega come mai, proprio negli anni ’30, in Europa alcuni
settori sociali poterono fruire per la prima volta su larga scala di quei beni di consumo
durevoli che si erano diffusi negli Stati Uniti durante il decennio precedente.
L a produzione europea di veicoli a motore fece registrare consistenti progressi, anche
se restò lontana dai livelli statunitensi: nel 1938 circolavano in Europa oltre 8 milioni di
autovetture, contro i 5 del 1930, mentre nello stesso periodo gli Usa passarono da 25 a
30 milioni. In Europa l’automobile rimase, per tutti gli anni ’30, un bene riservato a
pochi Un discorso analogo si può fare per la produzione degli elettrodomestici. I più
costosi, come frigoriferi e scaldabagni, continuarono a essere considerati beni di lusso,
ma il loro uso si andò ugualmente estendendo, almeno fra le categorie a reddito più
elevato. Più ampia diffusione, anche fra i ceti medio-inferiori, ebbero altri apparecchi
domestici, come il ferro da stiro elettrico, la cucina a gas e soprattutto la radio.
I primi apparecchi per la trasmissione del suono attraverso l’etere senza l’ausilio dei fili
erano stati realizzati e sperimentati da Guglielmo Marconi alla fine dell’800. Durante i
primi vent’anni del ’900 la tecnica radiofonica aveva fatto continui progressi. Il grande
salto si ebbe dopo la fine della prima guerra mondiale, quando la radio si trasformò da
mezzo di comunicazione tra singoli soggetti in strumento di diffusione di programmi
di informazione e di svago destinati al pubblico. Le prime trasmissioni regolari si
ebbero negli Stati Uniti nel 1920 e furono organizzate da compagnie private che si
finanziavano con gli introiti pubblicitari. Nei maggiori paesi europei, invece, le
trasmissioni si svilupparono, negli anni immediatamente successivi, per lo più a opera
di enti che operavano sotto il controllo statale, sul modello della britannica Bbc, e
imponevano agli utenti un canone di abbonamento. Nell’uno come nell’altro caso, lo
sviluppo della radiofonia fu rapidissimo: alla fine degli anni ’20 esistevano circa 3 milioni
di apparecchi in Gran Bretagna, altrettanti in Germania e quasi 10 negli Stati Uniti.
Queste cifre si moltiplicarono nel decennio successivo: nel 1939 c’erano in tutto il
mondo circa 100 milioni di radio, metà delle quali nel Nord America.
Anche come mezzo di informazione la radio non temeva confronti: i notiziari radiofonici
potevano essere ascoltati in qualsiasi ora, non richiedevano particolari sforzi di
attenzione né spese supplementari ed erano per giunta molto più tempestivi dei
giornali. A partire dagli anni ’30, infatti, la diffusione della stampa subì un netto
rallentamento. I giornali quotidiani continuarono a essere acquistati e letti soprattutto
dal pubblico più qualificato, ma persero molta della loro capacità di espansione fra le
classi popolari. Per riguadagnare il terreno perduto, il settore della carta stampata
cominciò a puntare più sull’immagine: da qui lo sviluppo delle riviste illustrate, dove la
parte fotografica prevaleva decisamente sui testi.
Capostipite di una serie di invenzioni destinate a improntare di sé la civiltà
contemporanea, la radio segnò una tappa decisiva nel cammino della società di massa
e inaugurò un’era nuova nel campo delle telecomunicazioni. Lo capirono alcuni grandi
gruppi industriali, in particolare i colossi elettrici americani e tedeschi, che puntarono
decisamente sullo sviluppo della radiofonia. E se ne resero conto anche gli uomini
politici, da Roosevelt a Hitler e Mussolini, che affidarono alla radio i loro discorsi più
importanti e di essa si servirono per assicurare ai loro messaggi una diffusione capillare.
Gli anni del trionfo della radio videro anche l’affermazione di un’altra forma di
comunicazione di massa tipica del nostro tempo: il cinema. Verso la fine degli anni ’20,
con l’invenzione del sonoro, il cinema divenne uno spettacolo “completo”, come lo
erano il teatro di prosa o l’opera lirica. Con la differenza che la proiezione di un film,
ripetibile infinite volte, aveva costi incomparabilmente più bassi rispetto a una
rappresentazione teatrale, poteva essere realizzata in qualsiasi locale abbastanza
ampio per contenere uno schermo ed era quindi alla portata di un pubblico vastissimo.
Spettacolo popolare per eccellenza, esempio di fusione fra creazione artistica e
prodotto industriale, il cinema non era solo un mezzo di svago. Era anche un veicolo
attraverso cui imporre immagini e personaggi: col boom del cinema nacque il
fenomeno del “divismo” di massa, ossia quel particolare rapporto di attrazione, spesso
ai limiti dell’idolatria, che lega il grande pubblico agli attori più popolari, o meglio alla
loro immagine diffusa dagli schermi. Ma attraverso il cinema si potevano anche
divulgare messaggi ideologici e visioni del mondo: si pensi al ruolo svolto dalla
cinematografia statunitense nel diffondere in tutto il mondo i valori tipici della società
americana: il coraggio, la tecnica, l’ascesa individuale. Una forma di propaganda più
diretta era quella affidata ai cinegiornali d’attualità che venivano proiettati nelle sale
cinematografiche in apertura di spettacolo e svolgevano una funzione complementare
a quella dei notiziari radiofonici.
Lo sviluppo delle comunicazioni di massa non solo cambiò radicalmente i modi di
concepire e di usare il tempo libero, ma ebbe effetti rivoluzionari in tutti i settori
dell’attività umana. Radio e cinema costituivano un formidabile moltiplicatore, capace
di trasformare in spettacolo di massa qualsiasi manifestazione della vita sociale: la
creazione artistica come la competizione sportiva, la cultura come la politica. Furono
soprattutto i regimi autoritari a sfruttare appieno le possibilità insite nei nuovi mezzi di
comunicazione e ad accentuare il lato “spettacolare” delle manifestazioni di massa. Ma
anche nelle democrazie la radio, il cinema e la stampa illustrata contribuirono a
“spettacolarizzare” la competizione politica, a valorizzarne gli aspetti più eclatanti, a
concentrare l’attenzione sulle figure dei leader.

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