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Apettativa da pubblico impiego e dimissioni

volontarie
29 Dicembre 2021 di Fabrizio Carnicelli

E' lecito cambiare lavoro per migliorare la propria carriera? E una volta date le dimissioni volontarie, è
possibile rientrare al lavoro? Il trattamento è uguale nel pubblico impiego e nel privato? Questo articolo
tenta di fare luce su questa problematica.

Statisticamente è provato dall’Istat che per poter migliorare la propria posizione lavorativa
bisognerebbe cambiare lavoro ogni 5 anni. Questo termine porta molte conseguenze: spesso i giovani
che si affacciano al mercato del lavoro non sono ancora preparati alle sfide che li aspettano; hanno
perciò bisogno di un periodo di formazione che li accompagni fino ad essere autonomi nel lavoro. Tale
periodo varia a seconda della complessità del ruolo che si andrà a ricoprire.

E’ naturale aspirare a migliorare la propria posizione economica, gerarchica all’interno di un luogo di


lavoro. Ma ancora una volta, abbiamo riscontrato una grossa anomalia fra i dipendenti pubblici e i
dipendenti del settore privato. Infatti, i primi, oltre a poter fruire di particolari garanzie contrattuale
quali l’aspettativa di un anno, che analizzeremo in seguito, possono fruire di un particolare
“ripensamento” entro i 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni volontarie. Il
problema è che l’azienda o ente pubblico che ha fatto una programmazione triennale del personale in
virtù delle esigenze gestionali, in virtù dei pensionamenti, in virtù delle professionalità da assumere e in
virtù della programmazione triennale del personale, possono avere grossi problemi per rendere
nuovamente vuote quelle caselle del personale che, dopo aver usufruito dell’aspettativa, ha deciso
volontariamente di scegliere un altro tipo di lavoro. Inoltre, anche la formazione del personale, può
essere “falsata” da questo tipo di scelte. Senza contare che l’aspetto più grave è una sostanziale
disparità di trattamento in favore dell’impiegato pubblico, aspetto che non dovrebbe proprio esistere in
uno stato di diritto ed in uno stato che ha speso interi decenni nella privatizzazione del pubblico
impiego.
Dimissioni volontarie

Nel nostro ordinamento, non sono consentiti i cosiddetti vincoli perpetui. Ciò significa che se un
contratto non ha una data di scadenza prestabilita, entrambe le parti possono recedere con un congruo
preavviso. Questa regola si applica anche al rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ne deriva che il
lavoratore può, in ogni momento e senza obbligo di motivazione, rassegnare le dimissioni volontarie.La
volontarietà delle dimissioni, tuttavia, non significa totale assenza di regole e di procedure da seguire.
Come vedremo, infatti, il lavoratore che vuole dimettersi deve rispettare il preavviso di dimissioni e
seguire una apposita procedure online. Dimissioni dal rapporto di lavoro: cosa sono? Nel contratto di
lavoro, la facoltà delle parti di esercitare il recesso è fortemente condizionata dalla presenza o meno di
un termine finale. Se il contratto di lavoro è a tempo determinato, infatti, le parti hanno già stabilito sin
dall’inizio la durata del contratto e non possono, quindi, recedere dal rapporto prima che il termine
finale non sia spirato. A questa regola fa eccezione il caso del recesso per giusta causa, determinato da
un gravissimo inadempimento dell’altra parte che non consente la prosecuzione, nemmeno per un
istante, della relazione contrattuale. Nel contratto a termine, dunque, il lavoratore non può rassegnare
le dimissioni volontarie ma solo le dimissioni per giusta causa . Viceversa, nel rapporto a tempo
indeterminato, il lavoratore può, in ogni momento, decidere di comunicare al datore di lavoro le
proprie dimissioni volontarie, senza essere tenuto a specificare la ragione sottesa a tale decisione.
Dimissioni volontarie: l’obbligo del preavviso. L’unico obbligo che il lavoratore deve rispettare quando
decide di dimettersi volontariamente è il periodo di preavviso di dimissioni. Ne deriva che il lavoratore
non può mai dimettersi in tronco, con effetto immediato, ma deve comunicare le dimissioni al datore di
lavoro con un certo anticipo. La durata di questo periodo dipende dalle previsioni in materia del Ccnl
applicato al rapporto di lavoro. Solitamente, la durata del preavviso di dimissioni è modulata in base:

 alla categoria legale;


 al livello di inquadramento;
 all’anzianità di servizio.
Le dimissioni in tronco sono ammesse solo se sussiste una giusta causa. In questo caso, infatti, il
rapporto di lavoro non è più proseguibile per il lavoratore nemmeno per un momento e il recesso può
dunque essere esercitato in tronco. Dimissioni senza preavviso: quali conseguenze? In alcuni casi,
tuttavia, il lavoratore non può rispettare l’obbligo di preavviso, per una serie di motivi. Basti pensare al
caso di un lavoratore che decide di dimettersi perché ha ricevuto una nuova proposta di lavoro. Non
sempre il nuovo datore di lavoro è disponibile ad attendere il decorso del preavviso di dimissioni.Se il
dipendente comunica le dimissioni senza rispettare, in tutto o in parte, il preavviso contrattuale, il
datore di lavoro potrà trattenere dalle sue spettanze di fine rapporto la cosiddetta indennità sostitutiva
del preavviso, ossia, l’importo della retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito durante i giorni di
preavviso che non sono stati rispettati. Per evitare di perdere del denaro in busta paga il lavoratore può
cercare di ottenere dal datore di lavoro la dispensa al preavviso. Si tratta di un atto volontario con cui il
datore di lavoro esonera il lavoratore dal rispetto del periodo di preavviso e si impegna a non procedere
alla trattenuta dell’indennità di mancato preavviso. Ovviamente, non ci sono norme che possano essere
invocate dal lavoratore per ottenere tale dispensa, la cui concessione dipende da una libera scelta del
datore di lavoro, di solito collegata ai rapporti che intercorrono con il lavoratore. Infine, occorre
ricordare che a partire dal 2016 per dimettersi dal posto di lavoro occorre seguire una apposita
procedura telematica disponibile sul sito del ministero del Lavoro. Diversamente dal licenziamento, con
le dimissioni è il lavoratore a interrompere il rapporto di lavoro. Anche in questo caso però ci sono
norme e tempi da rispettare per avviare correttamente la procedura. Ecco come bisogna fare.

Cosa sono le dimissioni volontarie?

Le dimissioni volontarie sono la procedura con cui un lavoratore abbandona il proprio posto di
lavoro per sua volontà. A differenza del licenziamento dunque, che è una procedura traumatica avviata
dall’impresa per motivi vari (come crisi aziendale o motivi disciplinari), per le dimissioni volontarie è il
lavoratore a interrompere il rapporto lavorativo. Anche in questo caso le motivazioni possono essere
diverse. Ci si può infatti dimettere per problemi familiari, oppure perché si è ricevuta un’offerta di lavoro
più attraente del posto che si occupa. A differenza del licenziamento, però, la scelta di dimettersi non
deve essere motivata. In questo senso le leggi che regolano le dimissioni volontarie servono a
dare garanzie sia al lavoratore che all’azienda. Al lavoratore perché gli consentono di avere una
procedura certa di abbandono del proprio impiego, tutelata dalla legge e non soggetta alle richieste o
alle rimostranze dell’azienda. E all’impresa perché grazie ai tempi di preavviso previsti può avere una
transizione più graduale da un lavoratore all’altro, che le consente di gestire la sostituzione con meno
problemi. Diverso è invece il caso delle dimissioni per giusta causa, che avvengono per motivi gravi che
non consentono di continuare il rapporto, come il mancato pagamento dello stipendio, le molestie
sessuali o il mobbing.
Come bisogna fare per dimettersi volontariamente?
Le dimissioni devono essere gestite in maniera professionale dal lavoratore, sia per non incorrere in
eventuali sanzioni per non aver rispettato le procedure previste, sia per non creare problemi all’azienda
che si abbandona. La prima cosa da fare è dunque verificare i tempi di preavviso previsti dal proprio
contratto, che vediamo più avanti, e poi fissare un incontro col proprio responsabile per annunciargli la
decisione. Parlarne al proprio capo per tempo consente infatti di gestire la transizione senza i problemi
che potrebbero sorgere quando le dimissioni vengono comunicate all’ultimo momento. Una volta
notificate ufficialmente le dimissioni, è bene offrire il proprio aiuto per la sostituzione, collaborando per
facilitare l’ingresso di chi verrà dopo di noi. Allo stesso modo, non è né professionale né conveniente
abbandonarsi a giudizi negativi o polemiche nei confronti dell’azienda che si lascia. Questi potrebbero
risultare controproducenti sia per la ricerca di un nuovo lavoro che in caso di ritorno futuro nella stessa
azienda, magari in una posizione di maggiore responsabilità.

Come dare le dimissioni volontarie nel 2021?


Dal 12 marzo 2016, per effetto del Decreto ministeriale del 15 dicembre 2015, le dimissioni volontarie
possono essere formalizzate soltanto con una procedura telematica sul sito del Ministero del Lavoro e
delle Politiche sociali. Il decreto definisce le modalità precise per le dimissioni e la risoluzione
consensuale del rapporto lavorativo, i tempi e i modi per revocare le dimissioni e le norme tecniche per
la trasmissione della pratica al datore di lavoro e alla sede dell’Ispettorato territoriale del lavoro
competente (l’ex Direzione territoriale del lavoro). Restano fuori il lavoro domestico, i casi di risoluzione
dopo una conciliazione stragiudiziale, i lavoratori della pubblica amministrazione e i casi previsti dalla
legge per i genitori lavoratori.
Le dimissioni telematiche sono state introdotte per un’esigenza generale di semplificazione burocratica,
ma soprattutto per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, una procedura illegale che
penalizzava soprattutto le donne lavoratrici. I datori di lavoro scorretti infatti facevano firmare una
lettera di dimissioni al momento stesso dell’assunzione, lasciandola senza data, per poterla poi tirare
fuori nel momento voluto. Un sistema che consentiva di evitare le procedure previste per il
licenziamento vero e proprio.

Come comunicare al datore di lavoro le dimissioni?


La procedura per formalizzare le dimissioni online prevede due possibilità per il lavoratore:
1. accedere alla procedura in modo autonomo, tramite il link apposito, a cui è possibile accedere
con SPID o CIE, la Carta d’Identità elettronica;

2. rivolgersi a soggetti abilitati come patronati, sindacati, enti bilaterali, commissioni di


certificazioni, consulenti del lavoro e le sedi territoriali competenti dell’Ispettorato nazionale del
lavoro.

Ogni richiesta, sia quelle inviate da questi soggetti che quelle inviate direttamente dai lavoratori, è
identificata con la data di trasmissione e un codice coerente con la data. Il lavoratore poi ha sempre la
possibilità di revocare le dimissioni entro i 7 giorni successivi alla comunicazione. I dati relativi al
rapporto di lavoro vengono recuperati dal sistema, mentre per le assunzioni precedenti al 2008 bisogna
inserire alcune informazioni sul datore di lavoro, come il codice fiscale o il nome dell’azienda. La
riassunzione dopo le dimissioni volontarie è possibile? Quali sono i diritti del lavoratore? Come è
possibile riprendersi il posto di lavoro? Cosa accade se la scelta è stata fatta in una situazione di
incapacità? Può accadere che un lavoratore venga riassunto dopo che ha rassegnato le dimissioni. Non è
raro che, in preda alla collera o in un momento di confusione o depressione, il lavoratore comunichi al
proprio datore di lavoro la volontà di dimettersi, in quanto non vuole più svolgere la stessa mansione
svilente e ripetitiva. In seguito, però, il dipendente potrebbe pentirsi della decisione, dopo avere
trascorso a casa un giorno ed avere effettuato alcune valutazioni comprendendo che al giorno d’oggi
non è semplice trovare un nuovo lavoro e aver maturato la decisione di chiedere al proprio datore di
lavoro di essere riassunto. Ma cosa può fare se il datore di lavoro non vuole più tornare indietro?
Innanzitutto, va subito precisato che le dimissioni devono avvenire necessariamente per via telematica,
quindi online e non a voce. Se non si segue tale procedura la decisione del lavoratore non è valida e non
ha alcun valore. Ma vediamo cosa succede in caso di ripensamento.

Riassunzione dopo dimissioni volontarie: è possibile?

Se un dipendente fa un passo indietro prima di avere formalizzato la procedura telematica, può


sempre tornare in azienda. Se rimane a casa qualche giorno senza averne il diritto, ovvero se effettua
delle assenze ingiustificate, può subire una contestazione disciplinare e nei casi più gravi può rischiare
il licenziamento per giusta causa. Ad ogni modo se tutto avviene in breve tempo, ci sono tutte le
condizioni per essere riammesso al lavoro.

Ma cosa accede, invece, se le dimissioni sono state formalizzate? Se si tratta di un dipendente pubblico,
l’art. 132 TU del pubblico impiego prevede la possibilità di chiedere la riassunzione dopo le dimissioni
volontarie. Ad ogni modo verrà fatta una valutazione dall’amministrazione per capire se sussistono
ancora i presupposti e se ci sono ancora dei posti vacanti.
Per i lavoratori privati, invece, va analizzato quanto previsto dall’art. 26 del D.lgs. 151/2015, ovvero del
Jobs Act. In sostanza chi presenta le dimissioni telematiche, ha 7 giorni di tempo per ripensarci e
revocarle.

Riassunzione dopo dimissioni volontarie: come funziona?

Per quanto riguarda le riassunzioni dopo le dimissioni volontarie, non sempre i rapporti tra lavoratore e
azienda sono “puliti”, e a volte possono essere messe in atto delle pratiche scorrette. Ad esempio, il
titolare dell’azienda potrebbe comunicare oralmente al lavoratore il licenziamento, senza poi inviare
una lettera formale. Alla contestazione del dipendente l’azienda potrebbe sostenere che quest’ultimo
non si è presentato di sua volontà al lavoro comunicando dimissioni orali volontarie.
Cosa succede in questi casi?
È l’azienda a dovere dimostrare la presenza di dimissioni orali, quindi la legge è a favore del dipendente,
salvo prove contrarie.

Riassunzione dopo dimissioni volontarie: situazione di incapacità

Nelle riassunzioni dopo dimissioni volontarie in situazioni di incapacità, la Cassazione si è espressa di


recente con la sentenza n. 21701/18, evidenziando che le dimissioni potrebbero essere date in un
momento di incapacità di intendere e volere, ad esempio mentre si assumono farmaci antidepressivi, o
in un momento di forte turbamento.
In tale ipotesi la decisione del dipendente non ha effetti, e pertanto può rivolgersi al giudice se l’azienda
non vuole procedere con la riassunzione dopo le dimissioni volontarie. Il tribunale ordina quindi
il reintegro e condanna il titolare dell’azienda al pagamento di tutti gli stipendi non versati ma a partire
dalla data della sentenza, dato che non c’è efficacia retroattiva.
La Cassazione ha infatti precisato:

le retribuzioni spettano dalla data della sentenza che dichiara l’illegittimità delle dimissioni, in quanto il
principio secondo cui l’annullamento di un atto di volontà ha efficacia retroattiva non comporta anche il
diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dalla data delle dimissioni a quella della riammissione al
lavoro, che, salvo espressa previsione di legge, non sono dovute in mancanza della prestazione
lavorativa.

Riassunzione dopo dimissioni volontarie: quante volte si può riassumere lo stesso lavoratore?

Al giorno d’oggi molte aziende fanno rassegnare le dimissioni volontarie ai loro dipendenti per poi
riassumerli con le stesse o diverse mansioni. Possiamo dire che tale procedura non va contro la legge se
rimane entro certi parametri, infatti si può essere riassunti dalla medesima azienda, avendo così due
contratti uno di seguito all’altro, senza che il nuovo generi problemi o sanzioni con il precedente
cessato. Attenzione in caso di riassunzione del dipendente nelle stesse mansioni, quest’ultimo non
dovrà necessariamente effettuare il periodo di prova nuovamente e , nei contratti a termine, non si può
superare i 36 mesi totali, a meno che non si verifichino casi eccezionali. Riassunzione dopo dimissioni
volontarie: limite alla ripetibilità. Il limite di riassunzione, da parte dell’azienda, di un lavoratore dopo
le dimissioni volontarie è di 36 mesi non oltre. Come sempre però ci sono delle eccezioni in cui è
possibile bypassare questa regola e redigere nuovi contratti a termine anche se sono già stati raggiunti i
36 mesi cumulativi.

I casi in cui si può derogare tale disposizione sono:

 contratti collettivi
 contratti per lavoratori stagionali
 contratti di lavoro stipulati con l’ispettore territoriale del lavoro di riferimento.

 Fonti normative
 cassazione, sentenza n. 21701/18
 Art. 26 del D.lgs. 151/2015 (Jobs Act)
 Art. 132 TU del pubblico impiego.

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