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FUSIONI
Le fusioni sono un tentativo per creare cartelli legali. I motivi che danno luogo ad una fusione sono:
● risparmi di costi;
● ricerca di sinergie tra le imprese (tipiche fusioni verticali);
● sistemi di prezzi più efficienti/migliori servizi ai clienti.
Il tipico caso in cui si verificano le fusioni è quando un settore è giunto ad una data maturità e le
imprese per non perdere competitività e dunque sopravvivere, si fondono così da ampliare la propria
scala produttiva. Le fusioni costituiscono una sfida difficile alla politica antitrust, perché occorre che
chi controlla sia in grado di distinguere tra fusioni anticompetitive ( da una parte e quelle che non
sono dannose per la concorrenza dall'altra. Il governo degli Stati Uniti è particolarmente attento a
questi aspetti. Infatti l’AntiTrust Division Merger Guidelines delinea il tentativo di bilanciare:
● danni alla competizione;
● interferenze non necessarie con l’universo delle fusioni che sono sia vantaggiose sia neutrali
dal punto di vista competitivo.
Tipologie di fusioni
In base alla natura delle relazioni esistenti prima dell'accordo tra le imprese coinvolte nella fusione
distinguiamo:
1. fusioni orizzontali: le imprese che formano la fusione erano precedentemente concorrenti
nello stesso mercato di prodotto competitors). Una fusione orizzontale implica due o più
imprese che producono prodotti sostituti. Tale tipologia di fusioni è maggiormente controllata
dall’antitrust dato l’aumento del potere di mercato delle imprese e la conseguente riduzione
del benessere sociale.
Es: fusione del 2006 di imprese del software delle telecomunicazioni, Alcatel e Lucent;
2. fusioni verticali: coinvolgono tipicamente imprese operanti in stadi diversi della catena di
produzione verticale. Comprendono normalmente fusioni tra imprese a monte e a valle. Esse
includono però anche una concentrazione di imprese che, prima della fusione, producevano
beni complementari.
Es: la fusione tra Hewlett-Packard, originariamente produttrice di software, stampanti e
scanner, e la Compaq, un'importante impresa di personal computer.
3. fusioni conglomerate: comprendono la concentrazione di imprese senza un'evidente
concorrenza o un'evidente relazione complementare.
Es: acquisto batterie Duracell da Gilette.
Fusioni orizzontali
Le fusioni orizzontali avvengono tra imprese che competono nello stesso mercato di prodotto (Es:
fusioni tra banche, ospedali, compagnie petrolifere).
La fusione orizzontale sostituisce due o più concorrenti con una sola impresa. La fusione di due
imprese in un mercato di tre imprese trasforma l’industria in un duopolio: creazione di potere di
mercato.
Iniziamo da un risultato sorprendente: Il paradosso delle fusioni.
Il paradosso delle fusioni
Il paradosso delle funzioni ci dice che se una fusione non conduce a un monopolio difficilmente sarà
profittevole a meno che un numero “sufficientemente grande”, ovvero almeno l’80% delle imprese
(con domanda e costi lineari), partecipi alla fusione (regola dell’80%). Qualora tale regola non venisse
rispettata la fusione risulterà profittevole per le sole imprese che non hanno partecipato alla fusione.
1
Una fusione che conduce ad un monopolio o che coinvolga un ingente numero di imprese
difficilmente verrà autorizzata dall’autorità.
Dimostrazione del paradosso delle fusioni
Partiamo dal modello classico di Cournot con domanda lineare e costi marginali costanti.
Ipotesi:
● N=3 imprese che competono alla Cournot;
● le imprese sono simmetriche: stesso costo fisso 𝐹 e stesso costo marginale 𝑐' = 30;
● domanda di mercato in forma inversa: 𝑃 = 150 − 𝑄
● due imprese si fondono: nel mercato rimangono N-1 imprese;
● in seguito alla fusione i costi delle imprese non variano.
In assenza di fusione:
● ciascuna impresa produce 𝑞𝑖 = 30
● il prezzo è 𝑃 = 150 − 3 · (30) = 60
● il profitto di ciascun’impresa è π𝑖 = (60 − 30) · 30 = 900
A seguito della fusione
Sul mercato rimangono sempre due imprese indipendenti che competono alla Cournot:
● ciascuna impresa produce 𝑞𝑖 = 40
● il prezzo è 𝑃 = 150 − 2 · (40) = 70
● il profitto di ciascun’impresa è π𝑖 = (70 − 30) · 40 = 1600
La fusione non è profittevole: i profitti dell’impresa nata dalla fusione π = 1600 sono inferiori alla
somma dei profitti delle due imprese fuse prima della fusione 900 · 2 = 1800. L’impresa che non
partecipa trae un beneficio dalla fusione in qaunto passa da π = 900 a π = 1600.
Le imprese che si fondono sperimentano un aumento di profitto teorico mentre l’impresa non fusa
sperimenta un aumento di profitto reale.
2
2
𝐶 (𝐴−𝐶)
● Il profitto aggregato pre-fusione delle M imprese fuse è: 𝑀· π𝑖 = 𝑀 · 2
𝐵(𝑁+1)
Quindi affinché la fusione sia profittevole è necessario che i profitti dell'impresa fusa sia maggiore
della somma dei profitti delle imprese fuse pre fusione:
2 2
(𝐴−𝐶) (𝐴−𝐶) 2 2
2 >𝑀· 2 → (𝑁 + 1) ≥ 𝑀(𝑁 − 𝑀 + 2)
𝐵(𝑁−𝑀+2) 𝐵(𝑁+1)
Nell'esempio prima formulato, in cui il numero delle imprese è N = 3 e il numero delle imprese fuse è
M = 2, è facile vedere allora che la disequazione non è soddisfatta. In altre parole, in un mercato di tre
imprese che soddisfa le ipotesi avanzate su domanda e costi nessuna fusione tra due imprese è
redditizia. Affinché una fusione sia redditizia, in Cournot con domanda lineare e costi identici
costanti, è necessario che nel mercato su onda almeno 80% delle imprese. Il problema è che una
fusione di questa portata non sarebbe mai consentita dalle autorità antitrust.
Studiamo il caso in cui la fusione sia profittevole in quanto porta ad una riduzione di costo.
Ipotizziamo che le imprese presenti nel mercato abbiano costi variabili differenti e sostengano costi
fissi. Allora la fusione può essere profittevole se genera risparmi di costo.
Un esempio:
● tre imprese alla Cournot con domanda 𝑃 = 150 − 𝑄
● due imprese con costi marginali pari a 𝑐' = 30 e costi fissi 𝑓;
● i costi totali sono:
a. 𝐶(𝑞1) = 𝑓 + 30𝑞1
3
b. 𝐶(𝑞2) = 𝑓 + 30𝑞2
● la terza impresa ha costi marginali più elevati: 𝐶(𝑞3) = 𝑓 + 30𝑏𝑞3 , 𝑏 ≥ 1
Studiamo due casi:
● caso A: la fusione riduce i costi fissi;
● caso B: la fusione riduce i costi variabili.
Caso A
Supponiamo che 𝑏 = 1 (le tre imprese hanno costi variabili uguali):
● tutte le imprese hanno stessi costi marginali: 𝑐' = 30;
● in seguito alla fusione l’impresa fusa ha costi fissi 𝑎𝑓 con 1 ≤ 𝑎 ≤ 2 dove 𝑎 è l’incidenza
sulla fusione dei costi fissi.
Sappiamo dal precedente esempio:
● i profitti pre-fusione di ciascuna impresa sono 900 − 𝑓
Post-fusione:
● l’impresa non-fusa ha profitti 1600 − 𝑓
● l’impresa risultante dalla fusione ha profitti 1600 − 𝑎𝑓
La fusione è profittevole per le imprese fuse se: 1600 − 𝑎𝑓 > 1800 − 𝑓 → 𝑎 < 2 − 200/𝑓
È probabile che la fusione sia profittevole quando i costi fissi sono elevati e la fusione consente
significativi risparmi nei costi fissi.
Caso B
Supponiamo che 𝑏 > 1, 𝑓 = 0,
● 𝐶(𝑞1),𝐶(𝑞2)< 𝐶(𝑞3) : le imprese 1 e 2 hanno costi marginali minori rispetto all’impresa 3,
sono più efficienti;
● le imprese 2 e 3 si fondono insieme;
● Tutta la produzione viene spostata presso l’impresa 2 che ha costi inferiori: la nuova impresa
che nasce avrà 𝐶' = 𝐶(𝑞2) (riduzione dei costi variabili 𝐶(𝑞2)< 𝐶(𝑞3));
Per determinare se la fusione è profittevole confrontiamo i profitti pre-fusione e post-fusione.
Pre fusione:
𝐶 𝐶 90+3𝑏 𝐶 210−90𝑏
● output: 𝑞1 = 𝑞2 = 4
𝑞3 = 4
2 2
𝐶 𝐶 (90+3𝑏) 𝐶 (210−90𝑏)
● profitti: π1 = π2 = 16
π3 = 16
Abbiamo visto che i profitti post fusione sono 1600 sia per l’impresa fusa che non fusa.
2 2
(90+3𝑏) (210−90𝑏)
Affinché la fusione è profittevole: 1600 − ( 16
+ 16
)>0
(15𝑏 – 9)
Ciò si semplifica in: 25(7 – 3𝑏) 2
> 0
● 25 > 0
● (7 – 3𝑏) > 0 in quanto in equilibrio l’impresa 3 produce una quantità 210 − 90𝑏.
1
(7 – 3𝑏) è esattamente 30
della quantità prodotta dall’impresa e, poiché la quantità
non può essere negativa, sappiamo per certo che 7 – 3𝑏 è una quantità positiva.
9
● (15𝑏 – 9) > 0: ciò richiede che 𝑏 > 15
affinché la fusione sia profittevole.
La fusione di un’impresa con costi elevati ed una a costi bassi è profittevole se lo svantaggio di costo
dell’impresa con costi elevati è sufficientemente grande (cioè se 𝑏 è sufficientemente alto) .
4
Possiamo concludere dicendo che:
le fusioni possono essere profittevoli se possono generare risparmi di costo sufficientemente grandi.
Non esiste tuttavia alcuna garanzia che i consumatori ci guadagnino: in entrambi gli esempi i
consumatori ci perdono con la fusione.
In particolare Farrell e Shapiro (1990) hanno dimostrato che i risparmi di costo necessari perché ci
guadagnino i consumatori sono molto più elevati di quelli richiesti perché la fusione sia profittevole.
Perciò bisogna essere scettici circa le ragioni di “risparmi di costo” addotte per giustificare le fusioni.
Tuttavia il paradosso rimane in qualche veste: le imprese non fuse guadagnano di più rispetto alle
imprese fuse.
Le fusioni verticali