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Relazioni costi-

volumi-risultati
e creazione di valore
economico
I meccanismi e le logiche di
funzionamento delle imprese

Andrea Tracogna
Settembre 2020
La relazione
costi-volumi-risultati economici
Una delle più semplici ed efficaci descrizioni del funzionamento di un'impresa è quella che considera le relazioni tra i costi sostenuti, i volumi
produttivi realizzati e i risultati economici conseguiti.
Sebbene le relazioni tra queste grandezze siano piuttosto complesse, esse possono essere – in prima approssimazione - presentate sotto
forma lineare. Detta, infatti, Q la quantità di prodotto finito realizzata, in un determinato periodo di tempo, da un’impresa, i costi di produzione
possono essere espressi come una funzione lineare di Q:

Costi di produzione = CF + cvu * Q


dove:
► CF sono i costi fissi di produzione, cioè quei costi il cui ammontare, in una certa unità di tempo, non dipende dalla quantità prodotta
(ovviamente, entro i vincoli di una determinata capacità produttiva);
► cvu è il costo variabile unitario di produzione, cioè il costo che l'impresa sostiene per produrre ogni unità aggiuntiva di prodotto finito. Tale
grandezza può, per i fini di questa esposizione, anche essere definita come il cd. costo marginale. Sulla base della funzione di costo sopra
esposto, stiamo infatti assumendo che il costo marginale sia una costante. Questo assunto non corrisponde necessariamente alla realtà,
potendo i costi variabili unitari modificarsi in relazione ai volumi di produzione.
2
Tipologie
di costi fissi
I costi fissi sono quei costi il cui ammontare (data una certa capacità produttiva) non dipende dai volumi di attività d’impresa.
I costi fissi possono essere suddivisi in tre categorie:

Costi “affondati” (sunk costs) Costi vincolati Costi discrezionali


I sunk cost sono quote di investimenti (materiali Si tratta di costi al cui sostenimento l’impresa è Si tratta di costi che hanno natura di spesa
e/o immateriali) già sostenuti dall’impresa. Tali obbligata in forza di contratti che la legano a discrezionale, nel senso che il loro ammontare è
costi assumono rilevanza sul piano contabile, sotto fornitori (contratti di lavoro, di affitto, di mutuo, di stabilito discrezionalmente dai manager
forma di quote di ammortamento, ma non invece manutenzione, di leasing, ecc.). Il loro ammontare dell’impresa (come, ad esempio, la ricerca e
sotto il profilo finanziario, essendo già stati non dipende dalla quantità prodotta e venduta. sviluppo e la pubblicità).
sostenuti. Gli investimenti a cui i costi affondati si
riferiscono, possono avere bassi costi opportunità,
cioè bassi valori di realizzo sul mercato o basso
valore utile in altri impieghi. In tal caso, i costi
affondati non dovrebbero influenzare il calcolo
decisionale, almeno nel breve periodo.

3
I costi variabili:
esempi

Sono molteplici le tipologie di costi che possono essere incluse nella


categoria dei costi variabili. Può trattarsi, ad esempio, dei consumi di
materie, degli acquisti di merci, delle lavorazioni svolte esternamente
dai fornitori sui prodotti dell’impresa, dei costi di energia sostenuti per
il funzionamento degli impianti dedicati ai processi di produzione, etc.
Non possono invece essere completamente assimilati ai costi variabili
il «costo del venduto» e i «costi per servizi». Trattasi infatti di costi a
natura mista: il costo del venduto comprende i costi del lavoro, i
consumi di materie, gli ammortamenti (quindi costi sia fissi che
variabili); i costi di servizi comprendono sia costi variabili (come,
appunto, le «lavorazioni esterne») che costi di natura vincolata (come i
costi di assicurazione), e/o di natura discrezionale (come la pubblicità).

4
Le curve di
costo unitario

Data una certa capacità produttiva, i costi medi unitari dipendono COSTI
MEDI
principalmente dal cd. ‘riparto’ dei costi fissi. Infatti, risulta che: UNITARI

𝑪𝑭
costo medio unitario = costo variabile unitario +
𝑸

Al crescere dei volumi produttivi il costo unitario tenderà a diminuire per


effetto della saturazione dei fattori produttivi fissi (CF). Ciò vale per
qualsiasi tipo di costo fisso, dal costo del personale indiretto, alle spese di COSTI
VARIABILI
pubblicità, agli oneri finanziari, alle spese generali, ecc. I costi medi unitari UNITARI
saranno quindi rappresentati dal grafico a destra.

GRADO DI SFRUTTAMENTO DELLA


CAPACITÀ PRODUTTIVA

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L’equazione del profitto
Anche i ricavi di vendita possono essere espressi come
funzione lineare della quantità prodotta:

Ricavi di vendita = p * Q
dove p è il prezzo di vendita di un'unità di prodotto finito.
Ne discende che il profitto conseguito dall'impresa, cioè la
differenza tra i ricavi di vendita e i costi di produzione, è
anch'esso funzione lineare della quantità prodotta:

Profitto = p * Q - cvu * Q - CF
e raccogliendo i fattori comuni:

Profitto = (p - cvu) * Q - CF
La differenza (p - cvu) è chiamata margine di contribuzione
unitario (mcu).

6
I margini di contribuzione
unitario e totale

Il margine di contribuzione unitario rappresenta il beneficio


economico netto che ogni singola vendita aggiuntiva (cioè marginale)
apporta all'impresa; questa differenza è destinata primariamente alla
copertura dei costi fissi, di quei costi, cioè, che l'impresa dovrà
sostenere indipendentemente dalla produzione realizzata. Solamente
dopo aver coperto tutti i costi fissi, i margini si trasformano in profitti.
Il prodotto mcu * Q è anche detto margine di contribuzione totale
(MCT)

Possiamo così scrivere l’equazione del profitto nella forma seguente:

Profitto = MCT - CF

7
L’analisi
costi-volumi-risultati

L'equazione:

Profitto = (p - cvu) * Q - CF
costituisce il punto di partenza dell'analisi costi/volumi/risultati.

L'analisi offre risposte a domande di questo tipo:


►quale livello minimo di vendite garantirà all'impresa un risultato
economico non negativo?
►dato un obiettivo di profitto, per quale livello di produzione (e
vendita) sarà possibile raggiungerlo?
►dato un livello produttivo pari a Q, per quale prezzo di vendita sarà
possibile ottenere un risultato economico non negativo?

8
Il punto di pareggio

Il punto di pareggio o break-even point (BEP) corrisponde a


quel livello di vendite che consente all'impresa di generare
margini di contribuzione sufficienti a realizzare l'integrale
copertura dei costi fissi.

Posto il profitto pari a zero:

mcu * Q - CF = 0

e risolvendo per Q, otteniamo:

𝑪𝑭
Quantità di pareggio =
𝒎𝒄𝒖
9
Il fatturato di pareggio

A volte interessa conoscere il livello dei ricavi (fatturato) necessario a conseguire il pareggio economico.
In questi casi, partendo da
𝑪𝑭
Quantità di pareggio = 𝒎𝒄𝒖

è sufficiente moltiplicare entrambi i membri per il prezzo. Otteniamo così:

𝑪𝑭
Fatturato di pareggio = 𝒎𝒄𝒖
𝒑

!"#
dove il rapporto esprime la frazione del prezzo di vendita che, una volta coperti i costi variabili, è destinata alla copertura dei costi fissi
$
e alla realizzazione di un profitto.
Si tratta di un valore compreso tra 0 (quando p = cvu) e 1 (quando cvu = 0). Il rapporto in oggetto costituisce un indicatore fondamentale
per descrivere la struttura dei costi di un’impresa e il suo grado di integrazione verticale.

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Significato e
determinanti del
punto di pareggio
Il punto di pareggio evidenzia una condizione strutturale
dell’impresa, definita in relazione alla sua struttura di costi fissi e
variabili e ai prezzi di vendita. Se non mutano queste condizioni
strutturali, non muta neppure il punto di pareggio.
Se invece si modifica il grado di integrazione verticale (cioè il
numero delle attività svolte all’interno dell’impresa rispetto a
quelle delegate ai fornitori), oppure se migliorano i margini di
contribuzione (ad esempio, attraverso un contenimento dei costi
di produzione), o ancora se aumenta il grado di differenziazione
dei prodotti (con la conseguente possibilità di aumentare i prezzi
unitari e quindi la misura del premium price), muterà anche la
condizione strutturale di pareggio economico.

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Rappresentazioni grafiche
alternative del punto di pareggio

Con evidenza dei costi fissi Con evidenza dei costi variabili

F F
F, F,
CT CT CT
CT

CV

CF

fatt. di pareggio fatturato fatturato


fatt. di pareggio

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Rappresentazioni grafiche
alternative del punto di pareggio

Con evidenza dei margini di contribuzione Con evidenza dei prezzi e dei costi medi unitari

costi e
ricavi
MCT, unitari
costi MCT

ricavi unitari
(prezzo)

CF Curva dei costi medi unitari


costi variabili
unitari
BEP quantità
BEP quantità

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L’analisi costi-volumi-risultati
condotta attraverso i bilanci

Il bilancio - ed in particolare il conto economico - forniscono utili informazioni per comprendere i meccanismi di creazione di
valore economico di un’impresa, anche se per l’utilizzo dei valori di bilancio servirà adottare opportuni accorgimenti. Manca infatti
nei bilanci – in linea generale – l’indicazione delle quantità prodotte e vendute dall’impresa, così come la specificazione dei
prezzi unitari e dei costi unitari.
Distinti i costi in fissi e variabili – facendo possibilmente riferimento alle note integrative al bilancio - e individuato il margine di
contribuzione totale, si potrà determinare il fatturato di pareggio come segue:

𝑪𝑭
Fatturato di pareggio = 𝑴𝑪𝑻
𝑭𝒂𝒕𝒕𝒖𝒓𝒂𝒕𝒐

Suggeriamo di non considerare tra i costi fissi gli oneri finanziari, poiché trattasi di costi che variano in relazione al livello di
indebitamento e che rispetto alle quantità prodotte non sono né fissi né variabili. Le imposte sul reddito vanno invece escluse
dall’analisi perché non si tratta di costi. In definitiva, è conveniente riferire la condizione di pareggio economico al reddito
operativo (EBIT nella versione anglosassone – earnings before interests and taxes).

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I limiti dell’analisi
costi-volumi-risultati (1)
Le ipotesi che stanno alla base dell’analisi costi-volumi-risultati sono alquanto stringenti e sovente poco realistiche.
Di seguito segnaliamo alcune delle limitazioni maggiori dell’analisi in questione:

► La distinzione tra costi fissi e variabili non è ► È raro riscontrare una relazione perfettamente
sempre agevole o possibile. Nella realtà, infatti, lineare tra livello dei costi e volumi produttivi. A
molte voci di costo possono avere una natura mista questa rappresentazione statica delle curve di costo,
(fissa e variabile), come il costo del venduto, o la realtà oppone un comportamento più dinamico;
presentare comportamenti diversi a seconda che il infatti, oltre che per effetto del riparto dei costi fissi, il
volume di produzione cresca o si riduca (si pensi al comportamento dei costi muta anche in relazione a
costo del lavoro). cambiamenti di scala produttiva (economie di scala) e
al cd. effetto apprendimento, di cui si dirà nel seguito.

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I limiti dell’analisi
costi-volumi-risultati (2)
Le ipotesi che stanno alla base dell’analisi costi-volumi-risultati sono alquanto stringenti e sovente poco realistiche.
Di seguito segnaliamo alcune delle limitazioni maggiori dell’analisi in questione:

►Un discorso simile a quello relativo ► L’analisi costi-volumi-risultati ► L’analisi appare scarsamente
ai costi unitari può essere fatto con non è in grado di incorporare significativa con riferimento ad
riferimento al livello dei prezzi, che alcuna ipotesi sulla politica imprese multi-prodotto: la
nell’analisi costi-volumi-risultati è delle scorte dell’impresa: la necessità di identificare un unico
considerato unico e statico, mentre produzione allestita si considera livello di prezzi e di costi unitari non
nella realtà cambia molto integralmente venduta si concilia con la complessità di
velocemente e viene spesso nell’esercizio considerato; il valore un’impresa diversificata. Sul tema
modificato in relazione alla tipologia della produzione è quindi del mark-up si dirà nel seguito.
di clienti o alle contingenze. rappresentato dal solo fatturato
(ricavi di vendita).
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Il margine di sicurezza

Può essere utile mettere a confronto le vendite (previste o effettive)


con quelle che assicurerebbero all'impresa semplicemente un
pareggio economico. Da questo confronto si ottiene una misura del
rischio operativo dell’impresa, chiamata 'margine di sicurezza':

(𝐐𝐞𝐟𝐟𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐞 ' 𝐐𝐩𝐚𝐫𝐞𝐠𝐠𝐢𝐨)


margine di sicurezza = 𝐐𝐞𝐟𝐟𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐞

Tale misura è di agevole interpretazione: ad esempio, un margine di


sicurezza di 0,30 sta ad indicare che le vendite potranno essere fino al
30% inferiori a quelle effettive senza che ciò comporti per l'impresa il
conseguimento di una perdita.

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Target di profitto

Dato un obiettivo di profitto pari a U, per quale livello di


produzione (e vendita) sarà possibile raggiungerlo?
Per rispondere è sufficiente aggiungere nella formula del
punto di pareggio il valore obiettivo di profitto U al
numeratore e risolvere l'equazione per Q:

𝑪𝑭#𝑼
Q=
𝒎𝒄𝒖

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Il prezzo di equilibrio
nel lungo termine
In generale, il prezzo praticato da un’impresa è La condizione minima di sopravvivenza, nel lungo periodo,

influenzato da tre fattori: è che il prezzo unitario sia maggiore dei costi unitari di
produzione. Per calcolare questo prezzo, occorre
esplicitare dalla formula del profitto, ponendo il profitto pari
1. I costi di produzione
a zero, il prezzo:
2. I prezzi praticati dalla concorrenza
𝑪𝑭
3. La disponibilità a pagare degli acquirenti prezzo di equilibrio = cvu + 𝑸
(cd. willingness-to-pay)

La formula ci dice che il prezzo minimo praticabile da


un'impresa è pari al costo medio di produzione, cioè alla
somma del costo variabile unitario e del costo fisso
unitario. Il prezzo minimo si riduce al crescere delle
quantità prodotte. Riducendosi i costi medi l'impresa potrà
dunque praticare prezzi più bassi.
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Il prezzo di equilibrio
nel breve termine
Nel breve termine, l’impresa potrà anche trovare conveniente praticare –
seppur temporaneamente – prezzi inferiori al costo medio unitario. Le
ragioni possono essere molteplici:
► ottenere una commessa particolarmente importante;
► ostacolare l’ingresso sul mercato di nuovi concorrenti (fissando un cd.
prezzo di deterrenza all’entrata o prezzo «limite»)
► conquistare una quota di domanda che altrimenti rimarrebbe
inespressa;
► smobilizzare quote di produzione invenduta.

Più in generale, se passiamo da una logica di lungo ad una di breve


termine (che possiamo definire come una condizione in cui l’impresa non
sta prendendo decisioni sotto il vincolo del recupero degli investimenti
effettuati) il prezzo accettabile dall’impresa sarà quello che copre
almeno i costi marginali (costi variabili unitari).
Si dice anche, in questo caso, che l’impresa adotta una logica di direct
costing al posto di una di full costing.
Ovviamente, in presenza di forti motivazioni relative ai punti sopra,
l’impresa potrà anche praticare prezzi inferiori ai costi marginali,
sacrificando il profitto di breve termine al raggiungimento di obiettivi di
medio-lungo termine.

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L’analisi costi-volumi-risultati
nel caso di produzioni
congiunte e di imprese
multi-prodotto (1)
ll terreno ideale per l'applicazione dell'analisi costi-volumi-
risultati è costituito dalle imprese mono-prodotto e mono-
business: quelle imprese, cioè, che realizzano un'unica
produzione da collocare su un unico mercato.
Tuttavia, anche in presenza di produzioni diversificate,
l'analisi costi-volumi-risultati mantiene la sua efficacia se,
all'interno dell'impresa, è possibile isolare nettamente le parti
di essa (stabilimenti, reparti, linee produttive) nelle quali viene
svolta la particolare produzione oggetto dell'analisi.

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L’analisi costi-volumi-risultati
nel caso di produzioni congiunte
e di imprese multi-prodotto (2)

Molte imprese industriali realizzano produzioni congiunte, cioè ►la struttura produttiva utilizzata è comune ai diversi modelli,
producono le diverse varianti di uno stesso tipo di prodotto quindi la gran parte dei costi è comune, cioè non riferibile
utilizzando le stesse linee produttive e, a volte, perfino le stesse direttamente ad un modello in particolare;
macchine. È il caso dei produttori automobilistici o dei produttori ►il loro mix di produzione è variabile, e dipende strettamente
di elettrodomestici, che offrono al mercato una ampia varietà di dalla domanda, quindi qualsiasi 'base di imputazione' legata ai
modelli diversi per colore, forma, prestazioni. In questi casi, non volumi prodotti in un determinato periodo sarebbe estremamente
avrebbe ovviamente molto senso calcolarsi il punto di pareggio precaria perché soggetta a cambiamento.
per ogni variante di prodotto, per due ordini di ragioni: In queste situazioni, l'analisi costi-volumi-risultati può comunque
realizzarsi se facciamo riferimento ad un 'prodotto medio', venduto
ad un 'prezzo medio’ o se immaginiamo che l’impresa produca e
venda sul mercato uno stesso «portafoglio» (mix) di prodotti.

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L’analisi costi-volumi-risultati
nel caso delle
imprese commerciali
Nel caso di imprese commerciali, come un supermercato o un grande
magazzino, non sarà possibile parlare di prodotto «medio» poiché l'assortimento
offerto al pubblico è estremamente eterogeneo, comprendendo, ad esempio,
prodotti per l'igiene personale, prodotti alimentari e articoli casalinghi.
In questi casi, tuttavia, è ancora possibile applicare l’analisi costi-volumi-risultati,
poiché ci soccorre il particolare meccanismo attraverso il quale queste imprese
formano i prezzi di vendita. Si tratta del cd. metodo della percentuale di
ricarico (mark-up): il prezzo di vendita è cioè determinato 'caricando' sul costo
di acquisto una determinata percentuale di questo costo. Ad esempio, se questa
percentuale è pari al 30%, fatto 100 il costo di acquisto il prezzo di vendita sarà
pari a 130. La percentuale sarà ovviamente fissata in modo tale da consentire il
recupero dei costi fissi e ottenere anche un congruo utile.

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Fatturato di pareggio e
mark-up

Assumendo che – nelle imprese commerciali - il costo variabile unitario corrisponda al costo di acquisto,
il prezzo di vendita potrà essere espresso nei termini seguenti:

prezzo = costo d’acquisto (1 + % di mark-up)


Se nella equazione del fatturato di pareggio sostituiamo al prezzo la sua espressione in termini mark-up, otteniamo:

𝑪𝑭
fatturato di pareggio = 𝒎𝒂𝒓𝒌,𝒖𝒑
(𝟏.𝒎𝒂𝒓𝒌,𝒖𝒑)

Il fatturato di pareggio è qui una funzione dei soli costi fissi e della percentuale di ricarico ed è indipendente dal livello
assoluto di prezzo (e di costo di acquisto) di uno specifico prodotto.

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Revenue (yield)
management

L’analisi costi-volumi-risultati non può essere applicata al caso di imprese che presentino una larga prevalenza di costi fissi
(autostrade, telefonia, alberghi, crociere, trasporti ferroviari, trasporto aerei, software, televisione, etc..).
In tali casi, la creazione di valore economico avrà come focus principale la creazione (e massimizzazione) dei ricavi di
vendita.
In presenza di elevati costi fissi, l’esiguità dei costi marginali (i costi di ogni unità di produzione aggiuntiva) lascia all’impresa
una certa libertà nella determinazione dei prezzi di vendita. Nella fissazione dei prezzi ai clienti l’impresa potrà quindi
praticare forme di discriminazione di prezzo (cioè prezzi diversi per beni/servizi uguali) cercando di presentarle come
differenziazioni di prodotto/servizio (prezzi diversi per beni/servizi diversi).
Questa pratica, che viene chiamata revenue (o yield) management è largamente applicata nel settore del trasporto aereo.
Applicazioni frequenti si hanno anche nel settore alberghiero. Anche la varietà di tariffe nella telefonia mobile può essere
interpretata in termini di revenue management.

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Il significato generale
di elasticità

L'elasticità è, in generale, definita come il rapporto tra le L'elasticità è dunque una misura della sensibilità
variazioni percentuali di due variabili. di y rispetto a variazioni di x.
In termini formali, date due variabili y e x, l'elasticità Poiché si tratta di un rapporto tra variazioni percentuali,
di y rispetto ad x è data da: l'elasticità è un numero puro.

% 𝜟𝒚 𝜟𝒚 𝒙 Laddove possono essere definite variazioni infinitesimali


𝜼𝒚𝒙 = % 𝜟𝒙
= ∗
𝜟𝒙 𝒚 di y e x, è possibile esprimere 𝜼𝒚𝒙 nei termini della
derivata di y rispetto a x:
dove:
𝒅𝒚 𝒙
% 𝜟𝒙 =
𝒙𝟏% 𝒙𝟎
𝒙𝟎
𝒙 100 𝜼𝒚𝒙 = 𝒅𝒙

𝒚

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Elasticità dei costi

L'elasticità dei costi totali alle variazioni di quantità ci indica di quanto variano (in %) i costi totali dell'impresa in
conseguenza di una variazione (%) nelle quantità prodotte. Si tratta quindi di una misura strettamente dipendente
dalla natura dei costi dell'impresa, ed in particolare dalla maggiore o minore presenza di costi variabili.

*+,-./ 0,.12/ 3#14./.à 3#14./.à +,-./ 617/18/2/


elasticità dei costi = ∗ = 𝐜𝐯𝐮 ∗ =
*3#14./.à +,-./ 0,.12/ +,-./ 0,.12/ +,-./ .,.12/

L'elasticità dei costi assume valori compresi tra 0 (assenza di costi variabili) e 1 (assenza di costi fissi). Ad esempio, un
valore pari a 0,80 significa che una variazione diminutiva del 10% nei volumi produttivi comporta una variazione
diminutiva dell'8% nei costi totali.

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L’elasticità del profitto:
leva operativa

Il concetto di elasticità può essere applicato anche al profitto.


Notiamo infatti che imprese diverse hanno diverse sensibilità del
profitto alle variazioni nella quantità prodotta e venduta. In
altri termini, ci sono imprese (quelle con elevati costi fissi) il cui
profitto si accresce velocemente in seguito ad un aumento nelle
quantità, mentre ci sono altre imprese (che hanno una
prevalenza di costi variabili) il cui profitto cresce meno
velocemente.
Questa diversa sensibilità (elasticità) del profitto a variazioni nelle
quantità prodotte e vendute ha a che fare con il livello dei margini
unitari di contribuzione in rapporto ai prezzi di vendita: l'impresa
con i più alti margini unitari beneficerà maggiormente di un
aumento delle vendite. Si dirà, in questo caso, che quest’impresa
ha un'elevata leva operativa.

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Leva operativa (2)

La leva operativa è il parametro che misura l'elasticità dei profitti d’impresa alle variazioni dei volumi di produzione e vendita.
Sul piano analitico, essa è misurata dal rapporto tra le variazioni incrementali del profitto e della quantità:

#$%&'())( *+,-)()à *+,-)()à /,%0(-( 1( 2&-)%(3+4(&-5 )&),6( (/89)


Leva operativa= #*+,-)()à ∗ $%&'())(
= 𝑚𝑐𝑢 ∗ $%&'())(
= $%&'())(

Ad esempio, avere una leva operativa pari a 3 significa che una variazione del 10% (in + o in -) nelle vendite produrrà una variazione del
30% (nello stesso senso) nel profitto.
La leva operativa corrisponde al reciproco del margine di sicurezza. Si lascia al lettore la verifica di questa importante relazione.

1
La leva operativa è anche pari al rapporto '(
1 2 )'*

29
Grafico della
leva operativa

BEP = 1
Asintoto verticale = BEP
Asintoto orizzontale = 1

30
Le leve per la
massimizzazione
del valore
Oltre alla leva operativa (anche detta leva dei volumi) è possibile calcolare la sensibilità del profitto a variazioni nei costi e a variazioni nei
prezzi. I risultati sono i seguenti (il lettore verifichi personalmente queste relazioni):

𝑭𝒂𝒕𝒕𝒖𝒓𝒂𝒕𝒐
leva dei prezzi =
𝑷𝒓𝒐𝒇𝒊𝒕𝒕𝒐

𝑪𝒐𝒔𝒕𝒐 𝒅𝒊 𝒂𝒄𝒒𝒖𝒊𝒔𝒕𝒐 𝒅𝒊 𝒃𝒆𝒏𝒊 𝒆 𝒔𝒆𝒓𝒗𝒊𝒛𝒊


leva degli acquisti = 𝑷𝒓𝒐𝒇𝒊𝒕𝒕𝒐

Dall'analisi congiunta di questi parametri, l'impresa è in grado di stabilire se sia più opportuno, sotto il profilo della convenienza economica
e a parità di altre condizioni, dar corso ad una strategia di aumento della quota di mercato (per sfruttare la leva operativa), di
razionalizzazione interna (per sfruttare le leve dei costi) o di differenziazione competitiva (per ottenere un cd. premium price e quindi
sfruttare la leva dei prezzi).

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Si consideri la seguente tabella, che rappresenta i livelli di vendita e i dati di costo
e ricavo di tre imprese appartenenti allo stesso settore di attività (i valori sono
puramente indicativi):

impresa A impresa B impresa C


prezzo 225 225 225

La struttura costo variabile unitario

margine unitario di contribuzione


135
90
105
120
45
180

dei costi (1) costi fissi

vendite previste (unità)


30.000
1.000
60.000
1.000
120.000
1.000
Profitto atteso 60.000 60.000 60.000

Come possiamo vedere, le tre imprese producono lo stesso prodotto, che mettono
in commercio allo stesso prezzo. Esse prevedono inoltre di collocare sul mercato
lo stesso volume produttivo. Anche il profitto atteso al livello di vendite previsto è
lo stesso. Diverso è, invece, il rapporto tra costi fissi e costi variabili, cioè
l’elasticità dei costi.

32
Un confronto analitico tra le tre imprese può essere condotto
utilizzando parametri come l’elasticità dei costi, la leva operativa e il
margine di sicurezza (notare che il margine di sicurezza risulti essere
il reciproco della leva operativa):

La struttura impresa A impresa B impresa C

dei costi (2) profitto

quantità di pareggio
60.000

333
60.000

500
60.000

667

margine di sicurezza 66,7% 50% 33,3%

leva operativa 1,5 2 3

elasticità dei costi 0,82 0,64 0,27

33
La struttura dei costi:
imprese elastiche vs imprese rigide
Nella tabella precedente, le tre imprese presentano valori sensibilmente diversi nei parametri impiegati.

L'impresa A raggiungerà più presto il punto di pareggio, e potrà contare su In definitiva:


un margine di sicurezza più elevato, il che la metterà al riparo dalle
►A è la tipica impresa poco integrata, che cerca la massima flessibilità
conseguenze di possibili errori di previsione delle vendite o variazioni
alle oscillazioni del mercato
inattese della domanda. Sotto tale profilo, essa è meno rischiosa delle altre
due imprese.
►C è invece la tradizionale impresa fortemente integrata, che ha uno
Per contro, è l'impresa C ad avere il valore di leva operativa più elevato. spiccato orientamento alla crescita.

Essa potrà quindi beneficiare maggiormente di variazioni aumentative nelle ►B è un’impresa che cerca di bilanciare le esigenze di elasticità con
vendite, anche se subirà i maggiori contraccolpi economici nel caso di quelle di sfruttamento della leva operativa.
vendite inferiori alle previsioni. Un esempio di impresa con elevata leva operativa (del tipo C) è una società
L'elasticità dei costi è massima per A, mentre C presenta una struttura per l’esercizio della telefonia mobile. Il costo marginale di produzione del
di costi piuttosto 'rigida'. servizio di connettività è pressoché nullo mentre elevatissimi sono invece gli
investimenti (e quindi i costi fissi) nelle infrastrutture.

34
La struttura dei costi:
il grado di
integrazione verticale
Il diverso rapporto tra costi fissi e costi variabili rappresenta un Un metodo per misurare il grado di integrazione verticale è il seguente:
fondamentale dato strutturale per un’impresa, che mette in 𝐕𝐚𝐥𝐨𝐫𝐞 𝑨𝒈𝒈𝒊𝒖𝒏𝒕𝒐
evidenza come la struttura produttiva posta in essere per
Grado di integrazione verticale = 𝐕𝐚𝐥𝐨𝐫𝐞 𝐆𝐥𝐨𝐛𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝑷𝒓𝒐𝒅𝒖𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆
operare possa essere anche profondamente diversa.
Nel caso precedente, l'impresa C presenta un livello di costi dove il valore aggiunto è dato dalla differenza tra il Valore Globale della Produzione e i
fissi quattro volte più elevato dell'impresa A; i suoi costi variabili Consumi Intermedi (cioè gli acquisti di beni e servizi da terze parti).
unitari di produzione sono invece sensibilmente inferiori a B e
ad A. Ciò riflette chiaramente la scelta di C di ricorrere il meno Una versione del parametro più allineata con l’analisi costi-volumi-risultati (ma più
possibile a fornitori esterni. approssimata) è la seguente:
Possiamo dunque dire che le tre imprese hanno un diverso 𝑴𝑪𝑻 𝒎𝒄𝒖
Grado di integrazione verticale = =
grado di integrazione verticale. 𝑭𝒂𝒕𝒕𝒖𝒓𝒂𝒕𝒐 𝒑

35
Strutture di costo a confronto:
rappresentazione grafica

COSTI MEDI
UNITARI

impresa A ‘elastica’
(bassa leva operativa)

impresa C ‘rigida’
(alta leva operativa)

QUANTITÀ
PRODOTTA

36
Costi di invenduto
e mancate vendite

L’analisi della struttura di costo può essere utile per risolvere un classico dilemma nella pianificazione delle attività
d’impresa: di fronte ad una domanda incerta e non perfettamente prevedibile, sarà preferibile correre il rischio di realizzare
una produzione eccedente la domanda effettiva (o di generare un volume di acquisti maggiore della domanda, se si tratta di
un’impresa commerciale) o invece correre il rischio che la produzione sia inferiore alla domanda? Sarà cioè meglio
sbagliare per eccesso o per difetto (immaginando che i due errori siano equiprobabili)?
La questione si pone con particolare gravità in presenza di produzioni a forte deperibilità (come, ad esempio, molte
produzioni alimentari) e/o ad elevato tasso di obsolescenza (come, ad esempio, l’abbigliamento di ‘moda’).
Nel caso di produzione in difetto (produzione inferiore alla domanda effettiva), l’impresa sopporterà una perdita di margini di
contribuzione pari al prodotto tra il margine unitario e la minor vendita realizzata (dando luogo ai cd. costi di mancate vendite,
o di sotto-scorta). Nel caso invece di una produzione eccedente (domanda inferiore alla produzione), l’impresa - pur
conseguendo interamente i margini di contribuzione - dovrà sopportare dei costi di produzione superiori a quelli del
venduto (si tratta dei cd. costi di invenduto).
37
Costi di invenduto e
mancate vendite:
rappresentazione grafica

Perdita di margini
di contribuzione

Domanda eccedente la
produzione = mancate vendite

Produzione
Costi di produzione
in esubero Domanda inferiore
alla produzione = invenduto

38
Confrontare i costi di
invenduto e di mancate
vendite
Costi variabili di produzione vs. margini unitari di contribuzione: è questa l’essenza
del dilemma tra invenduto e mancate vendite.

Imprese con alti margini e bassi costi variabili (come molte imprese di servizi:
un albergo, una compagnia aerea) preferiranno correre il rischio dell’invenduto,
cioè dotarsi di una capacità produttiva eccedente la domanda.

Viceversa, imprese con bassi margini e alti costi marginali (come le imprese
commerciali o le imprese industriali a basso grado di integrazione verticale)
preferiranno correre il rischio di mancate vendite (sotto-scorta).

Nel definire il proprio orientamento verso i rischi sopra definiti, l’impresa non deve
dimenticare che le mancate vendite hanno anche delle possibili implicazioni
negative sotto il profilo della customer satisfaction. La mancata disponibilità
del prodotto abbassa, infatti, il livello di servizio offerto, con il pericolo di perdita
della clientela a vantaggio dei concorrenti. Sotto questo profilo, le mancate vendite
possono essere più dannose dell’invenduto.

39
I costi di obsolescenza

Una produzione eccedente la domanda non si trasforma automaticamente e Sovente però il prodotto eccedente che viene messo a scorta per la
totalmente in un costo di invenduto. Infatti, se il prodotto è immagazzinabile, successiva rivendita viene a perdere progressivamente il suo valore, per
l’impresa potrà conservare la produzione eccedente e ‘smaltirla’ effetto del fenomeno denominato obsolescenza. È il caso, ad esempio, di
gradualmente, incorrendo – in tali casi - in un semplice costo di immobilizzo prodotti a forte contenuto tecnologico, come gli smartphone, o di prodotti a
di capitale nelle scorte: forte componente ‘moda’, come l’abbigliamento. In tali casi, l’impresa dovrà
velocizzare il tempo di vendita attraverso vendite promozionali o altre forme
Costo unitario di immobilizzo = di riduzione dei prezzi. Il costo dell’obsolescenza sarà così determinato:

valore (costo) del prodotto a scorta x


Costo di obsolescenza =
costo % di mantenimento per unità di tempo x
tempo necessario per la vendita
costo di produzione +
costo unitario di immobilizzo ‒
prezzo residuo di realizzo

40
Profitto economico
vs profitto contabile

L’analisi costi-volumi-risultati si basa su grandezze di natura Il profitto economico (anche definito reddito residuale o EVA -
contabile. Quest’analisi descrive pertanto le modalità in cui viene Economic Value Added) può essere considerato come la misura
a generarsi il profitto contabile. Tuttavia, il profitto contabile è per eccellenza della creazione di valore economico di
una misura imprecisa della effettiva creazione di valore un’impresa. Esso si calcola con la seguente formula:
economico di un’impresa, a causa del diverso trattamento
contabile dei costi del capitale proprio (Equity) rispetto agli
Profitto economico =
oneri finanziari. I primi non sono infatti considerati dei costi
Reddito operativo al netto delle tasse (NOPAT) ‒
rilevanti sul piano contabile, data la loro natura di costo-
Costo del capitale investito (WACC * Capitale investito)
opportunità.

41
Profitto economico:
terminologia

Le sigle utilizzate nella formula del profitto economico sono:

NOPAT = net operating profit after taxes = earnings before interests and taxes (EBIT) * (1 – tax rate)
WACC = weighted average cost of capital
Notiamo inoltre che:

Capitale investito = Attivo fisso + Capitale circolante netto (CCN)


Il CCN è essenzialmente costituito da crediti verso clienti + scorte - debiti verso fornitori – fondo TFR.
Il capitale investito corrisponde, dal lato dei finanziamenti, a:

Capitale investito = Debiti finanziari + Capitale proprio

42
Dato:

NOPAT (reddito opera/vo al ne3o delle tasse)


ROIC =
capitale inves/to

ROIC e profitto =
EBIT (1 – tax rate)
capitale inves/to

economico Possiamo riformulare il profitto economico nel seguente modo:

Profitto economico = 𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐚𝐥𝐞 𝐢𝐧𝐯𝐞𝐬𝐭𝐢𝐭𝐨 (𝐑𝐎𝐈𝐂 − 𝐖𝐀𝐂𝐂)

43
Le leve per migliorare la redditività operativa (NOPAT) sono

Le leve per la
le seguenti:
► Aumento dei prezzi di vendita

massimizzazione ► Riduzione dei costi di acquisto di beni e servizi


► Riduzione di altre voci di costo variabile (es. spese di
del profitto trasporto)

economico: ► Riduzione dei costi fissi (in base alla considerazione che,
nel medio-lungo periodo, tutti i costi si possono
considerare variabili)
la redditività ► Miglioramenti nell’efficienza produttiva

operativa ► Aumento dei volumi di attività

44
Il costo medio ponderato
del capitale (WACC)
Il WACC si calcola con la seguente formula:

𝑬 𝑫
Il profitto economico può essere aumentato anche attraverso la WACC = Ke * + Kd (1-t)*
𝐃;𝑬 𝐃;𝑬
riduzione del costo del capitale (WACC).
Il WACC è la media ponderata del costo del capitale di debito dove
e del costo del capitale proprio (Equity).
WACC = Weighted average cost of capital
Il costo medio ponderato del capitale, o WACC, può essere
Ke = costo dell’equity (E)
inteso come il costo che l'azienda deve sostenere per
raccogliere risorse finanziarie presso soci e terzi finanziatori. Kd = costo del debito (D)
Si tratta di una media ponderata tra il costo del capitale proprio t = aliquota fiscale sui redditi d’impresa
ed il costo del debito, con "pesi" proporzionali ai mezzi propri e ai E = Equity
debiti finanziari complessivi. D = Debito
I costi del capitale proprio e del capitale di debito dipendono dalla
rischiosità dell’impresa, nonché dalle forme di raccolta adottate.

45
Si propone qui sotto una rappresentazione grafica dei cicli del capitale
circolante di un’impresa industriale, distinguendo il ciclo economico (dagli
input agli output) dal ciclo monetario (anche detto ciclo cash-to-cash: dal
pagamento degli input all’incasso degli output):

Ciclo
economico
e ciclo monetario

46
Assumendo un andamento omogeneo dei fenomeni collegati (consumi,
produzione, costituzione delle scorte), è possibile calcolare la rotazione e la
durata delle diverse tipologie di scorte.

Indici di
rotazione e
di durata
delle scorte

47
Sempre assumendo un andamento omogeneo dei fenomeni collegati
(vendite, acquisti), è possibile calcolare la rotazione e la durata delle altre
componenti del capitale circolante netto (debiti verso fornitori e crediti verso
clienti).

Indici di
rotazione e di
durata dei
crediti e debiti
Si tenga presente che i costi di acquisto da prendere a riferimento per il
calcolo della durata dei debiti verso fornitori è quello di beni e di servizi.
Inoltre, i costi di acquisto vanno integrati dalla componente di imposta sul
valore aggiunto (in alternativa, i debiti vanno scorporati dalla componente
IVA). Lo stesso ragionamento relativo all’IVA va fatto con riferimento ai crediti
verso clienti (il cui valore è al lordo di IVA) e al fatturato (che è invece al netto
di IVA).

48
La gestione del capitale investito:
il capitale circolante netto (CCN)
Il CCN è costituito da crediti verso clienti + scorte - debiti verso Nell’agire su queste leve, l’impresa deve tenere in
fornitori – fondo TFR. considerazione numerosi trade-off:
A parità di altre variabili, per un’impresa è sempre preferibile ►la variazione delle dilazioni di incasso e di pagamento, pur
ridurre il CCN. Per fare questo, essa può seguire due diverse portando effetti positivi sotto il profilo finanziario, può
strade: comportare un generale peggioramento della qualità delle
►agire sul ciclo economico (cioè sulla durata delle scorte), e relazioni con clienti e fornitori;
quindi ridurre i tempi di stoccaggio e di trasformazione (quello ►l’accorciamento dei tempi di produzione e la riduzione
che tecnicamente viene chiamato il lead-time di produzione o delle scorte richiedono non di rado il passaggio a modelli di
tempo di attraversamento del processo produttivo); ‘produzione tesa’ (Just-in-Time) che sono estremamente
►agire sul ciclo monetario (che corrisponde al ciclo economico vulnerabili rispetto a fattori di incertezza quali i livelli di
+ durata dei crediti verso clienti – durata dei debiti verso domanda e i tempi di rifornimento e possono comportare
fornitori), e quindi allungare le dilazioni di pagamento ai fornitori disservizi alla clientela (prodotti non disponibili, tempi di
e/o accorciare quelle di incasso dai clienti. consegna elevati).

49
La gestione del
capitale circolante netto
(CCN)
In generale, l’impresa deve trovare un giusto posizionamento nel
continuum di «politiche» del capitale circolante che si collocano tra i
due estremi della minimizzazione dei costi e della massimizzazione
del livello di servizio. L’ottica della eliminazione delle scorte (così
come dei crediti alla clientela), per economizzare sui costi, si scontra
cioè con la necessità di adempiere alle funzioni tipiche delle stesse,
che è anche quella di dare servizio (disponibilità del prodotto).
Casi particolari di composizione del capitale circolante netto si hanno
nelle imprese con cicli economici molto estesi. In tali casi non è raro
riscontrare la presenza nell’attivo di voci come «lavori in corso su
ordinazione» e di «anticipi a fornitori» e nel passivo di voci di
circolante netto come gli «anticipi da clienti».

50
Le misure del
successo
economico
d’impresa

51
L’efficacia è la misura in cui l’impresa riesce a realizzare i propri fini
(siano essi stabiliti in termini di redditività, di tasso di crescita delle
vendite, di quota di mercato, livello assoluto di fatturato, etc.). Se

1. Efficacia, l’obiettivo da raggiungere, ad esempio, è un ROE del 20%, mentre


abbiamo realizzato un ROE del 15%, allora la nostra efficacia sarà

efficienza, stata pari al 75%.


L'efficienza è un rapporto tra valori di Input (fattori produttivi) e di

produttività,
Output (produzione realizzata/venduta). Il livello dei costi unitari di
produzione, cioè il rapporto tra i costi totali e i volumi di produzione, è

competitività
una delle più diffuse misure dell’efficienza di un'impresa.
La produttività è invece un rapporto tra valori di Output e di Input.
Una misura di produttività (del lavoro) di ampio utilizzo è il valore
aggiunto per addetto, cioè il rapporto tra il Valore Aggiunto (Valore
della Produzione meno Consumi Intermedi) e il numero di addetti.
La competitività d’impresa dipende dai livelli di efficienza e di
produttività, nonché dai suoi livelli di innovazione e rappresenta il
presupposto fondamentale per il successo dell’impresa.

52
La formula del CAGR (Compound Annual Growth Rate) può
essere utilizzata per misurare i tassi di crescita di
grandezze considerate rilevanti per l’impresa, come il
fatturato, il valore azionario, gli utili per azione (EPS:
earnings per share).
In generale, il CAGR può essere calcolato con riferimento a
qualsiasi variabile soggetta a crescita. Dato un intervallo di
tempo (t-n, t) di durata n anni, il tasso annuo composto di

2. Crescita e crescita sarà così determinato:

CAGR æ Qt ö
CAGR = ç n - 1÷ x100
ç Q ÷
è t -n ø
La formula si ricava assimilando il valore Q al tempo t ad un
montante della grandezza Q al tempo (t-n), applicando il
regime di capitalizzazione composto. Il CAGR non è altro
che il tasso che rende possibile, in una durata n, realizzare
un montante Qt.
53
Il TRS è un indice di redditività valutato nella
prospettiva degli azionisti, che considera sia i
ritorni in conto capitale (capital gains) che i ritorni
sotto forma di dividendi ottenuti in un intervallo di

3. La creazione tempo (t1 – t0).


Infatti, dato un intervallo di tempo (t0, t1), il TRS

di valore per sarà pari a:


Pt1 – Pt0 + D(t1-t0)
gli azionisti: TRS=
Total Return to Pt0
Shareholders
dove Pt è il prezzo delle azioni al tempo t e D
(TRS) sono i dividendi pagati dall’impresa
nell’intervallo t0 – t1

54
La redditività d’impresa può essere misurata rispetto al
capitale investito (ROIC: Return on Invested Capital)) oppure
rispetto al capitale proprio (ROE: Return on Equity).

4. Gli indicatori NOPAT (reddito opera/vo al ne3o delle tasse)


di redditività: ROIC =
capitale inves/to

ROIC e ROE =
EBIT (1 – tax rate)
capitale inves/to

reddito ne3o
ROE = capitale proprio

55
Return on Equity e
sua scomposizione:
la formula Dupont
Secondo l’identità Dupont (dal nome dell’impresa americana in cui venne utilizzata la prima volta) il ROE può essere scomposto in tre fattori:

U1le ne3o Ricavi di vendita Totale A:vo


ROE = Ricavi di vendita * Totale A:vo * Capitale Proprio (E)

dove:
Utile Netto/Ricavi → Indice di Efficienza Operativa (Profit Margin) = Redditività netta delle vendite
Il “profit margin” dipende dall'efficienza operativa d’impresa ma tiene anche conto dell'erosione del reddito operativo dovuta agli interessi passivi e alle imposte.
Ricavi/Totale Attivo → Indice di Asset Turnover (Rotazione dell’attivo)
L'indice di rotazione delle attività (asset turnover) misura l'efficienza con cui l’impresa utilizza le attività patrimoniali per generare ricavi.
Totale Attivo/Capitale Proprio → Indice di Leva Finanziaria
La leva finanziaria misura il grado di dipendenza dell’impresa da fonti finanziarie esterne. Quanto più alto sarà il suo valore, tanto meno equilibrata sarà giudicata
la struttura finanziaria d’impresa. E’ di immediata evidenza che per ogni valore del rapporto A/E sarà possibile ottenere i corrispondenti rapporti Debito/Equity
(D/E).
La stretta dipendenza del livello del ROE dalla leva finanziaria ne rappresenta il limite principale come indicatore di redditività. In altri termini, un ROE elevato può
dipendere da un’elevata leva finanziaria (con conseguente maggiore rischio d’impresa) e quindi rappresentare una redditività di qualità inferiore a quella ottenuta
con livelli di indebitamento inferiori.
Si noti che il prodotto tra la redditività netta delle vendite e la rotazione dell’attivo corrisponde al ROA netto = Redditività (netta) dell’Attivo
56
Per ogni impresa vale la seguente condizione

Condizione
di creazione di valore economico:

fondamentale di ROIC > WACC


creazione di
valore
o l’equivalente:

economico ROIC/WACC >1

57
La creazione di valore nel lungo termine
presuppone la sostenibilità finanziaria
dell’impresa

Tra i diversi indicatori di sostenibilità finanziaria si propone:

Indebitamento Ne@o
Indice di sostenibilità finanziaria =
EBITDA

Dove l’EBITDA è una proxy del cash flow operativo d’impresa (che si calcola come EBITDA
+/- 𝚫 Capitale Circolante Netto). Il rapporto esprime il tempo necessario per rimborsare i
debiti netti (Debiti finanziari lordi meno Disponibilità liquide e Valori equivalenti) utilizzando i
cash flow auto-generati dall’impresa nello svolgimento delle attività operative.
58
Il valore d’impresa (Enterprise Value):
terminologia e relazioni fondamentali
NOPAT = Net operating profit after taxes = EBIT (1 – tax rate)

Invested Capital (IC) = Property, plant and equipment (PPE) + Net Working Capital
𝐍𝐎𝐏𝐀𝐓
ROIC = 𝐈𝐂

𝚫 IC = IC (t+1) – IC (t)

𝚫 𝐈𝐂
Investment Rate (IR) = 𝐍𝐎𝐏𝐀𝐓

Free Cash Flow (FCF) = NOPAT – 𝚫 IC = NOPAT – (NOPAT * IR) = NOPAT (1 – IR)

𝚫 𝑵𝑶𝑷𝑨𝑻
g= 𝐍𝐎𝐏𝐀𝐓
= IR * ROIC = tasso di crescita del NOPAT
𝐠
ROIC =
𝐈𝐑
𝐠
IR = 𝑹𝑶𝑰𝑪

59
Creazione di valore e valore d’impresa
(Enterprise Value)
L’impresa è un meccanismo di creazione di valore economico. Il valore economico creato periodicamente è costituito dai
flussi di cassa operativi al netto delle spese in conto capitale necessarie a ripristinare il capitale investito (il cosiddetto free
cash flow for the firm – FCF o FCFFF). Tale flusso di cassa si calcola come EBITDA +/- 𝚫 Capitale Circolante Netto –
Capital Expenditures effettuate per conservare il valore del capitale investito.
Operando su un orizzonte temporale potenzialmente illimitato, il processo di creazione di valore può essere assimilato alla
realizzazione di una rendita periodica posticipata costante (o crescente), il cui valore attuale si ottiene dividendo le singole
annualità (i free cash flow) per il costo del capitale (WACC) o per la differenza (WACC –g) nel caso le annualità siano
crescenti al tasso g. Questo valore attuale è l’Enterprise Value, cioè il valore dell’impresa. Il valore del Capitale Proprio
(Equity Value) sarà pari all’Enterprise Value meno il valore dei debiti.

+,-- ./01 +234 53, 61- +7,8 (+.+) NOPAT


EV (g = 0 ; 𝚫 IC = 0) = =
;<.. ;<..

+,-- ./01 +234 53, 61- +7,8 (+.+) NOPAT – 𝚫 IC


EV (g > 0) = =
;<.. => ;<.. =>

*
?@A<B (C =DE) ?@A<B (C =+,-.)
EV (g > 0) = =
;<.. => ;<.. =>

Enterprise Value (EV) = Equity Value + Debt Value


60
Valore d’impresa e
profitto economico
Le equazioni seguenti, derivate dalle precedenti, assimilano invece la creazione di valore economico alla realizzazione di
un flusso periodico di profitti economici (risultato operativo al netto delle tasse meno costo del capitale). Nel caso in cui
l’impresa realizzi un profitto economico pari a zero (cioè si limiti a remunerare il capitale investito ad un tasso pari al costo
del capitale), il valore dell’impresa sarà pari al capitale investito. Viceversa, nel caso limite in cui il profitto economico sia
inferiore a zero, l’impresa avrà un valore inferiore al capitale investito. L’Enterprise Value sarà invece superiore al capitale
investito quando il profitto economico è positivo.
+ +
UVWXY ∗ ([ ' ,-./) _]∗`V_] ∗ ([ ' ,-./) _] ∗ (`V_] '^)
EV = = = che con opportune somme e sottrazioni diventa
\X]] '^ \X]] '^ \X]] '^

_] ∗ (`V_]a\X]] '\X]] '^)


EV = \X]] '^

_] ∗ `V_] ' \X]] a_] (\X]] '^) _] ∗ `V_] ' \X]]


EV = \X]] '^
= \X]] '^
+ IC

Wbcdeffc ghcicjehc
EV = + IC
\X]] '^

che per Profitto Economico = 0 diventa


EV = IC
61
Il valore d’impresa come multiplo
del NOPAT e del capitale investito
La formula usata per il calcolo dell’Enterprise Value può essere utilizzata anche per esprimere il valore d’impresa come
multiplo, rispettivamente, del NOPAT e del Capitale Investito. Queste modalità di valutazione d’impresa sono di frequente
utilizzo.

EV come multiplo del NOPAT


k
=> (D Elmno) => D
= che per g = 0 diventa: =
?@AB0 GB++ EH ?@AB0 GB++

EV come multiplo del Capitale Investito


pmqrs k
=> no
∗ (D Elmno
) K@I+ EH => K@I+
= = che per g = 0 diventa =
I+ GB++ EH GB++ EH I+ GB++

62
Efficienza e costi
1
2

dimensione
medi 3
unitari 4
scale produttive 1 < 2 < 3 < 4

d’impresa costo
minimo

M.E.S. scala
produttiva

63
Le economie di scala

Divari di efficienza tra imprese possono essere originati dai rendimenti


più che proporzionali che alcuni fattori produttivi hanno al crescere
della loro dimensione d’impiego. 1
costi 2
La MES (minimum efficient size) è quella dimensione d’impresa a cui medi 3
unitari 4
corrispondono i minori costi di produzione unitari. Essa è sovente una scale produttive 1 < 2 < 3 < 4

condizione strutturale di un settore industriale, e incide fortemente


sulla dimensione media delle imprese che vi operano. È infatti
costo
verificato che una MES molto elevata (relativamente alle dimensioni minimo

della domanda) è correlata con elevati indici di concentrazione


settoriale. Alcune posizioni di mercato apparentemente monopolistiche
(es. Microsoft, Google, Boeing,..) potrebbero dunque essere spiegate M.E.S. scala
produttiva
in termini di MES: sarebbero cioè il portato di estese economie di
scala. Inoltre, livelli di efficienza diversi tra imprese dello stesso
settore potrebbero essere spiegati semplicemente sulla base delle
diverse economie di scala realizzate.
64
Fattori determinanti
le economie di scala
a livello di «impianto» (1)
► le variazioni area-volume (cd. principio del container); rendimenti crescenti di scala si hanno quando i costi di costruzione di impianti di
maggiori dimensioni crescono meno che proporzionalmente alla capacità produttiva (ad esempio, un locale adibito a magazzino); è
anche il caso delle capacità di trasporto, che crescono più che proporzionalmente ai costi dei mezzi impiegati.
► la legge dei grandi numeri; al crescere delle dimensioni d'impresa, alcuni fenomeni aleatori - che concorrono a determinare le
complessive condizioni di rischio operativo ed economico aziendale - per effetto della ripetizione delle attività da cui traggono origine,
oppure per gli effetti di compensazione che si producono quando queste variabili aleatorie sono aggregate ad altre variabili aleatorie ad
esse correlate negativamente, vengono a perdere parte della variabilità totale, per assumere modalità più stabili e prevedibili. È il caso
dei rischi di blocco del sistema produttivo, o di improvvise punte di domanda, o di blocchi o ritardi negli approvvigionamenti: le scorte
necessarie a far fronte a questi rischi (le cd. scorte di sicurezza) crescono in misura meno che proporzionale al crescere della
dimensione dei cicli produttivi, il che si traduce in minori costi di immobilizzo finanziario; inoltre, quando la variabilità si manifesta, essa
produce effetti meno dirompenti. Ciò vale non solo per le scorte di input circolanti o per le scorte di output, ma, in generale, per tutte le
cd. "slack" (riserve) organizzative, da quelle di macchine a quelle di personale.

65
Fattori determinanti
le economie di scala
a livello di «impianto» (2)
►L’imperfetta divisibilità di alcuni fattori della produzione, quali il lavoro e le macchine; in tal caso, le economie di scala traggono
origine da due diverse circostanze:
► il problema del bilanciamento della produzione; si tenga infatti presente che nel caso di un sistema produttivo costituito da
diversi tipi di macchine (o di lavoratori) aventi diverse capacità produttive, il pieno sfruttamento di tutte le macchine installate,
che è la condizione per produrre al costo medio minimo, si realizza con una scala produttiva pari al minimo comune multiplo
delle capacità delle singole macchine. Negli impianti di dimensione minore a questa scala, a causa dei “colli di bottiglia”
(bottleneck), qualche macchina rimarrà necessariamente sottoutilizzata.
► Il fenomeno delle discontinuità tecnologiche; l’aumento di dimensione permette anche di specializzare singole macchine per
particolari produzioni, oppure di spingere a gradi più elevati il processo di meccanizzazione delle lavorazioni, e anche di
impiegare macchine a più elevata produttività, che non potrebbero, in imprese di minore dimensione, essere adeguatamente
sfruttate.

66
Fattori determinanti
le economie di scala
a livello di «impianto» (2)

►La necessità di raggiungere la massa critica degli investimenti; il fenomeno delle indivisibilità non consente alle piccole imprese di
ottimizzare la ‘taglia’ dei propri investimenti, sia di quelli in immobilizzazioni materiali che immateriali, non potendo esse contare su
fabbisogni sufficienti per saturare economicamente i fattori produttivi di scala ottimale.
►La divisione del lavoro e il learning-by-doing; le imprese più grandi realizzano una più ampia divisione del lavoro e quindi una
maggiore specializzazione di funzioni aziendali e di mansioni individuali. L’aumento del rendimento del lavoro è inoltre esaltato dagli
effetti di ‘apprendimento’ che traggono origine dal cd. learning by doing.
►Il recupero economico di sottoprodotti; unità tecniche di maggiore dimensione consentono una più economica utilizzazione di
sottoprodotti, scarti, sfridi, cascami, così come forme più efficienti di recupero di energia.

67
Fattori determinanti
le economie di scala
a livello organizzativo

►Le imprese maggiori possono adottare strutture organizzative ►Analogamente, esse possono dotarsi di propri sistemi di
più efficienti, realizzando estesamente il principio della distribuzione (punti di vendita di proprietà, direttamente gestiti
specializzazione del lavoro, in tutte le attività e funzioni – cd. directly operated stores o DOS) e di trasporto, ottenendo
aziendali. possibili – ma non scontati - benefici in termini di contenimento
►Grazie alle più elevate remunerazioni offerte, esse dispongono dei costi e di controllo della supply chain.
di manager professionalmente più qualificati (first-rate ►La grande impresa può inoltre esercitare un superiore potere
manager), che permettono all’impresa di adottare le tecniche di contrattuale nei confronti di clienti e fornitori, beneficiando di
gestione più sofisticate. migliori condizioni di acquisto e di vendita.
►Le imprese maggiori possono raggiungere più facilmente la ►Economie di approvvigionamento sono conseguibili anche sui
massa critica richiesta dagli investimenti in ricerca e sviluppo, mercati dei capitali.
in pubblicità, in marketing.

68
Economie
di apprendimento

► Le cd. economie di apprendimento (anche dette economie o curve di


esperienza) descrivono le variazioni che il livello dei costi unitari di
produzione (in particolare, dei costi marginali di produzione) subisce nel
corso del tempo per effetto dell’accumulazione di un progresso non-
incorporato, cioè di un progresso non conseguente ad una decisione di
investimento tecnologico, ma derivante da un semplice miglioramento della
produttività di un fattore (il lavoro) già operante nel processo.
► Il principio di base è semplice: al fare di più corrisponde un fare meglio; la
ripetizione dei compiti conduce ad un miglioramento della produttività del
fattore lavoro, sia singolarmente preso che applicato alle macchine. La
ripetizione dei processi accresce l'abilità dei gesti, favorisce una migliore
percezione dell'ambiente operativo e conduce ad un miglioramento
progressivo della produttività. La condotta ripetitiva tende inoltre a
trasformarsi in condotta intelligente, capace di numerose micro-innovazioni
nello svolgimento del lavoro.

69
Le curve
di apprendimento
Questi effetti sono stati studiati empiricamente in settori diversi e su tipi diversi di lavoro. Si sono così individuate delle forti
regolarità nel ritmo di riduzione dei costi di produzione al crescere della produzione cumulata, fino a giungere a formulare
delle vere e proprie "curve di apprendimento», la cui espressione analitica è la seguente:
-a
æ Qt ö
C t = C o * çç ÷÷
è Qo ø
dove:
C0 e Ct rappresentano il costo unitario deflazionato al tempo o e al tempo t;
Q0 e Qt rappresentano la produzione cumulata ai tempi o e t;
a è una costante diversa da settore a settore.

Per calcolare la costante della formula occorre conoscere la percentuale di declino del costo al raddoppio della
produzione cumulata, ossia la “legge percentuale della curva”, che a sua volta si ricava empiricamente confrontando il
costo C0 della produzione Q0 con il costo Ct della produzione Qt, corrispondente al raddoppio di Q0 (Qt = 2 Q0).
70
Economie di scopo
e sinergie (1)

►Una spiegazione esauriente dei livelli di efficienza d'impresa necessita anche del concetto di economie di
scopo. Queste trovano fondamento nella sub-additività delle funzioni di costo di diverse attività economiche: la
produzione congiunta, cioè lo svolgimento coordinato ed integrato di una molteplicità di attività, sarebbe cioè
meno costosa della produzione disgiunta, cioè separata. Parimenti, le economie di scopo possono derivare
anche da fenomeni di super-additività delle funzioni di ricavo, che possono essere tipicamente rese possibili
da effetti di cross-selling e di up-selling.
►I fenomeni di sub-additività e super-additività rientrano nei cd. effetti sinergici: si ha sinergia quando il valore
creato svolgendo assieme le attività A e B è superiore a quello ottenuto svolgendole separatamente.
►La ricerca di sinergie (di costo e/o di ricavo) è alla base delle operazioni di fusione e acquisizione tra imprese e,
più in generale, delle operazioni di consolidamento e di integrazione orizzontale e verticale tra imprese.

71
Economie di scopo
e sinergie (2)

►Fonte possibile di economie di scopo è la presenza di input comuni a diversi processi produttivi aziendali non
sfruttati pienamente. L'esempio più evidente è rappresentato dal know-how manageriale, che l'impresa avrà la
convenienza economica a sfruttare anche al di fuori dell'attuale "scope" dell'azienda.
►Simili considerazioni possono essere fatte relativamente alle conoscenze tecnologiche che l'impresa ha
generato al suo interno e che presentano caratteristiche non adeguatamente valorizzabili nelle attività correnti
(è questo il fenomeno della cd. serendipità, tipica del settore farmaceutico). Quando la strada di una cessione
sul mercato non è percorribile, a causa delle tipiche difficoltà transazionali delle tecnologie (e dell'informazione
in generale), una utile via per metterle a frutto può essere quella dell’allargamento dello scope aziendale,
attraverso forme di diversificazione del business.
►Effetti sinergici si hanno anche nel caso di un’impresa che controlla un canale distributivo idoneo a collocare
sul mercato nuovi prodotti, in aggiunta a quelli attuali o di un’impresa che realizza forme di diversificazione
basata sulla brand extension.

72
Economie di scopo e intangible asset:
molteplicità d’uso e brand extension
►Effetti sinergici derivano sovente dalla particolare
natura delle risorse di conoscenza, che godono della
proprietà della molteplicità d’uso, potendo essere
usate più volte in contesti diversi e
contemporaneamente senza che questo ne riduca
l’utilità e il valore.
►Considerazioni simili possono essere fatte con
riferimento all’uso del marchio nell’ambito di strategie
di diversificazione (brand extension). La particolare
risorsa di fiducia incorporata nel marchio aziendale può
essere utilizzata a costi marginali vicini a zero.

73
Economie di scopo
ed estensione dei confini
d’impresa
►Le decisioni di estensione dei confini orizzontali e verticali
dell'impresa, realizzate con strategie di diversificazione e di
integrazione verticale, possono dunque essere lette come
processi di ricerca di economie di scopo.
►I processi di integrazione verticale (su basi proprietarie o
contrattuali), a monte e a valle, trovano una motivazione
strategica anche nella ricerca di stabilità e di sicurezza negli
accessi e sbocchi di mercato, cioè nella volontà di attenuazione
dei rischi dell'approvvigionamento degli input (costi, tempi,
qualità) e del collocamento degli output sul mercato (prezzi,
variabilità/instabilità della domanda), nonché nella possibilità di
realizzare un più esteso coordinamento al livello della supply
chain (clienti e fornitori).

74
Economie di scopo
e sviluppo strategico

Le modalità strategiche attraverso le quali le imprese


possono ricercare sinergie (economie di scopo) sono le
seguenti:
► Crescita dimensionale autonoma.
► Diversificazione di mercato.
► Acquisizioni.
► Fusioni.
► Joint-venture.
► Accordi di collaborazione.

75
Il dualismo
piccola-grande dimensione
Il tema delle economie di costo (volume, scala, apprendimento, La misura ‘ponte’ tra fatturato e addetti è il fatturato per addetto.
scopo) solleva una questione da sempre dibattuta tra gli studiosi Quest’ultimo parametro – pur non essendo necessariamente
d’impresa: quella che oppone la superiore efficienza della grande correlato alla dimensione dell'impresa - fornisce utili indicazioni
dimensione alla flessibilità della piccola impresa. sul livello di produttività della forza lavoro (anche se questo
Dobbiamo innanzitutto definire l’unità di misura della
indicatore dovrebbe essere misurato più correttamente attraverso
dimensione d’impresa. È qui prevalente l’uso di due parametri:
il valore aggiunto per addetto) e sul grado di integrazione
il numero di addetti e il fatturato. Essi forniscono profili
verticale dell’impresa (alti fatturati per addetto sono associati a
complementari di analisi della dimensione d’impresa: vi sono
bassi gradi di integrazione verticale, a parità di altre variabili);
infatti imprese con fatturati relativamente scarsi ma con alto
esso risente del settore di appartenenza dell’impresa, del grado
numero di addetti (si pensi, ad esempio, ad una cooperativa di
scaricatori portuali) e imprese che realizzano fatturati di integrazione verticale, del livello degli investimenti in capitale

estremamente elevati pur con un piccolo organico (come, ad fisso.

esempio, una trading company).

76
Parametri
dimensionali d’impresa
Una misura dimensionale d’impresa molto efficace può Anche sotto il profilo delle economie di scopo la grande impresa
considerarsi il valore aggiunto, cioè la differenza tra il valore presenta elementi di superiorità relativamente alla piccola
globale della produzione e i consumi intermedi, cioè gli acquisti di dimensione. Le scelte di diversificazione e di integrazione
beni e servizi dall’esterno. verticale richiedono infatti risorse finanziarie e manageriali non
Un altro parametro dimensionale, che misura la dimensione sempre accessibili alle imprese minori.
relativa dell’impresa rispetto al mercato di appartenenza è la La stessa innovazione tecnologica – sulla quale si fonda la
quota di mercato. Una quota di mercato elevata consente di competizione nei settori più evoluti ed importanti dell’economia –
raggiungere la MES (minimum efficient size), cioè di sfruttare appare riservata, data l’ingente massa critica degli investimenti
pienamente le economie di scala disponibili. Inoltre, la quota di richiesti, alle imprese maggiori.
mercato esprime anche la misura del potere di mercato che
l'impresa leader può esercitare nei confronti dei concorrenti, dei
fornitori, dei clienti.

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Quali spazi competitivi
per le PMI?
La grande impresa presenta elementi di chiara superiorità relativamente alla piccola dimensione. Al di là delle economie di scala, che
determinano vantaggio per le imprese maggiori, anche le scelte di diversificazione e di integrazione verticale su cui si fonda la ricerca di
economie di scopo richiedono risorse finanziarie e manageriali non sempre accessibili alle imprese minori. La stessa innovazione tecnologica
– sulla quale si fonda la competizione nei settori più evoluti ed importanti dell’economia – appare riservata, data l’ingente massa critica degli
investimenti richiesti, alle imprese maggiori. E allora, quali spazi competitivi possiamo assegnare alle piccole e medie imprese (PMI)?

► L’aggregazione di PMI in forme distrettuali o reticolari ► Le economie di apprendimento non si possono considerare di
(network) può esaltare le performance dell’impresa minore. esclusiva competenza delle imprese maggiori. Anche le PMI
Fenomeni come le economie di agglomerazione e di beneficiano delle curve di esperienza, tanto più se operano in
interazione a livello della supply chain possono compensare settori tradizionali, labor-intensive e a basso tasso di
infatti la mancanza di economie di scala e di scopo. Si pensi, innovazione tecnologica.
ad esempio, alle complesse catene di subfornitura che si ► Alla capacità innovativa della grande impresa la piccola
sono sviluppate entro i distretti industriali in opposizione alle dimensione può opporre una superiore flessibilità operativa e
forme di integrazione verticale delle imprese maggiori. strategica. I suoi limitati investimenti possono offrire, infatti,
una maggiore capacità adattiva rispetto alle variazioni
qualitative e quantitative della domanda.
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Esercizi svolti

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Esercizio 1
Soluzione

Anno 0 – Il capitale investito è 5.000.000 di euro. I debiti sono 3 All’anno 0, sulla base dei dati forniti, i pesi di Debito
milioni. Il WACC è l’8%. Il costo dell’equity è 10%.
ed Equity sono rispettivamente 3/5 e 2/5. il Kd è
Il Reddito operativo al netto delle tasse è 750 mila euro. Il reddito
incognito. Risolvendo l’equazione del WACC per Kd,
netto viene integralmente distribuito ai soci.
il Kd risulta essere 20/3%
Anno 1 – Per realizzare un piano di crescita dimensionale, l’impresa
il rapporto A/E (Attivo su Equity) all’anno 0 sarà 5/2.
aumenta il capitale investito per 2 milioni di euro, con aumento per
All’anno 1 il capitale investito passa a 7 milioni e i
pari importo dei debiti verso le banche. Il costo del nuovo debito è
8% (al netto delle tasse). debiti a 5 milioni. Il rapporto A/E passa quindi a 7/2.

Il debito pregresso mantiene invece lo stesso costo dell’anno 0. A All’anno 1 il costo del debito sarà

causa della maggiore leva finanziaria, il costo dell’equity sale al 3/5*20/3+2/5*8=7,2%


12%. Calcoliamo ora il WACC per l’anno 1
Il ROIC % è pari a quello dell’anno 0. 5/7*7,2+2/7*12=60/7%
La leva finanziaria (Attivo/Equity) dell’anno 1 sarà (risposta: 7/2) Il profitto economico sarà invece:
Il reddito residuale (profitto economico) per l’anno 1 sarà (risposta: (ROIC=750.000/5.000.000 = 15% – wacc =
450.000) 60/7%)*7.000.000 = 450.000

80
Esercizio 2
Soluzione

Risolviamo parametricamente. Se l’elasticità dei costi è


La leva operativa è 3. L’elasticità dei costi è
2/3, allora
2/3. Le vendite sono pari a 14 milioni di euro. CV=2
L’impresa definisce i prezzi con il metodo della CF=1

percentuale di ricarico. Se la leva operativa è 3, dato CF = 1 :


MC=1,5
I costi fissi sono pari a (risposta: 4.000.000)
Profitto=0,5
La percentuale di ricarico è (risposta: 75%) E quindi RV=3.5
Sapendo che RV=14.000.000
allora
CF=4.000.000
La percentuale di ricarico sarà invece
MC/CV = 1,5/2 = 0,75 = 75%

81
Esercizio 3
Soluzione

Il ciclo economico è misurato con la durata annua Ciclo monetario = 360 + 0 – 60 = 300
Poniamo ciclo monetario = 0
totale delle scorte = Costo del Venduto/Scorte
Il ciclo monetario si azzera quando la durata
totali.
delle scorte scende a 60 giorni. Ovvero
Il ciclo economico è 360 giorni. Anno = 360 quando la rotazione delle scorte sale a 6.
I ricavi di vendita sono incassati subito (crediti
verso clienti = 0). I fornitori sono pagati a 60 giorni.
Il ciclo monetario è (risposta: 300 giorni)
La massima rotazione annua delle scorte
compatibile con un ciclo monetario non positivo
(cioè minore o uguale a zero) è (risposta: 6)

82
Esercizio 4
Soluzione

All’anno 0 il ROE sarà


All’anno 0 l’Equity è il doppio dei Debiti.
2*1,25*1,5 = 3,75 %
Il ROS è 2%. L’Attivo è l’80% del All’anno 1, il rapporto A/E passa a 3 perché
Fatturato%. l’aumento dell’attivo è tutto a debito. Pertanto:

All’anno 1, il Fatturato e l’Attivo ROE= 2*1,25*3 = 7,5 %

raddoppiano, a parità di ROS.


Per finanziare la crescita di Attivo,
l’impresa aumenta i debiti per un pari
importo.
Il ROE all’anno 0 è (risposta: 3,75%)
Il ROE all’anno 1 è (risposta: 7,5%)

83
Esercizio 5
Soluzione

Partiamo dall’informazione relativa all’anno 1 sul rapporto tra delta vendite


All’anno 0, i costi fissi sono pari ai costi variabili. e delta profitto: 300%/100%=3.
Siccome le variazioni sono stata calcolate rispetto all’anno 0, allora queste
All’anno 1, le vendite raddoppiano e il profitto
variazioni ci consentono di calcolare la leva operativa relativa all’anno 0,
cresce del 300%. che sarà pari a 3.
Possiamo dire che all’anno 0, parametricamente:
All’anno 0 la leva operativa è (risposta: 3) MC=3 CF=2 PROFITTO=1
Inoltre, sapendo che i costi fissi sono pari ai costi variabili, sappiamo che:
All’anno 1 il margine di sicurezza sarà (risposta:
CV=2 e RV=5
2/3) All’anno 1 i ricavi raddoppiano (come anche i costi variabili e i margini di
contribuzione)
RV=10 CV=4 MC=6
I costi fissi rimangono, appunto, fissi
CF=2 mentre PROFITTO anno 1 = 4
LEVA OPERATIVA anno 1 = 3/2
E IL MARGINE DI SICUREZZA dell’anno 1 = 2/3 (cioè il reciproco della
leva operativa)

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Test di verifica
dell’apprendimento

85
Le seguenti proposizioni possono essere vere (V) o false (F). Si metta una crocetta sulla colonna appropriata.

86
Le seguenti proposizioni possono essere vere (V) o false (F). Si metta una crocetta sulla colonna appropriata.

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