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Se per i protagonisti della domanda, i consumatori, il costo è sostanzialmente il prezzo che sono chiamati a pagare in

cambio del bene di cui necessitano, dal lato dell’offerta vediamo che per il produttore di una certa merce il costo è la
somma delle spese da lui sopportate per fabbricarlo e immetterlo nel mercato. Tra queste è facile immaginare vi siano
spese per l’acquisto da parte del produttore delle materie prime necessarie (es.: il legno per chi fa mobili) o dei prodotti
finiti da assemblare per ottenerne un altro (es.: automobile), per la meccanizzazione della sua produzione (es.: più
macchinari mi permettono di assumere meno operai), per il pagamento dei salari ai suoi operai o degli stipendi agli
impiegati, per i fitti necessari all’attività (es.: se il capannone non fosse di proprietà dell’imprenditore o se costui anziché
comprare le macchine per produrre in serie le prendesse a nolo), per l’amministrazione dell’ufficio e il pagamento delle
imposte, per pagare gli interessi bancari sulle somme prese a prestito in vista delle uscite appena elencate. Per la legge
dell’equilibrio economico, ovviamente, i ricavi dell’impresa dovranno coprire tutti questi costi sostenuti per procurarsi
quelli che in economia sono definiti fattori produttivi (se no la produzione si dice in perdita, mentre al contrario se ci
fosse un avanzo si direbbe in utile: la differenza tra attività e passività di un'impresa ne rappresenta la ricchezza e prende
il nome di capitale netto, il cui modificarsi tra un anno (o esercizio) e l’altro rappresenta il reddito d’impresa). Come il
consumatore (vd. massimo edonistico individuale), anche il produttore ricerca una massimizzazione: quella del proprio
utile.
Non è sempre facile calcolare il costo reale di ciò che si produce: è il caso dell’impresa protagonista di una
produzione a costi congiunti. L’impresa sostiene dei costi congiunti ogni volta che, partendo dalle stesse
materie prime e attuando un unico processo di lavorazione ottiene vari prodotti che si dicono, per l’appunto,
prodotti congiunti. L’esempio classico è quello del molino. Un’unica materia prima, il grano, sottoposta ad
un unico processo di lavorazione, permette di ottenere due prodotti: la farina e la crusca. L’impresa può
determinare qual è il costo per l’intero processo produttivo, ma stabilire qual è il costo della farina e quale
quello della crusca è impossibile in quanto l’impresa non sostiene costi specifici per l’uno o per l’altro
prodotto. Al di là dei casi particolari, tre sono gli aspetti del costo sempre rilevanti per l’impresa: il costo
totale (CT), il costo unitario medio (Cum) e il costo marginale (CM).
La spesa complessiva per produrre tot unità di prodotto è rappresentata dal CT. Il costo totale è il risultato
della somma di componenti fisse (che non cambiano mai, a prescindere dunque dalla quantità di unità
prodotte, i cd. costi fissi: che io produca una o un milione di bottiglie di vino l’affitto mensile che pago al
proprietario dei muri dove ha sede l’impresa è sempre quello) e di componenti variabili (cioé costi variabili
che invece variano a seconda della quantità di beni che voglio produrre, es.: le materie prime necessarie alla
loro fabbricazione, più unità prodotto = più costi variabili). La formula di scomposizione è dunque la
seguente: CT= Cf + Cv. Il costo unitario medio (Cum) è dato invece dal rapporto tra costo totale e unità di
prodotto realizzate (q). Con una formula avremo dunque:
Cum = CT
q
scomponendo Cum = Cf/q + Cv/q

Questo tipo di ripartizione tra componenti fisse e variabili del costo di produzione è quella che ci fa
capire il concetto di economie di scala: all’aumentare della q prodotta, il Cum inizierà infatti a scendere per
effetto della miglior distribuzione dei costi fissi su più unità prodotto (es.: pago un affitto mensile di 1000$ e
produco 2 unità di prodotto al mese, il cf incide per 500$ su ciascuna unità, se invece ne producessi 4
inciderebbe per 250$ su ognuna, ne producessi 40 si rifletterebbe su ogni prodotto per 25$). Se all’aumentare
di q prodotta i cf hanno, almeno inizialmente, un ruolo benefico al fine di comprimere il costo di produzione,
i cv si comportano all’opposto (più unità prodotte = più costi variabili). Il tutto può rappresentarsi grafi-
camente e con una tabella.
Il costo marginale (CM) è il costo di un’unità
in più di prodotto il cui valore si ottiene con la formula
seguente: CT – CT (n-1). All’inizio è pari a zero (ti sei
chiesto perché?), successivamente rimane per un po’ al di
sotto del costo medio, per poi uguagliarlo e superarlo.
Senza rendercene bene conto, a proposito dell’offerta,
abbiamo già spiegato perché a un aumento del prezzo di
mercato del mio prodotto io come produttore cerchi di
aumentare la quantità da offrirvi: le migliori condizioni mi
permettono di spendere di più per realizzare i miei prodotti
e, salvo vi siano fattori di rigidità dell’offerta (vd. §5 sugli
aggravi di costo), spingerò q fino a che il CM uguaglia il
prezzo di mercato. Nel §6 si vedrà come il limite di
convenienza all’espansione della q da produrre possa più
elegantemente essere messo in relazione al ricavo
dell’impresa, per cui il CM debba uguagliare il ricavo
marginale (perché dire che essere uguale al prezzo di
mercato o al ricavo marginale è dire la stessa cosa???).
Nel grafico seguente è rappresentato
quanto qui accanto viene spiegato a parole
in campo grigio: l’andamento a U del costo
medio (qui indicato con CU anziché Cum
come in precedenza) andrebbe illustrato
dallo studente alla luce di quanto sin qui
letto. Perché è così alto all’inizio? Per
effetto di cosa man mano che aumento la q
prodotta (qui indicata con Y) il costo medio
cala? E poi perché risale? Il costo medio
quando raggiunge il suo punto minimo (e) è
ivi intersecato dalla curva del costo
marginale (CM), che correttamente prima

di quel punto si mantiene (vd. tabella §4 in


corrispondenza della sesta unità prodotta...)
a livello inferiore, per poi salire dopo aver
incrociato quella del costo medio in modo
più repentino di quanto faccia l’altra. Il
punto d’incrocio (e) è detto punto di fuga e
la cosa, concentrandosi solo sui costi di
produzione, appare a tutta prima
inspiegabile: come mai la nostra impresa
dovrebbe fuggire dal mercato proprio
quando è riuscita ad abbattere di molto i
propri costi rispetto a quelli che sopportava
agli esordi? S’intende in realtà che dovrà
chiudere ma solo il giorno che anche il
prezzo di mercato del suo prodotto dovesse
precipitare a quel livello. Meno di così,
infatti, l’impresa non riuscirebbe mai più a
comprimere ulteriormente il proprio costo
di produzione, divenendo un’impresa
marginale.
COMPITO: preparare la dispensa per sostenere il colloquio orale alla ripresa delle attività e inoltre scrivere e inviare al
professore un tema sulla propria percezione (o addirittura esperienza) dei costi sociali, aggiungendone eventualmente altri non presi
in considerazione dal §7, mostrando di comprenderne l’impatto economico sul mondo del lavoro, la società e l’ambiente.

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