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Capitolo 7 – l’impresa e i suoi clienti

7.1 – la scelta del prezzo


Per ogni livello di prezzo, la curva di domanda indica la quantità di beni o servizi che i consumatori
vogliono acquistare. Questa indica anche la quantità di beni acquistati in corrispondenza di ciascun
livello del prezzo (P). Può essere relativa a:
- Un’intera industria (es: pasta)
- un’impresa individuale, singolo produttore all’interno di un’industria (es: Barilla), caso che
ora ci interessa
Per decidere in maniera ottimale il prezzo, un’impresa deve conoscere la domanda: quanto sono
disposti a pagare i consumatori per il prodotto? Un consumatore acquista un’unità di un bene se la
sua disponibilità a pagare è maggiore del prezzo. La disponibilità a pagare dipende dalle preferenze
e dal reddito del consumatore. La curva di domanda è in genere decrescente. Quando il prezzo
diminuisce:
- aumenta il numero di consumatori la cui disponibilità a pagare è maggiore del prezzo.
- aumenta la quantità domandata dal singolo consumatore (ricorda cap. 3 esempio Cobb-
Douglas)
Di fatto la curva di domanda di un bene è la somma orizzontale delle curve di domanda di tutti i
consumatori: D (P) = i di (P)

Figura 1Es: la curva di domanda dei cereali Cheerios (US 1996)

La curva di domanda definisce l’insieme delle coppie prezzo quantità disponibili per l’impresa. È il
vincolo del problema di massimizzazione. L’impresa fronteggia un trade-off. Può incrementare le
proprie vendite (Q) ma solo accettando un prezzo di vendita (P) inferiore. Come sceglierà quanto
produrre? Ipotizziamo voglia massimizzare il profitto . Profitto = ricavi totali – costi totali, dove i
ricavi totali sono uguali a prezzo  quantità, mentre i costi totali da costo unitario  quantità.
Ipotesi provvisoria. Il costo unitario (il costo di una libbra di cereali) di produzione è costante e = 2$
→ costo totale = 2Q$. Perciò:
profitto = P  Q$ - 2Q$ = (P – 2)  Q$ →  = f(P,Q)
Il profitto è una funzione crescente sia del prezzo sia della quantità (per P > 2). Le curve di livello
𝜋̅ = 𝑓(𝑃, 𝑄) dette curve di iso-profitto, sono decrescenti. Se aumento il prezzo di vendita il profitto
resta costante solo se riduco la quantità venduta.
Se mi sposto verso curve più in alto a destra il profitto aumenta. Vendo di più a prezzi maggiori e
costi unitari fissi a 2$. Nota che per P = 2$ il profitto si annulla indipendentemente dalla quantità
prodotta.
Il grafico mostra le curve di
isoprofitto relative al
mercato dei Cheerios,
costituite da punti che
corrispondono allo stesso
livello di profitto. La curva
più lontana dall’origine
indica tutte le possibili
combinazioni associate ad
un profitto di 60.000 $. È
possibile realizzare 60.000 $
di profitto vendendo 60.000
libbre a 3 $, 20.000 a 5 $, 10.000 a 8 $, e così via. Le curve di isoprofitto più vicine all’origine sono
associate a livelli più bassi di profitto. Il costo di una libbra di Cheerios è di 2 $, per cui il profitto è
uguale a (P – 2) × Q. La curva di isoprofitto sarà decrescente: infatti, per realizzare un profitto di
10.000 $ con una quantità Q minore di 8.000 serve un prezzo P sufficientemente elevato, ma se Q =
80.000 è possibile ottenere lo stesso profitto con un P più basso. La linea orizzontale in
corrispondenza di un prezzo pari al costo unitario indica le scelte di prezzo e quantità associate ad un
profitto nullo.
L’impresa cercherà di raggiungere la più alta curva di isoprofitto compatibile con la curva di domanda
che determina le combinazioni
di prezzo e quantità possibili.
Ciò avverrà nel punto di
tangenza tra curva di domanda
e curve di isoprofitto, il punto
E. Il manager sceglierà una
combinazione di $P$ e di $Q$
nell’insieme possibile che gli
consente di raggiungere la
curva di isoprofitto più elevata.
Il manager sceglierà una
combinazione di prezzo e
quantità lungo la curva di domanda. Un punto al di sotto di essa, è una combinazione possibile, ma
non è ottimale perché si potrebbero conseguire profitti maggiori offrendo la stessa quantità ad un
prezzo più alto. Il punto dell’insieme delle combinazioni possibili dove si raggiunge la curva di
isoprofitto più elevata è E. In corrispondenza di E, la curva di isoprofitto e quella di domanda sono
tangenti. Il manager sceglierà dunque P = 4,40 e Q = 14.000 libbre.
La pendenza della curva di isoprofitto indica la riduzione di prezzo che si può accettare in cambio di
un incremento unitario della quantità venduta mantenendo il profitto invariato → SMS (in questo
caso dell’impresa piuttosto che del consumatore). La pendenza della curva di domanda indica la
riduzione di prezzo che l’impresa deve accettare per incrementare le vendite di un’unità (SMT).
L’ottimo si ottiene in SMS = SMT. Se SMT > SMS, punti alla destra di E, riducendo la quantità
prodotta (e venduta), l’impresa aumenta il prezzo di vendita più di quanto necessario a mantenere i
profitti costanti.

Possiamo calcolare il profitto associato a


ogni punto sulla curva di domanda e
derivare il profitto come funzione della
quantità prodotta. Quando la quantità è
bassa, lo sono anche i profitti. I profitti
aumentano fino al punto E dove i profitti
sono massimi. Oltre il punto E i profitti
diminuiscono. I profitti diminuiscono fino
a diventare nulli quando il prezzo è uguale
al costo unitario di 2 $. Per vendere quantità
ancora più elevate, il prezzo deve scendere
al di sotto del costo unitario e i profitti
diventano negativi.

7.2 – le economie di scala e i vantaggi della dimensione


Osserviamo nel capitalismo corrente imprese di grandi dimensioni. Perché?
Una ragione è che la grande impresa facilita la divisione del lavoro e la riduzione dei costi. Alcune
tecnologie richiedono investimenti importanti, convenienti solo se la scala di produzione e le vendite
sono ampie. Parliamo di rendimenti di scala crescenti (decrescenti) se aumentando l’impiego di
tutti gli input in una certa proporzione la produzione aumenta in modo più (meno) che proporzionale.
Attenzione: rendimenti di scala decrescenti ≠ rendimenti decrescenti. Parliamo di (dis)economie di
scale se aumentando l’impiego di tutti gli input in una certa proporzione il costo di produzione
aumenta in modo meno (più) che proporzionale.
rendimenti di scala crescenti (decrescenti) ↔ (dis)economie di scala. Le diseconomie di scala
possono sorgere perché la supervisione del lavoro diventa difficile per dimensioni molto grandi.
Perciò le economie di scala si hanno quando, aumentando in una certa proporzione la quantità dei
fattori di produzione, il prodotto aumenta più che proporzionalmente. L’effetto delle economie di
scala è quello di ridurre il costo medio di produzione. Queste possono essere dovute ad esempio alla
specializzazione del lavoro. Le diseconomie di scala si hanno quando, aumentando in una certa
proporzione la quantità dei fattori di produzione, il prodotto aumenta meno che proporzionalmente. I
rendimenti di scala costanti si hanno quando, aumentando nella stessa proporzione tutti gli input, il
prodotto aumenta proporzionalmente.

7.3 – la funzione di costo


Rimuoviamo l’ipotesi di costi unitari costanti e introduciamo il caso in cui i costi unitari variano al
variare del livello di produzione scelto. Abbiamo bisogno di investimenti iniziali che generano un
costo fisso, indipendente da quanto produciamo (stabilimenti, macchinari). La curva di costo totale,
C(Q), ha un’intercetta verticale. All’aumentare della produzione il costo aumenta. Avrò bisogno di
più ore lavoro e materie prime. C(Q) crescente. Definiamo costo medio, o unitario, CM(Q)=C(Q)/Q
Nel grafico in alto, la funzione di costo totale C(Q) indica come variano i costi al variare della quantità
Q. Ci sono costi che non variano con la
quantità prodotta, come ad esempio gli
investimenti in macchinari; tali costi, di
ammontare F, sono detti costi fissi.
All’aumentare di Q, i costi totali
aumentano e l’impresa deve impiegare un
maggior numero di lavoratori. In A, si
producono Q0 = 20 autovetture al costo C0
= 80.000 $. Se l’impresa produce 20
autovetture al giorno, il costo medio si
calcola dividendo C0 per Q0, ed è
rappresentato graficamente dalla pendenza
della retta AO. Il costo medio è dunque
80.000/20 = 4.000 $. Nel grafico in basso,
indichiamo il costo medio nel punto A.
All’aumentare della quantità, i costi totali
salgono ma il costo medio diminuisce. In B,
corrispondente ad una produzione di 40
autovetture, i costi totali sono di 136.000 $,
ma il costo medio è sceso a 3.400 $ perché
i costi fissi sono ripartiti su un maggior
numero di autovetture. Il costo medio minimo si ha in B. Infatti, all’aumento della produzione oltre
il punto B, la retta uscente dall’origine diventa gradualmente più ripida. In D, il costo medio è salito
a 3.600 $. Nel grafico in basso, abbiamo tracciato la curva di costo medio, che indica il costo medio
in corrispondenza di ciascun livello di produzione. Possiamo perciò notare come la curva del costo
medio è decrescente per bassi livelli di produzione e crescente per grandi quantità prodotte.
Quando CM(Q) è decrescente (crescente) abbiamo economie (diseconomie) di scala.
Introduciamo il costo marginale (CMg): incremento di costo dovuto a un incremento unitario (unità
piccola) di produzione → il costo che si sostiene per produrre un’unità addizionale e corrisponde alla
pendenza della funzione di costo. Se per produrre una quantità aggiuntiva Δ𝑄 i costi aumentano di
Δ𝐶, il costo marginale è dato da: CMg=Δ𝐶/Δ𝑄 o C’(Q).
È misurato dalla pendenza della retta tangente alla curva di costo totale in un punto. Ipotizziamo CMg
crescente. In particolare, oltre un certo limite di produzione, possono esserci costi aggiuntivi
(straordinari o usura accelerata macchinari). Ricordiamo la relazione tra variabili medie e marginali.
Se la marginale maggiore (minore) della media, la media cresce (diminuisce). CMg taglia CM nel
punto di minimo.
Supponiamo che nel punto A
l’impresa produca 20
autovetture. Il costo totale sarà
di 80.000 $. Il costo marginale è
il costo che si sostiene per
incrementare l’output da 20 a 21
unità; indichiamo questo valore
con Δ𝐶 = 2.200 $. Il triangolo in
A mostra che il costo marginale
è uguale alla pendenza della
funzione di costo in quel punto.
Nel punto D, in cui Q = 60, la
funzione di costo è più ripida e
il costo marginale è più elevato:
Δ𝐶 = 4.600 $. Nel punto B la
curva è più ripida che in A ma
più piatta che in D: il costo
marginale è 3.400 $. Per Q = 0
la funzione di costo è piatta e
dunque il costo marginale è
basso. All’aumentare di Q, la
curva diventa più ripida e il
costo marginale cresce.
Calcolando il costo marginale in
ogni punto della funzione di costo è possibile disegnare la curva del costo marginale CMg.

7.4 – domanda e curva di isoprofitto


Ricordiamo che per la scelta della combinazione P e Q prendiamo in considerazione sia la curva di
domanda sia i costi di produzione; la domanda indica tutte le combinazioni possibili e viene
confrontata con le curve di isoprofitto per individuare la combinazione ottimale, rappresentata dal
punto di tangenza.
𝐶(𝑄)
Profitto= ricavi totali – costi totali = P*Q – C(Q) = 𝑄 (𝑃 − ) = = Q(P – CM). Adesso il costo
𝑄
medio non è però costante. In questo contesto, la forma delle curve di isoprofitto dipende dalla
relazione tra prezzo e costi marginali. Per capirlo, calcoliamo la pendenza della curva di isoprofitto.
Lungo una curva di isoprofitto 𝜋 = 𝜋, per cui  = 0 →
∆𝑃 𝑃−𝐶𝑀𝑔
Q (P – C’ (Q)) + PQ = 0 → ∆𝑄 = − 𝑄

La curva in azzurro più chiaro


rappresenta il costo medio. Se P = CM, i
profitti economici sono nulli. Quindi,
tale curva è anche una curva di
isoprofitto, quella corrispondente ad un
livello di profitti economici pari a zero.
La Motori Lusso ha costi medi
decrescenti quando Q < 40 e crescenti
per Q > 40. Quando Q è piccolo, serve
un prezzo elevato per non operare in
perdita. Se Q = 40 il prezzo minimo per non avere profitti negativi è di 3.400 $. Per Q > 40, invece,
è necessario un prezzo più elevato. La Motori Lusso ha costi marginali crescenti. Ricordiamo che CM
è decrescente se CM > CMg e crescente se CM < CMg. Le curve si intersecano in B, dove il costo
medio è minimo. Le curve in azzurro più scuro mostrano le combinazioni di P e Q che generano livelli
di profitto più elevati; i punti G e K generano lo stesso profitto. In G l’impresa produce 23 autovetture,
il prezzo è di 6.820 $ e il costo medio di 3.777 $. Il profitto unitario è dunque di 3.043 $, mentre
quello totale è di 70.000 $. Il profitto è più elevato sulle curve più in alto e a destra. In H e K si
produce la stessa quantità e i costi medi sono uguali, ma i prezzi sono maggiori in H. Perciò:
- Le curve di isoprofitto sono decrescenti se P > CMg (pendenza negativa come G);
- Le curve di isoprofitto sono crescenti se P < CMg (pendenza positiva come K).
Per questo la curva di costo marginale taglia ogni curva di isoprofitto nel punto di minimo. Definiamo
margine di profitto la differenza tra prezzo e costo marginale. Questo è positivo quando P > CMg,
mentre la pendenza della curva di isoprofitto è negativa, mentre quando P < CMg, il margine di
profitto è negativo mentre la curva di isoprofitto ha pendenza positiva, poiché per mantenere costanti
i profitti c’è bisogno di un aumento del prezzo.
7.5 – la scelta di prezzo e quantità per massimizzare i profitti

Le combinazioni possibili sono quelle


che stanno sulla curva di domanda o
sotto di essa (nell’area colorata in rosa).
Per massimizzare i profitti, l’impresa
sceglierà il punto di tangenza E tra la
curva di domanda e la curva di
isoprofitto più alta fra quelle
raggiungibili. L’ottimo si trova sempre
nel punto di tangenza tra curve di
isoprofitto e curva di domanda, dove
SMS = SMT. Siamo certi che questo
avvenga su un punto della curva di
domanda dove P > CMg altrimenti:
• la curva di isoprofitto non avrebbe pendenza negativa;
• Avrei una perdita sull’unità marginale. Ridurre la produzione sarebbe profittevole.
La curva di isoprofitto è la curva di indifferenza dell’impresa e la sua pendenza, il saggio marginale
di sostituzione (SMS), rappresenta la massima riduzione del prezzo accettabile a fronte di un aumento
della quantità per evitare una riduzione del profitto; la domanda rappresenta la frontiera delle
combinazioni possibili e la sua pendenza, il saggio marginale di trasformazione (SMT), rappresenta
la minima riduzione del prezzo necessaria per poter vendere un’unità aggiuntiva del prodotto.
Il problema della massimizzazione dei profitti è un esempio di problema di ottimizzazione vincolata⁠,
ossia una situazione nella quale un decisore sceglie il valore di una o più variabili per raggiungere al
meglio un certo scopo (per esempio massimizzare i profitti), in presenza di un vincolo che limita
l’insieme possibile (per esempio la curva di domanda).
7.6 – la massimizzazione del profitto in termini di ricavi e costi marginali
Un altro modo per risolvere il problema di massimizzazione dei profitti è tramite il ricavo marginale
(RMg), ossia la differenza, solitamente l’aumento, in ricavo che si ottiene aumentando la produzione
di una unità.
Data la curva di domanda Q = D(P), si
può derivare la curva di domanda
inversa P = P(Q), che indica il prezzo
a cui è possibile vendere una data
quantità prodotta.
Dato il ricavo totale (RT = P*Q), il
ricavo marginale (RMg) indica di
quanto aumenta il ricavo totale se
incrementiamo la produzione di
un’unità. Per calcolarlo iniziamo
illustrando il ricavo totale di Q =20
sulla curva di domanda che segue. Il
ricavo totale è misurato dall’area del rettangolo sotto la curva nel punto Q=20.

Se la quantità aumenta a 21, quindi di un’unità, il


prezzo scende a 6.320 $; la variazione è dunque ΔP
= –80 $. I ricavi per Q = 21 sono rappresentati
dall’area del nuovo rettangolo 6.320 $ × 21. Perciò
abbiamo due effetti:

- Il ricavo aumenta perché vendo un’unità


aggiuntiva (la ventunesima);
- Il ricavo si riduce perché le 20 unità che
stavo già vendendo saranno vendute a un
prezzo inferiore.
Il ricavo marginale è la differenza tra le due aree.
L’aumento dei ricavi totali si spiega osservando
che l’incasso di 6.320 $ che deriva dalla 21ª automobile compensa la rinuncia di 80 $ su ciascuna
delle altre 20 (20  80 $ = 1.600 $). La tabella mostra che il ricavo marginale può essere calcolato
tramite la differenza fra i guadagni di 6.320 $ e la perdita di 1.600 $.

Formalmente
𝑑𝑅𝑇 𝑑(𝑃𝑄)
= = 𝑃′ (𝑄)𝑄 + 𝑃 < 𝑃
𝑑𝑄 𝑑𝑄
Ricordiamo P’(Q) < 0
La figura mostra come ricavare la curva
del ricavo marginale e come utilizzarla
per trovare il punto di massimo profitto.
CURVA DI DOMANDA
In generale, quando P è elevato e Q è
piccolo, RMg è elevato: il guadagno che
deriva dalla vendita di un’unità aggiuntiva
compensa la perdita dovuta al minor
prezzo; al crescere di Q, invece, RMg
diminuisce fino a diventare, oltre un certo
livello, addirittura negativo. Perciò
muovendosi lungo la curva di domanda, P
e RMg scendono. Nel punto D, il
guadagno dalla vendita di un’automobile
in più non compensa la diminuzione di
prezzo: il ricavo marginale è negativo.
CURVA DI RICAVO MARGINALE
La curva del ricavo marginale si ottiene
unendo i punti nel grafico di mezzo. RMg
e CMg si intersecano nel punto E, dove Q
= 32. Invece, per Q minore di 32 si ha
RMg > CMg: il ricavo dalla vendita di
un’altra automobile è maggiore del suo
costo, dunque conviene aumentare la
produzione. Quando Q > 32, RMg < CMg: il ricavo dalla vendita di un’automobile aggiuntiva è
minore del suo costo, quindi conviene ridurre la produzione.
L’ultimo grafico rappresenta il profitto dell’impresa per tutti i valori lungo la curva di domanda.
Quando P è alto e Q è bassa il primo effetto domina. RMg è positivo e alto, invece quando P è basso
e Q è alta il secondo effetto domina. RMg è basso o addirittura negativo → Per questo l’andamento
della curva di RMg come funzione di Q è decrescente.
Perciò:
▪ Quando P è alto e Q è bassa il primo effetto domina. RMg è positivo e alto;
▪ Quando P è basso e Q è alta il secondo effetto domina. RMg è basso o addirittura negativo
Per questo l’andamento della curva di RMg come funzione di Q è decrescente.
Confrontando il RMg con il CMg capiamo cosa succede al profitto quando aumenta la quantità
prodotta. Ricordiamo che:
• Profitto = ricavi totali – costi totali, da cui
• Profitto marginale = RMg - CMg
• Se RMg > CMg il profitto marginale è positivo e il profitto totale aumenta aumentandola
produzione
• Se RMg < CMg il profitto marginale è negativo e il profitto totale si riduce aumentandola
produzione
Per questo il profitto è massimo quando RMg = CMg.
Formalmente. L’impresa sceglie Q per massimizzare (P,Q) = PQ – C(Q) sotto il vincolo P = P(Q).
Sostituendo il vincolo nella funzione obiettivo trasformiamo il problema in una massimizzazione
libera di (Q) = P(Q)Q – C(Q). La quantità che massimizza il profitto deve essere un punto stazionario
per : ’ (Q*) = 0. Da cui: P(Q*) + P’ (Q*)Q* - C’(Q*) = 0, ovvero RM(Q*) = CMg(Q*).

ESEMPIO NUMERICO
Dati P(Q) = 16 – 2Q e C(Q) = 3 + 2Q2, trovare la quantità che massimizza il profitto
Metodo 1: (Q) = P(Q)Q – C(Q) = (16 – 2Q)Q – 3 – 2Q2 → 16Q – 2Q2 – 3 – 2Q2
Ora effettuiamo il calcolo della derivata prima: ’ (Q*) = 16 – 4Q* – 4Q* = 0
Da cui 16 – 8Q* = 0 → 8Q* = 16 → Q* = 2
Metodo 2: RM(Q*) = P(Q*) + P’ (Q*)Q* - C’(Q*) → 16 – 2Q* - 2Q* - 4Q* = 0 → 16 – 8Q* = 0 →
Q* = 2
7.7 – i vantaggi derivanti dallo scambio
Lo scambio in questo caso consiste nell’acquisto da parte dei consumatori della quantità che l’impresa
decide di produrre per massimizzare i profitti. Analizziamo le rendite economiche delle due parti:
▪ Per il consumatore esiste una rendita economica positiva se il prezzo che paga per l’acquisto
è inferiore alla sua disponibilità a pagare. È misurato dalla distanza tra la curva di domanda e
il prezzo che si stabilisce nel mercato;
▪ L’impresa ha una rendita
economica positiva su ogni unità
venduta il cui costo marginale è
minore del prezzo di vendita. La
distanza tra il prezzo e il costo
marginale.
Se l’impresa sceglie la
combinazione ottima P* = 5.440 $
e Q* = 32, il 32° consumatore, la
cui disponibilità a pagare è 5.440
$, sarà indifferente tra acquistare o
no, e il suo surplus sarà nullo. Altri
consumatori sarebbero disposti a
pagare di più: il 10° consumatore, che pagherebbe fino a 7.200 $, realizza un surplus di 1.760 $,
rappresentato dal segmento verticale. Il surplus del consumatore, ottenuto sommando i surplus
individuali, è rappresentato dall’area del triangolo tra la domanda e il prezzo P*. Il costo marginale
della 20ª automobile è di 2.000 $: vendendola a 5.440 $, l’impresa realizza un guadagno di 3.440 $,
rappresentato dal segmento verticale tra 𝑃∗ e la curva del costo marginale. Il surplus del produttore,
dato dalla somma dei surplus per ogni singola automobile, è rappresentato dall’area ombreggiata
color porpora. L’impresa realizza un surplus sull’automobile marginale, visto che il costo marginale
della 32ª vettura è inferiore al prezzo.
L’area arancione rappresenta il surplus del consumatore. Ogni unità acquistata genera una rendita
diversa perché diversa è la disponibilità a pagare quelle unità, mentre il prezzo è sempre lo stesso.
L’area viola è il surplus del produttore. Ad ogni unità venduta è associata una rendita diversa perché
il costo marginale di ogni unità è diverso (crescente) mentre il prezzo di vendita è lo stesso.
Profitto = surplus – costi fissi (il costo fisso è sostenuto indipendentemente dallo scambio, produrre
la prima unità con P > CMg genera un surplus dello scambio positivo e permette di iniziare a ripagare
i costi fissi).
Efficienza dello scambio
Il punto E è efficiente (in senso paretiano)? No.
È possibile generare dei miglioramenti paretiani (Un cambiamento dal quale almeno un individuo
trae beneficio senza che peggiori la condizione degli altri individui) in quanto alcuni consumatori
sarebbero disposti ad acquistare ad un prezzo inferiore a quello di mercato, ma superiore al costo
marginale. Questo genererebbe un surplus positivo sia per l’impresa (il prezzo di vendita è superiore
al costo di produzione) sia per i consumatori (il prezzo è inferiore alla sua disponibilità a pagare).
L’allocazione efficiente è
rappresentata dal punto F, in
corrispondenza del quale la curva
del costo marginale interseca la
curva di domanda. Rispetto a tale
punto non sono possibili
miglioramenti paretiani. Nel punto
E, nel quale l’impresa massimizza i
profitti, vi sono spazi per ulteriori
guadagni dallo scambio.
Supponiamo che l’impresa scelga
F: qui il prezzo P0 è uguale al costo
marginale. Questa allocazione è
efficiente perché non sono possibili
ulteriori guadagni per entrambe le parti: per aumentare il surplus del consumatore l’impresa dovrebbe
diminuire il prezzo portandolo al di sotto del costo marginale, ma ciò porterebbe ad una diminuzione
del surplus del produttore. Il surplus del consumatore è maggiore in F che in E. Il surplus del
produttore è minore in F che in E, ma il surplus totale è maggiore.
In E c’è una perdita secca, ossia la perdita di surplus totale dovuta al fatto che non è stata selezionata
un’allocazione Pareto-efficiente, pari all’area individuata dal triangolo bianco compresa tra la curva
di domanda, quella del costo marginale e la retta verticale per Q = 32.
Attenzione. Non si arriva in F perché il miglioramento paretiano richiederebbe all’impresa di vendere
agli ulteriori consumatori a uno stesso prezzo minore di p* (a meno sia possibile discriminare il
prezzo). Ma deve vendere a tutti allo stesso prezzo fissando un prezzo unico a tutti gli acquirenti. Se
riducesse il prezzo per tutti il suo surplus si ridurrebbe.

7.8 – l’elasticità della domanda


L’elasticità della domanda è la riduzione percentuale di domanda dovuta a un aumento di prezzo pari
all’1% (quanto la quantità domandata dai consumatori risponde a una variazione prezzo del bene).
Misura la sensibilità della risposta dei consumatori alle variazioni di prezzo. È definita come (il
negativo del) la variazione percentuale nella domanda dovuta ad una variazione percentuale del
prezzo. L’elasticità della domanda assume valori positivi: quando essa è maggiore di uno diremo che
la domanda è elastica, quando è minore di uno che la domanda è inelastica .
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑐𝑒𝑛𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎
𝜀= −
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑐𝑒𝑛𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜
∆𝑄
𝑄 ∆𝑄 𝑃 𝑃
𝜀= − = − = −𝐷′ (𝑃)
∆𝑃 ∆𝑃 𝑄 𝑄
𝑃
∆𝑄
Possiamo notare che = 𝐷′ (𝑄) è l’inverso della pendenza della curva di domanda inversa (P(Q)).
∆𝑃
Più la curva è piatta, minore la pendenza e maggiore l’elasticità. Più la curva è ripida, minore è
l’elasticità. Ma conta anche il rapporto P/Q. Per esempio, i punti su una retta, che quindi ha pendenza
costante, hanno elasticità diverse e decrescenti.
Nel punto A, se ΔQ = 1, la
variazione percentuale di Q è pari
a 100 × 1/20 = 5%. Poiché ΔP =
−80 $, la variazione percentuale
del prezzo è 100 × (-80)/6.400 =
−1,25%, e l’elasticità è quindi pari
a 4,00. Quando l’elasticità è
maggiore di uno, il ricavo
∆𝑃
marginale è positivo. = 80
∆𝑄
lungo tutta la curva. Ma l’elasticità
è decrescente (muovendoci lungo
la curva di domanda, l’elasticità si
riduce).
L’elasticità della domanda e il ricavo marginale
Se  > 1, il RMg è positivo. Questo perché l’incremento percentuale della quantità è maggiore della
riduzione percentuale del prezzo. Il prodotto PQ aumenta con la quantità. Infatti, un aumento della
quantità venduta aumenta i ricavi solo se ad esso si accompagna una piccola riduzione del prezzo. La
domanda si dice in questo caso elastica. Viceversa, se  < 1, il RMg è negativo. L’incremento
percentuale della quantità è minore della riduzione percentuale del prezzo. Il prodotto PQ si riduce
con la quantità. La domanda si dice in questo caso inelastica; infatti, se invece la domanda è rigida,
per riuscire a vendere un’unità aggiuntiva l’impresa è costretta a ridurre significativamente il prezzo
e i ricavi diminuiranno. Se  =1, il RMg è nullo e il ricavo totale ha un massimo. Una conseguenza è
che nei punti di massimo profitto la domanda deve essere necessariamente elastica. A partire da punti
in cui la curva è inelastica, una riduzione della produzione aumenta i ricavi e riduce i costi per cui il
profitto necessariamente aumenta.
Elasticità e mark-up
𝑃−𝐶𝑀𝑔
Il mark-up è definito come e fornisce una misura del potere di mercato dell’impresa. È una
𝑃
misura percentuale del margine di profitto. Questo può essere definito come il rapporto tra il
margine di profitto (P – CMg → differenza tra prezzo e costo marginale) e il prezzo. Per
un’impresa che massimizza il profitto, è inversamente proporzionale all’elasticità della domanda del
bene prodotto (funzione inversa dell’elasticità).
Piccole differenze di prezzo provocano
effetti rilevanti nella quantità. La scelta
ottima dell’impresa che massimizza il
profitto sarà nel punto E, dove il margine
di profitto è modesto.

Figura 2 domanda elastica

La domanda non è molto sensibile agli


aumenti di prezzo, e l’impresa sfrutta
questa situazione per ottenere una
quota più ampia di surplus; il risultato
è una minore quantità venduta e una
perdita secca più elevata.

Figura 3 domanda rigida

Il margine di profitto e il mark-up sono più bassi dove la curva di domanda è più piatta e dunque
l’elasticità è maggiore. Di fatto, in equilibrio il mark-up è uguale all’inverso dell’elasticità. In un
∆𝑃 𝑃−𝐶𝑀𝑔
punto di ottimo, la pendenza della curva di domanda e isoprofitto sono uguali: ∆𝑄 = − 𝑄 , ma
∆𝑄 𝑃 ∆𝑃 𝑃 1 1 𝑄 𝑃 − 𝐶𝑀𝑔 𝑃 − 𝐶𝑀𝑔
𝜀= − → = − → = =
∆𝑃 𝑄 ∆𝑄 𝑄𝜀 𝜀 𝑃 𝑃 𝑃
Minore è l’elasticità, maggiori sono le perdite di efficienza e l’appropriazione del surplus da parte
dell’impresa.
Sappiamo che, nel punto di massimo profitto, l’inclinazione della curva di isoprofitto e quella della
domanda sono uguali e che la pendenza della domanda è collegata all’elasticità:
𝑃 1
𝜀= − ×
𝑄 𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎
da cui
𝑃 1
𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑢𝑟𝑣𝑎 𝑑𝑖 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 = − ×
𝑄 𝑒𝑙𝑒𝑠𝑡𝑖𝑐𝑖𝑡à
Sappiamo che
𝑃 − 𝐶𝑀𝑔
𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑢𝑟𝑣𝑎 𝑑𝑖 𝑖𝑠𝑜𝑝𝑟𝑜𝑓𝑖𝑡𝑡𝑜 = −
𝑄
Nel punto di ottimo questo sono identiche:
𝑃 − 𝐶𝑀𝑔 𝑃 1
= ×
𝑄 𝑄 𝑒𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑖𝑡à
Da qui otteniamo la formula del markup
𝑃 − 𝐶𝑀𝑔 1
=
𝑃 𝑒𝑙𝑎𝑠𝑡𝑖𝑐𝑖𝑡à
7.10 – fissazione del prezzo, concorrenza e potere di mercato
L’elasticità della curva di domanda misura il potere di mercato di un’impresa perché indica quanto
perde in termini di vendite se aumenta il prezzo. Tanti meno concorrenti producono beni percepiti dai
consumatori come sostituti, tanto maggiore è questo potere. Perciò definiamo il potere di mercato
come la capacità di un’impresa di fissare un prezzo alto per il proprio prodotto senza doversi adeguare
al prezzo dei concorrenti, agendo quindi da price-setter invece che da price-taker.
I costi di efficienza e disuguaglianza legati ad alto mark-up giustificano le politiche per la
concorrenza, che cercano di limitare il potere di mercato delle imprese. I proprietari dell’impresa ci
guadagnano si determina una perdita secca. Si cerca di impedire a imprese singole di occupare quote
estremamente ampie della produzione di un bene in modo da non avere concorrenti. Se un’impresa
acquisisce una posizione dominante in un mercato di rilevo, il governo può intervenire per
promuovere la concorrenza.
Il monopolio naturale
La natura monopolistica di un mercato può dipendere dalla struttura dei costi. Se ci sono economie
di scala, ovvero costi medi decrescenti, aumentando la dimensione d’impresa si riducono i costi di
produzione continuamente (succede ad esempio in presenza di grandi costi fissi).
In questo contesto un’impresa singola riesce a soddisfare l’intero mercato a un costo medio più basso
di quanto farebbero due (o più) imprese. Abbiamo un monopolio naturale. Se CM decrescente,
CMg < CM. Per non produrre in perdita, P > CMg necessariamente. Second best P = CM>CMg.

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