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ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE ALL’APOLLINARE

Cognome, nome e matricola


Lauria Francesco 20645

Titolo dell’elaborato
Gregorio VII e la "Lotta per le Investiture" fino al Concordato di Worms (1122).
Sommario

Introduzione

1. Una riforma necessaria


2. Gregorio VII
3. Il conflitto tra Gregorio VII e Enrico IV
4. I successori di Gregorio VII: la lotta alle investiture
5. Il Concordato di Worms

Conclusione

Bibliografia

Introduzione

L’obiettivo del presente lavoro è comprendere le dinamiche, che hanno condotto ad


una delle più grandi riforme della storia ecclesiastica: la riforma gregoriana, che rappresentò
l’apice di un radicale processo di cambiamento dell’intero paradigma ecclesiologico. Lo
scopo di papa Gregorio VII, di modificare la struttura ecclesiastica del suo tempo, fu
aspramente contrastato dal potere politico imperiale. I suoi conflitti con Enrico IV, l’eredità
riformatrice donata ai suoi successori, saranno qui trattati, con approdo finale al Concordato
di Worms, accordo che pose fine alla lotta delle investiture. Per comprendere tali vicende, è
necessario individuare i contenuti motivazionali che le hanno prodotte.

1. Una riforma necessaria


La cornice temporale della Riforma gregoriana, è collocabile dal Sinodo di Sutri 1 del
1046 al Concordato di Worms del 1122. Già dal X secolo, la necessità di cambiamento
spirituale e strutturale della Chiesa, si palesò concretamente. Alla morte di Carlo Magno, i
funzionari imperiali divennero signori feudali; i loro titoli nobiliari vennero trasmessi agli
eredi. L’Impero si frammentò in diversi territori, con conseguente perdita di controllo
capillare sullo stesso. L’imperatore Ottone I (962), nel tentativo di rifondare l’impero
carolingio, decise di non affidare ai suoi funzionari territori da amministrare. Creò una
aristocrazia feudale ecclesiastica, nacquero i vescovi conti, nominati con un rito di investitura

1
Cfr. B. MONDIN, Gregorio VII, in Dizionario Enciclopedico dei Papi, Città Nuova, Roma 1995, p. 158.
laica, durante il quale, anche direttamente dall’imperatore, ricevettero il pastorale e l’anello
episcopale, simboli del potere. All’imperatore, spettò la nomina dei vescovi, di abati e si
arrogò persino il controllo della nomina papale, attraverso l’emissione del cosiddetto
Privilegium Othonis2. Il fenomeno delle investiture comportò uno scarso livello spirituale dei
chierici. Produsse una compravendita di cariche ecclesiastiche (simonia), considerata il male
peggiore di questa epoca buia del papato. L’origine del problema è individuabile in quei
territori, dove i signori feudali costruirono a proprie spese, chiese ed abbazie, per cui si
ritennero in diritto di eleggerne i pastori. Facile immaginare, che la loro scelta, ricadde su
persone conniventi, che poterono restituire loro una convenienza economica, piuttosto che su
pastori competenti con adeguata formazione spirituale. Pastori privi spesso di vocazione
religiosa, finirono per violare il celibato ecclesiastico (concubinato) e condurre una vita
morale scandalosa agli occhi dei fedeli. Nessun Pontefice era stato capace di interrompere
tale sistema, ma proprio un signore feudale, aprì la prima breccia in esso, quando nel X°
secolo, costruì l’Abbazia di Cluny che regalò al Papa. Cluny godette di autonomia; lì si
ritornò alla regola primitiva benedettina. L’indipendenza di Cluny dall’impero, consentì la
libertà di scegliere persone adatte spiritualmente per guidare l’abbazia; rappresentò un
avamposto di contrapposizione, al pessimo esempio del clero del tempo. A Cluny il seme
della libertas Ecclesiae, dai signori feudali e dai sovrani, cominciò a germogliare. Nel 1046,
al sinodo di Sutri, l’imperatore Enrico III, pose fine alla fase più scandalosa del papato
romano, con la deposizione di tre papi e la riserva di nomina diretta del nuovo pontefice.
Praticamente rafforzò il Privilegium Othonis. Fu un bene per la Chiesa. Enrico III impose
papi di sua fiducia, impregnati dello spirito di Cluny: papa Leone IX trasformò il collegio
cardinalizio in un “senato” dei migliori chierici. Depose vescovi simoniaci e concubinari. Nel
1059 papa Niccolò II, abolì il Privilegium Othonis e promulgò la bolla pontificia In nomine
Domini, o Decreto per la elezione del Pontefice 3 (ispirata dal suo collaboratore e futuro
Gregorio VII), con la quale decise, che solo i cardinali vescovi, potessero eleggere un nuovo
papa. Si rafforzò il sacerdozio: la condanna di Berengario di Tours 4, che negava la presenza
di Cristo nell’eucarestia, è da intendersi in questo scenario, come un consolidamento del
ministero sacerdotale, di cui l’eucarestia è punto centrale e vitale.

2
Cfr. A. TORRESANI, Storia della Chiesa. Dalla comunità di Gerusalemme a papa Francesco, Ares, Milano
2015, p.230.
3
Cfr. B. MONDIN, Gregorio VII, cit., p. 159.
4
ibidem, p. 165.
2. Gregorio VII

Lo spirito di riforma ecclesiastica dei secoli XI e XII, tocca il vertice della sua azione
con l’elezione a papa, di Gregorio VII5 (1073), al secolo Ildebrando di Soana. Singolare la sua
elezione: fu acclamato papa dal popolo e i cardinali presero atto di questo e ratificarono
l’elezione. Ildebrando studiò a Roma, dove conobbe l’abate di Cluny, che lo influenzò
spiritualmente. Cappellano di Gregorio VI, quando questi morì, trascorse un periodo
all’abbazia di Cluny, dove abbracciò la regola benedettina. Rientrò a Roma, dove papa Leone
IX, gli affidò la direzione di San Paolo fuori le Mura, fino al 1059. Qui maturò la necessità di
una riforma ecclesiastica. Si adoperò con severità per difendere l’unità, la santità, e l’autorità
della Chiesa. Divenne stretto collaboratore dei pontefici Stefano IX, Niccolò II e di
Alessandro II. Quando fu acclamato e eletto papa, cominciò a concentrare gli sforzi, contro i
mali della Chiesa del tempo: simonia e concubinato. Era inconcepibile per lui pensare ai
pastori delle anime, come a persone che bramassero la gloria del mondo e i piaceri carnali.
Per questo la sua azione drastica, si indirizzò contro i simoniaci, allontanati da ogni ministero
della Chiesa, contro i concubinari, cui vietò la celebrazione della messa (sinodi romani del
1073 e 1074). Nel 1075 la sua azione proseguì energicamente: sospese alcuni vescovi italiani
e scomunicò Liemaro in Germania. Nel sinodo del 1078, dichiarò invalide canonicamente,
tutte le ordinazioni fatte da scomunicati o a seguito di prestazioni economiche. Il suo operato
sollevò proteste in Francia e in Germania, ma noncurante di ciò, proseguì imperterrito
nell’azione riformatrice e nel 1075, in occasione di un sinodo romano, decise di colpire al
cuore, la radice principale del malessere della Chiesa: le investiture laiche. Nello stesso anno
pubblicò il Dictatus papae6, uno scritto di 27 proposizioni circa l’autorità assoluta spirituale e
temporale del pontefice. La figura del Papa assunse qualifiche di infallibilità, diritto di
deposizione e riconciliazione di vescovi, fino ad arrivare alla deposizione dell’imperatore e a
sciogliere i sudditi da legami di obbedienza verso i superiori. Ogni cristiano doveva avere
come punto di riferimento la Chiesa di Roma e il Vicario di Cristo sulla terra. Non fece questo
per prestigio personale, ma solo perché le ordinazioni dei vescovi e dei presbiteri, non
dovessero più essere prerogativa di sovrani e signori, tantomeno dell’imperatore stesso, ma
compiute secondo le direttive canoniche della Chiesa, tenendo conto dell’idoneità spirituale di
pastori, in grado di pascere umilmente il popolo di Dio. Con il Dictatus papae, partì

5
Cfr. A. TORRESANI, Storia della Chiesa, cit., pp. 265-266.
6
Cfr. B. MONDIN, Gregorio VII, cit., pp. 160-161.
ufficialmente la lotta contro le investiture laiche, che produsse un estenuante conflitto tra
Chiesa ed Impero.

3. Il conflitto tra Gregorio VII e Enrico IV7

Tale conflitto durò decenni, ben oltre la morte dello stesso Gregorio VII. Fu uno scontro
in cui ogni mezzo di contrasto, fu ritenuto lecito dalle parti in contesa, persino il
coinvolgimento militare. La miccia della contesa fu accesa da Enrico IV: nel 1074 insediò
come arcivescovo di Milano il suo cappellano, elesse due vescovi a Fermo e Spoleto, persone
sconosciute al Papa. Questi, non accettò la provocazione imperiale; ammonì Enrico IV, con
un testo scritto e con minaccia orale di scomunica. Di contro l’imperatore convocò una dieta a
Worms (1076), per deporre Gregorio VII. Il Papa, in risposta, indisse un sinodo quaresimale e
in San Pietro, durante una solenne preghiera, scomunicò l’imperatore, dispensando i sudditi
dal giuramento di fedeltà. La scomunica fu accompagnata da una maledizione, gesto inaudito
per quel tempo. Enrico IV, a sua volta, scomunicò Gregorio VII ma si concentrò su un
problema interno al suo potere: i principi tedeschi approfittarono di questa lotta per deporlo.
L’imperatore allora ritornò sui suoi passi sottomettendosi al papa, recandosi come pellegrino
penitente a Canossa. Con l’intervento di Matilde di Canossa e di Ugo di Cluny, abate e
padrino di Enrico IV, papa Gregorio VII ritirò la scomunica. Ciò nonostante, gli oppositori
erano decisi a rimuovere Enrico IV. Papa Gregorio VII non intervenne e ciò fu letto
dall’imperatore come un tradimento. La conseguenza fu che Enrico IV si riappropriò dei
diritti ecclesiastici, tanto che nel 1080 gli fu comminata una seconda scomunica. La ritorsione
imperiale si palesò, quando convocati gli episcopati tedesco e lombardo, Enrico IV dichiarò di
non voler più obbedire al papa ed elesse antipapa Viberto di Ravenna, col nome di Clemente
III (1080). Alla testa del suo esercito poi, si diresse verso Roma, che assediò e conquistò nel
1083. Ricattò Gregorio VII promettendo di lasciar cadere la carica dell’antipapa Clemente III,
se fosse stato incoronato da lui imperatore. Il Papa rifiutò, cercò alleanze con Roberto di
Guiscardo8, capo dei Normanni, che con il suo esercito dal sud Italia, puntò verso Roma.
Dopo l’assedio di Enrico IV, Roma dovette però subire la ferocia dei Normanni, che la misero
a ferro e fuoco, distruggendo molte chiese e compiendo delitti contro il popolo, che finì per
addebitare al pontefice la situazione creatasi. Abbandonato dal suo popolo, Gregorio VII fu

7
ibidem pp. 161-163.
8
Cfr. A. TORRESANI, Storia della Chiesa, cit., p.269.
costretto all’esilio a Salerno, dove morì nel 1085. Celebre la frase in fin di vita: «Ho amato la
giustizia e odiato l’iniquità e perciò muoio in esilio»9. Enrico IV fu incoronato imperatore
dall’antipapa Clemente III. La sconfitta politica di Gregorio VII non arrestò la sua azione
riformatrice. Molti dei suoi successori tentarono di risanare la struttura della Chiesa, per
renderla sempre più indipendente dall’impero. Con Gregorio VII la civitas christiana10
raggiungerà uno dei punti più elevati della storia, tanto da essere considerato tra i maggiori
esponenti della Chiesa.

4. I successori di Gregorio VII: la lotta delle investiture

Tra i successori di Gregorio VII c’è da ricordare Urbano II (1087), al secolo Oddone di
Châtillon. Nel sinodo di Melfi del 1089, Urbano II rinnovò il divieto di investitura laica, di
simonia e concubinato. Invalidò tutte le ordinazioni dell’antipapa Clemente III, indisse la
prima crociata del 1095 e scomunicò il re francese Filippo I. Alla sua morte, nel 1099, gli
successe Pasquale II, il quale ricevette, per tramite di Anselmo d’Aosta, arcivescovo di
Canterbury, una richiesta di dispensa pontificia dal divieto di investitura dal re inglese Enrico
I. Pasquale II si rifiutò e scomunicò tutti i prelati inglesi che avevano accettato le investiture.
Il re fu costretto a rinunciare all’investitura con pastorale ed anello. In Francia,
contestualmente, il canonista Ivo di Chartres, produsse un atto definito concessio11, mediante
il quale si affermò che l’episcopato, non era assegnabile dai laici; i beni materiali ad esso
connesso, erano invece da considerarsi concessioni regali. Situazione più complessa in
Germania, dove ogni episcopato gestiva ampi territori. Era impensabile che i sovrani
potessero considerare le donazioni fatte, come proprietà esclusive della Chiesa. Ad Enrico IV
successe il figlio Enrico V, a cui Pasquale II rifiutò il potere di investitura, ma propose una
mediazione. La Chiesa avrebbe avuto i diritti di stola (prestazioni dovute ai parroci per
l’amministrazione dei sacramenti), le donazioni private; mentre i vescovi avrebbero restituito
tutte le regalie dei sovrani, purché questi rinunciassero alle investiture. Enrico V mirò alla
corona imperiale per mano papale, per cui accettò l’accordo, che fu letto in San Pietro alla
presenza dei vescovi tedeschi, che si ribellarono pesantemente, visto che non vollero
rinunciare alle regalie. Surreale l’epilogo della vicenda: Enrico V pretese l’incoronazione ad
imperatore, Pasquale II si rifiutò e fu arrestato insieme ai cardinali. Dopo due mesi cedette e
9
ibidem, p.269.
10
Cfr. B. MONDIN, Gregorio VII, cit., p. 165.
11
Cfr. A. TORRESANI, Storia della Chiesa, cit., p.273.
permise ad Enrico V il diritto di investitura con pastorale ed anello, ma solo dopo l’elezione
canonica del vescovo e prima della consacrazione. Enrico V fu incoronato imperatore, con la
promessa papale di non essere scomunicato. Anche questa vittoria imperiale sul papato fu
ottenuta con la forza. Pasquale II, intanto, dovette fronteggiare il collegio cardinalizio, che
volle fosse revocato il privilegio di investitura con pastorale ed anello. Cosa che il Papa fece
nel 1112 e che ribadì quattro anni dopo, sotto pena di scomunica. Alla morte di Pasquale II, fu
eletto papa Gelasio II (1119) che di lì ad un anno morì. Gli successe papa Callisto II, parente
dell’imperatore, figura adatta per risolvere l’ormai interminabile conflitto.

5. Il Concordato di Worms

Callisto II avviò subito trattative con Enrico V. Non potendo seguire la strada di
restituzione dei beni ricevuti, tracciata da Pasquale II, propose che l’aspetto spirituale
dell’episcopato fosse di completa gestione ecclesiastica. La Chiesa doveva essere libera di
scegliere candidati adatti a svolgere il ruolo di pastore (in seguito continuarono pressioni
politiche in tal senso); l’imperatore dovette rinunciare all’investitura con anello e pastorale,
(simboli sacramentali di esclusiva prerogativa ecclesiastica), avrebbe avuto diritto
all’investitura con scettro e dirimere controversie. L’elezione dei vescovi sarebbe avvenuta
alla presenza dell’imperatore. Ogni paese adottò una procedura; in Italia e in Borgogna,
l’investitura da parte del potere civile, avvenne dopo l’ordinazione episcopale, per garantire
quella libertà alla Chiesa, di scegliere a proprio insindacabile giudizio, la persona preposta
alla missione di vescovo. La trattativa si concluse con uno dei trattati internazionali storici più
importante: il Concordato di Worms12 del 1122, capolavoro di compromesso, che porrà fine
alla lotta delle investiture. Per ratificare tale accordo, fu necessario il primo concilio
ecumenico indetto da un Papa: il Lateranense I del 1123. Il Concordato di Worms pose fine al
primo grande conflitto tra Chiesa ed Impero. Non l’ultimo; infatti, nel corso dei secoli, alcuni
imperatori, cercarono di riprendersi i privilegi persi.

12
Cfr. A. TORRESANI, Storia della Chiesa, cit., p.275.
Conclusione

Il tema qui trattato può sembrare lontano dai nostri tempi. Ma è di vitale importanza per
la Chiesa, che è debitrice verso questa riforma. L’idea di Chiesa universale, non era percepita
allo stesso modo di oggi, come nei primi secoli del cristianesimo. Non c’era l’idea di un
papato inteso come “capo visibile” della Chiesa. Il confronto tra le strutture ecclesiastiche ed
il potere temporale, la commistione da esso generato, ha spesso prodotto conseguenze nefaste
sulla missione spirituale ecclesiale. Il Signore, che guida la storia dell’uomo e della Chiesa, ha
suscitato persone fedele e coraggiose, capaci di difendere la missione della sua Chiesa. In
questo scenario e con questo obiettivo, la figura di Gregorio VII, pensa alla storia, come ad
eventi incentrati su Cristo e sulla Chiesa, che rappresenta il totus Christus13. Cristo capo
invisibile della storia, il Sommo Pontefice, capo visibile, con potere spirituale e temporale.
Gregorio VII, fu l’espressione di una teologia politica teocratica (o meglio ierocratica),
seguendo le orme agostiniane, secondo cui il mondo corrispondeva ad una ecclesia
universalis, dove il sacerdozio occupava il posto di potere più elevato. La politica,
conseguentemente, doveva indirizzarsi, nelle sue azioni temporali, al servizio di Cristo e della
Chiesa. Gregorio VII e i suoi successori consentirono la nascita di questa nuova ecclesiologia.
La Chiesa di Roma fu riferimento per tutte le altre Chiese, con centralità dal punto di vista
liturgico (Rito Romano), potestà totale sia spirituale che temporale, essendo tutto sottomesso
a Cristo, benché lo stesso Signore abbia specificato che il suo regno non è di questo mondo
(Cfr. Gv 18,36)14. Da ultimo emerge un altro frutto buono dall’albero di questa riforma: la
grande fioritura spirituale dei secoli XII e XIII. Nuovi ordini religiosi: cistercensi, certosini,
mendicanti. Nuovi grandi santi: San Bernardo di Chiaravalle, San Francesco d’Assisi
assertore della povertà temporale, San Domenico di Guzman, che per difendere la verità di
Dio, lottò contro l’ignoranza religiosa, fortemente diffusa e fautrice di tenebrose conseguenze
nella Chiesa di Cristo.

13
Cfr. B. MONDIN, Gregorio VII cit., p. 164.
14
Cfr. La Bibbia. Via, verità e vita, San Paolo, Cinisello Balsamo 2012, p.2588.
Bibliografia

Fonti

B. MAGGIONI – G. RAVASI (a cura di), La Bibbia. Via, verità e vita, San Paolo,
Cinisello

Balsamo 2012

Studi

A. TORRESANI, Storia della Chiesa. Dalla comunità di Gerusalemme a papa Francesco,


Ares, Milano 2015, pp. 265-275

B. Mondin, Gregorio VII, in Dizionario Enciclopedico dei Papi, Città Nuova, Roma

1995, pp. 158-165

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