Sei sulla pagina 1di 76

Cap 4

LA PSICOFARMACOCOLOGIA è lo studio degli effetti che hanno sul sistema


nervoso e sul comportamento le sostanze psicoattive, ossia composti chimici esogeni
(non prodotti dall’organismo) che alterano significativamente il funzionamento di
alcune cellule, anche se assunti in dosaggi bassi. Gli effetti dei farmaci sono i
cambiamenti che producono nei processi fisiologici e nel comportamento e possono
essere in acuto (immediati) o cronici (nel tempo).I meccanismo o siti d’azione sono i
punti in cui i farmaci interagiscono con le cellule, influenzandone i processi
biochimici.La farmacocinetica è il processo con cui i farmaci vengono assorbiti,
distribuiti, metabolizzati ed espulsi dal corpo.Vi sono diverse vie di somministrazione
di un farmaco:
-iniezione endovenosa (EV), il farmaco viene iniettato in vena e raggiunge il cervello
in pochi secondi, gli svantaggi sono l’abilità e la cura che richiedono e che l’intera
dose raggiunge la circolazione sanguigna in un solo momento
-iniezione intraperitoneale (IP), il farmaco è iniettato nella cavità peritoneale
attraverso la parte addominale, è rapida ma meno di quella endovenosa
-iniezione intramuscolare (IM), il farmaco è iniettato in un muscolo e assorbito
attraverso i suoi capillari
-iniezione sottocutanea, piccole quantità di farmaco vengono iniettate nello spazio
sotto la pelle, per grandi quantità è dolorosa
-somministrazione orale, è comune negli esseri umani non va adottata per farmaci che
vengono distrutti dagli acidi dello stomaco
-somministrazione sottolinguale, si colloca il farmaco sotto la lingua dove viene
assorbito attraverso i capillari della mucosa che riveste la bocca
-somministrazione intrarettale, farmaci somministrati nella parte terminale del tratto
digestivo sotto forma di supposte
-inalazione, il farmaco viene vaporizzato nei polmoni ha effetti molto rapidi
-somministrazione topica, il farmaco viene assorbito attraverso la pelle o una mucosa
-somminiostrazione intracerebrale, iniezione del farmaco direttamente nel cervello
-somministrazione intracerebroventricolare (ICV), iniezione del farmaco in un
ventricolo cerebrale
La velocità con cui un farmaco si distribuisce nell’organismo dipende dalla sua
liposolubilità, che permette di passare la barriera ematoencefalica attraverso i
capillari del cervello.
La disattivazione di un farmaco avviene attraverso enzimi presenti nel sangue o nel
cervello, in alcuni casi questi possono trasformare i farmaci in altre forme, più o
meno attive di quella originaria.L’escrezione avviene principalmente ad opera dei
reni.L’efficacia di un farmaco si misura attraverso la curva dose-riposta, ai soggetti
vengono somministrate dosi progressive di una sostanza (espresse in millimetri per
peso corporeo), fino al raggiungimento di un punto massimo, oltre il quale un
dosaggio più alto non produce più effetto.I farmaci hanno più effetti, quelli con un
margine di sicurezza (differenza tra la curva dose-riposta per gli effetti benefici e
quella per gli effetti indesiderati) più elevato hanno un alto indice terapeutico.I
farmaci posso variare nella loro efficacia perché possono avere siti d’azione diversi e
perché variano nell’affinità, prontezza con cui si legano alle molecole dei siti
d’azione.Quando un farmaco viene somministrato con costanza si può andare
incontro a:
-tolleranza, i suoi effetti si riducono come tentativo del corpo di compensare i suoi
effetti attraverso meccanismo opposti, se si interrompe l’assunzione i meccanismi
compensatori, non contrastati dal farmaco, producono in eccesso gli effetti opposti e
si va incontro ai sintomi dell’astinenza
-sensibilizzazione, i suoi effetti diventano sempre più efficaci
Il placebo è una sostanza che non ha effetti fisiologici specifici ma che se assunta da
una persona convinta della sua efficacia può produrre gli effetti desiderati.

La maggior parte dei farmaci agiscono tramite effetti sulla trasmissione sinaptica:
sono detti antagonisti i farmaci che inibiscono gli effetti post-sinaptici e agonisti
quelli che lo facilitano.I neurotrasmettitori sono sintetizzati e immagazzinati nelle
vescicole sinaptiche che si agganciano alla membrana pre-sinaptica.Quando l’assone
scarica i canali voltaggio-dipendenti del calcio si aprono e fanno entrare gli ioni
calcio.Questi danno inizio al rilascio dei neurotrasmettitori che si legano ai recettori
postsinaptici causando l’apertura di canali ionici che possono produrre potenziali
post-sinaptici eccitatori o inibitori.Gli effetti dei neurotrasmettitori terminano con la
loro ricaptazione da parte delle molecole trasportatrici nella membrana presinaptica o
della sua distruzione da parte degli enzimi.
Questi farmaci hanno effetti:
-nella produzione dei neurotrasmettitori, se la frequenza di sintesi e rilascio del
neurotrasmettitore è aumentata dalla somministrazione di un precursore, questo funge
da antagonista; se un farmaco inattiva gli enzimi responsabili della sintesi del
neurotrasmettitore impedendo la sua produzione funge da antagonista
-nell’immaganizzamento dei neurotrasmettitori, che avviene grazie a molecole
trasportatrici che si trovano nella membrana delle vescicole sinaptiche dove pompano
le molecole del neurotrasmettitore attraverso la membrana riempiendo le
vescicole.Alcuni farmaci funzionano da antagonisti, bloccano le molecole
trasportatrici legandosi ad un sito di esse ed inattivandole, le vescicole rimangono
vuote e rompendosi contro la membrana presinaptica non rilasciano niente.
-nel rilascio dei neurotrasmettitori, alcuni farmaci agiscono da antagonisti
disattivando le proteine che permettono alle vescicole sinaptiche di fondersi con la
membrana presinaptica ed espellere il loro contenuto nella fessura sinaptica
impedendo il rilascio del neurotrasmettitore; altri funzionano in modo opposto
agendo da agonisti e legandosi con questa proteine e scatenando direttamente il
rilascio del neurotrasmettitore.
-sui recettori, alcuni farmaci si legano ai recettori postsinaptici e fungono da agonisti
diretti legandosi al sito dove normalmente si attacca il neurotrasmettitore e inducendo
l’apertura dei canali ionici, gli ioni passano e producono i potenziali post-
sinaptici.Altri farmaci fungono da bloccanti del recettore o antagonisti diretti
legandosi con i recettori ma occupando il posto del neurotrasmettitore impediscono
l’apertura del canale ionico.Alcuni recettori hanno siti di legame multipli, il
neurotrasmettitore si lega ad uno ed i farmaci si possono legare ad altri, si parla di
legame non competitivo.Se un farmaco si lega ad uno di questi siti alternativi e
impedisce l’apertura dei canali ionici è detto antagonista indiretto, se ne facilita
l’apertura è detto agonista diretto.Dato che gli autorecettori presinaptici, invece,
causano una diminuzione del rilascio del neurotrasmettitore, i farmaci che li attivano
fungono da antagonisti, quelli che li bloccano da agonisti.Alcuni bottoni terminali
formano sinapsi con degli altri (sinapsi asso-assoniche), l’attivazione del primo
bottone può attivare o disattivare il secondo, che contiene eterorecettori presinaptici,
sensibili al neurotrasmettitore rilasciato dal primo.I farmaci possono bloccare o
attivare gli eterorecettori presinaptici che a loro volta possono inibire o facilitare il
rilascio del neurotrasmettitore.Gli autorecettori presinaptici sono localizzati anche
nelle membrane dei dendriti di alcuni neuroni che, quando sono attivi, rilasciano il
neurotrasmettitore.Questo a sua volta stimola gli autorecettori che fanno diminuire la
scarica neurale con l’iperpolarizzazione, impedendo che i neuroni diventino troppo
attivi.I farmaci che si legano ad un autorecettore dendritico attivandolo funzionano da
antagonisti e bloccandolo come agonisti.
-sulla ricaptazione dei neurotrasmettitori, il potenziale post-sinaptico viene riassorbito
nel bottone terminale, alcuni farmaci si legano alle molecole trasportatrici
responsabili del processo e le inattivano bloccandolo.
-sulla distruzione dei neurotrasmettitori, alcuni farmaci si legano agli enzimi
responsabili del processo e ne impediscono il funzionamento

I neurotrasmettitori sono circa una dozzina, ma la maggior parte della comunicazione


sinaptica nel cervello è eseguita dal glutammato, con effetti eccitatori e dal GABA,
con effetti inibitori.Gli altri hanno effetti modulatori piuttosto che di trasmissione
dell’informazione.I neurotrasmettitori influenzano diversi comportamenti quindi i
farmaci che interagiscono su di essi lo influenzano a loro volta.Ne fanno parte:

-l’acetilcolina (ACh) che è il principale neurotrasmettitore responsabile di tutti i


movimenti muscolari, si trova anche nei gangli del sistema nervoso autonomo e
negli organi bersaglio della branca parasimpatica del SNA. Le sinapsi che
rilasciano l’ACh sono dette acetilcolinergiche.Gli assoni dei bottoni terminali di
neuroni acetilcoinergici sono distribuiti in tutto il cervello e gli effetti del rilascio
di ACh nel cervello sono generalmente facilitatori.Sono importanti tre sistemi:il
primo è quello che origina dal ponte dorso laterale ed è responsabile
dell’induzione del sonno REM; il secondo nasce dal proencefalo basale ed è
coinvolto nell’attivazione della corteccia cerebrale e nella facilitazione
dell’apprendimento; il terzo è quello che origina dal setto mediale e controlla i
ritmi elettrici dell’ippocampo e modulano le sue funzioni, come i tipi di
memoria.L’acetilcolina è formata da due composti: la colina, una sostanza derivata
dalla rottura dei lipidi, e l’acetato l’anione che si trova dell’aceto. L’acetato non
può attaccarsi direttamente alla colina; è invece spostato dalla molecola di acetil-
CoA.Il coenzima A-(Co-A) è prodotto dai mitocondri e l’acetil-CoA è
semplicemente CoA con uno ioni acetato attaccato.L’ACh è prodotta dalla
seguente reazione: in presenza dell’enzima colina acetiltransferasi (ChAT), lo ione
acetato è trasferito dalla molecola di acetil-CoA alla molecola di colina, portando
una molecola di ACh a una di CoA ordinaria.Due sostanze che interagiscono con
la produzione di ACh sono la tossina botulinica, prodotta da un batterio che può
crescere in cibo inscatolato male impedisce il rilascio di ACh e il veleno di ragno
vedova nera, un veleno meno tossico che stimola il rilascio di ACh.Dopo essere
stata rilasciata dal bottone terminale, l’ACh è disattivata dall’enzima
acetilcolinesterasi (AChE), presente nella membrana postsinaptica.I farmaci che
disattivano l’AChE sono usati in campo medico: ai soggetti affetti dal disturbo
ereditario chiamato miastenia gravis (causato dall’attacco del sistema immunitario
ai recettori che si trovano sui muscoli scheletrici) viene somministrato un inibitore
dell’AChe, la neostigmina, essa fa si che l’ACh rilasciata abbia un effetto più
prolungato.Ci sono due tipi di recettori dell’ACh: ionotropici e metabotropici.Il
recettore ionotropico ACh è stimolato dalla nicotina, una sostanza che si trova
nelle foglie di tabacco; il recettore metabotropico ACh è stimolato della
muscarina, che si trova nel fungo velenoso (agonisti).Questi due recettori ACh
sono detti rispettivamente recettori nicotinici e recettori muscarini.I primi sono
contenuti nelle fibre muscolari in quanto sono in grado di contrarsi rapidamente e
nel cervello, sulle sinapsi assoassoniche, a questo si devono gli effetti di
dipendenza prodotti dalla nicotina.I secondi hanno un’azione più lenta e
prolungata poichè controllano i canali ionici attraverso la produzione di secondi
messaggeri.Esistono anche due farmaci che sono antagonisti dell’ACh: l’atropina,
sostanza che blocca i recettori muscarinici; e il curaro, sostanza che blocca i
recettori nicotinici.

-monoammine si dividono in tre sottoclassi: le catecolamine (che includono la


dopamina, la norepinefrina e l’epinefrina), le indolamine (che includono la
serotonina) e le etilamine (che includono l’istamina). Le monoamine sono prodotte da
molti sistemi di neuroni cerebrali e i neuroni monoaminergici servono a modulare la
funzione di ampie regioni del cervello, aumentano o diminuendo le attività di
particolari funzioni cerebrali.
1)la dopamina produce potenziali postsinaptici sia eccitatori sia inibitori ed è
implicata nel movimento, nell’attenzione, nell’apprendimento e gli effetti di rinforzo
delle droghe. Nella sintesi delle catecolamine, la molecola percursore viene
lievemente modificata, passaggio dopo passaggio, finché raggiunge la sua forma
finale, e ciascun passaggio è controllato da un diverso enzima. Il precursore delle
catecolamine (in particolare la dopamina e la norepinefrina) è la tirosina, un
aminoacido che proviene dall’alimentazione. La tirosina riceve un gruppo idrossile
(OH-) e diventa L-DOPA e l’enzima che aggiunge questo gruppo idrossile si chiama
tirosina idrossilasi. In seguito, L-DOPA perde un gruppo carbossilico (COOH-) e,
attraverso l’attività dell’enzima DOPA decarbossilasi , diventa dopamina. Infine,
l’enzima dopamina B- idrossilasi attacca un gruppo idrossile alla dopamina, che
diventa norepinefrina. Il cervello contiene molti sistemi di neuroni dopaminergici ma
i tre più importanti sono: il sistema nigrostriatale, il sistema mesolimbico e il sistema
mesocorticale.Il primo si origina dalla substantia nigra, innerva il nucleo caudato,
putanem e globo pallido e controlla il movimento.Il secondo nasce dall’area
tegmentale ventrale e proiettano i loro assoni in molte parti , tra cui il nucleo
accumbes (responsabile degli effetti rinforzanti), l’amigdala e l’ippocampo.Il terzo si
origina sempre dall’area tegmentale ventrale, innerva la neocorteccia frontale e i suoi
neuroni esercitano un effetto eccitatorio e influenzano funzioni come la formazone
delle memorie a breve termine, la pianificazione e il problem solving. La
degenerazione dei neuroni dopaminergici che connettono la substantia nigra con il
nucleo caudato causa il morbo di Parkinson. Alle persone affette dal morbo di
Parkinson è somministrata L-DOPA, il precursore della dopamina. Sebbene la
dopamina non sia in grado di attraversare la barriera ematoencefalica, l’L-DOPA ci
riesce e quindi, una volta che la sostanza raggiunge il cervello, è catturata dai neuroni
dopaminergici e convertita in dopamina. Nei pazienti con il morbo di Parkinson,
l’aumentata sintesi di dopamina causa un maggior rilascio del neurotramettitore e i
sintomi dei pazienti sono alleviati. Un altro farmaco, l’AMPT, inattiva la tirosina
idrossilasi, l’enzima che converte la tirosina in L-DOPA,e poiché questo farmaco
interferisce con la sintesi della dopamina, agisce come un antagonista
catecolaminergico. Il farmaco reserpina impedisce l’immagazzinamento
dellemonoamine nelle vescicole sinaptiche, bloccando i trasportatori di membrana
che pompano le monoamine nelle vescicole. Dato che le vescicole sinaptiche
rimangono vuote, quando un potenziale d’azione raggiunge il bottone terminale non
si rilascia alcun neurotrasmettitore e quindi la reserpina è quindi un antagonista delle
monoamine. Sono stati identificati molti tipi diversi di recettori della dopamina, tutti
metabotropici, ma i più comuni sono: i recettori D1, che sono postsinaptici, la cui
stimolazione aumenta la produzione del secondo messaggero AMP ciclico; i
recettori D2, che sono sia presinaptici sia postsinaptici, la cui stimolazione la riduce.
Gli autorecettori presinaptici localizzati nei bottoni terminali sopprimo l’attività
dell’enzima tirosina idrossilasi e perciò diminuiscono la produzione di dopamina, e di
conseguenza il suo rilascio. Gli autorecettori della dopamina somigliano ai recettori
D2, il farmaco apomorfina è un agonista D2, ma sembra avere più affinità per i
recettori D2 presinaptici che per quelli postsinaptici. Una bassa dose di apomorfina
agisce da antagonista, perché stimola i recettori presinaptici e inibisce la produzione e
il rilascio di dopamina. Dosi più alte iniziano a stimolare i recettori postsinaptici D2,
con conseguente azioni da agonista diretto. Molte sostanze psicoattive inibiscono la
ricaptazione della dopamina, funzionando quindi come agonisti della dopamina ed
esempi sono la amfetamina, la cocaina e il metilfenidato.La produzione di
catecolamine è regolata da un enzima chiamato monoaminossidasi (MAO), il quale
si trova all’interno dei bottoni terminali monoaminergici, dove distruggono le
quantità in eccesso di neurotrasmettitori.Esistono due tipi di MAO: il MAO A si
occupa dell’inattivazione dei neurotrasmettitori monoamminergici; il MAO B si
occupa della dopamina. Un farmaco chiamato deprenil distrugge la MAO B e
impedisce la distruzione della dopamina agendo come agonista della dopamina. Le
MAO si trovano anche nel sangue, dove disattivano le amine presenti in cibi che
potrebbero causare pericolosi aumenti della pressione sanguigna. La dopamina
potrebbe essere il neurotrasmettitore implicato nella schizofrenia, un grave disturbo
mentale i cui sintomi includono allucinazioni, manie e compromissione dei normali
processi logici di pensiero. Farmaci che bloccano i recettori D2 della dopamina, come
la clorpromazina, alleviano questi sintomi e quindi la schizofrenia potrebbe essere
causata da un’iperattività dei neuroni dopaminergici.

2)la noreprinefina o adrenalina si trova nei neuroni del sistema nervoso autonomo. La
maggior parte dei neurotrasmettitori è sintetizzata nel citoplasma del bottone
terminale e poi immagazzinata in vescicole sinaptiche di nuove formazione. Il
passaggio finale della sintesi della norepinefrina avviene all’interno delle vescicole
stesse, in quanto le vescicole sono prima riempite dalla dopamina, la quale poi si
converte in norepinefrina attraverso l’azione dell’enzima dopamina beta- idrossilasi.
Il farmaco acido fusarico inibisce l’attività dell’enzima dopamina beta-idrossilasi e
perciò blocca la produzione di norepinefrina. Inoltre la norepinefrina in eccesso nei
bottoni terminali è distrutta dal MAO A, ma il farmaco moclobemide blocca il MAO
A e quindi agisce come agonista noreadrenergico. I neuroni sono localizzati in sette
regioni del ponte e del midollo, ma quella più importante è il locus coeruleus, un
nucleo che si trova nel ponte dorsale. L’effetto primario dell’attivazione di questi
neuroni è l’aumento della vigilanza e dell’attenzione agli eventi nell’ambiente. La
maggior parte dei neuroni che rilasciano norepinefrina non la fa attraverso i bottoni
terminali, ma tramite varicosità assonali, rigonfiamenti delle branche assonali. I
neuroni del sistema nervoso contengono recettori adrenergici beta1 e beta2 e
recettori adrenergici alfa1 e alfa2, che sono tutti metabotropici, accoppiati alle
proteine G che controllano la produzione dei secondi messaggeri. I recettori
adrenergici producono effetti sia eccitatori sia inibitori. Nel cervello, i recettori alfa1
producono un effetto di lenta depolarizzazione (eccitazione) della membrana
postsinpatica, mentre i recettori alfa 2 inducono una lenta iperpolarizzazione.
Entrambi i tipi di recettori beta aumentano la responsività del neurone postsinaptico
ai suoi input eccitatori, correlato al ruolo di veglia. I neuroni noradrenergici, in
particolari i recettori alfa2, sono anche coinvolti nel comportamento sessuale e nel
controllo dell’appetito.

3)la serotonina gioca un ruolo nella regolazione dell’umore, nel controllo


dell’appetito, del sonno e del dolore. Il precursore della serotonina è l’aminoacido
triptofano, l’enzima triptofano idrossilasi aggiunge un gruppo idrossile, producendo
5- HTP (5-idrossitriptofano). L’enzima 5-HTP decarbossilasi rimuove un gruppo
carbossilico da 5-HTP e il risultato è 5-HT (o serotonina). Il farmaco PCPA blocca
l’attività del triptofano idrossilasi e agisce così da antagonista serotoninergico. I corpi
cellulari dei neuroni serotoninergici sono raggruppati in nove siti, la maggior parte
dei quali è localizzata nei nuclei del rafe del mesencefalo, del ponte e del bulbo. La 5-
HT è rilasciata da varicosità piuttosto che dai bottoni terminali. I due gruppi più
importanti corpi cellulari serotoninergici si trovano nei nuclei del rafe dorsale e
mediale, i quali proiettano assoni alla corteccia cerebrale. Inoltre, i neuroni del rafe
dorsale innervano i gangli della base, e quelli del rafe mediale innervano il giro
dentato, una parte della formazione ippocampale. I ricercatori hanno identificato
almeno nove tipi diversi di recettori della serotonina, i quali sono tutti metabotropici,
eccetto il recettore 5-HT3, che è ionotropico.I farmaci che inibiscono la ricaptazione
della serotonina sono importanti nel trattamento dei disturbi mentali ed un esempio è
la fluoxetina (Prozac), è usata nel trattamento di depressione, dei disturbi d’ansia e
disturbo ossessivo compulsivo. La flenfluramina, che causa il rilascio di serotonina e
ne inibisce la ricaptazione, è usato come soppressore dell’appetito nel trattamento
dell’obesità.Molte droghe allucinogene producono i loro effetti interagendo con la
trasmissione serotoninergica.L’ LSD produce distorsioni delle percezioni visive ed è
un agonista diretto dei recettori postsinaptici 5-HT. Un altro farmaco, l’MDMA è un
agonista sia noradrenergico sia serotoninergico, produce effetti eccitatori ed
allucinogeni e può danneggiare i neuroni serotoninergici e causare deficit cognitivi.

3)l’istamina è prodotta a partire dall’istidina, un aminoacido, per mezzo dell’azione


dell’enzima istidina decarbossilasi. I corpi cellulari dei neuroni istaminergici si
trovano esclusivamente nel nucleo tuberomammillare, localizzato nell’ipotalamo
posteriore. I neuroni istaminergici inviano i loro assoni ad ampie regioni della
corteccia cerebrale e del tronco dell’encefalo. L’istamina gioca un ruolo
importante nel ritmo sonno-veglia e nel controllo per lo sviluppo dei sintomi di
allergia. Tutti i tipi di recettori istaminergici si trovano nel sistema nervoso
centrale.

-amminoacidi, esistono almeno otto aminoacidi che possono funzionare da


neurotrasmettitori, ma tre sono i più importanti: il glutammato, l’acido gamma
amminobutirico (GABA) e la glicina.

1)Il glutammato è il principale neurotrasmettitore eccitatorio del cervello e nel


midollo spinale ed è prodotto dai processi metabolici delle cellule. Esistono
quattro tipi principali di recettori del glutammato, tre dei quali ionotropici (il
recettore NMDA, il recettore AMPA, e il recettore cainato) e uno metabotropico
(il recettore metabotropico del glutammato). Il recettore AMPA è il recettore più
comune del glutammato, il quale controlla un canale del sodio e induce PPSE
quando il glutammato si lega al sito di legame. Il recettore cainato ha effetti simili.
Il recettore NMDA contiene almeno sei siti di legame, quattro localizzati sulla
parte esterna del recettore aperto e due nella profondità del canale ionico. Quando
è aperto, il canale ionico controllato dal recettore NMDA permette sia al sodio sia
al calcio di entrare nella cellula. L’afflusso di entrambi questi ioni induce una
depolarizzazione, il calcio (Ca2+) che entra serve come secondo messaggero, si
lega con vari enzimi all’interno della cellula e li attiva.Questi enzimi hanno effetti
profondi sulle proprietà biochimiche e strutturali della cellula. La sostanza AP5 (2-
amino-5- fosfopentanoato) blocca il sito di legame del glutammato sul recettore
NMDA e compromette la plasticità sinaptica. Il glutammato da solo non può aprire
il canale del calcio, ma ha bisogno della molecola della glicina, che deve attaccarsi
al sito di legame della glicina, il quale si trova sulla parte esterna del recettore.Un
ulteriore requisito per l’apertura del canale del calcio è che un ione magnesio non
sia attaccato al sito di legame del magnesio, localizzato in profondità all’interno
del canale, in quanto esso blocca il canale del calcio. Gli altri siti di legame sono
uno per lo ione zinco (Zn2+), il quale si lega con il sito di legame dello zinco, e
l’attività del recettore NMDA diminuisce; e l’altro per le poliamine, che hanno un
effetto facilitatorio.Il sito della PCP, localizzato in profondità nel canale, si lega
con un droga allucinogena: la PCP agisce da antagonista diretto ed infatti, quando
si lega al suo sito di legame, gli ioni calcio non possono passare attraverso il
canale ionico. La PCP è una droga sintetica e non è prodotta dal cervello, quindi
non è il ligando naturale del sito di legame della PCP. NMDA, AMPA e cainato
agiscono come agonisti diretti dei recettori, mentre l’alcol si comporta da
antagonista dei recettori NMDA.

2)Il GABA (acido gamma-amminobutirico) è prodotto dall’acido glutammico per


mezzo del’azione di un enzima ( acido glutammico dercabossilasi o GAD) che
rimuove un gruppo carbossilico. Il farmaco alliglicina inattiva il GAD e impedisce
così la sintesi di GABA. Il GABA è un neurotrasmettitore inibitorio distribuito in
tutto il cervello e il midollo spinale.Sono stati identificati due recettori GABA:
GABA A, è ionotropico e controlla il canale del potassio; GABA B, è
metabotropico e controlla il canale del potassio.Senza l’attività delle sinapsi
inibitorie, queste interconnessioni renderebbero il cervello instabile in quanto la
maggior parte dei neuroni scaricherebbe in modo incontrollabile e si
verificherebbe un attacco epilettico.I recettori GABA A contengono almeno
cinque diversi siti di legame, il sito di legame primario è naturalmente per il
GABA. Il farmaco muscimolo agisce come agonista diretto per questo sito;
mentre il farmaco bicucullina blocca questo sito di legame del GABA, agendo
come un antagonista diretto. Un secondo sito sul recettore GABA A si lega con
una classe di farmaci tranquillanti chiamati benzodiazepine e il terzo sito si lega
con i barbiturici.Il quarto si lega con vari steroidi, il quinto sito si lega con la
picrotossina, un veleno, ma anche l’alcol si lega con un sito sul recettore GABA
A. I barbiturici e le benzodiazepine promuovono l’attività del recettore GABA A;
perciò, tutti questi farmaci agiscono come agonisti indiretti.La picrotossina
inibisce l’attività del recettore GABA A, agendo come antagonista indiretto.
Invece, il recettore GABA B è metabotropico, accoppiato alla proteina G, serve sia
da recettore postsinaptico sia da auto recettore presinaptico.

3)la glicina è il neurotrasmettitore inibitorio del midollo spinale e delle strutture


cerebrali inferiori, il suo recettore è ionotropico, controlla i canali del cloro e
produce potenziali postsinaptici inibitori. La stricnina agisce da antagonista della
glicina ed è molto tossica. Nel cervello alcuni bottoni terminali rilasciano sia
glicina sia GABA e il vantaggio di questo co-rilascio è la produzione di potenziale
postsinaptici rapidi e durevoli.

-I peptidi consistono di due o più aminoacidi, legati insieme da legami peptidici.


Poiché la sintesi dei peptidi avviene nel soma, le vescicole contenenti questi
composti chimici devono essere trasportate nei bottoni terminali per mezzo del
trasporto assoplasmatico. I peptidi sono rilasciati da tutte le parti del bottone
terminale e sono poi degradate dagli enzimi. Non esiste alcun meccanismo di
ricaptazione e riciclaggio dei peptidi. Sebbene la maggior parte dei peptidi agisca
come neuromodulatore, alcuni agiscono come neurotrasmettitori. Una delle più
importanti famiglia di peptidi è costituita dagli oppioidi endogeni, che riducono il
dolore perché hanno effetti diretti sul cervello (il termine oppioidi si riferisce ai
composti chimici endogeni, ovvero prodotti dal corpo, mentre oppiacei si riferisce
alle droghe).I ligandi naturali per questi recettori sono chiamati encefaline, ma
abbiamo anche la dinorfina e beta-endorfina. Inoltre è noto che esistono almeno tre
diversi tipi di recettori per gli oppiacei: μ (mu), δ (delta) e k (kappa).Finora i
farmacologi hanno sviluppato solo due tipi di farmaci che hanno effetto sulla
comunicazione neurale per mezzo degli oppioidi: agonisti e antagonisti diretti.
Sono stati sintetizzati anche molti oppiacei sintetici, inclusa l’eroina, usati come
agonisti diretti e alcuni usati nella clinica come analgesici. Sono stati sintetizzati
anche molti bloccanti dei recettori per gli oppiacei, per esempio il naloxone, usato
come antagonista e nella pratica clinica per contrastare l’intossicazione da
oppiacei. I bottoni terminali rilasciano peptidi in concomitanza con un
neurotrasmettitore “classico” e questo co-rilascio è importante perché i peptidi
possiedono la capacità di sensibilizzare al neurotrasmettitore dei recettori
presinaptici o postsinaptici.

-I lipidi producono sostanze in grado di trasmettere messaggi all’interno della


cellula stessa o tra più cellule.Quelle più conosciute sono gli endocannabinoidi,
ligandi naturali dei recettori responsabili degli effetti fisiologici del principio
attivo della marijuana. Importante è il THC (il principio attivo della marijuana)
che stimola i recettori cannabinoidi localizzati in regioni specifiche del cervello.Ci
sono due tipi di recettori cannabinoidi, CB1 (nel cervello) e CB2 (al di fuori del
cervello), entrambi metabotropici.Il THC produce analgesia e sedazione, stimola
l’appetito, riduce la nausea ma interferisce con i processi di concentrazione e
memoria, altera la percezione visiva e acustica e distorce la percezione del
tempo.Il ligando naturale per il recettore della THC è l’anandamide, prodotto e
rilasciato in base alla necessità, non è immagazzinato nelle vescicole sinaptiche ed
è disattivato dall’enzima FAAH. I recettori C1 si trovano sui bottoni terminali dei
neuroni glutamatergici, GABAergici, acetilcolinergici, noradrenergici,
dopaminergici e serotoninergici, dove agiscono da eterorecettori presinaptici e
regola il rilascio di neurotrasmettitore.Quando attivati, i recettori aprono i canali
del potassio nei bottoni terminali, accorciando la durata dei potenziali d’azione e
riducendo la quantità di neurotrasmettitore rilasciata. Quando i neuroni rilasciano
cannabinoidi, queste sostanze chimiche si diffondono in tutte le direzioni e i loro
effetti persistono per diversi decimi di secondo.

-I nucleosidi sono composti da una molecola di zucchero con una base purinica o
pirimidinica.Ne fa parte l’adenosina (una combinazione di ribosio e adenina) che
serve da neuro modulatore nel cervello.Il rilascio di adenosina attiva i recettori sui
vasi sanguigni vicini e ne causa la dilatazione, aumentando il flusso di sangue e
aiutando il trasporto di maggiori quantità delle sostanza necessarie in quella
regione. L’adenosina si comporta anche da neuromodulatore, agendo almeno su
tre tipi diversi di recettore.I recettori dell’adenosina sono accoppiati alle proteine
G e il loro effetto è quello di aprire i canali del potassio, producendo potenziali
postsinaptici inibitori.Inoltre l’adenosina e gli alti agonisti del suo recettore hanno
effetti generalmente inibitori sul comportamento ed infatti i recettori
dell’adenosina sono coinvolti nel controllo del sonno.Un farmaco molto comune,
la caffeina, blocca i recettori dell’adenosina e quindi produce effetti eccitatori.

-I gas solubili comprendono l’ossido di azoto e il monossido di carbonio, usati dai


neuroni per comunicare l’uno con l’altro.L’ossido di azoto (NO) è un gas solubile
prodotto in molte regioni della cellula nervosa ed è rilasciato subito dopo la sua
sintesi, per poi diffondersi fuori dalla cellula. Entra così nelle cellule vicine, dove
attiva un enzima responsabile della produzione di un secondo messaggero, il GMP
ciclico, il quale è poi convertito in composto inattivo. L’ossido di azoto è prodotto
dall’arginina, un aminoacido, per mezzo dell’attivazione di un enzima noto come
ossido di azoto sintetasi.E’ abbastanza noto il sildenafil (o viagra), l’ossido di
azoto produce i suoi effetti fisiologici stimolando la produzione di GMP
ciclico.Sebbene l’emivita (ovvero il tempo necessario per diminuire la quantità di
un farmaco nell’organismo del 50% durante l’eliminazione) dell’ossido di azoto
sia solo di pochi secondi, il GMP ciclico ha una durata maggiore ed è infine
distrutto da un enzima. Le molecole di sildenafil si legano con questo enzima e
perciò rallentano sensibilmente la velocità di distruzione del GMP, ed è quindi
possibile mantenere l’erezione del pene e il viagra può essere considerato un
agonista dell’ossido di azoto.

Cap 5
METODI E STRATEGIE DI RICERCA
Uno dei più importanti metodi di ricerca utilizzati nello studio delle funzioni cerebrali
è ablazione sperimentale che prevede la distruzione di una parte del cervello e la
valutazione del successivo comportamento dell’animale. Valutazione degli effetti
comportamentali del danno cerebrale: per lesione si intende una ferita o un danno, e
un ricercatore che distrugge una parte del cervello definisce il danno prodotto come
lesione cerebrale. Gli esperimenti in cui si danneggia una parte del cervello e si
osserva successivamente il comportamento dell’animale sono chiamati studi di
lesione. La funzione della regione cerebrale in questione può essere inferita dai
comportamenti che l’animale non riesce più a mettere in atto, dopo la lesione. Infatti,
l’obiettivo è scoprire le funzioni associate a diverse regioni cerebrali e quindi
comprendere il modo in cui tali funzioni si combinano per produrre particolari
comportamenti. La distinzione tra funzione cerebrale e comportamento è molto
importante: ciascuna regione esegue una funzione che contribuisce alla messa in atto
del comportamento in questione. L’obiettivo del ricercatore consiste nel comprendere
e funzioni necessarie a eseguire un particolare comportamento e determinare quali
circuiti neurali cerebrali sono responsabili di ciascuna di queste funzioni.
L’interpretazione degli studi di lesione è complicata dal fatto che tutte le regioni
cerebrali sono interconnesse.

Produzione di lesioni cerebrali: le lesioni cerebrali delle regioni sottocorticali sono


prodotte passando la corrente elettrica attraverso un filo d’acciaio inossidabile. Si
guida l’elettrodo con una procedura sterotassica, in modo da posizionarlo nel sito
adeguato, poi si accende un particolare dispositivo di lesione che produce
radiofrequenze (RF), cioè una corrente alternata a frequenza molto elevata, il
passaggio della corrente attraverso il tessuto cerebrale genera un calore in grado di
uccidere le cellule situate nella regione circostante l’elettrodo. Queste lesioni sono
dette lesioni da radiofrequenza e questa tecnica distrugge qualsiasi cosa si trovi in
prossimità della punta dell’elettrodo. Un metodo più selettivo per produrre lesioni
cerebrali implica l’uso di un aminoacido eccitatorio come l’acido cainico che stimola
i neuroni fino a ucciderli. Le lesioni prodotte in questo modo si definiscono lesioni
eccitossiche. L’iniezione di un aminoacido eccitatorio in una regione cerebrale,
attraverso una cannula, produce la distruzione chimica dei corpi cellulari dei neuroni
situati in prossimità, ma risparmia quelli i cui assoni passano attraverso l’area di
iniezione. Questa selettività permette al ricercatore di determinare se gli effetti
comportamentali del daneggiamento di una particolare struttura cerebrale sono
causati dalla morte dei neuroni localizzati lì o dalla distruzione degli assoni che
passano nelle vicinanze. Esistono anche metodi più specifici per mirare e uccidere
particolari tipi di neuroni. Per esempio, vi sono dei metodi per coniugare la saporina,
una proteina tossica, con anticorpi che si legano a particolari proteine rilevate solo su
certi tipi di neuroni cerebrali. Gli anticorpi identificano queste proteine e la saporina
uccide le cellule a cui sono attaccate le proteine in questione. Bisogna notare che,
quando si producono lesioni sottocorticali passando radiofrequenze attraverso un
elettrodo o somministrando una neurotossina con una cannula, si causa sempre un
danno cerebrale addizionale. Il passaggio dell’elettrodo o della cannula fino a
raggiungere la zona di interesse produce inevitabilmente un piccolo danno. Perciò,
non è possibile limitarsi semplicemente al confronto del comportamento degli
animali cerebrolesi con quelli sani, utilizzati come gruppo di controllo. Per ovviare il
problema, è possibile operare un gruppo di animali e produrre lesioni simulate, quindi
si duplicano tutti i passi necessari a produrre la lesione, eccetto accendere il
dispositivo di radiofrequenza o iniziare l’infusione nel gruppo di controllo. Se il
comportamento degli animali cerebrolesi risulta diverso da quello dei controlli con
lesione simulata, si può dedurre che il danno comportamentale è stato causato proprio
dalla lesione sperimentale. Nella maggior parte dei casi, i ricercatori producono
lesioni cerebrali permanenti; talvolta, però, può essere vantaggioso alterare solo
temporaneamente l’attività di una particolare regione cerebrale. Il modo più facile
consiste nell’iniezione di anestetico locale o di un farmaco detto muscicolo nell’area
di interesse. L’anestetico blocca i potenziali d’azione degli assoni che entrano o
lasciano quella regione, producendo di conseguenza un’effettiva lesione temporanea
(detta lesione cerebrale reversibile). Il muscicolo, un farmaco che stimola i recettori
GABA, inattiva la regione del cervello inibendo i neuroni ivi localizzati.

Chirurgia sterotassica: L’apparato sterotassico è costituito da una fermatesta, che


fissa in posizione standard il cranio dell’animale, e un reggi elettrodo, che sposta
l’elettrodo o la cannula nelle tre dimensioni spaziali, secondo distanze misurate.
Tuttavia è necessario consultare prima un atlante sterotassico.

L’atlante sterotassico: il cervello di due animali della stessa specie non è mai
completamente identico e l’atlante sterotassico fornisce localizzazioni
approssimative. Il cranio è costituito da diverse ossa, che crescono insieme e formano
suture (giunture). Quando l’intervallo tra le suture si richiude, il punto d’intersezione
è denominato bregma, il quale è utilizzato come punto di riferimento. L’atlante
sterotassico contiene fotografie o disegni che corrispondono alle sezioni frontali prese
a varie distanze, rostrali e caudali, dal bregma. Se si desidera posizionare la punta di
un elettrodo a livello di una struttura, è necessario eseguire un foro con il trapano al
di sopra di essa. Poi, individuando la struttura neurale sulle pagine di un atlante
stereotassico, è possibile determinarne la localizzazione rispetto al bregma.
L’apparato stereotassico: include un fermatesta, che mantiene il cranio dell’animale
nella posizione adeguata, un reggielettrodo e un meccanismo calibrato che muove il
reggielettrodo secondo distanze misurate lungo i tre assi: anteriore-posteriore,
dorsale-ventrale e laterale-mediale. Una volta trovate le coordinate su un atlante
stereotassico, si anestetizza l’animale, si posiziona l’apparato e si incide lo scalpo.
Dopo la localizzazione del bregma, si riportano i numeri appropriati sull’apparato
stereotassico, si perfora il cranio con il trapano e si inserisce il reggielettrodo nel
cervello ala corretta profondità. In questo modo, la punta dell’elettrodo o della
cannula è portata esattamente nell’area desiderata e si può procedere con la lesione. Il
posizionamento di elettrodi nel cervello può servire a stimolare determinati neuroni
così come a distruggerli. Dopo il completamento della chirurgia, si chiude la ferita
con suture, si rimuove l’animale dall’apparato stereotassico e si attende che si
riprenda dall’anestesia. Esistono anche apparati stereotassici da utilizzare sull’uomo

Metodi istologici: dopo la produzione di una lesione cerebrale su un modello di


animale e l’osservazione dei suoi effetti comportamentali, è necessario sezionare e
colorare il tessuto cerebrale, in modo da esaminarlo al microscopio e verificare
l’effettiva localizzazione della lesione. A questo fine, bisogna fissare, sezionare,
colorare ed esaminare il cervello e queste procedure sono definite metodi istologici.
Perfusione, fissazione e sezione: inizialmente, il tessuto cerebrale viene sottoposto a
perfusione, che consiste nella rimozione del sangue, il quale è sostituito con un altro
liquido. L’animale di cui si intende studiare il cervello è ucciso in modo indolore, con
un’overdose di anestetico generale, poi si rimuove il cervello dal cranio e si passa alla
fissazione. Per studiare il tessuto nella forma che aveva al momento della morte
dell’organismo, dobbiamo distruggere gli enzimi autolitici, che altrimenti
trasformano il tessuto in poltiglia. È necessario, inoltre, prevenire la decomposizione
tessutale da parte di batteri e muffe. Entrambi questi obiettivi possono essere
raggiunti immergendo il tessuto nervoso in un bagno fissatore. Il fissatore più
utilizzato è la formalina, la soluzione acquosa del gas formaldeide. La formalina
blocca l’autolisi, indurisce il tessuto cerebrale e uccide qualsiasi microorganismo in
grado di distruggerlo. Dopo aver fissato il cervello, è necessario sezionarlo (sezione)
finemente e colorare le varie strutture cellulari, per evidenziare i dettagli anatomici.
La procedura di sezione si effettua con un microtomo, il quale è costituito da tre parti:
un bisturi, una piattaforma su cui montare il tessuto e un meccanismo che avanza il
bisturi di uno spazio fisso dopo il taglio di ciascuna fetta, prima di procedere con la
sezione successiva. Il portabisturi scivola in avanti, su un binario oliato, e la lama
taglia fettine sottili dalla sommità del tessuto montato sulla piattaforma. Dopo la
sezione, il tessuto è montato su vetrini e può essere colorato, immergendo l’intero
vetrino in varie soluzioni chimiche. Infine, si ricoprono le sezioni colorate con un
piccolo quantitativo di liquido trasparente, denominato mezzo di montaggio, per poi
posizionare un copri vetrino molto sottile al di sopra delle sezioni. Il mezzo di
montaggio serve a fissare il coprivetrino.

Colorazione: i ricercatori hanno messo a punto diversi coloranti per identificare la


presenza, intra- o extracellulare, di sostanze specifiche. Per verificare la
localizzazione i una lesione cerebrale, si utilizza uno dei metodo più semplici: la
colorazione del corpo cellulare. Nissl, un neurologo, scoprì che un colorante
conosciuto come blu di metilene era in grado di evidenziare selettivamente i corpi
cellulare del tessuto cerebrale. Il materiale che assorbe il colorante, conosciuto come
sostanza di Nissl, consiste di RNA, DNA e proteine associate, localizzate nel nucleo
e disperse in forma di granuli nel citoplasma. Oltre al blu di metilene, è possibile
utilizzare il cresil violetto.
Esame al microscopio elettronico: per visualizzare strutture anatomiche molto
piccole, è necessari utilizzare un microscopio elettronico a trasmissione. Lo
strumento fa passare un fascio di elettroni attraverso una sottile sezione del tessuto da
esaminare. Il fascio di elettroni proietta un’ombra del tessuto su uno schermo
fluorescente, che può essere fotografata o scannerizzata da un computer. Il
microscopio elettronico a scansione permette un minore in gradimento rispetto allo
strumento standard a trasmissione di elettroni, ma fornisce immagini tridimensionali.
Microscopia confocale a scansione laser: il microscopio convenzionale e quello
elettronico richiedono la preparazione del tessuto in sezioni sottili, mentre il
microscopio confocale a scansione laser permette di osservare i dettagli all’interno di
sezioni tessutali spesse. La microscopia confocale richiede che le cellule di interesse
siano evidenziate con un colorante fluorescente (questa procedura è detta
immunocitochimica). Per esempio, i neuroni che producono un dato peptide possono
essere etichettati con un colorante fluorescente. Un fascio di luce di una lunghezza
d’onda particolare è prodotto da un laser e passa attraverso uno specchio dicroico,
che trasmette la luce di una data lunghezza d’onda e riflette quella di lunghezze
d’onda diverse. Le lenti del microscopio focalizzano la luce laser, la quale innesca la
fluorescenza nel tessuto, che è riflessa dallo specchio dicroico a un’apertura a foro di
spillo. L’apertura blocca la luce estranea, mentre la luce, che riesce a passare
attraverso il foro, è misurata da un rivelatore. Due specchi semoventi permettono alla
luce laser di eseguire la scansione del tessuto , che fornisce al computer le
informazioni necessarie a formare l’immagine di una sezione tessutale localizzata ad
una particolare profondità all’interno del campione in esame.

Trattamento delle connessioni neurali: vogliamo studiare la fisiologia del


comportamento sessuale della femmina di ratto e quindi eseguiamo un intervento
di chirurgia stereotassica su due ruppi di femmine di ratto, produciamo una lesione
dell’ipotalamo ventromediale (IVM) negli animali del gruppo sperimentale,
mentre ci limitiamo a una lesione simulata in quelli del gruppo di controllo. Dopo
qualche giorno, posizioniamo ciascun animale in una gabbia con ratti maschi. Le
femmine del gruppo di controllo rispondono positivamente alle attenzioni
maschili, mentre, le femmine con lesione dell’IVM rifiutano le attenzioni maschili
e l’accoppiamento. Successivamente, l’esame istologico conferma l’effettiva
distruzione dell’IVM nel cervello degli animali sperimentali. I risultati del nostro
esperimento indicano che i neuroni dell’IVM sembrano giocare un ruolo nelle
funzioni necessarie al comportamento copulatorio dei ratti femmina. Una
questione riguarda il sistema delle strutture cerebrali che partecipano al
comportamento colpulatorio femminile. L’IVM non sta solo, ma riceve e trasmette
impulsi da altre strutture. È importante quindi conoscere più a fondo le
connessioni dell’IVM con il resto del cervello e, solo dopo aver individuato le
connessioni, possiamo studiare il ruolo di queste strutture e la natura delle loro
interazioni.

Tracciamento degli assoni efferenti: l’IVM influenza il comportamento e ciò


significa che i neuroni dell’IVM necessariamente inviano assoni a parti del
cervello che contengono neuroni responsabili dei movimenti muscolari.
Probabilmente, la via non è diretta: i neuroni dell’IVM influenzano quelli di altre
strutture cerebrali, che a loro volta ne influenzano altri ancora e così via. Per
scoprire questo sistema, dobbiamo essere in grado di identificare le vie seguite
dagli assoni che lasciano l’IVM: quindi bisogna tracciare il corso degli assoni
efferenti di questa struttura. A questo fine, utilizzeremo un metodo di marcatura
anterograda, il quale impiega sostanze chimiche che sono assorbite dai dendriti o
dai corpi cellulari e quindi trasportate attraverso gli assoni, verso i bottoni
terminali. Per scoprire la destinazione degli assoni efferenti dei neuroni localizzati
nell’IVM potremmo iniettare una piccola quantità di PHA-L (una proteina del
fagiolo) nel nucleo. Le molecole di PHA-L sono assorbite dai dendriti e trasportate
dal soma all’assone, dove viaggiano fino ai bottoni terminali grazie al trasporto
assoplasmatico rapido, e così, le cellule si riempiono completamente di molecole
di PHA-L . A questo punto, uccidiamo l’animale, sezioniamo il cervello e
montiamo le sezioni su vetrini. Con uno speciale metodo immunocitochimico si
rendono visibili le molecole di PHA-L, quindi si esaminano i vetrini al
microscopio.
I metodi immunocitochimici sfruttano la reazione immunitaria. Il sistema
immunitario è in grado di produrre anticorpi in risposta agli antigeni. Quando gli
antigeni presenti sulla superficie di un microrganismo invasore vengono a contatto
con gli anticorpi che li riconoscono, questi scatenano un attacco contro l’invasore
da parte dei leucociti. I biologi molecolari hanno sviluppato metodi per produrre
anticorpi contro qualsiasi peptide o proteina. Le molecole anticorpali sono
attaccate a vari tipi di molecole di coloranti, le quali reagiscono con altre sostanze
chimiche e colorano il tessuto di marrone o di fluorescente. Per determinare se il
peptide o la proteina (l’antigene) si trova nel cervello, il ricercatore immerge
sezioni fresche di tessuto cerebrale in soluzioni che contengono molecole di
anticorpi/coloranti e così gli anticorpi si attaccano al corrispondente antigene.
Quando il ricercatore esamina le sezioni al microscopio, può visualizzare le parti
del cervello che contengono l’antigene in questione.
Tracciamento degli assoni afferenti: il tracciamento degli assoni efferenti
dell’IVM illustra solo una parte dei circuiti neurali coinvolti nel comportamento
sessuale femminile: quella che va dall’IVM i motoneuroni. Per scoprire quali
siano le regioni del cervello coinvolte nella parte “a monte” del circuito neurale,
dobbiamo individuare gli impulsi che raggiungono l’IVM, cioè le sue connessioni
afferenti. Questo fine, utilizzeremo un metodo di marcatura retrograda, il quale
impegna sostanze chimiche che sono riassorbite dai bottoni terminai e trasportate
attraverso gli assoni fino al corpo cellulare. Si inietta una piccola quantità di una
sostanza chiamata fluorogold nel’IVM, la quale è riassorbita dai bottoni terminali
e viaggia per mezzo del trasporto assoplasmatico retrogrado fino ai corpi cellulari.
Qualche giorno dopo, uccidiamo l’animale, sezioniamo il cervello ed esaminiamo
il tessuto, esponendolo a una luce di appropriata lunghezza d’onda, che faccia
brillare le molecole fluorescenti di fluorogold. La procedura ci permette di
identificare l’amigdala mediale come una delle regioni che mandano impulsi
all’IVM. I metodi di marcatura anterograda e retrograda identificano una singola
connessione nella catena neuronale: neuroni i cui assoni entrano in una particolare
regione cerebrale o fuoriescono da essa. I metodi di marcatura transneuronale
identificano una serie di due o più neuroni ed utilizzano un virus della
pseudorabbia, cioè una forma indebolita di herpes virus del maiale. Per la
marcatura transneurale anterograda si utilizza una varietà di virus dell’herpes
simplex. Si inietta il virus direttamente in una regione cerebrale, dove penetra nei
neuroni e li infetta. Quindi il virus prolifera in tutti i neuroni infetti ed è infine
rilasciato dai bottoni terminali, passando l’infezione ai neuroni con cui formano
connessioni sinaptiche. Dopo aver ucciso l’animale e sezionato il suo cervello, i
ricercatori utilizzano metodi immunocitochimiche per localizzare una proteina
prodotta dal virus. I metodi
di marcatura anterograda e retrograda permettono di identificare i circuiti di
neuroni interconnessi, quindi aiutano a definire il “diagramma dei cavi di
collegamento” del cervello.

Studio delle strutture del cervello umano in vivo: negli anni passati, un ricercatore
poteva studiare il comportamento di individui cerebrolesi senza scoprire mai
esattamente dove fosse la lesione. L’unico modo per saperlo con sicurezza era
aspettare che il paziente morisse, per esaminare al microscopio le sezioni del sul
cervello. I recenti sviluppi delle tecniche radiografiche e computerizzate hanno
portato all’introduzione di diversi metodi di studio dell’anatomia del cervello in
vivo. Questi progressi consentono ai ricercatori di esaminare la localizzazione e
l’estensione del danno cerebrale quando il paziente è ancora vivo. La prima
modalità sviluppata è quella della tomografia assiale computerizzata (TAC),
durante la quale si posiziona la testa del paziente in un grande anello cilindrico,
che contiene un tubo a raggi X e dall’altra parte, un rilevatore di raggi X. Il fascio
di raggi X attraversa la testa del paziente e il rivelatore misura la radioattività che
non viene assorbita. Il fascio scansiona la testa da tutte le angolature e un
computer traduce i dati inviati dal rivelatore in immagini del cranio e dei suoi
contenuti. Un quadro più dettagliato del contenuto della testa di una persona è
fornito da una procedura denominata risonanza magnetica (RM). La macchina per
la RM somiglia a quella per la TAC, ma non utilizza i raggi X in quanto induce il
passaggio di un campo magnetico estremamente forte attraverso la testa del
paziente. Quando si posiziona la testa di una persona all’interno di un forte campo
magnetico, i nuclei degli atomi di idrogeno rotanti si allineano al campo magnetico
in questione. Se si passa un’onda di radiofrequenza attraverso il cervello, questi
nuclei assumono una posizione angolata rispetto al campo magnetico e quindi
ritornano nella loro posizione originale, alla fine dell’onda. Nel fare questo,
rilasciano l’energia che avevano assorbito e questa energia rilasciata è captata da
una bobina che serve da rilevatore. Poiché tessuti diversi contengono differenti
quantità di acqua, ciascuno emette differenti quantità di energia. Il computer
associato allo scanner di RM analizza il segnale e prepara le fotografie delle
sezioni cerebrali. Inoltre, la risonanza magnetica con tensore di diffusione (DTI)
sfrutta il fatto che il movimento delle molecole d’acqua nei fasci di sostanza
bianca non è causale, ma tende ad essere in parallelo alla direzione degli assoni
che costituiscono il fascio in questione. Gli scanner di RM utilizzano le
informazioni sul movimento delle molecole d’acqua per determinare la
localizzazione e l’orientamento dei fasci di assoni nella sostanza bianca.

Registrazione e stimolazione dell’attività neurale: le funzioni cerebrali coinvolgono


l’attività dei circuiti neurali; quindi, diverse percezioni e risposte comportamentali
implicano differenti pattern di attivazione del cervello e i ricercatori hanno messo a
punto procedure di registrazione di questi pattern di attività.

Registrazione dell’attività neurale: gli assoni producono potenziali d’azione e i


bottoni terminali sollecitano potenziali postsinaptici sulla membrana delle cellule con
cui formano sinapsi. Questi eventi elettrici possono essere registrati e le
modificazioni dell’attività elettrica di una particolare regione possono servire a
determinare se quella regione gioca un ruolo in diversi comportamenti. Le
registrazioni possono essere croniche, relative cioè a un lungo periodo di tempo;
oppure acute, effettuate in un periodo più breve le quali limitano gli studi delle vie
sensoriali e prevedono solo raramente osservazioni comportamentali.
Registrazioni con microelettrodi: i microelettrodi hanno una punta molto sottile,
abbastanza piccola da registrare l’attività elettrica di singoli neuroni e questa tecnica
è denominata registrazione di unità singole. Si impiantano gli elettrodi nel cervello
degli animali tramite chirurgia sterotassica e poi si connettono a prese elettriche
miniaturizzate fissate al cranio degli animali. Quando l’animale si riprende
dall’intervento, può essere “collegato” al sistema di registrazione. Gli animali di
laboratorio non prestano attenzione alle prese elettriche posizionate sul loro cranio e
si comportano abbastanza normalmente. I segnali elettrici rilevati dai microelettrodi
sono deboli e devono essere ampliati e quindi gli amplificatori convertono questi
segnali in segnali più forti, che possono essere mostrati da un oscilloscopio e
immagazzinati nella memoria di un computer.
Registrazione con macroelettrodi: se si desidera registrare l’attività globale di
un’intera regione cerebrale e non quella dei singoli neuroni ivi localizzati, si
utilizzano i macroelettrodi, i quali, appunto, non rilevano l’attività di singoli neuroni
ma rappresentano i potenziali postsinaptici di moltissime cellule. Occasionalmente, i
neurochirurghi impiantano macroelettrodi direttamente nel cervello umano. La
procedura è eseguita al fine di scoprire l’origine dell’attività elettrica anormale del
cervello che induce frequenti attacchi epilettici. Quando si determina il focolaio
epilettico, il chirurgo può aprire il cranio e rimuovere la parte interessata. Più
frequentemente, l’attività cerebrale del cervello umano è registrata attraverso elettrodi
montati sullo scalpo e connessi a un poligrafo. Il poligrafo è costituito da un
meccanismo che muove una lunga striscia di carta sotto una serie di pennini, i quali, a
loro volta, si muovono avanti e indietro in risposta al segnale elettrico inviato dagli
amplificatori biologici. Queste registrazioni sono chiamate elettroencefalogramma
(EEG). Gli EEG possono essere utilizzati per diagnosticare l’epilessia o i tumori
cerebrali, per studiare gli stadi del sonno e della veglia o per monitorare le condizioni
del cervello.
Magnetoencefalografia: quando una corrente elettrica passa attraverso un conduttore
induce la formazione di un campo magnetico e ciò significa che anche quando i
potenziali d’azione passano lungo gli assoni, o i potenziali postsinaptici lungo i
dendriti si producono campi magnetici. Si tratta di campi piccoli, ma gli ingegneri
hanno sviluppato dei sistemi superconduttori di rilevazione (chiamati SQUID) in
grado di ampliare questi campi magnetici. La magnetoencefalografia si esegue con
une neuromagnetometro, apparecchio che contiene una serie di SQUID orientati in
modo che il computer possa esaminare i dati da loro emessi e calcolare la fonte dei
segnali nel cervello. Questi dispositivi possono essere utilizzati clinicamente per
individuare i focolaio epilettici in modo da poterli rimuovere chirurgicamente o per
misurare l’attività cerebrale regionale che accompagna la percezione di vari stimoli o
l’esecuzione di diversi comportamenti o compiti cognitivi. Un vantaggio è la sua
risoluzione temporale: infatti l’immagine prodotta per mezzo di
magnetoencefalografia è molto più grezza di quella della RMf, ma può essere
acquisita più rapidamente.
Registrazioni dell’attività metabolica e sinaptica del cervello: se l’attività neurale di
una particolare regione cerebrale aumenta, anche la velocità metabolica di tale
regione aumenta. Gli sperimentatori iniettano 2-deossiglucosio (2-DG) radioattivo nel
flusso sanguigno del modello animale. Poiché questo comporto chimico somiglia al
glucosio, esso è assorbito nelle cellule e quelle più attive assorbiranno le più elevate
concentrazioni di 2-DG radioattivo. Il 2-DG non può essere metabolizzato, quindi si
accumula nella cellula. Gli sperimentatori in seguito uccidono l’animale, rimuovono
il cervello, lo sezionano e lo preparano per l’autoradiografia. Per autoradiografia si
intende grossolanamente “produrre un tracciato con le proprie radiazioni”. Quindi si
montano le sezioni cerebrali su vetrini i quali sono rivestiti con emulsione fotografica
e poi si sviluppano i vetrini con il loro rivestimento di emulsione. Le molecole di 2-
DG radioattivo appaiono come granulazioni argentate nell’emulsione sviluppata. Le
regioni più attive del cervello sono quelle più radioattive: questa radioattività si
evidenzia come macchie scure nell’emulsione sviluppata. Un altro metodo per
identificare le regioni attive del cervello sfrutta il fatto che, quando i neuroni sono
attivati particolari geni presenti al’interno del nucleo (detti geni precoci immediati) si
attivano a loro volta e producono proteine specifiche. Queste proteinedi seguito si
legano con i cromosomi nucleari. La presenza di tali proteine nucleari indica che la
cellula è stata appena attivata. Una delle proteine nucleari prodotte durante
l’attivazione neurale si chiama FOS e poi vengono utilizzati i metodi
immunocitochimici. L’attività metabolica di specifiche regioni cerebrali può essere
misurata anche nei cervelli umani per mezzo dell’imaging funzionale, un metodo
computerizzato per rilevare i cambiamenti metabolici o chimici all’interno del
cervello. Il primo metodo di imaging funzionale è la tomografia ad emissione di
positroni (PET), durante la quale si inietta nel paziente 2-DG radioattivo e poi si
posiziona la testa del paziente in una macchina simile a quella della TAC. Quando le
molecole radioattive di 2-DG si scindono, emettono particelle subatomiche chiamate
positroni, che si accoppiano agli elettrodi nelle vicinanze. Le particelle si distruggono
a vicenda ed emettono due fotoni, che viaggiano in direzioni opposte. I sensori
sistemati intorno alla testa del paziente rivelano la presenza di questi fotoni e lo
scanner localizza le aree da cui sono emessi. Grazie a queste informazioni , il
computer produce l’immagine di una sezione cerebrale che mostra il livello di attività
delle regioni in essa contenute. Gli svantaggi della PET sono il costo operativo e la
scarsa risoluzione spaziale e temporale, tuttavia il vantaggio è che misura la
concentrazione di particolari sostanze chimiche in varie parti del cervello, a
differenza della RMf. Quest’ultima è il metodo di imaging cerebrale con la migliore
risoluzione spaziale e temporale. Gli ingegneri hanno modificato gli scanner di RM
esistenti e i loro software per consentire la misurazione del metabolismo regionale.
L’attività cerebrale è misurata in modo indiretto, rivelando i livelli di ossigeno nei
vasi ematici del cervello. L’incremento dell’attività in una regione cerebrale stimola
il flusso ematico nell’area in questione, il che incrementa il livello di ossigenazione
ematica locale. Il nome formale di questo tipo di imaging è BOLD, cioè segnale
dipendente dal livello di ossigeno nel sangue. Le scansioni RMf hanno una maggiore
risoluzione della PET e possono essere acquisite molto più velocemente e quindi
possono fornire informazioni più dettagliate sull’attività di particolari regioni
cerebrali.

Stimolazione dell’attività neurale: è possibile modificare artificialmente l’attività di


alcuni regioni per osservarne l’effetto sul comportamento animale. Stimolazione
elettrica e chimica: i neuroni possono essere attivati tramite stimolazione elettrica o
chimica: la prima richiede il passaggio di una corrente elettrica attraverso un filo
inserito nel cervello; la seconda è effettuata iniettando nel cervello una piccola
quantità di aminoacido eccitatorio. L’iniezione di sostanze chimiche nel cervello può
essere effettuata attraverso un apparato permanentemente attaccato al cranio, in modo
che sia possibile osservare il comportamento dell’animale in diversi momenti.
Posizioniamo una cannula metallica (cannula guida) nel cervello del modello
animale, fissandone la parte superiore al cranio. In seguito, inseriamo una cannula più
piccola all’interno della guida
e quindi iniettiamo il composto chimico nel cervello. Possiamo osservare gli effetti
dell’iniezione sul suo comportamento. Il principale svantaggio della stimolazione
chimica è che la procedura è leggermente più complicata della stimolazione elettrica,
ma presenta anche un vantaggio rispetto alla stimolazione elettrica, ovvero che attiva
i corpi cellulari e non gli assoni, in quanto, dal momento che solo i corpi cellulari
contengono i recettori per il glutammato, l’iniezione di aminoacido eccitatorio eccita
le cellule di quella particolare regione, e non gli assoni di altri neuroni che passano
nelle vicinanze. Gli effetti della stimolazione chimica sono più localizzati di quelli
della stimolazione elettrica, anche se entrambe le stimolazioni influenza tutti i
neuroni, ed è improbabile che il risultato somigli all’attività cerebrale normale, che
implica l’attivazione e l’inibizione coordinate di molti neuroni differenti.

Metodi optogenetici: possono essere utilizzati per stimolare o inibire particolari tipi di
neuroni, in particolari regioni del cervello. In molti organismi si sono evolute
proteine fotosensibili e una di queste è la Channelrhodopsin-2 (ChR2), la quale
controlla i canali ionici che, quando di aprono, permettono il flusso di ioni sodio,
potassio e calcio. Quando la luce blu colpisce un canale ionico ChR2, il canale si apre
e l’intenso lusso di ioni calcio e sodio carichi positivamente depolarizza la
membrana, con effetti eccitatori. Una seconda proteina fotosensibile, la
Natronomonas pharaonis halorhodopsin (NpHR), la quale controlla un trasportatore
che sposta il cloruro nella cellula quand’è attivato da una luce gialla. Questo afflusso
di ioni carichi negativamente iperpolarizza la membrana, causano inibizione. La
ChR2 e la NpHR possono essere introdotte nei neuroni inserendo i geni che le
codificano nel materiale genetico di virus innocui. I virus sono poi iniettati nel
cervello, dove infettano i neuroni e iniziano a esprimere le proteine in questione, che
vengono inserite nella membrana cellulare. I geni possono essere modificati in modo
che le proteine si esprimano solo in particolari tipi di neuroni. I ricercatori possono
osservare gli effetti dell’attivazione o disattivazione di particolari tipi di neuroni in
particolari regione del cervello. Poiché la ChR2 la NpHR sono attivate dalla luce, i
ricercatori devono essere in grado di garantire la stimolazione luminosa del cervello.
Se i neuroni che esprimono queste proteine fotosensibili sono localizzati nella
corteccia cerebrale, si può produrre un piccolo foro nel cranio con un trapano, per poi
attaccare dei diodi a emissione luminosa direttamente sopra il foro. Per attivare le
proteine fotosensibili nelle membrana di neuroni localizzai nelle profondità del
cervello, si possono impiantare delle fibre ottiche per mezzo di chirurgia stereotassica
al fine di trasmettere la luce attraverso queste fibre.

Stimolazione magnetica transcranica: si possono utilizzare i campi magnetici per


stimolare i neuroni, inducendo correnti elettriche nel tessuto cerebrale. La
stimolazione magnetica trasncranica (TMS) utilizza una bobina di fili metallici per
stimolare i neuroni della corteccia cerebrale umana. Si posiziona la bobina i
stimolazione sulla sommità del cranio, sopra la regione da stimolare. Gli impulsi
elettrici inviano campi magnetici che attivano i neuroni nella corteccia. Gli effetti
della TMS sono molto simili a quelli della stimolazione diretta del cervello esposto.
La TMS è utilizzata per trattare i sintomi di disturbi neurologici e psichiatrici.

Metodi neurochimici: sono utili per la localizzazione dei neuroni che possiedono
particolari tipi di recettori o producono determinanti tipi di neurotrasmettitori o
neuromodulatori.
Individuazione di neuroni che producono particolari sostanze neurochimiche:
esistono due modi per localizzare particolari sostanze neurochimiche: localizzare le
sostanze stesse oppure gli enzimi che le producono. Il primo metodo è quello che
riguarda i peptidi (o le proteine), le quali possono essere localizzate direttamente per
mezzo dei metodi immunocitochimici: si espongono sezioni di tessuto cerebrale agli
anticorpi specifici del peptide, legati ad un colorante fluorescente, e poi le sezioni
sono esaminate al microscopio, utilizzando una luce di particolare lunghezza d’onda.
Il secondo metodo è quello che riguarda l’acetilcolina: la sintesi dell’ACh è resa
possibile dall’enzima colina acetiltransferasi (ChAT). I neuroni acetilcolinergici sono
identificati a livello del ponte, per mezzo dell’immunocitochimica; mentre il tessuto
cerebrale era stato esposto ad un anticorpo per il ChAT legato a un colorante
fluorescente.
Localizzazione di recettori specifici: questa localizzazione è determinata con due
procedure diverse. La prima utilizza l’autoradiografia. Esponiamo sezioni di tessuto
cerebrale ad una soluzione contenente un ligando radioattivo di un particolare
recettore. Di seguito, sciacquiamo le sezioni, in modo che la radioattività residua sia
solo quella delle molecole di ligando attaccate ai recettori. Infine, utilizziamo un
metodo autoradiografico per localizzare il ligando radioattivo, e quindi i recettori. La
seconda procedura utilizza l’immunocitochimica. I recettori sono proteine e perciò
possiamo produrre anticorpi contro di essi. Esponiamo sezioni di tessuto cerebrale
agli anticorpi (marcati con un colorante fluorescente) e le esaminiamo al
microscopio, con una luce di particolare lunghezza d’onda.
Misurazione delle secrezioni cerebrali: la cocaina blocca la ricaptazione di dopamina
e, quindi, quando si assume cocaina, la concentrazione extracellulare di dopamina
aumenta in alcune parti del cervello. Per misurare la quantità di dopamina in
particolari regioni cerebrali si utilizza una procedura denominata microdialisi. La
dialisi è un processo in cui si separano le sostanze per mezzo di una membrana
artificiale a permeabilità selettiva. Una sonda da microdialisi consiste in un tubicino
di metallo che immette una soluzione nella porzione terminale del tubo di dialisi e un
altro tubicino metallico di piccolo calibro aspira la soluzione che circola nella tasca.
Utilizziamo la chirurgia stereotassica per inserire una sonda da microdialisi nel
cervello di ratto e poi pompiamo all’interno del tubo di dialisi una piccola quantità di
soluzione simile al liquido extracellulare. Il liquido circola nel tubo di dialisi e passa
al secondo tubicino metallico, da cui è aspirato e analizzato. Il passaggio della
soluzione nel tubo di dialisi permette la raccolta di molecole del liquido extracellulare
cerebrale, che sono spinte attraverso la membrana dalla forza di diffusione.
Esaminiamo i contenuti del liquido passato attraverso il tubo di dialisi con un metodo
analitico estremamente sensibile. Poi rileviamo che la quantità di acetilcolina
presente nel liquido extracellulare del nucleo bulbare oggetto di studio effettivamente
aumenta, quando somministriamo a un ratto un’iniezione di cocaina.

Metodi genetici: i fattori genetici possono giocare un ruolo nello sviluppo delle
differenze fisiologiche: infatti un gene difettoso interferisce con lo sviluppo cerebrale
e l’anomalia neurologica causa deficit comportamentali; oppure i legami tra l’eredità
e il comportamento sono molto più sfumati, ed è necessario applicare speciali metodi
genetici per evidenziarli.

Studi sui gemelli: un potente metodo per stimare l’influenza dell’ereditarietà su un


tratto particolare consiste nel confrontare la percentuale di concordanza relativa al
tratto in questione in coppie di gemelli monozigoti e dizigoti. I gemelli monozigoti
(identici) hanno lo stesso genotipo e quindi i loro cromosomi, e
i geni che contengono, sono uguali; mentre la somiglianza genetica tra gemelli
dizigoti (fratelli) è pari in media al 50%. I ricercatori studiano i dati disponibili per
identificare coppie di gemelli in cui il tratto d’interesse è presente almeno in un
membro. Se entrambi i gemelli hanno ricevuto la stessa diagnosi, si definiscono
concordanti; se la diagnosi riguarda solo un membro della coppia, si definiscono
discordanti. Quindi, se un disturbo ha una base genetica, la percentuale di gemelli
monozigoti concordanti per la diagnosi deve risultare più elevata di quella dei gemelli
dizigoti.
Studi sull’adozione: un altro modo per stimare l’ereditarietà di un tratto
comportamentale consiste nel confrontare le persone adottate in età precoce con i loro
genitori biologici e adottivi. Tutti i comportamenti sono influenzati da fattori genetici,
fattori ambientali e la loro interazione. Se gli individui oggetto di studio somigliano
fortemente ai loro genitori biologici, concludiamo che il tratto in questione è
probabilmente influenzato da fattori genetici. Se i soggetti sperimentali somigliano ai
loro genitori adottivi, concludiamo che il tratto è influenzato da fattori ambientali. È
possibile l’influenza combinata sia dei fattori ereditari sia di quelli ambientali: in
questo caso gli individui oggetto di studio somigliano in parte ai genitori biologici e
in parte a quelli adottivi.

Studi sul genoma: il genoma umano è costituito dal DNA che codifica le nostre
informazioni genetiche e la forma particolare di un gene individuale è detta allele. Gli
studi sul genoma tentano di determinare la localizzazione dei geni responsabili di vari
tratti fisici e comportamentali. Gli studi di linkage identificano famiglie i cui membri
variano rispetto a un tratto particolare: per esempio, la presenza o l’assenza di una
determinata malattia ereditaria. Si paragona una varietà di maker, sequenza di DNA
le cui localizzazioni sono già note, con la natura di un singolo tratto individuale. Gli
studi di associazione genetica permettono ai ricercatori di comparare il genoma, o
porzioni di esso, di diversi individui, per determinare se le differenze del genoma
individuale sono correlate con la presenza o l’assenza di malattie (o altri tratti).

Mutazioni mirate: consistono in geni mutati prodotti in laboratorio e inseriti nei


cromosomi di topo. Questi geni mutati sono difettosi, in quanto non riescono a
produrre una proteina funzionale. In molti casi, il bersaglio della mutazione è un
enzima che controlla una particolare reazione chimica. In altri casi, il bersaglio della
mutazione è una proteina che svolge di per sé funzioni intracellulari utili. I ricercatori
possono persino produrre mutazioni condizionali, che inducono il genoma
dell’animale a bloccare l’espressione di un particolare gene, quando all’animale è
somministrata una specifica sostanza. Ciò permette al gene mutato di esprimersi
normalmente durante lo sviluppo dell’animale, per poi essere messo fuor
combattimento in seguito.
Oligonucleotidi antisenso: un altro metodo genetico prevede la produzione di
molecole che bloccano la sintesi delle proteine codificate da particolari geni
iniettando oligonucleotidi antisenso. Il tipico più comune consiste in sequenze
modificate di DNA o RNA, che si legano con specifiche molecole di RNA
messaggero e impediscono loro la sintesi proteica. Una volta che le molecole di
mRNA sono intrappolate in questo modo, esse sono distrutte da enzimi presenti nella
cellula. Il termine antisenso si riferisce al fatto che gli oligonucleotidi sintetici
contengono una sequenza di basi complementari a quelle contenute in un particolare
gene o molecola di mRNA.

Lezione 8 Aprile 2022

IL SONNO E I RITMI BIOLOGICI


CAPITOLO 9->
 Il sonno è un comportamento anche se non c’è alcun movimento fisico, come camminare o
parlare, fatta eccezione dei movimenti oculari rapidi che accompagnano un determinato
stadio-> ciò che lo contraddistingue è il fatto che la sonnolenza ci induce a trovare un posto
tranquillo e confortevole dove riposare.
 Il sonno è un complesso amalgama di processi fisiologici e comportamentali
 Modificazione periodica e reversibile della reattività sensoriale e motoria all’ambiente
circostante ->>Fenomeno attivo

La ricerca più attendibile sul sonno negli esseri umani si conduce nei “LABORATORI DEL SONNO”, ospitato in
un centro medico o universitario, consiste in una o più piccole camere da letto adiacenti ad una stanza di
osservazione, dove il ricercatore passa la notte (NATHANIEL KLEITMAN-> inventore del primo laboratorio
del sonno).

Il ricercatore prepara il soggetto sperimentale per le misurazioni elettrofisiologiche -> PSG:


polisonnografia:
1. ELETTROENCEFALOGRAMMA (EEG)-> posizionando gli elettrodi sullo scalpo
2. ELETTROMIOGRAMMA (EMG)-> elettrodi sul mento per l’attività muscolare
3. ELETTRO-OCULOGRAMMA (EOG)-> elettrodi intorno agli occhi
4. ELETTROCARDIOGRAMMA (ECG)-> monitora il battito cardiaco
5. SKIN CONDUCTANCE-> monitora la conduttanza cutanea (sudorazione del corpo umano)
6. BREATHING-> monitoraggio del respiro

Il sonno può essere diviso in differenti stadi analizzando il pattern, la frequenza e l’ampiezza delle
rilevazioni elettroencefalografiche dell’attività cerebrale tramite elettroencefalografia (EEG), tono
muscolare tramite elettromiografia (EMG) ed attività oculari tramite elettro-oculo grafia (EOG).

Macrostruttura del sonno->studio degli stadi del sonno


All ’interno del sonno devono essere definite due fasi separate sulla base di una costellazione di parametri
fisiologici che esistono virtualmente in tutti i mammiferi e gli uccelli: il sonno NREM e il sonno REM (Rapid-
Eye-Movent, definito anche come sonno “paradosso” o “desincronizzato”). Il sonno NREM è
convenzionalmente diviso in 4 stadi.

NB: da circa 15 anni l’American Academy of Sleep Medicine (2004) ha abolito la distinzione tra lo stadio 3 e
4, accorpandoli in un unico stadio di sonno profondo, denominato N3.
Lezione 12 aprile 2022

NORMAL SLEEP ARCHITECTURE

Durante una notte di riposo un soggetto alterna periodi di sonno REM e NREM. Ciascun ciclo dura
approssimativamente 90 minuti e contiene da 20 a 30 minuti di sonno REM. La maggior parte del sonno ad
onde lente si verifica durante la prima metà della notte. I successivi periodi di sonno NREM sono sempre
più caratterizzati dallo stadio 2, mentre si prolunga progressivamente la durata del sonno REM. In una tipica
registrazione di sonno, della durata di 7-8 ore, il sonno NREM occupa circa il 70-80% del totale del sonno,
mentre il restante è occupato dal sonno REM, strettamente associato all’attività onirica; infatti, circa l’80%
dei soggetti svegliati in corso di sonno REM è in grado di riferire dei sogni, comparati al 7 % di quelli svegliati
nel sonno NREM. Le fasi REM e NREM durante la notte si alternano ogni circa 80-120 minuti, con un
aumento della frequenza e della durata del REM man mano che si procede nel sonno.

 VEGLIA: gli stadi VV sono presenti nel periodo che precede l’apprendimento ed in seguito a risvegli
sono caratterizzati da:
o L’ATTIVITà ALFA consiste in onde regolari, di frequenza media, tra 8 e 12/13 Hz. Il cervello
produce queste onde quando una persona giace a riposo, senza essere particolarmente
impegnata o attivata da compiti mentali difficili (prevalentemente a carico degli elettrodi
occipitali e parietali).
o Blink oculari con frequenza di 0,5-2 Hz
o Invece l’ATTIVITà BETA consiste in onde irregolari, di ampiezza elevata, tra i 15 e 30 Hz.
Questa attività mostra una DESINCRONIZZAZIONE, cioè riflette il fatto che molti circuiti
neuronali diversi del cervello stanno attivamente elaborando le informazioni-> succede
quando una persona è vigile e attenta agli eventi ambientali, oppure è impegnata in
compiti cognitivi.
o Tono muscolare elevato registrato all’elettrodo mentoniero.

 STADIO I NREM: lo stadio N1 è il periodo di sonno superficiale che più


comunemente si osserva nella fase iniziale dell’addormentamento. Viene
identificato tramite i seguenti criteri:
o Presenza di lenti movimenti oculari coniugati e sinusoidali
o Presenza di onde di frequenza non superiore a 4-7 Hz e di bassa ampiezza rispetto al ritmo
alfa, è detto ->ritmo theta o anche ATTIVITà THETA (3,5-7,5 Hz), che indica che le scariche
dei neuroni nella corteccia stanno diventando più sincronizzate. Questa tipologia di onde
sono presenti nello stadio I del sonno-> questo stadio rappresenta la transizione tra la
veglia e il sonno, dopo 10 min. si entra nello stadio II.
o L’attività muscolare è ridotta rispetto alla fase di veglia
 STADIO II NREM: lo stadio N2 è il periodo di sonno di profondità intermedia. Caratterizzata da:
o Onde theta
o COMPLESSI DEL SONNO: o anche “spindles”, consiste in brevi salve di onde di 12-14 Hz, che si
verificano da due a cinque volte a minuto durante gli stadi I-IV del sonno, sono di durata superiore
o uguale a 0,5 secondi, con massima ampiezza nelle derivazioni centrali. Sono implicati nel
consolidamento della memoria, e un l’aumento del loro numero è il risultato correlato ai punteggi
più elevati di un test di intelligenza, riduce anche la sensibilità celebrale agli impulsi sensoriali,
disconnettendo il cervello dagli impulsi esterni.
o COMPLESSI K: consiste in rapide e improvvise deflessioni verso l’alto e verso il basso che
contrariamente ai fusi del sonno, si rivelano esclusivamente nello stadio II. Insorgono
spontaneamente, alla velocità di circa uno al minuto, ma possono essere indotti dai rumori, specie
quelli improvvisi. Di solito consiste in periodi isolati di inibizione naturale-> sembrano essere
precursori delle onde delta, che appaiono nei livelli più profondi del sonno.
o Attività muscolare di intensità inferiore rispetto allo stadio N1
 STADIO III NREM: lo stadio N3 indica il periodo di sonno più profondo. È caratterizzato da:
o Ritmo di elevata ampiezza (> 75microVolt) e bassa frequenza (0,5-2 Hz), prevalente nelle
regioni frontali, detto ritmo Delta o ATTIVITà DELTA
o Ulteriore diminuzione dell’attività muscolare rispetto allo stadio N2.
 STADIO IV NREM: Delta EEG (0,5-2 Hz) = 6,9 +2,3+10,5+4,1= 23,8 sec
o 23,8/30=79% dell’epoca

LA DISTINZIONE TRA STADIO III E IV NON è NETTA: LO STADIO III CONTIENE DAL 20% AL 50% DI
ATTIVITà DELTA, MENTRE LO STADIO IV NE CONTIENE Più DEL 50%. Poiché l’attività EEG a onde delta
predomina lo stadio III e IV del sonno, questi stadi si definiscono collettivamente SONNO AD ONDE LENTE.

STADIO REM-> sonno paradosso o anche onirica:

o Presenza di movimenti oculari coniugati, rapidi, irregolari con una deflazione iniziale
o L’EEG più desincronizzato (attività beta come nella veglia e per questo chiamato “paradosso”), brevi
sequenza di onde alfa
o Ipotonia muscolare rilevata dall’elettrodo elettromiografico mentoniero - nella fase REM la maggior
parte dei motoneuroni centrali e spinali è fortemente inibita. - Bursts di attività muscolare di
durata inferiore a 0,25 secondi (“TWITCH”), rilevabili nella derivazioni EMG, EEG e EOG,
prevalentemente associate ai movimenti oculari.
 CHARACTERISTICS OF REM AND NREM:

SONNO REM SONNO NREM


Desincronizzazione dell’EEG (onde rapide e Sincronizzazione dell’EEG (onde lente)
irregolari)
Assenza di tono muscolare Tono muscolare moderato
Movimenti oculari rapidi Movimenti oculari lenti o assenti
Erezione peniena o secrezione vaginale Assenza di attività genitale
Sogni

 CEREBRAL O2 METABOLISM AND CEREBRAL BLOOD FLOW DURING DEEP AND RAPID-EYE-
MOVEMENT SLEEP:
o Nel sonno REM il flusso incrementa del 30-40% rispetto ai valori del sonno NREM.
o Sonno NREM -> metabolismo ridotto del 75% rispetto ai livelli di veglia. Le regioni più attive durante
la veglia sono quelle che presentano più onde delta durante il sonno e livelli minori di attività
metabolica.
 Attività ONIRICA -> sogni correlati a quello che è successo nei giorni prima e li rielabori in maniera
diversa, contenuto emotivo.

Durante il sonno rem ci sono varie regioni attive e altre disattivi:

o Le parti attive sono le seguenti (nella fase REM) -> cingolo anteriore, amigdala, tegmento pontino,
corteccia paraippocampale.
o Le parti disattive sono le seguenti (nella fase REM) -> corteccia pre-frontale dorsolaterale e cingolo
posteriore.

Classificazione dei disturbi del sonno->


 DISSONNIE: anomalie della quantità, qualità, o del ritmo del sonno;
 PARASSONNIE: caratterizzate da comportamenti anomali o da eventi fisiopatologici che si verificano
durante il sonno, durante specifici stadi del sonno o nei passaggi sonno-veglia.
1. DISTURBO DEL SONNO CORRELATO AD UN ALTRO DISTURBO MENTALE
2. DISTURBO DEL SONNO DOVUTO AD UNA CONDZIONE MEDICA GENERALE
3. DISTURBO DEL SONNO INDOTTO DA SOSTANZE

DISSONIE PARASONNIE
Insonnia Parasonnie del sonno REM
Ipersonnia Parasonnie nel sonno NREM
Narcolessia
Disturbi del sonno correlato alla respirazione
Disturbo del ritmo cardiaco del sonno

Dissonnia non altrimenti specificata

Ora vedremo più nel dettaglio le varie dissonnie e parasonnia:

DISSONNIE:
 INSONNIA: partiamo dicendo che l’insonnia è un problema occasionale per circa il 25% della
popolazione e persiste solo nel 9% dei casi.
Viene descritta come la difficoltà ad addormentarsi dopo esseri andati a letto o a seguito di un
risveglio durante la notte. Esiste una particolare forma di insonnia che è causata dall’incapacità di
dormire e respirare nel contempo -> APNEA MORFEICA, si addormentano e quindi smettono di
respirare. Quando succede il livello ematico di anidride carbonica stimola i chemiorecettori
(recettori che rilevano la presenza di alcune sostanze chimiche), la persona si sveglia annaspando in
cerca di aria. Il livello ematico di aria torna normale e la persona torna a dormire. Le persona con
questo problema tipicamente si sentono sonnolente e intontite durante il giorno.
Questo problema è causato da un’ostruzione delle vie aeree che può essere corretta
chirurgicamente o ridotta con una maschera da portare sul viso durante il sonno, che fornisce aria
pressurizzata in grado di mantenere pervie le vie aeree.

CRITERI DIAGNOSTICI:
(A) Viene riferita una predominante insoddisfazione riguardo la quantità o la qualità del sonno,
associata a uno (o più) dei seguenti sintomi:
1. Difficoltà a iniziare il sonno (nei bambini, questa può manifestarsi come difficoltà a iniziare
il sonno senza l’intervento della persona che se ne prende cura)
2. Difficoltà a mantenere il sonno, caratterizzata da frequenti risvegli o problemi a
riaddormentarsi dopo essersi svegliati (nei bambini, questa può manifestarsi come
difficoltà di riaddormentarsi senza l’intervento della persona che se ne prende cura)
3. Risveglio precoce al mattino con incapacità di riaddormentarsi
(B) L’alterazione del sonno causa disagio clinicamente significativo o compromissione del
funzionamento in ambito sociale, lavorativo, scolastico, universitario, comportamentale o in
altre aree importanti.
(C) La difficoltà del sonno si verifica almeno 3 volte a settimana.
(D) La difficoltà del sonno persiste almeno 3 mesi.
(E) La difficoltà del sonno si verifica nonostante adeguate condizioni per dormire.
(F) L’insonnia non è meglio spiegata da, e non si verifica esclusivamente durante il decorso di, un
altro disturbo del sonno-veglia (per esempio; narcolessia, un disturbo del sonno correlato alla
respirazione, un disturbo circadiano del ritmo sonno-veglia, una parasonnia)
(G) L’insonnia non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (sostanza di abuso, farmaco)
(H) Disturbi mentali e condizioni mediche coesistenti non spiegano adeguatamente il disturbo
predominante di insonnia.

SPECIFICARE SE:

o Comorbilità con un disturbo mentale non correlato al sonno, compresi i disturbi da uso di
sostanze
o Comorbilità con un’altra condizione medica
o Comrbilità con un altro disturbo del sonno

SPECIFICARE SE:

o Episodico -> i sintomi durano per almeno un mese, ma meno di 3 mesi


o Cronico -> i sintomi durano per almeno 3 mesi o più
o Ricorrente -> due (o più) episodi nell’arco di 1 anno

 OSAS: episodi ripetitivi di ostruzione parziale o totale delle vie aeree durante il sonno.
Un’interruzione del respiro superiore ai 10 secondi, in cui il passaggio dell’aria è ostacolato o si
compiono sforzi meccanici respiratori per vincere questa resistenza, nonostante i comandi nervosi
e l’attività dei muscoli respiratori siano presenti. Si parla di OSAS quando si verificano più di cinque
apnee PER OGNI ORA di sonno. Il continuo reiterarsi delle apnee delle apnee induce una serie di
MICRO o MACRO risvegli.
 NARCOLESSIA: disturbo neurologico caratterizzato da sonno in momenti inadeguati che ha come
sintomo più evidente l’attacco di sonno – bisogno incontrovertibile di dormire che si verifica
frequentemente in condizioni monotone e noiose-
Il sonno dura circa 2-5 minuti e la persona si sente riposata.
La cataplessia è l’improvvisa perdita del tono muscolare, la persona cade a terra come un sacco di
patate completamente cosciente, periodo di pochi secondi o di diversi minuti. Spesso provocata da
improvvise emozioni, particolarmente il riso. Coscienza conservata durante l’attacco. Durata tra
pochi secondi fino a molti minuti; ripresa completa senza deficit.
La perdita del tono varia del collasso completo con caduta fino al modesto della testa, faccia,
mandibola o cedimento delle ginocchia.
Muscoli respiratori ed oculomotori risparmiati. La paralisi del sonno transitoria e generalizzata
incapacità di muoversi e a parlare alla transizione tra sonno e veglia. Invece le allucinazioni
ipnagogiche allucinazioni visive vivide, all’inizio del sonno, spesso associate a paura.

Per finire abbiamo la orexina che consiste nel recettore di un neurotrasmettitore peptidico recentemente
scoperto, denominato “ipocretina” da alcuni ricercatori, invece da altri orexina.

Il nome “ipocretina” deriva dal fatto che l’ipotalamo laterale contiene i corpi cellulari di tutti i
neuroni che secernano questo peptide. Invece “orexina” è dovuto al ruolo giocato da questo
peptide nel controllo dell’alimentazione e del metabolismo, ha anche un ruolo cruciale negli effetti
fisiologici e comportamentali delle sostanze che provocano dipendenza (orexina A e B).

PARASSONNIE:
 DISTURBI DELL’AROUSAL:
o Confusional arousal (“eccitazione confusa”)
o Sleepwalking (“sonnambulismo”)
o Sleep terrors (“i terrori del sonno”)
 PARASSONNIE DEL SONNO REM:
o REM sleep behavior disorders (“Disturbi del comportamento del sonno REM”)
o Nightmare Disorders (“disturbi da incubo”)
o Recurrent isolated slepp paralysis (“ricorrente o isolata paralisi del sonno”)
 ALTRE PARASONNIE:
o Sleep related dissociative disorders (“disturbi dissociativi legati al sonno”)
o Enuresi notturna
o Sleep related Groaning (catathrenia) (“gemiti legati al sonno”)
o Sleep related eating disorders (“allucinazioni legate al sonno”)
o Parasomnias due to drung or medical condition (“parasonnie dovute alla droga o
condizioni mediche”)

CARATTERISTICHE COMUNI DELLE PARASONNI NREM


Sintomi chiari e drammatici
Insorgenza nel primo terzo della notte
Durata solitamente 1-5’
Amnesia
Familiarità
Non problemi medici associati
Assenza di anomalie PSG
Scarsa efficacia terapeutica
Risoluzione spontanea
Etiologia sconosciuta

 SLEEPWALKING (somnabulism): Una serie di comportamenti automatici più o meno complessi


che hanno inizio durante un’arousal dal sonno ad onde lente nella prima parte della notte e che
spesso esitano nell’abbandono del letto e in un’attività deambulatoria.
Gli episodi non durano più di minuti, al massimo 30 minuti, e si concludono con un risveglio
autonomo o provocato, in stato confusionale. A livello dell’EEG prima dell’episodio sonnambolico ci
può essere un’ipersincronizzazione EEG ad alto voltaggio oppure treni di onde alfa caratteristici
della fase di risveglio. Significativo il contrasto tra muoversi, aprire gli occhi, ecc… e contemporanea
attività delta.
Le sue caratteristiche principali sono:
o Disorientamento
o Comportamento motorio
o Relativa non responsività agli eventi esterni
o Amnesia retrograda variabile
 PAVOR NOCTURNUS: (terrore notturno) la manifestazione più rimarchevole consiste in un brusco
risveglio con urla di paura o crisi di pianto che non possono essere interrotte dall’esterno. Si verifica
anch’esso principalmente durante gli stadio III e IV del primo terzo della notte. L’iperattività
neurovegetativa è ravvisabile attraverso una forte sudorazione, dilatazione pupillare, tachicardia e
tachipnea. Rilevante è la sproporzione tra l’aspetto manifesto dell’episodio e la rimembranza
soggettiva: al risveglio il soggetto non ricorda in genere nulla dell’accaduto. Dal punto di vista
polisonnografico possono manifestarsi prima della crisi di terrore, treni di onde delta più ampi del
solito e soprattutto un’accelerazione della frequenza cardiaca.
 PARASONNIE DEL SONNO REM:
o NIGHTMARE DISORDERS – si tratta di un lungo sogno pauroso (in fase REM a differenza del
precedente), in grado di risvegliare il soggetto e che egli è perfettamente in grado di
ricordare.
o REM BEHAVIOR DIOSORDERS: il disturbo comportamentale in REM (RBD) è caratterizzato
dalla perdita intermittente dell’atonia muscolare in REM e dalla comparsa di attività
motoria complessa associata con attività mentale di tipo onirico.
 OTHER PARASOMNIAS:
o BRUXISMO: contrazioni ritmiche e ripetute dei muscoli della masticazione producono un
fastidioso stridore dei denti, facilmente udibile nella stanza del dormiente. Si tratta di un
disturbo relativamente frequente (10-20% della popolazione) con componente familiare, di
cui non esiste per ora dimostrazione genetica. Anche se non sono noti i centri nervosi da
cui si origina sembra accertato l’intervento del sistema dopaminergico nigrostriale.
o DISTURBO DELL’ALIMENTAZIONE CORRELATO AL SONNO : la persona si alza dal letto, cerca
del cibo e lo consuma, nel corso di un atto di sonnambulismo, di solito senza ricordare
l’episodio.

Lezione 22 aprile 2022

Perché dormiamo?
“If sleep does not serve an abosolutely vital function, the nit is the biggest mistake the evolutionary
process ever made”-“se il sonno non serve assolutamente per le funzioni vitali, allora è il più
grande sbaglio mai fatto dal processo evolutivo dell’uomo”- Allan Rechtschaffen

 DEPRIVAZIONE DEL SONNO:


Horne (’78) -> la deprivazione di sonno non interferisce con l’abilità di eseguire esercizi fisici (non
sembra essere necessario a mantenere normale il funzionamento del corpo), ma con quelle
cognitive (es. distorsioni nelle percezioni, difficoltà di concentrazione).
Il sonno ad onde lente e il sonno REM sembrano promuovere diversi tipi di apprendimento, mentre
il sonno REM agevolerebbe lo sviluppo celebrale.

 SONNO AD ONDE LENTE ED ESERCIZIO FISICO: cambiamenti nel livello individuale di esercizio
fisico non alterano in modo significativo la qualità di sonno in maniera eccessiva.
 SONNO AD ONDE LENTE ED ATTIVITà MENTALE: una giornata impegnativa dal punto vista
mentale si associa con maggiore quantità di sonno profondo.
 Le regioni più attive durante la veglia sono quelle che presentano più onde delta durante il sonno e
livelli minori di attività metabolica. Quindi la presenza di onde delta in quella regione può indicare
che quell’area sta riposando.
È stato ipotizzato che uno dei prodotti di rifiuto conseguenti all’elevato tasso metabolico associato
all’attività di veglia del cervello sia costituito dai radicali liberi, sostanze chimiche che possono
danneggiare le cellule nervose. I radicali liberi sono molecole molto reattive e ossidanti prodotte
dal metabolismo dell'ossigeno. I radicali liberi hanno uno o più elettroni spaiati, quindi liberi, e
questa caratteristica li rende altamente reattivi, poiché instabili. Per raggiungere la stabilità, infatti,
i radicali liberi sottraggono un elettrone da altre molecole, ossidandole (“stress ossidativo”). In
questo modo il radicale ottiene un numero di elettroni pari e non più spaiati, il che lo rende stabile.
Il problema è che la molecola da cui il radicale ha sottratto un elettrone, diventa a sua volta
instabile, dunque il processo attivato dal radicale continua.
Esiste un disturbo neurologico ereditario, insonnia familiare fatale che causa il danneggiamento di
porzioni telematiche. I sintomi di questa condizione che è correlata alla malattia di Creuzfeldt-Jacob
e all’encefalopatia spongiforme bovina, includono deficit di attenzione e memoria, stati
confusionali e sognante, perdita di controllo nervoso autonomo e del sistema endocrino, aumento
della temperatura corporea e insonnia.

IL SONNO NELL’ARCO DELLA VITA

SONNO E APPRENDIMENTO
La memoria a lungo termine:

memoria semantica
Memoria
Dichiarativa
(ESPLICITA )
memoria episodica

MLT
condizionamento
classico

Memoria NON
Dichiarativa priming
(IMPLICITA)

memoria
procedurale
Si può notare un
miglioramento di
prestazioni dei
soggetti, in un
compito di
discriminazione
visiva non
dichiarativa, si
osserva solo
dopo un pisolino
di 90 minuti che
includeva sia il
sonno ad onde
lente sia il sonno REM.

Sonno come uno stato che svolge molteplici funzioni, alcune delle quali sarebbero più importanti in alcune
fasi della vita rispetto ad altre

FUNZIONE SONNO NREM SONNO REM


Riposo del cervello + +
Rifornimento del glicogeno +
celebrale
Sintesi dei tessuti e mitosi +
cellulare
Sintesi proteica + +
Rilascio dell’ormone della +
crescita
Termoregolazione +
Conservazione energetica +
Regolazione dell’attività +
noradrenergica
Consolidamento della memoria e
processamento +
dell’informazione
Sviluppo celebrale
Maturazione cellulare
Sviluppo del controllo
oculomotore
Programmazione di
comportamenti geneticamente
determinati
Stimolazione neurale
LEZIONE 26 APRILE 2022

Come abbiamo visto il sonno


è REGOLATO, cioè se un
organismo è deprivato di
sonno ad onde lente o sonno
REM, tende a recuperare
almeno una parte del sonno
perduto, non appena gli è
possibile.

Esiste un meccanismo
fisiologico che controlla la
quantità di sonno totale in
organismo -> tiene il conto
del debito di sonno che
contraiamo durante le ore di
veglia.

In genetica si definiscono alleli le due o più forme


alternative dello stesse gene che si trovano nella stessa
posizione su ciascun cromosoma omologo.

Allele G/A più sono ad onde lente rispetto a chi ha un


allele G/G.

La caffeina blocca i recettori dell’ADENOSINA


(neuromodulatore del SNC) e produce effetti eccitatori.

Arousal -> sono i circuiti di neuroni che secernano almeno cinque differenti neurotrasmettitori giocano un
ruolo in alcuni aspetti del livello di vigilanza e veglia dell’animale. E sono le seguenti.

 ACETILCOLINA (ACh): sono due gruppi di neuroni acetilcolinergici, uno a livello del ponte e un
altro localizzato nel proencefalo basale (nucleo basale e ponte dorsolaterale), producono
attivazione e desincronizzazione corticali, solo se stimolati. Un terzo gruppo situato a livello del
setto mediale, controlla l’attività dell’ippocampo.
Gli antagonisti acetilcolinergici riducono i segnali EEG dell’arousal corticale, mentre gli agonisti
acetilcolinergici li aumentano.
Hanno usato anche la microdialisi per misurare il rilascio di acetilcolinha nell’ippocampo e nella
neocorteccia, due regioni le cui attività è strettamente correlata alla vigilanza all’arousal
comportamentale dell’animale. I ricercatori hanno rilevato che i livelli di acetilcolina in queste
regioni sono elevati in stato di veglia sia durante il sonno REM, periodi in cui l’EEG mostra attività
desincronizzate, al contrario sono bassi durante il sonno ad onde lente.

 NOREPINEFRINA (NA): I ricercatori sanno da tempo che


gli agonisti delle catecolamine, come le anfetamine,
producono arousal e aboliscono il sonno. Questi effetti
vengono mediati principalmente dal sistema
noradrenergico del locus coeruleus (LC) che si trova nel
ponte dorsale. Questi neuroni inviano assoni riccamente
ramificati che rilasciano norepinefrina (dalle varicosità
assonali) a livello di neocorteccia, ippocampo, talamo,
corteccia cerebellare, ponte e bulbo.
L’attività dei neuroni noradrenergici del LC di ratti liberi di
muoversi, durante la veglia e vari stadi del sonno, in particolare nel sonno ad onde lente è bassa,
invece nel sonno REM è quasi azzerato.

 SEROTONINA (5-HT): sembra essere


implicata nell’attivazione
comportamentale. Questi neuroni
serotoninergici si trovano nel nucleo del
rafe, localizzati nelle aree bulbari e
pontine della formazione reticolare. Gli
assoni di questi neuroni si trovano in
diverse parti del cervello inclusi talamo,
ipotalamo, gangli della base, ippocampo e
neocorteccia.
La stimolazione dei nuclei del rafe causa locomozione e arousal corticale (misurati nell’EEG),
mentre la paraclorofenilanina (PGPA), cioè un farmaco che viene dalla sintesi della serotonina, e
riduce l’arousal corticale.
Secondi alcuni scienziati il contributo specifico da parte di questi neuroni sta nel semplificare dei
movimenti automatici come camminare, masticare o pulirsi.
Sono più attivi durante la veglia, la loro velocità di depolarizzazione declina nel corso del sonno
NREM, arrivando virtualmente a zero in fase REM. Alla fine del periodo REM, i neuroni tornano ad
essere temporaneamente attivi.

 ISTAMINA: composto sintetizzato dall’aminoacido istidina. I corpi cellulari dei neuroni


istaminergici sono localizzati nel nucleo tuberomammillare (NTM) dell’ipotalamo, situato alla base
del cervello, appena rostralmente rispetto ai corpi mammillari. Gli assoni proiettano principalmente
alla corteccia cerebrale, al talamo, ai gangli della base, al proencefalo basale e all’ipotalamo.
I neuroni istaminergici risultano elevati durante la veglia e più bassi durante il sonno ad onde lente
e sonno REM. L’iniezione di sostanze che provengono la sintesi di istamina o bloccano i recettori
istaminici H1 che riduce la veglia e incrementa il sonno.
Il controllo della veglia è diviso con altri neurotrasmettitori (norepinefrina, serotonina, acetilcolina
 OREXINA: I corpi cellulari che secernano l’orexina sono
localizzati nell’ipotalamo laterale. Gli assoni orexinergici
terminano in quasi ogni parte del cervello, inclusa la
corteccia cerebellare e tutte le regioni implicate
nell’arousal e nella veglia, locus coerules, nuclei del rafe,
nuclei tuberomammillari e i neuroni acetilcolinergici del
ponte dorsale e del proencefalo basale. In tutte queste
regioni, l’orexina ha un effetto eccitatori.
I neuroni scaricano a velocità elevata durante la vigilanza
o la veglia attiva, e a velocità bassa nel corso di veglia
quieta, sonno ad onde lente e sonno REM. Le velocità di scarica più elevate sono osservate quando
i ratti erano impegnati nell’attività esploratoria.

Sonno regolato da 3 FATTORI:

o OMEOSTATICO: stessi principi che regolano assunzione di cibo e liquidi (ADENOSINA – che si
accumula durante il giorno, quindi durante la veglia, e viene distrutta durante il sonno ad onde
lente)
o ALLOSTATICO: situazioni ambientali legate allo stress (OREXINA – risposte ormonali o neurali a
situazioni stressanti e dei neuropeptidi implicati nei meccanismi della fame della sete)
o CIRCADIANO: relativi al momento del giorno (LUCE/BUIO)

o APVL: area preottica ventrolaterale


 Questa immagina mostra l’attività della
cellula REM-ON, la cui velocità di
depolarizzazione è più elevata in fase REM.
L’aumento dell’attività comincia
approssimativamente 80 secondi prima
dell’inizio del sonno REM. Questi risultati
suggeriscono che i neuroni acetilcolinergici del ponte dorsale servono da meccanismo di innesco
dei periodi di sonno REM.

 SLD: nucleo
sottolaterodorsale
 PAGvl: sostanza
grigia
pariacquedottale
ventrolaterale

La stimolazione della regione


REM-ON con infusione di
agonisti del glutammato elicita la maggior parte degli elementi del sonno REM, mentre la sua inibizione con
agonisti del GABA compromette il sonno REM. Al contrario, la stimolazione della regione REM-OFF
sopprime il sonno REM, mentre la lesione di questa regione o l’infusione di agonisti del GABA incrementa in
modo estremo il sonno REM.
RITMI BIOLOGICI
Esistono vari tipi di ritmi:

1. Ultradiani-> NREM-REM, Basic Rest-Activity Cycle, respirazione


2. Circadiani-> ciclo sonno-veglia
3. Infradiani-> ciclo mestruale
4. Circoannuali-> ciclo riproduttivo

Alcuni di questi ritmi circadiani consistono in risposte passive alle variazioni di luminosità. Altri sono
controllati dagli orologi biologici del cervello. Il principale orologio biologico è localizzato nei nuclei
sovrachiasmatici (NSCs) dell’ipotalamo. La luce, rilevata da speciali cellule retiniche non coinvolte nelle
percezione visiva, funziona da zeitgeber (“datore di tempo”, “sincronizzatore”) per la maggioranza dei ritmi
circadiani.

L’attività di un ratto in diverse condizioni di luminosità. Le linee nere


indicano il tempo passato nello stato di veglia. In un normale ciclo
giorno-notte, il ratto alterna periodi di 12 ore di sonno e veglia.

Cosa succede se modifichiamo il ciclo luce-buio facendo iniziare il


buio 4 ore prima? Rapido mutamento di attività dell’animale.

Cosa succede se lasciamo accesa ininterrottamente una luce soffusa?


La ritmicità si mantiene con un leggero slittamento (l’animale inizia il
ciclo di attività almeno un’ora dopo, ogni giorno).

Dal momento che l’ambiente non forniva cicli di luce e buio, la fonte
di tale ritmicità deve essere localizzata all’interno dell’animale ->
OROLOGIO BIOLOGICO INTERNO.
Questo orologio biologico
interno non è regolato
precisamente sulle 24 ore, ma
è leggermente più lento ->
l’animale inizia il ciclo di
attività almeno un’ora dopo,
ogni giorno. Orologio interno
basato su un CICLO DI 25 ORE
(free running).

Il TRATTO RETINO-IPOTALAMICO-> è responsabile della sincronizzazione dei ritmi circadiani sono delle
cellule gangliari retiniche che contengono una sostanza fotochimica detta, MELANOPSINA. Le cellule
gangliari che contengono questa sostanza sono sensibili alla luce e i loro assoni terminano nel SNC.

 PROKINETICINA (PK2): diverse prove suggeriscono che sebbene queste connessioni giochino un
ruolo critico nel controllo del ritmo sonno-veglia, anche la secrezione di sostanze chimiche prodotte
direttamente dal NCS (nucleo sovrachiasmatico) risulta essere importante.
Come fa il NCS ha controllare i cicli di sonno e veglia? Gli assoni efferenti del NCS responsabili
dell’organizzazione dei cicli di sonno e di veglia nella zona sottoparaventricolare (ZSP), una regione
appena dorsale al NSC. Le lesioni eccito tossiche della porzione ventrale della ZSP, aboliscono i ritmi
circadiani di sonno e veglia. La ZSP invia proiezioni al nucleo dorsomediale dell’ipotalamo (IDM), che
a sua volta è connesso con diverse regioni del cervello, incluse due che giocano un ruolo critico del
controllo del sonno e della veglia: l’APVL e i neuroni orexinergici dell’ipotalamo laterale. Queste
proiezioni all’APVL sono inibitorie e quini inibiscono il sonno, mentre le proiezioni ai neuroni
orexinergici sono eccitatorie e dunque promuovono la veglia  L’attività di queste connessioni
varia nel corso del ciclo sonno/veglia.
Sebbene le connessioni dei neuroni del NSC con la ZSP giochino un ruolo critico nel controllo
circadiano del sonno e della veglia, diversi esperimenti suggeriscono che parte del controllo
funzionale esercitato dal NSC può essere mediato dalla secrezione di segnali chimici, che si
diffondono attraverso il liquor.

 I ricercatori credono che i ritmi circadiani siano il


risultato delle sintesi di una proteina il cui accumulo
oltre un certo livello ne inibisce l’ulteriore
produzione, comportando la sua progressiva
riduzione -> il ticchettio è generato dal tempo
necessario a produrre e degradare un insieme di
proteine.
 La ghiandola pineale situata di fronte il cervelletto. Secerne un ormone denominato melatonina
(controllata dalle connessioni tra NCS e NPV dell’ipotalamo). In risposta all’impulso del NSC la
pineale secerne melatonina durante la notte, controllando ormoni, processi fisiologici e
comportamenti che esibiscono variazioni stagionali (lesioni a queste strutture o alle loro
connessioni aboliscono i ritmi stagionali).

Quando una persona modifica bruscamente i ritmi circadiani interni (controllati dal NSC) si desincronizzano
rispetto a quelli dell’ambiente esterno, e i ritmi giornalieri di attività si possono verificare due casi:

1. La sindrome del jet lag, che solitamente dura all’incirca un paio di giorni, dopo di che il corpo si
abitua al nuovo ciclo sonno/veglia
2. La sindrome del turista, invece, si tratta sempre della desincronizzazione tra i ritmi interni e quelli
esterni, ma è più persistente se il cambiamento è più frequente

La soluzione per queste due sindromi è di sincronizzare i ritmi interni con quelli esterni nel modo più veloce
possibile. Il modo più ovvio per cominciare consiste nell’esposizione dell’individuo a intesi zeigeber al
momento giusto -> questa esposizione alla luce intensa prima del raggiungimento del livello minimo nel
ritmo giornaliero della temperatura corporea, ritarda il ritmo circadiano, invece quando l’esposizione
avviene dopo il raggiungimento del livello minimo nel rimo giornaliero della temperatura corpora, il
risultato è un avanzamento di fase. Se avviene al momento giusto facilita la transizione.

La stessa cosa vale per l’assunzione della melatonina, cioè se si assume al momento adeguato la melatonina
riduce significativamente gli effetti collaterali sia del jet lag sia della sindrome del turista.

Le persone non vedenti mostrano i ritmi circadiani desincronizzati free-running, in questo caso la
somministrazione della melatonina prima di dormire aiuta a sincronizzare i ritmi circadiani e si è dimostrato
in grado di migliorare i cicli del sonno.

Cap 11
LE EMOZIONI, il termine emozione può assumere significati diversi. Innanzitutto si
riferisce a sensazioni, positive o negative, generate da particolari situazioni, ma
l’emozione può essere anche definita come modelli di comportamento fisiologici
associati a particolari comportamenti e queste risposte sono accompagnate da
sensazioni
emotive. Il
comportamento
determina
importanti
conseguenze per
la sopravvivenza e
la riproduzione, e sono le funzioni adattive assolte dai comportamenti emozionali che
hanno guidato l’evoluzione del nostro cervello. L’emozione può essere definita come
la disposizione a rispondere a stimoli esterni o interni che comprende almeno 3
componenti: quella comportamentale, quella vegetativa e quella ormonale. Le
emozioni di base sono 6: gioia, paura, rabbia, tristezza, sorpresa e disgusto.

Emozioni come modelli organizzati di risposta: una risposta emozionale


è formata da tre diverse componenti: una componente comportamentale, una
vegetativa e una ormonale. La componente comportamentale consiste in
movimenti muscolari appropriati alla situazione stimolo (es. postura aggressiva).
La componente vegetativa facilita quella comportamentale, provvedendo ad una
rapida mobilitazione dell’energia, per consentire movimenti rigorosi (es. la
frequenza cardiaca aumenta). La componente ormonale potenzia le risposte
vegetative (es. gli ormoni adrenalina e noradrenalina aumentano l’afflusso del
sangue verso i muscoli e stimolano l conversione in glucosio delle sostanze
nutritive ivi immagazzinate).

Paura: le risposte emotive coinvolgono componenti comportamentali, vegetative


e ormonali. Queste componenti sono controllate da sistemi neurali distinti.
L’integrazione delle componenti della paura sembra dipendere dall’amigdala.
Ricerca su animali di laboratorio: l’amigdala svolge una funzione determinante
nelle reazioni fisiologiche e comportamentali ad oggetti e situazioni che rivestono
un significato biologico particolare. Numerosi ricercatori hanno dimostrato che
singoli neuroni di vari nuclei dell’amigdala si attivano in presenza di stimoli
emotivamente rilevanti. L’amigdala (o complesso amigdaloideo) è localizzata
all’interno dei lobi temporali ed è suddivisa in dodici regioni, tra cui le principali
sono: il nucleo laterale, il nucleo basale e il nucleo centrale. Il nucleo laterale
(LA) riceve informazioni sensoriali da tutte le regioni della neocorteccia, inclusi
corteccia prefrontale ventromediale, talamo e formazione ippocampale. Il nucleo
laterale invia informazioni al nucleo basale (B) ed altre parti del cervello, inclusi
lo striato ventrale e il nucleo dorsomediale del talamo. I nuclei LA e B forniscono
informazioni alla corteccia prefrontale ventromediale e al nucleo centrale (CE),
che proietta ad aree dell’ipotalamo, del mesencefalo, del ponte e del bulbo,
responsabili dell’espressione di diverse componenti delle risposte emozionali. Il
nucleo centrale dell’amigdala è la regione cerebrale più importante per
l’espressione di risposte emozionali a stimoli nocivi. Una lesione del nucleo
centrale riduce o abolisce un’ampia gamma di comportamenti emozionali e di
risposte fisiologiche. Infatti in seguito alla distruzione del nucleo centrale, gli
animali non mostrano segni di paura in presenza di stimoli associati ad eventi
nocivi. Al contrario, se l’amigdala centrale è stimolata, gli animali mostrano i
segni fisiologici e comportamentali della paura e dell’agitazione, e una
stimolazione protratta per lungo tempo del nucleo centrale dell’amigdala provoca
malattie da stress.

Alcuni stimoli attivano automaticamente il nucleo centrale dell’amigdala e


producono reazioni di paura (es. rumori forti ed improvvisi). Ancora più rilevante
è il fatto che possiamo apprendere che una particolare situazione può rappresentare
un pericolo o una minaccia. Una volta che l’apprendimento è avvenuto, possiamo
spaventarci ogni qualvolta ci imbattiamo in quello stimolo o situazione. La forma
più basilare di apprendimento emotivo è la risposta emozionale condizionata,
che è prodotta da uno stimolo neutro che è stato associato ad uno stimolo in grado
di suscitare automaticamente un’emozione. Il termine condizionato fa riferimento
al processo di condizionamento classico. Diversi laboratori hanno studiato il ruolo
giocato dall’amigdala nell’acquisizione di risposte emozionali condizionate
secondo il paradigma classico. Ad esempio, queste risposte possono essere evocate
nei ratti, accoppiando uno stimolo acustico (una nota) ad una breve scossa
elettrica. La sola somministrazione della scossa è in grado di determinare una
risposta emozionale incondizionata; mentre dopo diverse somministrazioni dei due
stimoli appaiati, in genere si instaura il condizionamento classico. Il giorno
successivo, se la nota è presentata da sola, il monitoraggio fisiologico rileva le
stesse risposte evocate durante l’addestramento dalla scossa elettrica. Inoltre, gli
animali esibiscono arresto comportamentale: una risposta difensiva specie-
specifica definita “freezing”. In pratica, gli animali si comportano come se
temessero di ricevere una scossa da un momento all’altro. La nota diventa uno
stimolo condizionato (SC) che elicita il freezing: una risposta condizionata (RC).
Le ricerche suggeriscono che i cambiamenti fisici responsabili del
condizionamento classico di una risposta emozionale condizionata hanno luogo
nel nucleo laterale dell’amigdala. I neuroni del nucleo laterale comunicano con
quelli del nucleo centrale, che a loro volta sono interconnessi con regioni di
ipotalamo, mesencefalo, ponte e bulbo, responsabili delle componenti
comportamentali, vegetative e ormonali della risposta emozionale condizionata. I
meccanismi neurali responsabili delle risposte emozionali classicamente
condizionate si sono evoluti perché giocano un ruolo nella sopravvivenza che eviti
situazioni pericolose. In laboratorio, se lo SC (la nota) viene presentato
ripetutamente da solo, la RC scompare, cioè si estingue. Dopo tutto, il valore della
risposta emotiva condizionata consiste nel preparare l’animale ad affrontare o
evitare uno stimolo avverso. S lo SC si verifica ripetutamente senza essere seguito
dallo stimolo avverso, allora è meglio che la risposta emozionale scompaia.

Tuttavia l’estinzione è diversa dall’oblio. L’animale apprende che lo SC non è più


seguito dallo stimolo avverso, e di conseguenza si inibisce l’espressione della RC.
Il ricordo dell’associazione tra RC e stimolo avverso non si cancella. Questa
inibizione è dovuta all’azione della corteccia prefrontale ventromediale
(CPFvm). Le lezioni della CPFvm impediscono l’estinzione; mentre la
stimolazione inibisce le risposte emozionali condizionate. Ed inoltre la CPFvm
può modulare l’espressione della paura n diverse circostanze.

Ricerche sull’uomo: anche noi uomini acquisiamo risposte emozionali


condizionate. Le evidenze empiriche depongono a favore di un coinvolgimento
dell’amigdala nelle risposte emozionali degli esseri umani. Uno dei primi studi
condotti in proposito analizzava le reazioni di soggetti sottoposti a valutazioni
prima della rimozione chirurgiche di parti del cervello. Questi studi hanno
evidenziato che la stimolazione di alcune aree cerebrali provocavano risposte
vegetative, spesso associate a paura ed ansia; ma soltanto dopo la stimolazione
dell’amigdala le persone riferivano di sentirsi effettivamente spaventante. Molti
studi hanno dimostrato che le lesioni dell’amigdala riducono le risposte
emozionali nell’uomo e presentano una compromissione nell’apprendimento di
una risposta emozionale condizionata.

La maggior parte delle paure dell’uomo è acquisita socialmente. Le persone


possono acquisire una risposta di paura condizionata anche tramite istruzioni
verbali ed infatti l’aumento dell’attività della corteccia prefrontale mediale è
correlato all’estinzione della risposta condizionata. Una lesione dell’amigdala
interferisce con gli effetti delle emozioni sulla memoria: infatti gli eventi che
generano nelle persone una forte risposta emozionale hanno più probabilità di
essere rammentati. Uno studio interpellava pazienti affetti dal morbo di
Alzaheimer, che erano stati testimoni del devastante terremoto in Giappone nel
1955. I ricercatori hanno rilevato che il ricordo di questo evento terrificante era
inversamente correlato con il danneggiamento dell’amigdala: più l’amigdala era in
stato avanzato di degenerazione, meno era probabile che il paziente ricordasse il
terremoto.

Rabbia, aggressività e controllo degli impulsi: tutte le specie animali


mettono in atto comportamenti aggressivi, i quali sono specie-specifici, ossia
l’insieme dei movimenti è organizzato da circuiti neuronali, il cui sviluppo è
ampiamente programmato dai geni dell’animale. Molti comportamenti aggressivi
sono legati alla riproduzione, alla difesa o all’autodifesa. Il comportamento
aggressivo può comportare attacchi effettivi, comportamenti di minaccia,
comportamenti difensivi e comportamenti di sottomissione. Nell’ambiente
naturale, la maggior parte degli animali esibisce più minacce che attacchi veri e
propri. La predazione è l’attacco del membro di una specie su quello di un’altra,
generalmente perché quest’ultimo serve da cibo per il primo. Un predatore non è
arrabbiato con la sua preda: attaccarla è semplicemente un mezzo per raggiungere
un fine.

Ricerca sugli animali di laboratorio

Controllo neuronale del comportamento aggressivo: il controllo neuronale del


comportamento aggressivo è organizzato in senso gerarchico. Questo significa che
i particolari movimenti muscolari che un animali compie nell’attaccare o nel
difendersi sono programmati da circuiti neuronali localizzati nel tronco
dell’encefalo e l’attività del sistema limbico è controllata di sistemi percettivi, che
rilevano le condizioni ambientali, compresa la presenza di altri animali. I
ricercatori hanno rilevato che il comportamento difensivo e il comportamento
predatorio possono essere sollecitati dalla stimolazione di diverse regioni della
PAG e che l’ipotalamo e l’amigdala influenzano questi comportamenti attraverso
connessioni eccitatorie e inibitorie con la PAG.

Ruolo della serotonina: l’attività delle sinapsi serotoninergiche inibisce


l’aggressività e la sezione degli assoni serotoninergici del proencefalo facilita
l’attacco aggressivo. Un gruppo di ricercatori ha studiato la relazione tra attività
serotoninegica e aggressività in una colonia di scimmie rhesus allo stato brado. Per
misurare l’attività serotoninergica, bisogna prelevare un campione di liquor
cerebrospinale (LCS)e poi bisogna analizzarlo per rilevare la concentrazione di 5-
HIAA, un metabolita della serotonina (5-HT). Quando si rilascia la serotonina, la
maggior parte di questa è riassorbita dal bottone sinaptico per mezzo della
ricaptazione, ma una parte residua diffonde ed è degradata in 5-HIAA, che si
immette poi nel liquor cerebrospinale. Così, alti livelli di 5-HIAA nel LCS sono
indicativi di un elevato livello di attività seretoninergica. La serotonina non agisce
inibendo semplicemente l’aggressività, ma esercita una funzione di

controllo sui comportamenti a rischio, che includono anche l’aggressione. In


conclusione la serotonina ha un ruolo inibitorio sull’aggressività.
Ricerche sull’uomo
Ruolo dell’ereditarietà: le esperienze precoci possono favorire lo sviluppo di
comportamenti aggressivi, ma gli studi hanno dimostrato che l’ereditarietà gioca
un ruolo significativo. Viding et al. hanno studiato un gruppo di gemelli, rilevando
una correlazione più elevata tra i monozigoti rispetto ai dizigoti sulle misure di
comportamento antisociale e insensibile, il che indica l’esistenza di una
componente genetica alla base dello sviluppo di questi tratti.

Ruolo della serotonina: i neuroni serotoninergici esercitano una funzione


inibitoria sull’aggressività umana. Per esempio, la riduzione del tasso di rilascio
della serotonina (indicata da bassi livelli di 5-HIAA nel liquor cerebrospinale), si
associa ad aggressività ed altre forme di comportamento antisociale. Se bassi
livelli di rilascio di serotonina contribuiscono all’aggressività, i farmaci che
agiscono da agonisti della serotonina possono contribuire a ridurre il
comportamento antisociale (es. Prozac).

Ruolo della corteccia prefrontale ventrale: molti ricercatori ritengono che la


violenza impulsiva sia conseguente ad una cattiva regolazione delle emozioni. La
corteccia prefrontale ventromediale gioca un ruolo importante nella regolazione
delle nostre risposte a queste situazioni (in particolare nell’inibizione delle risposte
emozionali) ed è composta da corteccia orbitofrontale mediale e corteccia
cingolata subgenuale anteriore.
gemelli dizigoti La corteccia prefrontale ventrale riceve afferenze
(simili al 50%)
schizofrenici
dirette dal talamo dorso mediale, dalla non schizofrenici
corteccia temporale, dall’area tegmentale
ventrale, dal sistema olfattivo e dall’amigdala. Invia efferenze a diverse regioni
cerebrali, come la corteccia cingolata, la formazione ippocampale, la corteccia
temporale, l’ipotalamo laterale e l’amigdala. Essa comunica con le altre regione
17,4% 2,1%
della corteccia frontale. In questo modo, le sue afferenze le forniscono
informazioni su ciò che sta accadendo nell’ambiente circostante e le sue efferenze
le permettono
differenza di influenzare
sifnificativa: il gemello un’ampia
non schizofrenico gamma
è raramente didel
portatore comportamenti e di risposte
fisiologiche, incluse legene risposte emozionali organizzate dall’amigdala. La prova
che la corteccia orbito frontale giochi un ruolo cruciale nei comportamenti
emozionali è fornita dall’osservazione degli effetti procurati da una lesione in
questa regione. Un esempio è il caso di Phineas Gage, un operaio che subì un
incidente: un barra penetrò nella guancia, trafisse il cervello e fuoriuscì dalla
sommità del capo. Gage sopravvisse, ma divenne un altro uomo. Prima
dell’incidente era serio, operoso ed energico; poi divenne infantile, irresponsabile
e irriguardoso. L’incidente gli aveva danneggiato la corteccia orbitofrontale. Le
persone la cui corteccia orbi frontale è stata danneggiata da una malattia, o da
incidente, sono ancora in grado di valutare con precisione il significato di
particolari situazioni, a elusivamente in modo teorico.
Le evidenze empiriche suggeriscono che la CPFvm serve da interfaccia tra i
meccanismi cerebrali coinvolti nelle risposte emozionali automatiche e quelli
implicati nel controllo dei comportamenti complessi. Questo ruolo comprende
l’utilizzazione delle nostre risposte emotive per guidare il comportamento ed il
controllo delle reazioni emotive in varie situazioni sociali. Le lesione delle CPFvm
causa compromissioni gravi e spesso debilitanti del controllo comportamentale e
della capacità di prendere decisioni. Queste compromissioni sembrano essere una
conseguenza della disregolazione emotiva.
Un interessante studio di imaging funzionale suggerisce che la CPFvm gioca un
ruolo nei meccanismi cerebrali del coraggio. Nili e colleghi hanno scansionato il
cervello di persone spaventate o meno dai serpenti. Mentre i soggetti si trovavano
nello scanner, potevano premere bottoni per avvicinare o allontanare da essi un
serpente vivo. Le persone non spaventate dai serpenti, facevano avvicinare
l’animale e non mostravano segni di paura. Invece, quelle spaventate dai serpenti,
mostravano segnali di paura quando il serpente si avvicinava. Alcune di queste
persone spaventante premevano il bottone per allontanare il serpente; altre invece,
lasciavano che si avvicinasse persone se erano spaventate, quindi mostravano
coraggio. La dimostrazione di coraggio è risultata accompagnata dall’attivazione
di una regione della CPFvm, la corteccia cingolata anteriore subgenuale (CCAsg).
Ricerche recenti sul ruolo dei meccanismi neurali delle emozioni suggeriscono che
le emozioni giocano un ruolo importante nella formazione dei giudizi morali.
Consideriamo il seguente dilemma morale: vedete un treno che corre su un binario
dove più avanti vi sono cinque operai. Senza il vostro intervento, queste persone
moriranno. Ma vi trovate vicino una leva che può devierà il treno su un altro
binario, dove si trova un solo operaio, il quale sarebbe travolta dal treno e ucciso.
Che fate? La maggior parte delle persone conclude che la migliore scelta consiste
nell’azionare lo scambio: il salvataggio di cinque persone giustifica il sacrificio di
una. Ma consideriamo una variazione di questo dilemma. Il treno sta correndo, ma
non c’è una leva per deviarlo su un altro binario. Al contrario, vi trovate su un
ponte, al di sopra del binario, con un uomo obeso, che, se spinto, può bloccare il
treno. Cosa farete? La maggior parte delle persone si rifiuta di spingere l’uomo già
dal ponte, sebbene il risultato sarebbe lo stesso del primo dilemma: una persona
morta, cinque salvate. Ma, per qualche ragione, spingere il corpo di una persona e
causare la sua morte sembra più straziante dal punto di vista emotivo di azionare
uno scambio che modifica la traiettoria di un treno fuori controllo. In uno studio di
imaging funzionale, pensare a dilemmi morali attiva diverse regioni cerebrali
implicate nelle reazioni emozionali, inclusa la corteccia prefrontale ventromediale.
Invece, le persone con una lesione in quest’area, che mostrano compromissioni
delle reazioni emotive, possono effettivamente scegliere di spingere l’uomo sui
binari, nel secondo dilemma. Questi soggetti dimostrano un giudizio morale
utilitaristico: uccidere una persona è meglio di lasciarne morire cinque. Moretto et
al. hanno rilevato che le persone con danno cerebrale mostrano segni fisiologici di
reazioni emotive spiacevoli quando contemplano la possibilità di spingere l’uomo
già dal ponte, e dicono che non lo spingerebbero. Le persone con lesioni della
CPFvm non mostrano segni di reazioni emotive e spingerebbero l’uomo giù dal
ponte.

Inoltre, l’amigdala gioca un ruolo importante nel provocare rabbia e reazioni


emotive violente e la corteccia prefrontale gioca un ruolo importante nel
sopprimere questi comportamenti, facendoci vedere le conseguenze negative. La
maturazione dell’amigdala è piuttosto precoce, mentre quella della corteccia
prefrontale è molto successiva: avviene verso la fine dell’infanzia e l’inizio
dell’età adulta. Infatti uno studio di imaging strutturale ha rilevato che il
comportamento aggressivo nelle interazioni genitore-figlio, in adolescenza, sono
correlate positivamente al volume dell’amigdala e negativamente al volume
relativo della corteccia prefrontale mediale destra.
Raine et al. hanno riscontrato la diminuzione dell’attività prefrontale e l’aumento
di quella sottocorticale (inclusa l’amigdala) nel cervello degli assassini emotivi e
impulsivi; mentre gli assassini calcolatori e a sangue freddo mostravano un’attività
prefrontale più normale.
La riduzione dell’attività dei neuroni serotoninergici si associa ad aggressione,
violenza e assunzione dei rischi; mentre la riduzione dell’attività della corteccia
prefrontale si associa anche al comportamento antisociale. La corteccia prefrontale
riceve una sostanziale proiezione di neuroni serotoninergici. La ricerca indica che
l’input serotoninergico è in grado di attivare questa regione e l’incremento
dell’attività serotoninergica riduce le probabilità che si prendano decisioni
utilitaristiche. Un livello basso di serotonina può causare la diminuzione
dell’attività della corteccia prefrontale e aumentare la possibilità di giudizi
utilitaristici e di comportamenti antisociali. L’aggressività impulsiva è stata tratta
efficacemente con la somministrazione di inibitori specifici della ricaptazione
della serotonina come la fluoxetina (Prozac). Controllo ormonale del
comportamento aggressivo: molte forme di comportamento aggressivo, come
l’accoppiamento, sono influenzate dagli ormoni.

L’aggressività nei maschi: i maschi adulti di numerose specie combattono per il


territorio o per l’accesso alle femmine. L’aggressività tra maschi si manifesta
intorno al periodo della pubertà, suggerendo che tale comportamento sia
controllato da circuiti neuronali stimolati dagli androgeni. In effetti, la castrazione
riduceva l’aggressività e che le iniezioni di testosterone la ripristinavano. La
secrezione di androgeni nella fase iniziale dello sviluppo modifica il cervello in
corso di evoluzione, rendendo i circuiti neuronali che controllano il
comportamento sessuale maschile più reattivi al testosterone. Una precoce
androgenizzazione determina un effetto organizzativo che stimola lo sviluppo di
circuiti neuronali sensibili al testosterone, che facilitano l’aggressività tra maschi.
Dunque, una precoce androgenizzazione sensibilizza i circuiti neuronali. Gli
androgeni stimolano il comportamento sessuale e l’aggressività maschile,
attraverso l’interazione con i recettori per gli androgeni dei neuroni localizzati
nell’area preottica mediale (APM). Bean e Conner hanno osservato che l’innesto
di testosterone nella APM ristabiliva l’aggressività fra maschi in ratti castrati. Il
testosterone attivava direttamente il comportamento stimolando i neuroni sensibili
agli androgeni in quest’area. L’area preottica mediale, quindi, sembra essere
coinvolta in vari comportamenti collegati alla riproduzione.

I maschi attaccano prontamente altri maschi, ma generalmente non attaccano le


femmine per la presenza di particolari feromoni. Se si cosparge l’urina di un topo
femmina su un topo maschio, questo non sarà attaccato nel caso sia introdotto
nella gabbia di un altro maschio.
L’aggressività nelle femmine: nelle femmine, il testosterone aumenta
l’aggressività, mentre l’estradiolo non ha effetto. Gli androgeni producono un
effetto organizzativo sull’aggressività delle femmine, e una certa quantità di
esposizione prenatale agli androgeni avviene naturalmente. Nella fase fetale, le
femmine poste fra due maschi hanno livelli più alti di testosterone nel sangue,
rispetto alle femmine collocate fra due femmine. Quindi le prime femmine
mostrano una maggiore propensione ad esibire comportamenti di aggressione nei
confronti di altre femmine.

Effetti degli androgeni sul comportamento aggressivo umano: i ragazzi sono


generalmente più aggressivi elle ragazze. L’esposizione prenatale agli androgeni
accentua il comportamento aggressivo in tutte le specie studiate. Dopo la pubertà,
anche gli androgeni cominciano ad esercitare degli effetti attivanti. I livelli di
testosterone dei ragazzi iniziano ad aumentare all’inizio dell’adolescenza, periodo
in cui diventano più frequenti anche i comportamenti aggressivi e le lotte fra
maschi. Cohen-Bendahan et al. hanno paragonato la tendenza all’aggressività di
gemelle dizigoti di 13 anni che avevano condiviso l’utero con un fratello (femmine
1M) o con una sorella (femmine 1F). I ricercatori hanno rilevato un incremento
modesto nell’aggressività delle gemelle 1M. I livelli di testosterone delle gemelle
1M e 1F non differivano, quindi la maggior aggressività è il risultato
dell’incremento dell’esposizione prenatale agli androgeni.

Le ragazze con iperplasia surrenale congenita (ISC) sono esposte a livelli elevati
in modo anomalo di androgeni, prodotti dalle loro surrenali, durante lo sviluppo
prenatale. Gli effetti di questa esposizione includono una preferenza per i ragazzi
come compagni di gioco, l’attrazione sessuale nei confronti di altre donne e livelli
di aggressività più alti.

Alcuni tipi di aggressività sono stati trattati con steroidi di sinesi, che inibiscono la
produzione di androgeni da parte dei testicoli e alcuni farmaci riducono le
aggressioni a scopo sessuale, ma non hanno effetto su altre forme di aggressione.
Un altro modo per stabilire se gli androgeni influiscono sull’aggressività umana
consiste nel rilevare il tasso di testosterone in persone che mostrano vari livelli di
comportamento aggressivo ma questo approccio comporta problemi etici e
metodologici.

Mazur e Booth suggeriscono che l’effetto sociale primario degli androgeni si


verifica non sull’aggressività, ma sulla dominanza. Se gli androgeni accrescono la
motivazione a dominare gli altri, questa motivazione può condurre all’aggressione,
ma non in ogni circostanza. Comunque è importante ricorda che correlazione non
significa casualità. Le condizioni ambientali possono influenzare il livello di
testosterone di un uomo o di una donna. Nessuno studio di correlazione può
fornirci la certezza che alti livelli di testosterone inducano le persone a diventare
dominanti o aggressive.

Una serie di esprimenti condotti su altre specie di primati può fornire dati rilevanti
per la comprensione dell’aggressività umana. Alcuni risultati indicano che gli
effetti dell’alcol possono interagire con quelli degli androgeni. Winslow e Miczek
hanno riscontrato, nelle scimmie, che l’alcol aumenta l’aggressività nei soggetti
dominanti, ma solo nella stagione degli accoppiamenti, quando il livello ematico
di testosterone è più alto. Questi studi suggeriscono che gli effetti dell’alcol
interagiscono sia con il rango sociale sia con il testosterone. Winslow, Ellingoe e
Miczek hanno testato le scimmie durante le stagioni non interessate
dall’accoppiamento. I ricercatori hanno riscontrati che l’alcol aumentava il
comportamento aggressivo delle scimmie dominanti; ma questi trattamenti erano
inefficaci nelle scimmie subordinate.

Comunicazione delle emozioni: molte specie di animali (inclusa la nostra)


comunicano le proprie emozioni agli altri mediante cambiamenti posturali,
espressioni facciali, suoni non verbali. Queste espressioni assolvono vantaggiose
funzioni sociali: comunicano agli altri individui quello che proviamo, cosa
abbiamo intenzione di fare e segnalano un pericolo potenziale o l’accadere di
qualcosa che merita attenzione.

Espressioni facciali delle emozioni – risposte innate: Darwin sosteneva


che le espressioni delle emozioni nell’uomo derivassero da analoghe espressioni
negli altri animali e che sono quindi innate. Egli argomentava che se le persone in
ogni parte del mondo esibiscono le medesime espressioni facciali delle emozioni,
allora queste espressioni debbono necessariamente avere un’origine ereditaria,
piuttosto che essere apprese. Darwin riscontrò che le persone appartenenti a
diverse culture utilizzavano la stessa configurazione di movimento dei muscoli
facciali per esprimere un particolare stato emozionale.

Il filone di ricerca portato avanti da Ekman ha aggiunto conferme all’ipotesi


prospettata da Darwin, che l’espressione facciale dell’emozione utilizzi un
repertorio innato, specie-specifico, di movimenti dei muscoli facciali.
L’evidenza che persone, mai venute in contatto le une con le altre, mostravano le
medesime espressioni facciali, ha portato Ekman e Friesen alla conclusione che
queste espressioni sono il risultato di schemi comportamentali non appresi. Al
contrario, le diverse culture utilizzano parole differenti per esprimere un

particolare concetto, perciò la produzione di queste parole non rappresenta una


risposta innata, ma deve piuttosto essere frutto d’apprendimento.
Altri ricercatori hanno posto a confronto le espressioni facciali dei bambini ciechi
dalla nascita e di bambini normalmente vedenti,, ritenendo che il riscontro di
corrispondenze tra i due gruppi autorizzerebbe la conclusione che tali espressioni
hanno un’origine innata nella nostra specie e non richiedono in apprendimento per
imitazione.

Substrato neuronale della comunicazione delle emozioni –


riconoscimento: la comunicazione efficace è un processo bidirezionale e la
nostra capacità di esibire stati emotivi, attraverso cambiamenti d’espressione, è
utile solo se la persona con cui interagiamo è in grado di interpretarli. Il
riconoscimento dell’espressione facciale delle emozioni di un’altra persona è
automatico, rapido e accurato. Lateralizzazione del riconoscimento emozionale:
molti studi hanno rilevato che l’emisfero destro gioca un ruolo più importante
nella decodificazione delle emozioni, rispetto all’emisfero sinistro. I pazienti con
lezioni dell’emisfero destro hanno difficoltà a produrre o descrivere immagini
mentali delle espressioni facciali delle emozioni.

Diversi studi di imaging funzionale hanno confermato questi risultati. George et al.
hanno misurato il flusso ematico cerebrale, mentre i soggetti erano impegnati
nell’ascolto di alcuni frasi per identificarne il contenuto emotivo. In una
condizione sperimentale, ai soggetti era richiesto di ascoltare il singificato delle
parole e stabilire lo stato d’animo dei personaggi. In un’altra condizione
sperimentale, i soggetti dovevano giudicare lo stato emotivo in base al tono della
voce. I ricercatori hanno rilevato che il compito di interpretazione dell’emozione
in base al significato delle parole aumentava l’attivazione di entrambi i lobi
frontali, con un’attivazione più marcata del sinistro rispetto al destro, mentre la
comprensione dell’emozione dal tono della voce aumentava l’attivazione della
sola corteccia prefrontale destra.

Ruolo dell’amigdala e della corteccia prefrontale: l’amigdala esercita una


funzione cruciale nel produrre risposte emozionali, ma può essere determinante
anche nel riconoscimento delle emozioni. Diversi studi hanno riscontrato che le
lesioni dell’amigdala compromettono la capacità delle persone di riconoscere le
espressioni facciali dell’emozione, in particolare le espressioni di paura.

Diversi studi suggeriscono che l’amigdala riceve informazioni visive che


utilizziamo per riconoscere l’espressione facciale delle emozioni direttamente dal
talamo, e non dalla corteccia visiva di associazione. Adolphs ha notato che
l’amigdala riceve afferenze visive da due fonti: sottocorticale e corticale.
L’impulso sottocorticale sembra fornire le informazioni più importanti per il
riconoscimento dell’espressione facciale delle emozioni. Infatti, alcune persone
con cecità conseguente al danneggiamento della corteccia visiva possono
riconoscere le espressioni facciali delle emozioni, sebbene non abbiamo la
consapevolezza conscia di stare osservando il volto di una persona, un fenomeno
noto come visione cieca affettiva.

Le persone possono esprimere le loro emozioni attraverso il linguaggio corporeo,


così come tramite i movimenti dei muscoli del volto. Infatti quando osserviamo il
volto di altre persone, la nostra percezione delle loro emozioni è influenzata dalla
postura così come dall’espressione facciale.
Inoltre la corteccia visiva riceve informazioni da due sistemi di neuroni: il sistema
magnocellulare che fornisce informazioni su movimento, profondità e differenze
di luminosità; e il sistema parvocellulare che garantisce la visione dei colori e dei
dettagli fini. La porzione di corteccia visiva di associazione responsabile del
riconoscimento dei volti, l’area fusiforme della faccia, riceve informazioni dal
sistema parvocellulare. I ricercatori presentavano ai soggetti fotografie di volti che
mostravano espressioni neutrali, oppure di paura

o felicità. Le facce timorose hanno prodotte le risposte più ampie e l’amigdala ha


dimostrato di attivarsi prima della corteccia visiva. Quindi l’amigdala riceve
l’informazione visiva dal sistema magno cellulare che le permette di riconoscere le
espressioni facciali di paura.

Percezione della direzione dello sguardo: Perret et al. hanno scoperto


un’interessante funzione cerebrale che può essere collegata al riconoscimento
dell’espressione emozionale, rilevando che i neuroni del solco temporale superiore
(STS) della scimmia sono implicati nel riconoscimento della direzione dello
sguardo di un’altra scimmia. Alcuni neuroni di questa regione si attivano quando
la scimmia osserva fotografie di facce di scimmia, ma soltanto quando lo sguardo
di queste facce è orientano in una particolare direzione. Perché lo sguardo è
importante nel riconoscimento delle emozioni? Innanzitutto è importante per
discriminare se un’espressione emozionale sia diretta verso di noi o verso qualcun
altro. Poi se qualcuno mostra segni di paura, la sua espressione può servirci come
un avvertimento di estrema utilità, ma solo patto di capire che cosa stia guardando.
La neocorteccia che ricopre il solco temporale superiore sembra fornire questo tipo
di informazione. Inoltre la corteccia parietale posteriore è coinvolta nella
percezione della localizzazione degli oggetti nello spazio. Quando cambiava la
direzione dello sguardo, si osservava un aumento dell’attività in STS destro e
corteccia parietale posteriore. Le connessioni tra i neuroni del STS e la corteccia
parietale permettono all’orientamento dello sguardo di un’altra persona di dirigere
l’attenzione individuale verso una particolare localizzazione spaziale.

Ruolo dell’imitazione nel riconoscimento delle espressioni emozionali:


Adolphs et al. hanno scoperto un potenziale legame tra corteccia somatosensoriale
e riconoscimento emozionale. Infatti i ricercatori hanno rilevato che le
compromissioni più gravi dell’abilità di riconoscere ed identificare le espressioni
facciali di emozioni si associano al danneggiamento della corteccia
somatosensoriale destra. Adolphs et al. hanno ipotizzato che la rappresentazione
somatosensoriale di quello che sentiremo nel fare l’espressione percepita ci
fornisce indizi che utilizziamo per riconoscere l’emozione espressa dal volto che
stiamo osservando. I ricercatori riportano che l’abilità dei pazienti con lesioni
dell’emisfero destro di riconoscere le espressioni facciali delle emozioni è
correlata con la loro capacità di percepire gli stimoli somatosensoriali. Quindi, i
pazienti con deficit somatosensoriali (causati da lezioni dell’emisfero destro)
hanno anche deficit di riconoscimento delle emozioni.

Inoltre, i neuroni specchio si attivano quando l’animale esegue un particolare


comportamento, o quando osserva un altro animale che mette in atto il
comportamento in questione. Questi neuroni sono implicati nell’acquisizione delle
capacità di imitare i comportamenti altrui. I neuroni specchio, localizzati nell’area
premotoria ventrale del lobo frontale, ricevono impulsi dal solco temporale e dalla
corteccia parietale posteriore. Il circuito si attiva quando osserviamo un’altra
persona che esegue un’azione finalizzata, e il feedback di questa attività ci aiuta a
comprendere cos’è che la persona sta cercando di fare. Il sistema dei neuroni
specchio, che si attiva quando osserviamo i movimenti facciali di altre persone,
fornisce il feedback che ci aiuta a comprendere cosa sentono gli altri. Infatti, la
sindrome di Moebius è una condizione congenita che implica il deficit di sviluppo
dei nervi cranici sesto (abducenti) e settimo (facciali), causando paralisi del volto e
incapacità di effettuare i movimenti oculari laterali. Le persone affette da sindrome
di Moebius non riescono ad esprimere le emozioni con le espressioni facciali e
hanno difficoltà a riconoscere le espressioni emozionali degli altri. La loro
incapacità di produrre espressioni facciali delle emozioni gli rende impossibile
imitare le espressioni di altre persone, e l’assenza di feedback interno rende il
compito di riconoscimento più difficile.

Inoltre importanti sono anche i neuroni audiovisivi, ovvero neuroni che


rispondono ai suoni di particolari azioni così come alla vista di queste azioni.
Anche essi giocano un ruolo importante nella comunicazione delle emozioni.
Quando sentiamo altre persone emettere suoni emotivi non verbali, il nostro
sistema di neuroni specchio si attiva, e il feedback prodotto da questa attivazione
può contribuire al riconoscimento delle emozioni espresse dai suoni in questione.

Disgusto: è un’emozione suscitata da qualcosa di sapore o odore sgradevoli,


oppure da un’azione che consideriamo di cattivo gusto. Diversi studi hanno
trovato che il danno della corteccia insulare e dei gangli della base compromette la
capacità delle persone di riconoscere le espressioni facciali di disgusto. Quando i
soggetti osservano volti che esprimono espressioni di disgusto, si attiva infatti la
corteccia insulare e parte dei gangli della base.
Inoltre il disgusto trova le sue origine nell’evitamento delle malattie. Un’indagine
presenta coppie di foto e il ricercatore chiede alle persone di indicare quale delle
due è più disgustosa. I soggetti che hanno risposto hanno scelto come più
disgustosa la foto che sembra implicare una maggior minaccia potenziale di
malattia. Substrato neuronale della comunicazione delle emozioni –
espressione: le espressioni facciali dell’emozione sono automatiche e
involontarie e non è facile produrre un’espressione facciale realistica, quando
questa non coincide con lo stato d’animo provato. Esistono due disturbi
neurologici importanti: il primo è la paresi dei movimenti facciali volontari, che
è provocato da lesioni della regione della corteccia motoria primaria (quindi il
paziente non può muovere volontariamente i muscoli facciali, ma è in grado di
esprimere un’emozione spontanea con quegli stessi muscoli); il secondo è la
paresi dei movimenti facciali spontanei o involontari, che è causata da lesioni
della regione insulare della corteccia prefrontale, della sostanza bianca del lobo
frontale o di alcune parti del talamo (i pazienti possono muovere volontariamente
la muscolatura facciale, ma non riescono ad esprimere emozioni nel lato colpito
della faccia).
Uno studio di imaging funzionale ha rilevato che differenti tipi di barzellette
attivano diverse regioni del cervello, ma tutte queste finiscono per attivarne una: la
corteccia prefrontale ventromediale destra. Inoltre l’emisfero destro è
maggiormente competente nel decodificare le emozioni sulla base della voce e
delle espressioni facciali, ma anche nella codifica delle emozioni. Quando le
persone esprimono emozioni attraverso i muscoli facciali, il lato sinistro del volto
trasmette solitamente un’espressione più intensa. Sackeim e Gur hanno tagliato in
due metà fotografie che ritraevano persone atteggiate in pose emotive; hanno poi
riprodotto immagini speculari di ognuna di queste metà e hanno composto le facce
chimiriche, constatando che le due metà sinistre risultavano più espressive delle
due destre. Quindi l’emisfero destro è dotato di una maggiore efficienza espressiva
rispetto al sinistro. Inoltre le lezioni dell’emisfero sinistro non danneggiano
l’espressione vocale dell’emozione; mentre le lesioni dell’emisfero destro
compromettono ogni espressione dell’emozione, sia attraverso la mimica facciale
sia attraverso il tono della voce.
Inoltre l’amigdala è implicata nel riconoscimento delle espressioni facciali delle
emozioni, ma non è coinvolta nella loro espressione. La paziente S.P. presenta una
lesione dell’amigdala sinistra e ciò determina la difficoltà a riconoscere le
espressioni facciali, ma la paziente non ha difficoltà ad esprimere le emozioni.
Tuttavia, quando osservava una fotografia di se stesso che esprimeva paura, non
era in grado di dire quale fosse l’espressione sul suo volto.
Sensazioni emozionali
La teoria di James-Lange: afferma che le situazioni, che suscitano
un’emozione, evocano un insieme appropriato di reazioni fisiologiche e
comportamenti e i cervello riceve informazioni sensoriali di ritorno dai muscoli e
dai visceri che hanno prodotto queste risposte, ed è questo feedback che dà origine
alla nostra sensazione emotiva. James affermava che le nostre sensazioni emotive
sono basate su ciò che ci ritroviamo a fare in riposta e determinati stimoli e sul
feedback sensoriale che riceviamo dall’attività dei muscoli e dei visceri.

Tuttavia Cannon, mosse delle critiche alla teoria di James, obiettando che gli
organi interni sono insensibili
e non hanno la capacità di rispondere tanto rapidamente e quindi il feedback
sensoriale a partenza da essi non può rendere conto delle nostre sensazioni
emotive. Inoltre, osservò che a sezione dai visceri al cervello non altera il
comportamento emozionale. Ma le critiche di Cannon non erano del tutto
pertinenti.
È difficile verificare sperimentalmente la teoria di James-Lange, poiché il suo
intendo è quello di spiegare le sensazioni emotive e le sensazioni sono eventi
privati.
Inoltre, Holman ha raccolto dati su persone colpite da lesioni del midollo spinale,
chiedendo loro di riferire l’intensità delle sensazioni emotive provate. Se il
feedback sensoriale fosse importante, sarebbe logico supporre che i vissuti
emozionali siano tanto meno intensi quanto più è rostrale la lesione (cioè, vicino al
cervello), in quanto una lesione spinale alta genera una mancanza di sensibilità in
un’area del copro più ampia. Quindi, più alta era la lesione, meno intense erano le
sensazioni.
Feedback da emozioni simulate: James evidenziò l’importanza di due aspetti
delle risposte emozionali: i comportamenti emozionali e le risposte vegetative.
Diversi esperimenti indicano che il feedback sensoriale dalla contrazione dei
muscoli facciali può influenzare l’umore delle persone e perfino alterare l’attività
del sistema nervoso autonomo.
Le espressione simulate effettivamente alteravano l’attività del sistema nervoso
autonomo (per esempio, la rabbia aumentava la frequenza cardiaca e la
temperatura cutanea).
Come può una particolare configurazione di movimenti dei muscoli facciali
provoca cambiamenti dell’umore o dell’attività del sistema nervoso autonomo?
Potrebbe essere frutto dell’esperienza: può darsi che l’esecuzione di particolare
movimenti facciali, insieme ai corrispondenti cambiamenti nel sistema nervoso
autonomo, conduca ad una forma di condizionamento classico, così che il
feedback dai movimenti facciali diviene capace di evocare le risposte vegetative,
insieme ad un cambiamento nell’emozione percepita. Oppure potrebbe essere che
la connessione è innata: infatti l’imitazione inconscia è uno dei modi con cui
comunichiamo le nostre emozioni.
Uno studio di imaging funionale chiedeva alle persone di ricordare episodi passati
della loro vita che evocavano sentimenti di tristezza, felicità, rabbia e paura. I
ricercatori hanno rilevato che il ricordo di queste emozioni attiva la corteccia
somatosensoriale e i nuclei della porzione superiore del tronco dell’encefalo,
coinvolti nel controllo degli organi interni e nel rilevamento delle sensazioni da
essi afferanti. Queste risposte sono certamente compatibili con la teoria di James-
Lange.Inoltre l’imitazione sembra essere innata ed infatti persino i neonati tendono
ad imitare le espressioni viste. L’imitazione costituisce uno dei canali attraverso i
quali gli organismi comunicano le proprie emozioni, evocando sentimenti di
empatia.

LEZIONE 03 MAGGIO 2022


SCHIZOFRENIA E DISTURBI AFFETTIVI

CAPITOLO 16->
DESCRIZIONE

La schizofrenia è un grave disturbo che colpisce circa l’1% della popolazione mondiale. Il termine
“Schizofrenico” è usato in maniera inadeguata, poiché la parola significa letteralmente “mente scissa”,
benché non implichi una personalità dissociata o multipla. Molte volte le persone affermano di “sentirsi
schizofreniche” quando intendono in realtà la presenza di sentimenti contraddittori.

L’uomo che coniò questo termine in realtà si riferiva alla rottura con la realtà, causata dalla
disorganizzazione di varie funzioni mentali, come cognizione ed emozione che non funzionano più insieme,
nel modo normale.

La schizofrenia è caratterizzata da tre categorie di sintomi: positivi, negativi e cognitivi.

 SINTOMI POSITIVI: disturbi del pensiero, allucinazioni e deliri.


o Disturbo del pensiero: caratterizzato da pensieri disorganizzati irrazionali. Il sintomo più
importante della schizofrenia.
o Deliri: consistono in credenze grossolanamente contrarie alla realtà.
 Deliri di persecuzione: l’individuo è erroneamente convinto che gli altri stiano
complottando o cospirando contro di lui.
 Deliri di grandezza: consistono in false credenze relative al potere e all’importanza
personali, convinzione di avere poteri divini o conoscenze speciali, che nessun altro
possiede.
 Deliri di controllo: correlati a quelli di persecuzione, cioè l’individuo ritiene di essere
controllato da altri, tramite apparecchi radar o ricetrasmittenti miniaturizzate,
impiantate nel suo cervello.
o Allucinazioni: consistono nella percezione di stimoli che in realtà non sono presenti. Ci sono
vari tipi di allucinazioni, ad esempio:
 Uditive
 Olfattive
 Voci che si rivolgono all’individuo
 SINTOMI NEGATIVI: si riconoscono dall’assenza di comportamenti normali:
o Appiattimento delle risposte emotive
o Povertà del linguaggio
o Mancanza di iniziativa e perseverazioni
o Anedonia (incapacità di provare piacere)
o Ritiro sociale
 SINTOMI COGNITIVI: sono strettamente correlati a quelli negativi e possono essere prodotti da
anomalie nelle stesse regioni cerebrali.
o Difficoltà a sostenere l’attenzione
o Bassa prontezza psicomotoria
o Deficit di apprendimento e memoria
o Scarso pensiero astratto
o Scarse capacità di problem solving

SINTOMI PRODROMICI

1. Tensione e nervosismo 16. allucinazioni uditive e visive


2. Riduzione dell’appetito 17. autosvalutazione
3. Difficoilta di concentrazione 18. discorsi senza senso
4. Problemi di sonno 19. sensazione di essere controllato
5. Riduzione delle capacità di provare piacere 20. brutti sogni
6. Irreqiuetezza motoria 21. eccessiva aggresività
7. Problemi di memoria 22. sentikmenti di rabbia per piccole cose
8. Depressione 23. indifferenza all’immagine di sé
9. Preoccupazioni 24. problemi con il proprio compagn*
10. Distacco dagli amici 25. pensieri di autonocumento
11. Impressione di essere “preso in giro” 26. frequenti dolori
12. Perdita dell’interesse 27. paura di “diventare pazzo”
13. Aumento dei pensieri su temi religiosi 28. peniseri di fare del male o uccidere
14. Sensazioni sgradevoli senza ragione 29. abuso di alcool o droga
15. Senrimenti di eccessivo eccitamento 30.

I sintomi della schizofrenia tipicamente si sviluppano in maniera graduale e insidioso, in un periodo di 3-5
anni. I sintomi negativi sono i primi ad emergere, poi a seguito quelli cognitivi e a distanza di anni emergono
quelli positivi. Questa progressività dei sintomi permette di ipotizzare la natura delle anomalie cerebrali
sottostanti.

Qui sotto elencati sono i sintomi più frequanti in 768 pazienti schizofrenici cronici:

Sintomo N. pazienti Percentuale


Mancanza di insight 717 93,4
Appiamneto affettivo 632 82,3
Comportamento asociale 606 78,9
Deliri 561 73,0
Autismo 553 72,0
Aspetto trasandato 515 67,1
Allucinazioni 508 66,1
Mancanza di interessi 500 65,1
Allucinazioni uditive 494 64,3
Mancanza di energie 473 61,6
Apatia 458 59,6
Disorganizzazione del pensiero 440 58,5
Impoverimento del pensierp 426 55,5
Inibizione emotiva 426 55,5
Difficoltà di concentrazione 419 54,6
Concretismo del pensiero 411 53,5
Sospettosità 391 50,9
Disturbo dell’attenzione 387 50,4
Ambivalenza 312 40,6

LEZIONE 06 MAGGIO 2022


EREDITARIETA
È stata osservata la mutazione di questo - gene (DISC1 – alterato nella schizofrenia 1) è implicato in
regolazione della neurogenesi embrionale e adulta, migrazione dei neuroni durante lo sviluppo embrionale,
funzione della densità postsinaptica nei neuroni eccitatori e funzione dei mitocondri- in alcune famiglie con
elevata incidenza per la schizofrenia. Si è potuto osservare che chiunque avesse il DSC1 molto basso, ha
comunque la possibilità di sviluppare la schizofrenia, probabilità del 50%on più rispetto alla norma.

L’età paterna fornisce un’ulteriore conferma sul fatto che le mutazioni genetiche possono influenzare
l’incidenza della schizofrenia. Questa incidenza è dovuta alla mutazione dei spermatozoi o meglio le cellule
che producono gli spermatozoi. Dopo la pubertà queste cellule si dividono ogni 16 giorni, cosicché all’età di
35 anni si sono già divise 540 volte, invece per le donne gli oociti femminili si dividono solo 23 volte prima
della nascita e solo una volta in seguito. Più ci sono suddivisioni cellulari più aumenta il rischio di errori di
trascrizione del DNA e può causare un accumulo di mutazioni, con conseguente aumento di incidenza della
schizofrenia.

Diverse ricerche indicano i meccanismi epigenetici, cosi come le mutazioni, possono contribuire allo
sviluppo della schizofrenia -> controllano i geni. Le lunghe catene di DNA si avvolgono intorno ad una serie
di proteine -> ISTONI – che si attaccano agli amminoacidi delle proteine istoniche e modificare le loro
caratteristiche.

Molte modificazioni epigenetiche sono indotte da eventi ambientali, come l’esposizione a tossine, e alcune
di esse possono essere trasmesse alla prole.

 Effetti di agonisti e antagonisti della dopamina: verso la metà del XX secolo un chirurgo
francese, Henri Laborit, scoprì un farmaco che preveniva lo shock chirurgico era anche in grado di
ridurre l’ansia. -> CLOPROMAZINA che sembrava persino più efficace, fu sperimentata sui pazienti
con diversi disturbi mentali: mania, depressione, ansia, nevrosi e schizofrenia. Il farmaco non risultò
molto efficace per la nevrosi o delle psicosi affettive, ma per la schizofrenia risultò notevole.
Questa scoperta modificò profondamente l’approccio terapeutico ai pazienti schizofrenici, per
molti dei quali l’ospedalizzazione prolungata non era più necessaria.
Queste sostanze riescono effettivamente ad eliminare o almeno ridurre i sintomi -> le allucinazioni
e i deliri scompaiono, o almeno diventano meno gravi. Oltra a questo farmaco ne hanno individuati
altri in grado di ridurre i sintomi positivi -> le proprietà in comune sono quelle di bloccare i recettori
dopaminergici D2 e D3.
Un’altra categoria di sostanze è quella di produrre i sintomi positivi della schizofrenia -> agiscono
da AGONISTI della dopamina –amfetamina, cocaina, metilfenidato (blocca la ricaptazione della
dopamina) e L-DOPA (stimola la sintesi della dopamina). -> farmaci antipsicotici bloccano i recettori
dopaminergici.

Antipsicotici tipici o di prima generazione Antipsicotici atipici o di seconda generazione


o Fenotiazine (clorpromazina) o Clozapina (primo farmaco
antipsicotico atipico)
o Butirrofenoni (aloperidolo) o Risperidone
o Tioxanteni o Olanzapina
o Benzamidi sostituite o Quetiapina
o
o
o
o

La lobotomia era un
intervento di
psicochirurgia conosciuto
anche come leucotomia.
Consisteva nel recidere le
connessioni della corteccia
prefrontale dell’encefalo. Il
risultato più riscontrato era il cambiamento radicale della personalità. La lobotomia era usato in
passato per trattare una vasta gamma di malattie psichiatriche come la schizofrenia, la depressione,
la psicosi maniaco-depressivo o disturbi derivati dall’ansia.
Le persone che si sottoponevano alla lobotomia manifestavano una riduzione della spontaneatà,
della reattività, della consapevolezza di sé e dell’autocontrollo, una spiccata tendenza all’inerzia, un
assopimento dell’emotività e una restrizione delle capacità intellettive (pianificazione, problem
solving).
 Ricerca di anomalie della trasmissione dopaminergica nel cervello di pazienti schizofrenici:
degli studi hanno dimostrato che i neuroni dopaminergici possono realmente rilasciare una
quantità maggiore di dopamina. Uno studio di imaging funzionale misurava il rilascio di dopamina
dei pazienti schizofrenici dopo un’iniezione endovenosa di amfetamina -> inibisce la ricaptazione
del neurotrasmettitore.
Questa sostanza era la causa di incremento del rilascio di dopamina nello striato dei pazienti
schizofrenici e a causa di ciò i sintomi positivi erano più intensi.
Hanno eseguito due tipi di analisi; l misurazione post mortem, nel cervello dei pazienti deceduti, e
la scansione PET, dopo il trattamento con lì - grandi radioattivi dei recettori dopaminergici -> hanno
concluso che nel cervello degli schizofrenici potrebbero esserci modesti incrementi del numero di
recettori D2 -> è del tutto improbabile che questo sia la causa principale della malattia.

 Ipotesi dopaminergica

Evidenze empiriche favorevoli all’ipotesi dopaminergica della schizofrenia: aumento dei recettori
D3 e D4 nella schizofrenia.

Acuti Cronici
Distonia acuta Discinesia tardiva
Acatisia
Parkinsonismo (tremore, bradicinesia e rigidità)
Sindrome maligna da neuroclettico
Sintomi principali Sintomi secondari
Ipertermia Tachicardia
Rigidità Anomalie della
pressione arteriosa
Creatin Fosfokinasi Tachipnea
aumentata (CPK)
Coscienza alterata
Diaforesi
Leucositosi

 Conseguenze della terapia farmacologica a lungo termine per la schizofrenia: ai tempi tutte
le sostanze comunemente utilizzate per trattare la schizofrenia causavano almeno alcuni sintomi
simili a quelli del morbo di Parkinson: lentezza dei movimenti, assenza di espressioni facciali e
debolezza generale, per la maggior parte dei casi sono dei sintomi temporanei. Invece per periodi
prolungati il paziente finiva per sviluppare un effetto collaterale più grave.
Un paziente schizofrenico (Larry: paziente affetto da schizofrenia grave, episodi di paranoia, voci,
pensava e credeva che i genitori lo volessero avvelenare -> SCGIZOFRENIA DI TIPO PARANOIDE,
terapia con clorpromazina. Nelle settimane successive sviluppo i sintomi del Parkinson, deliri
paranoide erano rimasti nonostante la terapia, sviluppò sintomi neurologici gravi) che assume
antipsicotici può sviluppare un disturbo neurologico -> DISCINESIA TARDIVA, “tardus” significa
“lento”, mentre “discinesia” si intende come “movimento sbagliato” -> sembra essere l’opposto del
morbo di Parkinson.
L’ipersensibilità, cioè un meccanismo compensatorio in alcuni tipi di recettori divengono più
sensibili se sono inibiti per un certo periodo di tempo da un farmaco che li blocca, se ciò avviene
per un tempo troppo prolungato può causare lo sviluppo di sintomi neurologici.
Sono riusciti a trovare dei farmaci che si aiutano i pazienti schizofrenici senza causare altri sintomi,
sono detti antipsicotici atipici, cioè riducono sia i sintomi positivi sia quelli negativi, e sono efficaci
persino per molti pazienti che non erano significativamente aiutati dai vecchi farmaci antipsicotici.
La CLOZAPINA è il primo antipsicotico atipico, poi affiancato da altre sostanze: risperidone,
olanzapina, ziprasidone e aripiprazolo.

SCHIZOFRENIA COME DISTURBO NEUROLOGICO

Numerosi studi indicano che i sintomi negativi e cognitivi sono effettivamente risultati di anomalie
cerebrali, specie a livello della corteccia prefrontale. Sembrano esistere 3 possibilità: i fattori
predisponenti (genetici e/o ambientali) danno origine:

1. Anomalie sia nella trasmissione dopaminergica sia a livello della corteccia prefrontale;
2. Anomalie nella trasmissione dopaminergica prefrontale;
3. Anomalie nella corteccia prefrontale che causano anomalie nella trasmissione dopaminergica
 Prove di anomalie cerebrali nella schizofrenia: la schizofrenia può essere associata a qualche
forma di danno celebrale. La TAC e la RM hanno frequentemente rilevato la perdita di tessuto
cerebrale nei pazienti schizofrenici.
Questo grafico sta a indicare uno studio fatto su pazienti di 29 anni sia schizofrenici sia non
schizofrenici. Gli sperimentatori hanno fatto la TAC su 80 pazienti schizofrenici e 66 controlli
normali.

Si può evincere che le dimensioni ventricolari dei pazienti schizofrenici sono di sue volte maggiori di
quelle dei soggetti di controllo normale. La causa più probabile di allargamento del ventricolo è la
perdita del tessuto cerebrale -> schizofrenia cronica associata ad anomalie del cervello.

Hanno dimostrato che i pazienti schizofrenici e i


loro parenti non schizofrenici mostrano una
perdita di sostanza grigia nella corteccia
frontale e in quella temporale, il che suggerisce
l’influenza di fattori genetici nello sviluppo
corticale nell’aumento della suscettibilità ai
fattori che causano la schizofrenia. I parenti no
schizofrenici non presentano questi sintomi.

 Cause possibili di anomalie cerebrali: forse


ciò che si eredita è un difetto che rende le
persone suscettibili a qualche fattore
ambientale in grado di influenzare negativamente lo sviluppo del cervello, oppure che causa danno
cerebrale in fasi successive della vita.
 Studi epidemiologici -> l’epidemiologia è lo studio della distribuzione e delle cause di
malattia nelle popolazioni. Quindi questi studi esaminano la frequenza relativa delle
malattie in gruppi di persone che vivono in ambienti diversi, cercando di correlare tale
frequenza ai fattori presenti negli ambienti in questione.
Ci sono vari fattori ambientali che influenzano l’incidenza della schizofrenia: stagione di
nascita, epidemie virali, densità di popolazione, malnutrizione prenatale, stress materno e
abuso di sostanze.
L’effetto stagionale, cioè il periodo nella quale uno nato, come tra la fine dell’inverno e
l’inizio della primavera uno ha più probabilità di sviluppare i sintomi della schizofrenia.
Quali potrebbero essere dei fattori che influenzano l’effetto stagionale? Una possibilità è
quella di contrarre patologia virale durante una fase critica dello sviluppo fetale.
Ci sono più probabilità che si sviluppi la schizofrenia se:
 Si abita in un centro urbano ad alta densità di popolazione
 Carenza di vitamina D durante la gravidanza
 Contribuisce anche la temperatura rigida e il sovraffollamento
 Tabacco (fumo e cannabis), alcool e sostanze durante la gravidanza influiscono
negativamente allo sviluppo del feto (in particolare al cervello del feto), si riferisce
anche al consumo di tabacco da parte del padre (fumo passivo)
 Donna con pielonefrite durante la gravidanza raddoppia la possibilità e si
quadruplica quando è presente un caso di schizofrenia nella famiglia
 Depressione materna aumenta il rischio nella prole, e si quadruplica in caso di
rischio familiare
 Complicanze della gravidanza e ostetriche -> ci sono prove empiriche che anche le
complicanze ostetriche possono causare schizofrenia:
 Complicazioni della gravidanza (diabete materno, incompatibilità del fattore Rh tra
madre e feto, emorragia, preclampsia –anche la tossiemia, ipertensione arteriosa,
edema e proteinuria -)
 Lo sviluppo fetale anormale (basso peso alla nascita, malformazione congenite e
circonferenza cranica ridotta)
 Complicanze del travaglio e del parto (parto Cesario d’urgenza, utero atonico e
deprivazione fetale d’ossigeno)
 Evidenze di sviluppo cerebrale anormale ->

Localizzazione Descrizione
Testa o Due o più vertigini nel cuoio
capelluto
o Circonferenza cranica al di fuori
dell’intervallo normale di variabilità
Occhi o Piega cutanea nell’angolo interno
degli occhi
o Occhi molto distanziati
Orecchie Attaccatura bassa delle orecchie
Bocca o Palato a volta molto arcuata
o Lingua corrugata
Mani o Mignolo ricurvo
o Singola piega trasversale nel palmo
Piedi o Terzo dito più lungo del secondo
o Terzo e quarto dito parzialmente
palmati

Prendiamo in considerazione due gemelli monozigoti (patrimonio genetico identico), ci


sono due tipi:
(a) MONOCORIALE: che condividono la stessa placenta
(b) BICORIALE: ciascuno con la propria placenta

A seconda del tipo di feto uno dei due gemelli ha più o meno la possibilità di sviluppare poi
la schizofrenia. Hanno anche dimostrato una differenza nel cervello dei due gemelli ->
l’ippocampo anteriore risultava più piccolo nel gemello affetto, con una riduzione anche del
volume totale di sostanza grigia a livello del lobo temporale. Si può bene vedere nella RM
del cervello dei gemelli chi è affetto o no della schizofrenia, il gemello sano si trova sulla
sinistra in alto, invece quello schizofrenico sempre in alto ma a destra.

 Relazione tra sintomi positivi e negativi: il ruolo della corteccia frontale:

Si può ben vedere da queste scansioni quali e dove le regioni della corteccia cerebrale risultano più
piccole nel cervello di soggetti schizofrenici rispetto ai loro gemelli normali, il che indica quali
regioni sono più colpite dalla malattia. I colori “più caldi” del
blu indicano le regioni in cui la differenza media tra i due
gruppi di gemelli è risultata statisticamente significativa.
I sintomi positivi possono essere causati dall’iperattività delle
sinapsi dopaminergiche, mentre quelli negativi e cognitivi dalle
modificazioni evolutive e degenerative del cervello. Esiste una
relazione tra questi sintomi schizofrenici? -> Sì, perché la
schizofrenia presenta anomalie nella corteccia prefrontale. I
sintomi negativi sono causati principalmente dall’iperfrontalità, cioè la ridotta attività dei lobi
frontali, in particolare della corteccia prefrontale dorsolaterale.
Ci sono delle prove empiriche per dimostrare l’iperfrontalità (sintomi negativi e neurologici) -> al
soggetto viene consegnato un mazzo di 64 carte-risposta da abbinare a quelle stimolo, seguendo il
criterio che ritiene più opportuno. Ogni carta-risposta può essere abbinata a una carta-stimolo
soltanto per un parametro o per una combinazione dei tre parametri; tramite il feedback da parte
dell’esaminatore sulla sua correttezza il soggetto deve scoprire il criterio di classificazione corretto.
Durante la prova, il criterio verrà modificato senza avvertimento, richiedendo di sviluppare una
nuova strategia di classificazione.

LEZIONE 09 MAGGIO
2022
DISTURBI AFFETTIVI MAGGIORI E DISTURBI DELL’UMORE

Prima di parlare dei disturbi affettivi facciamo un rapido focus sull’UMORE, o meglio sullo stato
basale della
affettività. Tonalità,
colorito affettivo che
condiziona
permantemente
secondo la polarità
antitetica piacere-
dispiacere.
Atmosfera durevole
e pervasiva che
colora la percezione
del mondo e della
quale fanno parte la:
depressione,
esaltazione, rabbia e
ansia.
Dall’incrocio
derivante dalla
quantità di energia vitale e della valenza emotiva percepita, positiva o negativa, si organizza il
continuum della polarità umore euforico-triste
Umore normale -> depressione (umore basso, triste astenia, disinteresse, coercizione di attività e
contatti) -> mania (umore elevato, euforico, loquacità, aumento dell’attività, eccessivo
coinvolgimento)
 Descrizione: I sentimenti e le emozioni sono parti essenziali dell’esistenza umana, rappresentano la
nostra valutazione degli eventi della vita. In alcune persone l’affetto si distacca dalla realtà, questi
individui provano un’estrema euforia – mania – o disperazione – depressione – non giustificabili
dagli eventi della loro vita.
Esistono due tipi principali di disturbo affettivo maggiore:
 Disturbo Bipolare: caratterizzato da periodi alterni di mania e depressione. Colpisce sia
uomini che donne in proporzioni approssimativamente uguali.

 MANIA: umore anormalmente e persistentemente elevato, espansivo o irritabile.


Le manifestazioni cliniche: autostima ipertrofica o grandiosità, diminuito il bisogno di
sonno, maggiore loquacità rispetto al solito oppure spinta continua a parlare, fuga dalle
idee, distraibilità, aumento dell’attività finalizzata, eccessivo coinvolgimento in attività
ludiche che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose.
 Disturbo Depressivo Maggiore: episodi depressivi generalmente persistono per un periodo
tre volte maggiore rispetto alla mania, quindi caratterizzato da depressione senza mania.
Può avere un andamento continuo e privo di remissioni o, più frequentemente episodico.
Le persone gravemente depresse di solito si sentono prive di valore e fortemente colpevoli.
Colpisce per lo più le donne rispetto agli uomini.
Le persone con questi due disturbi tendono al suicidio o per lo meno ci provano senza
successo. Queste persone non riescono a provare piacere, perdono l’appetito,
l’addormentamento è difficoltoso, risvegli precoci dopo di cui non si riesce facilmente e
riprendere sonno anche la costipazione è frequente e si riduce la secrezione di saliva. 
DEPRESSIONE: i sintomi psicotici -> umore depresso persistente (tristezza, dolore morale,
disperazione), anedonia, disturbi della memoria e difficoltà di concentrazione (problemi di
diagnosi differenziale con la demenza), ansia, frequente e a volte molto intensa. Talvolta
deliri e allucinazioni che possono comparire congrui (secondari, es. delirio di colpa, o
ipocondriaci) o memo con l’umore. Invece i sintomi somatici: cefalea, astenia ed
affaticamento, dolore articolare e adominale, disturbi gastrointestinali, disfunzioni della
sfera sessuale, insonnia o ipersonnia, alterazione dell’appetito.

 Ereditarietà: Le evidenze empiriche hanno dimostrato che i parenti stretti di individui con psicosi
affettive hanno una probabilità di dieci volte maggiore di sviluppare gli stessi disturbi, rispetto alla
popolazione generale.
L’ereditarietà dei disturbi affettivi implica presenza di una base fisiologica ->
o Il gene RORA è implicato nel controllo dei ritmi circadiani, è quello più fortemente associato
allo sviluppo di un disturbo depressivo maggiore
o GRM8 che codifica la produzione di un recettore metabolico per il glutammato
o RORB altro gene clock, si associa al disturbo bipolare a ciclo rapido osservato nei bambini
 Stagione di nascita: Le persone nate tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera hanno maggiori
probabilità di sviluppare schizofrenia delle persone nate in altri periodi dell’anno. Una possibile
spiegazione è il fatto che il secondo trimestre – periodo critico per lo sviluppo del feto - coincide
con la stagionale invernale dell’influenza.
 Terapie biologiche: esistono diversi trattamenti biologici efficaci contro la depressione unipolare:
Agonisti monoaminergici:
1. MAO -> inibitori delle monoamino-ossidai -> (fine anni ’40, da anti tubercolotici) ->
l’IPRONIAZIDE inibisce l’attività delle MAO, che distruggono l’eccesso di neurotrasmettitori
mono aminici all’interno dei bottoni terminali. La sostanza aumenta il rilascio di dopamina,
norepinefrina e serotonina -> effetti collaterali, quindi devono essere utilizzati con molta
cautela
2. Farmaci che inibiscono la ricaptazione della norepinefrina o serotonina (TRICICLICI), o che
interferiscono con i recettori NMDA
3. Inibitori specifici della serotonina (FLUOXETINA)
4. TEC -> terapia elettroconvulsiva
5. Stimolazione magnetica trans cranica
6. Stimolazione cranica profonda
7. Stimolazione del nervo vago
8. Terapia con luce intensa (fototerapia)
9. Deprivazione del sonno

Invece per la depressione bipolare.

1. Litio
2. Anti-convulsivanti o anti-epilettici
3. La stimolazione cerebrale profonda
4. La stimolazione magnetica transcranica

Essendo che rispondono d una terapia farmacologica significa che hanno una base fisiologica,
questa è una dimostrazione in più.

PRINCIPALI CLASSI DI ANTI-DEPRESSIVI


Classe Molecola Nome commerciale
Triciclici o Amitriptilina o Laroxyl, Mutabon
o Clomipramina o Anafranil
o Imipramina o Tofranil
o Desipramina o Nortimil
o Nortriptilina o Noritren

SSRI o Fluoxetina o Prozac


o Paroxetina oSeroxat, Sereupin,
o Fluvoxetina Eutimil
o Sertralina o Maveral
o Citalopram o Zoloft
o Es-citalopram o Seropram, Elopram
o Cipralex, Entact
SNRI Venlafaxina Efexor

La Terapia Elettro-Conculsiva (Ugo Cerletti, 1937) -> nasce dall’osservazione di von Meduna che
i pazienti psicotici soggetti a crisi epilettiche miglioravano subito dopo un attacco:

1. Anestesia
2. Paralisi muscolare
3. Respirazione artificiale
4. Elettrodi posizionati sull’emisfero destro, per non danneggiare la memoria verbale
5. Scarica (e volte a settimana) -> efficacia rapida (pochi giorni) – remissione dei sintomi >
50%
 Impatto sulle monoamine
o L’impianto di elettrodi in una particolare regione del cervello –> SCP (CCA – corteccia
cingolata anteriore - subgenuale). I fili vengono fatti passare sotto la cute fino al dispositivo
di stimolazione (generatore d’impulsi simile a un pacemaker), impianto vicino alla clavicola.
o È una forma indiretta di stimolazione cerebrale. È stato sviluppato per prevenire le crisi
epilettiche. Consiste nell’impianto chirurgico sottocutaneo di un piccolo generatore
d’impulsi che viene posizionato bella parte sinistra dell’alto torace. Alcuni fili sottili e
flessibili vengono fatti passare sottopelle fino al collo ed erogano impulsi moderati ed
intermittenti al nervo vago sinistro.
La SNV esercita il suo effetto anti-depressivo grazie alle estese connessioni del nervo Vago
con strutture troncoencefaliche e dienecefaliche (es. locus Coeruleus e diversi altri nuclei
con proiezioni al talamo ed a diverse strutture corticali). Attraverso varie fibre il Vago arriva
poi a circuiti limbici e paralimbici. Quindi la stimolazione elettrica di questo nervo attiva
diverse regioni del tronco dell’encefalo.

 L’ipotesi monoaminergica: Diminuzione dell’attività delle sinapsi monoaminergiche


(serotoninergiche e noradrenergiche) soprattutto a livello ipotalamico e del sistema limbico.
o Antagonisti delle monoamine causano depressione (reserpina)
o Procedura di deplezione del triptofano
o Agonisti delle monoamine (anti-MAO, inibitori della ricaptazione) ne alleviano i sintomi
o I livelli di 5-HIAA nel LCS dei suicidi sono più bassi del normale
N.B: tali ipotesi da solo non può spiegare un fenomeno complesso come la depressione.
 Ruolo del trasportatore della serotonina: si stanno accumulando negli ultimi anni evidenze
empiriche dove viene implicato il trasportatore della serotonina nella depressione.
Una porzione del gene del trasportatore della serotonina (5-HTT) la cosiddetta regione promoter,
può assumere due forme: corta e lunga.
Gli eventi stressanti della vita possono essere: abuso infantile, rotture sentimentali, lutti, malattie e
crisi lavorative -> aumento la possibilità di depressione
L’incremento è più elevato nelle persone con uno o due coppie dell’allele corto per la regione
promoter della 5-HTT.
o Allele lungo maggiori probabilità di rispondere alla terapia con anti-depressivi rispetto a
quelli con alleli corti
o Alleli corti hanno un maggiore risultato a lungo termine (fino a 3 anni) quelli sottoposti a
terapia con anti-depressivi -> deplezione del triptofano ha maggiori probabilità di produrre
sintomi di depressione.
 Ruolo della corteccia frontale: ipotizziamo che la CCA subgenuale funge da importante punto focale
in una rete di regioni cerebrali implicate nella regolazione dell’umore, e che la riduzione dell’attività
di questa regione segue in maniera consistente i trattamenti anti-depressivi efficaci.
?
 Ruolo della neurogenesi: Si colloca a livello del giro dentato, una regione della formazione
ippocampale, nel cervello di un adulto -> alcuni studi hanno dimostrato che le esperienze stressanti
che producono i sintomi della depressione sopprimono la neurogenesi ippocampale, la
somministrazione delle terapie antidepressive si associa ad un incremento della neurogenesi.
Attualmente non è possibile misurare con certezza il tasso di neurogenersi nel cervello umano, ma
è possibile tramite lo studio sul modello animale -> La Risonanza Magnetica che permette di
stimare il volume ematico di particolari regioni della formazione ippocampale, nei topi così
nell’uomo.
Hanno rilevato che l’esercizio fisico (ruota per i topi, esercizi di aerobica per l’uomo) aumenta il
volume del sangue nel giro dentato, la regione in cui ha luogo la neurogenesi in entrambe le specie.
Invece le procedure istologiche hanno verificato che l’incremento della neurogenesi nel cervello del
topo è correlato con l’aumento del volume ematico, il che fortemente sostiene la conclusione
secondo cui l’esercizio fisico induce neurogenesi anche nel cervello umano.
 Ruolo dei ritmi circadiani: nei casi della depressione il sonno tende a essere superficiale; il sonno ad
onde lente (stadi III e IV) è ridotto, mentre lo stadio I aumenta. Il pattern di sonno risulta
frammentato -> le persone tendono a svegliarsi frequentemente, specie nelle prime ore del
mattino. La fase REM insorge più velocemente, durante la notte, o meglio la prima metà, contiene
una porzione maggiore di periodi REM e il numero di movimenti oculari rapidi aumentano.
Le prove empiriche suggeriscono anche che fino al 90% delle persone che sperimentano un
episodio di depressione riporta una modificazione nella durata e qualità del sonno. L’insonnia
persistente in una persona con anamnesi di episodi depressivi incrementa il rischio di recidiva, e
l’alterazione della struttura del sonno sperimentata dalle madri di neonati incrementa il rischio di
depressione post-partum.
 DEPRIVAZIONE SELETTIVA DI SONNO REM: Uno dei più efficaci metodi anti-depressivi consiste nella
deprivazione del sonno, sia totale che selettivo
 Deprivazione selettiva di sonno REM -> viene eseguita monitorando l’EEG
dell’individuo e risvegliandolo non appena mostra i segni di questa fase.
Questo è in grado di alleviare la depressione.
 L’effetto terapeutico dei farmaci si verifica lentamente (e non sempre funziona
allo stesso modo per tutti i pazienti) nel corso delle varie settimane. Alcuni
mostrano miglioramento a lungo termine, persino l’interruzione del
trattamento  rimedio pratico ed efficace.
Tutto ciò suggerisce una possibile relazione tra il sonno REM e l’umore della
persona.
Uno studio a doppio cieco suggerisce, controllato con placebo, ha dimostrato
che almeno un farmaco anti-depressivo non sopprime il sonno REM 
l’eliminazione del sonno REM non può essere il SOLO modo in cui agiscono gli
anti-depressivi.
 DEPRIVAZIONE SI SONNO AD ONDE LENTE: è in grado di ridurre efficacemente i sintomi depressivi
in alcuni pazienti.
Una prova clinica prevedeva che dei soggetti affetti dal disturbo depressivo maggiore dormissero in
laboratorio del sonno dove ci fosse l’EEG -> una volta che il sonno ad onde lente nell’EEG in uno dei
soggetti sperimentali, i ricercatori presentavano dei suoni in grado di eliminare il sonno ad onde
lente senza svegliarli. I risultati sono stati promettenti: l’autovalutazione dei sintomi di depressione
si è ridotta nella maggior parte dei pazienti.
 è possibile che i risultati positivi della deprivazione del sonno ad onde lente siano in realtà dovuti
alla soppressione di sonno REM. Questa deprivazione produce in genere un effetto terapeutico nel
corso di diverse settimane, e i benefici osservati in questo studio si sono verificati dopo appena una
notte di deprivazione di sonno and onde lente. Questo approccio promettente sembra meritare
studi ulteriori.
 DEPRIVAZIONE TOTALE DI SONNO: Ha un effetto anti-depressivo, produce effetti immediati. La
terapia con ketamina e la deprivazione di sonno totale sono i soli trattamenti che producono un
effetto immediato, sebbene transitorio.
Si è ipotizzato che durante il sonno si produce una sostanza che effetto depressogeno, cioè in grado
di deprimere gli individui suscettibili.

Il grafico mostra l’autovalutazione dello stato depressivo di individui che rispondono o meno alla
deprivazione di sonno totale.
Perche questa depriovazione ha effeti solo su alcuni pazienti e non su tutti?
 Non è stata ancora data una risposta,
anche se gli studi hanno dimostrato che è
possibile prevedere quali sono i soggetti
che rispondono bene alla deprivazione di
sonno.

 RUOLO DI ZEITGEBER: La modalità di presentazione prevalente è la “forma invernale”: la


sintomologia depressiva ha iniziato durante la stagione autunnale, raggiunge il massimo
dell’intensità durante la stagione invernale e si risolve, parzialmente o totalmente, all’inizio della
stagione primaverile. Esiste anche una “forma estiva” del disturbo depressivo ad andamento
stagionale (DAS): gli episodi depressivi si presentano all’inizio della stagione primaverile,
raggiungono il culmine nel periodo estivo e si risolvono all’inizio della stagione autunnale.

 L’esposizione al sole quotidiani di 30 minuti, per tutti i mesi in cui è presente la sintomologia
depressiva, ad un fonte di luminosità artificiale d’intensità pari a 10.000 lux (20 volte superior3e
all’intensità media della luce in una stanza) prodotta con apposite lampade dotate di filtri per raggi
ultravioletti. Luce al mattino in combinazione con somministrazione di melatonina nel tardo
pomeriggio rie-equilibra i ritmi dei soggetti con SAD (disturbo affettivo stagionale)

Cap 17
Un esperimento condotto su degli scimpanzé evidenziò come la rimozione in questi dei lobi frontali
portassero alla scomparsa di comportamenti aggressivi in essi, senza evidenti danni intellettivi.Moniz
basandosi su questi studi elaborò la lobotomia, si introducevano strumenti taglienti all’interno dei lobi
frontali per reciderne la sostanza bianca, fasci di assoni.Questa procedura, per cui il Moniz vinse anche
il premio Nobel, era in realtà responsabile di moltissimi effetti collaterali quali mutamenti nella
personalità, incapacità di elaborare piani d’azione o di lavorare, venivano eliminate non solo le reazioni
emotive patologiche ma anche quelle normali.Oggi si prediligono interventi più limitati o una terapia
farmacologica efficiente.

DISTURBI D’ANSIA, disturbo psicologico caratterizzato da ansia e paura infondate ed irrealistiche, le tre
tipologie che sembrano avere cause biologiche sono:

-disturbo di panico, gli individui che ne soffrono sviluppano attacchi episodici di ansia acuta, periodi di
terrore intenso con sintomi fisici quali dispnea, sudorazione, irregolarità del battito cardiaco, vertigini,
svenimento e derealizzazione.Molti individui sviluppano anche ansia anticipatoria, paura di essere
sopraffatti da un nuovo attacco di panico o agorafobia, paura di allontanarsi da luoghi chiusi e protetti
come la propria casa.

-disturbo d’ansia generalizzato, disturbo caratterizzato da ansia e preoccupazioni eccessive gravi tanto
da compromettere la qualità di vita della persona

-disturbo d’ansia sociale, paura persistente di essere esposti al giudizio degli altri che porta ad evitare le
situazioni sociali di tipo prestazionale, dove il soggetto proverebbe ansia e disagio

Cause: -Hanno tutti una causa ereditaria. -gli attacchi di panico possono
essere generati da sostanze che attivano il sistema nervoso autonomo come l’acido lattico; ioimbina;
doxapram; anidride carbonica -La proteina BDNF
regola la sopravvivenza, la specializzazione e il potenziamento a lungo termine dei neuroni; la memoria
ed è associata ad ansia e depressione.Un allele del gene BDNF, chiamato Val66Met, causa l’attività
atipica del circuito corteccia frontale-amigdala e compromette l’estinzione della memoria di paura
condizionata. -Studi di imaging hanno dimostrato l’implicazione delle
cortecce cingolata, prefrontale e temporale anteriore negli attacchi di panico a discapito della riduzione
dell’attività della corteccia orbitofrontale destra e cingolata anteriore e dell’incremento dell’attività
dell’amigdala.L’attivazione della corteccia prefrontale ventromediale sopprime l’attivazione
dell’amigdala nei soggetti sani e non in quelli con disturbo d’ansia.

Trattamento: -I disturbi d’ansia vengono trattati principalmente con le benzodiazepine che hanno per
bersaglio i recettori GABA A presenti nell’amigdala causando una riduzione di attivazione di questa e
dell’insula.Le benzodiazepine hanno un effetto immediato molto rapido ma a lungo termine causano
sedazione, inducono a tolleranza e astinenza, possono quindi dare dipendenza.

-Un nuovo farmaco che viene usato è l’XBD173 che facilita la sintesi di neurosteroidi che incrementano
l’attività del recettore GABA A, che negli attacchi di panico è inattivo.Questo farmaco riduce il panico
senza sedazione e senza creare dipendenza.

-Anche la serotonina è implicata nei disturbi d’ansia, pertanto altri farmaci sono gli inibitori della
ricaptazione della serotonina (SSRI), agonisti della serotonina di cui fa parte la fluovoxamina.

-Un altro farmaco usato è la D-cicloserina (DCS), che funge da agonista indiretto del recettore NMDA,
alleviando l’ansia sociale e il disturbo da panico.Accompagnato ad una terapia cognitivo-
comportamentale facilita l’estinzione di risposte emozionali condizionate.

DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO, (DOC) disturbo mentale caratterizzato dalla presenza di


ossessioni, pensieri ricorrenti e persistenti indesiderati e compulsioni, comportamenti che non il
soggetto non riesce a non mettere in atto, la maggior parte di esse rientrano in 4 categorie principali:
contare, controllare, pulire ed evitare.Gli individui che ne soffrono sono consapevoli dell’insensatezza
dei loro pensieri e azioni e vorrebbero liberarsene senza però riuscirci.Rapoport, Fiske e Haslam hanno
ipotizzato che si tratti di esempi patologici della naturale tendenza umana a praticare rituali sociali.

Cause: -Sono parzialmente dovuti a fattori ereditari e alcuni studi hanno notato molte analogie con un
disturbo da tic, la sindrome di Tourette, caratterizzata da tic vocali e muscolari.Infatti molti pazienti con
disturbo DOC hanno tic, così come molti pazienti con sindrome di Tourette hanno ossessioni e
compulsiomi, sembra quindi che entrambi i disturbi siano prodotti da uno stesso genotipo che poi
sfocia in uno dei due disturbi.

-Possono essere legati da encefalite, trauma cranico, da lesioni i gangli della base, al giro cingolato o
alla corteccia prefrontale.Un’altra causa può essere l’infezione da streptococco B-emolitico di gruppo A
in cui il sistema immunitario del paziente danneggia diversi tessuti del suo stesso corpo, tra cui i gangli
della base.

-Studi di imaging hanno dimostrato l’incremento dell’attività a livello dei lobi frontali, del nucleo
caudato e della corteccia orbitofrontale nel disturbo DOC.

Trattamento: -Alcuni pazienti con DOC grave vengono trattati con la cingolotomia, distruzione
chirurgica di specifici fasci fibrosi nel lobo frontale sottocorticale.

-Altra procedura è la capsulotomia, distruzione di una regione del fascio fibroso (la capsula interna) che
connette il nucleo caudale con la corteccia prefrontale mediale.

-La stimolazione cerebrale profonda (SCP) viene usata correggere anomalie dei gangli della base (anche
nel morbo di Parkinson) e riduce i sintomi del DOC in 4 pazienti su .Il vantaggio di questo trattamento
rispetto agli altri è che è reversibile.
-I gangli della base, il nucleo caudato e il putamen ricevono informazioni dalla corteccia cerebrale,
quando l’informazione è elaborata dai gangli della base passa attraverso 2 vie: diretta, eccitatori ed
indiretta, inibitoria.Nel DOC la via diretta, responsabile del controllo delle sequenze comportamentali
apprese divenute automatiche per svolgerle con rapidità, è iperattiva a discapito della via indiretta, che
sopprime questi comportamenti automatici.

-Le tre sostanze usate attualmente per ridurre i sintomi del DOC sono la cromipramina, la fluoxetina e la
fluvoxamina, sono bloccanti della ricaptazione della serotonina, perché una delle regioni cerebrali
implicate nel DOC sono le terminazioni serotoninergiche.Questi farmaci hanno particolare efficacia con
la tricotillomania, strapparsi i capelli compulsivamente; l’onicofagia, mordersi le unghie; la dermatite
acrale da leccate, cani che si leccano compulsivamente nello stesso punto.

-La D-cicloserina è un agonista del recettore NMDA utile nei pazienti con DOC per ridurre le ossessioni e
i comportamenti disadattati che ne conseguono, soprattutto se accompagnata a sedute di terapia
comportamentale.

DISTURBO AUTISTICO, disturbo caratterizzato dall’incapacità di sviluppare relazioni sociali normali,


compromissione delle abilità comunicative e presenza di comportamenti ripetitivi e stereotipati.Vi sono
altri disturbi generalizzati dello sviluppo con sintomi simili: disturbo di Asperger, meno grave
comprende interazioni sociali carenti, comportamenti ripetitivi ma non deficit cognitivi o linguistici;
disturbo di Rett, arresto dello sviluppo cerebrale nelle bambine; disturbo disintegrativo della
fanciullezza, sviluppo intellettuale normale per poi regredire fino all’autismo tra i 2 e i 10 anni.Frith,
Morton e Leslie ipotizzano che i sintomi dell’autismo si debbano ad anomalie cerebrali che impediscono
lo sviluppo di una “teoria della mente” che permette di comprendere il comportamento degli
altri.Anche lo sviluppo del linguaggio è anormale, spesso gli autistici imparano parole e frasi in modo
meccanico e parlano delle loro preoccupazioni senza curarsi degli interessi degli altri.Anche interessi e
comportamenti sono spesso anormali, hanno scatti d’ira e sono fisicamente adeguati.

Cause: In passato si credeva che l’autismo derivasse da famiglie poco affettuose che spesso abusavano
dei bambini, oggi si crede che si debba a cause genetiche.Infatti si tratta di un disturbo fortemente
ereditario, la concordanza nei gemelli omozigoti è del 70%, può essere causato da numerose mutazioni
genetiche che interferiscono con la comunicazione tra neuroni.L’autismo si deve anche ad anomalie
strutturali del cervello: -Ploeger ipotizza che l’interferenza di farmaci durante l’organogenesi,
stadio embrionale in cui si formano i principali organi, possa generare autismo, in particolare la
talidomide (un farmaco usato negli anni 60’ per ridurre il vomito).
-Courchesne nota che il cervello degli autistici è alla nascita leggermente più piccolo del normale,
cresce poi in modo anomalo fino ai 3 anni per poi rallentare notevolmente, le regioni maggiormente
compromesse dall’autismo come la corteccia frontale, quella temporale e l’amigdala sono quelle che
hanno la crescita più rapida per poi fermarsi. -Herbert nota che gli autistici hanno anomalie nella
sostanza bianca, crescono numerosi assoni corti a discapito di quelli lunghi che sono molto meno del
normale.
-Tecniche di imaging sono state condotte per vedere le basi neurali delle 3 categorie di sintomi
autistici.La difficoltà nel comprendere ciò che specimen tano gli altri si deve alla scarsa attivazione del
solco temporale superiore e della corteccia prefrontale mediale, mentre la corteccia visiva di
associazione ha livelli di attivazione normali.La mancanza di interesse verso gli altri si deve
all’attivazione scarsa o assente dell’area fusiforme della faccia (FFA) che si trova nell’area della
corteccia visiva ed è implicata nel riconoscimento dei singoli volti.E’ possibile che questo si debba al
fatto che gli autistici passano una quantità di tempo molto limitata nell’osservare i volti delle persone.Il
fatto che gli autistici abbiano difficoltà nel guardare negli occhi le persone si deve allo sviluppo anomalo
dell’amigdala.Si è notato che l’ossitocina, un ormone poco presente negli autistici, se somministrata a
questi ultimi migliora la socializzazione in quanto aumenta la fiducia e l’intimità con gli altri.La difficoltà
nell’empatizzare si deve alla riduzione dello spessore della corteccia cerebrale a livello dei neuroni
specchio.Baron e Cohen hanno notato che l’autismo, molto più presente nei maschi, sembra appunto
un’esagerazione di tratti tipicamente maschili, questo si deve a livelli fetali particolarmente alti di
androgeni e testosterone.Infine l’autismo sembra essere correlato anche all’incremento dell’attività del
nucleo caudato, responsabile anche del disturbo DOC.

DISTURBO DA DEFICIT DELL’ATTENZIONE/IPERATTIVITA’ (ADHD), disturbo caratterizzato da incapacità


di inibire le risposte, mancanza di attenzione sostenuta e iperattività, che si sviluppa sin dalla prima
infanzia.Viene diagnosticato in presenza di almeno 6 dei 9 sintomi di disattenzione e iperattività, si
crede che abbia più di una causa e che spesso si associ a disturbi della condotta, deficit
nell’apprendimento, ansia e depressione.Il trattamento più comune è la somministrazione di
metilfenidato, farmaco che inibisce la ricaptazione della dopamina.

Cause: -L’ereditarietà influisce dal 75 fino al 91%. -Sagvolden sostiene che


l’ADHD è il risultato dell’intervallo nella contingenza del rinforzo che è più breve del normale, il
verificarsi di uno stimolo positivo può rinforzare un’azione che lo precede.Nelle persone con ADHD la
carenza di trasmissione dopaminergica aumenta la rapidità dell’intervallo nella contingenza del
rinforzo, un rinforzo immediato è anche più efficace ma un ritardo gli fa perdere l’efficacia.L’autore fa
un esperimento:addestra bambini iperattivi e normodotati a rispondere ad uno specifico segnale dopo
il quale veniva dato un rinforzo ogni 30 secondi, in assenza del segnale non vi era alcun rinforzo.I
bambini normodotati imparavano a rispondere solo in presenza del segnale, quelli con ADHD
rispondevano in modo intermittente con risposte rapide che il segnale fosse presente o meno.
-L’ADHD si deve probabilmente a danni alla corteccia prefrontale responsabile della memoria a breve
termine definita anche memoria di lavoro o operativa, che guida i pensieri, il comportamento regola
l’attenzione e contribuisce a creare piani d’azione. -Il fatto che i farmaci usati
per l’ADHD siano agonisti della dopamina suggerisce che esso sia causato da dall’ipoattività della
trasmissione dopaminergica che a sua volta crea il malfunzionamento della corteccia prefrontale.
-Berridge somministra metilfenidato ai ratti e nota che questo migliora le loro performance nel
compiere un’azione in quanto incrementava il livello di dopamina e noreprinefina nella corteccia
profrontale.Si nota che livelli moderati di metilfenidato aumentano la responsività mentre livelli elevati
sopprimono l’attività neurale, questo perché l’effetto dopamina sulla corteccia prefrontale segue una
curva ad U invertita.Livelli bassi non riescono ad indurre l’azione desiderata, livelli moderati aumentano
la performance, livelli elevati rendono l’individuo nervoso e incapace di compiere l’azione, gli effetti del
metilfenidato seguono il medesimo andamento.
-Sono stati condotti degli studi su due varanti del gene che codifica per l’enzima che regola i livelli
dopaminergici cerebrali, la COMT.Si è notato che l’anfetamina ha due diverse tipologie di effetti: in
alcuni casi aumenta l’umore positivo, in altri fa esattamente l’opposto, questo dipende dalla variante
del gene COMT presente nell’individuo.Persone con la variante val-val che hanno livelli inferiori di
catecolamine (di cui fa parte la dopamina) assumendo una dose moderata di anfetamina migliorano la
prestazione; altre che hanno la variante me-met ed un livello già alto di catecolamine all’assunzione di
anfetamina compromettono la performance. -I
farmaci che aumentano i livelli di dopamina e norepinefrina nella corteccia prefrontale migliorano
l’ADHD, quelli che bloccano i recettori alfa 2 (che reagiscono alla noreprinefina) ne producono i sintomi.
-Shaw nota anche differenze nello sviluppo del cervello dei bambini con ADHD nei quali la crescita
corticale è ritardata, le cause a livello cerebrale sono anomalie nello striato, nella corteccia prefrontale,
ridotta attivazione del nucleo caudato.Tutte queste anomalie possono essere dovute alla trasmissione
dopaminergica difettata.

DISTURBI DA STRESS, con il termine stress ci si in modo generico alla risposta da stress o ad uno
stressor (evento stressante).Con il termine risposta di stress ci si riferisce alla reazione fisiologica
causata dalla percezione di situazioni avverse o minacciose.Invece per reazione di attacco o fuga si
intendono le risposte fisiologiche che ci preparano agli sforzi intensi necessari per combattere o
scappare in presenza di uno stressor.Al termine della situazione stressante la condizione fisiologica
torna normale, a meno che le situazioni minacciose non siano continue.

Dal punto di vista fisiologico le situazioni minacciose si accompagnano a risposte autonomiche ed


endocrine di tipo catabolico, il ramo simpatico del sistema nervoso autonomo si attiva e le surrenali
rilasciano adrenalina, noradrenalina e ormoni steroidi dello stress.L’adrenalina influenza il metabolismo
del glucosio rendendolo disponibile per compiere degli sforzi, aumenta l’irrorazione ematica nei
muscoli e la gittata cardiaca.La noradrenalina viene prodotta come neurotrasmettitore nell’ipotalamo,
nella corteccia prefrontale e nel proencefalo basale laterale.Il cortisolo o glucocorticoide è l’ormone
correlato allo stress che agevola la conversione delle proteine in glucosio e prende i lipidi disponibili per
la produzione di energia, questa sostanza riduce la produzione degli steroidi sessuali.La secrezione dei
glucocorticoidi è controllata dagli assoni del nucleo paraventricolare (NPV), i neuroni del NPV
secernono un peptide detto ormone di rilascio della corticotropina o CHR, che stimola l’ipofisi anteriore
a secernere l’ormone adrenocorticotropo o ACTH, questo entra nel circolo generale e stimola la
secrezione di glucocorticoidi.La CHR iniettata nel cervello ha effetti comportamentali simili a quelli
scatenati da situazioni avversive, incrementa la risposta d’allarme; mentre l’iniezione di un antagonista
della CHR riduce l’ansia legata a situazioni stressanti.

Le situazioni di stress prolungato hanno effetti nocivi sulla salute, Selye crede che questo si debba alla
secrezione prolungata di glucocorticoidi che causano ipertensione, danneggiamento del tessuto
muscolare, diabete da steroidi, infertilità…
Inoltre lo stress prolungato aumenta i tempi di guarigione, Kiecolt-Glaser induce biopsie con ago
aspirato nell’avambraccio di due gruppi di soggetti, quello sottoposto a stress (familiari di persone con
Alzhameir) ci mettevano più tempo a guarire.

Lo stress ha effetti a lungo termine anche a livello cerebrale dove deteriora la formazione ippocampale ,
i glucocorticoidi riducono l’ingresso del glucosio e aumentano quello di calcio nei neuroni
dell’ippocampo, rendendoli più esposti a danni.Gli stressor possono causare problemi di memoria, lo
stress prenatale problemi nell’apprendimento, anche una breve esposizione a stress acuto può
generare effetti negativi sull’apprendimento e può far incorrere in depressione.Salm dimostra che lo
stress prenatale causa l’aumento delle dimensioni dell’amigdala e la conseguente risposta di paura
negli ambienti nuovi e Barbazanges scopre che lo stress prenatale causa la prolungata produzione di
glucocorticoidi nel corso della vita; Fenoglio dimostra che esperienze stressanti in età precoce riducono
la reattività a situazioni stressanti future.Lo stress gran e negli esseri umani causa la riduzione del
volume della corteccia prefrontale dorsomediale e la perdita di sostanza grigia nella corteccia
cerebrale.

DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS (PTDS), è un disturbo psicologico causato dall’esposizione ad


una situazione di estremo pericolo e stress.I sintomi includono ricordi o sogni ricorrenti e possono
interferire con attività sociale del soggetto.Quest’ultimo nel tentativo di evitare di pensare all’evento
traumatico si allontana dagli altri e presenta compromissioni fisiche e mentali.I fattori genetici
influenzano sia la possibilità di sviluppare il disturbo dopo l’esposizione a un evento traumatico:
disturbo della condotta, dipendenza da sostanze, disturbi dedll’umore; ma anche la possibilità di
essere coinvolti in tali eventi: età precoce al momento del trauma, livello di scolarizzazione, disturbo
depressivo o d’ansia generalizzata.Vi sono dei geni responsabili del rischio di sviluppo di PTDS, questi
producono i recettori dopaminergici D2 e i trasportatori della dopamina.Anche essere sottoposti a più
eventi traumatici accresce la possibilità di sviluppare PTDS, così come le persone con un allele
responsabile della produzione di COMT, un enzima che distrugge le catecolamine nel liquido
interstiziale.Questo allele fa si che la distruzione delle catecolamine sia più lenta e quindi produce
stress.Le persone sottoposte a stress presentano lesioni all’ippocampo e all’amigdala, così come un
ippocampo più piccolo predispone allo sviluppo di PTDS, in quanto questo serve a distinguere i contesti
sani da quelli pericolosi.Per far si che il PTDS si allevi è necessario che si riduca la risposta emozionale,
questo avviene grazie alla corteccia prefrontale che inibisce l’amigdala e le riposte emozionali ad essa
correlate.

I trattamenti più comuni per questo disturbo sono la terapia cognitivo-comportamentale; la terapia di
gruppo, la somministrazione di SNRI e la stimolazione magnetica transcranica.

PSICONEUROIMMUNOLOGIA è lo studio dell’interazione tra sistema immunitario e comportamento.

Il SISTEMA IMMUNITARIO ha la funzione di proteggerci dalle infezioni, deriva dai leucociti che si
sviluppano nel midollo osseo e nel timo.Quando il nostro organismo è invaso da corpi estranei di
possono v verificare due tipologie di risposte immunitarie specifiche:
-immunità a mediazione chimica, prevede l’azione degli anticorpi, i microrganismi infettivi presentano
delle proteine particolari dette antigeni che permettono al sistema immunitario di riconoscerli.Si
producono anticorpi specifici che riconoscono l’antigene e uccidono l’organismo invasore.Un tipo di
anticorpi è messo in circolo dai linfociti B, le immunoglobuline catene profetiche uguali tra loro tranne
che per un’estremità, dove c’è un recettore che le distingue le une dalle altre.Quando i linfociti B
rilevano la presenza di batteri rilasciano gli anticorpi che si legano all’antigene e uccidono gli invasori.

-immunità cellulo-mediata, legata ai linfociti T che producono anticorpi che restano attaccati all’esterno
della loro membrana, sono deputati alla difesa da organismi pluricellulari, quando gli antigeni si legano
agli anticorpi di superficie, le cellule uccidono gli invasori.

La comunicazione tra queste cellule è garantita dalle citochine, sostanze chimiche che stimolammo la
divisione cellulare, in presenza dell’invasore inducono la proliferazione di globuli bianchi.

Le risposte da stress possono aumentare la possibilità di incorrere in malattie infettive perché i


glucocorticoidi riducono l’attività del sistema immunitario, si ha immunodepressione.I neuroni
dell’amigdala inviano assoni a quelli secernenti la CRH a livello del nucleo paraventricolare
dell’ipotalamo.Il meccanismo responsabile delle risposte emozionali negative è anche responsabile
della risposta da stress e dell’immunodepressione correlata.

Le situazioni stressanti possono aumentare il rischio di contrarre malattie, l’immunodepressione può


causare la comparsa di infezioni respiratorie qualche giorno dopo lo stress subito.Stone crede che
questo si debba alla minore produzione di un’immunoglobina l’IgA che difende dai microorganismi
infettivi delle vie aeree.

Potrebbero piacerti anche