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Colombo scopre l’America: conseguenze

Il 12 ottobre 1492 l’ammiraglio genovese Cristoforo Colombo, al servizio della


Corona di Spagna, dopo un viaggio interminabile iniziato il 3 agosto 1492, avvista
finalmente terra.

Non è né il Catai (Cina) né il Cipango (Giappone) come crede il navigatore genovese;


si tratta probabilmente dell’isola di Watling nelle Bahama (chiamata Guanahani
dagli indigeni).

Questo nuovo continente (poi chiamato America dal nome di un altro navigatore


italiano, il fiorentino Amerigo Vespucci) è uno spazio enorme, dove gli europei
scoprono piante, animali, popolazioni e grandi ricchezze.
Nel giro di pochi anni si susseguono i viaggi e le scoperte geografiche. Si susseguono
anche le spedizioni di conquista; infatti le potenze europee (soprattutto il Portogallo e
la Spagna) fanno a gara nell’accaparrarsi i nuovi territori.
La conquista del Nuovo Mondo è un evento grandioso e tragico. Si tratta di un evento
grandioso per l’autentica rivoluzione che essa produce sulla vita sociale, economica,
culturale e mentale degli europei; tragico, per le conseguenze che essa ha sulle genti
indigene. Nell’America centrale e meridionale esistevano tre grandi civiltà:
gli aztechi, i maya e gli inca. Il livello della loro tecnologia è inferiore a quello degli
europei, ma la loro vita economica, politica e culturale è complessa e raffinata. Sono
però civiltà troppo diverse da quella dei conquistatori, e l’impatto provoca un vero e
proprio genocidio.
Le popolazioni indigene sono infatti massacrate, deportate, ridotte in schiavitù. A
tutto ciò si aggiungono i danni provocati dalle epidemie: malattie che per gli europei
sono banali hanno effetti devastanti sulle popolazioni indigene, prive degli anticorpi.

Per molto tempo le potenze coloniali procederanno nello sfruttamento sistematico


del Nuovo Mondo e cercheranno di dare ai loro possedimenti un’organizzazione
stabile.

Scambio colombiano
Lo scambio colombiano è stato uno scambio di vasta portata
di animali, piante, cultura e idee tra il Vecchio e il Nuovo mondo iniziato con il primo
viaggio di Cristoforo Colombo verso le Americhe nel 1492. È stato uno dei più
significativi eventi relativi all'ecologia, all'agricoltura e alla cultura di tutta la storia
umana, ritenuto da alcuni autori la prima globalizzazione. Lo scambio colombiano
colpì gravemente quasi tutte le popolazioni della terra. Nuove malattie introdotte
dagli europei (molte delle quali avevano avuto origine in Asia) per le quali le
popolazioni indigene delle Americhe non avevano immunità, spopolarono molte
culture. I dati per le popolazioni pre-colombiane delle Americhe sono incerti, ma si
stima che le malattie indotte causarono perdite nelle stesse popolazioni, negli anni tra
il 1500 e il 1650, tra il 50 e il 90 %.
D'altra parte, il contatto tra le due aree fece circolare una vasta varietà di nuove piante
e bestiame che contribuì ad un aumento della popolazione. Gli esploratori tornarono
in Europa con mais, patate e pomodori e il cacao, che divennero alimenti molto
importanti nell'Eurasia del XVIII secolo. Similarmente, gli europei
introdussero manioca e arachide nel sudest tropicale asiatico e in Africa occidentale,
dove questi fiorirono e sostennero la crescita della popolazione su terreni che
altrimenti non avrebbero potuto produrre molto.

Giunta di Valladolid

La Giunta di Valladolid (che diede vita alla Disputa di Valladolid) fu un consiglio


di personalità esperte di diritto e di teologia, convocato da Carlo V d'Asburgo in due
sessioni distinte tra il 1550 e il 1551 con lo scopo di discutere la
natura giuridica e spirituale delle popolazioni native dell'America
centrale e meridionale, sottomesse al potere spagnolo, in particolare per dirimere la
controversia sulla presenza dell'anima negli indios (poi effettivamente riconosciuta).
A seguito di una lunga polemica sul diritto da parte degli spagnoli di muovere guerra
agli indigeni, il 16 aprile 1550 re Carlo V (1500-1558) sospese tutte le esplorazioni e
convocò quella che prenderà il nome di Giunta di Valladolid (1550-1551) con lo
scopo di creare una solida base teologica e giuridica che legittimasse la conquista
del Nuovo Mondo da parte degli spagnoli.
La Giunta di Valladolid vide contrapposte la teoria del frate domenicano Bartolomé
de Las Casas, sostenitore dell'incolumità degli indios, e quella dell'umanista Juan
Ginés de Sepúlveda, difensore del diritto degli spagnoli a sottomettere i nativi (di
uguale posizione era il portoghese fra Tommaso Ortiz che sosteneva che "gli uomini
di terra ferma delle Indie mangiano carne umana e sono sodomiti più di qualunque
altra gente", in polemica da molti anni, ed ebbe luogo nell’Aula Triste del Palacio de
Santa Cruz a Valladolid.
Il pensiero di Bartolomé de Las Casas
Bartolomé de Las Casas, un ex encomendero, è convinto dell'infondatezza della
guerra agli indigeni, e ne è convinto a tal punto da legittimare una guerra indigena
contro gli spagnoli. Riprende da Vitoria l'idea dei diritti individuali universali e
l'attribuzione agli indigeni dello status di padroni delle loro terre. Una guerra
agli indigeni, inoltre, non può essere legittimata dalla negazione del diritto alla vita
con pratiche come i sacrifici umani o il cannibalismo. Infatti si trovano tracce di
queste pratiche anche nell'antichità classica e nelle sacre scritture e inoltre sono
tollerate dai membri più saggi e radicate nella cultura di quei popoli, condizione che
renderebbe inutile una guerra.
Il pensiero di Juan Ginés de Sepúlveda
Sepulveda è di opinione contraria. Riprende la teoria della legittimità della conquista
di Vitoria, riproponendo anche la tesi secondo la quale gli indigeni sono servi per
natura ridando così valore al concetto aristotelico della naturale schiavitù. Considera
la negazione del diritto alla vita e la conversione al cristianesimo come motivi validi
per fare la guerra agli indigeni.

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