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(1) Sul ruolo della scienza giuridica nell’elaborazione del concetto di Nuovo Mondo e della
sua conquista si veda A.A. CASSI, Ultramar. L’invenzione europea del Nuovo Mondo, Roma-Bari,
Laterza, 2007 e l’ampia bibliografia ivi indicata.
(2) P. GIRARD, J.-C. LABORIE, H. PENNAC, J.P. ZÚÑIGA, “Frailes mozos y de pocas letras?”
Quatre ordres religieux (Augustins, Dominicains, Franciscains, Jésuites) aux Philippines entre
1572 et 1605, in Missions religieuses modernes. “Notre lieu est le monde”, par P.-A. Fabre-B.
Vincent, Rome, École française de Rome, 2007, pp. 113-172; sulla presenza dei gesuiti si veda
R.B. JAVELLANA, The Jesuits and the Indigenous Peoples of the Philippines, in The Jesuits. Cultures,
Sciences, and the Arts, 1540-1773, ed. by J.W. O’Malley, G.A. Bailey, S.J. Harris and T.F.
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domani della visita dei primi giapponesi in Europa (1585) (6), della pubbli-
cazione dell’opera dell’agostiniano Juan Gonzalez de Mendoza, Historia de las
cosas más notables, ritos y costumbres del gran reyno de la China (1586), in cui
si trova la prima descrizione della Cina, e sullo sfondo della delicata e con-
troversa operazione di unificazione delle corone spagnola e portoghese (1581)
che aveva dato nuovo soffio vitale al grande disegno della monarquía hispana (7).
La guerra giusta era un tema che aveva interessato gli uomini di Chiesa,
e non solo. Agostino di Ippona e Tommaso d’Aquino ne avevano già discusso
ampiamente nel tentativo di porre una casistica del jus ad bellum e del jus in
bello (8). Il dibattito tornò di grande attualità in età moderna, in tempi di guerre
di religione e di scoperte di nuove terre, alimentato dai racconti dell’arretra-
tezza degli indigeni, dallo stato del loro sfruttamento nelle encomiendas e del
loro sterminio perpetrato dalla politica di colonizzazione, e coinvolse partico-
larmente la Spagna impegnata nella conquista dell’America e dove dunque fu
più forte la percezione che la respublica christiana era solo una parte del
mondo (9). Per dirla con le parole di Carl Schmitt «tutti i teologi cristiani sape-
vano che anche gli infedeli, i Saraceni e gli Ebrei sono uomini, e tuttavia il
diritto internazionale della respublica christiana, con le sue profonde distinzioni
tra i vari tipi di nemico e perciò anche di guerra si fondava su profonde distin-
zioni tra gli uomini e sulla grande diversità del loro status» (10). Gli europei
non potevano evitare di porsi il problema se quello che stava avvenendo nel
Nuovo Mondo avesse delle giustificazioni.
Uno dei grandi teorizzatori della guerra giusta fu il domenicano Francisco
de Vitoria (1483-1546), caposcuola della Seconda Scolastica, animata dal suo
ordine a cui presto si affiancarono i gesuiti (11). Vitoria e la scuola di Salamanca
dedicarono a questo tema numerosi interventi apportando molti elementi di
novità. Il suo pensiero sulla guerra giusta fu esposto nella Relectio de iure belli
(1539) (12) elaborata in stretto contatto concettuale, e non solo cronologico,
con la sua Relectio de Indis (1538). Alla base vi erano le opere di Tommaso,
ma il pensiero dell’Aquinate era rielaborato e condotto ad altri esiti. Vitoria,
infatti, come già era stato fatto dal Concilio di Costanza, aveva primieramente
negato la validità, o almeno ne aveva attenuato la portata, della donazione papale
come diritto di possesso delle nuove terre (13), preferendo il principio della
utilitas oeconomica. Aveva confutato l’idea di un’autorità del Sommo Pontefice
come monarca di tutto il mondo anche in senso temporale (14). Il nuovo prin-
cipio, applicabile anche alle terre europee interessate dallo scisma religioso,
partiva dalla concezione di una naturale perfezione delle comunità umane: il
potere politico è voluto da Dio, il che rende erroneo pensare che la sua legit-
timazione risieda nell’autorità del pontefice o nell’adesione di re e popoli alla
religione cristiana o nell’assenza di peccato. Certo Cristo ha istituito il cri-
stianesimo, la religione perfetta per la sua distinzione dal potere temporale,
ma quest’ultimo pure gode di una naturale perfezione. Anche la potestas spi-
ritualis è in sé naturale e dunque si trova anche presso gli infedeli e nell’Antico
Testamento.
(10) C. SCHMITT, Il nomos della terra. Nel diritto internazionale dello «jus publicum euro-
paeum», Milano, Adelphi, 1991 (ed. orig. Berlin 1974), pp. 109-110.
(11) Su cui resta fondamentale C. GIACON, La Seconda Scolastica, Milano, Bocca, 1944-49
(ora ripubblicato Torino, Aragno, 2001).
(12) F. DE VITORIA, De iure belli, a cura di C. Galli, Roma-Bari, Laterza, 2005; ma si veda
anche C. GIACON, La Seconda Scolastica, cit., III, pp. 5 e ss.
(13) F. DE VITORIA, Relectio de Indis. La questione degli Indios, a cura di A. Lamacchia,
Bari, Levante editori, 1996 (II, 4 e 5). Si veda anche R. HERNÁNDEZ MARTÍN, La lezione sugli
indios di Francisco de Vitoria, Milano, Jaca Book, 1999.
(14) F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., II, 4 e 5.
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Entreremo in alcuni dei dettagli della teoria vitoriana nel corso dello scritto,
limitandoci a ricordare qui due aspetti della forza dirompente del suo pen-
siero. Il primo aspetto che preme tenere sempre presente è che le sue
Relectiones finirono nelle maglie della censura e inserite, nonostante i tenta-
tivi di opposizione dell’ambasciatore a Roma, il conte di Olivares, nell’indice
di Sisto V; esse fornivano all’impero coloniale di una grande potenza catto-
lica come la Spagna, gelosa della sua sovranità e della sua autonomia rispetto
al papa, una legittimazione assai migliore di quella offerta dai canonisti soste-
nitori della sovranità universale diretta del pontefice (15); una teorizzazione
dunque calzante per il caso delle Filippine e della Cina, come abbiamo accen-
nato. Ma Vitoria, con la sua naturale perfezione riconosciuta alla comunità,
anche a quelle delle popolazioni barbare e primitive, metteva in discussione
anche i diritti che gli spagnoli vantavano sulle Americhe: Carlo V ben pre-
sto impedirà a chiunque di discutere su questi temi (16). Infine, ricorderemo
come il pensiero di Vitoria sia stato utilizzato per secoli come base del diritto
internazionale e interpretato, come ricorda Carl Schmitt nel Nomos della terra
(17), secondo prospettive diverse e finanche opposte. Nel nostro caso l’auto-
rità del Maestro Salmantino fu utilizzata da Sánchez e da Acosta per giusti-
ficare la loro opinione: un altro esempio di come la teoria vitoriana, proprio
giocando su definizioni, descrizioni e interpretazioni, potesse servire a cause
antitetiche (18).
(15) C. FORTI, La “guerra giusta” nel Nuovo Mondo, cit., pp. 273-274.
(16) Ivi, p. 261.
(17) Cfr. C. SCHMITT, Il nomos della terra, cit., p. 105 e ss. E cfr. anche ID., Glossario, a
cura di P. Dal Santo, Milano, Giuffré, ad indicem. T. TODOROV, La conquista dell’America. Il
problema dell’«altro», Torino, Einaudi, 1992 (ed. orig. 1982), p. 182, distingue, ad esempio, tra
l’intenzione di Vitoria, e il suo ruolo o incidenza del discorso.
(18) Sugli aspetti metodologici si veda M. WALZER, Guerre giuste e ingiuste. Un discorso
morale con esemplificazioni storiche, Napoli, Liguori, 1990, p. 251.
(19) F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., I, 8, p. 11.
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sin dai primissimi anni della fondazione del patronato (20). Nel 1569 l’agosti-
niano Martin de Rada, ad esempio, aveva formulato in maniera esplicita un
progetto di conquista della Cina e ne aveva informato Filippo II: «aunque la
gente de China no es nada belicosa (...) mediante Dios, fácilmente y con no
mucha gente, serán sujetados» (21).
Il dibattito intorno alla guerra alla Cina di Alonso Sánchez e José de Acosta
non era dunque avulso dal contesto. I due gesuiti appartenevano alla seconda
generazione della Compagnia di Gesù, quella che fu protagonista e artefice
dei grandi conflitti e dissensi interni all’ordine gesuitico che rischiarono di met-
tere in pericolo, sulla fine del Cinquecento, l’esistenza stessa dell’ordine (22).
Erano un esempio delle diverse anime da sempre presenti tra i gesuiti, quella
più spiccatamente contemplativa – Sánchez – e quella carica della forza apo-
stolica attiva – Acosta; divergenze di vita spirituale ‘originarie’, ma destinate
a scontrarsi inevitabilmente in materia di missioni e particolarmente di evan-
gelizzazione della Cina, da subito percepita dagli europei come una civiltà diversa
ma di livello paragonabile a quella europea (o perlomeno questa era l’imma-
gine che i gesuiti diffusero in Europa attraverso i resoconti dei loro viaggi (23)).
I due spagnoli si erano incontrati, forse per la prima volta in Nuova
Spagna, tra il 1586 e il 1587 quando il generale Claudio Acquaviva aveva nomi-
nato Acosta superiore diretto di Sánchez, vietando a quest’ultimo di trattare
qualsiasi affare presso la corte di Madrid senza la previa autorizzazione del
suo superiore (24). Era un tentativo di bloccare le prime avvisaglie giunte alla
(20) Clima bellicoso ricostruito da L. BOURDON, Un projet d’invasion de la Chine par Canton
à la fin du XVIe siècle, in Actas do III Colóquio Internacional de Estudos Luso-Brasileiros,
Lisboa, [Imprensa de Coimbra], 1960, I, pp. 97-121 e più ampiamente da M. OLLÉ, La empresa
de China. De la Armada Invencible al Galeón de Manila, Barcelona, Acantilado, 2002. Si veda
anche J.P. DOYLE, Two Sixteenth-Century Jesuits and a plan to conquer China: Alonso Sánchez
and José de Acosta. An outrageous proposal and its rejection, in Rechtsdenken: Schnittpunkte West
und Ost. Recht in den gesellschafts- und staatstragenden Institutionen Europas und Chinas, ed.
by K. Wegmann-H. Holz, Münster, LIT Verlag, 2005, pp. 253-273.
(21) M. OLLÉ, La empresa de China, cit., p. 42.
(22) L. VON PASTOR, Storia dei papi, Roma, Desclée & c., 1928, X, p. 125. Più ampiamente
si veda il mio La Compagnia divisa. Il dissenso interno nell’ordine gesuitico tra ‘500 e ‘600, Brescia,
Morcelliana, in corso di stampa.
(23) Su questo aspetto si vedano le interessanti considerazioni di G. RICCIARDOLO, L’aspetto
reale e la componente mitologica nell’immagine della Cina trasmessa dai gesuiti, in Cina: miti e
realtà, a cura di A. Cadonna-F. Gatti, Atti del convegno, Venezia, 21-23 maggio 1998, Venezia,
Cafoscherina, 2001, pp. 411-419 e J. PARKER, Windows into China: The Jesuits and their books,
1580-1730, Boston, Trustees of the Public Library of the City of Boston, 1978.
(24) Lettera di Acquaviva a Mendoza, Monumenta Mexicana (1585-1590), por Félix Zubillaga,
Romae, Monumenta historica Societatis Iesu, 1968, III, pp. 461-485.
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(31) M.I. VIFORCOS MARINS, China, una prolongación de la polémica sobre el Nuevo Mundo,
in «Estudios Humanísticos. Geografía, Historia, Arte», 20 (1998), pp. 57-78 e L. CLOSSY,
Merchants, migrants, missionaries, and globalization in the early-modern Pacific, in «Journal of
Global History», 1 (2006), pp. 41-58.
(32) Si veda il bel ritratto tracciato da P.-A. FABRE, Saggi di geopolitica delle correnti spiri-
tuali. Alonso Sánchez tra Madrid, il Messico, le Filippine, le coste della Cina e Roma (1579-1593),
in I gesuiti ai tempi di Claudio Acquaviva. Strategie politiche, religiose e culturali tra Cinque e
Seicento, a cura di P. Broggio, F. Cantù, P.-A. Fabre, A. Romano, Brescia, Morcelliana, 2007,
pp. 185-204, p. 186.
(33) Scriveva il padre Hernán Suarez al generale della Compagnia il 30 novembre 1585 in
C. ROY ARMAYO, In Finibus terrae: Alonso Sánchez and the Limits of Intellectual Autonomy, in
«Portoguese Studies», 16 (2000), pp. 106-124, p. 110.
(34) Così lo definisce A. ASTRAIN, Historia de la Compañía de Jesús, cit., IV, p. 472.
(35) Su questo aspetto si veda, ad esempio, C. ROY ARMAYO, In Finibus terrae, cit., pp. 106-
124.
(36) Opere storiche del P. Matteo Ricci, a cura di P. Tacchi Venturi, Le lettere dalla Cina,
Macerata, F. Giorgietti, 1913, II, pp. 425-426.
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(40) Fatto su cui si è soffermato A. ASTRAIN, Historia de la Compañía de Jesús, cit., IV, p.
466 che nel giudicare la proposta di Sánchez di muovere guerra alla Cina scrive «Era, pues,
en este caso impracticable la teoría, pero, repitámoslo non era de suyo injusta».
(41) Sulla consapevolezza che il mondo moderno fosse privo di miracoli si veda G. IMBRUGLIA,
L’«História do futuro» del gesuita Vieira e il processo di secolarizzazione della storia universale,
in «Archivio di storia della cultura», II (1989), pp. 185-198.
(42) A. VALIGNANO, Il cerimoniale per i missionari del Giappone, a cura di G. Fr. Schütte,
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1946, p. 318.
(43) Ampia è la bibliografia sui riti cinesi per cui rimando a The Chinese Rites Controversy.
Its History and Meaning, edited by D.E. Mungello, Sankt Augustin-San Francisco, Monumenta
Serica Institute-The Ricci Institute for Chinese-Western Cultural History, 1994 e “Scholar from
the West”. Giulio Aleni s.j. (1582-1649) and the Dialogue between Christianity and China, edi-
ted by T. Lippiello-R. Malek, Brescia-Sankt Augustin, Fondazione Civiltà Bresciana-Monumenta
Serica Institute, 1997, in part. pp. 201-217.
(44) F. COLIN, Labor evangélica, cit., p. 441: «que se advierta y entienda que todo cuanto
atras se ha dicho y ordenado de aparato de guerra no ha sido para que se piense que se les
ha de hacer ni puede como se haria con turcos ó moros ni otra gente enemiga y declarada con-
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tra nuestra ley y nuestro rey, lo cual ellos ni saben ni conocen ni quieren mal sino que sola-
mente es para acompañar y guardar á los predicadores de ella y del Rey que los envia y que
les den entrada y dejen predicar á donde quisiesen y fuese necesario y para que los que gobier-
nan no estorben á ninguno que los oigan y reciban y para que sin miedo se puedan convertir
ni haya peligro de que por daños ó miedos ó castigos retrocedan ó renieguen los ya converti-
dos».
(45) L. GUARNIERI CALÒ CARDUCCI, Nuovo Mondo e ordine politico. La Compagnia di Gesù
in Perù e l’attività di José de Acosta, Rimini, Il Cerchio, 1997, p. 123.
(46) F. COLIN, Labor evangélica, cit., p. 444: «Que en la China ha de ser todo al reves, asi
por ser la gente de la calidad que se ha dicho para casamientos, amistad y union é igualdad,
oficios y dignidades y gobierno espiritual y temporal, como por ser las riquezas de la tierra
tanta y de la suerte que es de heredades frutos, mantenimientos y bastimentos de arroz trigo
y cebada; de todas maneras de frutas, muchas diferencias de vinos, gallinas, patos y otras mil
maneras de aves, muchos ganados, cavallos, vacas, cabras, carneros, búfanos, y mucha coram-
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bre, seda infinita, mucho algodon, almizcle, miel y cera, muchas diferencias de maderas de mucho
valor, muchas suertes de perfumes y otras cosas que produce la tierra fuera de la abundancia
de minas y metales que arriba se dijo á lo cual añadida la industria humana de tanta gente y
tan ingeniosa y codiciosa y trabajadora y bien gobernada es increible la muchedumbre y abun-
dancia de los oficios y artificios é invenciones é industrias y fabrica de todo cuanto se puede
pedir para el uso humano de mantenimiento, ornato y regalo y de todas alhajas tiendas y mer-
cadurias asi para provision de la tierra como para mercancia de los extrangeros la cual cosa
con la primera dicha de la suerte de las personas ha de ser causa, si Dios fuese servido de dar-
nos entrda en aquellos reinos para que en breve sean allanados mezclados y unidos, españoli-
zados y cristianizados que no se puede decir los grandes bienes y provechos que de aqui nace-
ran espirituales y temporales de nueva luz de fe y buenas costumbres y salvacion para los chinos
y muchas almas y gloria para Dios de riqueza y honrra y eterno nombre para nuestro Rey y
de grande fama y provecho y multiplicacion de la gente española y mediante ella de toda la
cristiandad, y con estos aun habrá los siguientes».
(47) Cfr. W. DEMEL, Come i cinesi divennero gialli. Alle origini delle teorie razziali, Milano,
Vita e Pensiero, 1997. Ma anche R.G. MAZZOLINI, L’interpretazione simbolica della pigmenta-
zione umana nell’antropologia fisica del primo Ottocento, in Le problème de l’alterité dans la cul-
ture européenne. Anthropologie, politique et religion aux XVIII et XIX siècle. Atti del convegno
internazionale. Trieste 23-25 settembre 2004, a cura di G. Abbatista-R. Minuti, Napoli, Bibliopolis,
2006, pp. 179-198.
(48) Su questi temi si veda il saggio di D. PASTINE, Il problema teologico delle culture non
cristiane, in L’Europa cristiana nel rapporto con le altre culture nel secolo XVII. Atti del Convegno
di studio di Santa Margherita Ligure (19-21 maggio 1977), Firenze, La Nuova Italia Editrice,
1978, pp. 1-22, 18-22.
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José de Acosta: «entrar por la puerta de la cruz y vituperio que no puede ser
entrada vana» (51)
(49) A. VALIGNANO, Les jésuites au Japon. Relation missionnaire (1583), traduction, présen-
tation et notes de J. Bésineau, Paris, Desclée de Brouwer-Bellarmin, 1990, pp. 112-113 e ss. Si
veda anche P. M. D’ELIA, Alessandro Valignano e l’introduzione definitiva del cristianesimo in
Cina, in «La Civiltà Cattolica», (1941), pp. 124-135.
(50) A. PROSPERI, Il missionario, cit., p. 196. Ma anche l’introduzione a A. VALIGNANO, Il
cerimoniale per i missionari del Giappone, cit.
(51) Obras del P. José de Acosta, cit., p. 344.
(52) L. LOPETEGUI, El padre José de Acosta S.J. y las misiones, Madrid, S. Aguirre-Alvarez
de Castro, 1942, p. 449.
(53) Per cui si veda ad esempio L. LOPOTEGUI, Tres memoriales inéditos presentados al papa
Clemente VIII por el P. José de Acosta sobre temas americanos, in «Studia Missionalia», 5 (1949),
pp. 75-91.
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Ordenanzas emanate per il governo del paese; nel 1583 fu teologo nel terzo
Concilio di Lima e si impegnò nella redazione dei catechismi. Morì nel 1600 (54).
Acosta riteneva che popolazioni considerate dotate di ragione, come i
cinesi e i giapponesi, potessero essere conquistate mediante l’utilizzo di stru-
menti razionali (55). Lo spartiacque, il discrimine per definire e individuare
questa categoria di umanità era l’esistenza di «un governo stabile, leggi pub-
bliche, città fortificate, magistrati rispettati, e ciò che è più importante, uso e
conoscenza delle lettere, perché ovunque vi sono libri e monumenti scritti la
gente è più umana e politica». Egli suggeriva che per questo tipo di popola-
zione la predicazione fosse analoga a quella «degli apostoli che predicarono
ai greci e ai romani e agli altri popoli dell’Europa e dell’Asia» (56). Era a que-
sta gente dotata di ragione che il gesuita dichiarava la propria preferenza nella
propria indipeta; era in favore di questa gente, dotata di «alguna capacidad y
no muy bruta» (57), che esprimeva il proprio desiderio di martirio (58). Questa
teoria, destinata a grande successo, nasceva accompagnata da molte altre
(54) Per una ricostruzione biografica e delle opere si veda sub voce a cura di J. BAPTISTA
in Diccionario histórico, cit., I, pp. 10-12. Una biografia in C.M. BURGALETA, José de Acosta, S.J.
(1540-1600). His life and thought, Chicago, Loyola Press, 1999, pp. 3-69.
(55) Nel De promulgando evangelio apud barbaros, sive de procuranda Indorum salute (1588,
ma pubblicato nel 1589) egli aveva stilato una sorta di gerarchia dei popoli e dei metodi da
usare nella loro evangelizzazione (cfr. G. IMBRUGLIA, Il missionario gesuita nel Cinquecento e i
“selvaggi” americani, in In nome di Dio. L’impresa missionaria di fronte all’alterità, a cura di F.
Cuturi, Roma, Meltemi, 2004, pp. 61-73). La divisione gerarchica veniva ripresa dieci anni dopo
da Antonio Possevino nella sua Cultura degli ingegni (1598) in cui affermava che tre sorti o
classi esistevano per gli ingegni nelle Indie, inserendo cinesi e giapponesi nella classe di «coloro
i quali poco si discostano dalla retta ragione et dalla consuetudine del genere humano» (Rist.
an., postfazione a cura di A. Arcangeli, Sala Bolognese, Arnaldo Forni Editore, 1990, pp. 16-
18) o da Giovanni Botero (su cui si veda A. ALBÒNICO, Il mondo americano di Giovanni Botero.
Con una selezione dalle Epistolae e dalle Relationi Universali, Roma, Bulzoni, 1990, in part. pp.
112-120, 177-191).
(56) G. GLIOZZI, Adamo e il Nuovo Mondo. La nascita dell’antropologia come ideologia colo-
niale: dalle genealogie bibliche alle teorie razziali (1500-1700), Firenze, La Nuova Italia Editrice,
1977, pp. 377-379.
(57) G. IMBRUGLIA, Ideali di civilizzazione: la Compagnia di Gesù e le missioni (1550-1600),
in Il Nuovo Mondo nella coscienza italiana e tedesca del Cinquecento, cit., p. 292.
(58) Per cui si veda P. BROGGIO, Evangelizzazione e missione tra Europa e Nuovi Mondi: la
realtà e l’immagine dell’apostolato dagli ordini mendicanti alla Compagnia di Gesù, in Identità
del Nuovo Mondo, cit., pp. 159-203, p. 163. Sul significato delle indipetae nella spiritualità del-
l’ordine gesuitico si veda: P.-A. FABRE, Un désir antérieur les premiers jésuites des Philippines et
leurs indipetae (1580-1605), in Missions religieuses modernes, cit., pp. 71-88 e A.R. CAPOCCIA,
Per una lettura delle Indipetae italiane del Settecento: “indifferenza” e desiderio di martirio, in
«Nouvelles de la Republique des lettres», 1 (2000), pp. 7-43.
Una crociata contro la Cina 439
(59) J. DE ACOSTA, Historia natural y moral de las Indias, cit., II, pp. 57-58.
(60) Si veda D. FERRO, Sospetti e censure nella prima traduzione italiana della Historia natu-
ral y moral de las Indias di José de Acosta, in Il letterato tra miti e realtà del nuovo mondo:
Venezia, il mondo iberico e l’Italia. Atti del Convegno di Venezia, 21-23 ottobre 1992, a cura
di A. Caracciolò Aricò, Roma, Bulzoni, 1994, pp. 273-282 e D. DOMENICHINI, Sulla fortuna ita-
liana di José de Acosta. Episodi di storia religiosa del Cinquecento, in «Studi ispanici», (1981),
pp. 23-46.
(61) Cfr. Obras del P. José de Acosta, cit., pp. 331-334. Anche in P. TACCHI VENTURI, Opere
storiche del P. Matteo Ricci. II. Le lettere dalla Cina, cit., pp. 450-455.
(62) Obras del P. José de Acosta, cit., p. 345: «sólo de la China he respondido lo que siento,
habiéndolo mirado y considerado y estudiádolo con atención y diligencia y puro deseo de acer-
tar la verdad».
(63) Ibidem.
(64) «porque, aunque el memorial del p. Alonso Sánchez refiera algunas y muchas cosas
ciertas y notorias, otras no lo son tanto sino de oydas ó de conjecturas, y algunas se escriben
ó refieren por otras personas con harta diversidad», in P. TACCHI VENTURI, Opere storiche del
P. Matteo Ricci, cit., II, p. 451.
440 Michela Catto
(65) Ivi, I, p. 231, lettera di Ricci a Girolamo Costa del 15 ottobre 1596.
(66) F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., I, 3, nn. 1-9.
(67) «El qual género de policía no se puede negar que sea el más seguro para conservarse,
como lo ha mostrado la experiencia de tanto tiempo come se han conservado»: P. TACCHI VENTURI,
Opere storiche del P. Matteo Ricci, cit., II, p. 452.
(68) F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., I, 3, nn. 1-3, 6.
(69) «por ser gente más bellicosa y amiga de mandar, y por la notoria experiencia que de
noventa años á esta parte tiene todo el mundo del señorío que han adquirido en las naciones
donde han entrado con título de conversar y contratar»: P. TACCHI VENTURI, Opere storiche del
P. Matteo Ricci, cit., II, p. 452.
Una crociata contro la Cina 441
e, infine, non deve mai eccedere i limiti della giusta e necessaria difesa dei
fedeli. Per essere giusta una guerra deve difendere dall’ingiuria il fedele in
quanto fedele (70) e il comportamento dei cinesi nei confronti di spagnoli e
portoghesi, dice Acosta, non sembra essere in odium fidei (71); fatto confer-
mato dalla presenza dei gesuiti in Cina e da alcune conversioni e battesimi di
cinesi di Macao che testimoniamo che non vi è ostacolo alla predicazione (72).
Tra le motivazioni, inoltre, l’accenno alle specifiche condizioni della Cina,
alla qualità del suo governo, all’ingegno, alla laboriosità e alla ricchezza del
popoloso impero cinese che rendono la guerra fonte di odio e scandalo con-
tro il nome cristiano (73). Tra i popoli da poco scoperti Acosta distingue tra
coloro che sono barbari e inumani, che non hanno la ragione (74), che non
osservano una fede o un ordine – che sono poi coloro che danno mille e mille
ragioni per assoggettarli con la forza, «y esso mismo es bien para ellos» (75)
– e sottolinea che i cinesi non sono così superstiziosi e pertinaci nella loro
idolatria e nei loro riti (76).
Più ampiamente, ma essenzialmente per ribadire gli stessi concetti, Acosta
tornerà sulla questione il 23 di marzo dello stesso anno con la sua Respuesta
a los fundamentos que justifican la guerra contra la China (77). Articolato in
precise risposte agli scritti di Sánchez, Acosta ne confuta ogni proposta e pre-
supposto, accusandolo spesso di essere capzioso e di accostare proposizioni e
condizioni universali senza porre i casi nelle giuste circostanze: dalle argo-
mentazioni più banali, volte a sostenere la presenza di un partito nei gesuiti
(70) Ancora Vitoria è la sua teorizzazione circa il diritto naturale che governa gli uomini e
le limitazioni del potere imperiale non sovrano del mondo: F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit.,
I, 2, nn. 1-2.
(71) P. TACCHI VENTURI, Opere storiche del P. Matteo Ricci, cit., II, p. 454.
(72) F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., I, 3, n. 8; I, 2, nn. 6-8.
(73) “Mas donde ay tanto govierno é ingenio y aun industria y riqueza y fuerças de gente
inumerabel, y ciudades cercadas et caetera, es imposible que la guerra no cause gravíssimos
daños y terrible escándolo y odio contra el nombre christiano”: P. TACCHI VENTURI, Opere sto-
riche del P. Matteo Ricci, cit., II, p. 455.
(74) Su cui si veda F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., I, 1, nn. 11-12 e 15.
(75) P. TACCHI VENTURI, Opere storiche del P. Matteo Ricci, cit., II, p. 455.
(76) «finalmente no tienen con la ley de Christo el odio y oxeriça que los Moros y Turcos
y Indios y otros que propriamente aborezzen á los christianos por ser christianos, ni aun son
los Chinas tan supersticiosos y pertinazes en sus idolatrías y ritos como otros infieles, según
han escripto los que an estado allá»: Ivi, p. 454.
(77) Obras del P. José de Acosta, cit., pp. 334-345. Si veda L. LOPETEGUI, El padre José de
Acosta S.J. y la misiones, cit., pp. 459 e ss.
442 Michela Catto
e negli altri ordini religiosi favorevole alla guerra per la penetrazione del
Vangelo o volte a denunciare i danni subiti dagli occidentali nelle Filippine (78),
sino ad aspetti più propriamente di carattere teologico-giuridico.
La prima opposizione si sviluppa intorno al potere del papa che Acosta
non considerava legittimo estendersi spiritualmente sopra tutti gli uomini e dun-
que anche sugli infedeli (79). Disposto ad accettare l’intervento del papa nelle
questioni della vita politica e morale degli stati cristiani – sino al disarcionare
i prìncipi secolari, ma con molte e debite limitazioni (80) – Acosta, richiamandosi
all’autorità dei teologi, affermava che il potere spirituale e temporale avevano
giurisdizione solo ed esclusivamente sopra i popoli cristiani e battezzati.
Il lungo dibattito che aveva interessato l’evangelizzazione americana, la giu-
stificazione della guerra per diffondere il Vangelo – ammessa, sempre con molti
distinguo, là dove vi erano uomini selvaggi e barbari, come gli indigeni dei
Caraibi – non poteva essere applicata ai cinesi, perché dove c’era governo e
ordine e dove l’opposizione al Vangelo nasceva dalla vita «carnale» che sem-
pre vi si era praticata non vi era ragione di abbracciare armi diverse da quelle
di Gesù Cristo, ossia della predicazione e della propagazione pacifica della
fede (81). Vi è un interessante richiamo alla Chiesa primitiva su questo punto,
a san Paolo in primis: non fu uso della Chiesa primitiva quello delle armi, in
luogo delle quali si preferì usare la forza spirituale di Cristo, e se ora, prose-
gue Acosta, i tempi sono differenti non per questo si devono usare i mezzi
militari; occorre piuttosto cercare nuove soluzioni. Le novità a cui egli pen-
sava sono una difesa e un’approvazione di quanto stavano praticando i gesuiti
in Cina.
Al di là delle considerazioni sulla guerra giusta o ingiusta, Acosta infatti
si soffermava a smascherare alcune opinioni specifiche del Sánchez, mostrando
l’esistenza di due diversi concetti e valutazioni della politica gesuitica adottata
nell’evangelizzazione dell’Estremo Oriente. Particolarmente offensivo viene
giudicato da Acosta il fatto che nel Memoriale di Sánchez si affermi che tutta
la Compagnia di Gesù, e non solo, stava pregando per la concessione del giu-
bileo per la conversione della Cina. Acosta aveva la speranza che il metodo
dell’adattamento usato dai gesuiti di Zhaoqing desse i suoi frutti (82); un’opi-
nione sostenuta da alcuni successi. L’elenco di questi ultimi ci fornisce un qua-
dro dell’evangelizzazione della Cina sul finire del Cinquecento: i gesuiti risie-
dono in Cina, ne stanno apprendendo la lingua per evitare l’uso di interpreti
sleali, vi praticano i costumi cristiani, vi dicono messa, cominciano a diffon-
dere la legge di Dio in lingua cinese (83); il loro numero sta crescendo, il fra-
tello dell’imperatore inizierà presto delle conversazioni con il padre Ruggeri;
inoltre, prosegue la loro opera di conversione dei potenti grazie ai quali poi
sarà più facile convertire gli altri (84); infine, tutti i padri di San Paolo, e spe-
cialmente quelli italiani (85), godono in Cina di ottima reputazione: fare guerra
sarebbe disprezzare tutto questo e alimentare l’odio verso il nome cristiano (86).
L’elenco delle strategie di penetrazione non esclude neppure un accenno agli
orologi e all’uso quindi della tecnologia europea. Tutti elementi che possiamo
far rientrare nelle quattro linee di evangelizzazione adottate dai gesuiti in Cina:
l’adattamento, l’evangelizzazione a partire dall’alto, la diffusione delle scienze
e delle tecnologie occidentali e, infine, l’apertura e la tolleranza nei confronti
della cultura e dei valori cinesi (87). Acosta adotta lo stesso principio elabo-
rato da Valignano per il Giappone dove i successi riscontrati dai gesuiti lo
inducono, elencando sette significativi e importanti motivi, non solo a sugge-
rire che alla sola Compagnia di Gesù sia riservata in esclusiva l’evangelizza-
zione, ma anche ad indicare nell’affezione dei giapponesi convertiti ai supe-
riori della Compagnia la prima causa di un successo (88).
Acosta esprime dunque una grande fiducia verso le tecniche dell’acco-
modamento adottate dai gesuiti alla realtà cinese, contrapponendosi alle valu-
tazioni di Sánchez, volte a sottolineare la pochezza dei risultati ottenuti dai
missionari in Cina o l’assenza di tempo per una conversione pacifica della Cina
vista la presenza dei musulmani alle sue porte. La valutazione della guerra come
giusta o ingiusta di Acosta e Sánchez passava attraverso un opposto giudizio
dei risultati già ottenuti dalla Compagnia di Gesù in Cina.
Nel dialogo tra Acosta e Sánchez intorno alla guerra e alla conquista della
Cina si nascondeva la battaglia, anche interna all’ordine gesuitico, sulle tecni-
che di adattamento che la Compagnia di Gesù stava elaborando in Cina, in
maniera più esplicita a partire dagli anni Settanta del Cinquecento e, più in
generale, si celava un diverso approccio intorno ai temi del cristianesimo e
della cristianizzazione. Se le posizioni di Acosta sono l’espressione della per-
fetta adesione alle teorizzazioni di Alessandro Valignano e alle pratiche di Matteo
Ricci, quelle di Sánchez sono la manifestazione dell’animo più conservatore o
meno moderno della Compagnia e dei suoi legami con i poteri politici seco-
lari, una eco di un’altra epoca.
La scelta di fare guerra alla Cina non fu mai appoggiata dai gesuiti di
Roma. Il comportamento vincente fu quello delicatamente sintetizzato da
Daniello Bartoli: «E la Cina singolarmente più che altra terra del mondo
(come ben si vedrà in cento luoghi) si è dovuta conquistare non altrimenti
che a guisa delle fortezze reali, a palmo a palmo, e con una sottil contrarte
di far poco e patir molto, vincerla tanto senza parerlo, ch’ella medesima non
se ne avvedesse» (89). La linea dolce risaliva a presupposti radicati nelle ori-
gini stesse della Compagnia di Gesù, nella sua volontà di adattarsi ai «diversi
(88) A. VALIGNANO, Les jésuites au Japon. Relation missionnaire (1583), cit., pp. 127-133,
p. 174.
(89) D. BARTOLI, Scritti, a cura di E. Raimondi, Torino, Einaudi, 1977, p. 123 (da La Cina,
1663).
Una crociata contro la Cina 445
tipi di persone» — così ben espressa nel testo degli Esercizi spirituali — e che
si poteva spingere sino a ridurre le verità della fede ai fundamenta e ad aprire
il cattolicesimo a tutti quegli elementi folclorici ed etnici, culturali e religiosi
degli altri paesi che non contrastavano con il cattolicesimo stesso. Nello scon-
tro tra Sánchez e Acosta sulla possibilità pratica e sulla legittimità teologica e
giuridica di fare una guerra alla Cina si rifletteva la divergenza, e il conflitto,
tra due diverse anime da sempre presenti nella Compagnia di Gesù, anche
presso coloro che erano impegnati nelle difficili terre lontane (90).
Il contrasto di vedute sulla conquista della Cina intercorso tra Sánchez e
Acosta si sviluppava in un momento particolarmente critico per la storia della
Compagnia di Gesù, lacerata da alcuni decenni da conflitti interni intorno a
cosa dovesse essere e come dovesse operare l’ordine gesuitico. Lettere di
denunce e memoriali, sempre più numerosi, erano scritti da gesuiti e indiriz-
zati a sovrani e pontefici nel tentativo di coinvolgerli nei dissidi interni, come
pacieri e agenti risolutori di un conflitto che aveva raggiunto i vertici della
Compagnia stessa: il generale, i suoi assistenti e i suoi professi. L’elezione del-
l’italiano Claudio Acquaviva al generalato era stato il frutto di compromessi
tra un monarca spagnolo che tendeva a ispanizzare l’ordine, appoggiando
anche progetti di riforma per la creazione di una Compagnia spagnola sepa-
rata da Roma, e un potere papale che perseguiva il progetto di aumentare le
forme di controllo su questo ordine religioso che si estendeva a macchia d’o-
lio, moltiplicando i suoi collegi e le sue case in Europa e la sua presenza nelle
punte più lontane della diffusione del cristianesimo. In realtà, il dibattito
interno alla Compagnia toccava punti salienti – dalla spiritualità, all’attività mis-
sionaria, alle forme di governo centralizzato e verticistico – ma dietro alle grandi
discussioni si celavano storie ancora più complesse. Non si trattava solo di una
diversa valutazione politica e del suo contesto, non si trattava solo del pur
importante obbiettivo di armonizzare (con il rischio di appiattire) le linee
generali della politica della Compagnia su quelle della monarchia spagnola e
dello stato moderno o su quelle del potere universale del papa, che interes-
sava il cosiddetto partito dei memorialisti spagnoli di cui Acosta era il capo
e in cui ebbe un ruolo di primo piano ai fini della convocazione della quinta
congregazione generale della Compagnia – la prima non indetta in vista del-
l’elezione del generale. In gioco vi erano due diversi modi di concepire la
(93) F.-A. FABRE, Saggio di geopolitica delle correnti spirituali, cit., p. 186 e ID., Ensayo de
geopolítica de las corrientes espirituales: Alonso Sánchez entre Madrid, Nueva España, Filipinas,
las costas de China y Roma, 1589-1593, in Órdenes religiosos entre América y Asia. Ideas para
una historia misionera de los espacios coloniales, para E. Corsi, México, El Colegio de México,
2007, pp. 85-104.
(94) Obras del P. José de Acosta, cit., p. 344.
(95) A. PROSPERI, America e Apocalisse. Note sulla «conquista spirituale» del Nuovo Mondo,
in America e apocalisse, cit., pp. 15-63, 16.
448 Michela Catto
MICHELA CATTO
The Newberry Library Chicago
(96) Su questo tema si veda G. IMBRUGLIA, Un impero d’età moderna: la Compagnia di Gesù,
in Le problème de l’alterité dans la culture européenne, cit., pp. 158-178.