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UNA CROCIATA CONTRO LA CINA.

IL DIALOGO TRA ANTONIO SÁNCHEZ E JOSÉ DE ACOSTA


INTORNO A UNA GUERRA GIUSTA AL CELESTE IMPERO (1587)

Nel 1565 alcuni europei, perlopiù conquistadores provenienti dal Messico,


si erano stanziati nelle Isole Filippine, crocevia e punto nevralgico dei grandi
commerci, e avamposto per l’auspicata conquista dell’Estremo Oriente, della
Cina e del Giappone. Le Filippine, chiamate così in onore di Filippo II, si
sottraevano per la loro posizione geografica alla disposizione normativa che
aveva disciplinato la conquista spagnola e portoghese. La scoperta delle terre
americane e la questione della loro giurisdizione erano stati risolti con la Inter
coetera divinae (1493) di Alessandro VI – e poi tra Spagna e Portogallo con
il trattato di Tordesillas del 1494 – ispirata a un universalismo medievale e a
una impostazione ierocratica che aveva perso il suo significato dopo la rottura
dell’unità religiosa e politica del territorio europeo (1). In Oriente la presenza
degli europei non era giustificata dalla donazione papale, ma da un generico
desiderio di predicazione del Vangelo che cercava di celare la consueta sete
di conquista di nuove ricchezze.
Nel 1572 nell’arcipelago cominciarono ad arrivare gli agostiniani, aprendo
la strada alla penetrazione dei francescani (1577), dei gesuiti (1581) e infine
dei domenicani (1587) (2). Arrivati alla chetichella, gli spagnoli si stanziarono

(1) Sul ruolo della scienza giuridica nell’elaborazione del concetto di Nuovo Mondo e della
sua conquista si veda A.A. CASSI, Ultramar. L’invenzione europea del Nuovo Mondo, Roma-Bari,
Laterza, 2007 e l’ampia bibliografia ivi indicata.
(2) P. GIRARD, J.-C. LABORIE, H. PENNAC, J.P. ZÚÑIGA, “Frailes mozos y de pocas letras?”
Quatre ordres religieux (Augustins, Dominicains, Franciscains, Jésuites) aux Philippines entre
1572 et 1605, in Missions religieuses modernes. “Notre lieu est le monde”, par P.-A. Fabre-B.
Vincent, Rome, École française de Rome, 2007, pp. 113-172; sulla presenza dei gesuiti si veda
R.B. JAVELLANA, The Jesuits and the Indigenous Peoples of the Philippines, in The Jesuits. Cultures,
Sciences, and the Arts, 1540-1773, ed. by J.W. O’Malley, G.A. Bailey, S.J. Harris and T.F.
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come poterono generando una convivenza giuridica apparentemente troppo


eterogenea. Come ebbe a scrivere il gesuita Alonso Sánchez (3), nel lungo memo-
riale presentato per il re di Spagna Filippo II, vi convivevano quattro diverse
comunità: quella degli spagnoli, piccolissima e dotata del diritto di dimorare
nell’isola; una comunità di indios cristiani che gli spagnoli dovevano difendere
sia da un punto di vista fisico che da un punto di vista spirituale, cioè da ogni
tentazione di ritorno all’idolatria; una comunità di indigeni pacifici ma non
convertiti che dovevano essere messi in condizione di non influenzare la comu-
nità degli indigeni convertiti; infine, una comunità di nemici, di indigeni non
convertiti e non pacifici (4).
Dalle Filippine si guardava alla Cina, dove la presenza degli europei era
particolarmente aleatoria (5): delimitate erano le aree geografiche in cui pote-
vano commerciare e ogni loro spostamento doveva essere autorizzato dai fun-
zionari locali. La situazione era resa ancora più incerta per le scorrerie delle
popolazioni barbare ai confini dell’Impero cinese; una insicurezza che si incre-
mentò attorno al 1583 quando Nurhachi, un esponente del gruppo etnico
Nuzhen che nel 1616 fondò la dinastia Jin Posteriore, si mise alla testa di una
rivolta contro il dominio cinese creando una grande instabilità nel paese.
In questo panorama generale è da inserire il dibattito avvenuto tra due
importanti membri della Compagnia di Gesù – gli spagnoli Alonso Sánchez
e José de Acosta – intorno all’opportunità di fare guerra alla Cina, una «guerra
giusta» per permettere la sua evangelizzazione; dibattito che avveniva all’in-

Kennedy, Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press, 2002, pp. 418-438 e H. DE LA


COSTA, The Jesuits in the Philippines, 1581-1768, Cambridge-Massachusetts, Harvard University
Press, 1961.
(3) In Razonamiento que hizo en una real junta sobre el derecho con que Su Magestad, su
cui torneremo.
(4) Sulla presenza e le problematiche degli spagnoli in Asia si veda J.M. HEADLEY, Spain’s
Asian Presence, 1565-1590: Structures and Aspirations, in «Hispanic American Historical Review»,
75 (1995), pp. 623-645 e più in generale G. ABBATISTA, L’espansione europea in Asia (secc. XV-
XVIII), Roma, Carocci, 2002.
(5) Su come vennero percepiti i gesuiti in Cina si vedano T. BROOK, The Early Jesuits and
the Late Ming Border: the Chinese Search for Accommodation, in Encounters and Dialogues
Changing Perspectives on Chinese-Western exchanges from the Sixteenth to Eighteenth centuries,
ed. by X. Wu, Sankt Augustin-San Francisco, Monumenta Serica Institute-The Ricci Institute
for Chinese-Western Cultural History, 2005, pp. 19-38; sulla percezione dei cinesi da parte degli
europei E. GARIN, Alla scoperta del “diverso”: i selvaggi americani e i saggi cinesi, in Rinascita
e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, Roma-Bari, Laterza, 1975, pp. 327-
362 e J. GERNET, Cina e cristianesimo. Azione e reazione, Casale Monferrato, Marietti, 1984 (ed.
orig. Paris 1982).
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domani della visita dei primi giapponesi in Europa (1585) (6), della pubbli-
cazione dell’opera dell’agostiniano Juan Gonzalez de Mendoza, Historia de las
cosas más notables, ritos y costumbres del gran reyno de la China (1586), in cui
si trova la prima descrizione della Cina, e sullo sfondo della delicata e con-
troversa operazione di unificazione delle corone spagnola e portoghese (1581)
che aveva dato nuovo soffio vitale al grande disegno della monarquía hispana (7).

La tradizione della guerra giusta: Francisco de Vitoria

La guerra giusta era un tema che aveva interessato gli uomini di Chiesa,
e non solo. Agostino di Ippona e Tommaso d’Aquino ne avevano già discusso
ampiamente nel tentativo di porre una casistica del jus ad bellum e del jus in
bello (8). Il dibattito tornò di grande attualità in età moderna, in tempi di guerre
di religione e di scoperte di nuove terre, alimentato dai racconti dell’arretra-
tezza degli indigeni, dallo stato del loro sfruttamento nelle encomiendas e del
loro sterminio perpetrato dalla politica di colonizzazione, e coinvolse partico-
larmente la Spagna impegnata nella conquista dell’America e dove dunque fu
più forte la percezione che la respublica christiana era solo una parte del
mondo (9). Per dirla con le parole di Carl Schmitt «tutti i teologi cristiani sape-

(6) A. PROSPERI, Il missionario, in L’uomo barocco, a cura di R. Villari, Roma-Bari, Laterza,


1998 (prima ed. 1991), pp. 179-218, pp. 187-188.
(7) Per cui si veda F. BOSBACH, Monarchia Universalis. Storia di un concetto cardine della
politica europea (secoli XVI-XVIII), Milano, Vita e Pensiero, 1998 (ed. orig. Göttingen 1988),
pp. 77-104.
(8) Si veda, ad esempio, il numero monografico Guerra santa e guerra giusta dal mondo
antico alla prima età moderna, in «Studi Storici», 3 (2002) e W.V. O’BRIEN, The Conduct of Just
and Limited War, New York, Praeger, 1981.
(9) Si veda J.T. JOHNSON, Ideology, Reason and the Limitation of War. Religious and Secular
Concepts 1200-1740, Princeton, Princeton University Press, 1975; ID., Just War Tradition and
the Restraint of War. A Moral and Historical Inquiry, Princeton, Princeton University Press, 1981
e E. DI RIENZO, Il diritto delle armi. Guerra e politica nell’Europa moderna, Milano, Franco Angeli,
2005. Sulla presenza del dibattito nell’Italia del Cinquecento si veda C. FORTI, La «guerra giu-
sta» nel Nuovo Mondo: ricezione italiana del dibattito spagnolo, in Il Nuovo Mondo nella coscienza
italiana e tedesca del Cinquecento, a cura di A. Prosperi-W. Reinhard, Bologna, il Mulino, 1992,
pp. 257-285; e A. PROSPERI, La guerra giusta nel pensiero politico italiano della Controriforma,
in America e apocalisse e altri saggi, Pisa-Roma, Istituti editoriali poligrafici internazionali, 1999,
pp. 249-281. Per alcune posizioni della Compagnia di Gesù in tema di guerra in età contem-
poranea si veda D. MENOZZI, Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione
religiosa dei conflitti, Bologna, il Mulino, 2008.
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vano che anche gli infedeli, i Saraceni e gli Ebrei sono uomini, e tuttavia il
diritto internazionale della respublica christiana, con le sue profonde distinzioni
tra i vari tipi di nemico e perciò anche di guerra si fondava su profonde distin-
zioni tra gli uomini e sulla grande diversità del loro status» (10). Gli europei
non potevano evitare di porsi il problema se quello che stava avvenendo nel
Nuovo Mondo avesse delle giustificazioni.
Uno dei grandi teorizzatori della guerra giusta fu il domenicano Francisco
de Vitoria (1483-1546), caposcuola della Seconda Scolastica, animata dal suo
ordine a cui presto si affiancarono i gesuiti (11). Vitoria e la scuola di Salamanca
dedicarono a questo tema numerosi interventi apportando molti elementi di
novità. Il suo pensiero sulla guerra giusta fu esposto nella Relectio de iure belli
(1539) (12) elaborata in stretto contatto concettuale, e non solo cronologico,
con la sua Relectio de Indis (1538). Alla base vi erano le opere di Tommaso,
ma il pensiero dell’Aquinate era rielaborato e condotto ad altri esiti. Vitoria,
infatti, come già era stato fatto dal Concilio di Costanza, aveva primieramente
negato la validità, o almeno ne aveva attenuato la portata, della donazione papale
come diritto di possesso delle nuove terre (13), preferendo il principio della
utilitas oeconomica. Aveva confutato l’idea di un’autorità del Sommo Pontefice
come monarca di tutto il mondo anche in senso temporale (14). Il nuovo prin-
cipio, applicabile anche alle terre europee interessate dallo scisma religioso,
partiva dalla concezione di una naturale perfezione delle comunità umane: il
potere politico è voluto da Dio, il che rende erroneo pensare che la sua legit-
timazione risieda nell’autorità del pontefice o nell’adesione di re e popoli alla
religione cristiana o nell’assenza di peccato. Certo Cristo ha istituito il cri-
stianesimo, la religione perfetta per la sua distinzione dal potere temporale,
ma quest’ultimo pure gode di una naturale perfezione. Anche la potestas spi-
ritualis è in sé naturale e dunque si trova anche presso gli infedeli e nell’Antico
Testamento.

(10) C. SCHMITT, Il nomos della terra. Nel diritto internazionale dello «jus publicum euro-
paeum», Milano, Adelphi, 1991 (ed. orig. Berlin 1974), pp. 109-110.
(11) Su cui resta fondamentale C. GIACON, La Seconda Scolastica, Milano, Bocca, 1944-49
(ora ripubblicato Torino, Aragno, 2001).
(12) F. DE VITORIA, De iure belli, a cura di C. Galli, Roma-Bari, Laterza, 2005; ma si veda
anche C. GIACON, La Seconda Scolastica, cit., III, pp. 5 e ss.
(13) F. DE VITORIA, Relectio de Indis. La questione degli Indios, a cura di A. Lamacchia,
Bari, Levante editori, 1996 (II, 4 e 5). Si veda anche R. HERNÁNDEZ MARTÍN, La lezione sugli
indios di Francisco de Vitoria, Milano, Jaca Book, 1999.
(14) F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., II, 4 e 5.
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Entreremo in alcuni dei dettagli della teoria vitoriana nel corso dello scritto,
limitandoci a ricordare qui due aspetti della forza dirompente del suo pen-
siero. Il primo aspetto che preme tenere sempre presente è che le sue
Relectiones finirono nelle maglie della censura e inserite, nonostante i tenta-
tivi di opposizione dell’ambasciatore a Roma, il conte di Olivares, nell’indice
di Sisto V; esse fornivano all’impero coloniale di una grande potenza catto-
lica come la Spagna, gelosa della sua sovranità e della sua autonomia rispetto
al papa, una legittimazione assai migliore di quella offerta dai canonisti soste-
nitori della sovranità universale diretta del pontefice (15); una teorizzazione
dunque calzante per il caso delle Filippine e della Cina, come abbiamo accen-
nato. Ma Vitoria, con la sua naturale perfezione riconosciuta alla comunità,
anche a quelle delle popolazioni barbare e primitive, metteva in discussione
anche i diritti che gli spagnoli vantavano sulle Americhe: Carlo V ben pre-
sto impedirà a chiunque di discutere su questi temi (16). Infine, ricorderemo
come il pensiero di Vitoria sia stato utilizzato per secoli come base del diritto
internazionale e interpretato, come ricorda Carl Schmitt nel Nomos della terra
(17), secondo prospettive diverse e finanche opposte. Nel nostro caso l’auto-
rità del Maestro Salmantino fu utilizzata da Sánchez e da Acosta per giusti-
ficare la loro opinione: un altro esempio di come la teoria vitoriana, proprio
giocando su definizioni, descrizioni e interpretazioni, potesse servire a cause
antitetiche (18).

Alonso Sánchez e il progetto di una seconda Europa cinese

Il fare guerra a popolazioni non soggette al diritto positivo, come soste-


neva Vitoria (19), era questione che coinvolgeva non solo i giuristi. Innumerevoli
furono gli interventi dei missionari delle Filippine in tema di guerra alla Cina

(15) C. FORTI, La “guerra giusta” nel Nuovo Mondo, cit., pp. 273-274.
(16) Ivi, p. 261.
(17) Cfr. C. SCHMITT, Il nomos della terra, cit., p. 105 e ss. E cfr. anche ID., Glossario, a
cura di P. Dal Santo, Milano, Giuffré, ad indicem. T. TODOROV, La conquista dell’America. Il
problema dell’«altro», Torino, Einaudi, 1992 (ed. orig. 1982), p. 182, distingue, ad esempio, tra
l’intenzione di Vitoria, e il suo ruolo o incidenza del discorso.
(18) Sugli aspetti metodologici si veda M. WALZER, Guerre giuste e ingiuste. Un discorso
morale con esemplificazioni storiche, Napoli, Liguori, 1990, p. 251.
(19) F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., I, 8, p. 11.
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sin dai primissimi anni della fondazione del patronato (20). Nel 1569 l’agosti-
niano Martin de Rada, ad esempio, aveva formulato in maniera esplicita un
progetto di conquista della Cina e ne aveva informato Filippo II: «aunque la
gente de China no es nada belicosa (...) mediante Dios, fácilmente y con no
mucha gente, serán sujetados» (21).
Il dibattito intorno alla guerra alla Cina di Alonso Sánchez e José de Acosta
non era dunque avulso dal contesto. I due gesuiti appartenevano alla seconda
generazione della Compagnia di Gesù, quella che fu protagonista e artefice
dei grandi conflitti e dissensi interni all’ordine gesuitico che rischiarono di met-
tere in pericolo, sulla fine del Cinquecento, l’esistenza stessa dell’ordine (22).
Erano un esempio delle diverse anime da sempre presenti tra i gesuiti, quella
più spiccatamente contemplativa – Sánchez – e quella carica della forza apo-
stolica attiva – Acosta; divergenze di vita spirituale ‘originarie’, ma destinate
a scontrarsi inevitabilmente in materia di missioni e particolarmente di evan-
gelizzazione della Cina, da subito percepita dagli europei come una civiltà diversa
ma di livello paragonabile a quella europea (o perlomeno questa era l’imma-
gine che i gesuiti diffusero in Europa attraverso i resoconti dei loro viaggi (23)).
I due spagnoli si erano incontrati, forse per la prima volta in Nuova
Spagna, tra il 1586 e il 1587 quando il generale Claudio Acquaviva aveva nomi-
nato Acosta superiore diretto di Sánchez, vietando a quest’ultimo di trattare
qualsiasi affare presso la corte di Madrid senza la previa autorizzazione del
suo superiore (24). Era un tentativo di bloccare le prime avvisaglie giunte alla

(20) Clima bellicoso ricostruito da L. BOURDON, Un projet d’invasion de la Chine par Canton
à la fin du XVIe siècle, in Actas do III Colóquio Internacional de Estudos Luso-Brasileiros,
Lisboa, [Imprensa de Coimbra], 1960, I, pp. 97-121 e più ampiamente da M. OLLÉ, La empresa
de China. De la Armada Invencible al Galeón de Manila, Barcelona, Acantilado, 2002. Si veda
anche J.P. DOYLE, Two Sixteenth-Century Jesuits and a plan to conquer China: Alonso Sánchez
and José de Acosta. An outrageous proposal and its rejection, in Rechtsdenken: Schnittpunkte West
und Ost. Recht in den gesellschafts- und staatstragenden Institutionen Europas und Chinas, ed.
by K. Wegmann-H. Holz, Münster, LIT Verlag, 2005, pp. 253-273.
(21) M. OLLÉ, La empresa de China, cit., p. 42.
(22) L. VON PASTOR, Storia dei papi, Roma, Desclée & c., 1928, X, p. 125. Più ampiamente
si veda il mio La Compagnia divisa. Il dissenso interno nell’ordine gesuitico tra ‘500 e ‘600, Brescia,
Morcelliana, in corso di stampa.
(23) Su questo aspetto si vedano le interessanti considerazioni di G. RICCIARDOLO, L’aspetto
reale e la componente mitologica nell’immagine della Cina trasmessa dai gesuiti, in Cina: miti e
realtà, a cura di A. Cadonna-F. Gatti, Atti del convegno, Venezia, 21-23 maggio 1998, Venezia,
Cafoscherina, 2001, pp. 411-419 e J. PARKER, Windows into China: The Jesuits and their books,
1580-1730, Boston, Trustees of the Public Library of the City of Boston, 1978.
(24) Lettera di Acquaviva a Mendoza, Monumenta Mexicana (1585-1590), por Félix Zubillaga,
Romae, Monumenta historica Societatis Iesu, 1968, III, pp. 461-485.
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curia generalizia circa il coinvolgimento di Sánchez alla corte di Filippo II in


un progetto di fare guerra alla Cina; progetto che fu discusso anche presso la
Congregazione del Santo Uffizio (25). Di questa limitazione della sua autono-
mia di movimento Sánchez si vendicherà consegnando a Clemente VIII un
memoriale contro Acosta, come ricorda quest’ultimo (26). Al di là del rapporto
di subordinazione, tra i due gesuiti vi fu uno scambio importante e intenso
di informazioni se Acosta, nella sua meravigliosa e dettagliatissima Istoria natu-
rale e morale delle Indie, laddove parla di Cina e usi cinesi per confrontarli,
quando necessario, con quelli delle popolazioni dell’America, cita come sua
principale e pressoché unica fonte il padre Alonso Sánchez (come ad esem-
pio sulle considerazioni circa la scrittura dei cinesi (27)).
Già nel 1582, il 31 dicembre, Alessandro Valignano (1539-1606) (28),
organizzatore delle missioni gesuitiche in Asia Orientale e dal 1573 visitatore
delle Indie e dell’Estremo Oriente, aveva scritto una lettera ad Acquaviva in
cui si accennava, con toni vaghi e imprecisi a Sánchez, ad alcune sue strava-
ganze e al fatto che avrebbe meritato una buona penitenza per ciò che aveva
fatto in Cina. Sembra alludere alla pratica di una politica missionaria in con-
trasto con quanto già praticato dai gesuiti, con il modo di procedere adottato
dalla Compagnia (29). Valignano – l’ideatore del metodo di evangelizzazione
usato dalla Compagnia di Gesù in Cina e in Giappone – fu uno dei maggiori
sostenitori della linea politica volta a evitare l’ingresso dei missionari prove-
nienti dalle Americhe in Cina, consapevole che i metodi missionari del Nuovo
Mondo mal si prestavano all’Estremo Oriente (30). Ma i primi gesuiti arriva-

(25) Lo ricorda A. ASTRAIN, Historia de la Compañía de Jesús en la Asistencia de España,


Madrid, Razón y fe, 1913, IV, p. 466.
(26) Obras del P. José de Acosta, par F. Mateos, Madrid, Atlas, 1954, p. 369.
(27) J. DE ACOSTA, Historia natural y moral de las Indias, en Madrid, por Pantaleon Aznar,
1792 (rist. an. Sevilla 1987), II, pp. 99-102.
(28) Per cui si veda la voce a cura di H. CIESLIK-J. WICKI in Diccionario histórico de la
Compañía de Jesús, diretta da Ch. O’Neill-J.M. Domínguez, Roma-Madrid, Institutum histori-
cum S.I.-Universidad Pontificia Comillas, 2001, IV, pp. 3877-3879 e M.A.J. ÜÇERLER, Alessandro
Valignano: man, missionary, and writer, in «Renaissance Studies», XVII (2003), n. 3, pp. 337-
366.
(29) M. CATTO, Dagli Esercizi spirituali alle Costituzioni della Compagnia di Gesù. Il discer-
nimento spirituale e il governare: La struttura di “un modo di procedere”, in Strutture e forme
del “discorso” storico, a cura di A. Olivieri, Milano, Unicopli, 2005, pp. 209-231.
(30) A.C. ROSS, Alessandro Valignano: The Jesuits and Culture in the East, in The Jesuits.
Cultures, Sciences and the Arts, cit., pp. 336-351, p. 345; ID., A Vision Betrayed. The Jesuits in
Japan and China (1542-1742), Edinburgh, University Press, 1994 e J.F. MORAN, The Japanese
and the Jesuits. Alessandro Valignano in Sixteenth century Japan, London-New York, Routledge,
1993, in part. pp. 216-249.
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rono nell’arcipelago delle Filippine, e con espresso compito di facilitare l’ac-


cesso alla Cina e al Giappone, per decisione della Congregazione Provinciale
messicana nel 1577, creando una naturale continuità tra il Nuovo Mondo e il
lontano Oriente (31), continuità che vale anche per Sánchez.
Alonso Sánchez (1545-1593) era un castigliano, soprannominato «Part
Carthisan» per le sue tendenze contemplative e ascetiche (32), ricordato per i
tentativi fatti nel collegio del Messico per convincere che la sua estetica con-
templativa apparteneva allo spirito della società gesuitica: «Alonso Sánchez seems
to have his eye ‘in finibus terrae’; so to speak, that he is never satisfied with
thing as they are nor with ordinary matters» (33). Il gesuita era «un enigma
ascético indescifrable» (34). Al suo primo viaggio nelle Filippine (1581), e poi
di lì in Cina, la sua posizione però cambiò diventando non molto dissimile da
quella dei mercanti, avventurieri, predicatori e burocrati che avevano viaggiato
dai nuovi territori spagnoli oltreoceano alle Filippine e all’Oriente: posizioni
spregiudicate di sfruttamento del territorio e della popolazione locale che per
Sánchez divennero la necessità di assoggettare completamente questi territori
al regno spagnolo, estendendovi, ad esempio, il trattato di Tordesillas. L’operato
di Sánchez nelle terre dell’Oriente è un continuo tramare, un costante equi-
librio politico triangolato tra questioni cinesi, portoghesi e spagnole (35), e con
nessun interesse verso la missione nel senso proprio del termine.
In una lunga lettera a Gaspare Coelho, viceprovinciale del Giappone,
datata 5 luglio 1584 (36), Sánchez comincia ad accennare all’opportunità di
muovere guerra alla Cina, dove aveva dimorato per alcuni mesi, maturando

(31) M.I. VIFORCOS MARINS, China, una prolongación de la polémica sobre el Nuevo Mundo,
in «Estudios Humanísticos. Geografía, Historia, Arte», 20 (1998), pp. 57-78 e L. CLOSSY,
Merchants, migrants, missionaries, and globalization in the early-modern Pacific, in «Journal of
Global History», 1 (2006), pp. 41-58.
(32) Si veda il bel ritratto tracciato da P.-A. FABRE, Saggi di geopolitica delle correnti spiri-
tuali. Alonso Sánchez tra Madrid, il Messico, le Filippine, le coste della Cina e Roma (1579-1593),
in I gesuiti ai tempi di Claudio Acquaviva. Strategie politiche, religiose e culturali tra Cinque e
Seicento, a cura di P. Broggio, F. Cantù, P.-A. Fabre, A. Romano, Brescia, Morcelliana, 2007,
pp. 185-204, p. 186.
(33) Scriveva il padre Hernán Suarez al generale della Compagnia il 30 novembre 1585 in
C. ROY ARMAYO, In Finibus terrae: Alonso Sánchez and the Limits of Intellectual Autonomy, in
«Portoguese Studies», 16 (2000), pp. 106-124, p. 110.
(34) Così lo definisce A. ASTRAIN, Historia de la Compañía de Jesús, cit., IV, p. 472.
(35) Su questo aspetto si veda, ad esempio, C. ROY ARMAYO, In Finibus terrae, cit., pp. 106-
124.
(36) Opere storiche del P. Matteo Ricci, a cura di P. Tacchi Venturi, Le lettere dalla Cina,
Macerata, F. Giorgietti, 1913, II, pp. 425-426.
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la ferma convinzione che fosse impossibile conquistarla con la sola predica-


zione. Per la Cina era valido lo stesso principio usato per l’America: prima la
conquista armata poi l’evangelizzazione. Nel suo De la entrada de la China en
particular (37) e nel suo Razonamiento que hizo en una real junta sobre el dere-
cho con que Su Magestad está y procede en las Filipinas (letto davanti alla giunta
nominata da Filippo II per discutere le questioni dell’Estremo Oriente) il
gesuita espone, forse in parte per il destinatario politico dello scritto, i carat-
teri essenzialmente pratici, e certamente non giuridici o religiosi, delle sue pro-
poste. Sembra a tratti di leggere un trattato di arte militare per la minuzia con
cui si contano fucili e cannoni: dieci-dodici mila uomini dalla Spagna, Italia
e altri territori del regno ispanico, cinque-sei mila giapponesi, capitani di
grande valore e capacità, fanti, archibugieri, galere, tutti gli equipaggiamenti
necessari (tra cui spiccano le armi da fuoco), strategie per corrompere i per-
sonaggi cinesi più importanti (attraverso oro, denaro, ma anche specchi, vetri,
piume, pitture a olio, mappamondi, vino bianco e rosso). Sánchez traccia le
rotte marittime e i tragitti terrestri. Elabora dettagliatamente la strategia di con-
quista che non esclude neppure una partecipazione attiva del generale della
Compagnia, suggerendo al re di convincerlo a mandare un padre italiano per
persuadere i gesuiti in Giappone a non ostacolare la partecipazione dei giap-
ponesi alla guerra e a fare pressioni sui gesuiti in Cina affinché sostengano la
guerra. I gesuiti già presenti nel Celeste Impero, infatti, avrebbero potuto for-
nire le importanti notizie sugli eserciti e sulle tattiche militari, ma anche, data
la loro conoscenza della lingua, dare un contributo attivo predicando in favore
dei missionari e degli inviati del re di Spagna, presentandoli come i liberatori
«dalla tirannia dei mandarini» (38). Il fomentare la rivolta può essere visto come
un tentativo di Sànchez di trovare una giustificazione alla guerra contro i
cinesi. Tra le cause legittime della guerra previste da Vitoria vi era, infatti, l’e-
lezione volontaria del sovrano straniero da parte degli indigeni, interpretabile
come un dono speciale conferito direttamente da Dio, quando questa fosse
avvenuta con consapevolezza e atto realmente volontario (39). Inoltre, la presa
d’armi contro un regime ,dispotico - secondo i canoni gius-teologici dell’epoca
- ne rendeva naturale la definizione come guerra giusta, assimilandola al diritto
di resistenza.

(37) In F. COLIN, Labor evangélica, ministerios apostólicos de los obreros de la Compañía de


Jesús, fundación y progressos de su Provincia en las Islas Filipinas. Nueva édícion por el padre
P. Pastells, Barcelona, Impr. Lit de Henrich, [1903], nota 4, pp. 437-444.
(38) Ivi, p. 441.
(39) F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., I, cap. 2, nn. 23-24.
434 Michela Catto

Il dovere di difendere con la spada il Vangelo, il diritto di predicare dove


si vuole e si giudica necessario, sono i punti fondamentali del discorso assieme
alla convinzione che l’unico modo per raggiungere questo obiettivo sia avere
una forza armata che sorregga la predicazione, che la difenda ma anche che
la anticipi (40), permettendo così l’ingresso dei missionari in terre inesplorate.
I tempi erano cambiati e la predicazione doveva assumere una nuova prospettiva.
Vi era stata la predicazione e la conversione delle origini, attraverso gli apo-
stoli scelti direttamente da Dio, dotati del dono delle lingue e assistiti dai mira-
coli. Ma ora i predicatori, per volontà di Dio, non disponevano più degli stessi
doni: non la capacità di parlare le lingue o di compiere i miracoli (41). La pre-
dicazione aveva raggiunto una forza autonoma, il soprannaturale e il divino
erano stati sostituiti dall’aiuto dei prìncipi cristiani e dalla loro autorità: senza
il potere temporale la predicazione non può avere luogo. Il ragionamento
riecheggia uno analogo di Valignano ad Acquaviva, scritto il 24 dicembre
1585; ma qui l’assenza dei «miracoli et doni di profetie» viene risolto con un
accomodarsi alle cose esteriori (42), quelle esteriorità che condurranno la
Compagnia di Gesù al metodo dell’«accommodatio» e alla, sin dall’inizio,
controversa questione dei riti cinesi (43).
Verso i cinesi, scriveva Sánchez, non si poteva adottare lo stesso com-
portamento tenuto nei confronti dei turchi o dei mori, o più in generale della
gente nemica della legge e del re. I cinesi dovevano essere sottoposti a una
forza armata «solo per accompagnare» e proteggere i missionari durante la
predicazione e per difendere i convertiti (44). E’ in questa ottica che, a suo

(40) Fatto su cui si è soffermato A. ASTRAIN, Historia de la Compañía de Jesús, cit., IV, p.
466 che nel giudicare la proposta di Sánchez di muovere guerra alla Cina scrive «Era, pues,
en este caso impracticable la teoría, pero, repitámoslo non era de suyo injusta».
(41) Sulla consapevolezza che il mondo moderno fosse privo di miracoli si veda G. IMBRUGLIA,
L’«História do futuro» del gesuita Vieira e il processo di secolarizzazione della storia universale,
in «Archivio di storia della cultura», II (1989), pp. 185-198.
(42) A. VALIGNANO, Il cerimoniale per i missionari del Giappone, a cura di G. Fr. Schütte,
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1946, p. 318.
(43) Ampia è la bibliografia sui riti cinesi per cui rimando a The Chinese Rites Controversy.
Its History and Meaning, edited by D.E. Mungello, Sankt Augustin-San Francisco, Monumenta
Serica Institute-The Ricci Institute for Chinese-Western Cultural History, 1994 e “Scholar from
the West”. Giulio Aleni s.j. (1582-1649) and the Dialogue between Christianity and China, edi-
ted by T. Lippiello-R. Malek, Brescia-Sankt Augustin, Fondazione Civiltà Bresciana-Monumenta
Serica Institute, 1997, in part. pp. 201-217.
(44) F. COLIN, Labor evangélica, cit., p. 441: «que se advierta y entienda que todo cuanto
atras se ha dicho y ordenado de aparato de guerra no ha sido para que se piense que se les
ha de hacer ni puede como se haria con turcos ó moros ni otra gente enemiga y declarada con-
Una crociata contro la Cina 435

avviso, persino il desiderio di arricchirsi degli uomini poteva essere convogliato


come forza positiva della conquista spirituale (45).
L’idea di Sánchez contemplava una vittoria che avrebbe permesso di
espandere perfettamente la realtà spirituale, culturale e amministrativa
dell’Europa in Cina, creando vescovi e arcivescovi guidati da un patriarca, nuovi
ordini militari, far penetrare costumi, lingua e scrittura occidentali, che avrebbe
così sostituito gli ideogrammi, vera «invenzione diabolica». La conquista
avrebbe calato la monarchia spagnola in una vera cuccagna spirituale e tem-
porale come mai si era vista prima dal tempo in cui Dio creò il mondo. La
grande ricchezza della Cina – un nuovo Eldorado – poteva essere conservata
solo mantenendo il suo governo; una tattica di preservazione momentanea che
sul lungo periodo ne avrebbe favorito la sconfitta poiché i contadini, ad esem-
pio, avrebbero accolto gli spagnoli e gli occidentali senza nessuna forma di
opposizione vista la tirannia e lo sfruttamento a cui erano sottoposti. Tra i punti
a sostegno di un progetto spagnolo di conquista, inserito in una congiuntura
favorevole, vi era inoltre il fatto di evitare una possibile conquista della Cina
da parte dei musulmani o la diffusione in Cina di eresie a opera di altri euro-
pei non fedeli alla Chiesa di Roma.
La Cina sembra interessare particolarmente il Sánchez in funzione dell’i-
dea di costruire un nuovo popolo cristiano. Egli si sofferma, infatti, sulle doti
e le virtù possedute dai cinesi (grande memoria, capacità di comprensione, inge-
gno, gentile disposizione, prudenza, dignità, ecc.), illustrando i vantaggi dei
matrimoni meticci (possibili visto che le cinesi sono tutt’altro che barbare) per
il moltiplicarsi dei cristiani nel mondo. Le virtù dei cinesi sono tali che, in
una visione quasi da paradiso terrestre (46), sarà possibile anche autorizzare

tra nuestra ley y nuestro rey, lo cual ellos ni saben ni conocen ni quieren mal sino que sola-
mente es para acompañar y guardar á los predicadores de ella y del Rey que los envia y que
les den entrada y dejen predicar á donde quisiesen y fuese necesario y para que los que gobier-
nan no estorben á ninguno que los oigan y reciban y para que sin miedo se puedan convertir
ni haya peligro de que por daños ó miedos ó castigos retrocedan ó renieguen los ya converti-
dos».
(45) L. GUARNIERI CALÒ CARDUCCI, Nuovo Mondo e ordine politico. La Compagnia di Gesù
in Perù e l’attività di José de Acosta, Rimini, Il Cerchio, 1997, p. 123.
(46) F. COLIN, Labor evangélica, cit., p. 444: «Que en la China ha de ser todo al reves, asi
por ser la gente de la calidad que se ha dicho para casamientos, amistad y union é igualdad,
oficios y dignidades y gobierno espiritual y temporal, como por ser las riquezas de la tierra
tanta y de la suerte que es de heredades frutos, mantenimientos y bastimentos de arroz trigo
y cebada; de todas maneras de frutas, muchas diferencias de vinos, gallinas, patos y otras mil
maneras de aves, muchos ganados, cavallos, vacas, cabras, carneros, búfanos, y mucha coram-
436 Michela Catto

la formazione dei sacerdoti cinesi, evitando così gli svantaggi, verificatisi in


altri paesi, del non poter utilizzare i nativi come religiosi.
La conquista armata è prospettata come la possibilità di riprodurre una
seconda Spagna, una seconda Europa. Questa operazione era resa più facile
dal fatto che in genere gli orientali venivano percepiti dagli europei come gente
di «nostra qualità»: descritti come tedeschi i cinesi di città, come italiani o
spagnoli i cinesi di campagna, essi non erano considerati «razzialmente» dif-
ferenti dagli europei (47). Un modo di vederli che permetteva di superare imme-
diatamente molti degli ostacoli della politica coloniale praticata nel Nuovo
Mondo e alla cui definizione contribuirono anche le missioni. Il riconoscimento
di una sorta di unità antropologica, di una unità potenziale tra gli europei e
i cinesi permetteva a Sánchez di ipotizzare una partecipazione dei cinesi ai
diritti politici e civili e finanche, sempre idealmente, un loro ingresso negli
ordini sacri e nel clero. Nell’idea di Sánchez questo passava attraverso una
cancellazione della cultura cinese, del suo alfabeto come del suo sistema edu-
cativo, e una epurazione delle sue tradizioni (48).
Va da sé che l’idea di conquista come colonizzazione culturale, intesa nel
senso più ampio, era di tutti i religiosi impegnati nelle missioni. Lo stesso

bre, seda infinita, mucho algodon, almizcle, miel y cera, muchas diferencias de maderas de mucho
valor, muchas suertes de perfumes y otras cosas que produce la tierra fuera de la abundancia
de minas y metales que arriba se dijo á lo cual añadida la industria humana de tanta gente y
tan ingeniosa y codiciosa y trabajadora y bien gobernada es increible la muchedumbre y abun-
dancia de los oficios y artificios é invenciones é industrias y fabrica de todo cuanto se puede
pedir para el uso humano de mantenimiento, ornato y regalo y de todas alhajas tiendas y mer-
cadurias asi para provision de la tierra como para mercancia de los extrangeros la cual cosa
con la primera dicha de la suerte de las personas ha de ser causa, si Dios fuese servido de dar-
nos entrda en aquellos reinos para que en breve sean allanados mezclados y unidos, españoli-
zados y cristianizados que no se puede decir los grandes bienes y provechos que de aqui nace-
ran espirituales y temporales de nueva luz de fe y buenas costumbres y salvacion para los chinos
y muchas almas y gloria para Dios de riqueza y honrra y eterno nombre para nuestro Rey y
de grande fama y provecho y multiplicacion de la gente española y mediante ella de toda la
cristiandad, y con estos aun habrá los siguientes».
(47) Cfr. W. DEMEL, Come i cinesi divennero gialli. Alle origini delle teorie razziali, Milano,
Vita e Pensiero, 1997. Ma anche R.G. MAZZOLINI, L’interpretazione simbolica della pigmenta-
zione umana nell’antropologia fisica del primo Ottocento, in Le problème de l’alterité dans la cul-
ture européenne. Anthropologie, politique et religion aux XVIII et XIX siècle. Atti del convegno
internazionale. Trieste 23-25 settembre 2004, a cura di G. Abbatista-R. Minuti, Napoli, Bibliopolis,
2006, pp. 179-198.
(48) Su questi temi si veda il saggio di D. PASTINE, Il problema teologico delle culture non
cristiane, in L’Europa cristiana nel rapporto con le altre culture nel secolo XVII. Atti del Convegno
di studio di Santa Margherita Ligure (19-21 maggio 1977), Firenze, La Nuova Italia Editrice,
1978, pp. 1-22, 18-22.
Una crociata contro la Cina 437

Alessandro Valignano, ideatore di un sistema complesso di adattamento del


cristianesimo nelle terre dell’Estremo Oriente, nella sua Relazione missionaria
(1583) stilata per il Giappone indicava questa terra, per le sue caratteristiche
sociali e culturali, come quella di una cristianità in grado di offrire nel tempo
la maggiore occasione di salvezza, intendendo con questo la diffusione e la
creazione di un grande popolo cristiano. Ma in Valignano non troviamo toni
bellicosi, ma solo le strategie per penetrare la società giapponese in modo docile,
facendosi rispettare e accettare adattandosi ad alcune delle espressioni cultu-
rali locali (49). Ricordiamo che le sue tecniche di accomodamento non erano
da tutti condivise, neppure all’interno della Compagnia: il suo Libro delle
Regole o Cerimoniale fu approvato con riserve e oggetto di una lunga con-
trattazione (50).

José de Acosta: «entrar por la puerta de la cruz y vituperio que no puede ser
entrada vana» (51)

Alle proposte e al tramare di Sánchez rispose José de Acosta, le cui con-


vinzioni erano maturate in altri contesti geografici e culturali. Definito il Plinio
del Nuovo Mondo (52) per le minuziose descrizioni delle terre americane, egli
maturò una lunga esperienza in Perù nell’organizzazione della Chiesa catto-
lica e missionaria, dove spesso assunse posizioni a favore dell’autonomia dei
missionari dai poteri centralizzati (53).
Nato a Medina del Campo nel 1540 da una famiglia di origine portoghese
ed ebrea, Acosta si era imbarcato per il Nuovo Mondo nel 1571. Partecipò
attivamente alla vita politica e religiosa missionaria assumendo l’incarico di
provinciale del Paese e collaborando con il Viceré Toledo all’emanazione delle

(49) A. VALIGNANO, Les jésuites au Japon. Relation missionnaire (1583), traduction, présen-
tation et notes de J. Bésineau, Paris, Desclée de Brouwer-Bellarmin, 1990, pp. 112-113 e ss. Si
veda anche P. M. D’ELIA, Alessandro Valignano e l’introduzione definitiva del cristianesimo in
Cina, in «La Civiltà Cattolica», (1941), pp. 124-135.
(50) A. PROSPERI, Il missionario, cit., p. 196. Ma anche l’introduzione a A. VALIGNANO, Il
cerimoniale per i missionari del Giappone, cit.
(51) Obras del P. José de Acosta, cit., p. 344.
(52) L. LOPETEGUI, El padre José de Acosta S.J. y las misiones, Madrid, S. Aguirre-Alvarez
de Castro, 1942, p. 449.
(53) Per cui si veda ad esempio L. LOPOTEGUI, Tres memoriales inéditos presentados al papa
Clemente VIII por el P. José de Acosta sobre temas americanos, in «Studia Missionalia», 5 (1949),
pp. 75-91.
438 Michela Catto

Ordenanzas emanate per il governo del paese; nel 1583 fu teologo nel terzo
Concilio di Lima e si impegnò nella redazione dei catechismi. Morì nel 1600 (54).
Acosta riteneva che popolazioni considerate dotate di ragione, come i
cinesi e i giapponesi, potessero essere conquistate mediante l’utilizzo di stru-
menti razionali (55). Lo spartiacque, il discrimine per definire e individuare
questa categoria di umanità era l’esistenza di «un governo stabile, leggi pub-
bliche, città fortificate, magistrati rispettati, e ciò che è più importante, uso e
conoscenza delle lettere, perché ovunque vi sono libri e monumenti scritti la
gente è più umana e politica». Egli suggeriva che per questo tipo di popola-
zione la predicazione fosse analoga a quella «degli apostoli che predicarono
ai greci e ai romani e agli altri popoli dell’Europa e dell’Asia» (56). Era a que-
sta gente dotata di ragione che il gesuita dichiarava la propria preferenza nella
propria indipeta; era in favore di questa gente, dotata di «alguna capacidad y
no muy bruta» (57), che esprimeva il proprio desiderio di martirio (58). Questa
teoria, destinata a grande successo, nasceva accompagnata da molte altre

(54) Per una ricostruzione biografica e delle opere si veda sub voce a cura di J. BAPTISTA
in Diccionario histórico, cit., I, pp. 10-12. Una biografia in C.M. BURGALETA, José de Acosta, S.J.
(1540-1600). His life and thought, Chicago, Loyola Press, 1999, pp. 3-69.
(55) Nel De promulgando evangelio apud barbaros, sive de procuranda Indorum salute (1588,
ma pubblicato nel 1589) egli aveva stilato una sorta di gerarchia dei popoli e dei metodi da
usare nella loro evangelizzazione (cfr. G. IMBRUGLIA, Il missionario gesuita nel Cinquecento e i
“selvaggi” americani, in In nome di Dio. L’impresa missionaria di fronte all’alterità, a cura di F.
Cuturi, Roma, Meltemi, 2004, pp. 61-73). La divisione gerarchica veniva ripresa dieci anni dopo
da Antonio Possevino nella sua Cultura degli ingegni (1598) in cui affermava che tre sorti o
classi esistevano per gli ingegni nelle Indie, inserendo cinesi e giapponesi nella classe di «coloro
i quali poco si discostano dalla retta ragione et dalla consuetudine del genere humano» (Rist.
an., postfazione a cura di A. Arcangeli, Sala Bolognese, Arnaldo Forni Editore, 1990, pp. 16-
18) o da Giovanni Botero (su cui si veda A. ALBÒNICO, Il mondo americano di Giovanni Botero.
Con una selezione dalle Epistolae e dalle Relationi Universali, Roma, Bulzoni, 1990, in part. pp.
112-120, 177-191).
(56) G. GLIOZZI, Adamo e il Nuovo Mondo. La nascita dell’antropologia come ideologia colo-
niale: dalle genealogie bibliche alle teorie razziali (1500-1700), Firenze, La Nuova Italia Editrice,
1977, pp. 377-379.
(57) G. IMBRUGLIA, Ideali di civilizzazione: la Compagnia di Gesù e le missioni (1550-1600),
in Il Nuovo Mondo nella coscienza italiana e tedesca del Cinquecento, cit., p. 292.
(58) Per cui si veda P. BROGGIO, Evangelizzazione e missione tra Europa e Nuovi Mondi: la
realtà e l’immagine dell’apostolato dagli ordini mendicanti alla Compagnia di Gesù, in Identità
del Nuovo Mondo, cit., pp. 159-203, p. 163. Sul significato delle indipetae nella spiritualità del-
l’ordine gesuitico si veda: P.-A. FABRE, Un désir antérieur les premiers jésuites des Philippines et
leurs indipetae (1580-1605), in Missions religieuses modernes, cit., pp. 71-88 e A.R. CAPOCCIA,
Per una lettura delle Indipetae italiane del Settecento: “indifferenza” e desiderio di martirio, in
«Nouvelles de la Republique des lettres», 1 (2000), pp. 7-43.
Una crociata contro la Cina 439

moderne osservazioni, come quelle che tracciavano un sistema di analogie tra


certi riti delle popolazioni non europee e i sacramenti dell’eucarestia e della
penitenza (59); osservazioni che furono censurate per l’inquietudine che crea-
vano preso gli intellettuali cattolici del Cinquecento (60).
Dal Messico, il 15 marzo 1587, Acosta scrisse un suo primo parere, for-
temente avverso a una guerra alla Cina (Parecer sobre la guerra de la China.
Méjico, 15 de Marzo de 1587 (61)); tema su cui, come vedremo, tornerà. Assai
diversi erano gli argomenti di Acosta rispetto a quelli del Sánchez, e in par-
ticolare apparivano in tutta la loro centralità le questioni di carattere teolo-
gico e il richiamo ai teologi – da Agostino a Francisco de Vitoria, il vero pro-
tagonista del pensiero di Acosta – è sistematico. Va inoltre sottolineato che
tutte le considerazioni di Acosta intorno alla guerra sono limitate, come egli
stesso afferma, al caso della Cina e non alla guerra in generale (62), anche per-
ché ogni osservazione «son cosas morales que peded de mil circunstancias»
(63): la sua avversità non è alla guerra in genere, ma a quella contro la Cina.
Le valutazioni di Acosta assumevano come punto di partenza l’orrore
della guerra, il suo costitutivo essere portatrice di morte, violenze, furti, danni,
e il suo condurre alla rovina la stessa repubblica, lo Stato; un atto, dunque,
da evitare in modo assoluto e la cui decisione – quella di fare la guerra – impone
l’obbligo morale di essere profondamente ponderata e giudicata attraverso il
diritto e i fatti. Nello specifico caso della Cina, i fatti, sosteneva Acosta, non
corrispondono esattamente a quelli narrati da Sánchez (64); sul piano degli argo-

(59) J. DE ACOSTA, Historia natural y moral de las Indias, cit., II, pp. 57-58.
(60) Si veda D. FERRO, Sospetti e censure nella prima traduzione italiana della Historia natu-
ral y moral de las Indias di José de Acosta, in Il letterato tra miti e realtà del nuovo mondo:
Venezia, il mondo iberico e l’Italia. Atti del Convegno di Venezia, 21-23 ottobre 1992, a cura
di A. Caracciolò Aricò, Roma, Bulzoni, 1994, pp. 273-282 e D. DOMENICHINI, Sulla fortuna ita-
liana di José de Acosta. Episodi di storia religiosa del Cinquecento, in «Studi ispanici», (1981),
pp. 23-46.
(61) Cfr. Obras del P. José de Acosta, cit., pp. 331-334. Anche in P. TACCHI VENTURI, Opere
storiche del P. Matteo Ricci. II. Le lettere dalla Cina, cit., pp. 450-455.
(62) Obras del P. José de Acosta, cit., p. 345: «sólo de la China he respondido lo que siento,
habiéndolo mirado y considerado y estudiádolo con atención y diligencia y puro deseo de acer-
tar la verdad».
(63) Ibidem.
(64) «porque, aunque el memorial del p. Alonso Sánchez refiera algunas y muchas cosas
ciertas y notorias, otras no lo son tanto sino de oydas ó de conjecturas, y algunas se escriben
ó refieren por otras personas con harta diversidad», in P. TACCHI VENTURI, Opere storiche del
P. Matteo Ricci, cit., II, p. 451.
440 Michela Catto

menti giuridici, invece, Acosta seguiva, passo dopo passo, i ragionamenti di


Vitoria, non trovando spiragli per poter considerare come giusta una guerra
ai cinesi.
La prima e, credo, anche ultima (almeno sino al XIX-XX secolo) appli-
cazione della teologia della guerra giusta al caso della Cina, di una civiltà rite-
nuta paragonabile e finanche, in alcuni casi, superiore a quella europea, non
regge al vaglio della critica di Acosta. Le teorie elaborate per l’America Latina,
il dibattito sulla conquista, se sia giusta o ingiusta la guerra con cui gli spa-
gnoli si sono impadroniti del Nuovo Mondo e se sia legittimo dominio quello
che essi esercitano nelle Americhe, falliscono davanti alla civiltà cinese anche
a partire dalla valutazione, come scrisse Matteo Ricci, «delle qualità di que-
sto regno differentissime di tutti gli altri del mondo» (65).
Se è vero che la Cina non ammette l’ingresso nelle sue terre di stranieri,
anche se questi entrano con scopi pacifici e, secondo Vitoria e in generale i
teologi (66), ciò basta a giustificare una guerra come giusta, in questo non vi
è ingiuria agli spagnoli perché questo è costume, uso, consuetudine dei cinesi
che escludono tutti gli stranieri e non solo gli spagnoli. Una politica, quella
praticata dai cinesi, che Acosta apprezza giudicandola, come ha mostrato l’e-
sperienza, il mezzo più sicuro per conservare lo Stato, la repubblica (67). Al
di là della considerazione generale vi è quella specifica del comportamento
tenuto dagli iberici nel mondo, un ritratto che Acosta, grazie alla sua lunga
residenza in America Latina, aveva ben vivo davanti a sé. L’agire degli spa-
gnoli nel mondo negli ultimi novant’anni, il loro carattere bellicoso, il loro
entrare nei paesi per commercio e poi impadronirsene militarmente e politi-
camente, permettono, e qui la giustificazione teologico-giuridica è ancora
Vitoria (68), di escluderli dall’ingresso in Cina per giusta causa (69). Per essere
lecita e giustificata una guerra non deve addurre maggiore danno alla fede,
non deve essere possibile ottenere lo stesso risultato attraverso mezzi pacifici

(65) Ivi, I, p. 231, lettera di Ricci a Girolamo Costa del 15 ottobre 1596.
(66) F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., I, 3, nn. 1-9.
(67) «El qual género de policía no se puede negar que sea el más seguro para conservarse,
como lo ha mostrado la experiencia de tanto tiempo come se han conservado»: P. TACCHI VENTURI,
Opere storiche del P. Matteo Ricci, cit., II, p. 452.
(68) F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., I, 3, nn. 1-3, 6.
(69) «por ser gente más bellicosa y amiga de mandar, y por la notoria experiencia que de
noventa años á esta parte tiene todo el mundo del señorío que han adquirido en las naciones
donde han entrado con título de conversar y contratar»: P. TACCHI VENTURI, Opere storiche del
P. Matteo Ricci, cit., II, p. 452.
Una crociata contro la Cina 441

e, infine, non deve mai eccedere i limiti della giusta e necessaria difesa dei
fedeli. Per essere giusta una guerra deve difendere dall’ingiuria il fedele in
quanto fedele (70) e il comportamento dei cinesi nei confronti di spagnoli e
portoghesi, dice Acosta, non sembra essere in odium fidei (71); fatto confer-
mato dalla presenza dei gesuiti in Cina e da alcune conversioni e battesimi di
cinesi di Macao che testimoniamo che non vi è ostacolo alla predicazione (72).
Tra le motivazioni, inoltre, l’accenno alle specifiche condizioni della Cina,
alla qualità del suo governo, all’ingegno, alla laboriosità e alla ricchezza del
popoloso impero cinese che rendono la guerra fonte di odio e scandalo con-
tro il nome cristiano (73). Tra i popoli da poco scoperti Acosta distingue tra
coloro che sono barbari e inumani, che non hanno la ragione (74), che non
osservano una fede o un ordine – che sono poi coloro che danno mille e mille
ragioni per assoggettarli con la forza, «y esso mismo es bien para ellos» (75)
– e sottolinea che i cinesi non sono così superstiziosi e pertinaci nella loro
idolatria e nei loro riti (76).
Più ampiamente, ma essenzialmente per ribadire gli stessi concetti, Acosta
tornerà sulla questione il 23 di marzo dello stesso anno con la sua Respuesta
a los fundamentos que justifican la guerra contra la China (77). Articolato in
precise risposte agli scritti di Sánchez, Acosta ne confuta ogni proposta e pre-
supposto, accusandolo spesso di essere capzioso e di accostare proposizioni e
condizioni universali senza porre i casi nelle giuste circostanze: dalle argo-
mentazioni più banali, volte a sostenere la presenza di un partito nei gesuiti

(70) Ancora Vitoria è la sua teorizzazione circa il diritto naturale che governa gli uomini e
le limitazioni del potere imperiale non sovrano del mondo: F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit.,
I, 2, nn. 1-2.
(71) P. TACCHI VENTURI, Opere storiche del P. Matteo Ricci, cit., II, p. 454.
(72) F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., I, 3, n. 8; I, 2, nn. 6-8.
(73) “Mas donde ay tanto govierno é ingenio y aun industria y riqueza y fuerças de gente
inumerabel, y ciudades cercadas et caetera, es imposible que la guerra no cause gravíssimos
daños y terrible escándolo y odio contra el nombre christiano”: P. TACCHI VENTURI, Opere sto-
riche del P. Matteo Ricci, cit., II, p. 455.
(74) Su cui si veda F. DE VITORIA, Relectio de Indis, cit., I, 1, nn. 11-12 e 15.
(75) P. TACCHI VENTURI, Opere storiche del P. Matteo Ricci, cit., II, p. 455.
(76) «finalmente no tienen con la ley de Christo el odio y oxeriça que los Moros y Turcos
y Indios y otros que propriamente aborezzen á los christianos por ser christianos, ni aun son
los Chinas tan supersticiosos y pertinazes en sus idolatrías y ritos como otros infieles, según
han escripto los que an estado allá»: Ivi, p. 454.
(77) Obras del P. José de Acosta, cit., pp. 334-345. Si veda L. LOPETEGUI, El padre José de
Acosta S.J. y la misiones, cit., pp. 459 e ss.
442 Michela Catto

e negli altri ordini religiosi favorevole alla guerra per la penetrazione del
Vangelo o volte a denunciare i danni subiti dagli occidentali nelle Filippine (78),
sino ad aspetti più propriamente di carattere teologico-giuridico.
La prima opposizione si sviluppa intorno al potere del papa che Acosta
non considerava legittimo estendersi spiritualmente sopra tutti gli uomini e dun-
que anche sugli infedeli (79). Disposto ad accettare l’intervento del papa nelle
questioni della vita politica e morale degli stati cristiani – sino al disarcionare
i prìncipi secolari, ma con molte e debite limitazioni (80) – Acosta, richiamandosi
all’autorità dei teologi, affermava che il potere spirituale e temporale avevano
giurisdizione solo ed esclusivamente sopra i popoli cristiani e battezzati.
Il lungo dibattito che aveva interessato l’evangelizzazione americana, la giu-
stificazione della guerra per diffondere il Vangelo – ammessa, sempre con molti
distinguo, là dove vi erano uomini selvaggi e barbari, come gli indigeni dei
Caraibi – non poteva essere applicata ai cinesi, perché dove c’era governo e
ordine e dove l’opposizione al Vangelo nasceva dalla vita «carnale» che sem-
pre vi si era praticata non vi era ragione di abbracciare armi diverse da quelle
di Gesù Cristo, ossia della predicazione e della propagazione pacifica della
fede (81). Vi è un interessante richiamo alla Chiesa primitiva su questo punto,
a san Paolo in primis: non fu uso della Chiesa primitiva quello delle armi, in
luogo delle quali si preferì usare la forza spirituale di Cristo, e se ora, prose-
gue Acosta, i tempi sono differenti non per questo si devono usare i mezzi
militari; occorre piuttosto cercare nuove soluzioni. Le novità a cui egli pen-
sava sono una difesa e un’approvazione di quanto stavano praticando i gesuiti
in Cina.
Al di là delle considerazioni sulla guerra giusta o ingiusta, Acosta infatti
si soffermava a smascherare alcune opinioni specifiche del Sánchez, mostrando
l’esistenza di due diversi concetti e valutazioni della politica gesuitica adottata
nell’evangelizzazione dell’Estremo Oriente. Particolarmente offensivo viene

(78) Obras del P. José de Acosta, cit., pp. 334-335.


(79) Ivi, pp. 335-336.
(80) «Si entiende esto con repúblicas ya cristianas, puede pasar con las debidas limitacio-
nes, de no seguirse de ahí mayores daños y escándalos, y de constar clara y manifiestamente
de su insuficiencia e incapacidad, y de no haber otro señor temporal que lo pueda y deba reme-
diar»: Ivi, p. 335.
(81) «Pero en orden a la China, donde ha policia y gobierno, y la contrariedad al evange-
lio nace de la vida carnal que siempre el mundo enseñó a los suyos, no hay razón para buscar
otras armas sino las de Jesucristo y esas son las poderosas, esotras más empecen que aprove-
chan al evangelio»: Ivi, p. 337.
Una crociata contro la Cina 443

giudicato da Acosta il fatto che nel Memoriale di Sánchez si affermi che tutta
la Compagnia di Gesù, e non solo, stava pregando per la concessione del giu-
bileo per la conversione della Cina. Acosta aveva la speranza che il metodo
dell’adattamento usato dai gesuiti di Zhaoqing desse i suoi frutti (82); un’opi-
nione sostenuta da alcuni successi. L’elenco di questi ultimi ci fornisce un qua-
dro dell’evangelizzazione della Cina sul finire del Cinquecento: i gesuiti risie-
dono in Cina, ne stanno apprendendo la lingua per evitare l’uso di interpreti
sleali, vi praticano i costumi cristiani, vi dicono messa, cominciano a diffon-
dere la legge di Dio in lingua cinese (83); il loro numero sta crescendo, il fra-
tello dell’imperatore inizierà presto delle conversazioni con il padre Ruggeri;
inoltre, prosegue la loro opera di conversione dei potenti grazie ai quali poi
sarà più facile convertire gli altri (84); infine, tutti i padri di San Paolo, e spe-
cialmente quelli italiani (85), godono in Cina di ottima reputazione: fare guerra
sarebbe disprezzare tutto questo e alimentare l’odio verso il nome cristiano (86).
L’elenco delle strategie di penetrazione non esclude neppure un accenno agli
orologi e all’uso quindi della tecnologia europea. Tutti elementi che possiamo
far rientrare nelle quattro linee di evangelizzazione adottate dai gesuiti in Cina:
l’adattamento, l’evangelizzazione a partire dall’alto, la diffusione delle scienze
e delle tecnologie occidentali e, infine, l’apertura e la tolleranza nei confronti
della cultura e dei valori cinesi (87). Acosta adotta lo stesso principio elabo-
rato da Valignano per il Giappone dove i successi riscontrati dai gesuiti lo
inducono, elencando sette significativi e importanti motivi, non solo a sugge-

(82) Ivi, p. 340.


(83) Ivi, p. 342.
(84) Ivi, p. 341: «es muy creíble y a Dios muy fácil poner el mismo deseo en algún gober-
nador y en el mismo príncipe de la China, y esta sería puerta certísima de mayor conversión
de la China».
(85) L’italianità dei gesuiti in Cina compare anche dalle cronache della storia officiale cinese
in cui italiani diventa quasi sinonimo di gesuiti: P. TACCHI VENTURI, Opere storiche del P. Matteo
Ricci, cit., I, p. CXLII.
(86) Obras del P. José de Acosta, cit., pp. 341-342.
(87) Sulle caratteristiche della politica missionaria gesuitica in Cina si vedano le riflessioni
di N. STANDAERT, Le rôle de l’autre dans l’expérience missionaire à partir de la Chine: l’identité
jésuite façonnée par les Chinois, in Tradition jésuite. Enseignement, spiritualité, mission, par E.
Ganty, M. Hermans, P. Sauvage, Namur-Bruxelles, Presses universitaires de Namur-Editions
Lessius, 2002, pp. 115-137, pp. 117-120; J. GERNET, Espace-temps, science et religion dans la
rencontre de la Chine avec l’Europe, in L’Europe en Chine. Interactions scientifiques, religieuses
et culturelles aux XVIIe et XVIIIe siècle. Actes du colloque de la Fondation Hugot (14-17 octo-
bre 1991), revus et établis par C. Jami-H. Delahe, Paris, College de France-Institut des hautes
études Chinoises, 1993, pp. 231-240.
444 Michela Catto

rire che alla sola Compagnia di Gesù sia riservata in esclusiva l’evangelizza-
zione, ma anche ad indicare nell’affezione dei giapponesi convertiti ai supe-
riori della Compagnia la prima causa di un successo (88).
Acosta esprime dunque una grande fiducia verso le tecniche dell’acco-
modamento adottate dai gesuiti alla realtà cinese, contrapponendosi alle valu-
tazioni di Sánchez, volte a sottolineare la pochezza dei risultati ottenuti dai
missionari in Cina o l’assenza di tempo per una conversione pacifica della Cina
vista la presenza dei musulmani alle sue porte. La valutazione della guerra come
giusta o ingiusta di Acosta e Sánchez passava attraverso un opposto giudizio
dei risultati già ottenuti dalla Compagnia di Gesù in Cina.

La Compagnia di Gesù davanti alla Cina: un Giano bifronte

Nel dialogo tra Acosta e Sánchez intorno alla guerra e alla conquista della
Cina si nascondeva la battaglia, anche interna all’ordine gesuitico, sulle tecni-
che di adattamento che la Compagnia di Gesù stava elaborando in Cina, in
maniera più esplicita a partire dagli anni Settanta del Cinquecento e, più in
generale, si celava un diverso approccio intorno ai temi del cristianesimo e
della cristianizzazione. Se le posizioni di Acosta sono l’espressione della per-
fetta adesione alle teorizzazioni di Alessandro Valignano e alle pratiche di Matteo
Ricci, quelle di Sánchez sono la manifestazione dell’animo più conservatore o
meno moderno della Compagnia e dei suoi legami con i poteri politici seco-
lari, una eco di un’altra epoca.
La scelta di fare guerra alla Cina non fu mai appoggiata dai gesuiti di
Roma. Il comportamento vincente fu quello delicatamente sintetizzato da
Daniello Bartoli: «E la Cina singolarmente più che altra terra del mondo
(come ben si vedrà in cento luoghi) si è dovuta conquistare non altrimenti
che a guisa delle fortezze reali, a palmo a palmo, e con una sottil contrarte
di far poco e patir molto, vincerla tanto senza parerlo, ch’ella medesima non
se ne avvedesse» (89). La linea dolce risaliva a presupposti radicati nelle ori-
gini stesse della Compagnia di Gesù, nella sua volontà di adattarsi ai «diversi

(88) A. VALIGNANO, Les jésuites au Japon. Relation missionnaire (1583), cit., pp. 127-133,
p. 174.
(89) D. BARTOLI, Scritti, a cura di E. Raimondi, Torino, Einaudi, 1977, p. 123 (da La Cina,
1663).
Una crociata contro la Cina 445

tipi di persone» — così ben espressa nel testo degli Esercizi spirituali — e che
si poteva spingere sino a ridurre le verità della fede ai fundamenta e ad aprire
il cattolicesimo a tutti quegli elementi folclorici ed etnici, culturali e religiosi
degli altri paesi che non contrastavano con il cattolicesimo stesso. Nello scon-
tro tra Sánchez e Acosta sulla possibilità pratica e sulla legittimità teologica e
giuridica di fare una guerra alla Cina si rifletteva la divergenza, e il conflitto,
tra due diverse anime da sempre presenti nella Compagnia di Gesù, anche
presso coloro che erano impegnati nelle difficili terre lontane (90).
Il contrasto di vedute sulla conquista della Cina intercorso tra Sánchez e
Acosta si sviluppava in un momento particolarmente critico per la storia della
Compagnia di Gesù, lacerata da alcuni decenni da conflitti interni intorno a
cosa dovesse essere e come dovesse operare l’ordine gesuitico. Lettere di
denunce e memoriali, sempre più numerosi, erano scritti da gesuiti e indiriz-
zati a sovrani e pontefici nel tentativo di coinvolgerli nei dissidi interni, come
pacieri e agenti risolutori di un conflitto che aveva raggiunto i vertici della
Compagnia stessa: il generale, i suoi assistenti e i suoi professi. L’elezione del-
l’italiano Claudio Acquaviva al generalato era stato il frutto di compromessi
tra un monarca spagnolo che tendeva a ispanizzare l’ordine, appoggiando
anche progetti di riforma per la creazione di una Compagnia spagnola sepa-
rata da Roma, e un potere papale che perseguiva il progetto di aumentare le
forme di controllo su questo ordine religioso che si estendeva a macchia d’o-
lio, moltiplicando i suoi collegi e le sue case in Europa e la sua presenza nelle
punte più lontane della diffusione del cristianesimo. In realtà, il dibattito
interno alla Compagnia toccava punti salienti – dalla spiritualità, all’attività mis-
sionaria, alle forme di governo centralizzato e verticistico – ma dietro alle grandi
discussioni si celavano storie ancora più complesse. Non si trattava solo di una
diversa valutazione politica e del suo contesto, non si trattava solo del pur
importante obbiettivo di armonizzare (con il rischio di appiattire) le linee
generali della politica della Compagnia su quelle della monarchia spagnola e
dello stato moderno o su quelle del potere universale del papa, che interes-
sava il cosiddetto partito dei memorialisti spagnoli di cui Acosta era il capo
e in cui ebbe un ruolo di primo piano ai fini della convocazione della quinta
congregazione generale della Compagnia – la prima non indetta in vista del-
l’elezione del generale. In gioco vi erano due diversi modi di concepire la

(90) Per i gesuiti portoghesi impegnati in Cina si veda la ricostruzione di L. BROCKEY, A


Vinha do Senhor: The Portoguese Jesuits in China in the Seventeenth Century, in «Portoguese
Studies», 16 (2000), pp. 125-147.
446 Michela Catto

Compagnia oltreoceano: alla visione di Acosta di un ordine gesuitico più


libero dal potere del generale nelle sue propaggini esterne, più pronto ad ade-
guarsi alla realtà missionaria, più flessibile nei confronti delle realtà politiche
territoriali, si contrapponeva la visione di Sánchez che al contrario desiderava
una gestione più centralizzata, anche nella direzione delle missioni nelle terre
lontane (91).
Nel quadro variegato e mosso di una Compagnia di Gesù lacerata al
suo interno dal movimento dei memorialisti, che attraverso le denunce del
proprio generale e dei meccanismi di gestione dell’ordine, a re e pontefici
stavano mettendo in grave crisi l’esistenza del corpo gesuitico, non è diffi-
cile comprendere perché il generale Acquaviva si oppose al progetto di una
conquista armata che avrebbe sancito l’espansione della monarchia spa-
gnola in Asia Orientale. Agli occhi del generale il rafforzamento della
monarchia papale, a scapito di quella hispana da sempre presente nell’or-
dine, era la strada da percorrere per rafforzare la Compagnia difendendo
gli interessi di Roma (92).
Alla base delle diverse e opposte posizioni dei due spagnoli vi era anche
lo scontro tra due diverse tendenze specificamente religiose, contemplative, misti-
che e ascetiche, tra due differenti modi di concepire l’apostolato missionario
della Compagnia. Dal gesuita e antropologo ante litteram José de Acosta la
presenza di analogie tra i culti precristiani e la religione cattolica era spiegata
ricorrendo alle arti ingannevoli del demonio, e tuttavia egli ne ricavava un
assunto positivo, e cioè che, proprio grazie a tali analogie, sarebbe stato meno
difficile spiegare e fare accettare i misteri del cristianesimo. Esattamente oppo-
sto era invece il pensiero dell’ascetico Sánchez, che riteneva ancora validi i
metodi coercitivi delle prime missioni americane, quelle effettuate tramite la
conquista militare, lo sradicamento con la forza della cultura locale e la pra-
tica dei battesimi di massa compiuti nell’imminenza della fine del mondo. Prive
di ogni attrazione all’attività missionaria – vero cardine dell’intero sistema
gesuitico – la spiritualità di Sánchez, le sue tecniche di raccoglimento e di pre-
ghiera, erano state aspramente criticate dallo stesso generale Acquaviva che in
una lettera lunga e difficile – a giudicare dalle bozze di stesura – considerava

(91) I.G. ZUPANOV, Correnti e controcorrenti. La geopolitica gesuita in Asia, in I gesuiti ai


tempi di Claudio Acquaviva, cit., pp. 205-218, p. 206.
(92) Su questo si veda J. MARTÍNEZ MILLÁN, La trasformazione della monarchia hispana alla
fine del XVI secolo. Dal modello cattolico castigliano al paradigma universale cattolico-romano,
in I gesuiti ai tempi di Claudio Acquaviva, cit., pp. 19-53, p. 32.
Una crociata contro la Cina 447

molto dannoso per la Compagnia «qualquier manera de oracion que no inclina


el ánimo a la santa acción y ministerios de nuestra vocación» (93).
L’ideologia della conquista spirituale come impresa di lunga durata, che
trovava la sua esplicazione nella tecnica dell’adattamento, aveva i suoi oppo-
sitori anche all’interno della Compagnia di Gesù, in coloro che ritenevano ancora
valide e realizzabili le idee di introdurre in uno stato ben organizzato una difesa
armata dei missionari. Sánchez considerava la guerra come l’unico strumento
che poteva permettere l’ingresso dei cattolici, come ombrello protettivo della
predicazione e della conversione, aderendo in questo modo ai più intransi-
genti principi espressi dalla Controriforma, ed esprimeva il punto di vista di
una completa adesione a una nuova era della Chiesa in cui la predicazione
non era più opera di missionari martiri. Acosta aveva una diversa interpreta-
zione degli eventi e mostrava una maggiore adesione ai principi originari della
sua Compagnia. Se i tempi degli apostoli e dei miracoli della Chiesa primi-
tiva erano trascorsi, i segni che Dio aveva dato alla missione in Estremo
Oriente (dall’alto numero delle persone interessate alla missione all’esperienza
e morte di Francesco Saverio) erano tutti positivi, e visto che, scriveva Acosta,
«Gesù Cristo ha promesso che il suo Vangelo si deve comunicare per tutto
l’universo e non si può credere che dal messaggio di Dio venga esclusa innu-
merevole gente, ed è grande spregiudicatezza voler anticipare il cammino di
Dio, egli solo può sapere l’ora e il momento in cui far giungere la sua luce
alle anime» (94). Temi su cui Acosta tornerà ampiamente nel 1590 con il suo
De temporibus novissimis stampato a Roma. Meditando sui temi della fine del
mondo riteneva che essa non fosse ancora avvenuta perché non era stata
ancora compiuta per intero la predicazione che, ben distinta dall’annunzio del
messaggio di Dio, era la vera conquista. Per la Cina, scriveva, «non basta un
monaco che predica a Canton per dire che in Cina si è annunziato il cristia-
nesimo, bisogna conquistare la Cina» (95), intendendo con questo una pene-
trazione con solide fondamenta. Con Acosta e con i gesuiti la conquista spi-
rituale si ripropose in termini nuovi, come una lunga azione che comportava

(93) F.-A. FABRE, Saggio di geopolitica delle correnti spirituali, cit., p. 186 e ID., Ensayo de
geopolítica de las corrientes espirituales: Alonso Sánchez entre Madrid, Nueva España, Filipinas,
las costas de China y Roma, 1589-1593, in Órdenes religiosos entre América y Asia. Ideas para
una historia misionera de los espacios coloniales, para E. Corsi, México, El Colegio de México,
2007, pp. 85-104.
(94) Obras del P. José de Acosta, cit., p. 344.
(95) A. PROSPERI, America e Apocalisse. Note sulla «conquista spirituale» del Nuovo Mondo,
in America e apocalisse, cit., pp. 15-63, 16.
448 Michela Catto

anche le trasformazioni dell’organizzazione della società autoctona e della sua


cultura, frutto di uno scambio reciproco con l’altro, dell’esercizio di un potere
ideologico (96).
La sconfitta dell’Invencible Armada nel 1588 sancì la vittoria, anche se solo
temporanea, della concezione di Acosta. Anche il viaggio a Roma (1589) di
Sánchez, fautore instancabile di una crociata contro la Cina, trovò una ferma
opposizione: l’esperienza americana aveva insegnato che la penetrazione del
cristianesimo in Cina andava negoziata attraverso la sensibilità culturale e il
compromesso.

MICHELA CATTO
The Newberry Library Chicago

In 1587 Alonso Sánchez (1545-1593) and José de Acosta (1540-1600) deba-


ted the possibility of waging war against China, and specifically whether from a
theological prospective, it would be justifiable conquering China to Christianize it.
Both Jesuits supported their positions by invoking Francisco de Vitoria’s theories
of just war, but they came to opposite conclusions. More importantly, discussing
the application of just war to the case of China, challenged the received opinions
of Chinese culture and government, bringing forth the vexing question of whe-
ther it was legitimate or even possible to transform China into a second Europe.
The two Jesuits championed different approaches to conquering: Sánchez suppor-
ted conquering by means of the sword, as in America; Acosta, by means of the
art of the persuasion to adopt Christianity, this is, the approach used by the
Apostles and the primitive Church. Their debate is important also because it
reflects the spectrum of views and positions within the Society of Jesus at the end
of the sixteenth century. These differences were much alive also in Far East mis-
sions and concerned directly the opinions about the results already achieved in China.
This research presented by this article further illustrates both the variety of Jesuit
approaches to the accomodatio subject, and the different political positions with
respect to the relationship between temporal or spiritual powers. Sanchez sides with
the intents of the Spanish monarchy favouring a centralised organization of the
mission; Acosta supports instead a freer and more flexible position.

(96) Su questo tema si veda G. IMBRUGLIA, Un impero d’età moderna: la Compagnia di Gesù,
in Le problème de l’alterité dans la culture européenne, cit., pp. 158-178.

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