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LA RISCOPERTA DEL PATRIMONIO ARTISTICO

GERMANICO NEL XVII SECOLO: FOCUS SUGLI STUDI


EFFETTUATI NEI PAESI BASSI AD OPERA DI RICHARD
VERSTEGAN, FRANCISCUS JUNIUS E SAMUEL VAN
HOOGSTRATEN

ANGEL DE OLIVEIRA

1. Introduzione

A partire dalla seconda metà del XV secolo, con l'avvento dell'Umanesimo, ci fu un


rinnovato interesse nei confronti della classicità che ha attraversato tutta l'Europa.
Vennero riscoperti, a livello artistico, i temi e lo studio della lingua nelle opere greche e
latine, mentre, a livello politico, gli organi di potere dovevano rifarsi alla grandezza e
alla maestosità dei governanti dell'antica Roma, capaci di instaurare un impero destinato
a rimanere nell'immaginario collettivo a memoria imperitura. Questa riscoperta delle
origini classiche della cultura europea aveva determinato l'affermazione di un'identità
nazionale nelle varie corti del continente.
Durante l'Umanesimo pareva esserci una vera e propria “caccia al tesoro” per chi
potesse vantare la discendenza più nobile o di quella più antica. I paesi di lingua
romanza, i cui territori erano in passato occupati direttamente dall'Impero Romano,
facevano risalire la propria origine direttamente ad esso o, più precisamente, alla figura
di Enea, progenitore del popolo romano. Le popolazioni del nord, sebbene non
potessero vantare una discendenza diretta dai romani, sia da un punto di vista storico
che geografico, non mancarono di tracciare vari alberi genealogici delle tribù
germaniche facendole risalire fino ai greci e agli antichi troiani.
Come era prassi dell'epoca, documenti e manoscritti falsi venivano prodotti a regola
d'arte in modo da poter dare risalto e rendere il più possibile verosimile una
rivendicazione; basti pensare, per esempio, al falso della Donazione di Costantino. Nel
caso delle attestazioni relative ai Germani, degne di nota furono quelle di Giovanni
Tritemio e Annio da Viterbo. Il primo, nel suo Compendium de origine gentis
Francorum (1514), arriva ad inventare uno storico Franco, Hunibald, il quale, grazie
alle informazioni ottenute da storici Sciti, era riuscito a descrivere nel dettaglio le
origini troiane dei Franchi (Dekker 1999: 25). Annio da Viterbo, a sua volta, crea un
falso documento, lo Pseudo-Berosus (1498)1, che attribuisce allo storico Beroso, vissuto
nel IV secolo a.C in Babilonia; in quest'opera egli descriverebbe come, in seguito
all'episodio del Diluvio, Noè avrebbe generato nuovi figli, tra cui Tuisco (o Tuisto), il
1
Lo Pseudo-Berosus di Annio da Viterbo è stato ripreso da Konrad Peutinger (1465-1547)
nel suo Sermones convivales de mirandis Germanie antiquitatibus (1506) come fonte storica
da cui trarre le prove della legittimità della rivendicazione dell'Alsazia da parte degli Asburgo
in quanto tale territorio, durante le guerre borgognone (1473-1477), era conteso con la corona
francese. Lo scopo di Peutinger è quello di dimostrare le nobili e antiche origini delle tribù
germaniche poiché, stando a quanto detto da Annio da Viterbo, queste discendono direttamente
da Noè. (Pieper 2018: 496).
quale avrebbe ricevuto dal padre il dominio sui Sarmati, un popolo che in origine viveva
sulle sponde del Mar Nero e che nel testo viene considerato come il primo popolo
insediatosi in Europa e, pertanto, antenato dei Germani (Pieper 2018: 496-498).
Tuisco, in realtà, è citato per la prima volta nel De origine et situ Germanorum di
Tacito, il quale, nel descrivere le tradizioni dei Germani, racconta che essi “celebrano il
dio Tuistone, nato dalla Terra, e suo figlio Manno, l'antenato della nazione” (Trad.
Bianca Ceva). Il suo nome significa ‘doppio’, e ciò è, probabilmente, dovuto al fatto che
ha generato autonomamente il figlio, qualità che lo renderebbe una divinità ermafrodita;
Manno è considerato il primo uomo (da cui l’inglese man e il tedesco mann) e trova
corrispondenze con i personaggi di diverse mitologie tra cui l’Adamo biblico, il Manu
della cosmologia vedica e il Manes frigio. Anche Tuisco è assimilabile ad altre identità,
come lo Yama del Rig-Veda e Ymir, il gigante della mitologia norrena da cui trae origine
il mondo; questo rafforzerebbe la caratteristica dell’ermafroditismo di Tuisco in quanto
Yama è la traduzione in sanscrito di Ymir e significa, appunto, ‘ermafrodita’ (Lecouteux
2007, 270). Richard Verstegan (1550-1640), nel suo A Restitution of Decayed
Intelligence in Antiquities. Concerning the most noble and renowned English Nation
(1605), attribuisce a questa figura il ruolo di condottiero delle popolazioni germaniche,
in quanto le avrebbe guidate in seguito all'episodio citato nel mito biblico della Torre di
Babele (Windross, 2016: 86); secondo lo studioso, dal nome di questa divinità sarebbe
derivato il termine Tuytschen, il quale, in seguito, si sarebbe evoluto in Deutsch e
Dutch2 e, inoltre, è alla base del Tuesday inglese (Weststeijn 2012: 51).
Verstegan appartiene a una corrente di studiosi del XVII secolo che vuole mettere in
risalto l'importanza delle origini germaniche delle culture dell'Europa Settentrionale, in
particolare dei Paesi Bassi. Questo interesse per la ricerca della discendenza dalle tribù
germaniche trova le sue radici nel contesto storico-culturale dell'epoca, in particolare
nei flussi migratori tra Inghilterra e Paesi Bassi; durante i loro viaggi, artisti e studiosi
iniziarono a notare alcune similitudini tra l'antico anglosassone, il frisone e l'olandese e,
di conseguenza, l'interesse linguistico si espanse poi verso l'antiquariato, alla ricerca di
prove che potessero dimostrare le comuni origini di quei popoli (Weststeijn 2012: 43).
Questo collegamento tra arti visive e studi linguistici è evidente anche nelle opere di due
contemporanei di Verstegan: Franciscus Junius (1591-1677) e Samuel van Hoogstraten
(1627-1678).
Per Verstegan l'olandese era la lingua più pura tra quelle germaniche in quanto
discendeva direttamente dall'antico teutonico; l'inglese, nonostante potesse far ricorso a
una grande vastità di termini di origini germaniche, era una lingua “contaminata” dai
continui prestiti, come ad esempio quelli dall'italiano per quanto riguarda il linguaggio
dell'architettura. Per quanto riguarda la terminologia relativa alla pittura nella lingua
inglese, l'opus magnum di Junius, The Paintings of the Ancients (1637-1641), ha
contribuito alla diffusione dei termini olandesi, in quanto il suo trattato è stato
pubblicato in entrambe le lingue più in latino; per questo motivo, si possono trovare
similitudini in alcuni termini come landscape, “paesaggio”, da landschap e easel,
“cavalletto”, da ezel (Weststeijn 2012: 45).
Tale interesse verso l'importanza della propria lingua può essere visto come un primo
tentativo di emancipazione culturale all'interno della neonata Repubblica delle Province
Unite3, come proposto da Sophie van Romburgh (Weststeijn 2015: 154). Samuel Van

2
Sappiamo, tuttavia, che tali connotazioni derivano dal termine in volgare theodisce, “in
lingua popolare”, il quale, a sua volta, deriva dal protogermanico þeudō, “popolo”.
3
Hoogstraten, allievo di Rembrandt, tenterà, nel suo Inleyding tot de hooge schoole der
schilderkonst (Introduction to the Academy of Painting, or the Visible World, 1678 ), di
coniugare quanto detto da Verstegan e Junius, affermando l'importanza del ruolo
dell'arte e della pittura nella civiltà intellettuale di allora, facendo riferimento alle tribù
germaniche come i Sassoni, i Longobardi e le popolazioni scandinave e anglosassoni
(Weststeijn 2012: 48).

2. Il mito Batavo

Come detto in precedenza, il contesto storico in cui operano i tre intellettuali è quello
che vede la Repubblica delle Province Unite alla ricerca di una propria identità, di un
mito fondante che possa dar loro lustro e gloria dopo l'indipendenza dall'Impero
Asburgico. La ribellione delle province contro la dominazione spagnola doveva essere
in qualche modo giustificata e, per questo motivo, tornano in auge i Batavi come padri
fondatori dei Paesi Bassi. Tacito dice che “I Batavi conservano ancora l'onore e il
privilegio dell'antica alleanza, poiché non subiscono l'umiliazione del tributi e non
soffrono le vessazioni dei pubblicani” (Tacito 2014: 255); Ugo Grozio (1583-1645) nel
suo De Antiquitate rei publicae Batavicae (1610) riprende quanto detto da Tacito per
legittimare la nuova forma di governo, libera dall'influsso spagnolo così come gli
antichi Batavi erano indipendenti da Roma (Conti 1998: 59). In quanto discendenti di
tale nobile popolo, essi dovevano mantenere quella stessa libertà che avevano ai tempi
dei romani e, pertanto, non dovevano sottoporsi ad alcun tipo di dominazione. Allo
stesso modo, anche l'episodio della rivolta batava organizzata da Giulio (o Claudio)
Civile, raccontata nei libri IV e V delle Historiae di Tacito, veniva preso come esempio
del desiderio di libertà che pervadeva la Repubblica delle Province Unite: nel caso dei
Batavi gli oppressori erano i Romani, mentre nel XVII secolo questi erano gli spagnoli
(cfr. Laureys 2018, 357-58).
Tale linea di pensiero vede le sue origini già a partire dal XVI secolo, principalmente
nella figura di Cornelio di Gouda (1460-1531), altresì noto come Cornelius Aurelius, da
aurum, latinizzazione della sua città di origine, Gouda, per via della somiglianza con
goud, oro in olandese (Tilmans 2017: 20). Il suo contributo allo studio delle radici
germaniche dei Paesi Bassi è dato principalmente da tre opere: Defensorium gloriae
Batavinae (1506), Elucidarium scopulosarum quaestionum super Batavina regione et
differentia (1509-10 circa) e Cronycke van Hollandt Zeelant ende Vrieslant (Leida,
1517). In esse, Cornelius afferma che i Paesi Bassi corrispondono alla terra una volta
abitata dai Batavi, nonostante le fonti latine, come la Germania di Tacito e la Historia
Naturalis di Plinio, dessero solo delle vaghe indicazioni sull'ubicazione di tale territorio,
in quanto si riferiscono a un luogo che si trova vicino al delta del Reno oppure a una
generica ‘insula batavorum’. Tuttavia, grazie alla storiografia olandese, Cornelius
sapeva che, durante il Medioevo, il corso del Reno era cambiato varie volte e, pertanto,
all'epoca di Tacito, i Paesi Bassi potevano essere considerati un'isola. Peraltro, a sud di
Leida, nel 1502, fu scoperto un castellum, “fortino”, come ulteriore prova del passaggio
dei Romani in quelle terre. Cornelio riprende quanto detto da Tacito nella Germania per

La Repubblica delle Province Unite (1581-1795) nasce dopo la proclamazione


d'indipendenza delle province del Nord dal Regno di Spagna, mentre i Paesi Bassi meridionali
rimarranno sotto il dominio degli Asburgo di Spagna fino al 1713. La Repubblica verrà
riconosciuta de iure solamente nel 1648 con la Pace di Westfalia, in seguito al trattato di pace
tra i Paesi Bassi e la Spagna.
mostrare ai suoi contemporanei quanto potessero apprendere dai loro antenati per
quanto riguarda la morale e il comportamento. Il contributo di Cornelius è importante in
quanto, come dice Tilmans (2017: 25):

<<For the first time in Dutch historiography Aurelius formulated a collective,


historical identity which was valid for the Dutch nacie or people as a whole. Before
that time only the rulers, the counts of Holland, had famous ancestors. In Dutch
historiography we find, as in the medieval historiography of many other nations, the
Trojan myth of princely descent. This myth assumed that the counts of Holland
descended from Aeneas, son of king Priam. The Batavian myth did not apply to the
prince but to the Dutch people as a whole, and in this way became a historical point
of orientation for every Dutch citizen. >>.

Non solo la nobiltà dunque, ma, adesso, tutta la nazione godeva di una nobile origine
risalente alla classicità; questo fattore si coniuga alla diffusione dei testi non più in
latino, ma in vernacolo, in modo che quante più persone possibile potessero fruire della
lettura e dell'insegnamento di tali opere. Oltre a definire i principi cardine della società
Batava, quali la virtù, l’onestà e l’essere solidali verso gli altri popoli, Cornelius
descrive anche i loro usi e costumi, tra cui i loro piatti tipici, le cerimonie nuziali,
l’educazione dei bambini e le politiche militari. L’opera di Cornelius ha così influenzato
l’amico Desiderius Erasmus (1467-1536), il quale, nei suoi Adagia, fa riferimento alla
Auris Batava, “Orecchio Batavo”, termine che possiamo trovare in un epigramma di
Marco Valerio Marziale, inteso come qualcosa privo di sensibilità artistica; Erasmus
ribalta questa connotazione, assegnandole invece un significato positivo, in quanto i
progenitori Batavi, come detto da Tacito, erano uomini dal carattere forte e onorevole.

Figura 1. Antonio Tempesta, Romanorum et Batavorum societas, 16.5x21 cm, immagine n. 1/36 della
serie Batavorum cum Romanis bellum, 1611, Rijksmuseum, Amsterdam, nr. RP-P-OB-77.906,
fonte: http://hdl.handle.net/10934/RM0001.COLLECT.183491, ultimo accesso 05/11/2019.

Per quanto riguarda l'arte, il primo a rappresentare i Batavi fu Antonio Tempesta


(1555-1630) in una serie di acqueforti che illustrano The War of the Batavians and the
Romans (1612); qui, Tempesta raffigura il popolo batavo con abiti eleganti che si
rifanno allo stile romano (fig. 1), mentre Simon Frisius li raffigura come barbari
seminudi (fig. 2) all'interno della Ancient Germany (1616) di Philippus Cluverius
(Weststeijn 2012: 49).

Figura 2. Simon Frisius, Twee Germaanse maneen, 26.5 x 16.1 cm, 1616, Rijksmuseum,
Amsterdam,nr. RP-P-1950-360,
fonte: http://hdl.handle.net/10934/RM0001.COLLECT.113286, ultimo accesso 05/11/2019

Le acqueforti raffiguranti il mondo antico divennero, in poco tempo, all'ordine del


giorno, in quanto queste venivano utilizzate come copertine o illustrazioni all'interno dei
libri che trattavano tale periodo storico, rendendo, dunque, quei testi delle vere e proprie
opere d'arte. Nelle rappresentazioni di carattere religioso, possiamo vedere la principale
differenza per quanto riguarda i culti di queste civiltà: nell'acquaforte di Pieter van der
Borcht (Fig. 3), uomini e donne pregano il sole, la luna, il fuoco e alcune statue di
probabile origine romana, raffiguranti Mercurio e Minerva (Weststeijn 2012: 49).
Verstegan sosteneva che soltanto le divinità romane venivano rappresentate sotto forma
di idola, mentre quelle germaniche venivano venerate direttamente in natura, in quanto
esse stesse appartenevano al mondo naturale.
Una delle zone in cui ci fu un grande interesse archeologico per le statue votive delle
antiche civiltà germaniche fu la Zelanda, una provincia situata nella zona sud-
occidentale della nazione; le coste di tale regione erano infatti ricche di resti di antiche
sculture rappresentanti divinità risalenti all'occupazione romana. Gerhard Johannes Voss
(1577-1649), per esempio, fa riferimento a un ritrovamento effettuato nell'Isola di
Walcheren: una statua di Mercurio probabilmente distrutta da San Villibrordo (658-
739), durante il suo processo di evangelizzazione dell'area compresa tra la Frisia e la
zona meridionale dei Paesi Bassi (cfr. Weststeijn 2015: 158-60).

Figura 3. Pieter van der Borcht, Religione germanica, in A. Ortelius, Aurei Saeculi Imago, 1596,
Anversa, Collezioni speciali, Università di Amsterdam.

I più importanti ritrovamenti effettuati in Zelanda, tuttavia, furono i resti dei vari
monumenti dedicati a una divinità germanica, Nehalennia. Nel 1647, la bassa marea
determinò la comparsa di un antico tempio a lei dedicato e raffigurato in seguito
dall'artista Hendrick van Schuylenburg (1620-1689); tale dea è rappresentata come una
donna che porta con sé un cesto di frutta ed è accompagnata da un cane. La scoperta
dell'esistenza di tale divinità ha interessato particolarmente Junius e il suo circolo di
intellettuali in quanto questa poteva fornire una prova dello stato avanzato delle antiche
civiltà dei Paesi Bassi già prima dell'arrivo dei Romani. Secondo Wagenvoort (1973:
283) Nehalennia era la dea della navigazione commerciale, ma anche di quella
spirituale, in quanto a lei venivano rivolte preghiere affinché le anime dei defunti
fossero accompagnate nell'aldilà; la sua cesta di frutta, inoltre, poteva significare che
fosse anche la dea della fertilità. Lo studio dell'etimologia del nome 'Nehalennia', che
Marcus Boxhornius (1602-1652) faceva risalire a nat eiland, “isola bagnata”, ha portato
a un ulteriore collegamento tra la ricerca delle antichità germaniche e lo studio della
linguistica; era ormai chiaro che, intrecciando i due fattori, si potevano fare enormi
progressi in quella ricerca di un passato glorioso della nazione. Il mito di Nehalennia
ebbe un successo crescente nella seconda metà del XVII secolo, al punto che la dea è
presente insieme a una rappresentazione dell'Ercole Magusano 4, una delle divinità più
importanti del culto batavo, in un'illustrazione di Romein de Hooghe (1645-1708).
Tuttavia, la più grande rappresentazione, da un punto di visto artistico e linguistico,
4
Ercole Magusano è un dio derivante dalla fusione dell'Ercole romano e di Magusano, una divinità già
esistente nel pantheon germanico. Tracce del suo culto potevano essere trovate nelle regioni abitate dai
Batavi e, per questo, si suppone che questo dio possa essere stato la principale divinità del culto batavo
(Roymans 2004, 242). Il termine magan significa “potenza’’, pertanto si può desumere che il Magusano
potesse essere assimilato a Thor, dio della forza, divinità che, secondo Verstegan, era venerata da tutti i
Germani.
del pantheon germanico nel XVII secolo fu fatta da Verstegan. Nel suo tentativo di
descrivere il glorioso passato del suo popolo, egli non ha mai preso in considerazione lo
studio delle divinità quali Nehalennia e Ercole Magusano, principalmente per via della
loro vicinanza alla società romana, denotando in questo modo, una differenziazione
culturale che faceva risultare primitiva la lingua e la storia dei suoi antenati (Weststeijn
2015, 166).

3. Le raffigurazioni di Richard Verstegan

Nella Restitution Verstegan rappresenta varie divinità descrivendo il loro aspetto e il


loro ruolo all'interno del pantheon germanico, il quale era assai diverso da quello
romano. A corredare il testo vi sono delle illustrazioni disegnate da lui stesso, sette in
totale, le quali indicano i giorni della settimana nelle lingue germaniche; esse sono, in
ordine, il Sole (sun), la Luna (moon), Tuysco (Tuisto), Woden (Odino), Thor, Freya e
Saeter. Tre di queste immagini sono basate su un’icona di Hans Holbein (1497-1543),
mentre le quattro rimanenti traggono ispirazione dalla letteratura. La fonte primaria su
cui si basa Verstegan sono gli studi sulla storia della Scandinavia effettuati da Olaus
Magnus nel 1555.

L’Idolo del Sole

Figura 4. Richard Verstegan, The Idol of the Sun in Verstegan, A Restitution of Decayed Intelligence
in Antiquities; Concerning the Most Noble and Renowned [sic] English Nation, Anversa 1605, p.69.
Adorato fin dai tempi antichi da varie civiltà, Verstegan rappresenta il sole in una
forma antropomorfa. Il tronco del corpo ha una forma esagonale poiché reca in mano
una ruota, la quale rappresenta il percorso compiuto dall’astro intorno alla Terra. Intorno
al volto e alla ruota partono i raggi solari, qui raffigurati come fiamme che illuminano il
creato. Poiché le divinità germaniche sono diverse da quelle romane, Verstegan prende
le distanze da una raffigurazione che potesse richiamare Apollo, pertanto decide di
rappresentare il sole secondo alcune caratteristiche che si erano affermate nell’arte
allegorica; possiamo trovare infatti, in varie rappresentazioni del Cinquecento, l’astro
solare visto in forma antropomorfa, circondato dai propri raggi intorno al volto e al
livello dell’inguine (cfr. Panofsky 1962, tav. n. 89: Allegoria del Sole, 1547).

L’Idolo della Luna

Figura 5. The Idol of the Moon, p.70

Questa raffigurazione della luna è di difficile interpretazione in quanto Verstegan


stesso ammette di non essere riuscito a identificare alcuni dei suoi significati. L’idolo è
rappresentato in posizione eretta su un piedistallo e reca in mano un disco che
rappresenta la luna, al cui interno possiamo vedere il volto di una donna. Assai più
complessa è la figura dell’idolo in sé, il quale indossa degli abiti femminili e ha in testa
un cappuccio con delle orecchie animali. D’Aronco (1993: 15) suggerisce che possa
trattarsi di un giullare, di un ‘lunatico’, termine che denota follia in quanto, in antichità,
si credeva che il comportamento delle persone con problemi mentali potesse essere
influenzato dalle fasi lunari.

L’Idolo Tuisco

Figura 6. The Idol Tuysco, p. 71

Come detto in precedenza, Verstegan sosteneva che il dio Tuisco fosse il progenitore
dei Germani, essendo colui che per primo vi si stabilì in quelle terre con il figlio Manno.
Egli lo raffigura come un uomo anziano e autorevole in piedi su una colonna. Essendo il
progenitore dei Germani, egli deve essere un exemplum delle tradizioni culturali del
proprio popolo, pertanto viene raffigurato mentre indossa solamente una veste fatta di
stracci, rappresentante la sobrietà e la semplicità dei popoli del nord. Il simbolo della
propria autorità è dato dallo scettro che reca nella mano destra e dallo sfondo su cui è
raffigurato: possiamo notare, sulla sinistra, la Torre di Babele, da cui parte una fila di
uomini intenti a seguire Tuisco. Questo si riallaccia all’etimologia dei termini Deutsch e
Dutch così come li intendeva Verstegan, derivatisi da Tutyschen. È probabile che
Verstegan abbia raffigurato il dio mettendo insieme testimonianze da varie fonti
precedenti, tra cui i commentatori di Tacito. L’importanza di questa divinità è inoltre
data dal fatto che segue immediatamente i due astri del sole e della luna, essendo a lui
dedicato il terzo giorno della settimana (D’Aronco 1993: 12).

L’Idolo Odino

Figura 7. The Idol Woden, p. 72

Odino (Woden in anglosassone, Wuotan in antico alto tedesco) è qui rappresentato


come un dio guerriero poiché indossa un’armatura e reca una spada nella mano destra e
uno scudo in quella sinistra. Sulla testa ha una corona, ma, per il resto, il suo aspetto è
un po’ trascurato a causa della folta barba. Secondo Verstegan, a lui venivano rivolte
preghiere in tempo di guerra e, di fronte al suo simulacro, venivano offerte in sacrificio
le vite dei prigionieri. Nonostante sia considerato il padre degli dei, Verstegan riteneva
che i Germani avessero maggior riguardo verso il figlio di questi, Thor, in quanto egli
era venerato da tutti i popoli delle terre del nord, incluse Groenlandia e Islanda
(Weststeijn 2012: 51).
L’idolo Thor

Figura 8. The Idle Thor, p.74.

Mentre tutte le divinità raffigurate da Verstegan sono rappresentate in piedi su un


piedistallo, il dio Thor è l’unico che è seduto su un trono in posizione sopraelevata. La
sua veste è regale, elegante, tenuta insieme da una cintura; il colletto di tale abito è
ampio e di pelle di animale. A differenza di Odino, il volto del dio è curato e barba e
baffi sono corti. In testa indossa una corona regale, la quale è posta esattamente al
centro del cerchio composto da dodici stelle raffigurato nello stendardo dietro al trono.
Thor reca in mano uno scettro la cui punta è a forma di fiore di giglio, classico simbolo
della regalità. Quest’ultima figura può voler rimandare, inoltre, al martello Mjöllnir,
“Frantumatore”, arma emblematica del dio che, oltre all’arcinota funzione di evocatore
di fulmini, poteva svolgere anche un ruolo religioso, in quanto serviva a consacrare e
benedire (Lecouteux 2007: 177).
L’Idolo Freya

Figura 9. The Idol Freya, p.76

L’immagine di questa dea può generare confusione in quanto si riferisce alla divinità
meglio nota come Frigg o Frija, e non a Freyja, sorella di Freyr. La prima è infatti la dea
più importante degli Asi, mentre la seconda è la principale esponente dei Vani (cfr.
Lecouteux 2007: 95-97). Nel raffigurare questa divinità, Verstegan sembra prendere
spunto da entrambe le figure: l’Idolo Freya è raffigurato come una guerriera, che reca in
mano un arco e una spada; in questo modo egli vuole porre l’accento
sull’ermafroditismo della dea in quanto elementi maschili e femminili vengono
mescolati. Probabilmente ciò è dovuto alla fusione della figura dei due Vani Freyja e
Freyr, i cui nomi significano, appunto, “Signora” e “Signore”. Sullo sfondo troviamo un
contadino intento a venerare la statua e un campo coltivato: questi elementi richiamano
la figura di Frigg in quanto dea dell’agricoltura. Si può ipotizzare che la presenza della
dea guerriera e del contadino faccia riferimento al mito della guerra tra gli Asi e i Vani,
mito poi interpretato come la trasposizione dello scontro tra due classi della società
arcaica: per l’appunto, i guerrieri (Asi) e i contadini (Vani) (Lecouteux 2007: 254). Per
le rappresentazioni di Odino, Thor e Freya, Verstegan prende come modello
un’incisione dell’edizione romana (1555) della Historia de gentibus septentrionalibus di
Olaus Magnus (D’Aronco 1993: 14).
L’Idolo Seater

Figura 10. The Idol Seater, p.78

Verstegan, con questa divinità, vuole rappresentare il sabato, prendendo le distanze


dai riferimenti al dio latino Saturno. Pertanto, egli decide di raffigurare un dio i cui vari
simboli a esso collegati sono figure di buon auspicio per i popoli germanici, in
particolare i Sassoni. Il dio è rappresentato come un uomo alto, magro, dalla lunga
barba e privo di calzature. Partendo dal basso, sulla superficie del pilastro vi è un pesce
sul cui dorso vi sono numerosi aculei; il piede del Saeter che si posa su di essi sta a
significare che i Sassoni, per i loro servigi nei suoi confronti, sarebbero passati, senza
alcuna difficoltà, attraverso luoghi pericolosi e impervi. Il cesto che reca nella mano
destra è pieno d’acqua, fiori e frutti e rappresenta la pioggia che avrebbe reso fertile la
terra per le loro coltivazioni. La sua lunga tunica è tenuta insieme da una cintura mossa
dal vento, simbolo della libertà. Infine, la ruota che reca nella mano sinistra rappresenta
la concordia e l’unione dei Sassoni.
Quest’ultima figura, insieme all’idolo del Sole e della Luna, sembra essere ripresa
dalle rappresentazioni presenti nella Chronica der Sachsen und Niedersachsen (1588) di
Giovanni Pomarius. In questa comparirebbero alcune immagini raffiguranti i tre idoli,
che sarebbero stati distrutti da Carlo Magno durante le guerre contro i Sassoni.
L’esistenza del dio Saeter tra le popolazioni germaniche era stata ritenuta possibile,
seppur con le dovute cautele, fino a Jacob Grimm (1785-1863). Tuttavia, E. A.
Philippson (1900-1993) dimostrò, nel 1929, che Saeter era solamente un prestito dal
latino Saturnus e, pertanto, il Saturday inglese altro non era che un calco strutturale del
latino dies Saturni (D’Aronco 1993: 17-18).

4. La questione artistica

Samuel Van Hoogstraten commentò relativamente poco le incisioni di Verstegan a


causa dei proclami della Chiesa Calvinista, la quale era poco incline alla venerazione di
immagini raffiguranti le divinità in quanto il secondo comandamento biblico vieta la
loro produzione e la loro adorazione. Per questo motivo, egli decise di concentrarsi
maggiormente sull’opera tacitiana, la quale attesta che i Germani non avevano idola da
venerare, in quanto le loro divinità si trovavano in natura. Questo motivo è ripreso
anche da Grozio, il quale afferma che la religione dei Batavi era più pura di quella
greco-romana, poiché il popolo venerava solo ciò che poteva vedere, come il sole, la
luna e la terra (Weststeijn 2012: 60).
La ricostruzione, dunque, delle antichità germaniche avvenne non solo mediante uno
studio approfondito sul piano culturale, ma anche da un punto di vista linguistico, come
confermato dalla riproduzione del Saeter di Verstegan. Una delle ricostruzioni
etimologiche maggiormente studiate all’epoca fu quella riferita al verbo olandese
schilderen, “dipingere”, il quale sarebbe derivato da schild, “scudo” (Fig. 11). L’idea
alla base di questo postulato era il fatto che gli scudi dei Germani presentavano spesso
un elemento pittorico che poteva essere elaborato
o meno. Karel van Mander (1548-1606) affronta
quest’argomento nel suo Schilder-boeck (1604),
uno dei primi tentativi di riconoscimento
dell’importanza dell’arte dei Paesi Bassi
all’interno della storia dell’arte europea. Van
Mander, facendo riferimento alla Historia
Naturalis di Plinio, afferma che il significato del
termine schilderen è un’evoluzione del termine
latino clipeus, uno scudo ornato da incisioni; in
seguito il termine avrebbe avuto un significato
ambivalente per indicare sia ‘scudo’ che
‘incisione’ (Brusati 2003: 70). Pertanto, per un
processo di sineddoche, il gesto di ornare gli scudi
si è successivamente espanso alla pittura nel suo
significato più ampio.
Uno dei lavori più discussi dell’arte olandese del
Seicento è, senza dubbio, la Congiura di Claudio
Civile (figura 12, 1661-62), altresì noto come
Giuramento dei Batavi, di Rembrandt (1606-
1669).

Figura 11. Scudo Germanico


Fonte: http://myarmoury.com/talk/viewtopic.21612.html, ultimo accesso 13:18, 17/11/2019

La genesi di quest’opera è piuttosto singolare: nel novembre del 1659


l’amministrazione del Municipio di Amsterdam, centro del potere politico di
quell’epoca, commissionò una serie di dipinti raffiguranti la ribellione dei Batavi contro
i romani a Govaert Flinck (1615-1660), ex allievo di Rembrandt; egli avrebbe dovuto
realizzare due quadri all’anno, per un risultato finale di dodici pitture in totale, e, per
ognuno di questi, avrebbe ricevuto mille fiorini. All’inizio del 1660, tuttavia, Flinck
morì e il primo quadro, che non era ancora concluso, fu completato da Jürgen Ovens
(1623-1678). L’amministrazione del Municipio, a questo punto, decise di suddividere la
commissione dei dodici quadri a diversi pittori, tra cui Rembrandt. L’opera fu conclusa
nel 1662, ma non fu gradita dai membri del governo cittadino, i quali ritirarono l’opera
dal Municipio, rimpiazzandola con la prima opera di Flinck e Ovens, e non pagarono
Rembrandt (Israel 2016: 13).

Fig
ura 12. Rembrandt, La congiura di Claudio Civile, 1661-1662, olio su tela, 196x309 cm,
Nationalmuseum, Stoccolma, fonte: http://thule-italia.com/wordpress/2012/11/12/claudio-civile/,
ultimo accesso 18/11/2019.

Furono molteplici le ragioni per cui il dipinto non fu apprezzato dalle autorità: in
primis, per il modo piuttosto grottesco, barbaro, con cui il pittore ha raffigurato Claudio
Civile e i suoi compagni. Nel Seicento erano di uso le rappresentazioni dei Batavi vestiti
come nobili romani con armature classiche (vedi figura 1 e 13), ed è così che vengono
ritratti nell’opera di Flinck e Ovens, mentre Rembrandt fa ricorso alla verosimiglianza,
rappresentandoli come il popolo che, effettivamente, erano. Per rendere l’opera quanto
più vicina alla fonte tacitiana da cui è tratta, Rembrandt ritrae Claudio Civile cieco da
un occhio e, inoltre, gli mette in testa una corona, elemento che, in un contesto
repubblicano, non fu visto di buon occhio in quanto poteva richiamare la tradizione
monarchico-imperiale da cui i Paesi Bassi si erano appena allontanati. Un’opera
diametralmente opposta a quella di Rembrandt è quella di Ferdinand Bol (1616-1680)
dal titolo La trattativa tra Claudio Civile e Quinto Petitico Cereale presso il ponte
crollato (figura 13, 1658-1662); questo quadro ha incontrato l’approvazione dei suoi
contemporanei dal momento che rispetta i canoni stilistici classicheggianti del XVII
secolo in quanto i Batavi sono rappresentati come un popolo elegante e nobile alla pari
dei romani. Molto probabilmente un altro dei motivi per cui l’opera di Rembrandt non
riscosse il giusto successo, così come tanti altri suoi dipinti, fu soprattutto
l’atteggiamento anticlassicista del pittore, in netto contrasto con la corrente artistica
dell’epoca.

Figura 13. La trattativa tra Claudio Civile e Quinto Petitico Cereale presso il ponte crollato,
1658-1662, olio su tela, 122x112.5 cm,
fonte: http://hdl.handle.net/10934/RM0001.COLLECT.6109, ultimo accesso 18/11/2019.

Conclusioni

La riscoperta dell’opera tacitiana nel XVI secolo è stata determinante per il rinnovato
interesse non solo verso la classicità greco-romana e germanica, ma anche verso tutto il
Medioevo. Gli studi portati avanti dai vari umanisti tra il Cinquecento e il Seicento,
specialmente da Franciscus Junius, Richard Verstegan e Samuel van Hoogstraten, ha
dato il via a una ricerca che, dopo quattro secoli, è viva più che mai, in quanto ogni
giorno vengono effettuate nuove scoperte in ambito filologico.
Le imprese degli studiosi olandesi hanno coinvolto non solo i Paesi Bassi, ma l’intera
comunità nordeuropea, dalla Svezia all’Inghilterra. La prima, infatti, ha visto una
sempre maggior affluenza di nuovi membri al suo Antikvitetskollegiet o “Collegio delle
Antichità”, il quale, per volontà del Re, approfondì gli studi in ambito letterario
concentrandosi maggiormente sull’eredità gotica (Weststeijn 2015: 189). Gli artisti
inglesi, poiché la nazione vedeva un continuo flusso migratorio di commercianti e
studiosi provenienti dai Paesi Bassi, proseguì gli studi iniziati da Verstegan sulle
divinità anglosassoni, al punto da avere scolpite da parte dell’artista Johannes Rysbrack
(1693-1770), nella Tenuta di Stowe, Buckinghamshire, alcune statue raffiguranti gli dei
incisi dall’olandese nella Restitution; proprio come nei suoi disegni, le sculture si
trovano su dei piedistalli, nei quali vi è inciso il nome della divinità in caratteri runici, in
una sorta di commistione tra rappresentazione iconografica e linguistica (figure 14 e
15), anche se, come si è visto in precedenza, tali ambiti di studio, nel XVII secolo, erano
complementari.

Figura 14. Freya, Stowe Gardens, Buckinghamshire,


fonte: https://www.deviantart.com/thorskegga/art/Frigg-at-Stowe-256706294,
ultimo accesso 16:19, 19/11/2019.
Figura 15. Saeter, Stowe Gardens, Buckinghamshire,
fonte: https://www.deviantart.com/thorskegga/art/Seater-260031320,
ultimo accesso 16:22, 19/11/2019.

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