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ANGEL DE OLIVEIRA
1. Introduzione
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Sappiamo, tuttavia, che tali connotazioni derivano dal termine in volgare theodisce, “in
lingua popolare”, il quale, a sua volta, deriva dal protogermanico þeudō, “popolo”.
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Hoogstraten, allievo di Rembrandt, tenterà, nel suo Inleyding tot de hooge schoole der
schilderkonst (Introduction to the Academy of Painting, or the Visible World, 1678 ), di
coniugare quanto detto da Verstegan e Junius, affermando l'importanza del ruolo
dell'arte e della pittura nella civiltà intellettuale di allora, facendo riferimento alle tribù
germaniche come i Sassoni, i Longobardi e le popolazioni scandinave e anglosassoni
(Weststeijn 2012: 48).
2. Il mito Batavo
Come detto in precedenza, il contesto storico in cui operano i tre intellettuali è quello
che vede la Repubblica delle Province Unite alla ricerca di una propria identità, di un
mito fondante che possa dar loro lustro e gloria dopo l'indipendenza dall'Impero
Asburgico. La ribellione delle province contro la dominazione spagnola doveva essere
in qualche modo giustificata e, per questo motivo, tornano in auge i Batavi come padri
fondatori dei Paesi Bassi. Tacito dice che “I Batavi conservano ancora l'onore e il
privilegio dell'antica alleanza, poiché non subiscono l'umiliazione del tributi e non
soffrono le vessazioni dei pubblicani” (Tacito 2014: 255); Ugo Grozio (1583-1645) nel
suo De Antiquitate rei publicae Batavicae (1610) riprende quanto detto da Tacito per
legittimare la nuova forma di governo, libera dall'influsso spagnolo così come gli
antichi Batavi erano indipendenti da Roma (Conti 1998: 59). In quanto discendenti di
tale nobile popolo, essi dovevano mantenere quella stessa libertà che avevano ai tempi
dei romani e, pertanto, non dovevano sottoporsi ad alcun tipo di dominazione. Allo
stesso modo, anche l'episodio della rivolta batava organizzata da Giulio (o Claudio)
Civile, raccontata nei libri IV e V delle Historiae di Tacito, veniva preso come esempio
del desiderio di libertà che pervadeva la Repubblica delle Province Unite: nel caso dei
Batavi gli oppressori erano i Romani, mentre nel XVII secolo questi erano gli spagnoli
(cfr. Laureys 2018, 357-58).
Tale linea di pensiero vede le sue origini già a partire dal XVI secolo, principalmente
nella figura di Cornelio di Gouda (1460-1531), altresì noto come Cornelius Aurelius, da
aurum, latinizzazione della sua città di origine, Gouda, per via della somiglianza con
goud, oro in olandese (Tilmans 2017: 20). Il suo contributo allo studio delle radici
germaniche dei Paesi Bassi è dato principalmente da tre opere: Defensorium gloriae
Batavinae (1506), Elucidarium scopulosarum quaestionum super Batavina regione et
differentia (1509-10 circa) e Cronycke van Hollandt Zeelant ende Vrieslant (Leida,
1517). In esse, Cornelius afferma che i Paesi Bassi corrispondono alla terra una volta
abitata dai Batavi, nonostante le fonti latine, come la Germania di Tacito e la Historia
Naturalis di Plinio, dessero solo delle vaghe indicazioni sull'ubicazione di tale territorio,
in quanto si riferiscono a un luogo che si trova vicino al delta del Reno oppure a una
generica ‘insula batavorum’. Tuttavia, grazie alla storiografia olandese, Cornelius
sapeva che, durante il Medioevo, il corso del Reno era cambiato varie volte e, pertanto,
all'epoca di Tacito, i Paesi Bassi potevano essere considerati un'isola. Peraltro, a sud di
Leida, nel 1502, fu scoperto un castellum, “fortino”, come ulteriore prova del passaggio
dei Romani in quelle terre. Cornelio riprende quanto detto da Tacito nella Germania per
Non solo la nobiltà dunque, ma, adesso, tutta la nazione godeva di una nobile origine
risalente alla classicità; questo fattore si coniuga alla diffusione dei testi non più in
latino, ma in vernacolo, in modo che quante più persone possibile potessero fruire della
lettura e dell'insegnamento di tali opere. Oltre a definire i principi cardine della società
Batava, quali la virtù, l’onestà e l’essere solidali verso gli altri popoli, Cornelius
descrive anche i loro usi e costumi, tra cui i loro piatti tipici, le cerimonie nuziali,
l’educazione dei bambini e le politiche militari. L’opera di Cornelius ha così influenzato
l’amico Desiderius Erasmus (1467-1536), il quale, nei suoi Adagia, fa riferimento alla
Auris Batava, “Orecchio Batavo”, termine che possiamo trovare in un epigramma di
Marco Valerio Marziale, inteso come qualcosa privo di sensibilità artistica; Erasmus
ribalta questa connotazione, assegnandole invece un significato positivo, in quanto i
progenitori Batavi, come detto da Tacito, erano uomini dal carattere forte e onorevole.
Figura 1. Antonio Tempesta, Romanorum et Batavorum societas, 16.5x21 cm, immagine n. 1/36 della
serie Batavorum cum Romanis bellum, 1611, Rijksmuseum, Amsterdam, nr. RP-P-OB-77.906,
fonte: http://hdl.handle.net/10934/RM0001.COLLECT.183491, ultimo accesso 05/11/2019.
Figura 2. Simon Frisius, Twee Germaanse maneen, 26.5 x 16.1 cm, 1616, Rijksmuseum,
Amsterdam,nr. RP-P-1950-360,
fonte: http://hdl.handle.net/10934/RM0001.COLLECT.113286, ultimo accesso 05/11/2019
Figura 3. Pieter van der Borcht, Religione germanica, in A. Ortelius, Aurei Saeculi Imago, 1596,
Anversa, Collezioni speciali, Università di Amsterdam.
I più importanti ritrovamenti effettuati in Zelanda, tuttavia, furono i resti dei vari
monumenti dedicati a una divinità germanica, Nehalennia. Nel 1647, la bassa marea
determinò la comparsa di un antico tempio a lei dedicato e raffigurato in seguito
dall'artista Hendrick van Schuylenburg (1620-1689); tale dea è rappresentata come una
donna che porta con sé un cesto di frutta ed è accompagnata da un cane. La scoperta
dell'esistenza di tale divinità ha interessato particolarmente Junius e il suo circolo di
intellettuali in quanto questa poteva fornire una prova dello stato avanzato delle antiche
civiltà dei Paesi Bassi già prima dell'arrivo dei Romani. Secondo Wagenvoort (1973:
283) Nehalennia era la dea della navigazione commerciale, ma anche di quella
spirituale, in quanto a lei venivano rivolte preghiere affinché le anime dei defunti
fossero accompagnate nell'aldilà; la sua cesta di frutta, inoltre, poteva significare che
fosse anche la dea della fertilità. Lo studio dell'etimologia del nome 'Nehalennia', che
Marcus Boxhornius (1602-1652) faceva risalire a nat eiland, “isola bagnata”, ha portato
a un ulteriore collegamento tra la ricerca delle antichità germaniche e lo studio della
linguistica; era ormai chiaro che, intrecciando i due fattori, si potevano fare enormi
progressi in quella ricerca di un passato glorioso della nazione. Il mito di Nehalennia
ebbe un successo crescente nella seconda metà del XVII secolo, al punto che la dea è
presente insieme a una rappresentazione dell'Ercole Magusano 4, una delle divinità più
importanti del culto batavo, in un'illustrazione di Romein de Hooghe (1645-1708).
Tuttavia, la più grande rappresentazione, da un punto di visto artistico e linguistico,
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Ercole Magusano è un dio derivante dalla fusione dell'Ercole romano e di Magusano, una divinità già
esistente nel pantheon germanico. Tracce del suo culto potevano essere trovate nelle regioni abitate dai
Batavi e, per questo, si suppone che questo dio possa essere stato la principale divinità del culto batavo
(Roymans 2004, 242). Il termine magan significa “potenza’’, pertanto si può desumere che il Magusano
potesse essere assimilato a Thor, dio della forza, divinità che, secondo Verstegan, era venerata da tutti i
Germani.
del pantheon germanico nel XVII secolo fu fatta da Verstegan. Nel suo tentativo di
descrivere il glorioso passato del suo popolo, egli non ha mai preso in considerazione lo
studio delle divinità quali Nehalennia e Ercole Magusano, principalmente per via della
loro vicinanza alla società romana, denotando in questo modo, una differenziazione
culturale che faceva risultare primitiva la lingua e la storia dei suoi antenati (Weststeijn
2015, 166).
Figura 4. Richard Verstegan, The Idol of the Sun in Verstegan, A Restitution of Decayed Intelligence
in Antiquities; Concerning the Most Noble and Renowned [sic] English Nation, Anversa 1605, p.69.
Adorato fin dai tempi antichi da varie civiltà, Verstegan rappresenta il sole in una
forma antropomorfa. Il tronco del corpo ha una forma esagonale poiché reca in mano
una ruota, la quale rappresenta il percorso compiuto dall’astro intorno alla Terra. Intorno
al volto e alla ruota partono i raggi solari, qui raffigurati come fiamme che illuminano il
creato. Poiché le divinità germaniche sono diverse da quelle romane, Verstegan prende
le distanze da una raffigurazione che potesse richiamare Apollo, pertanto decide di
rappresentare il sole secondo alcune caratteristiche che si erano affermate nell’arte
allegorica; possiamo trovare infatti, in varie rappresentazioni del Cinquecento, l’astro
solare visto in forma antropomorfa, circondato dai propri raggi intorno al volto e al
livello dell’inguine (cfr. Panofsky 1962, tav. n. 89: Allegoria del Sole, 1547).
L’Idolo Tuisco
Come detto in precedenza, Verstegan sosteneva che il dio Tuisco fosse il progenitore
dei Germani, essendo colui che per primo vi si stabilì in quelle terre con il figlio Manno.
Egli lo raffigura come un uomo anziano e autorevole in piedi su una colonna. Essendo il
progenitore dei Germani, egli deve essere un exemplum delle tradizioni culturali del
proprio popolo, pertanto viene raffigurato mentre indossa solamente una veste fatta di
stracci, rappresentante la sobrietà e la semplicità dei popoli del nord. Il simbolo della
propria autorità è dato dallo scettro che reca nella mano destra e dallo sfondo su cui è
raffigurato: possiamo notare, sulla sinistra, la Torre di Babele, da cui parte una fila di
uomini intenti a seguire Tuisco. Questo si riallaccia all’etimologia dei termini Deutsch e
Dutch così come li intendeva Verstegan, derivatisi da Tutyschen. È probabile che
Verstegan abbia raffigurato il dio mettendo insieme testimonianze da varie fonti
precedenti, tra cui i commentatori di Tacito. L’importanza di questa divinità è inoltre
data dal fatto che segue immediatamente i due astri del sole e della luna, essendo a lui
dedicato il terzo giorno della settimana (D’Aronco 1993: 12).
L’Idolo Odino
L’immagine di questa dea può generare confusione in quanto si riferisce alla divinità
meglio nota come Frigg o Frija, e non a Freyja, sorella di Freyr. La prima è infatti la dea
più importante degli Asi, mentre la seconda è la principale esponente dei Vani (cfr.
Lecouteux 2007: 95-97). Nel raffigurare questa divinità, Verstegan sembra prendere
spunto da entrambe le figure: l’Idolo Freya è raffigurato come una guerriera, che reca in
mano un arco e una spada; in questo modo egli vuole porre l’accento
sull’ermafroditismo della dea in quanto elementi maschili e femminili vengono
mescolati. Probabilmente ciò è dovuto alla fusione della figura dei due Vani Freyja e
Freyr, i cui nomi significano, appunto, “Signora” e “Signore”. Sullo sfondo troviamo un
contadino intento a venerare la statua e un campo coltivato: questi elementi richiamano
la figura di Frigg in quanto dea dell’agricoltura. Si può ipotizzare che la presenza della
dea guerriera e del contadino faccia riferimento al mito della guerra tra gli Asi e i Vani,
mito poi interpretato come la trasposizione dello scontro tra due classi della società
arcaica: per l’appunto, i guerrieri (Asi) e i contadini (Vani) (Lecouteux 2007: 254). Per
le rappresentazioni di Odino, Thor e Freya, Verstegan prende come modello
un’incisione dell’edizione romana (1555) della Historia de gentibus septentrionalibus di
Olaus Magnus (D’Aronco 1993: 14).
L’Idolo Seater
4. La questione artistica
Fig
ura 12. Rembrandt, La congiura di Claudio Civile, 1661-1662, olio su tela, 196x309 cm,
Nationalmuseum, Stoccolma, fonte: http://thule-italia.com/wordpress/2012/11/12/claudio-civile/,
ultimo accesso 18/11/2019.
Furono molteplici le ragioni per cui il dipinto non fu apprezzato dalle autorità: in
primis, per il modo piuttosto grottesco, barbaro, con cui il pittore ha raffigurato Claudio
Civile e i suoi compagni. Nel Seicento erano di uso le rappresentazioni dei Batavi vestiti
come nobili romani con armature classiche (vedi figura 1 e 13), ed è così che vengono
ritratti nell’opera di Flinck e Ovens, mentre Rembrandt fa ricorso alla verosimiglianza,
rappresentandoli come il popolo che, effettivamente, erano. Per rendere l’opera quanto
più vicina alla fonte tacitiana da cui è tratta, Rembrandt ritrae Claudio Civile cieco da
un occhio e, inoltre, gli mette in testa una corona, elemento che, in un contesto
repubblicano, non fu visto di buon occhio in quanto poteva richiamare la tradizione
monarchico-imperiale da cui i Paesi Bassi si erano appena allontanati. Un’opera
diametralmente opposta a quella di Rembrandt è quella di Ferdinand Bol (1616-1680)
dal titolo La trattativa tra Claudio Civile e Quinto Petitico Cereale presso il ponte
crollato (figura 13, 1658-1662); questo quadro ha incontrato l’approvazione dei suoi
contemporanei dal momento che rispetta i canoni stilistici classicheggianti del XVII
secolo in quanto i Batavi sono rappresentati come un popolo elegante e nobile alla pari
dei romani. Molto probabilmente un altro dei motivi per cui l’opera di Rembrandt non
riscosse il giusto successo, così come tanti altri suoi dipinti, fu soprattutto
l’atteggiamento anticlassicista del pittore, in netto contrasto con la corrente artistica
dell’epoca.
Figura 13. La trattativa tra Claudio Civile e Quinto Petitico Cereale presso il ponte crollato,
1658-1662, olio su tela, 122x112.5 cm,
fonte: http://hdl.handle.net/10934/RM0001.COLLECT.6109, ultimo accesso 18/11/2019.
Conclusioni
La riscoperta dell’opera tacitiana nel XVI secolo è stata determinante per il rinnovato
interesse non solo verso la classicità greco-romana e germanica, ma anche verso tutto il
Medioevo. Gli studi portati avanti dai vari umanisti tra il Cinquecento e il Seicento,
specialmente da Franciscus Junius, Richard Verstegan e Samuel van Hoogstraten, ha
dato il via a una ricerca che, dopo quattro secoli, è viva più che mai, in quanto ogni
giorno vengono effettuate nuove scoperte in ambito filologico.
Le imprese degli studiosi olandesi hanno coinvolto non solo i Paesi Bassi, ma l’intera
comunità nordeuropea, dalla Svezia all’Inghilterra. La prima, infatti, ha visto una
sempre maggior affluenza di nuovi membri al suo Antikvitetskollegiet o “Collegio delle
Antichità”, il quale, per volontà del Re, approfondì gli studi in ambito letterario
concentrandosi maggiormente sull’eredità gotica (Weststeijn 2015: 189). Gli artisti
inglesi, poiché la nazione vedeva un continuo flusso migratorio di commercianti e
studiosi provenienti dai Paesi Bassi, proseguì gli studi iniziati da Verstegan sulle
divinità anglosassoni, al punto da avere scolpite da parte dell’artista Johannes Rysbrack
(1693-1770), nella Tenuta di Stowe, Buckinghamshire, alcune statue raffiguranti gli dei
incisi dall’olandese nella Restitution; proprio come nei suoi disegni, le sculture si
trovano su dei piedistalli, nei quali vi è inciso il nome della divinità in caratteri runici, in
una sorta di commistione tra rappresentazione iconografica e linguistica (figure 14 e
15), anche se, come si è visto in precedenza, tali ambiti di studio, nel XVII secolo, erano
complementari.
BIBLIOGRAFIA