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Autoctonia e "purezza razziale" dei Germani da Tacito al nazismo

Il mito dell'autoctonia ha solitamente un valore autoesaltatorio. È un'idea radicata nella coscienza degli Ateniesi,
ripetuta ogni volta nell'oratoria pubblica, destinata all'educazione di massa. Così Pericle nel discorso per i caduti nel
primo anno della guerra del Peloponneso: "Comincerò prima di tutto dagli antenati: è giusto infatti e insieme dovero-
so che in tale circostanza a loro sia tributato l'onore della memoria. Questo paese, che essi sempre abitarono (
), libero lo trasmisero ai discendenti che li seguirono fino al nostro tempo, e fu merito del loro valore"
(Tucidide II 36,1). Così anche Lisia nell'Epitafio per i caduti in difesa dei Corinzi: "I nostri antenati, come la maggior parte
degli uomini, non abitavano una terra altrui dopo essersi raccolti da molte parti e aver scacciato altre genti, ma erano
autoctoni ( ) ed ebbero la stessa terra come madre e come patria"(14). Così ancora Isocrate nel Panegirico:
"Noi non abitiamo questa terra dopo averne cacciato gli abitanti, né dopo averla occupata deserta, né per esserci
riuniti come un miscuglio di molti popoli, ma siamo di stirpe così nobile e pura che per tutto il tempo continuiamo ad
occupare questa regione da cui siamo nati, perché siamo autoctoni ( ) e possiamo chiamare la città con gli
stessi nomi con cui chiamiamo i congiunti più stretti. Infatti, a noi soli tra i Greci spetta chiamarla nutrice, patria e
madre" (24-25). Concetti analoghi in: Platone, Menesseno, 237e; Demostene, Epitafio per i caduti di Cheronea 4-5.
È una pretesa che si ritrova anche in altre culture: nel mondo slavo, in quello georgiano e in quello scandinavo.
Basti pensare alla formula adoperata dallo storico bizantino del VI secolo Jordanes nella Storia dei Goti (IV 25), secon-
do cui la Scandinavia (Scandza) sarebbe la "fabbrica del genere umano" (officina gentium vel quasi vagina nationum).
Nel caso dei Germani, il testo capitale è la Germania di Tacito (il cap. 2 sulla "autoctonia", il cap. 4 sulla "purezza").
A rigore l'argomento con cui Tacito spiega perché sia incline a ritenere indigenae i Germani è poco lusinghiero: nessuno
- egli dice - mette piede in questo paese non appetibile, e dunque chi lo abita non vi dev'essere giunto apposta, per via
migratoria; e tanto meno altri hanno mai tentato di scalzare la popolazione preesistente. Poco importa che le ragioni
addotte siano queste: quel capitolo resta il fondamento di una lunga tradizione e di un sentimento nazional-razziale
divenuto col tempo sempre più inquietante.
Si possono citare alcuni episodi significativi. Heinrich Bebel, umanista e professore di eloquenza a Gottinga,
quando pubblica nel 1501, la sua Oratio de laudibus et amplitudine Germaniae indirizzata ad regem Maximilianum, vi aggiunge
un capitolo dal titolo di derivazione tacitiana: Germani sunt indigenae.
La tesi dell'autoctonia, con il corollario della mitica discendenza dal dio Tuistone, sarà ripresa nel 1516 da Johann
Naukler, l'umanista consigliere e precettore del duca del Württenberg, nei Commentarii memorabilium omnis aetatis.
Opera assai più nota è l'Arminius di Ulrich von Hutten, il compagno di Lutero: nel Cinquecento il dialogo intitolato
all'eroe dell'indipendenza della Germania da Roma ha moltissime edizioni, spesso comprendenti in appendice la
Germania di Tacito. Nel corso del dialogo, Tacito viene convocato, su richiesta di Arminio stesso (il quale dialoga con
Minosse e Annibale), e lo storico interviene recitando il celebre capitolo finale del II libro degli Annali, contenente la
definizione di Arminio come liberator haud dubie Germaniae, nonché la critica sia ai Greci che ai Romani per lo scarso
interesse di entrambi verso le tradizioni germaniche.
Quando, secoli dopo, Friedrich Gottlieb Klopstock (1724-1803), poeta nazionale della Germania del tardo Sette-
cento, dedicherà un epigramma alla lingua tedesca, trasferirà alla lingua l'elogio di autoctonia che Tacito riferisce alle
genti germaniche, e ne riutilizzerà le parole: "Essa è ciò che noi stessi eravamo nei tempi remoti in cui ci descrive
Tacito: "particolare (gesondert), pura da qualsiasi incrocio (ungemischt), somigliante solo a se stessa (nur sich selber gleich)".
Sono i tre termini che Tacito adopera per definire la peculiarità dei Germani: propriam et sinceram et tantum sui similem
gentem. Rudolf Borchardt, traduttore della Germania di Tacito nel 1914, riprenderà in parte l'interpretazione di Klop-
stock.
Il mito del popolo originario (Urvolk) è ben presente nei Discorsi alla nazione tedesca (1808) di Johann Gottlieb Fichte:
gli Slavi e i Latini gli appaiono come popoli "de-germanizzati". Si pongono in quegli anni (riscossa della Prussia contro
Napoleone) le premesse di uno sviluppo in senso scopertamente razzistico, che avrà, verso la fine del secolo, nella
Alldeutscher Verband il suo simbolo più sinistro. La potente Associazione pantedesca si era costituita nel 1891 e visse
tra alti e bassi fino al 1939, quando confluì nel movimento nazista. Fondata dalla'esploratore Karl Peters, fu il maggio-
re gruppo di pressione durante gli anni che precedettero la prima guerra mondiale in una posizione di grande influen-
za sul governo imperiale e nel ruolo di ostinata opposizione con finalità eversive durante la Repubblica di Weimar. Le
sue finalità erano una grande politica coloniale e navale, la "tutela del sentimento nazionale tedesco", una politica
ostile alle minoranze. Di qui il culto per tutto quanto potesse contribuire al diffondersi di una reattività razzistica, che
trova la sua espressione saggistica e letteraria in due eventi quasi contemporanei: la traduzione del saggio di Joseph
Arthur de Gobineau sulla Disuguaglianza delle razze umane (1897-1901) e la pubblicazione nel 1899 dei Fondamenti del
XIX secolo di Houston Stewart Chamberlain (1855-1927), il razzista inglese tedeschizzatosi (fu amico personale di
Guglielmo II e si imparentò con Wagner), uno dei testi-cardine della cultura di destra a cavallo tra Otto e Novecento.
Ma, mentre per Gobineau la purezza razziale è una condizione ideale irrimediabilmente perdutasi, anzi mai verificatasi
nella storia, per i pangermanisti come per Chamberlain la prospettiva è quella della difesa dei cosiddetti tipi "migliori",
cioè "puri", la cui moderna collocazione sarebbe appunto nell'area germanica.
Chamberlain è particolarmente colpito dalla osservazione di Tacito, secondo cui un segno della "purezza" sarebbe
la statura e la conformazione fisica straordinariamente simile dei Germani: unde habitus quoque corporum, quamquam (ma è

Riduzione e adattamento da: L. CANFORA, La Germania di Tacito da Engels al nazismo, Napoli 1979
Autoctonia e "purezza razziale" dei Germani da Tacito al nazismo

attestato anche tamquam) in tanto hominum numero, idem omnibus. Chamberlain traduce: "La conformazione corporea è,
pur nell'ambito di una così imponente massa di persone, la medesima". Egli si tiene ad un testo in cui è accolta la
variante quamquam, prevalente, del resto, nelle edizioni correnti all'epoca. La differenza di significato non è irrilevante.
Se si accoglie quamquam l'interpretazione è che i Germani sono fisicamente tutti uguali sebbene così numerosi. Tam-
quam attenua il giudizio di uniformità e introduce un elemento limitativo: "sono tutti uguali, nei limiti in cui lo si può
essere nell'ambito di un così gran numero di persone".
La ricerca ha portato forti argomenti in favore di tamquam. Lo studioso tedesco Eduard Norden per primo sosten-
ne le ragioni del tamquam notando l'analogia con l'uso greco (in particolare tucidideo) di = "in proporzione",
mentre il latinista svedese Bertil Axelson indicò passi senecani perfettamente paralleli e inoltre mise a frutto la testi-
monianza di Rodolfo di Fulda (sec. IX) che nella Translatio Sancti Alexandri riprende palesemente il passo tacitiano:
unde habitus quoque ac magnitudo corporum comarumque color, tamquam in tanto hominum numero, idem paene omnibus, evidente-
mente perché attingeva ad un manoscritto del IX secolo contenente opere di Tacito e di Svetonio, conservato nell'ab-
bazia di Hersfeld nell'Assia. Studiosi di ispirazione pangermanista hanno invece respinto la variante tamquam con
argomenti puramente ideologici del tipo: "Tacito ha scritto quamquam perché di sicuro non ha condiviso i nostri dubbi!". In
epoca nazista, allorché la Germania tacitiana viene con molta assiduità commentata e tradotta, si afferma saldamente
quamquam e prevale l'interpretazione più smaccatamente razzistica.
Il modo in cui Tacito si esprime non deve trarre in inganno. Il mondo romano è, in quanto mondo della "mesco-
lanza", il più lontano dal culto di questi miti razziali. Lo dice bene l'imperatore Claudio nel discorso valorizzato da
Tacito nel libro XI degli Annali, quando nel 48 d.C. i notabili della Gallia Transalpina posero al princeps e al senato la
richiesta di accesso allo ius honorum, primo fra tutti l'accesso al senato. L'imperatore, nonostante l'opposizione di una
parte dei senatori, accolse la richiesta tenendo in senato un discorso che si è conservato in Tacito e nella cosiddetta
Tavola di Lione, in bronzo: tra l'altro, vantava il "sangue mescolato" della comunità romana sin dal tempo di Romolo.
E Tacito scrive quando uno spagnolo, Traiano, è divenuto princeps, mentre qualche decennio più tardi sarà sul trono
un africano, Settimio Severo. Il meccanismo di cooptazione delle élite provinciali e di allargamento progressivo della
cittadinanza opera in direzione diametralmente opposta a quella della difesa di una propria presunta sinceritas etnica (e
infatti l'improvvisazione, durante il fascismo, di una "difesa della razza" italica, proclamata seduta stante "ariana" e
insignita del blasone di una 'arianità' di diretta derivazione romana, fu risibile - tra l'altro - proprio per l'inesistenza di
una omogenea "stirpe romana" di partenza).
Inoltre, è necessario distinguere tra mentalità razzistica ed interesse etnografico. Una analisi senza pregiudizi porta
agevolmente a constatare che le stesse caratteristiche di autoctonia, purezza e autosomiglianza, che Tacito riferiva ai
Germani, ricorrono, in riferimento ad altri popoli, in fonti molto precedenti che potrebbero essere alla base della
storiografia tacitiana ben più che la diretta esperienza dell'autore. I capitoli 2 e 4 della Germania perdevano molto del
loro presunto carattere profetico se analizzati dal punto di vista della loro derivazione antiquaria e letteraria. Analisi in
base alle quali essi risultavano come il frutto di una stratificazione complessa, nel corso della quale elementi etnico-
culturali originariamente riguardanti altri popoli avevano finito per essere attribuiti ai Germani. È merito di Eduard
Norden (1868-1941) aver proceduto a siffatta analisi nel volume sulla protostoria germanica in Tacito (Die germanische
Urgeschichte in Tacitus Germania, Berlin 1920, ma elaborato nel quinquennio precedente).
Almeno in due punti - nota Norden - il cap. 4 trova rispondenza letterale in una fonte greca, nell'opuscolo di
Ippocrate Sulle arie, acque, i luoghi: a) propriam et tantum sui similem gentem trova rispondenza nel cap. 19 dell'opuscolo:
"Parliamo ora del clima e dell'aspetto degli Sciti. Questa stirpe è molto diversa dagli altri uomini (
), e, come gli Egizi, è simile unicamente a se stessa ( ); in Scizia, data la
presenza costante di venti freddi e nebbia, "le stagioni non presentano mutamenti grandi e violenti, ma sono simili
( ), con poche differenze, perciò gli abitanti sono d'aspetto simili l'uno all'altro ( ), mangia-
no sempre gli stessi cibi, indossano sempre vesti eguali, d'estate e d'inverno"; b) laboris atque operum non eadem patientia
corrisponde alla formula con cui nel cap. 15 Ippocrate descrive la non grande patientia laboris degli abitanti la regione
attraversata dal fiume Fasi (Caucaso): "sono piuttosto incapaci di sopportare fatiche fisiche".
Norden nota che già nell'opuscolo ippocrateo l'etnografia degli Sciti è costruita con elementi ripresi dalla descri-
zione di altri popoli (gli Egizi). Si tratta dunque - è questa la sua ipotesi - di "motivi itineranti", che attraverso il gran
fiume della tradizione erudito-etnografica hanno fissato gli stereotipi antropologici delle principali nationes. È probabile
che la fonte immediata di Tacito siano stati i Bella Germaniae di Plinio il Vecchio (zio di Plinio il Giovane, amico e
ammiratore dello storico), che aveva avuto una lunga e profonda esperienza della Germania. Ma la ripresa delle notizie
che trovava nella sua autorevole fonte poteva creare a Tacito qualche inconveniente: come l'affermazione che Mar-
comanni e Quadi sarebbero amici-clienti dei Romani, mentre nell'89, durante il conflitto di Domiziano contro i Daci,
Marcomanni e Quadi si erano schierati apertamente contro Roma, e questo aveva determinato una reazione durissima
di Domiziano contro di loro. Nella Germania invece Tacito presenta la situazione in termini che rispecchiano ancora
gli equilibri precedenti la crisi dell'anno 89: riflette le sue fonti al punto che Ronald Syme è giunto a scrivere: "non si
preoccupò, prima di mettersi a scrivere, di consultare testimoni oculari o di confrontare i libri con la fedele testimo-
nianza di governatori consolari, comandanti di legione, o agenti finanziari".

Riduzione e adattamento da: L. CANFORA, La Germania di Tacito da Engels al nazismo, Napoli 1979

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