Il cristianesimo è definito superstitio dagli storici romani del I-II secolo
SVETONIO superstitio nova ac malefica superstizione nuova e malefica
TACITO exitiabilis superstitio superstizione funesta PLINIO IL GIOVANE superstitio prava et immodica superstizione perversa e smodata [CICERONE, Pro L. Flacco 67: barbara superstitio è la religione ebraica] SVETONIO, Vita di Claudio 25,3: (Claudio) espulse da Roma i Giudei che tumultuavano continuamente per istigazione di Cresto. SVETONIO, Vita di Nerone 16,3: Furono suppliziati i Cristiani, una genia di uomini appartenenti ad una superstizione nuova e malefica. TACITO, Annali XV 44,2-5 Ma né per soccorso umano, né per largizioni dell’imperatore o sacrifici agli dèi veniva meno la voce infamante per cui si credeva che l’incendio fosse stato comandato. Allora, per troncare la diceria, Nerone spacciò per colpevoli e condannò ai tormenti più raffinati quelli che, odiati per le loro nefandezze, il volgo chiamava cristiani. Colui da cui prendevano il nome, Cristo, era stato suppliziato ad opera del procuratore Ponzio Pilato sotto l’impero di Tiberio: e quella funesta superstizione, repressa per breve tempo, riprendeva ora forza non soltanto in Giudea, luogo d’origine di quel male, ma anche in Roma, ove tutte le atrocità e le vergogne confluiscono da ogni parte e trovano seguaci. Furono dunque arrestati dapprima quelli che professavano la dottrina apertamente, poi, su denunzia di costoro, altri in grandissimo numero furono condannati, non tanto come incendiari, quanto come odiatori del genere umano. E quando andavano alla morte si aggiungevano loro gli scherni, affinché perissero, coperti di pelli ferine, dilaniati dai cani, ovvero, inchiodati su croci e dati alle fiamme, perché ardessero come fiaccole notturne dopo il tramonto del sole. Nerone aveva offerto per tale spettacolo i propri giardini e celebrava giochi nel circo, mescolandosi alla plebe in abito d’auriga, o prendeva parte alle corse, in piedi sul carro. Per questo, pur nei confronti di colpevoli che meritavano castighi di una severità non mai veduta, nasceva un senso di pietà, in quanto essi morivano per saziare la crudeltà di uno, non per il bene di tutti.
PLINIO IL GIOVANE, Lettere X 96 (Plinio a Traiano)
È mio costume, o signore, portare a tua conoscenza tutte le questioni che mi lasciano perplesso, poiché nessuno meglio di te potrebbe o guidarmi nelle mie esitazioni o illuminarmi nella mia ignoranza. Non sono mai stato presente ad alcun processo dei cristiani e perciò ignoro che cosa solitamente, ed entro quali limiti, si sottopone ad inchiesta o si colpisce con una pena. E sono rimasto alquanto incerto se si debba fare qualche differenza tenendo conto dell’età o se, per quanto fanciulli, non si debbano distinguere affatto da quelli in età più avanzata; se si debba concedere il perdono a chi si penta oppure se, a chi sia stato sicuramente cristiano, non giovi aver cessato di esserlo; se si debba punire il nome di cristiano in sé e per sé, pur in assenza delle loro colpe infamanti, o soltanto le infamie che a quel nome sono associate. Con coloro che mi venivano deferiti quali cristiani, ho seguito questa procedura: chiedevo loro se fossero cristiani. Se confessavano, li interrogavo una seconda e una terza volta, minacciandoli di pena capitale; quelli che perseveravano, li ho mandati a morte, ritenendo senza alcuna esitazione che, qualunque cosa fosse questo cristianesimo, di cui si confessavano seguaci, quell’ostinazione e caparbietà inflessibile andasse senz’altro punita. Tra i presi da simile pazzia ce n’erano altri che, in quanto cittadini romani, ho messo in nota per farli tradurre a Roma. In seguito, proprio come conseguen- za dei procedimenti giudiziari, ed è cosa solita, aumentarono le denunce e mi si presentarono parecchi altri casi. Si è resa di dominio pubblico un’accusa anonima con i nomi di molte persone: coloro che negavano di essere cristiani, o di esserlo stati, ritenni di doverli rimettere in libertà, quando, dopo aver ripetuto quanto io formulavo, invocavano gli dei e veneravano la tua statua, che a questo scopo avevo fatto portare assieme ai simulacri dei numi, e quando imprecavano contro Cristo, cosa che si dice sia impossibile ad ottenersi da coloro che siano veramente cristiani. Altri, il cui nome era stato fatto da un delatore, affermarono di essere cristiani e subito dopo lo negarono: lo erano sì stati, ma avevano cessato di esserlo, certuni già da tre anni, cert’altri da più ancora, qualcuno addirittura da venti. Anche costoro adorarono tutti sia la tua statua che le immagini degli dei, e bestemmiarono Cristo. Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti. Fatto ciò, avevano la consuetudine di ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo, ad ogni modo comune e innocente, cosa che cessarono di fare dopo il mio editto nel quale, secondo le tue disposizioni, avevo proibito l’esistenza di sodalizi. Per questo, ancor più ritenni necessario interrogare due ancelle, che erano dette ministre, per sapere quale sfondo di verità ci fosse, ricorrendo pure alla tortura. Non ho trovato null’altro al di fuori di una superstizione perversa e smodata. Di conseguenza, ho rinviato l’inchiesta per ricorrere al tuo consiglio, dato che si tratta a mio avviso di un problema che merita che io ti consulti per il gran numero degli accusati; ché sono molti quelli che vengono e verranno posti sotto processo, di ogni età, di ogni condizione sociale e finanche di ambo i sessi. Il contagio di questa superstizione si è diffuso non solo nelle città, ma anche nei villaggi e nelle campagne, ma a mio avviso si può arrestarlo e porvi rimedio. Si sa comunque con certezza che si è ripreso a frequentare i templi, già quasi abbandonati, a celebrare i consueti riti, da lungo tempo interrotti, e a vendere la carne delle vittime, di cui finora assai di rado si riusciva a trovare un compratore. Non è di conseguenza difficile arguire che un gran numero di persone potrebbe essere tratta dall’errore, qualora si concedesse loro la possibilità di pentirsi.
PLINIO IL GIOVANE, Lettere X 97 (Traiano a Plinio)
La via da te seguita, mio carissimo Secondo, nell’esame dei processi di coloro che ti furono denunciati come cristiani è stata quella giusta, poiché non è possibile stabilire in generale un principio che contenga per così dire una norma fissa. Non si devono ricercare; in caso di denuncia e di confessione, vanno puniti, con la riserva tuttavia che l’apostasia dal cristianesimo, dimostrata di fatto con l’adorazione dei nostri dei, ottenga a chi si dichiari pentito, per quanto sia sospetto per il passato, il perdono. Per quanto poi si riferisce alla pubblicazione di denunce anonime, non devono aver valore in nessuna accusa: ché sarebbe di pessimo esempio, e contrario allo spirito dei nostri tempi.