del principato di Augusto (14 d.C.) alla morte dell’imperatore Nerone (68).
Nel 64 scoppiò il grande e ben noto incendio della città di Roma, del quale il medesimo imperatore fu
accusato dall’opinione pubblica; il nostro storico ci narra che Nerone cercò in tutti i modi di favorire le
vittime del disastro e di stornare da sé l’accusa, con vari provvedimenti. A questo punto si inserisce il
riferimento a Cristo ed ai suoi seguaci:
“Perciò, per far cessare tale diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro
che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome
era Cristo, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato;
e, momentaneamente sopita, questa esiziale superstizione di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea,
focolare di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò
che vi è di turpe e di vergognoso. Perciò, da principio vennero arrestati coloro che confessavano, quindi,
dietro denuncia di questi, fu condannata una ingente moltitudine, non tanto per l’accusa dell'incendio,
quanto per odio del genere umano. Inoltre, a quelli che andavano a morire si aggiungevano beffe: coperti di
pelli ferine, perivano dilaniati dai cani, o venivano crocifissi oppure arsi vivi in guisa di torce, per servire da
illuminazione notturna al calare della notte. Nerone aveva offerto i suoi giardini e celebrava giochi circensi,
mescolato alla plebe in veste d’auriga o ritto sul cocchio. Perciò, benché si trattasse di rei, meritevoli di
pene severissime, nasceva un senso di pietà, in quanto venivano uccisi non per il bene comune, ma per la
ferocia di un solo uomo” (Ann. XV, 44)2
La descrizione di Tacito ci informa innanzitutto che a quell’epoca la comunità cristiana di Roma disponeva di
un considerevole numero di membri, ci fornisce qualche spunto anche per comprendere quale fosse l’idea
della Roma pagana riguardo a questa nuova fede.
Tacito ci fa notare che i cristiani erano invisi al popolo “a causa delle loro nefandezze”, e che la loro fede era
una “esiziale superstizione”; essi sono definiti “rei” e “meritevoli di pene severissime”, accusati di “odio del
genere umano”.
Il cristianesimo era agli occhi dei pagani una superstitio nova, e i cristiani erano dei molitores rerum
novarum, perché introducevano un culto e uno stile di vita assai diverso da quello tradizionale.
Il cristianesimo è dunque una superstizione straniera, e per di più dotata dell’eccesso comune ai culti
orientali; è una “superstizione nuova”, per cui non gode neppure della caratteristica dell’antichità, che dai
Romani veniva sempre guardata con grande rispetto.
La colpa dei cristiani è quella riassunta dall’espressione “odio del genere umano”: essi costituivano nella
società imperiale un gruppo a sé, estraniato dalla vita pubblica e dalla religiosità comune, che era un
elemento di coesione sociale. Il rifiuto di adesione alla religione dello stato era visto come un atto di
sovversione politica, esattamente come la tendenza a rifiutare costumi ed istituzioni tradizionali e ad
estraniarsi dalla vita pubblica.
Le poche parole di Tacito riferite a Gesù Cristo, mostrano che egli è ben informato a riguardo, e che la fonte
a cui attinse dovette su questo punto essere ottima. Invero si sa che Tacito raccoglie le notizie con molta
circospezione, al punto che talora si è potuto con buon esito riconoscere i documenti preesistenti di cui egli
si è valso, e in qualche modo stabilire le derivazioni delle notizie riferite. Il fatto che Tacito non usi le
classiche espressioni del “sentito dire “ ci fa pensare che egli attingesse a notizie di prima mano. Tacito, per
la sua posizione politica, aveva accesso ai verbali delle sedute del senato romano, e gli atti governativi e le
notizie su ciò che accadeva giorno per giorno.
Plinio il giovane
Plinio Secondo, nipote dello storiografo Plinio il Vecchio. Di lui ci è pervenuta una raccolta di epistole
contenute in 10 libri ‘’ gli epistularum libri’’. In una di queste lettere – scritta nello stesso periodo in cui
l’amico Tacito redigeva il suo racconto sulla persecuzione cristiana del 64 – egli si rivolge a Traiano per
ottenere istruzioni da seguirsi nel trattare con i cristiani della Bitinia e del Ponto, ove, come detto, ricopriva
la carica di legato con potere consolare.
Eccone il testo:“E’ per me un dovere, o signore, deferire a te tutte le questioni in merito alle quali sono
incerto. Chi infatti può meglio dirigere la mia titubanza o istruire la mia incompetenza? Non ho mai preso
parte ad istruttorie a carico dei Cristiani; pertanto, non so che cosa e fino a qual punto si sia soliti punire o
inquisire. Ho anche assai dubitato se si debba tener conto di qualche differenza di anni; se anche i fanciulli
della più tenera età vadano trattati diversamente dagli uomini nel pieno del vigore; se si conceda grazia in
seguito al pentimento, o se a colui che sia stato comunque cristiano non giovi affatto l’aver cessato di
esserlo; se vada punito il nome di per se stesso, pur se esente da colpe, oppure le colpe connesse al nome.
Nel frattempo, con coloro che mi venivano deferiti quali Cristiani, ho seguito questa procedura: chiedevo
loro se fossero Cristiani. Se confessavano, li interrogavo una seconda e una terza volta, minacciandoli di
pena capitale; quelli che perseveravano, li ho mandati a morte. Infatti non dubitavo che, qualunque cosa
confessassero, dovesse essere punita la loro pertinacia e la loro cocciuta ostinazione. Ve ne furono altri
affetti dalla medesima follia, i quali, poiché erano cittadini romani, ordinai che fossero rimandati a Roma.
Ben presto, poiché si accrebbero le imputazioni, come avviene di solito per il fatto stesso di trattare tali
questioni, mi capitarono innanzi diversi casi.
Venne messo in circolazione un libello anonimo che conteneva molti nomi. Coloro che negavano di essere
cristiani, o di esserlo stati, ritenni di doverli rimettere in libertà, quando, dopo aver ripetuto quanto io
formulavo, invocavano gli dei e veneravano la tua immagine, che a questo scopo avevo fatto portare
assieme ai simulacri dei numi, e quando imprecavano contro Cristo, cosa che si dice sia impossibile ad
ottenersi da coloro che siano veramente Cristiani.
Altri, denunciati da un delatore, dissero di essere cristiani, ma subito dopo lo negarono; lo erano stati, ma
avevano cessato di esserlo, chi da tre anni, chi da molti anni prima, alcuni persino da vent’anni. Anche tutti
costoro venerarono la tua immagine e i simulacri degli dei, e imprecarono contro Cristo.
Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi prima dell’alba e
intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare
qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non
rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti. Fatto ciò, avevano la consuetudine di
ritirarsi e riunirsi poi nuovamente per prendere un cibo, ad ogni modo comune e innocente, cosa che
cessarono di fare dopo il mio editto nel quale, secondo le tue disposizioni, avevo proibito l’esistenza di
sodalizi. Per questo, ancor più ritenni necessario l’interrogare due ancelle, che erano dette ministre, per
sapere quale sfondo di verità ci fosse, ricorrendo pure alla tortura. Non ho trovato null’altro al di fuori di
una superstizione balorda e smodata.
Perciò, differita l’istruttoria, mi sono affrettato a richiedere il tuo parere. Mi parve infatti cosa degna di
consultazione, soprattutto per il numero di coloro che sono coinvolti in questo pericolo; molte persone di
ogni età, ceto sociale e di entrambi i sessi, vengono trascinati, e ancora lo saranno, in questo pericolo. Né
soltanto la città, ma anche i borghi e le campagne sono pervase dal contagio di questa superstizione; credo
però che possa esser ancora fermata e riportata nella norma”.
SVETONIO:
Gaio Svetonio, amico di Plinio e forse suo compagno in Bitinia, ricoprì l’importante incarico di archivista
dell’imperatore Adriano.
Nella sua opera Vita dei dodici Cesari, una raccolta di dodici biografie degli imperatori da Cesare a
Domiziano scritta intorno al 120, ci lascia due accenni ai cristiani. Il primo si trova nella vita di Claudio:
“Espulse da Roma i Giudei che per istigazione di Cresto erano continua causa di disordine” (Vita Claudii
XXIII, 4)1
Non ci si deve stupire del fatto che Svetonio scriva Chrestus in luogo di Christus; a riprova di ciò, vediamo
che Svetonio parla di Giudei, ancora incapace come tanti suoi connazionali di avvertire le differenze tra
quest’ultimi ed il cristianesimo nascente, che da essi ormai si differenziava e sempre più si allontanava. Per
Svetonio, che probabilmente ricavò questa notizia dagli archivi imperiali cui aveva libero accesso, si tratta
semplicemente di un provvedimento imperiale atto ad eliminare focolai di turbolenza, e non ancora di una
reazione mirata al cristianesimo; è facile pensare che la predicazione del Cristo tra i Giudei romani da parte
di altri Giudei, abbia generato qualche reazione del genere di quelle narrate negli Atti degli Apostoli, che
agli occhi dell’autorità romana poteva turbare l’ordine pubblico.
La notizia di Svetonio concorda perfettamente con quanto è riportato negli Atti degli Apostoli riguardo
all’arrivo di Paolo a Corinto:
“Dopo di ciò, partito da Atene [Paolo] andò a Corinto. E trovato un giudeo di nome Aquila, pontico di
nascita, da poco giunto dall’Italia, e la moglie sua Priscilla, per il fatto che Claudio aveva ordinato che tutti i
Giudei partissero da Roma, andò da loro” (Act. XVIII, 1-2)3
Secondo lo storico Paolo Orosio, che riprende la notizia di Svetonio e cita anche Giuseppe Flavio, tale
espulsione avvenne nel nono anno dell’impero di Claudio, ovvero tra il gennaio del 49 e il gennaio del 50
d.C.; poiché Paolo probabilmente arrivò a Corinto nel dicembre del 49, il tutto coincide4.
Il secondo accenno ai Cristiani, Svetonio lo colloca nella vita di Nerone; esso in poche parole ci riassume
quanto già narrato più diffusamente da Tacito, con il quale condivide anche le consuete accuse di
superstitio nova ac malefica:
“Sottopose a supplizi i Cristiani, una razza di uomini di una superstizione nuova e malefica” (Vita Neronis
XVI, 2)5.
Giuseppe Flavio
Ma il passo più importante su Gesù di Nazareth l’abbiamo nel cosiddetto “Testimonium Flavianum” (la
testimonianza flaviana) al cap. 18,63ss.
Questo testo è stato oggetto di discussione negli ultimi decenni, per il fatto che si ipotizza che in
realtà il passo è stato interpolato (cioè, vi sono state aggiunte delle espressioni) ad opera di un cristiano
dopo la redazione originaria di Giuseppe Flavio. Oggi, sussistono 3 posizioni sull’autenticità del
Testimonium Flavianum:
Vedremo di seguito queste 3 ipotesi illustrando quali siano gli elementi a favore per ogni posizione,
anche se dobbiamo subito dire che tutti gli studiosi affermano all’unanimità che certamente il testo cita
Gesù di Nazareth come personaggio storico, e questo a noi basterebbe ai fini dello studio che stiamo
facendo, ovvero quello di provare come Gesù sia effettivamente esistito.
Infatti, nella peggiore delle ipotesi, Giuseppe Flavio attesta di sicuro le seguenti notizie storiche su
Gesù: egli insegnò, fu seguito da molti, venne crocifisso, i credenti in lui continuano ad esserci anche dopo
la sua morte.
Ma oltre alle 3 posizioni degli storici di cui si diceva prima, vedremo come certi studiosi hanno
ricostruito il testo in una forma originaria avversa a Gesù e altri in una forma originaria neutrale nei
confronti di Gesù.
(Nella riflessione su questo testo seguiremo in linee generali il manuale Theissen – Merz, Il Gesù
storico, Queriniana, Brescia 1999. )
Infine, vedremo come una importantissima scoperta degli ultimi decenni sembra aver sciolto
definitivamente i nodi sull’autenticità del passo in questione.
Intanto vediamo il testo così come è presente in tutti i manoscritti antichi del Testimonium
Flavianum, così come ci sono pervenuti.
«Verso questo tempo visse Gesù, uomo saggio, ammesso che lo si possa chiamare uomo. Egli infatti
compiva opere straordinarie, ammaestrava gli uomini che con piacere accolgono la verità, e convinse molti
Giudei e Greci.
Egli era il Cristo. E dopo che Pilato, dietro accusa dei maggiori responsabili del nostro popolo lo
condannò alla croce, non vennero meno coloro che fin dall’inizio lo amarono. Infatti apparve loro il terzo
giorno, di nuovo vivo, avendo i divini profeti detto queste cose su di lui e moltissime altre meraviglie. E
ancor fino al giorno d’oggi continua a esistere la tribù dei cristiani che da lui prende il nome.»
L’ipotesi di autenticità.
Sono pochi i sostenitori di questa ipotesi, anche se si tratta di storici di grande importanza come von
Ranke e von Harnack. Tranne la parte «apparve loro il terzo giorno, di nuovo vivo, avendo i divini profeti
detto queste cose su di lui e altre meraviglie» che sembra un’aggiunta successiva di un autore cristiano, il
Testimonium Flavianum è sostanzialmente autentico e quindi avrebbe la seguente forma :
«Verso questo tempo visse Gesù, uomo saggio, ammesso che lo si possa chiamare uomo. Egli infatti
compiva opere straordinarie, ammaestrava gli uomini che con piacere accolgono la verità, e convinse molti
Giudei e Greci. Egli era il Cristo. E dopo che Pilato, dietro accusa dei maggiori responsabili del nostro
popolo lo condannò alla croce, non vennero meno coloro che fin dall’inizio lo amarono. E ancor fino al
giorno d’oggi continua a esistere la tribù dei cristiani che da lui prende il nome.»
A favore di questa ipotesi di autenticità ci sono, in effetti, molte ragioni tra le quali riportiamo le
seguenti:
2) Anche « con piacere accolgono la verità » è tipica di Flavio Giuseppe, mentre non la userebbe un
cristiano, in quanto piacere ha un’accezione negativa nel cristianesimo.
3) L’affermazione « convinse molti Giudei e Greci» sembra rispecchiare la realtà proprio di Roma dove
viveva Flavio Giuseppe e dove molti giudei e pagani avevano abbracciato la fede in Cristo; mentre non è
riconducibile a fonti cristiane.
4) il testo sembra porre l’accento soprattutto sull’esecuzione ad opera di Pilato tipica di chi conosce le
condizioni giuridiche della Giudea; mentre un cristiano avrebbe dato la colpa della crocifissione di Gesù
soprattutto ai giudei e non al procuratore romano.
5) Il fatto che i cristiani vengano designati come tribù dimostra il tono dispregiativo che un cristiano non
avrebbe mai usato, mentre è perfettamente attribuibile a un giudeo come Flavio Giuseppe.
L’ipotesi dell’interpolazione.
Gli studiosi che sostengono che il Testimonium Flavianum abbia subito delle aggiunte, portano come
prova i seguenti punti:
1) Il periodo di governo di Ponzio Pilato è presentato da Giuseppe Flavio nelle Antichità Giudaiche
sempre come una successione di ribellioni, mentre il termine stesso “ribellione” non appare nel testo in
oggetto;
2) Il testo non è citato da nessun padre della Chiesa in senso apologetico nei secoli II e III, soprattutto
perché non veniva detto, nella redazione originaria, che Gesù « era il Cristo » , ma questa espressione è
stata aggiunta in seguito.
3) Le 3 espressioni tipiche di un cristiano e non di un ebreo come lo era Giuseppe Flavio, e quindi frutto
di un interpolazione posteriore, sono:
«ammesso che lo si possa chiamare uomo» , che tradisce una fede nella divinità di Cristo da parte di chi
scrive (cosa che non poteva essere per Giuseppe Flavio);
«questi era il Cristo», anche questa espressione è chiaramente tipica di chi crede che Gesù è il Cristo,
cioè il Messia;
« apparve loro il terzo giorno, di nuovo vivo, avendo i divini profeti detto queste cose su di lui e altre
meraviglie», anche questa è un’affermazione di un cristiano.
Mi permetto, però, di obiettare una cosa a queste ragioni sulla non autenticità. Se probabilmente non vi
era la frase «questi era il Cristo», credo che si può pensare che la forma originaria di Giuseppe Flavio poteva
essere: «Questi era detto il Cristo» oppure «Questi era creduto il Cristo dai suoi discepoli», e questo
perché, come si può vedere, il Testimonium Flavianum si conclude con la frase «continua a esistere la tribù
dei cristiani che da lui prende il nome» (che da tutti gli studiosi è considerata autentica); inoltre anche nel
passo di Antichità Giudaiche cap. 20, 199-203 Flavio Giuseppe dice di Gesù «che é detto il Cristo»; e inoltre
non credo che lo storico ebreo abbia avuto difficoltà a capire che dal momento che i suoi seguaci erano
chiamati cristiani, egli sicuramente «era detto il Cristo».
È un’ipotesi che cerca di trovare una via di mezzo tra l’interpolazione e l’autenticità del Testamentum,
sostenuta soprattutto da J.P. Meier alla luce anche di alcune scoperte che si sono fatte recentemente.
Secondo questa posizione, il Testamentum che ci è stato tramandato è il risultato di una rielaborazione
fatta a partire dal racconto originario di Giuseppe che ha apportato poche modifiche. Secondo questo
studioso, il testo originale uscito dalla penna dello storico ebreo doveva essere il seguente.
«In quel tempo comparve Gesù, un uomo saggio. Si diceva che compisse delle opere straordinarie,
insegnava alla gente che con piacere ricevono la verità: e attirò a sé molti discepoli sia fra Giudei che fra
gente di origine Greca. E quando Pilato, a causa di un accusa fatta dai maggiori responsabili del nostro
popolo, lo ha condannò alla croce, coloro che lo amarono fin dall’inizio non cessarono di farlo e fino ad oggi
la tribù dei cristiani (che da lui prende il nome) continua ad esistere»
Una recente scoperta getta luce sul testo originale del Testamentum Flavium
Afferma l’ebreo Giuseppe, che racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei:
In questo tempo, viveva un uomo saggio, che si chiamava Gesù. Egli aveva una condotta irreprensibile, ed
era conosciuto come un uomo virtuoso. E molti fra i Giudei e le altre Nazioni divennero suoi discepoli. Pilato
lo condannò a essere crocifisso e a morte. Quelli che divennero suoi discepoli non cessarono di seguire i
suoi insegnamento. Essi raccontarono che egli era apparso loro il terzo giorno dopo la sua crocifissione e
che egli era vivo. A questo proposito, egli forse era il Messia di cui i profeti avevano raccontato le meraviglie
Questo testo sembra aver messo tutti d’accordo circa la forma originaria, in quanto, sebbene
riportato da un vescovo cristiano, non appare modificato o rielaborato secondo una prospettiva cristiana,
ma può benissimo essere stato scritto dallo stesso Flavio Giuseppe, o comunque, se non è proprio la
versione originale, almeno appare molto vicina ad essa.
Se il vescovo lo avesse modificato non avrebbe sminuito la figura di Gesù con l’espressione del tipo
“egli forse era il Messia”. In questa versione appare chiaro come Giuseppe Flavio riporta le qualità di Gesù
non come sue affermazioni, ma come veniva definito e riportato da altri (i discepoli di Gesù). Attribuisce la
resurrezione di Gesù non come a una propria fede, ma a ciò che raccontavano, appunto, i suoi discepoli.
I Vangeli
La principale fonte di informazioni sulla vita di Gesù è costituita dai testi scritti dai primi cristiani. È invece
molto più limitato il numero di fonti storiche non cristiane contemporanee a Gesù che ne parlino in modo
esplicito[12].
Gli scritti del Nuovo Testamento sono stati redatti, anche sulla base di precedenti fonti orali, in un arco di
tempo compreso tra il 50 d.C. e la fine del I secolo/inizio del II[13].
Le fonti cristiane sulla vita di Gesù comprendono sia i testi canonici del Nuovo Testamento (i quattro vangeli
e alcune delle lettere), sia i numerosi testi apocrifi. Alcune informazioni sono inoltre contenute anche nella
letteratura subapostolica.
Tra questi testi, i Vangeli canonici costituiscono comunque un unicum, sia perché si pongono all'inizio della
vicenda interpretativa su Gesù, sia perché "hanno almeno in parte raccolto la più antica tradizione di
Gesù"[14].
I Vangeli canonici
I Vangeli canonici (oltre ad alcuni Vangeli apocrifi) sono la principale, ma non l'unica, fonte di notizie su
Gesù. Essi raccontano nel dettaglio la vita pubblica di Gesù, cioè il periodo della sua predicazione; sul resto
della sua vita forniscono scarse informazioni, contenute soprattutto nell'opera dell'evangelista Luca.
I vangeli sono stati probabilmente scritti negli anni tra il 70 (Marco) e il 100 circa (Giovanni), anche se sono
state proposte datazioni diverse. Le più antiche copie pervenuteci dei vangeli risalgono al II secolo: è
controversa l'attribuzione di manoscritti più antichi[15][16].
I cristiani affermano generalmente che i quattro vangeli canonici e gli altri scritti del Nuovo Testamento
sono ispirati da Dio e raccontano fedelmente la vita e l'insegnamento di Gesù; e che anche i numerosi
miracoli e in particolare la sua risurrezione, sono realmente avvenuti. Molti studiosi cristiani evidenziano
comunque come i vangeli non costituiscano propriamente delle biografie, ma offrano piuttosto una
rilettura teologica della vita di Gesù redatta dalla Chiesa del I secolo[17].
A riprova della natura teologica e non storica di tali racconti, San Giustino, uno dei Padri della Chiesa, nel
tentativo di accreditare il Cristianesimo presso i Romani dimostra, nel suo testo Apologie, come la presunta
soprannaturalità di Gesù sia dovuta ad un'attribuzione di categorie metafisiche già elaborate dal pensiero
greco.
CORANO
cco, anche nel Corano, Allah parla a Muhammad (Maometto) di Gesù, solo che esistono differenze non
sanabili tra ciò che narrano il Vecchio e il Nuovo Testamento con ciò che afferma Allah. È assolutamente
importante sapere che per i musulmani (i sottomessi ad Allah e al profeta Muhammad) il Corano è la Parola
di Allah, non modificabile né interpretabile. Ciò che è contenuto nel Corano, qualunque sia l’argomento
narrato, è assoluta verità di fede. Chiunque metta in dubbio questo principio è un miscredente e un
apostata.
Nel Corano Gesù è figlio di Maria, considerata una santa vergine che concepisce un figlio in modo
miracoloso per volere di Allah. La sura 19 al versetto 34 afferma: “Questo è Gesù, figlio di Maria, Parola di
verità di cui alcuni dubitano. Non si addice ad Allah prendersi un figlio”.
L’atteggiamento dell’Islam verso Gesù è contrassegnato da grande rispetto, in quanto uomo eminente,
profeta e messaggero di Allah, e dalla condanna non meno categorica della sua divinità. Per ben undici
volte il Corano chiama Gesù “il figlio di Maria”; il che, se da un lato indica la sua origine del tutto
eccezionale, dall’altro riafferma che Gesù è un semplice uomo, non Figlio di Dio. E questo è un abisso che
separa Islam e Cristianesimo.
Nel Corano si parla di Gesù che opera miracoli e si narra ancora di Allah che gli ha dato il Vangelo. Tra i
miracoli di Gesù va ricordata una “profezia” secondo la quale Gesù avrebbe predetto la venuta di
Muhammad. Nella sura 61 al versetto 6 è scritto: “Gesù, figlio di Maria, disse: O figli di Israele! In verità io
sono il messaggero di Allah, mandato a voi per confermare il Pentateuco rivelato prima di me e per dare il
lieto annuncio di un messaggero che verrà dopo di me e che sarà chiamato Ahmad”.
Altra affermazione importante riguarda i cristiani che credono che Gesù sia Figlio di Allah, e per questo
sono condannati e maledetti: “Il Cristo è figlio di Allah, questo è ciò che dicono con la loro bocca, imitando
ciò che dicevano i miscredenti che li hanno preceduti. Allah li maledica! Come sono fuorviati!” (sura 9 vers.
30).
Infine, visto che siamo prossimi alla Pasqua, vediamo cosa dice il Corano della morte di Gesù nei versetti
156-158 della quarta sura. (Il soggetto sono gli ebrei). “Noi li punimmo per la loro incredulità, e per aver
proferito contro Maria una calunnia orrenda, e aver dichiarato: “Sì abbiamo ucciso il Messia, Gesù Figlio di
Maria, l’inviato di Dio”, mentre essi non lo uccisero né lo crocifissero, ma semplicemente così apparve loro.
E quelli che a questo proposito sono in disaccordo restano nel dubbio: non hanno di ciò certezza alcuna,
inseguono soltanto congetture. Chè di sicuro essi non lo uccisero, ma Dio lo innalzò a sé, e Dio è potente e
giusto”
Pertanto, per i musulmani, Gesù non è stato crocifisso né tanto meno può essere risorto da morte,
addirittura al suo posto è stato crocifisso un sosia.
Da quanto esposto e riferito nel Corano risulta la assoluta incompatibilità teologica tra le due confessioni
religiose.