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La sindrome di Down

E’ la più comune sindrome a base genetica associata a disabilità intellettiva. Costituisce il 18% delle
sindromi genetiche, ha un tasso di incidenza di 1 su 700 nascite. Venne inizialmente descritta nel 1846 da
Seguin, tuttavia studi più approfonditi vennero compiuti dal dottore Langdon Down, che trattò nello
specifico casi di bambini down con ritardo cognitivo e diede la descrizione di una “facies tipica” per le
persone colpite da questa sindrome, caratterizzata da epicanto palpebrale, occhi obliqui, lingua ingrossata,
bassa statura e ipotonia muscolare. Viste le somiglianze tra alcuni tratti fisici dei down e la popolazione
mongola, il doc Down, rifacendosi alle teorie evoluzionistiche Darwiniane, indico la sindrome di Down
come una degenerazione etnica (deriva genetica), che era espressione della regressione ad uno stato razziale
primitivo. Questa teoria venne sostenuta fino al 1959, anno in cui venne screditata grazie alle scoperte
scientifiche di Lejeune sulle basi genetiche della sindrome che dimostrarono la presenza di un cromosoma in
più nella coppia 21 (da cui il nome trisomia 21). Questa variazione genetica denominata trisomia può essere
dovuta a:
-NON DISGIUNZIONE: uno dei due genitori ha 2 cromosomi nella sua cellula riproduttiva invece di 1. E’
la condizione più comune (92% dei casi).
-TRASLOCAZIONE: trasferimento di 1 cromosoma 21 su altri cromosomi, e specialmente sul n.14.
Condizione rara (5% dei casi), prevedibile poiché trasmessa per via familiare.
-MOSAICI: solo una parte delle cellule del soggetto possiede un terzo cromosoma 21 libero. Sono così
presenti cellule a 46 e 47 cromosomi, con interessamento di uno o alcuni organi. Condizione rara (3% dei
casi), meno grave delle precedenti.
La causa principale è l’età avanzata della madre, tuttavia pure l’esposizione al fumo, alle radiazione e all’uso
di anticoncezionali rappresentano fattori eziologici.
La sindrome è di norma associata a una disabilità cognitiva di media entità, con ritardi nello sviluppo
psicomotorio e deficit cognitivo che tende a peggiorare in funzione all’età. Il QI medio di un trisomico è 50,
dunque per tali soggetti è comunque possibile apprendere competenze che concedano una autonomia
personale, tra cui anche lettura e scrittura. Comuni sono deficit della lingua e memoria a breve e lungo
termine che si riflettono sulle capacità di apprendimento. Il linguaggio è povero di vocaboli e disarticolato, in
un down adulto il livello di produzione linguistica è comparabile a quello di un bimbo di 5-6 anni. Sono
comuni apatia e automatismi, difficilmente rimovibili, che ostacolano l’apprendimento. Comuni sono anche
la tendenza all’obesità e la debolezza del tess. connettivo, da cui deriva una inclinazione all’inattività.
DIDATTICA: è fondamentale intervenire precocemente, già dal primo anno di vita, con motivazioni e
stimoli che devono basarsi più sul piano affettivo che cognitivo. E’ proficuo utilizzare attività ludiche che
stimolano l’attività cognitive, invece che imporre didattiche non motivanti; questo perché il bimbo down
tende a voler completare i suoi obbiettivi, più per un suo desiderio personale di soddisfare la persona a cui è
legato (educatore/madre/etc), che per una comprensione dell’utilità degli insegnamenti da lui appresi. Può
capitare che l’allievo cerchi di ottenere i propri obbiettivi facendo appoggio sui vantaggi sociali che la sua
condizione gli garantisce, evitando per esempio le consegne dell’educatore aggirandolo con sorrisi e gesti
affettuosi. Tuttavia il soggetto trisomico è comunque integrabile a pieno titolo in ambito sociale e lavorativo,
se seguito e stimolato in maniera opportuna e con compiti adatti alle sue abilità. Il sistema cognitivo è
particolarmente stimolato, soprattutto in età adolescenziale e adulta, da un ambiente educativo ricco di spinte
cognitive e sociali (associazioni, gite, etc); fondamentale quindi per il mantenimento di un QI costante nel
soggetto, infatti nelle persone down il QI può tendere, con la conclusione del percorso scolastico secondario,
a un deterioramento. Grazie all’aumento dell’aspettativa di vita dei down, è stato possibile sviluppare
esperienze professionali inclusive, che hanno portato a scoperte fondamentali per tutte le sindromi a base
genetica, in più hanno dimostrato la possibilità del conseguimento dell’autonomia personale per tali soggetti;
dati sorprendenti soprattutto se teniamo in considerazione la percezione sociale con cui erano visti i trisomici
fino a tempi recenti.

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