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La scuola, intesa come sistema scolastico di un Paese, sembra essere un organismo estremamente

complesso, alla ricerca costante di un equilibrio frutto della mediazione di diverse forze e tanti apporti.
Ci sono mode didattiche che hanno attraversato periodicamente questo organismo, in alcuni casi senza
troppo penetrare lo stato superficiale delle pratiche quotidiane. L’approccio Flipped, vivendo un’ampia
diffusione testimoniata dalla partecipazione degli insegnanti agli incontri e ai convegni dedicati e
dall’attivarsi di numerose esperienze diffuse a livello di progettazione in diversi ordini e gradi
scolastici, sembra essere una di queste mode. In quanto moda corre il rischio di occultare il vero
significato della proposta.
Tullio De Mauro sostiene che l’approccio Flipped Classroom non sia una moda ma, per giocare con le
parole, «è un modo nuovo di rispondere a esigenze che nelle scuole, tra chi insegna e chi apprende,
sono presenti da tempo» .
Nell’approccio Flipped Classroom (apprendimento capovolto), la tradizionale impostazione di
insegnamento svolta in classe viene «rovesciata» dall’applicazione di una modalità di insegnamento in
cui risultano mutati i tempi e le attività scolastiche attraverso il ricorso a risorse tecnologiche. È,
quindi, una pratica orientata a capovolgere (to flip) la tradizionale impostazione della proposta
educativa, organizzata nella lezione frontale e seguita dallo studio individuale. Questa pratica prevede,
grazie alla disponibilità di video lezioni e di prodotti multimediali e interattivi, di fruire dei contenuti
in modo anticipato e al di fuori delle mura scolastiche, mentre la fase di riflessione, approfondimento e
applicazione è collocata all’interno dell’aula, con la guida del docente.
Si affidano i tempi di insegnamento dei contenuti basilari, che non utilizzano particolari
differenziazioni, alle risorse tecnologiche e multimediali (video, documenti in power point, ebook,
libri, ecc.) da impiegare al di fuori della classe. Lo studente, in modo preliminare, si confronta con i
contenuti proposti dai video, consulta materiali e si applica in esercizi per appropriarsi dei concetti
fondamentali. I video messi a disposizione degli allievi consentono un utilizzo autonomo e
individuale. Successivamente, in modo originale rispetto alla tradizionale impostazione, gli studenti e
l’insegnante si incontrano in classe e possono utilizzare diversamente il tempo a disposizione.
L’innovazione è data dall’aumento del tempo dedicato in classe all’interazione e alla promozione di
attività connesse con le operazioni cognitive complesse. 
Il nucleo centrale dell’approccio Flipped si concretizza nel principio del «capovolgimento».

 
L’importante principio del capovolgimento potrebbe trovare, anche grazie all’approccio Flipped,
un’importante e indispensabile valorizzazione all’interno delle pratiche didattiche. L’approccio
Flipped viene infatti adottato, provato, attuato in diverse forme, più o meno sistematiche e organizzate,
ma piuttosto spontanee e volontarie nei contesti scolastici. Sembra quindi possibile tracciare alcune
prime riflessioni in merito alle problematicità e alle potenzialità della proposta allo scopo di
valorizzare una loro integrazione nelle pratiche didattiche.
I sostenitori dell’approccio Flipped presentano tale approccio come innovatore rispetto alla didattica
tradizionale. La modalità di intendere la proposta tradizionale (si insegna in presenza e si apprende a
distanza) e la proposta Flipped (si insegna a distanza e si apprende in presenza) risultano talmente
semplificate da non risultare attendibili. In questa interpretazione dell’approccio tradizionale si
suppone, in modo riduttivo, che il docente insegni in presenza di allievi che non apprendono nulla, che
non si appropriano delle conoscenze, mentre l’elemento essenziale, l’apprendimento, sarebbe
totalmente rinviato alle attività svolte a casa, in autonomia, e gli allievi sarebbero totalmente
responsabili dell’appropriazione dei contenuti. La rivoluzione copernicana, sostenuta dai fautori
dell’approccio Flipped, sembra così appoggiarsi sulla netta separazione fra proposta tradizionale e
proposta Flipped, in particolare sull’interpretazione riduttiva data alla proposta tradizionale non
meglio definita. È improprio pensare a una proposta tradizionale fondata sulla pura trasmissione delle
conoscenze tramite la lezione frontale, in cui l’allievo è impegnato esclusivamente a memorizzare, in
modo passivo, dei contenuti. Così come sembra ugualmente impropria l’idea che l’approccio Flipped
sia collegato esclusivamente all’innovazione, alla pedagogia attiva, agli allievi attivi e motivati, allo
sviluppo delle competenze, al saper fare, alle attività cooperative, alla dimensione trasversale dei
saperi.
Il dibattito è sicuramente molto ampio e i limiti del presente contributo non consentono di
approfondire adeguatamente la questione ma «[…] quale che sia l’attività di trasmissione — familiare,
scolastica, che si realizzi in un club o in un museo, davanti a un computer, a uno spettacolo o ad un
libro —, richiede una dimensione propriamente pedagogica che deve essere indentificata e i cui
problemi ed esiti debbono essere ricercati. In una classe ogni singolo gesto ha una portata educativa:
dice qualcosa di ciò che si sta costruendo in merito al rapporto con il sapere e, in termini ancora più
ampi, di ciò che si profila come tipologia di esseri umani e di società» (Meirieu, 2018, p. 138).
Per certi aspetti sembra che nell’ambito dell’approccio Flipped le finalità che si intendono raggiungere
(maggior coinvolgimento, motivazione, interesse degli allievi, miglioramento delle conoscenze e delle
abilità, sviluppo delle competenze) siano affiancate a delle pratiche, considerate innovative (lavoro
cooperativo, discussione, applicazione, ecc.) senza accertare se e come queste pratiche possano
perseguire e realizzare le finalità desiderate.
Ad esempio, nel caso del lavoro di gruppo, si è certi che le attività cooperative conducano al
raggiungimento delle finalità auspicate? All’interno di un gruppo di lavoro occorre una rete di
comunicazione piuttosto omogenea, ogni partecipante deve offrire un proprio contributo perché
l’attività collettiva non può effettuarsi correttamente senza coinvolgere tutti. Le intenzioni generose
dei sostenitori dell’approccio Flipped non sembrano garantire l’efficacia del dispositivo. Occorre che
il dispositivo relativo alle pratiche sia, ad esempio: progettato alla luce delle effettive conoscenze e
abilità degli allievi presenti in aula; consideri le modalità, più o meno esperte, di interazioni fra i pari;
valuti il rapporto fra gli obiettivi di apprendimento di ciascuno e gli scopi da realizzare per tutti.
In questo senso la lezione frontale è in grado di porre in un confronto diretto e formativo il sapere del
docente che spiega e le intelligenze degli allievi che lo comprendono. Riuscire a suscitare una
dialettica feconda fra lo spiegare e il comprendere, capace di favorire per tutti l’appropriazione degli
elementi culturali più impegnativi è essenziale e insostituibile e nessun sistema scolastico può
permettersi di perdere questa forma di trasmissione. Il problema è, ovviamente, legato alle condizioni
della sua efficacia.
L’approccio Flipped si presenta in modo semplice e chiaro e, per questo, praticabile e applicabile nei
diversi contesti scolastici. Si chiede agli studenti di appropriarsi dei contenuti prima di una lezione, per
dedicare poi il tempo in aula alle spiegazioni del docente, a degli esercizi, a delle attività cooperative e
collaborative. A una osservazione attenta però non sfugge che il sapere viene presentato a freddo, in
quanto le attività preparatorie si limitano a riprodurre i contenuti in video. Seguendo questa
metodologia si rischia di sostenere e di privilegiare una attitudine di appropriazione dei contenuti
ancora legata alla memorizzazione, alla ricerca continua di somiglianze e di corrispondenze, tipica
dell’approccio tradizionale. In modo particolare, soprattutto per il segmento della scuola di base,
associando in modo reiterato la visione dei video e la memorizzazione dei contenuti relativi, si rischia
di sostenere il formarsi, a lungo andare (ossia tramite il processo di deutero-apprendimento; Bateson,
1976), di una attitudine alla memorizzazione (Baldacci, 2010) e di una scarsa riflessione critica
relativa alle informazioni che provengono anche dal mondo dei media.
Nelle proposte Flipped la proposta tradizionale è associata a un modello di insegnamento centrato sul
docente mentre l’innovazione è rappresentata da un modello di apprendimento centrato sull’allievo.
Questo passaggio è fondamentale per offrire una risposta ai bisogni individuali espressi dagli allievi,
attraverso il tempo dedicato in classe al lavoro cooperativo, alle attività di approfondimento e di
interazione in presenza. Con questo passaggio andrebbe a operarsi anche una trasformazione relativa
al ruolo del docente. L’insegnante verrebbe ad assumere così la funzione di accompagnatore, di guida
dei gruppi, di sostegno e aiuto nell’indirizzare le attività. Questa passaggio sembra però realizzabile
soltanto in parte. Lo strumento essenziale dell’accesso al sapere rimane sempre il video in cui
l’insegnante fornisce, in modo tradizionale e frontale, le risposte alle stesse questioni che pone.
Nonostante le buone proposte di fonti digitali presenti sui canali divulgativi è, infatti, consigliabile che
gli stessi insegnanti siano i fautori dei video che propongono per consentire agli allievi una maggiore
familiarizzazione con le modalità già conosciute. Continuare a costruire i video allo stesso modo con
cui si sosterrebbe una lezione frontale rappresenta sicuramente una prima forma di approccio Flipped,
ma non cambia le procedure che rimangono simili alle lezioni tradizionali. Cambiare e differenziare le
modalità di fare lezione, ad esempio utilizzando procedure deduttive piuttosto che induttive, non è
semplice e, forse, è ancora meno semplice rendere questa differenziazione in forma di video brevi.
 
 

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