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Ufficialmente, i primi esperimenti sono stati condotti negli anni novanta da Eric
Mazur, professore di fisica presso l'Università di Harvard.
Le Università sono pioniere nell'uso di videolezioni. Sono disponibili online interi
corsi universitari su piattaforme come Coursera o come il sito del MIT.
Nell'ambito della scuola secondaria di secondo grado la Khan Academy, che
fornisce agli studenti la possibilità di seguire dei videotutorial da casa su Youtube, è
stata spesso associata alla Flipped Classroom ma oggi le piattaforme che pubblicano
videolezioni sono innumerevoli e, al contrario della Khan Academy, consentono agli
insegnanti anche di pubblicare risorse didattiche autoprodotte e di personalizzare il
percorso di fruizione per le proprie classi.
I fondatori della didattica capovolta generalmente riconosciuti sono Jonathan
Bergmann e Aaron Sams. Insegnanti di chimica in una scuola del Colorado, alle prese
con una realtà rurale e un alto tasso di assenteismo, hanno trovato una soluzione
fornendo a casa, agli studenti assenti, le loro lezioni che venivano apprezzate anche
dagli studenti presenti. Ben presto si sono resi conto che riprodurre in classe ciò che
potevano delegare a un video-tutorial non era soddisfacente e hanno compreso che il
tempo d'aula poteva essere liberato dalla lezione frontale a favore di una lezione più
laboratoriale e partecipata.
La didattica capovolta si diffonde nel mondo a partire dal 2012
contemporaneamente all’uscita negli U.S.A. del primo manuale in lingua inglese.
Nel 2014 esce il primo manuale in italiano, scritto da Maurizio Maglioni e Fabio
Biscaro con prefazione di Tullio De Mauro.
Il nuovo ciclo di apprendimento è ispirato a Pier Cesare Rivoltella: "Fare didattica con
gli EAS. Episodi di Apprendimento Situato" (2013).
LA DIDATTICA SECONDO LA FLIPPED CLASSROOM
La Flipped classroom è un modo di fare didattica che vede l’uso delle tecnologie
didattiche come protagoniste e attraverso queste inverte il tradizionale schema di
insegnamento/apprendimento e di conseguenza il rapporto docente/alunno ed ecco
svelato da dove derivi il suo nome, letteralmente “Classe capovolta”.
I vari materiali e i diversi percorsi educativi proposti dal docente vengono messi a
disposizione degli alunni all’interno di un “ambiente virtuale” creato per il gruppo
classe in piattaforme digitali (possibilmente reperibili anche attraverso la rete) e messi a
disposizione in differenti formati e linguaggi digitali anche molto differenti tra di loro, ad
esempio una stessa lezione di storia verrà messa a disposizione del gruppo classe sia in
forma scritto sia magari in formati audio e video.
Questi materiali possono essere approfonditi dagli studenti da soli o in gruppo
“fuori dalla classe” a casa, in biblioteca o in altri luoghi di aggregazione informale.
Mentre in classe con l’insegnante i contenuti “appresi” attraverso la tecnologia
diventano oggetto di attività cooperative mirate a “mettere in movimento” le
conoscenze acquisite.
In questa prospettiva la classe non è più il luogo di trasmissione delle nozioni ma
lo spazio di lavoro e discussione dove si impara ad utilizzarle nel confronto con i pari e
con l’insegnante.
Il docente, infatti, una volta scelto un tema da approfondire, e caricato il
materiale relativo sulla una piattaforma di e-learning, indica allo studente quali temi e
contenuti studiare o approfondire nei giorni precedenti l’attività in classe dedicata a
quel tema. In questo modo si realizza l’inversione del setting tradizionale e si può
parlare di flipped classroom appunto.
Per gli studenti non si tratta di una novità: sono nativi digitali dunque ben
predisposti all’utilizzo delle nuove tecnologie. Per loro gli strumenti digitali, consolle per
videogiochi, smartphone e tablet sono strumenti di uso quotidiano.
Il problema per l’insegnante e tutta l’istituzione formativa è quello di valorizzare
le competenze di utilizzo delle tecnologie digitali che hanno acquisito nell’informale e
nella socializzazione tra pari.
Si tratta di trasformare la loro naturale fluency tecnologica in uno strumento per
veicolare “apprendimenti significativi”, avendo sempre ben presente che “apprendere”
non è “giocare” e che la fatica dell’apprendimento non può essere eliminata dall’utilizzo
di device tecnologici.
La sfida è quella di declinare le abilità e le competenze tecnologiche di cui sono
già portatori, mettendole al servizio della didattica e dell’apprendimento.
Quello della valutazione è da sempre uno dei momenti più difficili per un bravo
insegnante. Infatti il momento della valutazione è quello che aspettano gli studenti per
valutare a loro volta l’insegnante. Ogni studente dà il suo primo giudizio all’insegnante
dopo la prima valutazione e decide così che tipo di rapporto instaurare: fiducia, stima,
timore o rispetto.
Una valutazione superficiale può generare nello studente delusione o
scoraggiamento nei confronti dell’insegnante e dello studio di quella materia. Al
contrario una valutazione ben giustificata può motivare lo studente a far sempre
meglio, può gratificarlo ma può anche deluderlo.
Non serve banda larga, non servono computer, non serve la lavagna interattiva
multimediale né le fotocopie. Servono però insegnanti formati, capaci di fare anche
i blogger, di lavorare in modo cooperativo. E, cosa non banale, serve che ogni
studente abbia a disposizione uno smartphone e una connessione internet quando
si trova a casa. Tutto sommato, forse, un obiettivo più raggiungibile che fornire una
connessione a circa l'80% delle scuole – tra primarie e secondarie – che ancora oggi
ne sono prive.
Sono questi gli ingredienti della "flipped classroom", ovvero la "classe capovolta",
una rivoluzione della scuola che non passa per le riforme di sistema ma per la
sperimentazione quotidiana degli insegnanti. In Italia la "flipped classroom" fa
breccia, visto che dal 2014 (anno di fondazione dell'associazione Flipnet Onlus) a
oggi ci sono già 600 insegnanti formati e 120 sezioni di scuola in cui 'ufficialmente' si
pratica la didattica capovolta. L'interesse pare destinato a crescere: a Roma la
Palestra dell'Innovazione è stata presa d'assalto da docenti arrivati da tutta Italia
per assistere al primo convegno nazionale sul tema.
Una didattica inclusiva. "La scuola italiana è una scuola di qualità, soprattutto le
scuole dell'infanzia ed elementari. Quindi non riformatele: semmai date più soldi
per comprare la carta igienica – ha detto il linguista ed ex ministro dell'Istruzione
Tullio De Mauro – Quando comincia il disastro? Negli ultimi anni delle scuole
superiori. E allora cosa differenzia il primo pezzo dal secondo? Che la scuola
primaria è inclusiva, non ci sono bocciati, che utilizza lo spazio per favorire
l'interattività dei gruppi e valorizza la dimensione laboratoriale". "La flipped
classroom – ha proseguito De Mauro - apre la strada a una didattica inclusiva, in cui
gli studenti stanno in classe non per assistere passivi alla lezione, ma per studiare
insieme ed essere seguiti individualmente". (Tullio De Mauro, l'importanza di una
scuola capovolta).
La rivoluzione del world wide web. Ma il ribaltamento della classe prima che
tecnologico deve essere culturale, ha sottolineato Paolo Ferri dell'Università di Milano
Bicocca, ricordando che quando il tecnico informatico britannico Tim Berners-Lee
inventò il world wide web lo fece per le esigenze della comunità scientifica "che sin dal
'500 si basa su tre presupposti: i risultati devono essere pubblici, revisionabili e
controllabili". Internet, insomma, nasce proprio come strumento della conoscenza,
prima di diventare il mezzo di condivisione di qualsiasi cosa. Allora, è il discorso di Ferri,
se si assume questo concetto ecco che l'utilizzo della tecnologia non diventa un orpello,
ma il presupposto di una "svolta di paradigma" che porta con sé a cascata una
rivoluzione: del setting d'aula, della relazione con gli studenti e la famiglia, e anche del
processo di valutazione. Che, ha detto Mario Castoldi dell'Università di Torino, "deve
smetterla di essere un momento isolato, separato, falsamente oggettivo", ma deve
essere incentrato sui processi: la valutazione deve essere giocata nella quotidianità e
non nel voto asettico di fine anno.
Sviluppare la creatività. Certo, i passi in avanti da fare sono tanti. Prima di tutto la
formazione dei docenti. Ma anche uno svecchiamento culturale: basti pensare che non
è mai stata abrogata la circolare che vieta l'uso del telefonino in aula. E poi, la ricerca di
connessioni con il territorio. Come la Palestra dell'Innovazione di Roma che – ha
ricordato il direttore Alfonso Molina – ha già messo in rete 90 scuole in Italia per
supportarle nella diffusione di una didattica che insegni il pensiero aperto. Perché
creativi non si nasce, si diventa.
Bibliografia