La nascita della storiografia letteraria: Francesco De Sanctis
Francesco De Sanctis (1817-1883) è il fondatore della storiografia letteraria italiana.
Sostenitore dello stretto legame fra storia letteraria e storia civile, egli fu in parte riferimento per Benedetto Croce e in seguito, attraverso la riflessione di Antonio Gramsci, di critici novecenteschi di impostazione storicistica e marxista. La vita e le opere Nato in provincia di Avellino, compì gli studi a Napoli presso uno zio. Nel 1839 aprì una propria scuola privata di lingua e grammatica, che mantenne anche dopo la nomina a professore presso il Real Collegio Militare della Nunziatella (1841). Frattanto l'orizzonte dei suoi interessi si andava estendendo all'estetica e alla storia: le letture lo portarono a contatto con le più recenti e importanti correnti letterarie, filosofiche e politiche d'Europa. Nel 1848, per aver preso parte all'insurrezione napoletana, fu destituito dalla Nunziatella e accettò un posto di precettore presso un nobile di Cosenza; nel dicembre 1850 venne arrestato e rimase in carcere fino al 1852. Lo studio della filosofia di Hegel lo portò ad abbandonare le posizioni giovanili cattolico-spiritualiste a favore d'una concezione laica e democratica. Liberato ma espulso dal Regno di Napoli, De Sanctis andò esule a Torino (1853), dove visse dando lezioni private e scrivendo articoli per giornali e riviste; organizzò quindi un corso di conferenze dantesche che suscitarono notevole interesse e lo resero noto, tanto che nel 1856 fu chiamato a insegnare letteratura italiana al Politecnico di Zurigo. Nel 1860 rientrò dalla Svizzera e s'impegnò nell'azione politica, divenendo deputato e ministro della Pubblica Istruzione del neonato Regno d'Italia (1861-62). Diresse quindi (1863-65) il quotidiano "L'Italia", organo dell'Associazione Unitaria Costituzionale, perseguendo l'obiettivo di formare un raggruppamento di "Sinistra giovane". Non rieletto deputato dal 1865, De Sanctis si concentrò esclusivamente sugli studi critico-letterari. Nel 1871 fu chiamato a ricoprire la cattedra di letteratura comparata presso l'università di Napoli, dove tenne quattro corsi su Manzoni (1872), sulla scuola cattolico-liberale (1872-73), su Mazzini e la scuola democratica (1873- 74), su Leopardi (1875-76). Dopo la caduta della Destra storica (1876) De Sanctis tornò alla politica attiva e fu nuovamente ministro dell'Istruzione (1878 e 1879-81). Poi, seriamente ammalato agli occhi, si ritirò a Napoli, dove morì. La "Storia della letteratura italiana" Nel suo capolavoro critico, la Storia della letteratura italiana (1870-71), De Sanctis ricostruisce il grande sfondo storico etico-civile dal quale sorsero i capolavori della letteratura italiana. Le linee di tale svolgimento sono il prodotto di variabili storiche diverse, che non escludono decadenza o regresso. I primi capitoli della Storia trattano il problema delle origini della letteratura italiana che, favorita per un verso dalla presenza d'importanti centri culturali e di un ceto colto, era però ostacolata dalla persistente divisione linguistica tra la lingua dotta latina e la molteplicità dei dialetti. Dante rappresentò in questo quadro il culmine d'un duplice processo di sviluppo, letterario e filosofico-scientifico: la Divina commedia "è il mondo universale del medio evo realizzato nell'arte". Ma più di lui influì sulle generazioni successive Petrarca, che aprì la via all'umanesimo e al Rinascimento. Come Petrarca neppure Boccaccio fu, secondo De Sanctis, uomo veramente moderno, poiché non seppe andar oltre la cinica e beffarda rappresentazione del mondo medievale ormai morto. Nel Quattrocento, Ariosto suggellò con il suo poema l'evasione nella pura immaginazione letteraria. Il solo, vero uomo moderno fu, per De Sanctis, Machiavelli, scopritore della scienza politica e primo sostenitore in Italia dell'idea nazionale. Così, mentre da Tasso a Marino si prospetta la crisi di valori dell'Italia, sull'altro versante gli isolati e i perseguitati (da G. Bruno a G. Vico) preparano la rinascita nazionale, che si annuncia, pur contraddittoriamente, in Goldoni, Alfieri e Foscolo, per compiersi con Manzoni e Leopardi, nei quali essa si accompagna a vera grandezza di creazione letteraria. Le altre opere Tra gli altri studi di De Sanctis spicca il Saggio critico sul Petrarca (1869), mentre fra i lavori inclusi nei Saggi critici (1866) e nei Nuovi saggi critici (1869) vanno menzionati quelli assai noti su episodi della Divina commedia, su L'uomo del Guicciardini, su Schopenhauer e Leopardi e inoltre Il darwinismo nell'arte e quelli su E. Zola. Nel discorso La scienza e la vita (1872) egli prese posizione nei riguardi dell'ormai dilagante positivismo, sostenendo la necessità di non separare la scienza dalla vita per ricostruire il tessuto morale dell'individuo e della nazione. Finissimo e vivacissimo narratore si rivelò infine nel frammento autobiografico La giovinezza (1889) e nelle 15 lettere che costituiscono il resoconto Un viaggio elettorale (1876). L'estetica e la critica letteraria La concezione estetica di De Sanctis, pur risentendo dell'influsso di Hegel, ha carattere di forte originalità. L'arte, benché non possa essere considerata avulsa dalla viva storia morale e politica della nazione di cui è parte, è per lui autonoma, non destinata a cedere il passo a una sfera superiore dello spirito, la filosofia. L'opera d'arte non si può ridurre né a un contenuto di pensiero astratto o di fatti concreti, né alla semplice forma; essa è creazione spontanea e fantastica dell'artista, forma che include in sé il contenuto, entità unica, irripetibile e compiuta. L'artista, però, non la crea dal nulla, ma solo elaborando un "argomento" dato, il quale impone a sua volta una "situazione" che genera l'ossatura dell'opera e, indirettamente, il suo stile. Al tempo stesso l'artista non è un uomo isolato ed estraneo alla società, ma risente entro il proprio animo delle condizioni e degli eventi della nazione a cui appartiene, nonché della sua tradizione artistica. Queste sedimentazioni della realtà esterna mettono in moto la fantasia dell'artista e la spingono a "rappresentare", senza peraltro che vi sia una relazione meccanica di causa-effetto tra realtà e creazione artistica.