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Annamaria Cascetta: Il tragico e l’umorismo.

Introduzione: il sapere la forma della drammaturgia di


Beckett.
Beckett rappresenta l’esistenza, che si manifesta nella pena, nel
decadimento, in quella condizione che tradizionalmente si riconduce al
tragico.rappresenta il con ne fra l’esserci e non esserci, il linguaggio del
teatro di Beckett riconvoca e ricapitola un’intera civiltà, nella tensione tra due
impulsi contrastanti: accumulare e conservare, cancellare e levare. A questa
riconvocazione Beckett applica la lente dello humour, che demolisce con
ironia e si inchina con pietà su tutti i percorsi che l’uomo ha imboccato.

Lo humour è un nodo centrale per capire e guadagnare il sapere della


drammaturgia Beckettiana.

Perché ride Beckett?

1)Ride per scaricare la tensione di una situazione inevitabile in cui l’uomo è


collocato e di cui a conoscenza.

2) ride per demolire le illusioni, le maschere, i veli, le incrostazioni che


gravano nella testa dell’uomo

3) ride per sgombrare il campo e assumere un diverso punto di vista, per


saltare di piano.

Il riso colpisce e liquida (cancella) la tradizione della tragedia, la sua pretesa


eroica, la morte sacri cale, l’autodistruzione ecc...

Ma colpisce alla ne ogni parola, dalla conversazione banale al discorso


sapiente, le mitologie, i generi letterari, dalla critica alla narrativa alla tragedia
alla commedia alla conversazione quotidiana al dialogo di coppia, il bello
stile, insomma ogni formulazione di pensiero.lo humour sbriciola la
saturazione della parola. Il riso è il guadagno di uno sguardo che accetta
paci cato la nitezza, sapendo che l’assoluto è altro e ine abile, non
a errabile con il linguaggio. Si tratta di un riso che a onda in una tradizione
loso ca ma soprattutto teologica. (È il segno lasciato forse in parte da una
teologia protestante). Questo tipo di humour svaluta il signi cato e l’utilità
dell’agitazione dell’uomo, del suo fare e del suo dire. Gli sforzi dell’uomo
sono ridicoli , se posti in relazione con la sua e ettività possibilità di salvarsi,
di modi care qualcosa della sua condizione.

Lo humour attraversa tutta la prima fase della drammaturgia beckettiano per


smorzarsi nelle opere brevi, quando emerge poi un altro atteggiamento. Lo
humour sgombrato il campo, aperto alla via negativa che si fa largo
attraverso una progressiva espansione del silenzio, il lasciarsi andare alla
ricerca e all’esperienza di un mistico annullamento, senza più pathos, senza
enfasi retorica. L’uomo dovrebbe accettare il suo limite senza farne una
tragedia in cui accanirsi.

Il percorso beckettiano si sposta quindi sulla verità del silenzio e dell’ascolto,


Che lo porta alla ricerca di una relazione con l’altro e con l’oltre, alimentata
dall’educazione, dalle letture della Bibbia e alla lettura di Dante.

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La Bibbia in particolare entra nella drammaturgia di Beckett come un
modello è una suggestione per la costruzione del testo per parallelismi,
simmetrie, iterazioni, dinamica ritmica, legata alla voce, adatta ad una lingua
destinata ad essere detta oralmente, entra come serbatoio di immagini e di
archetipi.

Lo humour quindi apre la via, esso può essere lo stadio pre pre religioso, non
è certo ancora la sua pienezza. Infatti l’esistenza che gli mette in scena sono
in una situazione di stallo, in un’attesa di risalita, riecheggiano l’impotenza
dell’uomo che non sa e non può.

Il dispositivo drammaturgico si trasforma, cambiando radicalmente le


convenzioni che hanno contraddistinto la tradizione del dramma e della
tragedia.nella linea di una poetica del levare, il testo diventa una
sceneggiatura, una partitura ritmica sempre più scarna ed essenziale,
centrata sul segno del corpo, della voce, del suono, del ritmo, della luce, Del
buio, sulle modulazioni di un movimento rapido e ora estenuatamente lento.

Non ci si concentra più su discorsi e concetti, ma su gesti suoni e parole


secondo una struttura che molti testi viene paragonata alla musica.

Nel teatro si apre una nuova dimensione in cui non è facile stare, Beckett
dice di non di non voler istruire o migliorare o impedire alle persone di
annoiarsi ma pensa solo a te le nuove dimensioni, sapendo che non ci sono
soluzioni facili.

Il problema della lologia teatrale assume in Beckett una speciale rilevanza,


la sempre maggiore attenzione allo speci co linguaggio della scena indusse
Beckett ad un sempre più diretto coinvolgimento nel processo di creazione
teatrale, e questo provocò una trasformazione della sua scrittura per la
scena è una rilettura o ripensamento che produsse talvolta una nale
riscrittura di opere precedenti.

Esistenze in attesa: En attendant Godot

Quando alla ne del 1952 Waiting for Godot fu pubblicato nell’Editions de


Minuit, E quando il testo andò in scena nel 1953, l’evento segna una svolta
radicale nella storia della drammaturgia. Dato che in Francia no a quel
momento la drammaturgia del primo dopo guerra non si discostava
formalmente dagli schemi del naturalismo e della letteratura della tragedia e
del melodramma.

Ma questo non spaventò Beckett, Che aveva già esercitato nella narrativa la
sua operazione di radicale rottura, reduce dallo sforzo della scrittura
narrativa della trilogia in francese (Molloy, Malone meurt, L’innommable) La
cui tecnica aveva già ribaltato tutte le convenzioni del racconto, respingendo
la linearità e la conseguenzialità narrativa, approdando al silenzio.

Emerge in Waiting for Godot La netta discontinuità rispetto alla tradizione


drammaturgica, e la portata in augurale che, seppure avvertita nei decenni
immediatamente successivi dei più sensibili, solo oggi siamo in grado di
cogliere di assorbire culturalmente. Un testo che, prepara al futuro con la
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multidimensionali ta e con la sua scrittura sceneggiatura che fa perno sul
corpo, pur fragile e ferito, con la sua idea di teatro come esperienza intensa
e ricca di humour.

In questo testo, è l’attesa l’immagine guida, il centro di focalizzazione Che


piega a sé la forma dell’opera, determinando l’originale declinazione di tutti
gli elementi strutturali del testo. (In totale discontinuità con la tradizione
drammaturgica) questa attesa è infatti particolare e drammaturgicamente
carica di nuove conseguenze, in quanto non ha i connotati della tensione,
ma ha i connotati dello stallo. È un’attesa che tiene il campo intero, macina
appiattendoli, tutti i tipi di azione e di discorso vani cando ogni sviluppo
dell’intreccio.

Si può riassumere nella metafora dell’attesa del salvatore, tema annunciato


nella genesi, l’attesa si collega alla speranza di salvezza, in un itinerario che
la sposa dal piano materiale e collettivo, al piano interiore e personale. É
sullo sfondo di questa reminiscenza, più vivida in Vladimiro mentre più vaga
in Estragone, che si consuma la loro attesa di chi deve venire. Quale che sia
l’interpretazione, induce una polverizzazione dell’azione e della parola che è
una polverizzazione della struttura consolidata del dramma. Se a dominare è
l’immagine dell’attesa, i motivi della narrazione drammaturgica, delle
situazioni e avvenimenti, dei gesti e delle parole, si snodano in un usso
indi erente e irrilevante, nell’uniforme evolversi di azioni e di discorsi senza
anticipazioni, riprese, posticipazione, avvallamenti, accelerazioni ecc... il loro
andamento è monotono e ripetuto e si può schematizzare come segue:

Primo atto: È sera, Estragon tenta di in larsi una scarpa, Vladimir, parlando
tra se, entra. Dopo una breve separazione, i due parlano, toccando una serie
di argomenti, come ad esempio il loro stare insieme e il loro disagio, il
ricordo vago delle storie bibliche della salvezza, gli incubi, il proposito
irrealizzabile di impiccarsi ecc... Intanto si tolgono e mettono la scarpa o il
cappello, guadandoci all’interno ripetutamente. Ma il fulcro della situazione è
che stanno aspettando un certo Godot con cui hanno un appuntamento.
Entra Pozzo, inizialmente sca,boato per Godot, padrone delle terre in cui
Estragon e Vladimir stanno aspettando. Con lui c’è Lucky, severo e un po’
bu one, tirato da una corda e carico di fardelli. V e E spiegano la loro attesa,
Pozzo si accomoda comandando a bacchetta L, fuma la pipa e poi si
esibisce in una lirica sul crepuscolo. Vladimir e Estragon ingannano l’attesa
con altri discorsi: informandosi e indignandosi per la penosa situazione di L,
che P ribalta giusti candosi. L piange, E cerca di soccorrerlo a riceve un
calcio. Poi P inventerà un modo per ingannare l’attesa : l’interpretazione
della danza di L e del Lucky pensiero (che nisce con una caduta), L viene
aiutato da E e V, si ricarica dei suoi bagaglieri riprende la marcia trascinato
cion una corda da P, che si accorge di aver perso l’orologio. V e E sono
rimasti nuovamente soli, commentando l’accaduto, entra poi un ragazzo
messaggero di Godot, che manda a dire che Godot non verrà, ma verrà
domani. Il messaggero descrive Godot, come padre generoso e severo
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insieme, padrone di pecore e capre. Intanto viene la notte. E si toglie le
scarpe e va verso il proscenio, ria ora in lui l’idea del suicidio e l’alternativa
della solitudine forse migliore rispetto all’ormai corroso rapporto di coppia. E
decide che non ne vale più la pena. Decidono di andar via ma non si
muovono.

Secondo atto: il giorno dopo alla stessa ora, V entra camminando avanti e
indietro, cantando la canzone del cane ucciso. Entra E. I due si ritrovano e
continuano ad aspettare (sembra tornare spesso l’idea di andarsene).
L’attesa è riempita da dialoghi simili a quelli del primo atto. V ed E
chiacchierano: parlano di varie cose, di quello che è successo il giorno
precedente, parlano dello stare insieme, della violenza subita?, di scarpe di
cappelli, di salvezza e di pietà di Dio. Alla conversazione si alternano micro
azioni: gurdarsi le scarpe, appisolarsi, nascondersi dietro l’albero, scambiarsi
i cappelli, imitare P ed L, fare esercizi ginnici. P ed L entrano nuovamente in
maniera inaspettata, e ancora legati da una corda, ma più corta della
precedente. P è diventato ceco, l’arresto improvviso di L lo fa inciampare e
cadono. P chiede aiuto ma E e V non lo aiutano perché occupati nei loro
ragionamenti : se lui è P o Godot, i pro o i contro di aiutarli, l’attesa di Godot,
il fatto che si annoiano, nché P o re del denaro a V ed E e quindi decidono
di aiutarlo. Nel tentare di sollevarlo V cade e con lui anche E. P si trascina
facendo gesti da cieco e rispondendo a chi lo chiama ora Abele ora Caino. I
due lo aiutano a rialzarsi. L’attesa si riempie in gesti speculari a quelli del
primo atto. Successivamente i due legati lasciano la scena.

Si sente il rumore di un’altra caduta. Di nuovo soli E e V ingannano l’attesa


nei soliti modi. Lo stesso ragazzo del primo atto,o forse il fratello, e tra ad
annunciare che Godot non arriverà oggi, ma domani e poi scappa. La notte
scende, E si sveglia, i due riprendono a conversare attendendo Godot,
prendono in considerazione l’idea di impicciarsi, fanno qualche tentativo con
la cinghia ma si rompe e ci rinunciano. Lo faranno domani, a meno che non
venga il ragazzo a salvarsi. Decidono di andare ma non si muovono.

Quantitativamente è la parola dominare, i gesti in cui l’azione si risolve


minuziosamente indicati dalle didascalie, si scollano dalla parola spesso la
contraddicono, si ripetono come ad esempio automatismi cliché, si bloccano
nella rinuncia e nell’impetenza. La loro tipologia non si discosta mai dal
piano di una elementare banalità e quotidianità. Il gesto fortemente
personalizzato, quello della decisione ultima ed eccezionale, come il partire o
il darsi la morte, non riesce a compiersi. Infatti siamo in un mondo in cui non
si crede che la cooperazione dell’azione dell’uomo possa più avere una
qualche e cacia in relazione con il risultato dell’attesa. L’immagine
dominante dell’attesa si traduce in uno spazio tempo caratterizzato dalla
sospensione.

Il luogo è sso: una strada di campagna con la sagoma di un albero spoglio


su cui nel secondo atto compare qualche foglia, con una pietra per sedersi e
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la luna che si alzerà. La vita si va ritirando da questo spazio dell’attesa, una
sorta di riferimento al purgatorio dantesco, ben noto Beckett, si potrebbe
appunto de nire purgatoriale, ma che nulla ha della certezza della
rigenerazione e del rinnovarsi della vita.

Ma è il tempo l’elemento drammaturgico di grande importanza nella


costruzione del testo, che costituisce in Waiting fo Godot l’elemento
fondamentale cui la gura dell’attesa si declina. In entrambi gli atti, il tempo
esterno è quello della sera, che anticipa n brusco calare della notte. Siamo in
un continuum monotono ed uniforme, una sorta di presente immobile,
sospeso, caratterizzato dai segni naturali dello scorrere del tempo, come la
luna che sale e l’albero che si copre di foglie, e che non si può misurare,
tanto che la perdita dell’orologio di Pozzo è un lapsus rivelatore, che può
dare la sensazione che il tempo si sia fermato. (Come dice anche Vladimir)

Il tempo interno cioè la durata, il tempo vissuto, con la presenza del passato,
attraverso la memoria, o la presenza del futuro, attraverso il progetto, è labile
ed incerto, corroso dall’oblio e del diminuire dell’energia vitale. Ad esempio i
ricordi di Vladimir, i ricordi rievocati da Pozzo, sono vaghi. Il tempo è illusorio
è insensato accanirvisi. (Come dice Pozzo, quando gli altri personaggi
continuano a parlare del tempo)

Quello che si deve fare è ‘passer le temps’. L’espressione è ripetuta più volte
assume il ruolo di un chiave: passare il tempo ma anche perdersi oltre il
tempo. Durante la chiacchierata si fa largo il problema e l’ossessione, cioè
quella di passare il tempo, ma anche di superarlo. Beckett ce lo fa percepire
con delle pause, con soste di silenzio e di ascolto, con ritmi delle battute e
degli intervalli. (Determinazione della sceneggiatura volta a dargli il senso)

Precipitano tutti i grandi schemi con cui l cultura occidentale ha interpretato


il tempo. I segmenti di vita ce ritornano (simmetrici) in waiting for Godot,
richiamano l’idea ciclica antica del tempo, che si infrange di fronte
all’imporbabilità di un cosmo ordinato che assegna all’uomo una parte già
scritta.

La traiettoria intrapresa nel riepilogo tormentoso della storia dell’uomo e


dello sviluppo della sua cultura intellettuale e sica, che viene proposto nel
monologo di Lucky e l’attesa dell’appuntamento, richiama la concezione
ebraico-critstiana del tempo. Movimento unidirezionale, irreversibile , una
sequenza temporale in cui gli eventi avvengono in una continua novità e in
crescendo, gli incontri parziali con Dio che pre gurano l’incontro nale,
tempo dell’uomo che si intreccia l tempo di Dio i quale entra nella storia e
conferirsce una direzione, tempo che arriva alla sua pienezza in Cristo.

La monotona uniformità del tempo nella landa dimenticata, in cui si trovano i


personaggi, guardar data senza partecipazione dalla luna che ogni sera sale
indi erente, l’intercambiabiltà dei momenti, sbriciola questo schema ebraico-
cristiano.

Unaltro schema temporale è quello inaugurato da Agostino: tempo


totalmente interiorizzato, tempo psicologico, tempo del singolo che si rivela
nell’immobile in nità. In questa concezione, il tempo fa tutt’uno con la
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coscienza. Tuttavia, la concezione del tempo in Waiting for Godot polverizza
tutte queste rappresentazioni consolidate nella tradizione. Il testo di Beckett
invoca con forte rilievo la gura del tempo, ma non risolve il problema su
cosa sia il tempo. (L’uomo non sa e non può)

L’analisi dei due atti rivela come obiettivo fondamentale (fuoco) quello
dell’attesa di Godot, costate in Vladimir, perso di vista e più volte richiamato
in Estragon.

Esso (Godot) sembra identi carsi col raggiungimento di una condizione di


benessere.

Nel frattempo che i personaggi attendono, si susseguono delle azioni/


obiettivi: come quello di alleviare il dolore delle scarpe strette, calmare la
fame, togliere dal cappello qualcosa che da fastidio,c guardarsi dalle
minacce esterne , proteggendosi reciprocamente ecc... All’obiettivo
dell’attesa sembra possa essere coinvoto anche Pozzo, ma per lui non sarà
mai l’obiettivo principale, per lui sarà solo una curiosità, conoscere genere
nuova, il suo obiettivo è wquello di mercanteggiare (vendere Lucky) e in una
seconda fase, dopo la caduta, riprendere la marcia. L’obiettivo di Lucky è
invece indecifrabile, e non sembra essere compatibile con quello che tenta di
attribuirgli Pozzo: cioè quello di farsi bello, mostrarsi bravo per convincere
Pozzo di non venderlo. Ma nessun’altro obiettivo diverso da quello
dell’attesa sarà preso in considerazione da V e E, forse per paura, per
impotenza, nè l’andar via, nè il farla nita. Nessuno può aiutare l’altro nel
raggiungimento dell’obiettivo, se non sostenendosi reciprocamente. L’unico
a cuisi può chiedere sostengo è il messaggero, l’aiuto sarà quello di dirgli
che li ha visti, attirando l’attenzione di un Signore lontano e distratto.

I personaggi sono funzione di una stessa attesa, i due che attendono (l’uomo
qualunque), i due che interferiscono nell’attesa, e colui che sostiene questa
attesa, sono personaggi dall’identità incerta, individui prive di un’individualità
speci ca, quindi sostituibili, ritmi del rapportarsi all’attesa, ripetibili in tutti i
tempi. L’incertezza dell’identità inizia dal nome: i nomi, con assonanze ce li
riconducono a di erenti ceppi etnici, russo, spagnolo, italiano, francese,
inglese o appaiono nel testo solo con il diminutivo, o possono essere confusi
e rimpiazzati con altri nomi. Anche l’oggetto dell’attesa può avere un nome
incerto: Godot, Godet, Godin.

Ciascuno di loro ha un doppio a cui è legato. Le loro relazioni, di dipendenza


sono simmetriche e nel primo e secondo atto speculari. Due facce di una
stessa specie, due modi di attesa uguali, e Vladimir ed Estragon vi
rimangono fedeli dall’inizio alla ne.

1) Estragon piegato su se stesso, sui suoi disagi, pigro, stanco morto,


smemorato, passivo, ancorato ad un livello elementare di bisogni,
esprime scetticismo ed ironia, insinua il dubbio, labile, emmatico, ama
svagarsi, vorrebbe andarsene, rinunciare. Di Cristo rievoca che andò
scalzo e fu croci sso, identi candosi con la sua povertà e la sua
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so erenza. Incline all’idea del suicidio, aggredisce il ragazzo
(messaggero) all ne del primo atto, nel secondo lo ignora. Non cerca
riparo dal gelo della notte, cioè dalla morte. Ed è lui che provvede alla
cinghia per tentare il suicidio.

2) Complementare, Vladimir è dinamico, iperattivo,loquace, losofeggia,


racconta, domina la paura che anche lui ha e il disagio che il suo corpo
invecchiato sente. Vigile, attento, percepisce in anticipo il rumore di
qualcuno che sta arrivando, sostiene l’altro nutrendolo, prendendosi cura
di lui, commenta, ricorda con precisione, mette insieme gli eventi per
trovare un lo conduttore in quello che accade. Di cristo rievoca che
salvò uno dei due ladroni. Non con molta voglia segue il compare nella
trovata di suicidarsi, ma convinto del fatto che verrano salvati.

3) Pozzo, signore mondano è il rimpiazzo di Godot è violento ed arrogante,


domina l’altro con sadismo, narcisista ed esibizionista, cerca solo
l’applauso.

4) Il suo doppio è un oggetto strano e misterioso, Lucky, che è


completamente succube di Pozzo: remissivo e masochista, si lascia
brutalizzare, anche se con i deboli sa essere violento, ha dei talenti,
tecniche e può esibirsi a comando in qualsiasi exploit un misto tra folle e
artista, intellettuale e bu one. Il suo punto d’arrivo è sgon arsi,
a osciarsi a terra, o procedere incerto e sonnambulo.

5) Il ragazzo, il messaggero, tiene attiva l’attesa con la sua riluttanza,


reticenza e i suoi annunci, il suo raccontare di un padre pastore dalla
barba bianca e di un fratello guardiano delle pecore.

Durante l’attesa, nella conversazione si aprono i temi più disparati:

I temi della vita, argomenti relativi alle relazioni con gli altri, temi religiosi e
morali, considerazioni sul proprio interesse e tornaconto, temi esistenziali,
loso ci, contenuti umoristici, considerazioni sull’ambiente. Temi a rontati
senza un ordine o una sorta di gerarchia, quindi utilizzati per ‘Passer le
temps’ che è appunto il loro scopo. Ma come in questa espressione si
intuisce l’altro signi cato e il misterioso, inquietante obiettivo di passare,
oltre il tempo, così nei vari temi si aprono dei tagli dai quali a orano, le
ossessioni (come lapsus): la morte, la salvezza personale, la so erenza, il
senso del tempo. A coprire tutto c’è ovviamente il tema dell’attesa di Godot.

I temi per Pozzo sono invece i suoi averi, i suoi piaceri, il suo passato ecc...

Ma è in Lucky che Beckett centra la vicenda dei temi della parola umana.

In due scene, i temi dell’uomo toccano il loro vertice nella teologia, nella
scienza, nella loso a della storia, che attraversano il monologo di Lucky.
Dopo questo Lucky sarà muto, a terra, assopito e barcollante.

La dinamica strutturale del testo si unisce con l’immagine chiave dell’attesa,


la struttura è circolare, fatta di due atti (segmenti uguali) in cui, possiamo
distinguere le cinque scene simmetriche (considerano le uscite e le entrate
dei personaggi) : un duetto, un quartetto, un duetto, un terzetto e un duetto.
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Non c’è un escalation, un progresso, ma c’è una ripetizion. L’andamento è
decrescente, si ha un anticlimax.

Il dispositivo del dramma tradizionale ha in Beckett il suo punto di


demolizione, con Waiting for Godot, l’opera dell’attesa-stallo, dove la parola
prevale sull’azione, micro azioni elementari non lasciano spazio ad azioni
eccezionali, i gesti ripetuti sono prescritti da didascalie. Alcuni degli
espedienti classici, come la suspance o il coup de theatre (colpo di scena),
sono utilizzati per essere smontati.

Un breve istante di suspance lo troviamo nella prima scena del primo atto
(Vladimir crede di sentire qualcosa). Mentre l’entrata di Pozzo e Lucky, lo
stacco sul monologo di Lucky della seconda scena la sua interruzione, il
ragazzo che arriva, sono colpi di scena. La ripetizione e la torsione comica
con cui vengono ripetute le stesse scene nel secondo atto, smontano il
colpo di scena. Con Waiting for Godot, va in pezzi la piece ben faite (opera
ben fatta), che viene sostituito con il piano di ri essione e l’interrogativo
antropologico intorno a cui Beckett vuole portate il lettore e il suo publico.

Beckett assume il tipo più comune di discorso, la conversazione, il dialogo


non sarà mai un vero e proprio dialogo, ne fra i due compari, ne tra Pozzo e
Lucky, ne fra Vladimir e Graçon. Il dialogo è cosparso dal silenzio e da
momenti ri essivi (soliloqui). Non c’è una necessità psicologica,
informazionale del parlare, la parola è dettata dalla situazione di attesa e
dall’urgenza i riempire il vuoto della scena. Sono infrante le regole base, cioè
quelle di avere qualcosa da dire cooperare o interagire, alternarsi nel dialogo,
si hanno spesso interruzioni frasi brevi. (Vladimir lancia un tema, Estragon lo
riprende debolmente giusto per interagire)Quando la conversazione si
blocca, si ritorna all’obiettivo “aspettiamo Godot”. Pause e silenzi che
avranno sempre più sviluppo nel corso dello sviluppo della drammaturgia
beckettiana, si stendono nella conversazione.

Il linguaggio è continuamente minacciato dalla smemoratezza. Il contenuto è


formato dall’insieme di spezzoni di discorsi. Beckett smaschera il
deterioramento del linguaggio e l’inutilità della parola (anticipando una
tendenza che avrà molta importanza nei decenni successivi).

Si a rontano i più diversi tipi di discorsi: monologhi interiori, ragionamenti


loso ci, formule di saluto,, di accoglienza, normali discorsi di coppia ecc...

Ma a prevalere è un atteggiamento citazionista, che indica la distanza, il


disimpegno rispetto a ciò che si dice.

A dominare è quindi la funzione fatica alla quali tutti i discorsi possono


essere ricondotti. La funzione fatica è il puro mantenimento di un labile
contatto, come ad esempio la serie di interrogazioni. L’atto linguistico
fondamentale è l’interrogazione, essa può essere vera o retorica, fatta di
piccole domande informative, che si mescolano ai grandi dubbi messi in
campo da Vladimir, con l’ambigiutà fra il buttare fuori gli inquietanti
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interrogativi che la quotidianità rimuove. La domanda è un meccanismo
complesso, di cui la drammaturgia di Beckett fa un uso ricco di
signi cazione. (Es: domanda Estragon: perché non posi i bagagli?)

Stili, registri e codici si mescolano, nel plurilinguismo si intreccia la lingua


bassa, con la lingua alta, le citazioni dello bello stile, qualche latinismo ecc...
il linguaggio perde la sua capacità di signi care e di agire sul contesto,
modi candolo. I toni, i ritmi si mescolano: pacati e urlati, frenetici e stentati.

Vanno analizzati altri due aspetti dello statuto della parola, nella prospettiva
dell’attesa (immagine-guida): la metateatralità e i silenzi. La metateatralità
inchioda la vita alla catena di una rappresentazione a cui non c’è va d’uscita,
in attesa di una venuta. (Espedienti con cui i personaggi dichiarano di essere
in scena, come gli ammiccamenti al pubblico di Vladimir ed Estragon ecc-
probabilmente i personaggi sono costruiti su un modello teatrale)

Mentre con i silenzi entriamo nella sezione della virtualità scenica della
parola, in presa diretta con le abilita attori ali, che la drammaturgia di Beckett
richiede in modo esplicito, nel gioco di entrata-uscita dal personaggio, nella
gamma del gesto che va dalla gag alla danza, nel trattamento del gesto e
della voce come artitura ritmica, musicale. La pausa o il silenzio possono
evidenziare un tema chiave. La pausa segna la ri essione inquietante, il
passaggio che non si capisce, un pensiero che si insinua e che si vorrebbe
rimuovere. La pausa segnala il salto di livello, dalla conversazione banale al
racconto mitico religioso dal racconto allo stupore della ri essione
esistenziale, segnala ambiguità. Sul silenzio e l’immobilità si chiude l’attesa
della giornata,a acciandosi sulla note, sulla morte e il mistero; le pause
segnalano l’irruzione del dubbio nell’attesa. Le pause e i silenzi
contribuiscono lentamente a consumare, sgretolare la parola, annunciando
l’approdo al silenzio dell’ultima drammaturgia beckettiana.

Anche la trama delle didascalie è assai tta in Waiting for Godot, attraverso
codici inerenti alla sfera visiva e testuale, introducono i segni che si
intrecciano con la parola nel formare il tessuto testuale. La linea testuale
rivela quello che le parole nascondono. Fra le didascalie, soprattuto quelle
inerenti al costume, al gesto e alla voce permettono di cogliere un’altra
caratteristica della drammaturgia di Beckett: il rilievo della dimensione
corporea. Beckett mette in scena un corpo morti cato dalla menomazione,
dall’età, che è tuttavia un corpo valorizzato, guardato senza cinismoe
sarcasmo, con humour. Il corpo, resta il livello reale della comunicazione tra
gli uomini. La corporeità si dispiega in una gamma di espressività (attrarsi,
respingersi rapporti coppia, atti dominio e sottomissione). Il corpo dei 4 si
misura nella performance oratoria, nel mimo, nella danza e si irrigidisce nella
nale, stupefatta immobilità. (Drammaturgia esigente reso le possibilità
dell’autore, addestrato per la recitazione della tradizione classica, ma anche
quella del teatro minore).

Come abbiamo già detto la drammaturgia di Beckett rinnova radicalmente il


dispositivo tradizionale del dramma. Questo è fondato sull’ intreccio, lLa
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messa in scena di un’azione che progredisce, fondato su un personaggio a
tutto tondo, che pensa, vuole, decide, agisce, interagisce, entra in con itto,
si realizza nell’azione e nel dialogo, un soggetto forte. Coerente con
un’antropologia loso ca che si fonda su un’intuizione tragicomica
dell’esistenza e porta ad una svalutazione “umoristica” dell’azione dell’uomo
e dell’e cacia reale della sua parola, Beckett costituisce un rigoroso
congegno che smonta gli elementi del tradizionale dispositivo drammatico e
li sostituisce con una struttura originale, che è già marcata in Waiting for
Godot, e continuerà nelle opere successive.

Il personaggio, si nega nell’incertezza dell’identità, nel gioco dei doppi e


delle coppie, nell’impotenza, nell’approdo dell’afasia (incapacità di
esprimersi mediante la parola o la scrittura) E dell’immobilità.

Il dialogo è sostituito da uno pseudo dialogo, il dialogo diventa un monologo,


si degrada in chiacchierata, approda nel silenzio. Il movimento prelude alla
nale immobilità. Il dramma va verso il vuoto, il silenzio e l’immobilità in
questo testo beckettiano, sostenuto anche dal procedimento di del levare,
dalla scelta minimalista dei materiali drammatici, dalla focalizzazione su
pochi elementi percepibili.

La drammaturgia di Beckett rivela l’intuizione di un teatro che avrebbe poi


attecchito dei grandi maestri innovatori della scena degli anni successivi, si
prospetta un teatro come linguaggio concreto del gesto e del corpo. È un
teatro della parola, della crudeltà, un teatro povero, messa in scena della
nuda concretezza di corpi oggetti sonorità e silenzi.

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