Sei sulla pagina 1di 60

LE SATIRE

Satire I 1 295

LIBRO PRIMO

R. Hansuk, « Wien. Stud.» 55, 1937, 106-118; J. MARTIN, « Wiirzb. Jahrbb.


Altertumswiss. » 2, 1947, 152-7; H. HerteR, « Rhein. Mus.» 94, 1951, 1-42; E.
FraeNkeL 1957, 90-97; D. ArmsrrONG, « Arion» 3.2, 1964, 86-96; H. DREXLER,
C.A,
«Romanitas » 6-7, 1965, 265-275; ].J. BopoH, « Ant. Class. » 39, 1970, 164-7;
in Antidosis. Festschrift Kraus, Wien-Kéln-Graz 1972, 297-305; A. Mr
van Rooy
nArINI, La satira 1,1, Bologna 1977; E. KracGERUD, « Symb. Osl. » 53, 1978, 133-
164; M. Dyson, « Class. Quart. » n.s. 30, 1980, 133-9; T.K. Hussarp, « Latomus »
40, 1981, 305-321; LIM. Le M. Du Quesnay, in Woodman-West, Poetry and Politics
in the Age of Augustus, Cambridge 1984, 19-58.

della
Nell’esordio Orazio chiede a Mecenate come mai nessuno si accontenti
la sorte altrui; è certo, tuttavia, che
propria condizione di vita e tutti, invece, invidino
con quella di un altro,
se un dio consentisse ad ogni uomo di scambiare la propria sorte
nessuno accetterebbe (vv. 1-22). A sentire gli uomini, tutti affrontano fatiche e pericoli
per procurarsi il necessario a una vecchiaia tranquilla, simili alla formica che accumula
d'estate quanto le sarà necessario durante la cattiva stagione: ma almeno la formica
23-
pena d'estate e gode d’inverno, mentre gli uomini avidi non s’atrestano mai (vv.
40). A_ partire da questo momento l’avaro viene direttamente coinvolto in un dialogo
che gusto
serrato, che lo vede in chiara difficoltà di fronte alle obiezioni di Orazio:
poi, l’avaro
c'è, gli si chiede, ad accumulare oro, se l’avarizia induce a non toccarlo? Se,
defi-
si ammala, chi mai sarà disposto ad assisterlo con animo grato (vv. 41-91)? In
tuttavia è necessari o mettervi un
nitiva, se il desiderio di arricchirsi non è un male,
straricco, vestiva come un
limite: altrimenti si rischia di fare la fine di Ummidio che,
non significa
pezzente; alla fine, però, fu fatto a pezzi da una liberta (vv. 92-100). Ciò
gli estremi
che si debba vivere dissipando il denaro, perché esiste un giusto mezzo fra
ritorna al punto di partenza e riprende la tema-
(vv. 101-7). Nella conclusione Orazio
tica dell'incontentabilità umana: ognuno è insoddisfatto della propria sorte e guarda
Ma è giunto
con invidia chi ha avuto una migliore condizione di vita (vv. 108-119).
sac-
il momento di metter fine al discorso; altrimenti si potrà accusare Orazio di aver
cheggiato le cassette di rotoli del logorroico Crispino (vv. 120-1).
Satire I 1, 1-3 297
296 Orazio

senza d'immagini vive e all’uso di uno stile fortemente espressivo, che trova la sua
nella prassi
di fissare la cronologia della satira: linfa nei modi e nelle cadenze del linguaggio popolare. L'elemento più rilevante del
Mancano elementi che permettano so quel lo che viene
imento di una raccolta è spes discorso poetico è costituito dalla collocazione, nei punti strategici della satira, di una
degli scrittori antichi il primo compon ro valo re pro-
però, esso si appropria di un chia serie di fabulae (cfr. la presenza del termine nei vv. 70 e 95), che non costituiscono
concepito per ultimo; in questo caso, saranno diss eminati
re € anticipare motivi che, poi, ornamentale, ma s'inseriscono intimamente nel tessuto
grammatico e finisce per riassume a di Orazio, in un puro e semplice elemento
tutto questo, però, nella prima satir del discorso: alla vivace descrizione di Giove nelle vesti di capocomico (vv. 15-19)
nel corso della raccolta. Niente di altre satire del I
sono poch i i topoi del gene re e scarsi i punti di contatto con le tengono dietro le storie della provvida formica che accumula d’inverno (vv. 33-38)
cui afferma che era
ragione Fraenkel 1957, 96 quando quella dell’avaro ateniese assimilato a Tantalo (vv. 64-67) e la tragicomica vicenda
libro. Tuttavia ha probabilmente un ideal e manifesto
e volgare, a fare di questa satira di Ummidio. E, oltre alle storie, una folla di personaggi realisticamente tratteggiat
i:
lo stile, familiare ma mai dimesso la sua capa-
innovava profondamente e a mostrare i maestri che danno ai bambini dolcetti a forma di lettere per insegnare l’alfabeto lo
di un genere letterario che Orazio m | quid vetat n.
24-25 quamquam ridentem dicere veru schiavo onusto della reticella del pane, l’allenatore dell’asinello e poi Menio Nomen-
cità di «dire la verità ridendo » (vv. avidi di denaro
re la cond anna dell’ avari tia e la presentazione caricaturale degli tano, Tanai, il suocero di Visellio e, nell'immagine conclusiva, il cisposo Crispino
.
Inolt
prediletti dal nuovo regime. A tutte queste immagini la presenza del sermo pedester assicura una solida coerenza.
s'inseriva fra i motivi ideologici (soprat-
i difensori della coerenza oraziana
Nonostante non siano mancati valid 1879,
Moriz Haupt als academischer Lehre
r, Berl in vv. 1-3 qui fit-sequentis: l’apostrofe al destinatario del libro è inserita in una propo-
tutto Moriz Haupt, in C. Belger,
sizione interrogativa, in cui è enunciato il tema della satira: è come se la domanda
logico e l'an dame nto
1957, 91), l'assenza di un filo
265-6 e, sulla sua scia, Fraenkel eate dalla critica. La data
satira ampiamente sott olin venga formulata a Mecenate e a lui tocchi l’onere della risposta, che invece verrà
discontinuo so no caratteristiche della samente, però, un di- subito in argoment o (con qui fit ut, però
incontentabilità; improvvi da Orazio stesso. Il modo vivace d’entrare
tematica iniziale è quella dell’umana aver svolto
ad un nuovo argomento (v. 23). Dopo che è un modo frequente d’introdurre una discussione anche filosofica) e il sermo
scorsivo praeterea segna il passaggio il poeta si
e dell’avidità di accumulare denaro, pedester, che impronta di sé la satira oraziana, possono spiegare l’assenza delle con-
ampiamente il motivo dell’avarizia propria attività.
no resta tenacemente legato alla venzionali caratterizzazioni affettuose che accompagnano le apostrofi a Mecenate
volge a cercare i motivi per cui ognu cambiamenti:
ltorio costringe Orazio a repentini nella poesia lirica (sulle dediche a Mecenate cfr. Puelma 1949, 79 n. 1). L'esordio, co-
Un modo di procedere talmente desu ’uno all’altro
e, il giureconsulto nel pass aggi o dall munque, non è privo di una certa qual sostenutezza di stile (l’arcaismo qui per quomodo;
nella serie dei personaggi presi in esam del carattere di ri.
. Orazio stesso deve essersi acco rto l’apostrofe incipitaria prima della cesura e con due tempi forti; la collocazione
argomento è sostituito da un caupo conferirgli
dato che verso la conclusione cerca
di lievo del pronome nemo, che predispone già ad un'attesa che verrà frustrata; l’allitte-
disorganico del suo argomentare, nciare
ontento per eccellenza, ed è costrett
o ad annu razione in clausola nel v. 1, l’omeoptoto dederit obiecerit nel v. 2; l’iperbato "nemo Lu.
coerenza facendo dell’avaro il malc in-
(v. 108 illuc, unde abii, redeo). contentus vivat, che è destinato a produrre un’atmosfera di attesa e di sospensione
il suo ritorno al punto di partenza confluenza za
di Orazio è stata individuata nella torno al comportamento umano; il ritmo spondaico dei vv. 1 e 3). In tale ricercatez
La spiegazione del comportamento a. Ma per
sulla peptiporpla, la seconda sulla guap yupl stilistica ben s'inserisce lo zeugma, grazie al quale soggetto di laudet non è, come
di due fonti diatribiche, la prima aves se effet tuato (su questo esempio di zeugma si
e che già un'unica fonte diatribica vivat, nemo del v. 1, ma il suo contrario unusquisque
perché, si è obiettato, non ammetter Tele te
tronde sembra attestarlo un cont
esto di sofferma Wackernagel 1957, 312); l'opposizione tra vivat e laudet è sottolineata, oltre
la fusione delle due tematiche? D'al ilette da Ora- i
Boristene, cioè a una delle fonti pred che dall’asindeto avversativo, dall’omeoptoto apofonico (vivat laudet).
(p. 31 Hense), che risale a Bione di va esser e il concetto del-
a unire i due temi dove
zio. Tuttavia nella fonte diatribica e non corre dietro v. 2 ratio... fors: la ratio (da reor) è ‘ la libera scelta ’ di ognuno, mentre fors (da fero)
accontenta della propria sorte
l’autosufficienza del saggio, che si te col moti vo della è l'intervento cieco del caso: di conseguenza suonano particolarmente appropriati sia
sostituito questa tematica unifican
alle ricchezze. Orazio, invece, ha azione potr ebbe il verbo dare per la ratio sia il verbo obicere per la fors. Sia ratio sia fors sono forze attive
detto in generale, perché l'osserv
ricerca del giusto mezzo. E — sia ribiche: esso è che contrastano con la sors, usata nel v. 1 col valore passivo di ‘ condizione di vita’
esagerato l'influsso delle fonti diat
valere per tutte le satire — non va le filosofiche. data, non scelta.
è trascurabile l'apporto di altre scuo
indubbiamente rilevante, ma non ue, nella profondità
andranno ricercati, dunq v. 3 Contentus è chi vive soddisfatto e pago di ciò che possiede; il fatto che nessuno si
Gli aspetti positivi della satira non
<

dato atto d’esser


ni filosofiche. Anzi, a Orazio va trovi in tale condizione è causa del continuo laudare chi ha seguito diversa: laudare
e nella coerenza delle argomentazio grazi e alla pre-
di una noiosa controversia filosofica
riuscito a venir fuori dalle pastoie
299
Satire I 1, 4-11

Orazio
298
n valore la spossatezza del soldato era stata caratterizzata dai pesanti spondei, nelle parole del
a, co.
, .

e continuamente ’ e diversus indic


. ,
mercante al v. 7 i dattili danno l’idea della rapidità: non a caso, perché successivamente
‘ ‘ .

il valo re
.
etim olog ico di *.
citar
assume qui
parimenti etimologico, la scelta
della via opposta. l’immagine è quella dello scontro, che si risolve nello spazio breve di un’ora. A. con-
ferire rapidità all’argomentazione contribuisce quid enim, un espediente del dialogo
ipiorpta. Gli esempi
ribico viene condannata la uepy popolare grazie al quale chi parla s'interrompe e fa seguire immediatamente la risposta.
vv. 4-12 Secondo un topos diat del mercante
cont enta bili tà uma na coin volg ono, oltre alle attività del soldato, In un ritmo incalzante si susseguono lo scontro (concurritur) e le sue conseguenze.
d’in nel mondo antico)
ritenute fra le più dure erischiose Nella sorte del soldato, così come se la rappresenta il mercante, non c’è via di mezzo;
e del contadino (tradizionalmente ate a coppie: miles
del giureconsulto, e sono organizz l’aut indica che esistono solo due possibilità, una rapida morte o una vittoria apporta-
anche quella non convenzionale
— mercator, iuris legumque peritus — agricola. trice di gioia. L’antitesi è messa in evidenza dal chiasmo (cita mors — victoria laeta) e
ime dall’omoteleuto (cita... laeta), con cui vengono sottolineati i due termini estremi
makari smés del mercante ad oper op a del soldato esprcn
0 fort unat i merc ator es: il (anche per questo motivo entrambi gli aggettivi hanno funzione attributiva, non pre-
v.4 il concetto ella
a per la sua sorte. Fortunati riprende dicativa, come pensano Kiessling-Heinze 4); si noti anche la doppia allitterazione mo-
con efficacia l'invidia che egli prov cond izione di vita,
e una sce ita consapevole della Ì
mento ... mors, venit. .. victoria. In horae momento risulta evidente l’idea della rapi-
fors: il soldato non vuole ammetter unati mercatores)
di due parole quadrisillabiche (fort dità dell’azione, circoscritta nel breve giro di un’ora (momentum deriva da movimentum):
ma l’attribuisce al caso. Servendosi zza del vecchio
caratterizza con efficacia la spossate l’immagine acquista un rilievo particolare per la collocazione di horae alla fine del v. 7
e del grave ritmo spondaico Orazio del serviservizio
ta del
are: gravi s amnis allud e sia alla sua età av: anzata sia alla lunga dura e di momento all’inizio del verso successivo. Concurrere è verbo del linguaggio militare
milit solo in Virgilio,
o d’Orazio); il nesso ricompare che indica l'andare all’attacco; l’uso impersonale al presente è tipico della prosa storica
militare (dai 16 ai 20 anni al temp in cui gravi s indica
gravis detate, gravis devo € simili, (bell. Alex. 40, 1; Salt. Iug. 53, 2), ma compare anche in poesia (Vero. georg. 4, 78;
Aen. 9, 246, ma ben attestati sono
.

gravare sulle sue spall e l’in


,:
esor abile b-
pesa ntez za, tipic o di chi sent e Iuvenat. 15, 53). Cita mors è iunctura oraziana (cfr. anche carm. 2, 16, 29 e Nisbet-Hu
uno stato fisico di
'

bard 1978, 267) di origine omerica (Il. 1, 417).


trascorrere del tempo.
, vi . ,
. in fractus « 1 idea di ‘ rottu ra ‘,
5 fractus membra: osserva la Minarini 1977, 45 che eo vv. 9-10 La perifrasi che designa il giureconsulto (iuris legumque peritus) suona esage-
v.
a, è evidenziata dalla posizione centrale tra multo ratamente ufficiale e solenne in rapporto ad agricola (non a caso questi termini incor-
già suggerita fonicamente dalla parol il valore metaforico
pe la continuità delle nasali e niciano l’esametro): mentre il patronus si serviva della sua eloquenza per difendere i
membra allitteranti: fractus interrom ebbe, per la
è fr actus membra proprio chi dovr clienti, il giureconsulto forniva pareri in materia giuridica, in particolare per quanto
ne risulta potenziato ». Per di più qui
sua specifica funzione, frangere vires
del nemico. rimuardava l’esatta stipula di contratti. Ad attenuare la gravità del suo titolo ufficiale
iunge la scena che lo descrive mentre, senza alcun entusiasmo, è costretto a dispensare
spondaico, Egli
è ugualmente scandita dal ritmo ; suoi pareri addirittura al canto del gallo, per di più ad un importuno zoticone. L'ana-
v. 6 L'entrata in scena del mercante per esercitare in
come uomo avido di denaro, che strofe (consultor ubi) colloca in primo piano proprio il seccatore (si noti anche l’allit-
è convenzionalmente rappresentato a repentaglio la
costretto a solcare i mari, mettendo terazione apofonica cantum consultor), mentre la ripetizione per ben 5 volte del fonema
modo fruttuoso la sua attività è (Manil. 32; a
ria vita: così lo cara tter izza no Terenzio (Andr. 221-2), Cicerone (4 volte accentato) sta ad indicare il ripetuto battere del seccatore alla porta del giu-
prop 11; 3, 24, 40;
io stesso (carm. 1, 1 15-18; 1,31, reconsulto (ostia, piuttosto che essere un caso di plurale poetico, designerà le diverse
agr. 2, 95; Vatin. 12; Tusc. 5, 40) e Oraz rapp rese ntaz ione cone
A conferire drammaticità alla componenti della porta).
epist. 1, 1, 45; 1, 16, 71; ars 117). onal e di idctare
in balia dei flutti, con l’uso convenzi
tribuisce l’immagine della sua nave la functura cfr
ato dal mare agitato dai venti (per v. 11 Appartiene al linguaggio giuridico la ‘iunctura’ datis vadibus: i vades sono i malle-
per indicare lo sballottamento caus qui si spec ifica che si
epist. 1, 11, 15 si te validus iacta
verit Auster in alto): per di più vadori, con i quali chi era citato in giudizio garantiva la propria presenza il giorno della
eata da Orazio in carm.
tratta degli Austri, la cui pericolosità
per i navigant i è sott olin causa. Una particolare carica espressiva è in extractus, qui nel senso etimologico di
3, 3, 4-5 Auster,/ dux inquieti turbi
dus Hadriae. ‘ tirato via a forza’ (solo in seguito extrahere verrà usato nel senso tecnico di ‘convo-
care in tribunale ’): è come se il contadino sia stato ‘ sradicato ’ dal suo ambiente e
ntazione che della vita del trapiantato altrove. Questo motivo è rafforzato dalla collocazione di in urbem alla fine
vv. 7-8 Diametralmente opposta alla realtà è la rapprese
o e stile vi si ade guano. Ment
re, infatti, nel v. 4
ritm
soldato è fornita dal mercante:
Orazio Satire I 1, 12-27 301
300

con cui si sottolinea l'inserimento variato dal chiasmo modo miles, consultus modo, la lunga sospensione che le parole
del v. 11 e di in urbe alla fine del verso successivo,
delle parole nel v. 11, in cui del deus introducono fra dicat al v. 15 e nolint al v. 19 (sul nesso cfr. Hofmann-
del contadino nel contesto della città, e dalla successione Szantyr 661).
na e della città.
extractus viene a trovarsi fra i due spazi antitetici della:campag Il motivo era di origine diatribica: ce lo attesta nel II sec. Massimo Sofista (diss.
più incisiva dall’omeop- 21, 1), in cui si ritrova la stessa scena, sprovvista però delle cadenze drammatiche e del
v. 12 Il ritmo spondaico è adeguato alla massima, resa ancor
ica in prima sede, «marca tono caricaturale presenti in Orazio, Per di più l’immagine del dio che interviene a
toto apofonico (solos felicis viventis). Solos, parola sponda
la condizione felice di soddisfare i desideri umani era un topos della letteratura greca, da Platone (Symp.
l'enfasi nelle parole del contadino che grida ai quattro venti
città » (Minarini 1977, 49). 192d) in poi.
chi non ha bisogno di fare lunghi viaggi per giungere in
Nella conclusione sconsolata di Orazio (atqui licet esse beatis) il dativo è provocato
del linguaggio familiare, a co- da attrazione di un sottinteso illis, che sarebbe normale dopo licet (cfr. Cic. Tusc. 1, 33
vv. 13-22 Si tratta di un contesto ricco di espressioni licuit esse otioso Themistocli). Analogo è il caso della II satira (v. 51) munifico esse licet,
o: cfr. e.g. 3, 481; 4, 462),
minciare da cetera de genere hoc (una formula cara a Lucrezi
(i.e. valde lassare, volgarismo in cui il dativo è in rapporto con un sottinteso ei. Anche questa ellissi si ricollega
dall'uso paratattico di adeo sunt multa, dal verbo delassare
Per quanto riguarda il Fabio stilisticamente al linguaggio familiare che caratterizza questa sezione della satira.
da lassus) e dalla formula argomentativa quo rem deducam.,
o Narbonese e aggiunge che co-
del v. 14, Porfirione lo identifica con Q. Fabio Massim
libros ad Stoicam philosophiam vv. 20-22 L’immagine, tutt’altro che maestosa e solenne, di Giove che, persa la pa-
stui, equestri loco natus, Pompeianas partes secutus, aliquot
di rilievo non eccelso: tutta- zienza, sbuffa sdegnato gonfiando entrambe le gote (e a buon diritto, come sottolinea
pertinentes conscribsit. Si tratta, dunque, di un personaggio
anche gli Stoici. In quanto a la collocazione centrale di merito), è caratterizzata dallo stile familiare: a tale ambito
via è probabile che la frecciata a lui rivolta coinvolga
deriva dal fatto che egli cum afferiscono quid causae est quin, formula frequente nella commedia (e.g. PLAuUT. Rud.
loquacem, secondo lo ps.-Acrone un tale appellativo
espressivi caratterizzano 758; Ter. Andr. 600) o nei toni più vivaci dell’oratoria (Cic. leg. agr. 2, 74), e il nesso
Horatio de disciplinis saepe contendit. Gli accenti vivacemente
generic o e identif icato poi (v. 20) buccas inflare. Bucca è sinonimo familiare di os, che al plurale indica le gote (pleona-
anche l’intervento del deus, presentato in modo
ego e alla lingua popolare iam stico risulta, quindi, ambas), mentre il verbo inflare sottolinea il fatto che Giove le
con Giove: alla poesia comica appartiene l'iniziale en
gonfi soffiandovi dentro. Tuttavia, non appena egli si riappropria delle sue competenze
nel senso di ‘ subito ’.
c manifesta la sua decisione, l’immagine caricaturale cede il passo allo stile sacrale:
ica il deus si comporta come un facilis, nel senso di propitius, benignus, è attributo di divinità (cfr. TAIL VI 62, 28 sgg.)
vv. 15-19 si-beatis: in una scena vivacemente realist
a le parti alla sua troupe: i e allo stesso ambito appartiene il nesso votis praebere aures (cfr. Pan. Mess. 132 Iuppiter ...
capocomico che, in modo sbrigativo e perentorio, assegn
azione; di conseguenza chi intentaque tuis precibus se praebuit aure). Simile è l’immagine di Properzio 1, 1, 31 vos
suoi ordini sono decisi ed esigono un’immediata applic
recitare la parte del mercator, mentre il consuleus remunete quibus facili deus (i.e. Amor) annuit aure.
impersona il ruolo del miles dovrà
la metafora scenica grazie ad
diverrà un rusticus. Tuttavia all’invito finale, che svela
vos hinc mutatis discedite parti vv. 23-27 Praeterea (una formula di transizione particolarmente cara a Lucrezio: su
un'espressione tolta dal linguaggio teatrale (hinc vos, espedienti del genere cfr. Puelma 1949, 89 n. 2) segna il passaggio ad un nuovo argo-
singolare troube, espresso con
bus), fa seguito, a sorpresa, l’inerte atteggiamento della
ante il frenetico e deciso prodigarsi mento: a partire dal v. 28, infatti, abbandonata la presentazione di esempi di peuwipor-
efficacia dal verbo stare (v. 19 quid statis?): nonost
immobili come statue. Alla dram- pia, l'avidità di denaro sarà al centro della discussione. L’acc. iocularia (neutro sostan-
del capocomico, i suoi attori se ne rimangono fermi, tivato con cui si designano gli scherzi delle più antiche rappresentazioni drammatiche)
(una formula con cui un per-
matizzazione della scena contribuiscono, oltre ad en ego
ego + fut. per esprimere un’azio- dipende da un sottinteso agit, mentre ridens va unito a percurram: chiariscono Kiessling-
sonaggio preannuncia sulla scena una sua azione; per en Heinze 7 che la proposizione principale resta senza oggetto, perché dalla relativa si
17, 6 primus en ego consul .., te
ne rapida e dalle conseguenze immediate cfr, Liv. 3, desume un haec; è improbabile, invece, la soluzione di Lejay 14, che fa dipendere iocu-
la presenza della rima), il futuro
ac tua vestigia sequar) e a iam faciam (in cui è notevole laria da ridens e considera percurram usato in senso assoluto.
hinc vos, vos hinc (con l’uso deit-
eris in luogo dell’imperativo, la geminazione chiastica
all'uno ora all’altro degli attori), Il filo del discorso è interrotto da un'ulteriore riflessione (quamquam... quid
tico di hinc, che indica il rivolgersi del capocomico ora vetat?), In ridentem dicere verum è sintetizzato lo ortovdoyfAotov, una caratteristica cioè
all’inizio del verso seguente
l’allitterazione espressiva in clausola (modo miles, ripresa della filosofia popolare con cui si sottolinea la possibilità di trattare in modo scherzoso
r; tu, consultus modo, rusticus
da mercator), il parallelismo tu... modo milesf mercato
Satire I 1, 28-35 303
Orazio
302
337), è particolarmente appropriato per designare la frenetica attività del mercator
dei doctores,
nt im p Ortanza. Essa È S uff rag ata dall esempio
(cfr. anche Cic. fam. 16, 9, 4 solent nautae festinare quaestus sui causa); audacia, poi,
Talfabeto,
di Tr ilev
le ‘ance
problemi
anche
le le
i per invogliarli ad apprendere assume spesso il senso peggiorativo di ‘ sfrontatezza ’, ‘ impudenza ’ (Ernout--Meillet 55).
che danno i pasticcini ai fanciull In paragoni So cn)
ene, come spesso Nella lista, tuttavia, c'è un’assenza importante: quella del giureconsulto, che è
L'olim all’inizio dell’exemplum divi on ) e ) che in 3).
i uan do (a partire da Luci Ue t. 100 M.: cfr. Mil rimpiazzato dall’oste. Le cause della sostituzione saranno subito chiare: la figura del
quam, inte i rdum, aliq e a
specialista, alta mente qualilica
amente giureconsulto, che forniva gratuitamente la sua opera, non si sarebbe prestata in alcun
Doctor in i epoca augustea desii gna lo nimo mo. nobi le gpiste ;
sino
nelle sue rare atte staz ioni poe tiche, ) tuttavia
ioni , è modo ad illustrare l’avidità di guadagno; in tale schema, invece, s’inserisce magnifi-
segn a; si noti al v. 26 l’a
sat. 1, 6, 82 e Hus 1965, 274-5): enmente l'oste, che le convenzioni letterarie dipingono sempre come imbroglione e
liderator, grammaticus (cfr. Hor. i che esprimono l’inseg
i
di
insegnare e l’ap- >,
p
fra i due termini ini (doctores . . . discere) truffatore (basti ricordare che Orazio stesso, sat. 1, 5, 4, definisce maligni i caupones).
terazione a ponte atom i, i che so no il
Lucrezioi adopera siai per gli i Perfidus, di conseguenza, mantiene qui il suo valore etimologico e indica chi viene meno
dere. Elementa è un termine che te le paro le: è
dell'alfabeto, di cui sono costitui
Pn incip
rinc i I delle cose, siai per le lettere
ipio 7. In quanto a crust ule
ulla parola data e ai patti.
le e le cose, Bologna 1988, 31-3
fe I. Dionigi, Lucrezio. Le paro re di diminutivo — È pr ”
che al tem po di Oraz io avev a ormai perso il valo vv. 30-32 hac-cibaria: i mestieri del contadino, dell’oste, del soldato e del mer-
parola | ’alfabeto, come pensa be cke
‘-cinnii aa forma di i lett letterere dell cante sono la negazione dell’otium, che ad essi non può essere in alcun modo collegato:
bababile i che sii tratti i didi pasticci rielaborando materiale
che nella similitudine Orazio sta di conseguenza l’assicurazione che i suddetti personaggi forniscono sullo scopo della
1920, 234-5. Il lessico fa capire il celebre ose o
i

e inserisce in un contesto diverso


. .

loro attività non può essere presa in alcun modo sul serio. D'altra parte aiunt (v. 32)
. .

lucreziano: qui riprende, infatti,


"

nthia taetra mede ntes


(vv. 936-8): sed , veluti pueris| absi . ; suore. fu capire che, se tutti i personaggi asseriscono di adoperarsi senza tregua per una tran-
del I libro del De rerum natura , nt melli s dulci flavoque lia
la circ um/ cont ingu quilla vecchiaia, in realtà la situazione è ben diversa. Hac mente ut e simm. sono circon-
cum dare conantur, prius oras pocu i da parte dii Ora zio
o mutamento di Î pensiero
La parentesi si chiude con un nuov
locuzioni della prosa e dello stile familiare (cfr. 2, 2, 90; Cars. Gall. 7, 28, 1; Liv. 27,
il tono
si propone di mettere da parte
(sed tamen ludo): in tal modo egli da un lato imilitudin e. Sed tamen si
39, 3). L’anastrofe al v. 31 non è causata da motivi metrici, ma serve a mettere in rilievo
nella simi
) è lontano dall’abbandonarlo o-
senes: tutti i personaggi, cioè, reclamano una tranquilla vecchiaia e non ritengono che
: logic
è llaa logic a risposta all’i nterr
zoso, dunq ue,altoa ride
dall' Èi Der ntem dice i re verum nihil vetat, che le loro fatiche debbano durare tutta la vita. Al v. 32 è notevole l’allitterazione alternata
i lega,
scher
ricol
one della sezione è riba dita dall’accostamento
vv 24-2 5. Ques ta conc lusi cum sibi sint congesta cibaria sicut.
cacivo dei
27, di seria e ludo.
ossimorico, nella chiusa del v.
vv. 32-35 sicut-futuri: i paragoni con animali sono frequenti nella tradizione diatribica:
eie dei personaggi,i, con co cui si apre
7 -30 ille— nt: apparentemente le categori alla seriecddi
In particolare il parallelo tra l’avaritia umana e la formica è in Plutarco (mor. 525 E).
cu rare continuità
e sezione
one, semsem bra no Pi le stesse e ciò parrebbe assi E ben noto che la formica costituisce l'esempio della previdenza e dell’industriosità:
ve
la nuo va adino, solennemente indi
Li All’sita iniz io, infatti, ricompare subito il cont nel contesto oraziano si rivela di notevole efficacia il rapporto ossimorico fra parvola
argome nta zio ni. i o spondafaicooo e
dalla frase ille grav em duro terram qui i vertitÎ aratro | N ritm c Il gen. di qualità magni laboris (a partire dall'epoca augustea il gen. di qualità serve
cato nel v. 28 del lavo ro deii caca
i ra cani‘na na devono sottolin i eare I la durezza spesso a rimpiazzare un agg. composto greco: qui magni laboris è al posto di rroXbpoxdag;
‘insiinsi stenza | sulla litte e l'ag gett ivazione,
423 n. 1). A ciò concorre anch efr. Kiessling-Heinze 9, Hofmann-Szantyr 69); in tal modo a livello semantico la pic-
: fr. quanto osserva Norden 1916, o IpprO
ro-

mod
a

in
accostati, da un lato si riferiscono
. .
. .

colezza dell'animale viene opposta alla grandezza della fatica, a livello stilistico il di-
.

erché gravis e durus, accortamente enfatizzare mela. di


e r

risp etti vame nte alla terra e all’aratro, dall’altro stanno ad minutivo si contrappone al grave e solenne magni laboris. A. questa serie di artifici
riato l sis è epi epiteto convenzi / onale di le
izi ne riser i va ta agli i agrici olae; : gravi vanno aggiunti la presenza di quodcumque, che sembra sottolineare la grandezza del
camente la condizio 29 miles ) e il merc ante
ompaiono anche il soldato (v. enrico e contrapporlo alla piccolezza della formica (come osserva Marouzeau 1954,
in da Ennio (ann. 221 Sk.). Ric nttori
enta e , nto nel-
to pensano» alclcunii comm ce
na lui i sisi allude, infat i l ti,i contrariaj mente a quan d, to, ,
98, Orazio sembra invitarci a vedere un rapporto fra il volume della parola e il valore
mare qui currunt, dei vv. 27-50.
l’im j magine i dei i nautae, per omne audaces glio same
i pent e
dell'idea), e la doppia litote (haud ignara . .. non incauta), che grazie alla negazione del
n: i ante consnsist i
ista proprio ” ne. suo solcare peri contrario finisce per conferire ai termini valore di superlativo. In quanto ad haud
infatt i, i come l’au
) daci ai del avig
imonio. °
i
la prop ria vita pur d’increm entare il patr ) o ignara, si tratta di litote fra le più frequenti della poesia epica virgiliana: cfr. Aen.
imari mett endo a repe ntag lio . 1, i , p ©
A 1,45;
odi (1, 28, 36) e nelle epistole I, 630 non ignara mali; 4, 508 haud ignara futuri (come in Orazio); 5, 284 operum haud
ere che Orazio usa anche nelle et-H ubba r ,
e ThIL IV 1515, 25 sgg. e Nisb
ndi care percorsi marini (cfr. anch
iindi
Satire I 1, 36-45 305
Orazio
304

za da non d'urgento e d’oro. Anche questo è un motivo d’origine diatribica: nella diatrib
nocendi. Per il gen. futuri in dipenden
ignara Minervae; 5, 618 haud ignara Infatti, nascondere oro o sotterrarlo costituiscono un segno chiaro d’a arizi ra
incauta futuri mortalitas.
incauta cfr. SEN. contr. 9, 6, 19 Hirp, epist. 17 (IX p. 362 Littré) e Fraenkel 1957, 93; nella letteratura latina l'esci x io
l'Acquario sorge
indica il solstizio d'inverno, perché canonico è quello dell’avaro nell’Aulularia plautina. Il motivo del denaro scosto è
vv. 36-38 quae=sapiens: Aquarius d’inverno
rsum annum sottolinea che nel solstizio riproposto più volte da Orazio nella satira 2, 3 (non a caso, perchè in essala temat a
a gennaio dopo il solstizio, mentre inve indietro per ri-
ra come se il sole, giun to al tropico, voglia arrestarsi e tornare mi avarizia ha ampio sviluppo): cfr. v. 109 qui nummos aurumque recondit Pesci ui
semb / solsti-
. 3, 479-80 annique invertitur orbis,
. è +T. è . ?
argenti Pa cao I° (eil) te, Tiberi, numerare, cavis abscondere tristem.
prendere il suo giro dall’inizio: cfr. Mani anche in VERG.
usato per fenomeni atmosferici , apre il v. 41, manifesta un modo di argomentare di
tium... dum fit. Contristare è verbo . laevo con-
frigore caelum; Aen. 10, 275 Sirius.. supore filosofico: cfr. anche 2, 6, 90 quid te iuvat e l’incipitario quid iuvat di P 1,2
georg. 3, 279 (Auster) pluvio contristat P. effus aque
nde probabilmente Auson. 417, 102 (polemica, tipica della filosofia popolare, contro la bellezza artificiosa). Il nes so argenti
tristat lumine caelum. Da Orazio dipe , maxi me . . . sole in Aquario
osserva Porfirione pondus et auri è attestato anche in Cic, rep. 1, 27; Vero. Aen. 1, 359: èle ittim n criedi
hiemem contristat Aquarius unda. Come v. 37 l’en jamb emen t serve
ra ingentia solent esse. Al supporre che abbia un colorito arcaico e solenne. Qui, naturalmente la clausola epi ,
constituto tempestates horrendae et frigo , come osse rva la
arlo da quaesitis: in tal modo è presentata con fini ironici ed è conferito maggior risalto al pondus con l’a unt cdele
a isolare ante in fine di verso e a stacc ica che qui
concorre a esaltare la qualità della form l'attributo immensum: una scelta accorta, considerata la sua unicità nei conte id lle
Minarini 1977, 66, « anche il ritmo prore pit fa ri-
za ». D'altra parte già non usquam ultre aggettivazioni frequenti con pondus (magnum, permagnum mam gr nd ;
importa mettere in rilievo, la previden uscir fuori
prende le sue precauzioni prima di perché essa permetteva ad Orazio, grazie alla u finale in tempo forte di ct cene)
saltare l'accortezza della formica, che suo giud izio so comporta”
sapiens è un elogio del rima con dum (v. 40) e timidum (v. 42), accrescendo così l’idea della Desanterza. lv.
allo scoperto, mentre il conclusivo
42 ucquista compattezza grazie all’allitterazione alternata, che da un lato scandi si
mento.
l'interlocutore: non si tratta più di movimenti guardinghi dell’avaro, tutto intento a nascondere il suo tesoro dall'altro
vv. 38-40 cum-alter: cambia, improvvisamente, Sem- ci
e n
capire come furtim e timidum siano in relazione sia con defossa sia con depo-
. . . . è . )

com'è nelle consuetudini della diatriba.


Mecenate, ma di un personaggio fittizio, l’anafora
il mutamento della situazione con
bra che Orazio abbia voluto sottolineare per di più in tempo
e della II persona sing. (te —
e il poliptoto del pronome personal e la form ica — vv. 43-45 Il v. 43 risulta più incisivo se lo si considera un’obiezione dell’interl
lo ritmico l’antitesi fra l'uomo
forte, quasi a riproporre anche a livel s) e l’asi n- di Orazio, il quale giustifica il suo modo d’agire sostenendo che, se così n ; facesse,
oto in clausola al v. 38 (fervidus aestu
... tibi... te); notevoli anche l’omeopt situazioni del Il denaro progressivamente intaccato si ridurrebbe a un misero soldo, Tra i più recenti
sembrano alternarsi ad incastro le
deto hiems ignis mare ferrum, in cui Il pano rama camb ia, però, se «dttori sceglie questa interpunzione Shackleton Bailey, mentre sia Klingner sia Borat
miles (ignis, ferrum).
mercante (hiems, mare) e quelle del nto all’at- “ll'niscono il verso alla frase interrogativa aperta da Orazio nel v. 41. Si noti come
tal caso destus e hiems sono in riferime
a questa serie aggiungiamo destus: in e ferru m a quella Pavido interlocutore non adoperi minuere, ma il più espressivo composto comminuere:
mare a quella del mercante, ignis
tività del contadino, ancora hiems e nti sin dal- come osserva Festo 105, 4 L. lacerare, dividere, comminuere est. La successiva ripres di
l’importanza delle tre categorie prese
del soldato; in tal modo viene ribadita naturale in funz ione deterrente Orazio — aperta nel v. 44 da una successione di monosillabi, tipica dello stile fami
di elementi del mondo
l’inizio della satira. Liste simili in Orazio (cfr. Marouzeau 1954, 109), e chiusa dall’omeoptoto constructus acervus — ripro cone.
a: cfr. Nisbet-Hubbard 1970, 207-8;
non erano rare nella filosofia ellenistic sla pure in senso negativo, l’immagine del mucchio ammassato dalla formica ( sen i
1, 46.
cfr. anche 2, 3, 54-55; epist. 1, nte delle 35 addit acervo/quem struit), per cui cfr. Nisbet-Hubbard 1978, 63 nn
ro balza in primo piano quale move
AI v. 40, finalmente, l'avidità di dena a spin gere ad i Notevoli nel v. 45, incorniciato tra i due termini che definiscono l'enorme dist
le dell’interlocutore fittizio: è essa
azioni umane, in particolare di quel for me allo (mnilia... centum), sono la personificazione dell’aia e l’uso metaforico di terere (t i sit è
o di divenire più ricchi di tutti. Con
affrontare pericoli e fatiche, allo scop 208) e di dis futuro secondo, in rapporto a capiet, piuttosto che cong. concessivo, come cocano
alter per alius (cfr. Hofmann-Szantyr
stile familiare della satira è l’uso di epodi (2, 65), Hofmann-Szantyr 332): per di più milia... centum è « sineddoche in cui l’i cb to €
sola volta nelle odi (1, 7, 9) e negli
per dives: dis, infatti, compare una 19; 1,9, 51; 2, 7,52). l'anastrofe, collocando in primo piano il termine che indica la quantità pra a ;
anche 1, 1, 40; 1, 5, 91; 1, 7,
mentre è normale nelle satire (cfr. rendono l’immensità del mucchio di grano. Tutto il verso si presenta come struttura
o mentre, pieno di
utore di Orazio viene rappresentat
vv. 41-42 L’immaginario interloc chiusa, che ha il suo centro nel predicato triverit (. . .), attorno al quale sono disposti
dum), è intentoa sotterrare un'immensa quantità
paura come un ladro (furtim. .. timi
Orazio Satire I 1, 46-58 307
306

componenti aggettivo-nome, sunt ut si qui (su cui cfr. il commento di J.G.F. Powell, Cicero. Cato Maior de senectute,
simmetricamente prima il soggetto, spezzato nelle due
ini 1977, 73). Cambridge 1988, 139).
poi l'oggetto, anch'esso diviso in due » (Minar
Sia urna sia cyathus erano misure di liquidi (poco più di 13 litri l’urna, mentre il
quello, fra gli schiavi portati a ven-
vv. 46-49 non—portarit: l’exemplum è fornito da eyathus era la dodicesima parte di un sextarius, cioè di poco più di mezzo litro). Qui,
si sulle spalle il sacco del pane
dere al mercato (venalis inter, anastrofe), che deve caricar tuttavia, non sembra che Orazio voglia introdurre concetti numerici e misure precise:
venalis portari solet), senza rice
per tutti (ps.-Acrone: reticulum rete, quo in urbe panis eyli si limita a opporre, con sano realismo, una brocca d’acqua a un bicchiere; nono-
modo l avaro, pur continuani o
vere una briciola in più di ciò che gli spetta; allo stesso stunte si tratti di quantità diverse, in ogni caso esse risultano di molto inferiori al de-
tolleri il suo stomaco. Parti-
ad accumulare grano, non potrà mangiare più di quanto slderio dell’avaro di attingerle da un fiume di grande portata. Liquidum, sostantivato,
vehere, che indica normalmente DI
colarmente appropriato ad uno schiavo è il verbo è slnonimo di liquor (cfr. carm. 3, 3, 46-47, detto del mare: qua medius liquor/ secernit
soma (cfr. Ernout-Meillet 717).
trasporto effettuato da un veicolo 0 da un animale da liuropen ab Afro), attestato qui per la prima volta; cfr. poi moret. 46; Ovin. met. 5, 454
Si noti la rima che lega al v. 48 vehas ad accipias. e altre attestazioni di epoca imperiale in ThIL VII 2, 1484, 51-62.
da vel, formula di cortesia
vv. 49-53 vel=nostris: un'ulteriore obiezione è introdotta vv. 55-56 et-sumere: et ha il valore di et tamen: si tratta di un uso già presente in Plau-
nte nella commedia, è il suo
(= si vis: cfr. Hofmann-Szantyr 500; familiare, e freque to (Bacch. 1196 libet et metuo), ma attestato anche in Cicerone (top. 30); sulla sua
alcuna differenza, per chi
uso con l'imperativo: cfr. Hofmann 1980, 362): non esiste presenza in epoca augustea cfr., oltre a Hofmann-Szantyr 481, Fraenkel 1957, 358.
jugeri. Centum e mille
vive entro i limiti della natura, fra l’arare cento oppure mille È chiaro il contrasto fra magno de flumine, in cui l’idea di maestosa grandezza è
se, però, è normale l’uso di centum in senso
designano in poesia quantità indeterminate; rufforzata dall’allitterazione con mallem, e ex hoc fonticulo, un diminutivo--dispregiativo
stia, quale adattamento | ©
generico, si può notare come l’ugualmente generico mille qul uttestato per la prima volta (ricomparirà poi nella prosa tecnico-scientifica: cfr.
capacità di arare è sim o
greco uuptor, al posto dell’antico e frequente sescenti. La ThIL VI 1028, 35 sgg.), che finisce per indicare una pozzanghera. A sottolineare la
impiger Apulus; ProP. ,5
del possesso di terre: cfr. carm. 3, 16, 26 quicquid arat differenza fra i due termini concorre anche la variazione della preposizione nello stesso
nel v. 50, dal solenne ritmo
nec mihi mille iugis Campania pinguis aratur. L’allusione contesto (de / ex), che costituisce un caso unico in Orazio: per l'alternanza de / ex in
natura è un invito al store
spondaico, al concetto stoico della vita entro i limiti della i
contesti diversi cfr. invece carm. 3, 11, 33 una de multis e epist. 1, 6, 60 unus e multis.
di vista del modus: dal concetto
a considerare tutto il resto della satira dal punto Qaserva la Minarini 1977, 79 che « Orazio e l’avaro sembrano farsi il verso a vicenda:
al modus in rebus, che riguar-
misura nel caso particolare della piAupyupla si passerà, poi, all'ex magno dell’avaro Orazio contrappone il tantundem ex parvo; ai vv. 55-56 l'inter
esi suo complesso. locutore ribatte con magno de flumine ripetendo ironicamente il tantundem del poeta ».
o viventi, proba-
da nt) De alan Bailey preferisce viventis di Chabot al tràdit (è, invece, una progressione nell’ambito delle argomentazioni dell’avaro: di fronte
refert col dativo; puteavia si
bilmente perché ritiene impossibile la costruzione di al generico tollere del v. 51, infatti, il sumere del v. 56 si applica alle sue necessità per-
un autre sens, viventi est un datif du
Lejay 17 aveva osservato che qui « referti ayant sonuli, perché — come osserva Traina, Poeti latini (e neolatini), Bologna 19862, 232 —
questo tipo di dativo, attestato
point de vue » e significa « agli occhi di chi vive ». Su equivale a « prendere (emo) su di sé (subs) o per sé, prendere qualcosa per usarne »;
nn-Szantyr 96,
qui per la prima volta ma frequente in Livio, cfr. Hofma «fr. unche Ernout-Meillet 666. La scena è resa ancor più viva dall’hoc deittico.
ndentem facit avarum, aut ipse
Delle due ipotesi formulate da Porfirione al v. 51 (respo
preferibile a causa le
poeta per anthypophoran hoc dicit), la prima appare decisamente v. 57 Le conseguenze catastrofiche del modo d’agire dell’avaro sono introdotte
s. AII obiezione che è pia {v. 56) dal prosastico eo fit, che non a caso Orazio evita nelle odi e usa solo nelle satire
serrato dialogo che ormai si è instaurato fra Orazio e l'avaru
de che l’avarus, se lascia attingere {fi volte) e nelle epistole (2 volte). La collocazione iniziale di plenior e quella finale di
cevole prendere da un gran mucchio, Orazio rispon
motivo di vantare i suoi lusto sottolineano il motivo dominante della satira: la mancanza del modus. In plenior
l’identica quantità di grano da uno piccolo, non ha alcun
etari (cumeram, commenta copia iusto è normale l’uso del neutro sostantivato in un abl. di paragone: plus iusto
granai più delle ceste degli agricoltori e dei piccoli propri
conduntur; e aggiunge che compare anche in carm. 3, 7, 24, ma Orazio preferisce plus aequo (5 casi nelle satire e
ps.-Acrone, dicimus vas ingens vimineum, in quo frumenta
suum reponebant agricolae).
cumerae sono anche vasa fictilia similia doliis, ubi frumentum
nelle pistole).

ne con ciò che precede (« sa- v. 58 Come al solito il magnum flumen per antonomasia è in Orazio l’Ofanto, il fiume
vv. 54-55 ut-cyatho: ut serve ad introdurre un parago
a Cic. Cato 17 similes...
rebbe come »); per l’espressione ellittica si può rinviare della terra natia, sempre ricordato come fiume impetuoso, che trascina via tutto con
Satire I 1, 59-72 309
Orazio
308
facere seguito dal dativo (frequente nella commedia: cfr. Hofmann 1980, 335-6, Hof:
s; 4, 9, 2 longe sonantem natus ad Au-
sé: cfr. carm. 3, 30, 10 qua violens obstrepit Aufidu imann-Szantyr 121, Minarini 1977, 85-86) e con l’espressione iubeas miserum esse che
s, f qui regna Dauni praefluit Apuli,/
fidum; 4, 14, 25-28 sic tauriformis volvitur Aufidu ereata sulla base del contrario iubeo valere, suona fortemente ironica (cfr. anche sat.
agris. Qui per la prima volta acer è
cum saevit horrendamque cultis/ diluviem meditatur 1, 10, 91 iubeo plorare e Hofmann 1980, 149). L’enfatico libenter dà viva voce al disgusto
CLaupIAaNn. 17, 234); in riferimento al
appellativo di un fiume (cfr. poi For. 2, 24, 8, «i Orazio per chi vuole vivere in una simile, assurda condizione di miseria (miser è epi-
ed è usato anche da Orazio (carm.
mare, tuttavia, compare già in Plauto (Asin. 134) teto dell'avaro anche in ars 170; Ter. Haut. 526; MaArtiaL. 1, 99, 10). 9
le e i flutti dell'Adriatico. Avulsos
1, 33, 14-16) nel parallelo fra il carattere di Mirta Quatenus (v. 64) corrisponde a quoniam e ha valore causale: è questo l’unico va-
e il senso di auferat proprio per il
ferat equivale ad avellat atque auferat (ferat prend lore che gli accorda Orazio (sat. 1, 3, 76; 2, 4, 57; carm. 3, 24, 30), sulla scia di Lucrezio
tterazione (avulsos Aufidus acer) servono
suo legame con avulsos): la littera canina e l’alli (2, 927; 3, 218. 424): cfr. Hofmann-Szantyr 656.
fanto.
a sottolineare la violenza delle acque dell'O Il quidam di cui si parla alv. 64 sarebbe, secondo lo ps.-Acrone, il misantropo
enti: qui tantuli eget quanto est opus Timone, vissuto ai tempi della guerra del Peloponneso: anche in questo caso stile e
vv. 59-60 Continuano i richiami ai versi preced teenica del verso concorrono a costruire un quadro degradato del personaggio (l’anti-
v. 54. Come si desume da Ernout-
riprende si sit opus liquidi non amplius urna del tesi degli iniziali sordidus ac dives al v. 65, l’uso di populus per indicare ‘la gente ’
no soggettivo, opus esse indica un
Meillet 192 e 465, mentre egere esprime un bisog albilare costruito con l’acc. al v. 66). L’aneddoto ha un impianto favolistico: ce lo fanno
9, 14 nulla re egere et tamen multis
bisogno oggettivo: la differenza è chiara in SEN. epist. capire la vaghezza del quidam, seguita però dalla determinazione locale (proprio come
vo, come in origine e poi nella lingua
illi rebus opus esse. Qui egere è costruito col geniti farà Petronio all’inizio della novella della matrona di Efeso: 111, 1 matrona quaedam
compaia in contesti caratterizzati dal
familiare: è comprensibile che lo stesso costrutto Kphesi tam notae pudicitiae erat), e inoltre la caratterizzazione del personaggio (sordidus
18, 67); di contro egere con l’abl. è usato da
sermo pedester (epist. 1, 1, 102; 1, 6, 39; 1, ite dives) con la descrizione del suo comportamento (populi contemnere voces . . . solitus)
1, 22, 2; epist. 1, 10, 11).
Orazio solo in due passi di tono solenne (carm. Il «uidam si rappresenta come un commediografo fischiato dal pubblico e tuttavia con-
varia l'aggettivo turbidus, per cui cfr.
Nel nesso turbatam aquam il part. perfetto tento per i soldi che ha fatto portando in scena la sua pièce; non convince l’interpreta-
totico haurit aquam ... vitam amittit.
Cic. Tusc. 5, 97; notevole è il chiasmo omeop zlone di Porfirione, il quale pensa ai principes civitatis, che theatrum ingressos populus
(carm. 2, 16, 15; 3, 16, 39; 3, 24, 51; axstbilabat: come si è visto, già l’immagine di Giove che assegna ruoli diversi agli uomini
vv. 61-62 Cupido è sempre maschile in Orazio
840 cupido ha lo stesso genere:
epist. 1, 1, 33; prima di Orazio, solo in PLaur. Amph.
scontenti della loro condizione di vita s'inseriva nella metafora teatrale. L’egocentrismo
di ‘ bramosia di denaro ’: l’alternanza dell'ivaro è sottolineato da me... mihi — in un verso in cui allitterazione alternata
cfr. THL IV 1421, 34 sgg.) e ha sempre il senso
alla realtà da Nonio (681, 21-24 L. (alc solitus populus me sibilat... mihi plaudo), omeoptoto con rima (solitus populus)
di genere è spiegata in modo non corrispondente
significamus ..., cum masculino, aijimatismo hanno una forte componente espressiva — e dal verbo contemplari, grazie
cupidinem cum feminino genere dicimus, cupiditatem
addice in pieno. È certo, invece, che nei al quale il personaggio s'innalza sino alla sfera sacrale e guarda a se stesso come a una
deum ipsum): proprio il nostro passo lo contr
confronti di cupiditas il sostantivocupido ha una connotazione ancor più negativa: divinità: cfr. PauL. Fest. 34, 9 L. contemplari dictum est a templo, i.e. loco qui ab omni
cupido ex stulto numquam tollitur, col parte aspici, vel ex quo omnis pars videri potest, quem antiqui templum nominabant.
cfr. Lucrr. 806-7 M. cupiditas ex homine ...,
diversa sunt, nam cupiditas levior est e
commento di Non. 703, 1 L. cupiditas et cupido
52 n. 2.
vv. 68-72 L’exemplum di Tantalo è introdotto a sorpresa e solo successivamente Ora-
Puelma 1949,
v. 62, secondo la quale l’uomo glo chiarirà il suo rapporto con la situazione dell’avaro: qui egli sceglie la versione ome-
È proverbiale (cfr. Otto 157) l’espressione del
già Lucilio, probabile fonte di Orazio, rien del mito, secondo cui Tantalo non riesce a raggiungere quanto potrebbe placare
dev'esser valutato sulla base di ciò che possiede:
ipse sies tantique habearis: sul passo la sua fame e la sua sete; un’altra versione del mito, attestata a partire da Euripide, fa
la rinfaccia al volgo (1120 M. tantum habeas, tantum
a 1949, 45). Cfr. anche Sen. epist. Incombere sul dannato un macigno. Sui vari significati del mito di Tantalo cfr Nis-
di Lucilio e sul rapporto con Orazio cfr. Puelm nem bonam
lucro innocentiam, salutem, opinio het-Hubbard 1978, 312. i
115, 14 nec apud Graecos tragicos desunt qui in Arc.
habuit, fuit. Paralleli greci sono L'iterativo captare (v. 68) rende bene l’idea dei vani sforzi di Tantalo, che « cerca
mutent: ... ubique tanti quisque, quantum
526 C. di afferrare » l’acqua del fiume che gli sfugge dalle labbra. A interrompere il parallelo
fr. 360 V.; Pinv. Isthm. 2, 11; PLUT. mor.
initico sopraggiunge l'atteggiamento derisorio dell’interlocutore: si tratta di una tecnica
da, Orazio stesso dà la risposta, con-
vv. 63-67 AI v. 63, dopo aver formulato la doman tipica della diatriba, che serve a conferire realismo al dialogo fittizio. Orazio si affretta
a ciò si adegua lo stile, col familiare
ferendo così immediatezza e vivacità al contesto;
Satire I 1, 73-87 311
310 Orazio

lo in realtà parla proprio di lui, col gen., anziché con l’abl. strumentale; notevole è anche la rima fra horum e bonorum,
a chiarire all’avaro che la storia (fabula) di Tanta collocati per di più in posizione enfatica).
parte e, considerandoli come reli-
che passa la notte sui sacchi ammucchiati da ogni di preziosi Il senso del v. 75 è chiarito da Porfirione: non autem ea vult intellegi quae ad delicias
a rispettarli e a guardarli come se si trattasse
quie, si vede costretto vitae pertineant, sed quae ad utilitatem, ut quae frigori aut fami repellendae et commodiori
dipinti. mansioni sunt necessaria atque similia. Di particolare rilievo è la struttura del verso, che
insieme i sacchi dopo aver ate
In congestis (v. 70) il prefisso dà l’idea del mettere hu al centro il predicato, attorno al quale si dispongono, separati, il soggetto e il suo
crea un intenzionale giuoco di parole
raffato da ogni parte (undique): per di più Orazio attributo, mentre alle estremità sono collocati i due termini dell’ablativo assoluto
e sacris, collocando i due termini
fra saccis (metonimia per il denaro in essi contenuto) (quis è forma arcaica dell’abl. plurale, che sopravvive nella lingua familiare).
parcere sacris, detto dell’avaro, cfr.
nella chiusa di due versi successivi (per tamquam
s uti] compositis metuensque velut con-
2, 3, 109-110 qui nummos aurumque recondit nesciu vv, 80-87 I vv. 80-83 non vanno attribuiti all’avaro (il quale non si perderebbe d’animo
Î acrum). e porterebbe quale nuovo argomento il fatto che i ricchi hanno almeno chi si cura
s (v. 71), che con-
a SI la ripetizione dello stesso prefisso in indormis inhian della loro salute, al contrario dei poveri che vengono abbandonati da tutti), ma costi-
ità. Anche per questo motivo sembra
ferisce a entrambe le azioni una particolare intens tulscono un nuovo attacco di Orazio, con la consueta formula della domanda, nei con-
negativo (‘ non dormi ), né si può
improbabile che in indormis il prefisso abbia valore fronti del suo interlocutore e trovano una logica prosecuzione nella risposta che Orazio
perché l’avaro in realtà vigila accura-
pensare che il verbo significhi ‘ dormi sopra ’, di incubas stesso formula nei vv. 84-85 (chi, come Lejay 22 e Minarini 1977, 95, sceglie la prima
is è, probabilmente, sinonimo
tamente sull’integrità del suo tesoro. Indorm possibilità, ovviamente non considera interrogativa la frase: tuttavia anche l’ironica
thesauris e simm.) e indica che l’avaro, in-
(normalmente usato con pecuniae, divitiis, ehlusa del v. 83 si adatta allo stile di Orazio, non a quello del suo interlocutore).
vece di dormire nel suo letto, trascorre le notti sdraiato sui sacchi di denaro, con la
rli; proprio questa, d’altronde, era Al v. 81 Klingner e Borzs4k accettano adflixit, mentre Shackleton Bailey preferisce
bocca spalancata (inhians) come se volesse divora «ffixit; entrambe le lezioni sarebbero possibili, in quanto adfligere, i.q. proicere, pro-
efficacia il parallelo mitico se si pen-
la condizione di Tantalo. Perderebbe, invece, ogni itarnere è normalmente costruito col dat. di direzione, così come affigere, che darebbe
sospeso per paura d’esser derubato.
sasse all’avaro che giorno e notte veglia, col fiato l'iden dell’avaro inchiodato al letto, come ad una croce o ad un patibolo. Se si consi-
nella tradizione favolistica dal drago,
L'atteggiamento dell’avaro è lo stesso assunto dera, però, il successivo te suscitet, esso appare maggiormente appropriato in rapporto
13, 12 an is non reddet, qui domini
sin dalle epoche più antiche: cfr. infatti Cic. Phil. (.. ) # un precedente adflixit, per l’efficace opposizione che si crea fra il buttar giù (adflixit,
quasi thesaurum draco; Paur. Fesr. 59, 9 L. dracones
patrimonium circumplexus, appunto) e il sollevare (te suscitet). Questa immagine, d’altronde, sembra presente nella
qua ex causa incubantes eos thesauris
clarissimam (...) dicuntur habere oculorum aciem: tappresentazione dello Stato in Cicerone, Att. 8, 11, 6 (res publica) quae et nunc adflicta
custodiae causa finxerunt antiqui. st ne excîtari sine civili perniciosissimo bello potest.
Melli descrizione dell’avaro nei momenti del bisogno Orazio accumula termini
insinua il dubbio che il suo interlo-
vv. 73-79 Con un’interrogativa retorica Orazio ilel linguaggio medico: cfr. al v. 80 condoluit (in allitterazione con corpus), in cui il pre-
o (una tematica, questa, di origine
cutore non conosca affatto a che cosa serva il denar fis conferisce all’azione un valore momentaneo, perché si tratta d’indicare l’inizio
gli elenca, nel rispetto dell’ideale del
stoica, su cui cfr. Nisbet-Hubbard 1978, 39): e dellu malattia (su condolescere quale termine medico cfr. ThIL IV 155, 58 sgg.); temp-
verdura, un mezzolitro di vino),
modus, una serie di esigenze di prima necessità (pane, tatum frigore corpus, per designare i sintomi della febbre, con l’uso tecnico di temptare,
che l’altro non ci provi gusto (ma
che possono essere soddisfatte col denaro. A meno proprio del linguaggio medico, che Orazio ripropone nelle Satire (cfr. 2, 3, 163 quod
lista dei rischi dell’avarizia) nel vegliare
hoc iuvat? viene solo alla conclusione della lunga latus aut renes morbo temptentur acuto) e nelle Epistole (1, 6, 28 si latus aut renes morbo
notte e giorno (noctesque diesque,
mezzo morto (exanimem, « senza fiato ») per la paura, temptantur acuto); al v. 81 casus, che designa il cadere ammalati (sul suo uso nel lin-
e sfruttata a fini d’ironia), vivendo
con l’arcaica ed epica ripetizione del —que, chiarament guaggio medico cfr. ThIL III 578, 79 sgg.), e lecto te adflixit, in cui adfligere è sinonimo
del verso precedente ed enfatizza il
riel terrore dei ladri (formidare si ricollega a metu dl prosternere. Si veda, subito dopo, tutta la lunga lista dei soccorsi medici, da adsideat
sono definiti mali, col valore che 1 age
concetto grazie all’allitterazione con fures: i ladri (termine tecnico per l’assistenza ai malati: cfr. Sen, epist. 9, 8 quod dicebat Epicurus...
« chi provoca danni »), degli incendi
gettivo assume nella lingua popolare, dove indica ui habeat qui sibi aegro adsideat) a fomenta paret (fomentum, formato sulla stessa radice
llet 506 suv. pila) o fuggiaschi (fu-
e degli schiavi rapaci (su compilent cfr. Ernout-Mei di fovere, indica nel linguaggio medico gli impacchi caldi o i rimedi che servono a cal-
ad Orazio, egli vorrebbe essere il più
gientes varia il termine tecnico fugitivi). Quanto mare o n lenire il dolore: sul loro uso nel linguaggio medico cfr. ThIL VI 1, 1018, 67
bonorum, col raro costrutto di pauper
povero al mondo di beni simili (pauperrimus esse
Satire I 1, 88-100 313
312 Orazio

fatica, su cui cfr. Otto 40-41 (s.v. asinus) e Mitchell 1930, 383. Se ne rendeva conto
da omeoptoto apofonico). La lista è
sgg.), a medicum roget, a suscitet dc reddat (legati a caso è già Porfirione, che commentava: hoc videlicet de asino proverbium aut proverbiale esse
conclusa dall’ironicamente nante gnatis carisque propinquis, in cui non
altiso
quia infacetum atque inurbanum erit, si putemus illud ad praesens a poeta fictum esse.
. . a ?

preferita da Orazio la forma arcaica per natis.


risposta positiva; ma l’ipotesi
L’interrogativa lascia aperta la possibilità di una vw, 92--100 Nei vv. 92-94 Orazio insiste sulla necessità del limite (si veda la successione
pronta guarigione, è subito esclusa
di un’amorevole assistenza, tale da condurre ad una finis .. . finire, col verbo collegato per ossimoro ad incipias): il limite dev’esser posto
interlocutore una tragica situazione di
in modo deciso da Orazio, che prospetta al suo naturalmente, alla ricerca del guadagno e, benché se ne sia discusso sinora, il poeta
sarà assistito né dalla moglie né dal
abbandono e di solitudine: odiato da tutti, non nente la necessità d’introdurre un ulteriore esempio ad effetto. Lo stile è sempre fami-
tutto al denaro esclude inevitabil-
figlio. Non c’è da stupirsene, perché il posporre linre, come dimostra, oltre all’abl. assoluto costituito dal solo predicato (parto quod
mente l’avaro dal mondo degli affetti. avebas), che è raro in epoca classica (cfr. Hofmann-Szantyr 141), l’uso di facias in senso
io di coppia polare (su casi ana-
Pueri atque puellae (v. 85) costituisce un esemp generico al posto di un verbo dal senso specifico (cfr. la nota al v. 63).
24. 52. 55. 60. 65. 75. 113. 138), ormai
loghi cfr. A. Traina, Forma e suono, Roma 1977, Subito dopo aver introdotto, in inizio d’esametro, il nome del protagonista
m te omnes pueri clamentque puellae,
divenuta proverbiale: cfr. e.g. 2, 3, 130 insanu Orazio avverte il lettore che non si tratterà di una longa fabula: è questo uno dei tanti
e e Otto 289.
Carutt. 62, 44 nulli illum pueri nullae optavere puella
ia probabilmente intenzionale, modi con cui egli vuole mostrare, in forma ironica, la sua preoccupazione d’evitare
La tmesi del v. 86 (post. . . ponas) crea un’anfibolog lungaggini che possano annoiare il lettore (cfr. già i vv. 13-14 e su tale tecnica Puel
è indotti a far dipendere l’acc. omnia
come ritiene Lejay 23: a prima vista, infatti, si 1949, 89 n. 2). na
’, piuttosto che quello di ‘ meritare ?:
da post. Al v. 87 mereri ha il senso di ‘ guadagnare L’Ummidio del v. 95 è un personaggio sconosciuto, probabilmente un plebeo
dell’avaro, un verbo del linguaggio
in tal modo Orazio usa accortamente, parlando arricchito: è importante constatare che un sottile giuoco di parallelismi lo lega al mi-
legandolo ad amorem.
finanziario e lo trasferisce al suo mondo di affetti santropo ateniese dei vv. 64-67. Anche in questo caso, infatti, lo schema è quello della
va, Orazio favola (genericità del quidam, caratterizzazione del personaggio, sua condizione, apros-
vv. 88-91 Con una domanda retorica, a cui si attende una risposta negati
déketon conclusivo). In entrambi i contesti, poi, non solo c'è analogia di situazione
tempo cercando di trattenere e con-
chiede all’avaro se egli ritenga proprio di perder ma compaiono gli stessi vocaboli (quidam, sordidus, dives, nummos). A. giustiziare in
enza fra il valore momentaneo di
servare per sé l'affetto dei parenti (si noti la differ modo tanto efferato il riccone sarà una schiava affrancata e divenuta probabilmente
glieli ha dati senza alcuno sforzo
retinere e quello durativo di servare), visto che la natura qua concubina: l’aprosdéketon consiste sia nell’improvvisa azione della liberta, sia nel-
dal ritmo spondaico del v. 88).
da parte sua (la gravità della massima è sottolineata origi- l'inganno in cui cade Ummidio. Egli, infatti, aveva i suoi motivi di timore e, quindi
etimologico: natura, nel suo senso
Cognatus e natura sono legati da un rapporto aveva preso le sue precauzioni: ma le sue paure erano di tutt'altra natura, perché egli
dedit leges a sanguine ductas e A. Pel
nario, è la nascita (cfr. ProP. 4, 11, 47 mi natura in
latin, Paris 1966, 369 sgg.),
licer, Natura. Étude sémantique et historique du monde enfatizza la paura di Ummidio) non da una liberta, ma dalla penuria victus!
di sangue ; cognatus indica, appunto,
base alla quale si acquistano i parenti per legami In quanto alla liberta, per il suo gesto è paragonata a Clitennestra, figlia di Tin-
a il parente acquisito (su sangue
chi è consanguineo e si oppone ad adfinis, che design daro e moglie di Agamennone. La degradazione di un avvenimento Rana famoso è
1984, 84-97).
e parentela cfr. G. Guastella, « Mater. e disc. » 15, tayyiunta grazie alla sostituzione dell’eroina tragica con un’insignificante liberta; ma
senza fatica per l’uomo ; quando egli, invece, non
L'azione della natura è sempre essi investe anche lo stile. Oltre all’iperbolico divisit medium, si noti che il v 100 è
stare a caro prezzo ciò che de-
sì accontenta dei doni della natura, è costretto a conqui «omposto solo da 4 parole e presenta in clausola una parola di 5 sillabe preceduta da
debba mantenere il suo senso
sidera. In vista di tutto ciò sembra proprio che infelix un quadrisillabo: sull'uso parodico di vocaboli di molte sillabe cfr. Hofmann-Szantyr
one di felix, in origine ‘ fecondo ”,
originario di ‘ senza frutto”: infelix, infatti, è la negazi 757 e Marouzeau 1954, 101, il quale a proposito del v. 100 osserva che le due parole
‘ ricco di frutti’ (Ernout-Meillet 224). poltatllabiche devono sottolineare la grandezza di visioni epiche, come in 1, 6, 4 legio-
è citato il caso di chi si sforza
Come esempio del perder tempo in una vana fatica nibus imperitarint. Si tratta di clausola particolarmente gradita ad Ennio, che qui però
georg. 3, 116; Trs. 2, 1, 41 e
per addestrare (su questo significato di docere cfr. VERG. suona chiaramente parodica. Mentre, poi, la serie di imperfetti (metiretur vestiret,
: si tratta di tematica prover-
Hus 1965, 132) un asinello a correre nel Campo Marzio opbrimeret, metuebat) esprime il dilatarsi nel tempo della prospera condizione di Um:
e un asino al rango di cavallo
biale, sia per quanto riguarda l'impossibilità di elevar mito, il perfetto divisit ne segna drasticamente la fine e rende ancor più efficace l’ef-
a dell'asino, che rende vana ogni
sia per quanto concerne la proverbiale disubbidienz
Satire I 1, 101-112 315
31 4 Orazio

io anticipa quella dra Vappa (v. 104) è il vino svampito e andato a male, come chiarisce Plinio, nat. hist.
fetto a sorpresa dell’azione della liberta. La ricchezza di Ummid T. 14, 125 vitium musto quibusdam in locis iterum sponte fervere, qua calamitate deperit sapor
nel « contar denaro a moggi »: e
petroniana Fortunata, consorte di Trimalchione, vabpaeque accibit nomen, probrosum etiam hominum, cum degeneravit animus (come si
Fortunata) nummos modio metitur.
infatti la stessa espressione in Satyr. 37, 3 quae (sc. vede, Plinio spiega anche l’origine del significato metaforico del sostantivo). Nebulo
Borzs4k, ci pone di fronte a (‘ uomo dall’animo fumoso ’ e, quindi, ‘ buono a nulla ’) è collegato per paraetimologia
vv. 101-104 Il tràdito Naevius, accettato da Klingner e u nebula: cfr. Paur. Fest. 162, 8 L. (che si richiama all’autorità di Elio Stilone) nebulo
in tantum parcus ut sordidus
uno sconosciuto personaggio che, secondo Porfirione, fuit dictus est, ut dit Aelius Stilo, qui non pluris est quam nebula, aut qui non facile perspici
o di avarizia, ma di prodi-
merito haberetur: qui, tuttavia, non ci si attende un esempi bossit qualis sit, nequam, nugator. Entrambi i termini ritornano in senso traslato nella
quatore del tempo diCiserone è
galità. Cassio Nomentano, infatti, era un noto scialac sutira seguente (v. 12).
2, 1, 22; 2, 3, 175. 224): cfr.
poi, di Orazio, più volte ricordato nelle satire (1, 8, 11;
contra Cassius Nomentanus, adeo sine respectu calculorum
il commento di Porfirione: vv. 105-107 Sull’identità di Tanai e del suocero di Visellio c’informa Porfirione: il
rit. Huius libertum, Damam
suorum prodigus, ut sestertium septuagies gulae libidini impende primo, liberto di Mecenate o di L. Munazio Planco, era un eunuco, mentre il secondo
s milibus annuis con ue
nomine, cocum Sallustius Crispus historiarum scriptor fertur centeni aveva un’ernia mostruosa (herniosus, secondo Porfirione; hernia è sinonimo di « coleus
in Maeni us del Glareanus, che
tum habuisse. Sembra necessaria, quindi, la correzione praegrandis »: cfr. THIL VI 3, 2659, 9). Grazie a questa colorita coppia di personaggi
un Menio, infatti, è citato da
Shackleton Bailey ha avuto il merito di riproporre: *»- strettamente legati al contesto successivo dalla ripresa di est quiddam inter ecc. (su
i l l
Lucilio come esempio di prodigalità. est inter cfr. Hofmann-Szantyr 299) in est modus in rebus — Orazio attenua la pesantezza
di Orazio vadano ine
All’obiezione dell’avarus, il quale ritiene che i suggerimenti della massima, in cui è formulato il concetto della metriotes (al suo carattere grave molto
di denaro, il poeta risponde che egli Ù
terpretati come un invito alla dissipazione contribuiscono est all’inizio del primo membro del v. 106 e sunt all’inizio del secondo).
a pugni (pugna ntia secum), perché
ostina a metter di fronte due concetti che fanno Rectum indica ‘ ciò che sta diritto ’ e, in senso metaforico, ‘il giusto ’; il valore etimo-
ne a diveni re scialacquatore.
l'invito a non essere spilorcio non equivale a un’esortazio logico è ripreso da consistere.
militare e gladiatorio (in ogni
Il contrasto viene espresso con immagini del linguaggio L'ideale della metriotes è qui rappresentato come una via di mezzo fra gli estremi,
pugnantia, frontibus aduersi
caso del linguaggio della lotta): in tale ambito s'inseriscono ul di là o al di qua della quale non bisogna spingersi (su ultra citraque cfr. Puelma 1949,
Liv. 22, 47, 1 frontibus adversis
(cfr. Lucr. 6, 116-7 concurrere nubes/ frontibus adversis; 47. 67). Sulla mediocritas cfr. gli esempi raccolti da Nisbet-Hubbard 1978, 160 ‘e sul
1, 2, 30; Lucan, 7, 321. 465; Pane
concurrendum erat e inoltre bell. Afr. 27, 1; Ov. trist. nesso certi... fines Minarini 1977, 109.
gio militare frons è, secondo
nat. hist. 9, 5; Si. 5, 94; 10, 216; Tac. hist. 2, 25: nel linguag
a est »), componere « mettere
il ThIL VI 1, 1360, 36, « ea pars quae hostibus opposit vv. 108-112 Redeo è verbo che convenzionalmente designa il ritorno al tema princi-
di un verbo che indica il testa
di fronte », detto di due avversari nella lotta; si tratta pule dopo una digressione: cfr. 1, 6, 45 nunc ad me redeo; Lucir. 282 M. dixi... ad
245 sge. Componere ricompare con
a testa negli scontri fra gladiatori: cfr. ThIL Ill 2112, principium redeo. Nella conclusione della satira, infatti, si ritorna al contesto iniziale
compositum melius cum Bitho
pugnare in 1, 7, 19-20 Rupili et Persi par pugnat, uti nonf con un’intenzionale ripresa (cfr. Kraggerud 1978, 133 sgg.): ritroviamo qui, che dunque
cfr. già Luer. 1512 M. cum
Bacchius: Bito e Bacchio erano due celebri gladiatori; anche nel v. 108 sarà sinonimo di quomodo come nel v. 1 e conferirà un’intonazione
gladiator qui fuit unus e, poi,
Pacideiano componitur, optimus multo/ post homines natos interrogativa alla frase, e inoltre nemo... laudet diversa sequentis; anche qui, come al
componi). Questa confluenza
Sen, dial. 1, 3, 4 ignominiam iudicat gladiator cum inferiore v. 3, dal precedente nemo occorre ricavare il contrario unusquisque quale soggetto di
abile l’interpretazione i
d'immagini della lotta gladiatoria sembra rendere improb luidlet. Infine hunc atque hunc superare laboret riprende il tema del labor, già trattato nei
s adversis e riconduce 1 imma-
Colucci 1975, 203-7, il quale unisce pugnantia a frontibu vv. 28 spg.
adversis gli animali di solito cone
gine alla consuetudine agricola di far lottare cornibus Nel v. 108 a nemon ut dei migliori rappresentanti della tradizione manoscritta viene
e) nel lavoro dei campi.
giunti (componere, appunto, secondo questa interpretazion generalmente preferito qui nemo ut del Blandinianus vetustissimus Cruquii; chi, invece,
v. 104 (virgola prima o dopo
Gli editori sono in disaccordo sulla punteggiatura del uccetta la lezione della vulgata, pone segno d’interrogazione dopo sequentis e laboret.
te di sottintendere esse (cum
fieri); la prima ipotesi sembra preferibile, perché permet Li questo parere è Fraenkel 1957, 97, secondo cui nemon ut... se probet ac potius laudet
success ione fra la realtà dell essere
veto te esse avarum). In tal caso si stabilisce una logica « belongs to the class of ‘ repudiating questions ’ in the subj. »; in tal caso la domanda
o caso, invece, appare .illo-
avaro e la possibilità di divenire scialacquatore; nel second sarebbe formulata con un’intonazione risentita (« è mai possibile che ... ? »). Questa
già lo è.
gico che Orazio voglia dissuadere dal divenire avaro chi
Satire I 1, 113-121 317
Orazio
316

cfr. E. Fraenkel, Das Reifen der horazischen Satire, in Festschrift R. Reitzenstein, Leipzi
accettata dal solo Borzsàk, mentre l’hanno
interpretazione di Fraenkel, tuttavia, è stata 1931, 125 n, 1. Sulla funzione di illum (v. 115), nell’ambito della via che porta dal di
studiosi oraziani che dopo di lui si sono
confutata, con numerosi argomenti, tutti gli mostrativo latino all'articolo nelle lingue romanze, si sofferma Léfstedt 1942, 360
r, « Gnom. » 31, 1959, 600-1, Harrison
soffermati sul passo: basterà rinviare a C. Becke o Al v, 116 temnens (i.q. contemnens) è un esempio, di colorito arcaico e poetico di sim
1966, 274-5, Kraggerud 1978, 137-9. Quant
1961, 44-45, Wimmel 1962, 74 sgg., Rudd le, plex pro composito, per cui cfr. Hofmann-Szantyr 298-9, Ernout-Meillet 680.
le ripresa di termini della parte inizia
si è sopra osservato a proposito dell’intenziona
contesto del qui con valore di quomodo con
è in favore della presenza anche in questo vv, 117-119 Come conseguenza di uno stile di vita talmente diffuso, solo pochi riten-
cui aveva avuto inizio la satira. gono d'esser vissuti felici e, al momento di prender congedo dalla vita l’abbandonano
ne che di ut avarus danno Kiessling-
Del tutto improbabile appare l’interpretazio come convitati sazi. Continua la riproposizione di espressioni della parte iniziale:
»), generalizzando in tal modo il concetto
Heinze 20 (= utpote avarus, « avaro qual è inde fit costituisce la risposta all’interrogativo iniziale (v. 1 qui fit), mentre content |
casistica (« com'è il caso dell’avaro »).
di avaritia: l’avarus, invece, rientra nella (ullitterante con cedat e con conviva) riprende il contentus del v. 3, ia
agricola doveva esser proverbiale, come
In un tipo di economia prevalentemente La vita è considerata come un banchetto, dal quale prima o poi è necessario al-
degli esempi d'invidia nei confronti della
appunto osserva Porfirione, nell'ambito lontanarsi; soddisfatto della vita è colui che da questo banchetto si allontana sazio
d’un altro aveva le mammelle più rigonfie
sorte altrui, lo struggersi perché la capretta 0 SI tratta d'immagine che, per quanto attestata nella diatriba (Bione, citato da Telete
motivo è presentato da Ovidio, ars 1, 349-5
della propria capretta: allo stesso modo il esemp i p. 11, 2 Hense), è di probabile origine epicurea, come si deduce dalla sua presenza in
umque pecus grandius uber habet (altri
fertilior seges est alienis semper in agris/ vicin Lucrezio (3, 938-9 cur non, ut plenus vitae conviva, recedis/ aequo animoque capis securam
(v. 111) è prosastico nei confronti di tabere
in Otto 13 s.v. alienus). Il verbo tabescere stulte, quietem) e da un’affermazione di Cicerone di analoga derivazione (Tusc. 5 118
Orazio, nella descrizione dell’intimo strug-
(Ernout-Meillet 672), ma è stato scelto da mihi quidem in vita servanda videtur illa lex, quae in Graecorum conviviis optinetur: « Aut
carica espressiva e per il suo potere evo-
gimento dell’avaro, proprio per la sua forte hibat — inquit — aut abeat » et recte. Aut enim fruatur aliquis pariter cum aliis voluptate
tiene alla rappresentazione metaforica
cativo: si tratta, infatti, di un verbo che appar potandi, aut, ne sobrius in violentiam vinolentorum incidat, ante discedat). Orazio stes
consunzione fisica dell'amante infelice
dell'amore come malattia e indica la lenta riprende l’identificazione della vita con un convito, dal quale bisogna ‘llontanersi de.
è preferito a hunc atque illum nella lingua
(cfr. Fedeli 1980, 347-8). Hunc atque hunc corosamente, dopo aver mangiato e bevuto a sufficienza, in epist, 2, 2, 213-6 vivere
Hofmann 1980, 340, cfr. quanto si è os-
familiare (oltre alla nota della Ricottilli a sl recte nescis, decede peritis.| Lusisti satis, edisti satis atque bibisti:/ tempus 'abire tibi est
17-18).
servato a proposito di hinc... hinc ai vv. botum largius aequo] rideat et pulset lasciva decentius aetas. SI
Orazio introduce anche un raffinato giuoco etimologico fra vita e conviva, coniati
le corse dei cavalli è d’origine enniana: cfr.
vv. 113-116 La similitudine con l’auriga e catrambi sulla radice di vivere: ce lo fa capire Petimologia di convivium in Cic. Cato
cum sonitu magno permittere certant/ quomque
ann. 463-5 Sk. quom a carcere fusi] currus
se ne serve nelle Georgiche (1, 512 sgg.;
l‘» bene enim maiores nostri accubitionem epularem amicorum, quia vitae coniunctionem
gubernator magna contorsit equos vi; Virgilio huberet, convivium nominaverunt, melius quam Graeci qui hoc idem tum compotationem
ndo più aderente al contesto enniano nella
3, 103 sgg.) e nell’Eneide (5, 144 sgg.), resta ten concenationem vocant. Lucrezio è presente anche nella clausola reperire queamus
Orazio, invece, deve insistere per forza di
rappresentazione a tinte forti della corsa: che ricorda sentire queamus (3, 823) o vitare queamus (6, 409). i
ia.
cose sulla tematica della gara per la vittor
i, da carceres (i cancelli che venivano
Abbondano, com'è ovvio, i termini tecnic vv. 120-121 Iam satis est è una delle formule di tono colloquiale con cui Orazio pon
mittere (che indica lo scatto iniziale dei
aperti al momento della partenza) al verbo un freno al suo dire e ammonisce se stesso. Ad alleggerire il tono serio e la rofone
instat equis esprime l’idea dell’incalzare da
cavalli al via) a currus e ad auriga, mentre dirà dei concetti filosofici dei versi precedenti giunge, improvvisa, l’immagine con 1 _
doche per equus, che suona fortemente
vicino i cavalli che precedono. Ungula è sined alva delle cassette di rotoli papiracei del cisposo Crispino. Secondo Porfizione Cris inc ,
dinamica all’atteggiamento del cavallo nel
espressiva in quanto conferisce una carica i- philosophiae studiosus fuit, idem et carmina scripsit, sed tam garrule ut aretalogus. diceretur, ;
sia l'unghia del cavallo a schizzar via all’in
momento della partenza: sembra quasi che
zio della corsa. Crlapito era un verseggiatore prolifico e insopportabile, come ci fanno capire le frec-
anch'essa cadenze enniane: cfr. ann.
La chiusa d’esametro ungula currus rievoca cinte che Orazio non gli risparmia in più d’una occasione (cfr. anche 1, 3, 139; 1, 4
431 cava concutit ungula terram e inoltre VERG.
263 Sk. summo sonitu quatit ungula terram,
di si . . ’ I >

lA; 2, 7, 45). L’ironia dovrebbe consistere nel fatto che i lippi, condannati com'erano
denza di Orazio da Ennio nei vv. 114-5
Aen. 8, 596; 11, 875. Sulla probabile dipen
319
Satire I 2

Orazio
318
anche per i rapporti sessuali con donne d’infimo rango, come le attrici del mimo e le
chiacchieroni
li tormentava, finivano per divenire meretrici da bordello, perché a soffrirne è la fama oltre che il patrimonio (vv. 55-58).
all’inattività dalla congiuntivite che tempo stes
retazione giusta, Orazio ironizza a Da un punto di vista etico, invece, non c'è differenza nel prendere una sbandata per
per eccellenza. Se questa è l’interp è la decisio
ne

1, 5, 30): tanto più motivata, allora,


% 13
. .

una matrona o per una libertina o per una vilissima prostituta (vv. 59-63). Lo sa bene
sulla propria situazione di lippus (cfr.
°

di più. Villio, che ha pagato a caro prezzo la sua passione per una nobile matrona: Fausta,
finale di non aggiungere una parola
lu libidinosa figlia di Silla (vv. 64-72). Sarà opportuno, quindi, seguire la natura, che
ha saggiamente provveduto ad un facile appagamento dei desideri sessuali, e cessare
2 di correr dietro alle matrone: oltretutto non si può mai sapere se le matrone imbel-
lettate abbiano veramente un bell’aspetto naturale. Da questo punto di vista è neces-
76-86; D. ARE
1950, 18-31; E. FraenKEL 1957, marlo che gli spasimanti soppesino attentamente pregi e difetti, in luogo di aver occhi
Q. CATAUDELLA, « Par. pass. » 5, . Jour n. Philol. » ”
86-96; CYNTHIA Dessen, « Amer soltanto per i pregi (vv. 73-93). Delle matrone, avvolte come sono nella stola dalla
stroNG, « Arion» 3. 2, 1964, « Class . Jorn : >
n» 9, 1970, 220-245; E.W. BUSHALA, testa ai piedi, non si riesce mai a capire se abbiano un bel corpo: e poi, scortate
1968, 200-8; L.C. CuRRAN, « Ario t E. Burc Ste
mentum Chiloniense. Festschrif da guardiani, parrucchiere e dame di compagnia, riescono inaccessibili ai loro spa-
66, 1971, 312-5; E. LerèvRE in Monu sa .
Orazio. Una misura per l’amore, Veno xImanti. Con l’altro tipo di donna, invece, problemi del genere non esistono (vv.
dam 1975, 311-346; M. GIGANTE,
94.104).
espressa
e gli adùlteri: in essa, tuttavia, non è A queste obiezioni l’innamorato risponde con le parole del cacciatore, che insegue
La satira ha come bersagli l’adulterio conn otat i nega:
l’atto in sé, ma V'adulterio assume lu preda difficile da raggiungere e disdegna le facili conquiste, e cita a suo sostegno un
una condanna d’ordine morale per con le mad
generale del giusto mezzo. I rapporti epigramma di Callimaco (vv. 105-8). I versi, però, sono inutili; c'è bisogno, invece,
tivi perché in contrasto col concetto come alterne”
tto per i rischi a cui espongono: «dI una sana filosofia, che insegni a vivere secondo natura e a distinguere la realtà dal-
trone, infatti, sono da evitare soprattu a so ° icon
to dei piaceri sessuali. Per lui si,tratt l'apparenza (vv. 109-113). Di conseguenza, come quando si ha fame e sete non si vanno
tiva, però, Orazio non offre il rifiu a | ei rapp orti eni
donne considerate nell’ottic u cercare cibi prelibati e coppe dorate, così nei momenti in cui il desiderio sessuale è
prendere che fra le tre categorie di rese ntat o Ù » le
da postribolo) il giusto mezzo è rapp Incontenibile bisogna sapersi accontentare di chi capita a tiro, senza fare gli schizzi
(le matrone, le libertinae, le schiave esi cre 00 rere
rivolgersi l'uomo saggio, che non nosi, Si eviteranno, in tal modo, le paure e le fughe precipitose e si salveranno il denaro,
libertinae, alle quali, dunque, dovrà de carm e
propria esistenza. Nella prima parte lu fama, l’onore. Non esiste cosa peggiore dell’esser colti in flagrante adulterio: anche
rischi o subire sconvolgimenti nella aver mos to
one dell’adulterio come eccesso dopo lo stesso Fabio sarà pronto ad ammetterlo (vv. 114-134).
(vv. 1-36) Orazio giunge alla definizi Tige io (eroprio è N
i del prodigo, raffigurato da Si è parlato di tematica sgradevole e poco interessante (Fraenkel 1957, 76): ma la
eccessi d’altro tipo (vv. 1-27): quell usur aio : È i,
la satira), e poi dell avaro, dell Jisussione sull’adulterio, ammesso pure che possa sembrare banale e non presenti
la descrizione del suo funerale si apre passa a cena °
dello zoticone (Gargonio). Di lì si
dell’elegantone raffinato (Rufillo) e
unu soluzione convincente, al poeta serve solo per riproporre il concetto della me-
per e ma » A
erotico, che vanno dalla passione tridtes. Si trattava, per di più, di un argomento tutt'altro che banale, ma dalla forte in-
le tendenze estreme nel rapporto o °, o pato cai
a per le schia ve da lupa nare : un tipo d’amore, questo, consigliat cidenza sul tessuto sociale contemporaneo, a proposito del quale Orazio sembra con-
quell ibertina orsi
ne il Censore (vv. 28-36). dele dividere il punto di vista dei tradizionalisti: lo dimostrano l’esempio catoniano e la
padri, come mostra l'esempio di Cato succ essi va arg
esse saranno tirate in ballo nella zoluzione prospettata dal poeta stesso.
parla ancora, perché naturalmente i
i e elemento risolutore. Nn
Si è parlato anche di eccessiva crudezza di stile, e si è visto in ciò un tratto nega-
a da una solenne cita zione enniana, tivo: ma forse il discorso va impostato su basi diverse. Si tratterà piuttosto di capire
Poca Seconda parte della satira, apert (vv. lug
danni in cui incorrono gli adùlteri ehe il genere letterario e l'argomento prescelto non consentivano ad Orazio di servirsi
sviluppa dapprima la tematica dei che però non è ‘o
all’ascolto delle sue parole, di immagini diverse da quelle improntate a un realismo fortemente espressivo. Ma,
l'esordio è segnato da un invito L’ad u terio non solo
godono delle loro sventure. al di là di ciò, è già evidente in questa, che con ogni probabilità appartiene alle prime
agli adùlteri, ma proprio a quanti conc usioni spes
o rischioso, come dimostrano le antire composte da Orazio (cfr. in proposito Fraenkel 1957, 76), la maturità di chi sa
va a buon fine raramente, ma è molt molto più sicura a
cruente e infamanti di tres che
scoperte dai mariti (vv. 37-46). È maneggiare registri stilistici diversi a seconda delle situazioni e sa conferire valore
patrimonio fami-
hé per le libertinae non si dissipi il dosaggio di reminiscenze epiche, di
seconda categoria di donne, purc ironico ai contesti proprio con un opportuno
naturalmente,
(vv. 47-54). Questo principio vale,
liare, come è avvenuto a Sallustio
Orazio Satire I 2, 1-11 321
320

elevate (da Ennio, da Callimaco, da Filo- sume che si trattava di personaggi dalla facile loquela, che intrattenevano i commensali
accenti solenni e di citazioni letterariamente nei pranzi dei ricchi. Altre spiegazioni del nome appaiono fantasiose (ps.-Acrone:
demo, dall’epicureismo in genere). balatrones autem luxuriosos ac perditos vocat a Servilio Balatrone che, come si apprende da
si apre con una singolare sfilata di personaggi, 2, 8, 21, era uno scurra di Mecenate; oppure, sempre nello ps.-Acrone: legitur et
vv. 1-4 ambubaiarum erat: la satira
La tecnica è quella della sorpresa: solo al baratrones, qui bona sua lacerant, id est in barathrum mittunt).
unificata poi nel colloquiale hoc genu s omne. soprattutto, Ò Nel v. 3 viene introdotto il motivo del cordoglio: la prima parte dell’esametro
ativi, non di vocativi. Ma,
v. 3 si capisce, infatti, che si tratta di nomin cccezionale, di caprime l'atteggiamento dolente della genia illustrata nei vv. 1-2, col ricercato nesso
nante, con quell osametro
stile dell'esordio è esageratamente altiso
ata tradizione epica (cfr. su ques 7 scniea maestum ac sollicitum (maestus è poetico, da Ennio in poi, nei confronti del prosastico
sole tre parole, come nella più pura e ricerc
Tuttavia la lista di mestieri vil mi subito tristis: cfr. TRIL VII 46, 3); la seconda è occupata dalla menzione del personaggio, il
Fraenkel 1957, 76, Hofmann-Szantyr 757).
a fini d ironia. La sorpresa risie e ino cui nome è posto in particolare rilievo nella chiusa, e dall’annunzio della sua morte.
capire al lettore che la solennità è sfruttata peg Tigellio era un noto cantore di origine sarda (1, 3, 4-5), prediletto da Cesare, da Otta-
v. 3 si capisce la funzione di ta. i pe
nel fatto che, anche in questo caso, solo nel io n vlano e anche da Cleopatra, come ricorda Porfirione. Nonostante la confusione degli
enfasi Tigellio, il grande cantori propr
che sono destinati a introdurre con ironica
in tutto degno di chi, come lui, in vi scoliasti, non va identificato col più giovane Tigellio Ermogene, ricordato anche da
bel funerale, quindi, con un eletto corteo, Orazio nelle satire: cfr. F. Minzer, RE VI A 1 (1936) 943-6. Secondo lo ps.-Acrone,
i ’attributo di benignus!
parola aramaica che i qui Orazio mutato nomine per invidiam cantorem pro musico obtrectatione dicit.
n eri i erano flautiste siriane, così dette da abbub,
aia, però, era ormai divenuto sinonimo
di Quippe benignus erat ha il valore di un epitafio, nonostante l’espressione sia intro-
dica il flauto (Ernout-Meillet 27); ambub es me e de dotta da quibpe (presente in Orazio solo in carm. 1, 31, 13), che ha carattere dialogico
ione: ambubaiae Le ii madier
scortum. Basta leggere il commento di Porfir r (chi parla s’interrompe e fa subito seguire la risposta o la spiegazione: cfr. Hofmann-
um et ebrietate balbutientium cuiverborum viaetu
viles, quibus nomen hoc casu vanordl ‘0
. dici. Da parte sua Svetoni Szantyr 278); benignus è attributo frequente del defunto nei Carmina Latina Epigraphica:
tum. es Syra lingua putant
Nonnulli tamen ambubaias tibicin
ria. Am bubaia è definiti a dal
inisteri
i m ministe cfr. 483, 6 ingenio studio docilis animoque benignus; 755, 8 blandus eras servis cunctisque
i scortorum... et ambubaiaru
furib nda lite co-o” benignus amicis; 840, 3 corde benignus; 1368, 15 largus vel sapiens dispensaturque benignus;
petrodiniano
i lchioi ne perla
Trima
at ie la moglieie Fortunata , nel momentot della a furibo
e vocabolo ineccepibile, in quanto esi. 1387, 7 indultus cunctis famulisque benignus; 1391, 9 iustitiae custos rectus patiensque
niugale (74, 13). Apparentemente collegia appar n
ocon- banignus. Qui, però, l'aggettivo ha tutt'altro carattere, perché Tigellio non... vere
e professioni infime; a causa, però, del
stevano collegia di attrici del mi mo e di altre altrettanto iro benignus erat sed prodigus; ex illorum autem persuasione dixit, quibus donabat et largus
qui è presentata, collegia suona
testo e della singolare corporazione che di esercitare nimium videbatur (ps.-Acr. al v. 4).
num in Arut. Met. n 1-2.
nico e paradossale quanto collegium latro sa ercltare
e droghe, con a prete
I pharmacopolae erano venditori di farmaci a în vv. 4 6 contra—possit: il vero significato di benignus è chiarito subito, nella presenta-
e stes
un'arte affine a quella medica, ma con la fama di ciarlatani, solidament
2 (1938) 1840-1. Gellio (1, 15,9) ricord È alone che si fa del personaggio antitetico (contra hic): l’avaro, che si oppone al prodigus,
dalla commedia attica: cfr. W. Morel, RE XIX
ascoltare i discorsi dei pharmacopolae, sategoria alla quale apparteneva evidentemente il defunto Tigellio. L’insensatezza del
che Catone era solito dire che si potevano i cdi eomportamento dell’avaro è sottolineata dall’allitterazione (frigus... famem propellere
to alla loro competenza.
in caso di malattia nessuno si sarebbe affida ca termin e mendi ei bosslt) e dalla presenza della coppia allitterante frigus... famem (quest’ultima accom-
rdinaria serie.
Mendici, mimae, balatrones completano la strao li ì rai pagnata, per di più, dall’aggettivo durus), che compare anche in Cic. fin. 4, 69.
oti di Cibele o di si cod
sono probabilmente indicati miserabili sacerd
basso rango che recitavano i pe eo
orientali, mentre le mimae erano attrici di
commedia anche io Son nili erano vv. 7.11 Introdotto dal prevalentemente prosastico percontari (« sondare »: cfr. Cic.
popolari (com'è noto, nella tragedia e nella , si Tedhuse che fin. 2, 2 percontando atque interrogando elicere solebat eorum opinionem),. ci viene presen-
Valerio Massimo È
interpretati da attori di sesso maschile). Da
sse alle mimae i recitare nu ” pon tato lo stile di vita dello scialacquatore: se gli si chiedessero i motivi, che lo spingono
ai ludi Florales era normale che il popolo chiede
I di dia. 85 va di n Di __& sperperare il patrimonio accumulato dal nonno e dal padre, risponderebbe che così
è nome di origine incerta, attestato ST . 85, 4). #i comporta per non sembrare un tirchio. C'è un evidente contrasto di stile e di imma-
21, 1) e in 5. Gerola
: ecribtores Historiae Augustae (Car.
ur) e dello pete gini fra lu caratterizzazione di ciò che lo scialacquatore ha ereditato (avi atque parentis
rei Sezione (balathrones a balatu et vaniloquentia dicunt
ores in loquendo, procac iores, abiec praeclaram rem) e il suo spregevole comportamento: da un lato si notino il carattere
a 2, 8, 21 (balathrones dicuntur derisores, liberi

Satire I 2, 12-14 323
Orazio
322
tori Fufidio appaia come personaggio dotato di notevoli sostanze, che dava in prestito
1610, 74 sgg.; grosse somme: in Pis. 86 un Fufidio presta 100 © 200 talenti alla città illirica di
Apol-
(cfr. le attestazioni in ThiL Il
ufficiale del nesso avi atque parentis . 3, 4a, 7 quando podere in Arpino per
ula legale ricordata da PAUL. sent lonla nel 57; tre anni dopo Cicerone acquista da un Fufidio un
Kiessling-Heinze 26 citano la form di praeclaram rem i im-
tua disperdis), il tono maestoso un milione di sesterzi (ad Q. f. 3, 1, 3) e un Fufidio lo nomina erede di sostanzios
tibi bona paterna avitaque nequitia rniciano il v. 8, Fufidio
l’aggettivo e sostantivo che inco mobili nel 47 (Att. 11, 13, 3; 11, 14, 3; 11; 15, 4: cfr. Maselli 1986, 61). Il
in luogo del normale amplam rem, concorro- o dei due
azion e chias tica nel v. 9 (omn ia conductis coemens obsonia); dall’altro della satira oraziana non vuole passare per vappa o per nebulo (sul significat
l’allitter al di là dell’appel- perché teme, non mostran-
te espressiva dello scialacquatore, tormini cfr, il commento a 1, 1, 104), secondo ps.-Acro ne
no ad una raffigurazione fortemen il verbo stringere: Con-
, la ‘ iunctura ° ingrata ingluvie e dosi deciso nel pretendere il denaro dato ad usura, di passare per vilis ac nugator.
lativo di malus che a lui è affibbiato (cfr. VARR. ad. Serv.
rio le pieghe di grasso della gola formemente alla sua attività, egli viene presentato con un’accumulazione di termini
ingluvies designa in senso prop cfr. anche Gr. 6, 16, 4
co, come qui, la voracità: del linguaggio bancario.
georg. 3, 431), in senso metafori gavit (altre atte- in
rum ... quae profunda ingluvies vesti Il v. 13, che è trascurato nei commenti degli scoliasti e ricompare tale e quale
genera . .. edulium et domicilia cibo rpre tato in modo errato è stato ritenuto interpola to da Sa-
1557, 38 sgg.); ingratus è inte ars 421, sia pure in un contesto di tutt'altro tono,
stazioni più tarde in ThIL VII 1, grata gula, si
omnia sine norma voret; quia non
est nadon: autorevoli sostenitori dell’interpolazione sono, oltre a Klingner, G. Jachmann
dallo ps.-Acrone (sine gratia, quia ei praestiteris, gratiam particolare,
patrimonium, aut quia, quidquid in Studi Paoli, Firenze 1956, 401 e Fraenkel 1957, 77 n. 2. Quest'ultimo, in
propter ibsam consumbium fuerit che è attestato a
ha il significato di ‘ insaziabile’, titlene che l’interpolatore abbia giudicato necessario dichiarare apertamente l’attività
tibi habere non potest): qui, infatti, er: cfr. Moussy anche i
da Lucr ezio (3, 1003 dein de animi ingratam naturam pascere semp di Fufidio e, per questo motivo, sia ricorso ad ars 421. Tuttavia, da un lato
parti re la mano chiusa dall'altro il v. 13
o proprio indica lo strisciare con varsi successivi denunciano con chiarezza che Fufidio è un usuraio,
1966, 192-3); stringere, che in sens meta foricamente l’esistenza di un
lo di tutte le sue foglie, sta qui al rivela tutt'altro che superfluo: Orazio, infatti, mostra di conoscere
lungo un ramo in modo da spogliar one
Ernout-Meillet 656-7). ormul consolidato rapporto tra i faeneratores e la campagna. In tal senso « l’espressi
per ‘ rovinare ’, ‘ distruggere’ (cfr. scialacqua- il
dici, perché il modo di vivere dello dives agris, oltre a farci intendere in quale settore d’investimenti Fufidius pilotasse
Un tale contrasto ha chiari fini paro ata degli acqui- beni fon-
inser ito in uno scen ario epico. Coemens (v. 9) enfatizza la port suo danaro, indica di fatto una solidità economica garantita dal possesso di
tore vien e peraltro anche da stu- nei suoi versi l'eco
ince la spiegazione, accettata diari, E anche qui il Venosino, senza dubbio, non fa che riportare
sti dello scialacquatore. Non conv ‘ faenore sumptis ’ Letteratura georgica e
s... nummis danno Porfirione (pro di un fenomeno sociale di consistente portata » (G. Cipriani,
diosi moderni, che di conducti praestatur) e lo 42). In difesa
e dicuntur eius, cui merces ob opus Investimento fondiario alla fine del I sec. a.C.: Orazio, Epod. 2, Bari 1980,
eleganter dixit, sicut conductae opera intellegant); rinvia
quamwis alii ‘ conductis congregatis’ del testo tràdito cfr. soprattutto Gigante 1993, 50-51. All’usuraio del II epodo
ps.-Acrone (a faeneratore acceptis ... a denaro kalendis ponere: cfr. anche 2,
a Iuvenat. 11, 46 conducta pecunia, pensano l'uno tecnico di ponere (epod. 2, 69-70 pecuniam/ quaerit
né convincono quanti, rinviando del dissipatore, o, che specula in opere
linea l’ingente capacità finanziaria 311. ullidus huic signo ponebam milia centum, detto di Damasipp
preso in prestito. Qui, infatti, si sotto rivol gersi a usurai:
ro in prestito o, addirittura, di dute).
che non ha bisogno di prendere dena ali da parte del auri;
alla concentrazione di tutti i capit Un'eco del v. 13 si sente in Vero. Aen. 9, 26 dives equum, dives pictai vestis et
Orazio vorrà alludere, piuttosto, i nudus nummis,
Orazio, da parte sua, sembra parodiare se stesso in 2, 3, 184 nudus agris,
dissipatore, a fini di sperpero. o di vista
la caratterizzazione dell’avaro dal punt insane, paternis.
Sordidus atque animi parvi (v. 10) è re sono
anti alla dichiarazione dello scia lacq uato Al v. 14 caput è, nella sua accezione economica, il capitale sul quale l’usuraio trat-
del dissipatore. Le reazioni contrast ab his, culpa tur ab interpretazione di caput come
perfetto parallelismo (laudatur tlane l'interesse. A proposito della troppo generica
espresse in modo lapidario, con sostantivo è ado-
summa (TAIL III 426, 82 sgg.), ha osservato Maselli 1986, 139 che il
illis). mediante
perato « per somme (o quantità) suscettibili di diminuzione o accrescimento
dell’usuraio, di 15, 10 de capite deducite,
7 Fufi dius -—ti ronu m: dopo il prodigo e l’avaro, è ora la volta sattruzione o addizione di quote o interessi »: cfr. Liv. 6,
vv. 12-1 ostante per
nei casi precedenti, si fa il nome. Non d usuris pernumeratum est, detto di una somma avuta in prestito da cittadini,
cui, contrariamente a quanto avvenuto tratt i dello stesso chiede il 60 % annuo
26, non è improbabile che si gui ai erano già versati gli interessi. Qui si capisce che Fufidio
lo scetticismo di Kiessling-Heinze te impr obab ile osserva Por-
sione da Cicerone (e non è ugualmen ilie somme date in prestito. Merces, infatti, è sinonimo di usura, come
Fufidio ricordato in più d'una occa stessa pers ona: (l’in-
ostanze da Cicerone sia sempre la firlone, c quinas mercedes fa capire che egli presta a un interesse del 5 % mensile
che il Fufidio ricordato in tre circ infat ti, che in entr ambi gli au-
F. Miin zer, RE VII 1 [191 0] 200-1). È significativo,
cfr.
324 Orazio Satire I 2° 16-26 325

61-62 registra il nostro


teresse legale era, invece, dell’1 % al mese). Il ThIL V 2, 1833, sulla struttura prosastica, attestata qui per la prima volta, di inducere + inf., cfr. TML
extorquere »: secondo Por-
come l’unico caso di exsecare « fere i.q. violenter exigere, VII 1, 1240, 26 sgg.), si può notare che in se cruciaverit l’uso riflessivo di cruciare è
ores, cum dant usu-
firione ‘ exsecat’ autem ‘ capiti’ ad illud pertinet, quod avari faenerat tipico della commedia (cfr. PLauT. Bacch. 493; Ter. Haut. 81; Eun. 95: qui, in parti
statim amoveant.
rariam pecuniam, primi mensis usuras capitis ibsius sorti golare, Orazio allude al v. 81 dell’Haut.), mentre peius, conformemente alla Datica
che qualcuno si trova in
Ma l’attività di Fufidio non si arresta qui: se si accorge della lingua d’uso, serve ad intensificare un’espressione di qualità (qui se cruciaverit
in malora per i debiti) lo
cattive acque (perditus, sc. aere alieno, indica chi è andato efr., Hofmann 1980, 200. 367). In questo panorama s'inserisce, probabilmente, la pre-
della belva che incalza la
assilla con ancor maggiore ferocia: in acrius urget c'è l’idea ferenza accordata all’arcaico gnatus nei confronti di natus, anche perché gnato i fugato
opportuno (cfr. OLD
sua vittima ed è pronta a balzarle addosso al momento più sembra ricollegarsi ai vv. 131 sgg. dell’Haut. di Terenzio (sed gnatum unicu UO
s.v. urgeo, [5b]). ego hinc eieci). ami en

e il gen. che lo specifica. vv. 23-24 Grazie a una domanda posta da un interlocutore fittizio si giunge a deter-
vv. 16-17 nomina=-tironum: la frase è incorniciata fra l’acc.
segnava sul libro dei minare lo scopo del discorso: quo res haec pertinet? trova un’immediata risposta nella
Nomina sono, per metonimia, i crediti, in quanto il pater familias
In questo caso l’infrazione massima, alla quale le allitterazioni e la disposizione chiastica conferiscono un carattere
conti il nome del debitore con la data e la somma dovuta.
non solo egli presta il denaro a solenne: dum vitant stulti vitia, in contraria currunt. Gli uomini, dunque, nel tentativo
di Fufidio è ancor più grave e doppiamente illegale:
alle costole di giovani dl evitare i difetti, nella loro follia (stulti, attributo di un sottinteso homines) cadono
usura, chiedendo interessi straordinari, ma addirittura si mette
per prestar loro denaro a
tra i 14 e i 16 anni (epoca in cui si prendeva la toga virile), nel «difetti contrari. La massima è di sapore stoico: cfr. Sen. benef. 6, 39 in id vitium
dopo i 25 anni si potevano Ineldentis quod evitat; SEN. contr. 7 praef. 4 (Albucius) dum alterum vitium devitat, inc
un elevato tasso d’interesse. C'è da tener presente che solo
contrarre debiti. debat In alterum. ni
indifesi e sprovveduti
C'è un intenzionale accostamento fra i patres duri e gli wi 25-26 Maltinus-usque: come esempi di opposti difetti sono citati Maltino, che
za materna, costituisce
tirones: la rigida severità dei padri, in contrasto con l’arrendevolez “ Ne vu a passeggio con la tunica sino ai piedi, e chi, al contrario, se la tira su fino al
Nel caso citato da
un luogo comune sin dalla commedia (cfr. Bettini 1986, 18-21). I inguine; se, poi, Rufillo odora di pasticche, Gargonio puzza di caprone. Maltinus
esemplare diviene
Orazio, di fronte a un atteggiamento ben consolidato e ritenuto (dla malta, cera per le tavolette) è soprannome che indica un effeminato (PorPHYR.: ab
appare tanto più spregev ole l’intervento
tanto più riprovevole la colpa dei figli e ti tamen nomen finxit. Maltha enim malacos dicitur; cfr. il commento di Marx al fr 732
dell’usuraio, che specula sulla loro indifferenza. di Lucilio insanum vocat, quem maltam ac feminam dici videt): lo indica d'altronde la
fortasse dicit aliquis, quod sua abitudine di portare la toga lunga sino ai piedi, per proteggere dal freddo le gambe
vv. 18-19 at=facit hic?: spiega bene lo ps.-Acrone: sed tl Inverosimili appaiono le ipotesi di Porfirione (sub Malthini nomine quidam Mae-
habet opulentiam vivendi. At
quaestu suo erogat in victum et, qui multum adquirit, fortasse tem suspicantur significari) e dello ps.-Acrone (Maecenatem tangit, varicosus enim
lingua viva: cfr. ThIL Il
ha qui una sfumatura limitativa (‘ ma almeno ’), tipica della fuit quidim delicatior et solutus). Sui vari modi di portare la toga si sofferma QuINT
Shackl eton Bailey si è schierato
1005, 10 sgg. Per quanto riguarda la punteggiatura, i 11, 3, 138-143. L’opposto di tunicis demissis è tunicis subductis (v. 26). i
messo alla fine dell’in-
con quanti hanno posto hic con vix... amicus: tuttavia l’hic
Come nella commedia,
terrogativa le conferisce una vivacità tipica del dialogo. 26 Riferito a Rufillus, l’agg. facetus significa ‘ elegante’: cfr. QuINT. inst. 6, 3, 20
non lascia all’interlocutore neanche il tempo di finire la frase, per formulare fasetum ... non tantum circa ridicula opinor consistere; neque enim diceret Horatius face
Orazio
la risposta. carminis genus (sat, 1, 10, 44) natura concessum esse Vergilio. Decoris hanc magis et
= feultae cuiusdam elegantiae appellationem puto. Si tratta di un significato tipico della
ato, spilorcio com'è
vv. 19-22 vix—hic: l’usuraio, invece di godersi il denaro accumul CT un edia (e.g. Praur. Asin. 351; Cist. 492; Pers. 306).
orumenos l'eccessiva se-
si tormenta peggio del Menedemo terenziano: nell’Hautontim Recentemente Shackleton Bailey ha adottato una punteggiatura diversa, legando
in Asia a fare il soldato: il
verità di Menedemo costringe il figlio Clinia ad andarsene al qui del v. 25, Ma basta confrontare il contesto della TV satira, in cui ricom-
espiazione del suo atteg-
padre, ravvedutosi, si sottopone alle maggiori privazioni, in il v. 27, preceduto tuttavia da un aggettivo che è ugualmente in enjambement
è caratte rizzato dalla presenza di
giamento nel passato. Non a caso il contesto oraziano ie qui fucetus (1, 4, 91-92 ineptus/ pastillos Rufillus olet, Gargonius hircum), per ca-
aliquem (sc. in scaenam:
formule della commedia: oltre all'espressione tecnica inducere che qui l’aggettivo va riferito a Rufillo. i
Satire I :2, 27-32 327
__Otazio
326
vee
v. 30 stentem
st è verbo tecnico
ico in
in riferimento
riferi alle cortigiane nell'esercizio del loro me-
elevato. Di Rufillo
a per un contesto tutt'altro che ° : cfr. v. am. 1, 10, 21 stat meretrix certo cuivis mercabilis aere; IuvenaL. 11, 172-3
v.-27 Un'elegante struttura chiastic e di Rufus o Rufinus
che si tratti di ironica modificazion nudum olido stans/ fornice mancipium. se
non si sa nulla; ma è probabile abile se si considera
1183). Ciò appare tanto più prob
(cfr. Miinzer, RE I A 1 [1914] vo (Paut. Fest. 249,
anch e pasti llus (« past icca a forma di panino ») è un diminuti ve
vv. 31- L episodi
episodio catoniano i è tratto probabilmente
i da una raccolta di Apopthegmata
che
utique deminutivum est d pane). A! , di di cui restano tracce in Plute Plutarco. . Porfiririone dà3 la stessa versione di Orazi razio,
3 L. pastillus forma parvi panis che si deve de-
(epist. 86, 13), ma in modo tale che sì limita a registrare la soddisfazione di Catone, nel vedere che un quidam notus
Parte del v. 27 è citata da Seneca . Sene ca parla dei ; pre eriva , le cortigiane N
testo probabilmente già corrotto nemo alle matrone, In realtà la storiella aveva una coda gustosa
durre che egli disponeva di un tare, di fatica, di
che mandavano odore di vita mili ta c ee conservata dallo ps.-Acrone: postea cum frequentius eum exeuntem de codem
Romani del buon tempo antico, mo è più sporco
e cont inua sost enen do che dopo l'invenzione dei bagni l’uo n mani di Ise, ixit: * Adulescens, ego te laudavi, tamquam hic intervenires, non tamquam
+ 6

uom o; o malfamato per


a: qua ndo Oraz io, poi, vuol e delinearci la figura di un uom bitares”. Non a caso all’aneddoto è appli pplicata la struttura con li Î
di allor ora, conclude Seneca,
dice pastillos Buccillus olet. Ma favolistici,
| stici, con l’inizi iniziale quidam
i notus homo (su questo modo di i aprire i un:
agi i
le sue raffinatezze sensuali, egli prendere il posto di
a di capra ed egli finirebbe per efr. Il commento di Fraenkelel al v. 719 dell’Agamennone eschi schileo). Ma l’episodio isodio ha h: un
di un Buccillo si direbbe che puzz ca, durique, in-
one a Buccillo. Nei codici di Sene preciso Iso sottofondo
fond ideologico,
i , dall e origini
igini antiche;
i ce lo fa capire il P co ntesto
contesto del del
quel Gargonio, che Orazio contrapp
e Buccillus. reno piautino, in cui a Fedromo, giunto di fronte alla casa del lenone Cappadoce
vece di Rufillus si legge per tre volt Seneca, cono-
to al male odor ante Garg onio , il cui nome è confermato da a Ni ice che nemo hinc prohibet nec vetat,/ quin quod palam est venale emas
In quan , è criticato da Seneca
e che, vissuto in epoca augustea + 33- )i e aggiunge (vv. 37-38): dum ted abstineas nupta, vidua, virgine,/ iuventute et
sciamo un retore con questo nom A partire da Bentley 422
sua voce sguaiata e pugnacissima.
padre (contr. 1, 7, 18) per la
pueris liberis, ama quidlubet. i i
vada identificato
che col retore del t empo di Augusto
i commentatori oraziani pensano Gaio Gargonio, che si
argo nio oraz iano , anch e se Cicerone parla di un cavaliere voli Dolo equivale a nobilis (Porfirione: hominem honestum; ps.-Acrone: honestus et
il-G sive rabularum,
per anal oghe cara tter isti che: cfr. Brut. 180 omnium oratorum s); allo stesso modo in 1, 6, 36 ignotus equivale a ignobilis, obscurus.
segnalav a in dicendo et acu-
rustici etiam fuerunt . . . solutissimum
qui et plane indocti et inurbani aut 4.
e Miinscher, RE VII 1 (1910) 763- vv, 31-32 È evidente il tentativo di adeguare lo stile a quello di Catone, sin dalle pri
tissimum iudico ... C. Gargonium
RR THI V ti . esto, infatti, è formula frequentemente attestata nei feromenti.cato»
28 nil medium est), che
all’ideale del giusto mezzo (v.
vv. 28-30 Un nuovo richiamo alla nuova sezione
niuni (EAT ml 23, 77-83), in cui macte è termine del linguaggio religioso arcaico,
a come rica pito lazi one degl i esempi di vizi opposti, prelude i preghiera accompagna un offerta o un sacrificio. In seguito macte prese ad
suon anno presentati sono
con le donne. Gli esempi che verr
di difetti contrari nel rapporto ce, pref erisce le cortigiane.
ponte considerato come un avverbio invariabile (cfr. e.g. Liv. 7, 36, 5 macte virtut
o per le matrone e di chi, inve
quelli, antitetici, di chi va pazz loro lunga veste
ie), mentre nella lingua comune macte esto divenne una formula incoraggiamento.
e alla balza cucita al bordo della
Le prime sono caratterizzate grazi ola, quae praetextae adicitur
é da considerare un etimolo g 1a popolare , come altre su c ul Sl soffermano Ernout-

instita autem est tenuissima fasci Melllet 376, quella fornita da Porfirione nel commento al v. 32 (e condivisa da Servio
(v, 29 instita: cfr. ps.-Acrone nde dal maleodorante bordello
1949, 378 sgg.); le seco
e F.F. Leon, « Class. Journ. » 44, e un arco O - fd Vino. Aen. 9, 641): : macte...* magisi aucte, idi est cumulate’ significat. Nel contesto
cita no il loro mest iere (in forni ce: usato in origine per designar siano
3 i 1 macte virtute
i esto, di i solito
soli usato in
in circostanze
ci belliche, suona sproporzio-
in cui eser l'abitazione dei ple-
la camera a volta che costituiva
una volta, fornix indica in seguito di lupanar).
te; in tal senso diviene sinonimo
bei e, in particolare, delle prostitu
del presente cfr. Hof- 17 mon tentia dia Catonis è perifrasi epica per dius Cato, che ricorda il luciliano (1316
28 noli nt teti giss e: sull 'uso dell’inf. perfetto attivo in luogo
v. , unde et ‘ intactae Vi eri sententia dia, su cui cfr. Puelma 1949, 123 n. 4; da parte sua Lucrezio, che
ps.-Acrone proprie dixit ‘ tetigisse’
mann-Szantyr 352. Secondo lo d'una volta adopera l’arcaico dius, parla di una sancta sententia di Democrito peri
virgines’ dicuntur. | per sanctus Democritus (5, 622). Poiché dius è aggettivo più volte attestato in onto,
del periodo sarebbe
veste, mentre la struttura normale kel 1957, 83 n. 1 accetta il punto di vista di Marx, nel commento al fr 1316 di
v. 29 subsuta si accorda con one di toga prae-
a quella di vestis subsuta è la costruzi Illo, secondo cui « sententia dia ex Ennio videtur esse sumptum ab Horatio et sb
vestis cui subsuta est instita. Simile
texta.
Satire I 2,. 33-40 329
Orazio
328

vv, 35-36 nolim-ralbi: all’eloquio catoniano Cupiennio risponde scherzosament


i et vulgari »; dello stesso parere è anche
Lucilio per iocum adhibitum in re humil un arcaismo (laudarier: sull’inf. presente passivo in —ier cfr. Marouzeau 1954 129).
Norden 1916, 370 n. 1. Nel v. 36 una solenne allitterazione sottolinea la scelta di Cupiennio in materia )
cui le vene si dila- auale (me mirator cunni Cupiennius). Commenta Porfirione: albi autem non pro ca a do
vv. 33-35 nam-—uxores: è espressa la concezione medica, secondo videtur mihi dixisse, cum utique possint et vulgares mulieres etiam meretrices candidae. se
venas,
6, 15 si definisce Sileno inflatum hesterno
tano non solo per il vino (in Virgilio, ecl, adopera, conformemente sed ad vestem albam, qua matronae maxime utuntur, puto relatum esse. Si tratta dungue,
one sessuale; Orazio
ut semper, Iaccho), ma anche per la tensi di una metonimia oscena per indicare le matrone che indossano la stola bianca diver.
aggio medico, equivalente a tumidum facere
all'argomento, inflare, che è verbo del lingu samente dai colori scuri delle vesti delle liberte e delle schiave. Su cunnus _ mmulier
colare 47 sgg.).
(cfr. ThIL VII 1, 1466, 22 sgg., in parti efr, 1, 3, 107-8 nam fuit ante Helenam cunnus taeterrima belli/ causa; altri esempi “n
Lucr. 4, 1046, ThIL IV 1410, 9 sge. La correzione di albi in alti (Markland, seguito da Shacklet
v. 33 taetra libido, in fine verso, varia intenzionalmente dira libido di
Ralley) distrugge l’efficacissima immagine: raggiunge lo stesso effetto inte.
A. Traina, Poeti latini (e neolatini), Il, Bologna
ugualmente in clausola di verso, su cui cfr. nendo albi, Engelbrecht, « Wien. Stud. » 28 (1906) 138, che pensa al connas d Pilato.
sto lucreziano, si deduce che ha torto
1981, 11-34. Proprio se si considera il conte ° Secondo Porfirione, Gaio Cupiennio Libone di Cuma, legato da amicizia ad A
di ‘ funesta’, anziché quello di ‘ repellente
Lejay 43 nel conferire a taetra il senso huic civita ti 3; fiuto, non solo curava in modo scrupoloso il suo corpo, ma aveva anche una st n
Cic. Cael. 13 quis taetrior hostis
(su ciò cfr. Traina p. 17 n. 6; Lejay rinvia a dinaria passione per le donne. Non si tratta, probabilmente, del Gaio Cupienni ‘che
Tusc. 1, 96 in eum fuerat taeterrimus). Wveva accompagnato Gneo Planco in Epiro, a cui nel novembre del 44 aC Cice one
ta tecta del Bernensis 363 e, per di più,
In luogo di taetra, Shackleton Bailey accet serive una lettera (Att. 16, 16). L'origine cumana della famiglia è confermata da un'iseri
non di Catone. Tuttavia, in favore di taetra
ritiene i vv. 32-34 un commento di Orazio, ica sione (CIL X 3699, 7), addirittura del III sec. d.C.: cfr. Stein, RE IV 2 (1901) 1760
attestato in Catone proprio in una temat
si può osservare che si tratta di vocabolo se taetr eque
nile: fr. 68, 1 J. si quid perver w, 37 -38 audire—vultis: le parole audire est operae pretium, procedere recte qui moechi
d'ordine sessuale (critica dell’adulterio femmi
25) definisce taeter morbus la sua passione non vultis costituiscono una dissacrazione di Ennio, ann. 494-5 Sk udire est perde
factum est a muliere). Per di più Catullo (76, aveva taetra Lattan-
da un testo oraziano che pretlum procedere recte/ qui rem Romanam Latiumque augescere voltis. Lo notava. da Por
per Lesbia, mentre mostra di dipendere -
considerare, poi, che il deittico huc è appro filone, commentando: urbane abutitur Ennianis versibus. Egli nota anche la varia ione
zio inst. 6, 23, 11 taeterrima libido. C'è da e non lo sareb be
mano il lupanare, mentr
priato a Catone, che indica con un gesto della vultis --- non vultis (sed illud urbanius quod, cum Ennius ‘ vultis’ dixerit, hic ‘ no “vuleîs
tia dia Catonis non può essere rappresentata Ineulerie): non ha tenuto conto di questa osservazione Shackleton Bailey che ha dl
affatto ad Orazio; d’altra parte la senten
la motivazione dell’elogio. Taetra, infine,
solo dal macte virtute esto, ma deve includere proposto la normalizzazione di Clericus (rem vultis). Audire est operae pretium riecheggia
ziano, dove l'aggettivo è attestato frequente- un'antl hissima formula d’esordio di probabile origine oratoria (Fraenkel 1957, 81
si avvicina maggiormente al modello lucre pre-
tanto piùù importante, in quanto siamo in sio smi di Andocide e di Iseo), ripresa dalla commedia latina: cfr. PLAUT. Cas.
mente (addirittura 26 occorrenze): ciò è zio (4, 1041-6). Come
senza di un complesso sistema di allusioni al contesto di Lucre 879 ope ram date, dum mea facta itero: est operae ‘pretium auribus accipere; Ter. And
nde a simul atque del v. 1041 come inflavit
osserva Traina, op. cit., 17, « simul ac rispo
317 andireque eorumst operae pretium audaciam. Orazio stravolge il tono solenne del
re la sententia dia Catonis si è ricordato di @ohteato enniano non solo con l'epilogo a sorpresa (oltre a non vultis in luogo di v lis
a se contendit e taetra a dira. Orazio nel riferi
ato nella pura visività di taetra . . . quel | moechi in luogo della res Romana e del Latium), ma anche con la degradante uni e del
Lucrezio, ma, da buon epicureo, ha smorz
aggettivo lucreziano ». dolenne verbo procedere con moechis e con la sua costruzione impersonale sol dati ;
tanto di eccessivo che doveva sentire nell’
ghe lo fu passare dalla lingua culta a quella colloquiale. La formula est o, retium
coperte a volta delle
cura, in quanto le camere à sfruttata da Orazio anche in 2, 4, 63. Sense PIE
v. 34 descendere è verbo scelto con

Pf Coast
he scordo, non so nl coco, qui lesi
e propri seminterrati.
cortigiane di basso rango erano veri 1 3940 C i j
e, Ì 1 pericoli in cui versano gli adulteri.
ps.-Acrone gli conferisce il senso di violar
v. 35 permolere è attestato solo qui: lo mentr e il sempl ice dà ragione Porfirione, nel commentare che gli adulteri raramente raggiungono il
uso osceno del composto,
polluere, adfectare, adpetere. Si tratta di un A bitus eumum quas sectantur e, per di più, preoccupati come sono per i rischi che
oltur a (« macinare »). Anche molere, tuttavia,
molere appartiene al linguaggio dell'agric fono, non riescono a cogliere neppure una sincera voluptas.
on. Com. 100 R.3; PETRON. 23, 5.
ha un uso osceno: cfr. Luci. 278 M.; Pomp
/Ofazio: 01
Satire.1:2, 40-49 331
">
330

e con-
endo così la chiara struttura della frase vv. 44-46 quin-=ferro: Porfirione: in adulterio deprehensis ait interdum evenisse, ut viri
v. 40 Lejay collega saepe a cadat, sconvolg cadat ). Qui, invec e, Ubues amputatis dimitterentur. Secondo lo ps.-Acrone salacem equivale a libidinosami
o (ut rara voluptas saepe
ferendo al contesto un senso non chiar tea, ha valor e Dicitur enim membrum illud, in quo libido est, esse salsum. Salax è epiteto frequente per
uso frequente nella poesia augus
saepe va con dura pericla e, secondo un su cui cfr.
ettivo è un grecismo sintattico, Indicare la consistenza degli attributi sessuali, di uomini e di animali (OLD s.v., [1]).-
d’aggettivo. L’uso dell’avverbio per l’agg longas
Prop. 1, 3, 44 longas saepe . .. moras (i.q. Benché Borzsik abbia accordato fiducia a quidam... demeteret dei manoscritti
Fedeli 1980, 135 e 398; con saepe cfr. principali, ha ragione Bentley 424 quando parla di « manca et imperfecta oratic )
et frequentes moras). per lu mancanza di un dativo che indichi l’adultero: ciò è tanto più sorprendent n;
one.
quando si è colti in adulterio con le matr quanto a partire dal v. 41 l’adultero è sempre al centro delle azioni descritte Con al.
vv. 41-46 I rischi a cui si va incontro scam po,
a climax, il salto dai tetti per cercare eunl deteriori, e con Bentley, bisognerà quindi correggere in cuidam... demeterent.
La lista esemplare include, con una chiar tto
durante la fuga, il pagamento di un risca
l’incontro poco piacevole con i predoni schiavi e, infine, la castra-
Vi 46 Il laconico commento generale (iure, sc. factum esse dicebant) conferisce valore giu
azione da parte degli
per evitare la castrazione, la sodomizz ridico alle vendette private a danno degli addlteri. Anche per questo motivo mi. n.
con l'indicazione precisa di chi fu costretto
zione. Una lista di accidenti di questo tipo, ate bra molto probabile che il Galba a cui si allude alla fine del verso, quale unica voce
(6, 1, 13): si va dagli aduilteri finiti a frust
a subirli, è fornita da Valerio Massimo orati dal discorde, sia proprio il celebre giurista Sulpicio Galba, che era ben noto per le su n
ati dagli schiavi; per quanti, dison
a quelli abbattuti a pugni o castrati o stupr lude venture. In favore di questa identificazione sono, d’altrondè, sia Porfiriohe (an pa
oni, irde suae indulsisse fraudi non fuit, conc
l’adulterio, si resero artefici di tali reazi autem Servium Galbam iuris consultum perstrinxit, quasi contra manifestum ius pro idudltoris
Valerio Massimo. venponderit, quia ipse adulter esset) sia lo ps.-Acrone (Galba iuris peritus et ipse mano.
ndo narum sectator, qui dicebat non iure factum, ut testes amputarentur, quia primi adulterii
ad mortem equivale a prope mortem. Seco
v. 42 Come commenta lo ps.-Acrone, che, colto paena pecuniaria erat). Galba, quindi, non nasconde la sua avversione per le n E
sfortunata esperienza di Sallustio,
Porfirione è qui presente un’allusione alla caesus dell'antico diritto familiare, che permettevano la vendetta privata: e pour causi. do
moglie Fausta, la figlia di Silla, flagellis
da Milone in flagrante adulterio con la Gellio aldlerata la sua propensione per l’adulterio! Meno felicemente c’è chi pensa alla nes
risale ad Asconio Pediano; cfr. anche
est. Secondo lo ps.-Acrone la notizia m), Sallu stio fu rilas ciato Abilità di correggere Galba in Gabba: si tratta in tal caso di un buffone di epo Pi
sferzate (loris bene caesu
(17, 18), il quale aggiunge che, dopo le sum). fivetea, che fingeva di non accorgersi della tresca fra Mecenate e la moglie, POST
(cum dedisset pecuniam dimis
solo dietro pagamento di una somma
Vi 417 È preferibile, secondo Orazio, la ‘ merce’ offerta dalla seconda classe Merx
am
da Porfirione: ne testes ei absciderentur, poen allude al futto che con le rappresentanti della secunda classis il piacere sessuale doveva
v. 43 Il significato di pro corpore è chiarito i
i assara papato. Il rapporto con le libertinae risponde comunque all’ideale del giusto
pecunia redemit.
0, poiché esse si collocano nella scala sociale fra le matrone e le cortigiane. Classis
Porfirione, perminxerunt pro ‘stuprave-
calones: come commenta nda trasferisce al sesso femminile la suddivisione in classi dei cittadini romani
v. 44 perminxerunt obiecit.
passo sopra citato: familiae stuprandum Per at * secundo loco ’ cfr. Fedeli 1980, 180. La posposizione, introdotta dai ceti
rint’ positum est: cfr. Valerio Massimo, nel perso nal
nto del mugnaio apuleiano, che È teriei (CaruLti. 64, 43. 58), fu ampiamente accettata dagli augustei, a artite d
Una variante è costituita dall’atteggiame ).
ne amante della moglie (met. 9, 27-28
mente compie una tale vendetta sul giova a cala (Serv . Dan. ad VERG .
Re, ecl. 7, 67; 10, 31. In Orazio cfr. anche 1, 8, 37. nei -
e fullo), legata
Calo è antica formazione popolare (com seque ntes domin os ad 48-49 Sallustius-moechatur: campione dei rapporti con la seconda classe è Sallu-
fustes quos portabant servi
‘Aen. 6, 1, calas enim dicebant maiores nostri lo
. . .; vallum autem dicebant calam). Secondo ; ehe ne ama le rappresentanti sino alla follia (insanit): questo atteggiamento dissen
proelium, unde etiam calones dicebantur milit um
um (cfr. anche Fest. 54, 19 L. calones E però, lo pone allo stesso livello di chi si macchia di adulterio (qui moechatur) s _
ps.-Acrone si tratterebbe di ministri milit , ma
questo, infatti, era il significato originario Porfirione e lo ps.-Acrone si tratterebbe anche qui dello storico, come alv 4
servi dicti, quia ligneas clavas gerebant): li, dei muli, dei cocch i È li ha tratti in inganno. Ma qui siamo probabilmente in presenza dell'allora sio:
ti alla cura dei caval
ormai erano così chiamati gli schiavi addet nome seco ndo Por- #ane nipote e figlio adottivo dello storico, destinato a succedere a Mecenate quale ,
errata è l'etimologia del
(ThIL III 179, 19 sgg.). Manifestamente .è
do, hoc est quod vocentur ad ministerium: fe di Augusto, a cui è indirizzata l’ode 2,2. È impossibile, in ogni caso, che si scarti
firione: calones autem servi dicuntur a calan 6 storico, perché nel 54 il suo adulterio con Fausta, la moglie di Milone, aveva
—onis ad escluderla.
la differenza di quantità fra calare e calo,
Satire I 2, 49-63 333
332 ©‘ Ofazio

fimo rango, qual sono le mime e le meretrici: a uscirne malconcio è il suo buon
potuto dire (vd. il v. 54) matronam nul
suscitato un tale scalpore, che egli mai avrebbe me, più che il patrimonio. . A nil fuerit um quam si i oppone verum est; ciò i
lam ego tango. De aliguid,
supplire criauid uale
quale sob
soggetto di i est, sulla base delI precedente e nil.nil. N Notevoli
Pte i sono anchedi
| I ei vv. 58-59 (unde / abunde) e il parallelismo,i che suona senten-
parole di Orazio, era troppo mu-
vv. 49-53 at=foret: Sallustio iunior, si deduce dalle siono e didascalico, fra est cum mimis ed est cum meretricibus (v. 58). "
un’onesta prodigalità, commisurata
nifico nei confronti delle sue amanti liberte, mentre
né danno né disonore. Il solenne
al patrimonio e al buon senso, non gli avrebbe recato no] an--evitare; non ha senso evitare una categoria di donne e non tutto ciò che
e allitteranti: res... ratio; mo-
rimprovero è scandito da un’accumulazione di formul So tulsce motivo di danno. Abunde satis ricompare solo in Quint. inst. 12, 11, 19
19); bonus atque benignus (cfr. Ter. Phorm.
deste munifico (per il dativo cfr. la nota a 1, 1, du nta ori rione, carlo ait non satis esse personam matronde evitare, nisi etiam illud
. . n ° ) °

4, 13, 14; 31, 6, 6).


767), damno dedecorique (cfr. 2, 2, 96; Liv. quide nocet atque officit evites, . Qui persona è la caratteristica
isti di i un determi
suo proposito di non toccare le soclale (dal significato di ‘ m: aschera di i teatro ’, , persona sviluppa
svi quello diCn
i ruol OTO i
vv. 53-54 verum=tango: Sallustio va tutto fiero del bulto a tale maschera e, quindi, di carattere). SME
i.q. sibi placet: dal senso morale
matrone: addirittura se ne compiace (se amplectitur
si sviluppa quello di ‘ approvare ’,
di amplecti, ‘ abbracciare la causa di qualcuno’, vv. 61-63 bonam-.togata?: perdere la buona reputazione e dissipare il patrimonio pa
del chiaro parallelismo fra hoc se
‘lodare ’: cfr. ThIL I 1992, 57. 1993, 35). A causa terno sono, in ogni caso, un male: non fa differenza, quindi, se si è compiuto un iso
l’hoc di v. 54 sia, come il prece-
ambplectitur uno e hoc amat et laudat sembra ovvio che lio con una matrona o con una meretrice da lupanare o con una libertina PESO
le a se amat (« è soddisfatto di sé»:
dente, un abl. di causa: di conseguenza amat equiva Il composto deperdere, attestato a partire da Cicerone e da Lucrezio, è ‘sinoni
18, 1 at ego me. amavi), mentre laudat, i.q.
efr. Cic. Att. 4, 18, 2 in eo me valde amo; 9, le-
|
di punmumaare. In quanto ad oblimare, mentre per Porfirione significa ‘00
onterere Doo
la coppia verbale amat et laudat,
se laudat, sottolinea l’autoelogio di Sallustio. Per nd ce eri mana, per lo psAcrone squivale a deterere consumere, tractum a
e. Nel fiero proclama di Sallustio
gata da omeoptoto, cfr. epist. 1, 19, 36 laudet ametqu | , uce ici i
dalla presenza di ego e di nullus
(matronam nullam ego tango) l'orgoglio che traspare perilase. L'oblimare qui usato da Orazio corrisponde solo alla Poi o Abdia
tango).
viene rafforzato dall’omeoteleuto in clausola (ego Paderone e all’interpretazione di Porfirione (non alla seconda, come ne ino Kic 0
Ilng-MHceinze ad 1.): cfr. Goldberger, « Glotta » 20, 1932, 123, Bonfante, n Emerita > 5
tio si comportava Marseo, l'amante di
vv. 55-59 ut=+trahit! allo stesso modo di Sallus
,

avito. Certo, egli non insidiava le 1! 9)#I7 32 » (per


Origine che per una mima dilapidò il patrimonio
° Q Ul la prima volta ubicumque
i ) ha valore di av verbio indefinito anziché di

a mime e a meretrici.
mogli degli altri: in compenso correva dietro
tato dall’ille in fine di verso,
Mentre resta uno sconosciuto il Marseo qui nobili w NOA stare a Porfirione, qui Orazio negat interesse quicquam, utrum quis in matrona
e fu, con Citeride (la Licoride di Cor-
secondo Servio ad Vera. ecl. 10, 6) la mima Origin n etiam in adultera delinquat, secutus opinionem Stoicorum, qui omnia pe
della declinante repubblica. La pre-
nelio Gallo) e Arbuscula fra le più celebri cortigiane Belli esse dicunt. Nec enim rei admissae quantitatem, sed admittentis voluntatem sana.
solenne patrium . . . fundumque
sentazione altisonante di Marseo è completata dal nesso ve. no agli stoici, però, non convince, perché qui Orazio mette in patria contro
la d’esametro e l’omeoptoto apo-
laremque, con l’epicheggiante —que . .. —que in clauso € abusi che spesso si uniscono al piacere (l’adulterio e la prodigalità), ma n Con.
è tipicamente oraziano, cfr. carm. 1, 12,
fonico (fundum... larem). Sul nesso, che u Il piacere in sé. Peccare non significa qui ‘ errare’, ma — collegandosi ed ‘off
paternif et laris et fundi. Tanto più fuori
44 cum lare fundus; epist. 2, 2, 50-51 inopemque contrasto con
= ' incespicare ’, ‘ fare un passo falso’, come in carm. 1, 27 16-17 in x ce
suona la presenza di mimae e tanto più in
luogo, in un verso simile, er/ amore peccas; 1, 33, 7-9 sed prius Apulis/ iungentur capreae lupis,/ ; n turpi
nel tempo appare l'atteggiamento di
modi di comportamento antichi e consolidati ne peccet adultero (sull’interpretazione di peccet cfr. Nisbet-Hubbard 1970,, 315), ,
la differenza fra adulter e amator è chia-
Marseo. Non a caso Marseo è definito amator:
è colui che vuole expugnare pudicitiam,
] , Ì , 8 ° 9 xsoly e senescentem mature sar 1US equum ne I beccet ad extremur n 7 ider du $

rita da Cicerone (Cael. 49), secondo cui adulter


,

cfr. anche la differenza fra amator e


mentre amator è chi desidera explere libidinem;
esse, aliud amantem e in Don. ad Ter.
amans in Cic. Tusc. 4, 27 aliud ... est amatorem
tUÀx .
cane si è visto nella nota precedente, il commento di Porfirione suppone una
Ca _ .

Andr. 76 amator fingi potest, amans vere amat. sintinzione in matrona, ancilla, adultera. Occupandosi del v. 63 Porfirione
e d’intenti di Marseo trova subito
Nei vv. 57-59 la solenne e decisa dichiarazion É
ife che togatae
te autem ini publicum
udli procedere cogebantur feminae adulterii admissi
cia dei suoi rapporti con donne d’in-
un'immediata e diffamatoria risposta nella denun
Satire: I -2, 64-66 335
Orazio
334
i ; ;
il quale però aggiunge: 108 sata prim nella sua turbinosa
convictae; la stessa notizia
è riportat a dallo ps.-Acrone, vita Pentimentale. Renn successivamente a T. Annio Milone;
am, quia antea libertinae toga la tresca fece scandalo; tutta
via
se alii togatam dicunt libertin alti de sona. Sallustio, e
autem meretrici apta, anche sitori antichi mo lti oppo Macrobio (Sat. 2, 2, 9)
triplice distinzione ha trovato Pon Fausta nello stesso
utebantur, stola vero matronde. La le nel fatto che le schiave periodo: si tratta di un Fulvio, figlio di co di n
"Pi un
vidua il punto debo POT Donato
Macchia (Macula). Come sivede, non cè tene di ua Vili fa ale amanti di Fausta
Leja y 49, ad esem pio, ne indi
e moderni. poi, a stare alle fonti
ragionamento di Orazio; la toga, anche se un tenue indizi è sit
non sono uno dei termini del (iudicio publico damnatae, Villio che Cicerone (fam.
es e di altre donne dissolute e Dorato dal Sesto
antiche era l’abito delle meretric la tendenza a conside- i, 6, 1) ricorda fra o
Proprio al marito T. Annio Milone conduce il
eguenza è prevalsa nella critica commento di Porfirion e.
in adulterio deprehensae). Di cons ta). In tempi più recenti (Annius) con lo scadenti secondo cui Orazio ha coperto il nome reale del marito
nel vers o una bipa rtizione (matrona f ancilla toga
rare pres ente
stata ripr esa e perfezionata, con un’opp
ortuna modifica dui nomina semper VOonimo illius. La pensa allo stesso modo lo ps.-Acrone, secondo
one di Porf irio ne è
la spiegazi ributo di Bushala 1969, somimutationem nominum ci certis ... ne. Annius in Fausta. Eodem numero syllabarum
olineato da Lejay, in un cont
del suo punto debole già sott o ancilla togata viene Questa si sa è una tecnica comune nei poeti d’amore
tatazione che un eventuale ness a proposito delle loro d acit.
1068-70. Muovendo dalla cons meretrix, egli osserva metterci in dubbio, tuttavia, è la successiva ‘osserva?
schiava meretrix o a una libertina slone dello stesso n, x ne
inteso in riferimento o a una (al v. 30 olenti in for- QuInter, ut ibsc esse STA ne: non vere gener, sed quia Syllae filiam stupravit ita fre:
schiava prostituta nei lupanari
contr o la prima alternativa che la veste del v. 29) Orazio. non sta discutend vi Con la consueta acutezza Bentley 426 osservò che qui
contrapposta alle matrone quarum subsuta talos tegat instita
nice stantem ad adultere o a
e abit o part icol are: la toga è sempre riferita rischi degli adulteri:
ta Nocgna une ne deiDOtantidei aman
non portava la toga com
la seconda possibilità, di conseguenza il Villius di cui ti di Fausta
servile. Quanti, poi, accettano : . o
meretrices non appartenenti al ceto ordano ad ancilla il senso di
duo mar
di Vo tia. e Pimente Porfirione è stato tratto in inganno dalladefinizione
a matrone e libertinde, a acc
riducono l’alternativa oraziana in origine una schiava filiam alicuius
di schi ava affr anca ta. Ma se ancilla, per suo statuto, è deu vitinvit, seu non " ; n èpossibile, tuttavia, che gener indichi « qui
liber tina, cioè probabilmente a sed ut paelicem vel concubinam habet» (TRIL VI
femm inil e, in segu ito il term ine acquistò un colorito erotico 3, 1772, 6: cla, Sen, Ag. ce
di sess o passò a de-
i sess uali a cui eran o sott oposte le ancillae e in particolare UO
causa degli abus
ivano in un bordello (cfr. PLau
T. Pers. 472; Rud. 74. sha
pos arcl a
succ agoni
parone
essi a Tac. ann.P3,O
d ile ST 24 D. Si-
signare le schiave che si prostitu ta gener
sti è
adultdepr
er. essi
La one
pom rei sa
lla, dunque, designa e):In InneptiFausAugu
Inus
Run e dei nomi nel v. 64
3, 33, 3; IUVENAL. 6, 320). Anci
7112; Ter. Phorm. 511; Marta. agi Dino
(le schi ave di bordello), che come si
è visto in precedenza non aftanc lingano x n Coen delusione di Villio: divenuto amante di Fausta per.
gori a di don ne
una cate à le meretrices non sus amator della
di cons egue nza toga ta sirà un sostantivo e indicher poesia d'am eg è degrad ato al rango dell’exclu
erano toga tde:
appu nto, delle libertinae dei vv. 47-5
9. D'altronde demmedia ca,c della
con ' ore (. 67; ma già mise r-de l v. 64 rinv iava alla termino-
al ceto serv ile; si tratt a, logi a croti
appartenenti dove le togatae sono le i ’ un preciso riferimento all’innamorato insoddisfatto o tradito)
contro l'interpretazione di toga
ta comé aggettivo è il v. 82, di
Orazio, dopo aver parlato
tener presente, infine, che
meretrices libertinae. C'è da semb ra UD / I Vvocnas— est: 1 intero episodio e una parodia di situazioni epiche: il pesta LE 10
i sviluppa ti;
vv. 59-63 riassume gli argoment
libertinae dal v. 47 al v. 59, nei tre tipi di donna trat-
Piuvel O illio ricorda nelle immagini tante scene di scontri 5 cruenti, , mentre il grot-

tale presentazione rias sunt iva i


allor a, che egli incl uda in
ovvio, cui aveva parlato
afo Ri 0) dell an mus e la solenne risposta
D rinviano al celebre e p isodio odissia C O di

gori e oppo ste di pros titu ta da bordello e di matrona, di


tati: le cate D'altra parte che si
6), e la libertina dei vv. 47-59.
nella sezione precedente (vv. 28-4 TT uri cià cn chiari intenti ironici è confermato dall’accumulazione di espedienti
i n =. a solen è 3 . +. a» . . x ° 7

della mesotes, che per-


è importante in vista dell'ideale
sia in presenza di tre categorie rappresenta, in ma-
partetto, sua
qui Sir
alli azione
i a ponte pugnisi . .. petitus (v. 66), quella alternata muto»
sa
infatti, che per Orazio la libertina irbis mala... videnti (v. 68) e in clausol a (v. 70 consule cunnum);) i ;
corre l’intera satira: si capisce, rona € la troppo vile
di rapp orti eroti ci, il gius to mezzo fra l’inaccessibile mat e suona il magno prognatum consule del v. 70 i i particolarmente
teria natural-
= i i 9

lupanare. L’in espr esso prima di matrona andrà


schiava che si prostituisce nel pTerimine
Termine decella cacciaia è decipere,
i che indica
indi il prendere con l’astuzia, facend
ta.
mente sottinteso per ancilla e per toga
n una trappola, e successivamente l’ingannare i ST
tipi diversi di donna
differenza nel peccare con i tre
vv. 64-67 Che non esista alcuna mentre all’interno vai
60 usque—est:
dn ° est: usque è usato ini senso | assoluto, mentre superque quam ‘satis-est
bene Vill io, pres o a bast onat e ed escluso dalla casa di Fausta,
lo sa piamo che fu spo- #ée un variazione, tipica della lingua quotidiana, di satis superque. Per super
figli a di Silla se la spas sava con Longareno. Di Fausta sap
la nobile
Satire I 2, 67-89 337
Orazio
336

), cfr. Hof- pelimo,


relsn Ue j 33), cfr. Lucr. 4,510; 6, 1043 e inoltre Cic. fin. 1, 23; tuo vitio la
audato supra quam (Orazio e, poi, Livio
quam in luogo del più antico e coll ( ") . Ti ricorda Lucr. 3, 733 his vitiis... laborat, mentre ex re decerpere finici
mann-Szantyr 281. . 7, varia il lucreziano decerpere flores in clausola (1, 928; 4, 3) "
. . . . ’ ? '
tato in un’epi- du V. 74 dispensare, secondo gli scoliasti nel senso di cum ratione erogare, è scelto
o, per quanto si tratti di nome attes
v. 67 Sconosciuto è anche Longaren ente potreb- Mine ù dn rApROTtO con la natura dives, che ha qui la funzione del dispensator in una
Schulze 1904, 119 n. 1, 359. Naturalm
grafe di Sarsina (CIL XI 6529): cfr. irione for- Mpa cl ora. d M d non fugienda petendis propone l’uso sostantivato del gerundivo
si accettasse l’interpretazione che Porf
be trattarsi di uno pseudonimo, se e in Plau to e in Ovidio, che,» nc estato: prima di CatuLt,
i . 64, 64, 405 omniaia fanda
fai nefanda, e che co |
fore per foribus è frequent
nisce in merito a Villio. Il singolare 1, 1057, 66 sgg. " ptullo sembra preferito nelle coppie polari: cfr. anche epist. 1, 7; 72 dicenda tacenda
Carutt. 61, 168 e THIL VI
sporadico negli altri autori: cfr. e.g. pote anno zantyr 371. Al v. 79 est (= licet) con l'infinito è un grecismo, sino ad
è stato lui lo © itato a videre (cenere e simm.) est, che in questa stessa satira s'incontra al
le parole del membro virile, che non
vv. 68-72 Se il cuore gli dicesse, con rispondere che v "o . Qui razio amplia l’uso, come anche in 2, 5, 103-4 est... celare e in epist. 1
con una nobildonna, saprebbe solo
a chiedergli di sfogare l'eccitazione portavoce del 1 32 est... prodire: cfr. Hofmann-Szantyr 349. Peo
L'animus, dunque, è degradato a
Fausta è figlia di un padre illustre. tipo di fronto,
membro virile! Mut(t)o sembra una
formazione in —0, —onis dello stess o w. 80-82 U npasso molto
Me in cui
contreverso, in cui si è cercato di salvare il tràdito tuum
irione (muttonem pro
di Porf
rmità fisica. Il commento pone : inciso sit licet hoc Cerinthe, tuum (« liberissi
iberissimo tu, Cerinto, d’
naso, bucco, che indica una defo M. (in que-
è confermato da Luci. 307 e 1031 i di queste acconciature ») , che appare| privo di senso e di connessione essi 57% logic
virili membro dixit, Lucilium imitatus)
patito i logica col
o I. Mariotti,
Musconis di Nonio): cfr. in proposit gontesto,
sato. |Housman, « Journ. Philol. » 18, 1890, 1-2 (= Class. . Pap.I136-7) . — unò di
st'ultimo caso, però, Marx accetta già qui sia
Hofmann-Szantyr 206 si ipotizza che prata di. gato Go hoc in aesque, con scarso successo (cfr. le obiezioni di
Studi luciliani, Firenze 1960, 106. In parti re da Properzio.
che è sicuramente attestato a 85). La soluzione era già stata trovat a da Bentley 427-8 ini
presente l’uso popolare di tanta = tot,
‘nke ,
gorrezione (tuo in luogo di tu um: si i capisce capi bene, d’altronde n il diguo
i tenemum
come risulta evi-
one della lingua viva è quid vistibi, pmi abbia originato l’erro
famur i re o stimolato
i o un intervento).
: Nell:
. "Nella i
Nella soluzione
soluzione suggerita
suggerita dida
vv. 69-70 quid —cunnum: espressi Eun. 559;
e nella poesia satirica (2, 6, 29; Ter. eni (ey hoc squivale a ideo, ob hoc (esempi in THIL VI 3, 2745, 57 sgg.) e il contesto può
dente dalla sua presenza nella commedia stereotipata,
mann 1980, 156-8 si tratta di formula
ìere cos . ‘ ‘ *, » '
puote 006 para rasato: nec huic matronae, licet sit inter niveos et virides lapillos, ideo fe
Haut. 61; Pers. 5, 144). Secondo Hof
domanda successiva.
che ha il solo fine di preparare una
e us magis tenerum est quam tuum, o Cerinthe. L’iperbato magis tenerum n
di tut-
di stile magniloquente in un contesto
Numquid... cunnum è un esempio nota anche
n " co, come appariva a Kiessling-Heinze 37: cfr. e.g. Cic. Planc. 37 eum maxi ne
natus cfr. Fraenkel 1957, 82 n. 4; egli i qui eius tribus essent ess enotum; Sest. 41 Caesa i comi.i
t'altra natura. Per la solennità di prog
iominibus em m.
70, mentre all’i ni-
la ricercata insiste nza sul suono
duro —o con- cunn- alla fine del v. na: lenari veritatis mihi esse iratum putabant. n quem maxime homi
e all’ hemiepes uguale gravità. bl lu VIquantonto È £ Cerinto,,
eri secondo lo ps.-Acrone
| dicitur illis temporibus fuisse prosti
zio è il ritmo spondaico a conferir
- Bikini
BU e um. Prostibulum autem dicitur scortum. . Fui Fuit autem hi i insigni i;
in Vitruvio e in Colu-
è confervescere, attestato anche ditafeto candore.
Higiie candore. Nella societàcietà del tempo di i Orazio iill parallelo
d fra un bell’efeb Pa i face
v. 71 Termine raro e prosastico per conferbuit in luogo di
usato in senso traslato; ia nu basato
ffenn, 8 su elementi anatomici ici quali i femur e crus, , lungilungi dall’essere so
’ stre sorprendente
mella (THIL IV 188, 29 sgg.) e qui
479, 19 e Leumann 138. fever suonare altamente elogiativo per il puer delicatus rprendente
confervuit cfr. PRISCIAN. GLK Il
| nnatque...
aegne | togatae continua
i ili paragone fra la donna ricca, che occulta i difetti
re i suggerimenti
re per le matrone: bisogna segui bo De etti e vesti lunghe, e la liberta: l'opposizione coinvolge il ‘ sistema dell:
vv. 73-79 Le conclusioni sull'amo se. C'è differenza
accorto e corretto delle sue risor 1 (palla della matrona vs toga della liberta) O
della natura, servendosi in modo eguenza, per
proprio o delle circostanze. Di cons
nell'essere in difficoltà per difetto affanni che se
re di andar dietro alle matrone: gli
Ri .B9 ado Ss 10 e ler togd. he met ertami nt mosttr

evitare di pentirsene, converrà cessa


dei frutti.
sua mercanzia ‘© senza bellet tl ( (mercem
ce , detto Qui in senso p TOprio
D , p er ché la togata
\g

ne ricavano sono ben più numerosi ità, è epi-


possono essere soddisfatti con facil
E: Mn Veni
2 d ita il pro Tr po ment mat
atrona che n a sconde li e DI O pI 1e

La dottrina dei bisogni naturali, che ops al v. 74 è voca-


i riecheggiamenti lucreziani:
per fe 22 zioni, è ci Om
p let: ato dal r ichiamo $ ugualmente p ar ad , alla tudine

curea. Non sorprendono, allora, alcun


ossale consue
- *
epicu-
si...
ca dell’
fugienda petendis, espressione tecni
dj M }esure ed esaminare con Scr upolo 1 cav alli prima di comprar li i

bolo frequente in Lucrezio; per non


Satire 1-2; 90-100 339
Orazio .. .
338
puliti cfr Frs. Mi 9 De contemplari dictum est a templo, i.e. loco qui ab omni parte aspici
2, 8,
aggio (cfr. anche 2,7, 78. 111; carm.
Adde... quod (v. 83) è formula di pass ad Ovid io: è pos- quo omnis pars videri potest; il frequentativo spe ctare, invece,
i indica uno s |
ma ben nota a Lucrezio e, poi,
17; epist. 1, 18, 52) estranea all’epica, 1121 -4 adde rivolto sbinualmente su una persona o un oggetto (cfr. Ernout-Meillet 640) guardo
ia, che Orazio ricordi qui Lucr. 4,
sibile, a causa dell’affinità della mater aetas. Nello
09 UO mi 0 cu o racco a proposito dell'assenza di ait che si verifica anche in
f adde quod alterius sub nutu degitur
quod absumunt viris pereunique labore, e quod venale
Ù -10, Brinkc 19 , veliness, but isi rarely employed
erma che essa « adds to liveli »
cfr. v. 47)... gestare insieme ad apert
stesso verso il nesso mercem (per cui ndita è
Lg ataloghi di bellezza cfr. soprattutto carm. 2, 4, 21; Ov am. 1 5, 19 POTE:
to a mercato; che si tratti di comprave
. ; . ® , ,3} .

habet ostendit dà l’idea dell'amore ridot tano col mass imo


Ni n sug n Pal. 5, 132 (Philodem.); altri esempi in Nisbet-Hubbard 1978 75
re, che al mercato dei cavalli valu
subito confermato dall’esempio dei è sino nimo di Ne, Ve ; 2 mi, sembra certa l’allusione al catalogo lucreziano dei difetti femminili
ersi all'acquisto. Honestum (v. 84)
scrupolo i quadrupedi prima di decid o della pul-
chiusa d de libr ibro del suo poema: : Lucrezio parte dal presupposto che gli uomini
cerca di occultare (turpia) è l'oppost
pulchrum, mentre la turbitudo che si se mu respioluni miseri mala maxima saepe (v. 1159) e dà la lista di donne Esicamente
chritudo: cfr. Monteil 1964, 272. egevoli, che
prelevati, che invece
invece appaiono dii tutt'altro s egno agli li occhi i dei dei loro innamorati.
tratti di
sonante per indicare i ricconi: che si
AI v. 86 reges non è espressione alti loro paur a d’ess ere i ve da una cieca ammirazione (0 cru s, 0 bracchia)
Î per chi, in
loro carattere diffidente e della
veri re è dimostrato dal topos del mos est regib us, . di | tutt'altro aspetto: per entrambi, i insomma, l’amore è cieco. . Al v . 93 è notevole e
de, è ripreso da Tac. ann. 12, 47
ingannati. Regibus mos est, d'altron le form ule mos icroPpiamento poco I troppo (epugis nasuta, brevi latere ac pede longo: si noti anche
amente di sovrani; analoghe sono
in un contesto in cui si parla cert aisi nell’ultima coppia): depugis
pugis (Gloss.: denaticata,
(Gloss.: i î natibus)
sine i è un hapax sul
regius o consuetudo regum. rio come
re possa esser e preso alla rete prop
Nei vv. 88-89 sembra che il comprato v. 180 dell ’Andria vi 94. . , N
in retia, commenta Donato al
accade agli animali (induci, ut feras stess a imma-
mi È 100 Di a matrona, invece, si riesce a vedere soltanto il volto, a meno che
a aperta (hiantem, che ribadisce la
di Terenzio), quando se ne sta a bocc l’aspetto
somigli a a: se si ricerca
Cazia: erca ciò che e è proibito,
ibi cioè
i l’adulterio i ci on una ma-
originariamente di animali) ad ammirare
gine animalesca, perché hiare è detto clunes, breve
a pisogna superare una serie di ostacoli di varia natura, dai guardiani alla stola
è essenziale. Il parallelismo pulcrae
esteriore senza controllare ciò che sosta ntivi , è reso meno
lunga sino ai piediie e al mantello che l’avvololge. La Caziaia in
i questione era , a dire i di i Por-
terazione che lega i tre
caput, ardua cervix, rafforzato dall’allit pulcr ae . . . breve
filone adeo vilis da osare commettere adulterio col tribuno della plebe. Valerio Aci
one di posizione del quod (quod
monotono e artificioso dall’inversi 13 Barwick)
Ù n ne tempio di Venere del teatro di Pompeo, sotto una coperta
anche Cnaris. GLKI 101,7 = 128,
quod). Prisciano (GLK II 160, 15; cfr. per il maschile
furto dIficoltà di decostare la matrona fanno sì che l’impresa di conquistarla si con
di genere femminile (in precedenza
cita il verso come esempio di clunis 14 sgg.
i Mi come la presa di una città o di un accam pamento nemico: i a questa sf fferi ;
lazione del genere cfr. ThiL III 1362, : Vallo circumdata (v. . 96: 96: allegori ici osserva Porfirione, , idid; est: custodiis
odiis sepra dea
aveva citato Iuvenat. 11, 164); sull’oscil Vallo ein goricos dicitur, ii sebta
fra mint) che è detto delle difese di una città in Sari, Iug. 23, 1; Lucan 5 450;
bell’as petto di un corpo, esaltare
le gambe e le braccia
vv. 90-93 È inutile scrutare il !i , 139 . Nello
3 stesso verso interdicere
i i è verbo solenne del; linguaggio
lino giuridicoil
bassa di fianchi e
di una donna, senza accorgersi che è senza natiche, col naso lungo, {TL VII 1, 2173, 28 sgg.), che prefigura una sorta di divieto di un’autorità i
o in ballo
lo sguardo acuto e penetrante viene tirat
coi piedi sproporzionati. Per indicare quidam tan-
parte ua il corteggiatore delle matrone, sempre più inserito nello schema amo.
en oculorum (ps.-Acrone: Lynceus
Linceo, proverbiale esempio di acum a, videret
rischia di perdere la ragione come gli amanti elegiaci (te hoc facit i sm): solla
rum, ut trans pontum, dum staret in Sicili
tam vim in acumine dicitur habuisse oculo a comi ncia re da
login dell’insania cfr. le attestazioni di Pichon 1902, 172-3 psc) sla
di tale sua proverbiale qualità,
classes de Africa exeuntes): gli esempi , esem pio an- Il verbo officere (v. 97; cfr. già al v. 61) introduce la tematica degli ostacoli che si
sono in Otto (s.v. Lynceus). Di Ipsea
epist. 1, 1, 28 e da Cic. fam. 9, 2, 2, aea vitio sos
pongono alla conquista: anche in questo caso il materiale è quello ti ico d Il ; i
iamo nulla: da Porfirione (Plotia Hyps
titetico a quello di Linceo, non sapp gens Plautia.
sioni della poesia d’amore: nel v, 98, costruito in modo singolare son una sicces,
era il soprannome di un ramo della
oculos habuisse dicitur) deduciamo che o con quae mala sunt: in
8 ill quattro nominativi, compaiono al primo posto fra gli ostacoli d'amore i cus
vada con Hypsaea
Secondo Lejay è difficile dire se illa a sede d’es ametro
d, che non a caso con la loro inflessibilità costituiscono il bersaglio mag iore delle
altro, l’amator . . . ille nella stess
favore della prima ipotesi è, se non dimo stra tivo
tt se degli innamorati; segue, poi, la lettiga, le cui cortine tirate im Po , odi
izzazione per mezzo dell'uso del
e con un uguale intento d’ironica enfat prol unga to
ere lu donna amata e di parlarle. A questi tradizionali impedimenti a una ficilex
la scelta di contemplari per lo sguardo
(v. 55). Nei vv. 91-92 è ben calcolata to ai difetti: su contemplari,
tone del rapporto amoroso si aggiungono qui i ciniflones, cioè i parrucchieri (da
ed estatico rivolto ai pregi e di spectare per quello rivol
3 40 Orazio
Satire I 2, 101-108 341

eadem significatione apud


cinis e flare; cfr. PorrHYR. ad l.: et ciniflones et cinerarii in 102) è un piede troppo corto e quindi tozzo (mentre un piede lungo è sottile ed ele-
m, quibus matronae ca-
veteres dicebantur ab officio calamistrorum, in cinere calefaciendoru nante): cfr. Monteil 1964, 267-8. L’attenta valutazione della donna priva di inibi
e passassero gran parte
pillos crispabant); presso i ciniflones è presumibile che le matron sioni è conclusa al v. 103 dall'immagine, che ricorda l'atteggiamento dei re di fronte
usato in senso proprio,
del loro tempo libero. Le parasitae (sul sostantivo, solo qui
che, scortando la ma-
C

cfr. Wackernagel 1957, 12) sono, infine, le dame di compagnia l'allitterazione a cornice (metiri +00 mavis),

trona, rendevano difficili i tentativi d’abbordaggio.


metafora e ne segna
Al v. 99 circumdata riprende il circumdata vallo dell’inizio della vv, 103-108 an-captat: eppure si va a caccia delle matrone, proprio perché costitui
mediale e si riferisce al
la conclusione: qui, tuttavia, il participio passato ha valore ftcono una preda più difficile da raggiungere (Porfirione: matronam adpeti ait ; "non
e simm., a partire da
nom. palla: cfr. in ThIL III 1131, 77 sgg. gli esempi con vesti alt leltus ac facilis eius complexus, meretrices autem fastidiri, quia copia earum sit in POmbn),
eton Bailey in circum
Vero. georg. 3, 487, che rendono inutile la correzione di Shackl Il linguaggio della caccia (insidias fieri) anticipa l’immagine del cacciatore, che Drnda.
in success ione chiastica (stola
addita. Gli ultimi ostacoli per lo spasimante, elencati lepre persino dove la neve è profonda, ma non la tocca quando è a portata di ran ,
moda ?, che tanta im-
demissa ... circumdata palla) afferiscono a quel ‘ sistema della Il topos dell’inseguire ciò che è difficile da raggiungere e del lasciar da inte ciò
fra le categorie di donne
portanza riveste in questa satira ai fini della differenziazione the è a disposizione è ampiamente attestato: cfr. anth. Pal. 12, 173, 5-6 Philode 2);
protrarsi a lungo inter-
descritte. A mettere fine ad una lista che avrebbe rischiato di 12, 203 (Straton.); Lucr. 3, 957; Ov. am. 2, 19, 36; PETRON. 15 '9, In particolar l'ide N
quantità degli ostacoli:
viene un generico plurima, che enfatizza in modo iperbolico la tifieazione col cacciatore dell’innamorato, che oltre a trascurare le prede tro 50 £ ci
costruz ione, rara e poetica, con
invidere al v. 100 è sinonimo di prohibere (per la sua paragona il suo amore a un uccello (v. 108), il quale oltrepassa in volo quanto è “alla
generic o, ma designa il
l’infinitiva cfr. THIL VII 2, 195, 36 sgg.). Res non ha un senso portata di tutti e vuole afferrare ciò che fugge (cfr. sectetur e fugientia positum e bo. sa),
e si oppone a faciem
corpus mulieris, come pensano gli antichi commentatori di Orazio, #empare in un epigramma di Callimaco (anth. Pal. 12, 102, nella "traduzione di G.
detto che la stola per-
del v. 94: lì, all’inizio della presentazione della matrona, si era Faduano: «Il cacciatore sui monti bracca tutte le lepri/ e cerca le impronte, in mezz |
solo il volto della matrona; qui, a conclusione della descrizione,
metteva di vedere alla eve c alla brina,/ di tutte le gazzelle, Epicide. Ma se gli dicono f* guarda una bestia
di pure adparere: una
si ribadisce che la stola e il mantello impediscono al suo corpo ferita’, quella non la cattura./ Così è il mio amore: sa inseguire chi fugge / sorvol ‘a
ata, e irrealizzabile, appa-
singolare iunctura, questa, perché al verbo che indica l’auspic gluce disteso davanti». Sulla ripresa dell’epigramma cfr. Schmid 1948 181. 3).
si accompagna l’av-
rizione del corpo nudo della donna alla vista del suo corteggiatore immagine del cacciatore che insegue la selvaggina che fugge, ma lascia da arte ;
Ernout-Meillet 546),
verbio pure, che mantiene saldi contatti con la sfera religiosa (cfr. preda a sua disposizione, ritorna anche in Ov. am. 2, 9, 9-10 venator sequitu fi entia.
inata da vestiti di sorta.
ma qui è destinato a rendere l’idea di una nudità non contam pia relinquit,/ semper et inventis ulteriora petit. TINGE
Il contesto callimacheo e limitazione ovidiana ci fanno capire che sbaglia P.
sia un'espressione eufe-
vv. 101-103 altera=latus: che nel v. 100 pure adparere tibi rem Moni nell'accordare a positum il significato di appositum in cena (ps-Acrone C suo
licita menzione
mistica per nudum adparere tibi matronae corpus è confermato dall’esp gno, rinvia a Pers. 1, 53 calidum scis ponere sumen); qui, invece, il participio "assato
a proposito delle
della nudità (che sarebbe stato disdicevole citare in modo aperto \ CONCA ari ciò che è a portata di mano: cfr. SEN. epist. 4, 10 parabile est quod
che caratterizza le
matrone), ora che si passa a parlare della situazione ben diversa
, ed è possibil e vederle quasi
libertinae. Con le libertinae, infatti, non esistono ostacoli Preti avellier (v. 104), in cui è notevole la forma arcaica d’inf. pres pass., tro
in questo caso, dun-
fossero nude attraverso le loro vesti leggere e trasparenti. Anche Parallelo in Cic. Flacc. 57 avolsum est... praeter spem, quod erat spe devoratum luo
e alla matrona:
que, la facilità di accostare la donna togata (v. 101 altera, che l’oppon j doveva trattarsi di formula del linguaggio legale, come mostra la sua presenza
una contrapposizione
per il nom. assoluto cfr. Hofmann-Szantyr 29) è espressa con rosi giuristi (attestazioni in ThIL Il 1307, 75 sgg.). Per cantare i.q. declama
ro permettono (est =
delle vesti, che in un caso nascondono tutto (la matrona), nell’alt fr. ThIL II 290, 21. Il ritornello dello spasimante è costituito da leporem n°
traspar enza (la togata). Nil obstat
licet, come al v. 79) di veder tutto a causa della loro ie quindi ha valore di citazione diretta (diversamente da quanto ritiene fra di
assenza di ostacoli, del
indica in modo deciso, che non ammette repliche, la totale lingner): per cantat + ut cfr. canere ut in Vera. ecl. 6, 31 sgg. Apponit conside.
tipo di quelli che invece rendevano inaccessibile la matrona. i sl è detto sopra a proposito di positum, equivale ad addit ad canticum (ps
sin dal tempo
Le vesti di Cos (vv. 101-2) erano note, perché leggere e trasparenti, Mi nen ul adponit ad comedendum, come lo stesso commentatore suggerisce quale
1, 2, 2; Tia. 2, 3, 53-54. Il pes turpis (v.
di Callimaco (fr. 532 Pf.): cfr. anche Prop.
Satire I 2, 109-122 343
342 ° Orazio

cenam dedi, sine pavone tamen. . In In quanto al rombo,


1 basta pensare a qu i
no 2 scacciare dal petto le sofferenze d’amore:
vv. 109-113 Versetti del genere non servo ri.
della IV satira di Giovenale o a MartiaL. 13, 81 i ° quello elgantesco
la misura stabilita dalla natura per i piace
giova maggiormente ricercare quale sia re,
lor Nel vv. 116-118 è fornita una descrizione ‘ medica ’ dell’eccitazione erotica: gon-
terizzazione limitativa della poesia d’amo
Il diminutivo versiculi costituisce una carat nolog ia della critic a let-
to bi le membro (tument inguina; cfr. Ov. fast. 2, 346 tumidum... inguen) e tensione
però riprende la termi
fatta in un genere letterario diverso, che e Licin io Calvo
Ù dg manbi: cfr. Priap. 23, 4-5; 33, 5). Nel v. 119 parabilem equivale a viliorem
i versi leggeri che Catullo
teraria: in Catullo 50, 4, infatti, versiculi sono n er crone): c'è da notare che si tratta di termine della filosofia epicurea, cor-
16, 3. 6, dove versiculi sono versi di con-
improvvisano a botta e risposta; cfr. anche del
' n cole sa eòribprotos per cui cfr. Cic. fin. 1, 45; 2, 90-91; Tusc. 5,93 e inoltre SEN
o, dunque, l’accumulazione di termini
tenuto lascivo. Rientra in questo ambit llit-
soli , dial
10; 9, 1, 6. Tuttavia, nel contesto particolare in cui si trova inserito, il
es, aestus, curas . . » gravis), conclusi dall’a
linguaggio erotico nei vv. 109-110 (dolor Prope rzio (2, 1, 70). AL-
vr Une i ia completamente di segno, riferito com'è al piacere d’amore. Facilem
a caso compare in
terazione in clausola pectore pelli, che non o dalla natur a:
Le vers, us,que quae propter utilitatem sine dilatione est (p (ps.-A
.-Àcr one): : cfr. carm. 2, 11, 8 facii
a una volta il modus fissat
l'intensità della passione si oppone ancor rogat ivo
vo dall’iperbato del pronome inter
statuat (v. 111), posto in particolare rilie one
a forza di legge. Il contesto è d’intonazi
quem, conferisce alle decisioni della natur sge.,
ww. 120-122 Occorre intendere illam ait relinquendam esse Gallis, hanc sibi quaerend
epicurea e rinvia ancora una Vo Ita al
finale del IV libro di Lucrezio: cfr. i vv. 1063 Non ci è giunto, fra gli epigrammi di Filodemo, quello a cui qui si allude: i 1 oil
rem. Nel v. 112 nega tum
certumque dolo
in particolare la frase et servare sibi cur am nolo filosofo cpicureo asseriva scherzosamente di lasciare le matrone, coi
che sono legati dalla rima.
dipende dò xowod da latura e dolitura, vclse, ai Galli, i sacerdoti di Cibele che, da bravi evirati
per né, invece, desiderava la prima donna disponibile, ppi attendere;
a prin-
per solido: cfr. anche sat. 2, 5, 65) rinvia
v. 113 inane abscindere soldo (sincope ) e
tempo. Concetti analoghi sono espressi dall’elegiaco Properzio in uno sfogo contro
te compaiono xò xevév (lo spazio, inane
cipi della fisica epicurea, dove ugualmen -
Ginzia, che lo costringe a pagare a caro prezzo una notte che giunge una volta all'anno
inane è frequente nella terminologia lucre
ò otepedv (la materia, solidum): d’altronde presa in giro dell’ epi-
(2, 23): nel colmo dell’ira egli proclama di preferire la donna libera, che batte la Via
in Cicerone, nella sua
ziana. La stessa contrapposizione compare Buora c, se qualcuno vuole andare con lei, non si lascia pregare due volte (vv 13. 1),
a sunt ista, mihi crede, delectamenta paene pue-
cureo L. Calpurnio Pisone (Pis. 60): inani um
Sul Galli quali evirati sacerdoti di Cibele basta rinviare alc. 63 di Catull ; di )
ici velle; quibus ex rebus nihil est, quod solid
rorum, captare plausus, vehi per urbem, consp vettabile, quindi, l’interpretazione fornita da Porfirione: Gallis autem ha "alt al iores
ris possis. Abscindere, verbo non attestato
tenere, nihil quod referre ad voluptatem corpo cco
Wise, quia Filodamus Epicurius, cuius sensum transtulit, relegat tales ad Gallos “pui magno
are che sottolinea, però, l’idea di un dista
prima di Cicerone, è un sinonimo di separ quest o caso la sua
‘fidulteria mercantur vel propter divitias, vel quod incensioris libidinis sint Besale c43À:
po, una lacerazione: in
deciso e violento, che comporta uno strap rende inevi -
oltre a nuggerire di retta interpunzione, commenta giustamente: « Gallos autem hic
bilità tra inane e solidum, che
presenza è giustificata dalla totale inconcilia e,
apsslones ” ert Cybe
Cybeles sacerdotes accipio;
ipi qui i tam lentas ambages facile et patienter ferre
tabile la loro netta separazione.
I termini fuori costruzione, che non sono appellativi, ma parole della donna ch
si guarda troppo per il sottile; allo stesso
vv. 114-119 Se si è assetati e affamati, non preziosa invocando pretesti di varia natura, appartengono al modo d’es rime i
si preferisce chi è a portata di mano. Questa,
modo, nel colmo dell’eccitazione sessuale, lingua popolare. Un caso particolare è rappresentato, come nel nostro caso "da
lige facili e accessibili piaceri d’amore.
almeno, è la posizione del poeta, che predi pai che servono a caratterizzare un personaggio, proprio perché il bersaglio
immagini che afferiscono alla sfera del
AI motivo erotico si giunge attraverso t leg a continuamente: cfr. Tac. ann, 1, 23, 3 cui militaribus facetiis
gola, la fame da placare. A queste necessità
bere e del mangiare: la sete che brucia la im ‘Cedo alteram’, indiderant.
o i cibi ricercati. Nell'ambito dei piaceri
urgenti risultano indifferenti le coppe d’oro In quanto allo stet del v. 122, lo ps.-Acrone fornisce due interpretazioni possibili:
un posto privilegiato: i pavoni erano parti
della tavola, pavone e rombo occupavano pro cms aut stet in lupanari. In favore di stare nel raro senso di ‘ costare’ è Ov.
bata e venivano pagati a prezzi altissimi
colarmente ricercati per la loro carne preli fi 812 heu, quanto regnis nox stetit una tuis; tuttavia è impensabile, considerato lare
Pun. nat. hist. 10, 45 e J.M.C. Toynbee,
(cfr. Varg. rust. 3, 6, 1-6; Corum. 8, 11, 1-17; » in discussione, che non trovi qui una sua eco l’uso di stare, sc. in fornice, del
1973, 250-1). Che una cena sontuosa fosse
Animals in Roman Life and Art, London
n , 1
Non è da escludere che qui il verbo sia stato scelto in almente er

e fra le vivande è dimostrato, nonostante


inconcepibile senza la presenza di un pavon 4 SC1DSO,

9, 20, 2 vide audaciam; etiam Hirtio


il suo comportamento da taccagno, da Cic. fam.
Satire I 2, 123-134 345
344 “Orazio

undique ... resonet: cfr. Vere. Aen. 5, 148-149 tum plausu fremituque virum studiisque
a buon prezzo, purché sia di pelle chiara
vv. 123-126 candida-—est: la donna che si offre fuventum/ consonat omne nemus; 12, 606-7 tum cetera circum/ turba furit, resonant lat.
non ha eguali: per di più non pone pro-
e snella e valorizzi i doni della natura, in amore plungoribus aedes. La conclusione della turbinosa vicenda è segnata da un verso ad È
attributi che definiscono il canone della
blemi. Candida recta ... longa (v. 123) sono fetto, ‘incorniciato ’ dalla collocazione chiastica di cruribus haec... egomet mi n
Quintia formosa est multis; mihi candida,
bellezza femminile a partire da Catullo (86, 1-2 ET Porfirione, a proposito di vepallida (v. 129): quidam putaverunt ‘ve
della bellezza femminile dell'aggettivo
longa,] recta est). Sull’importanza nel canone nunc unam partem orationis he igni ‘ ida’ ihi vi
e non è puro e semplice sinonimo di
candidus, che legato etimologicamente a cander ‘vde’ imitativo charactere dictum, ue illa SL foi * calde pall uda) hancsai
lamentationis
Sn
ora Stefania Alfonso in AA.VV., Il
albus ma enfatizza l’idea della luminosità, cfr. vocem proferat. Qui, tuttavia, il prefisso ve- ha un chiaro valore peggiorativo e fi
Rectus indica un corpo slanciato
poeta elegiaco e il viaggio d'amore, Bari 1990, 20-24. tisce all’aggettivo il senso di male pallida: cfr. infatti PauL, Fesr. 513, 1L cronde
t et magnos recta puella deos), mentre
e ben proporzionato (cfr. ProP. 2, 34, 46 despici Mgnificat male grande, et vecors, vesanus mali cordis maleque sanus. i in
4, 33 tu quia tam longa es veteres heroidas
longus definisce l’alta statura (cfr. Ov. am. 2, Nei vv. 130-131 un complesso sistema di allitterazioni (da desiliat a deprensa)
un contesto simile, mundus sottolinea la
aequas; 3, 3, 8 longa decensque fuit). Inserito in lega fra loro le azioni descritte. Conscia è la schiava complice della tresca (il prefi
x munditiis e Nisbet-Hubbard 1970, 75).
semplicità e il buon gusto (cfr. carm. 1, 5, 5 simple gini Indica la complicità con altra persona nello scire), che ora teme per lesue gambo,
te la tradizionale opposizione fra
Nei vv. 123-124 ut neque longa . .. videri è presen in quanto paventa per sé la pena del crurifragium: per situazioni analoghe cfr. 2, 7 60;
e cosmetici: qui si accenna ai belletti
la bellezza naturale (natura) e l’uso di ornamenti Ov. ars 3, 621, In quanto a doti deprensa (sc. metuat), la legge prevedeva che V'adultera
longa. Alla stessa tematica Properzio
con l'aggettivo alba e ai calzari troppo alti con tedease parte della dote al marito, in risarcimento del danno subito a causa della sua
motivo di natura filosofica dalle origini
dedica un’elegia intera (1, 2); si tratta di un gondotta immorale. Il part. pass. deprensa indica qui una categoria (l’adultera colta in
nelle scuole di retorica e ampiamente
antiche (PLar. Gorg. 465 b), da tempo penetrato flagrante, che teme per la dote), e non va considerato come attributo di un sottinteso
per le attestazioni cfr. Fedeli 1980,
sfruttato dai poeti d’amore con fini didascalici: muller: per l’uso sostantivato cfr. carm. 2, 16, 2; 3, 20, 16; risulta inutile, quindi, l’in-
89-91. tegrazione di haec prima di deprensa, proposta da Heinsius e accettata da Bentle P
Cic. div. 1, 13; Flacc. 36: cfr. ThIL
Hactenus ut (v. 123) è nesso prosastico sin da {i dat. con metuo cfr. carm. 2, 8, 21; 2, 14, 16. me
(v. 124) va anche drtò xotvod con longa:
VI 2751, 63 sge.; Hofmann-Szantyr 641. Magis
di Beda, anche se è coniato artificiosa-
un comparativo di albus non è attestato prima &v, 132-134 La situazione precipita: alla grottesca descrizione della fuga con la tuni
cfr. 2, 4, 13; Prop. 2, 3, 10.
mente da Varr. ling. 8, 52. 75; per magis albus ;Blacciatu © i piedi scalzi tengono dietro, in un’esaltante ‘ climax ® nummi, puga e fama:
feno essì, infatti, a rischiare maggiormente se l’adulterio viene scoperto Sulle ene
o e Remo, Egeria la ninfa che ispirò
vv. 125-126 haecest: Ilia è la madre di Romol paventate cfr. il commento di Porfirione: ne deprehensus aut pecunia se redimat ce ad
mbe ad indicare donne di nobilissimo
Numa Pompilio; qui, naturalmente, stanno entra ulterni referendam contumeliam constupretur aut certe manifestus adulterii reus c d
Porfirione commenta: eleganter: fingo
lignaggio. A_ proposito di do nomen quodlibet illi diielicitun profectus sit condemnatus infamis fiat. n
de nobilibus.
mihi in tenebris meretricem illam aliquam esse Proprio perché inserito in una ‘ climax’ denique significa qui ‘ in ogni caso ’: sull
ilo di cui segna la conclusione cfr. gli esempi in ThIL V 1, 530, 69 sg ‘Analo a
vviso ritorno del marito a casa, col
vv. 127-134 Con lei non c’è da temere un impro funzione di denique in epist. 2, 2, 126-8 praetulerim scriptor delirus nersano videri.]
dover fuggire, con la tunica slacciata
rischio d’essere colti in flagrante adulterio o di a so mala me vel denique fallant,/ quam sapere et ringi (cfr. sulla climax
colti sul fatto è una grave iattura:
e i piedi nudi, per salvare il denaro e l'onore. Essere
.
anche lo stoico Fabio darebbe ragione ad Orazio Il v, 134 è incorniciato da due verbi d’intonazione bellica (deprendi vi )
Nei vv. 127-131 nove proposizioni in asinde to illustrano i rischi continui del- tre deprendi si ricollega chiaramente al deprensa del v. 131, per il senso di vinca |
di critiche situazioni a cui occorre
l’adulterio con le matrone e il vertiginoso susseguirsi Una pensare a influsso del linguaggio giuridico, visto che si tratta di convino ne
frenetico finale è contrassegnato dal- uno (si pensi a vincere iudicio, vincere causam e simm.); qui vincam equi le a
far fronte: l’intera serie si oppone a dum futuo. Il
animali. In vir rure recurrat (v. 127) o a demonstrabo: cfr. 1, 3, 115; 2, 3, 225. ine
l'elemento ‘ rumore ’, che coinvolge persone, cose e
continua nel verso successivo dove verisimile che Fabio sia il filosofo stoico già ricordato in 1, 1, 14. Se così è
l’assonanza e l'insistenza sulla littera canina, che a ironizza sul dogma stoico, secondo cui il saggio non può patire né offesa n
sottolineano il lato sgradevole dell’avve-
non a caso si ricorda anche il latrato dei cani, in un caso come quello descritto, sostiene Orazio, persino uno stoico. di stretta
ironici, appaiono invece i. vv. 128-9
nimento, Di tono epicheggiante, con chiari risvolti
‘Orazio Satire I 3 347
346

teoria. Se, però,


osservanza, come Fabio, metterebbe da parte il rigore della propria glustizia: per dimostrarlo, Orazio disegna una breve storia dell’umanità, dal tempo
t Fabium pro adultero
risponde a verità quanto afferma Porfirione (satis urbane significa in cui gli uomini primitivi vivevano come bestie sino al trionfo della vita sociale e della
et ipse sectator), allora
iudicaturum, si iudex in hanc rem constituatur, qui harum rerum sit legge quale tutela degli individui. In ciò Orazio si oppone agli Stoici, per i quali la legge
ripetuta, dell’adul-
Fabio darebbe ragione a Orazio per esperienza diretta, e più volte clvile è un prodotto di natura e, riprendendo tematiche già presenti nei sofisti e svi-
caso la pointe sarebbe quanto mai efficace, luppate dagli epicurei, sostiene che la legge civile non è un prodotto della natura,
terio: proprio lui, lo stoico ortodosso. In tal
e c'è da pensare che sia così. ma una conseguenza necessaria per porre fine all’arbitrio dei più forti nei confronti
del più deboli. Di conseguenza, le colpe non potranno esser collocate tutte sullo stesso
3 pluno, come vorrebbero gli Stoici, ma le pene dovranno essere rapportate alla gravità
delle colpe (vv. 99-119).
86-96; N. Runpp
E. FraENKEL 1957, 86-90; D. ArmstrONG, « Arion » 3.2, 1964, Nella conclusione della satira Orazio sottopone a critica un altro notissimo para-
517-527 ; A. GRILLI, « Helmantica » dosso stoico, secondo cui il saggio è re: egli, tuttavia, porta alle estreme conseguenze
1966, 2-9; M. Ruc4, « Étud. class. » 38, 1970,
34, 1983, 267-292. {l puradosso, che mostra d’interpretare come se il saggio stoico aspirasse realmente
ul sommo potere. Non c'è da temere, però, che raggiuntolo egli commini pene troppo
La satira si apre con la rievocazione degli atteggiamenti capricciosi e incostanti Ilevl, perché tratterà qualsiasi colpa con l’identica severità. Perché, però, dovrebbe
dir di no persino ad Otta-
del cantore Tigellio, che invitato ad esibirsi era capace di aspirare al regno se si proclama già re (vv. 120-133)? Sono poste, così, le basi della
viano e, invece, quando nessuno lo sollecitava, si produce va in interminabili tirate carlcatura conclusiva del saggio stoico: proprio lui, che si crede un re, è costretto a
si sottolinea la man-
canore dall’inizio alla fine della cena (vv. 1-19). Poiché di Tigellio sopportare i lazzi dei fanciulli, che gli tirano i peli della barba, e a tenere a bada col
fuit umquam sic inpar
canza di coerenza (v. 9 nil aequale homini fuit illi, vv. 18-19 nil tuo bastone la folla che l’assedia minacciosa. Costretto a una vita da pezzente, avrà
di aequabilitas, tanto
sibi) ci si attenderebbe uno sviluppo della discussione in materia some discepolo solo quel buono a nulla di Crispino. In quanto al poeta, che non si
trattazi one da parte degli Stoici. In considera saggio, saprà perdonare le mancanze degli amici e da loro si attenderà l’iden-
più che una tale tematica aveva ricevuto ampia
cantore serve solo a suscitare
vece ci si accorge che la presentazione dello stravagante tico comportamento. In tal modo, pur essendo privato cittadino, vivrà più felice del
da cui scaturir à il vero filosofo stoico, che si crede un re (vv. 134-142).
la domanda, rivolta al poeta da un immaginario interlocutore,
d’esser senza di-
argomento della satira: Orazio, che critica Tigellio, crede proprio Il problema centrale suscitato da Orazio, quello del rapporto fra la colpa e la
lunga disquisizione sui
fetti? Di qui si sviluppa, nella parte centrale della satira, la punizione, aveva una reale incidenza sulla società romana contemporanea, se si con-
considerare con indul-
difetti che ognuno possiede e, dunque, si dovrebbe sforzare di tiderano gli appassionati dibattiti, che coinvolsero filosofi, giuristi e retori, sulla pos
o d’amiciz ia, infatti, bisogna com- albilità di applicare la legge con rigore assoluto o sulla necessità che i giudici valutino
genza negli altri, soprattutto negli amici; nel rapport
persona amata diven-
portarsi come nel legame amoroso, in cui persino i difetti della sv per caso le colpe. Negli anni successivi il dibattito troverà un ampio sviluppo
pronti a minimizzare
gono pregi, o come nell’atteggiamento tenuto dai padri, sempre ) ul opera delle due scuole di pensiero giuridico, che si rifacevano ad Antistio Labeone
uomini si comportano
e a considerare benevolmente i difetti fisici dei figli. Invece gli è ad Ateio Capitone, La posizione oraziana è sostanzialmente improntata ad un epi-
, si espongono al
nel modo opposto: enfatizzano i difetti degli amici e, così facendo gurelamo di fondo, con ampie concessioni soprattutto a Lucrezio (in particolare si
Sono poste le basi, in quest’am- den leri la tematica dello sviluppo del genere umano); la sua, però, non è una posi-
rischio d'esser giudicati alla stessa stregua (vv. 20-75).
ore sviluppo delle
pia discussione sui vitia e sulla necessità di perdonarli, per l’ulteri ‘$lone rigidamente dogmatica, improntata al rispetto di una dottrina: a una morale
per distinguere le colpe
argomentazioni: se nemo sine vitiis nascitur, esisterà un modo fiitratta egli contrappone i principi di una morale concreta, dettata dal buon senso e
principi fondamentali
lievi da quelle gravi. Ciò entra, però, in collisione con uno dei somprensione nei confronti degli uomini. Anche questa, dunque, è una satira
nziazio ne nelle colpe e a tutte applica
della filosofia stoica, che non ammette una differe “ ghe, col suo invito all’indulgenza e all’individuazione di una via di mezzo, s’inserisce
0, al contrari o, di nefande
l’identica severità, si tratti pure di innocui furti nei campi fl'ambito dell’esaltazione dell’aurea mediocritas. i
azioni sacrileghe. Anche la discussione sull'amicizia, che sovrintende all’organizzazione comples-
ammettere che il
Bisogna, dunque, distinguere le colpe gravi da quelle lievi e della satira, era stata ampiamente sviluppata da Epicuro: che nella satira il pro-
e con lo stesso prin- n «lei rapporti di amicizia occupi il posto centrale è4 attestato dalle numerose
dogma stoico dell’eguaglianza delle colpe urta col buon senso
o dell'util ità si fondano il diritto e la -Becorrenze di amicus (vv. 1. 26. 33. 43. 50. 54. 69. 73. 84. 93. 140; cfr. anche v,.38
cipio dell’utile (vv. 76-98). Proprio sul concett
Satire I 3, 1-6 349
348 Orazio

Nei vv. 2-3 è chiaro l’accostamento con opposizione fra rogati e iniussi oltreché
amica) oltreché di amicitia (vv. 5. 41). Alla posizione di Orazio, secondo cui l’indul- fra numquam inducant animum cantare e numquam desistant. Conio oraziano è iniussus,
genza deve spingere addirittura ad attenuare i difetti degli amici, si era opposto Ci- che compare anche in epod. 16, 49 in riferimento alle capellae, in un contesto ricco di
cerone (De amicitia 89), citando il v. 68 dell’Andria di Terenzio: obsequium amicos, neologismi dello stesso tipo (inominatus, inaratus, inputatus): verrà poi ripreso nell’epica
veritas odium parit. di Virgilio (Aen. 6, 375) e di Lucano (7, 38).
La satira si caratterizza per la ricchezza di descrizioni vive e fortemente realisti-
che di personaggi e situazioni: dal bizzarro Tigellio al maledico Menio, da Agna col vv. 3-4 Sardus-hoc: il Sardus Tigellius di cui si parla non va confuso col personaggio
polipo al naso al padre coi suoi vezzeggiativi destinati a indicare le deformità del fi- presentato al v. 129 come cantor Hermogenes (sc. T'igellius), nonostante in questo er-
glio, dall'importuno che disturba chi è intento a leggere al servo che lecca la salsa e rore sia caduto anche Miinzer, RE VI A 1 (1936) 943-944: cfr. Fraenkel 1957, 88 e
assaggia i resti della cena, dall’usuraio Rusone, evitato da tutti, all'amico che orina n, 2 sulla cronistoria del problema. Da sat. 1, 10, 90, infatti, si deduce che il Tigellio
sul triclinio e afferra la parte migliore del pollo: particolarmente efficaci si rivelano, Ermogene a cui lì ci si rivolge è ancora in vita, mentre qui l’habebat . . . hoc (sc. vitium:
nella conclusione, l’insistenza sul motivo del filosofo stoico che è al tempo stesso re efr. Cic. Phil. 2, 78 habebat hoc omnino Caesar) fa capire che ci si trova di fronte a un
e ciabattino e l’ironica descrizione delle sue reazioni di fronte alle molestie dei ragazzi defunto: proprio come nel caso del Tigellio di cui si descriveva il funerale all’inizio
e alle pressioni minacciose della folla. In ciò è da vedere probabilmente, con Fraenkel della satira precedente; c'è da chiedersi, d’altronde, se il lettore, messo di fronte a
1957, 88, un’adesione a Lucilio, perché dare inizio alla satira col ritratto del cantore un personaggio di nome Tigellio nell’esordio di due satire successive, possa pensare
Tigellio significava già conferirle una spontaneità e un’immediatezza di tipo luciliano; a due persone diverse. Sul Sardo Tigellio, cantore alla moda già favorito di Giulio
a Lucilio rinvia anche l’òvouaoti xwuwdeîv, benché i bersagli di Orazio non siano per- Cesare ed ora di Ottaviano, cfr. la nota a 1, 2, 3 e lo studio esaustivo di P. Meloni
sonaggi eminenti, come nel caso del suo predecessore, ma figure di secondo piano «Studi Sardi » 7 (1947) 115-151. Qui, tuttavia, un motivo interessante traspare dalla
o sconosciuti o defunti, che però rivendicano il diritto d’essere ricordati proprio determinazione geografica posta all’inizio, prima del nome proprio del personaggio:
per il loro aspetto macchiettistico. ein non serve tanto a distinguere i due Tigelli, quanto piuttosto a introdurre un ele
È verisimile che la satira 1, 3 sia stata scritta a ridosso della precedente, dato Mento satirico nei confronti dei Sardi. Lo capiamo da Cicerone, che con Tigellio
il ricordo ancor vivo del defunto Tigellio e l’ancor cauta e cerimoniosa allusione al ebbe motivi di dissapore, tanto da definirlo — coinvolgendo nella sua disistima anche
rapporto con Mecenate. la terra d’origine — hominem pestilentiorem patria sua (fam. 7, 24, 1). A conforto di
Questa sua asserzione Cicerone allude a un verso infamante di Licinio Calvo, che ci
vv. 1-3 omnibus-desistant: bersaglio iniziale sono i cantori: se gli amici li invitano a è atuto tramandato da Porfirione (= Calv. fr. 3 M. Sardi Tigelli putidum caput), e
fare sfoggio della loro perizia, recalcitrano e non si decidono mai; se, invece, nessuno | Aggiunge il detto, secondo cui Sardos venales, alium alio nequiorem (Cicerone riprende
desidera che cantino, attaccano e non la smettono più. L’omnibus incipitario, pur es- un vecchio proverbio in senari giambici, su cui cfr. orta la II edizione del Supplemen-
sendo riferito alla categoria dei cantores (sui quali cfr. Reisch, RE III 2, [1899], 1499),
tun Morclianum, a cura di A. Traina e M. Bini, Bologna 1990, 17). Sulla cattiva
è un segnale al lettore per il prosieguo della satira: come osserva, infatti, lo ps.
azione dei Sardi cfr, anche Fesr. 428, 36 L. (il testo, ampiamente lacunoso, ri-
Acrone al v. 1, qui Orazio docet, quod alter alterius vitia debet patienter ferre. Il lettore ende il proverbio citato da Cicerone) ‘ Sardi venales, alius alio nequior*: ex hoc natum
accorto, dunque, capisce che la satira verterà sui rapporti fra gli amici, come chiarisce {broverbium vi)detur, quod ludis . . . fiunt a vicinis. Alla luce di tutto ciò si deduce che,
già la chiusa del primo verso; per di più la presenza di vitium nel verso iniziale permette E altre a Sardus in posizione preminente, acquista una funzione ironica anche l’ille che
di dedurre che al centro della discussione saranno i vitia degli amici. le Tigellius: ille, infatti, sembra introdurre un personaggio famoso, che tuttavia,
Inducere animum in luogo di inducere in animum è sino a Terenzio l’unica struttura altre ul essere Sardo, si rivela famoso per la dote non certo esaltante della sua stra
esistente, in cui animum è accusativo di direzione (cfr. THIL VII 1, 1241, 39); anche
in Cicerone continua ad essere la struttura preferita, prima di venir soppiantata dal-
l’altra con Sallustio e gli storici d'epoca imperiale. Porfirione mostra di avere ben 4 6 Caesar-proficeret: neanche Ottaviano sarebbe riuscito a convincere Tigel-
compreso la funzione di cantare, quando commenta che subdistinguendum ‘ cantare’ ‘i cantare, e vano sarebbe risultato il suo appellarsi all'amicizia con Giulio Cesare.
et sic inferendum ‘rogati’ cum pronuntiatione, quia significat ‘etiam rogati’: cantare, er è definito Giulio Cesare in quanto padre adottivo di Ottaviano (Orazio lo ricor
infatti, dipende al tempo stesso da inducant animum, costruito con l’infinito, e da ro- à solo in due occasioni: nella sat. 1, 9, 18 e in camm. 1, 2, 44); in quanto ad Otta-
gati, che ha valore ipotetico,
«. Orazio: Satire I 3, 611 351
350

no.
è definito al v. 4: il 27 a.C. è ancora lonta producere potest quia in caesuram incidit ». Si tratterà dell’inizio, o del refrain, di
viano, egli è ancora Caesar, proprio come non è
. . » peteret ... proficeret) perché Tigellio ditirambo ? dionisiaco che Tigellio gorgheggi
eggiava duran | i 1
Orazio usa i tempi del passato (posset o uso,
posset, che è del tutto normale in quest delle orecchie dei convitati. ° te tutta Ja cena, incurante
più in vita: da parte sua l’imperfetto petiis set e profec isset.
t e proficeret in luogo di
determina la presenza degli imperfetti petere e di Otta- vv. TI7-8 lonpn -;ima : ione: mado
cogere posset, da cui risalta il poter mi Porfirione:
clara voce, modo pressa; et a tetrachordo hoc sump-
Molto accortamente Orazio passa da qui atque
richiesta, a si peteret per amicitiam patris ) ravissimi soni chorda, r. La voce del cant
quae hypate dicitu i cui i
viano nonostante lo scarso esito della sua ruolo
alla richiesta stessa. Quale fosse, poi, il i
corrispondono a quelli delle corde dello strumento, s’identi tifica con la ct 0 Ilil tono
suam, che fornisce un carattere nobile er dimos trato : si cone delloÙ strumento stesso: : n nel tetracordo è la corda più in più inin inaalto
al (summa) nadare
dare lala nota
ha certo bisogno d’ess
dell'amicizia nel rapporto politico, non sii Hr in passo (ima) a dare la nota più alta. Anche altrove (carm. 4, 9, 4;
41-62.
fronti, in particolare, Hellegouarc'h 1972, I . razio usa chorda in senso proprio e non come termine
i tecni co greco
di cantare
vv. 6-8 si conlibuisset—ima: se,
però, gli veniva l’estro, Tigellio era capace a fronte del latino fides, , che chei invece è genericoi e diviene sinonimo di I "Per di i più più
o banchetto. Si conlibuisset (v. 6) sta
accanto agli tervendosi
rverdosi del del deittico
del hac, , sisi preoccupa di i rendere più più viva
via l la E
scena. InPasoresonat ili pre-
o
senza interruzione durante un inter iorit à nei confronti suono dello strumento ris ponde al canto: cfr.
tanto perché indic a anter
imperfetti (si peteret . . . proficeret) non ma solo forme di reddit quem volt manus et mens. cfr. ans 348 chorda sonum
esiste un presente conlibet,
di citaret, quanto piuttosto perché non ene, il prefisso
non è, dunque, come si sosti
perfetto, come conlibuit o conlibitumst: , infatti, 15 nile . Tioal ,
ntanea (aoristica) al verbo. Si tratta no î nil queat: Tigellio assurge ad esempio di mancanza di modus, sia nella ma-
cum a conferire valore di azione mome e intensivo, piera Ù i camminare ora troppo frettolosa ora esageratamente lenta, sia nell’ostenta
prefisso ha perso del tutto il suo valor
di verbo arcaico e popolare, in cui il e sono solo ragioni Mione ci ano opa seguita poi da professioni esagerate di parsimonia. Come
significato diverso dal sempl ice
tanto che il composto non ha sua
au 1954, 130-131). Qui proprio per la banc illi , , « siamo in pieno stoicicismo, per cui i la dottrina del |
stilistiche a dettare la preferenza (Marouze e intro duce l | pitale ed investe tutta la vita dell’ uomo
icolarmente adatto al contesto Iltaa © homologia è capi i Î ». Il neutro ao aequale (v. 9
patina popolare conlibuisset si rivela part rinviare
a ab ovo usque ad mala, per cui si può pini sbpunto al concetto dell’aequalitas o aequabilitas, per cui cfr. Cic A ‘ sli
adeguatamente l’espressione popolaresc adfero, @mnino si quicquam est decorum, nihil est profe ecto magisi quam aequabilit
fam. 9, 20, 1 integram famem ad ovum iversae
i | i
— con Otto 261 s.v. ovum 2 — a Cic. spa-
citur. La formula proverbiale indica lo Lulfum; singularum
pae actionum. . Il Il termine
ine indi
indica dnortamenti.i, und
la coerenza nei i comportamenti, uiuna dot
dote 1
itaque usque ad assum vitulinum opera perdu e (corr ispon denti Quanto che “ era considerata ns i peculiare di Socrate: cfr. Cic. . off. of. 1, 1, 90 praeclara ‘0. est08
tipasto) e le secundae mensa
zio della cena incluso fra la gustatio (l’an
l.: id est ab initio cende ad finem usque. Qvum quabilitas in omni vita et idem semper vultus eademque frons, ut de Socrate accepimus
al nostro ‘ dessert ’): cfr. Porfirione ad tur (notizia Fracnkel 1957, 86.
e cum in gusto statim d balneis offera
enim hodieque initium cenae est, quibp mala autem
in thermis sumit lactucas ova lacertum);
confermata da Marziale 12, 19, 1 delle uova negli anti- vid y " "i Pspferret: : anche l’incessus aveva le sue regole, elencate da Cicerone nel De
offerebant. Sulla presenza
i

apud veteres inter cetera secundae mensae


lactucae singulae, cochleae ternae, ova bina. E, ): cavendum autem est ne aut tarditatibus utamur in ingressu mollioribus
pasti cfr. Pun. epist. 1, 15 paratae erant
,

e alle variazioni del cantore sia alla sua


Il verbo citare (v. 6) allude sia ai gorgheggi 1, 251):
one è ben chiarita da Cicerone (de orat.
invocazione al dio Bacco: la prima funzi annos
cor um more tragoedorum voci serviet, qui et pualone x contro l'etichetta dell’incessus praticando entrambi i modi opposti d’in
i USI i

me auctore nemo dicendi studiosus Grae vocem sensim


cubantes
Fe: i si ni . . sa.
gnificativo che anche per Cicerone ciò denoti assenza di constantia, perché
7

declamitant et cotidie, ante quam pronuntient,


sedentes
9
compluris ad gravissimum sonum
egerunt, sedentes ab acutissimo sono usque
excitant eandemque, cum
del verbo può essere deri
Porfirrione cssn che per syllempsimÎ figuram da currebat bisogna desumere un cur.
recipiunt et quasi quod am modo conligunt. La seconda funzione s)
| se citarier ad suum | munus (sc. Hymenaeu un ehat vel
seria velut qui
qu fugiens
dens hostem currit). . Nell
Nella struttura dei i versi i Orazi
Orazio persegue ;
illustrata da Carutt. 61, 41-43 audiens i
eh Dre vi i equilibrio:
lo; a saepe velut qui nella chi del v. + 99 corrisponde nella
| non audituri numina magna Iovis. ella chiusa i
e da Ov. fast. 5, 683-684 falsove citavi ma
e con l’editio Veneta non Io, Bacchae, pe v 10 Dersaebe (variazione per interrompere la monotonia della serie tempo-
Preferisco leggere con alcuni deteriori forte; di quest o ehe ton indica però maggiore frequenza) velut qui. Si veda anche, nei vv. 11-13
ificato per l’interpunzione
Io, Bacche con allungamento in arsi giust bam ulti mam
apud Horatium Io Bacche sylia i è. saepe, modo... modo (che compariva poco prima, nei vv. 7-8). In persaepe
parere era anche Bentley 437: « ceterum
352 Orazio Satire I 3, 11-20 353

mios solis defendit ardores; Prop, 1, 20, 11 Nympharum semper cupidas defende rapinas
velut qui Iunonis sacra ferret Orazio pensa, come osserva Porfirione, alle canefore delle
Analogo è l’uso di dybvevv: cfr. Liddell-Scott-Jones s.v. [I 11.
feste ateniesi in onore di Giunone, che incedevano solennemente a passi lenti, sot- 0
Nei suoi momenti di eccessiva modestia Tigellio va dicendo che gli basterebbe
reggendo in canestri posti sulla testa i doni della dea: cfr. Ov. am. 3, 13, 27-28 more
per ripararsi dal freddo, anche una toga di lana grossa (toga... quamvis crassa: cfr,
patrum Graio velatae vestibus albis | tradita subposito vertice sacra ferunt e il parallelo con
THIL IV 1103, 71). Le toghe eleganti, invece, erano di stoffa sottile: cfr. epist. 1, 14, 32
l'andatura nelle processioni di cui parla Cicerone a proposito delle tarditates in ingressu
tenues ... togae, n°
molliores (off. 1, 131 ut pomparum ferculis similes esse videamur).

vv. 11-17 I vv, 11-17 da habebat a nil erat sono citati da Seneca (epist. 120, 20) per di-
wo. 15-19 deciens-sibi: tutto ciò indurrebbe a vedere in Tigellio un luminoso esempio
mostrare che maximum indicium est malae mentis fluctuatio et inter simulationem virtutum
di grande risparmiatore: tuttavia, se qualcuno gli avesse dato un milione di sesterzi
amoremque vitiorum adsidua iactatio. Dopo la lunga citazione Seneca osserva che ho-
(v. 15 deciens centena sc. milia sestertium), avrebbe sperperato tutto in cinque giorni.
mines multi tales sunt qualem hunc describit Horatius Flaccus, numquam eundem, ne similem
Tigellio, insomma, che di notte vegliava e di giorno dormiva, era un caso insuperabile
quidem sibi; adeo in diversum aberrat. Nella sua conclusione si sente un'eco di nil aequale
d’incoerenza. Mentre il v. 15 caratterizza un personaggio esemplarmente parsimonioso
homini fuit illi (v. 9) e di nil fuit unquam sic inpar sibi (vv, 18-19).
e il conclusivo quinque diebus non scopre ancora le carte (come in epist. 1, 7, 1 l’espres-
vv. 11-13 habebat=loquens: gli allitteranti ducentos ... decem (vv. 11-12) indicano sione indica un tempo breve), nel v. 16 si capisce a sorpresa che l’elogio del parcus
un grande e un piccolo numero; analogamente nel v. 12 c'è opposizione fra servos paucis contentus è stato formulato con accenti ironici e nasconde, invece, la critica dello
e reges atque tetrarchas (un’espressione frequente, questa, per indicare genericamente scialacquatore.
i ricchi sovrani orientali, mentre i tetrarchi veri e propri non esistevano più sin dalla A caratterizzare l’aprosdéketon è la concisa espressione nil erat in loculis, che indica
conclusione della guerra di Pompeo contro Mitridate: cfr. e.g. Cic. Mil. 76; dom. lu totale assenza di denaro negli scrigni di Tigellio (si trattava di cassette di legno o
60; Phil. 11, 31; SaLr. Catil. 20, 7; Tac. ann. 15, 25). Gli accusativi reges atque tetrarchas d’avorio, su cui cfr, Ism. orig. 20, 9, 3 loculus ad aliquid ponendum in terra factus locus
dipendono, come omnia magna, da loquens: cfr. Cic. Att. 9, 2a, 3 Postumius Curtius seu ad vestes vel pecuniam custodiendam). i
venit nihil nisi classes loquens et exercitus: in entrambi i casi loqui non indica un semplice Noctes è oggetto interno di vigilabat. Per quanto riguarda ad ipsum mane, secondo
‘ parlare’, ma un ‘ parlare con iattanza ‘. alcuni commentatori ci si attenderebbe a mane, mentre ad mane sarebbe costrutto
Inusitato, qui reso possibile dalla presenza del pronome ipsum. In realtà, come ben
ai mono-
vv. 13-15 sit-queat: la mensa a tre piedi, usata nei tempi antichi, si oppone vide Porfirione, qui occorre sottintendere usque: cfr, peregr, Aeth. 27, 4 usque ad mane
podia, le lussuose tavole con una sola gamba; la conchiglia destinata a contenere il ed altri esempi in TAIL VII 279, 53 sge. i
sale sulle tavole dei poveri aveva un suo equivalente di lusso nelle saliere d’argento
delle mense dei ricchi. Tigellio, dunque, cita le suppellettili di cui si serve chi pratica
e severo. vv. 19-20 Quid tu (sc. agis): costituisce un attacco perentorio, con ellissi tipica della
un regime di vita parco
lingua parlata, Immo ha una funzione di rilievo nei dialoghi, dove serve a correggere
Nel v. 14, mentre i codici oraziani tramandano salis puri et toga, quelli di SEN,
le espressioni dell’interlocutore o a rafforzarle (Hofmann-Szantyr
epist. 120, 20 omettono et e Shackleton Bailey corregge puri in pura, rinviando a carm. 492). Qui apparen-
temente Orazio sceglie la seconda possibilità, perché sembra voler sostenere che non
2, 16, 13-14 cui paternum | splendet in mensa tenui salinum e a Pers. 3, 25 purum et sine
la sua congettura sono, tuttavia, non solo i codici di Seneca, solo anch'egli ha difetti, ma addirittura ne ha maggiori di quelli criticati: ma, improv-
labe salinum. Contro
vlaumente, un elegante aprosdéketon rovescia la situazione nella chiusa del verso, e
ma anche quelli di Prisciano (GLK II 241, 26), che citano omnia magna loquens, modo:
le parole di Orazio vanno nel senso opposto; mentre ci attenderemmo maiora, troviamo
sit mihi mensa tripes et concha salis puri per la productio dei composti di pes, e di Porfîi-
rione. Il commentatore di Orazio fornisce anche la spiegazione della iunctura: puri il comparativo minora. L’aprosdéketon non è stato capito né dallo ps.-Acrone (con-
salis, id est: simplicis, non conditi; si tratta, cioè, del sale non mescolato a spezie piccanti = fiteor me habere vitia leviora) né da più recenti commentatori ed editori. Anche que
(Porfirione aggiunge: et concha merito, quia pauperiores in marina concha salem tritum ato procedimento ben s’inquadra nel contesto dialogico, che ricorda il modo di pro-
tedere della commedia. Colloquiale suona anche fortasse, che è assente nei Carmina,
habere solent, quo cum pane vescantur).
Defendere (v. 14) significa ‘ allontanare ’, ‘ respingere ’» cfr, carm. 1, 17, 2-4 (Fau» mentre in Catullo e in Virgilio compare solo in un’occasione; i poeti gli preferiscono
nus) igneam | defendit aestatem capellis | usque meis pluviosque ventos; Cic. Cato 53 ni- fors o forsitan o forsan.
Satire I 3,.21-34 355
354 Orazio

che par- dIstintamente ’ (Ernout-Meillet 733). È chiaramente ironico il senso della frase, per-
vv. 21-24 Merita d'essere bollato. come riprovevole l'esempio di Menio, ehé il cisposo è corto di vista, specialmente quando è oculis inuncetis per una recente
obiettò che forse. avrebbe fatto meglio a
lava male di Novio in sua assenza, A chi gli medicazione, che all’inizio peggiora gli effetti del male. Che pervideas insieme ad oculis
a. Menio è un nobile
pensare ai propri difetti, Menio rispose che egli si perdonav lippus inunctis sia un esempio di ossimoro non era sfuggito ai migliori commentatori
1203 col comment o
spendaccione, messo alla berlina da Lucilio dopo la morte (cfr. il fr. antichi (cfr. ad es. Dacier), anche se l’ironia non è stata capita da Porfirione, il quale
Maenium et scure
di Marx e Porfirione ad L.: qui de personis Horatianis scripserunt, aiunt fitlene pervideas sinonimo di videas (cum tua mala videas velut si libpiens inuncius sis).
fuisse). A quanto pare Menio, dopo aver sper-
rulitate et nepotatu notissimum Romae L'uccostamento di pervidere a libpus produce l’identico effetto di caecior... spectes
la casa che dava sul foro, ma conservò
perato i suoi beni, fu costretto a vendere anche (1, 2, 91) e surdior... audit (cam. 3, 7, 21).
dei gladiator i (oltre a Por-
la proprietà su una colonna, da cui assisteva agli spettacoli Mala, poco accortamente criticato da Kells 1959, 202-205, che accetta male dei
che un giorno
firione cfr. Ascon. ad Cic. div. in Caec. 50). Porfirione ricorda anche dett., in realtà introduce un’opportuna distinzione fra i difetti personali e quelli degli
400.000 sesterzi,
Menio pregò ad alta voce in Campidoglio, augurandosi di poter avere amici: mala, infatti, è più forte di vitia, termine che designa difetti che possono essere
o debiti per
e a chi lo interrogò sul senso della richiesta rispose che aveva contratt gravi, ma potrebbero anche rivelarsi di lieve entità. Di conseguenza Orazio ironizza sul
di Novio, la cui assenza alle critiche rende
800.000 sesterzi. Non si sa nulla, invece, fatto che proprio i nostri mali li consideriamo con occhi da cisposi, mentre adoperiamo
ignobili le maldicenze di Menio (cfr. forse 1, 6, 40 e 121). &eutezza di vista nei confronti dei difetti degli amici, Cernere acutum (v. 26), con acc
tu presenta
Su carpere (v. 21) nel senso di vituperare cfr. ThIL III 495, 59 sgg.; heus neutro avverbiale attestato anche in Ammiano 21, 16, 19, corrisponde al greco sEù
v. 19. Anche
le stesse caratteristiche, ed occupa la stessa sede nel verso, di quid tu del fabric.
heus, attestato solo qui in Orazio, è interiezione della lingua viva e della commedia,
un giuoco L'acutezza della vista dell'aquila era proverbiale sin da Omero (Il. 17, 674-675):
Nei vv. 22-23 la serie ignoras . . . ignotum . .. ignosco permette d’individuare - afe, Otto 32-33 (s.v. aquila 2). Meno attestata, ma ugualmente proverbiale, era l’acu-
elegante mente a sorpresa
di parole pseudoetimologico, iniziato dal quidam e chiuso tessn della vista del serpente: cfr. lo ps.-Acrone (generaliter omnes serdentes multum
a ignoro (cfr.
da Menio: egli si basa sul fatto che ignotum, legato etimologicamente Videre dicuntur) e Otto 319 (s.v. serbens 1). Si pensi, d'altronde, all’etimologia di draco
pass. di ignosco.
appunto le parole dell’ignoto interlocutore), può essere anche il part, fecondo Paut, Fesr. 59, 9 L.: dracones dicti &mò tod Stprecdat, quod est videre; claris-
della lingua parlata per fallere, decipere: cfr. DON.
Dare verba, sc. pro rebus, è perifrasi Hmam enim dicuntur habere oculorum aciem... ideoque Aesculapio attribuuntur: cfr.
eum, qui cum rem expectet, nihil inveniet
ad Ter, Eun. prol. 24 ‘ dare verba’ decipere est Wooscns 1946, 286-291; De Saint-Denis 1952, 19-23. Il serpente è detto Epidaurius
ThIL V 1, 1975, 11 sgg.
praeter verba e gli esempi, da PLAUT. Aul. 62 e Pers. 394, in : perché sucro ad Esculapio, il dio della medicina a cui era dedicato un notissimo san-
Esageratamente enfatico suona, come già in 1, 2, 131, egomet mi.
stultus rinvia fuarlo nd Epidauro, nell’Argolide. C'è chi sostiene che Epidaurius serva solo ad indi
AI v. 24 stultus, improbus, dignus notari sono posti in climax: mentre sare ls sue doti straordinarie, analoghe a quelle dei serpenti sacri di Esculapio: tutta-
(improbus =
alla stultitia, improbus aggiunge una valutazione negativa d'ordine morale ii voinlo una leggenda citata da Porfirione e dallo ps.-Acrone, uno dei serpenti
concetto di onesto presente in probus, c
qui probari non potest), perché si oppone al ali Fipidauro riuscì a salire sulla nave degli ambasciatori romani e, giunto così
sino a ritenerlo degno
dignusque notari deprime l’amore di sé, che caratterizza Menio, na a Roma, scelse come sua sede l’isola Tiberina.
di &Étog +
di una nota d’infamia. Poetica è la costruzione di dignus + inf., per influsso At... contra (v. 27) è frequente formula dialogica, che in particolare compare
inf.: esempi in THIL V 1, 1152, 32 sgg. o in Lucrezio all’inizio dell’esametro (cfr. i numerosi esempi di at... contra
colpe con oce i ThIL II 1003, 57 sgg.).
vv. 25-28 Come si spiega che gli uomini, mentre considerano le proprie
dei difetti degli amici hanno
chi da cisposi, per di più medicati di fresco, quando si tratta 19 34 lracundior—corpore: un uomo che sembra irascibile e si presenta male, coi
meravigli arsi, allora,
la vista acuta dell'aquila o del serpente di Epidauro? Non c’è da li taglinti alla maniera dei cafoni, la toga pendente da un lato e i calzari troppo
tematica già presente
se si finisce per esser ripagati con la stessa moneta. Si tratta di una i, In realtà è un brav’uomo, è un vero amico e nasconde un ingegno notevole
in un frammento comico adespoto (359 K.): gi TANAST-IOY, dvdpoe Baoxavatate, |
un aspetto trasandato.
xaxòv dEudopuetc, Tò d° dtov rapaBriererc; (cfr. L. Alfonsi, « Aevum » 38, 1964; 382).
i dett., Minus (v. 29) significa ‘ poco ’: per minus quale concorrente di parum o di vix
In pervideas (v. 25), che è stato corretto a torto in più modi (non videas "Hofinann 1980, 307-308. Acutis naribus (vv. 29-30) indica il fiuto sottile dei raffi-
a rafforzar e il
praevideas o tu videas Bentley, praetereas Mervilius), il prefisso serve ganfemporanei (horum hominum), Gli antichi commentatori di Orazio mettono in
', ‘ vedere
significato del verbo semplice: pervidere, quindi, indica un ‘ vedere a fondo
356 Orazio
Satire I 3, 34-48 357

i nascondi-
rilievo che acutis naribus è detto metaforicamente, dai cani che individuano hixt. 18, 300 sunt qui accendant in arvo et stipulas, magno Vergilii praeconio (= georg.
naris e, al contrario, naris
gli degli animali dal loro odore; cfr. anche 1, 4, 8 emunctae 1 , 84-85): summa autem eius ratio ut herbarum semen exurant. Innasci è verbo usato fre-
re
obesae che in epod. 12, 3 designa insensibilità. È più che probabile che a determina tjuentemente, da Orazio in poi, per il mondo vegetale (ThIL VII 1, 1691, 24 sgg.).
la scelta dell'aggettivo sia stato qui il cernis acutum del v. 26.
Al v. 31 Shackleton Bailey corregge defluit in diffluit; ma cfr. Vera. Aen. 1, 404 vv. 38-40 L’innamotato non riesce a scorgere i difetti della persona amata; anzi, ad-
va
pedes vestis defluxit ad imos e altri esempi simili in ThIL V 1, 364, 8 sgg. Male non dirittura finiscono per sembrargli indizio di venustà, come accade a Balbino a cui i
male laxus, sed male
legato a laxus ma ad haeret, come ben capì lo ps.-Acrone: non il polipo sul naso di Agna. nni
tra-
haeret, pro non haeret, ut ‘ male sana sororem ’ (Vero. Aen. 4, 8). Nel personaggio Illuc praevertamur è formula di passaggio in trattazioni (cfr. QuINT. inst. 12, 2, 4
sandato gli scoliasti oraziani vedevano la caricatura di Virgilio, la cui rusticitas è sotto- Wed hoc transeo . . .; ad illud sequens praevertar), in cui il prefisso prae— sta ad indicare
tutt'al
lineata dalla biografia di Donato-Svetonio; i commentatori moderni vi vedono, ehe sl dà la precedenza al nuovo argomento, benché ci siano molte altre cose da dire:
in modo analogo in epist. 1, 1, 94 sgg.
più, autoironia da parte del poeta, che si descrive efr, Prrur. Capt. 460 ei rei primum praeverti volo. Nei vv. 38-39 acquistano particolare
dalla triplice ripetizion e
L'obiezione è costruita su un ritmo incalzante, scandito tillevo amatorem e amicae, isolati dal contesto successivo, e turpia e caecum, separati
elen-
di at, non a caso collocato all’inizio di ciascuna delle doti contrapposte ai difetti dal sostantivi a cui si riferiscono, mentre decipiunt e delectant sono legati dall’allitte
o
cati in precedenza, In ut... quisquam (vv. 32-33) V'ellissi di sit è tipica del linguaggi failone; il primo verbo esprime l'illusione e l'inganno in cui cadono gli innamorati
ut magis alter amicus. Bonus indica un bravuom o
comune: cfr. anche 1, 5, 33 Antoni non {l secondo addirittura il compiacimento di fronte a quelli che essi considerano pregi,
et
anche in Cic. fam. 16, 18, 3 A. Ligurius, Caesaris familiaris, mortuus est, bonus homo Mentre In realtà si tratta di difetti. Turpis, opposto di pulcher, dà l’idea della repulsione
nobis amicus; Martiat. 12, 51, 2 semper homo bonus tiro est. Al v. 33 il concetto dell’ami-
si- lea (qui, infatti, l’esempio è costituito dal polipo di Agna): la moecha turpis del c. 42
cizia è enfatizzato dall’allitterazione ingenium ingens; per Porfirione at tibi amicus Ma nni suscita repulsione per il suo modo di camminare e di ridere; ; cfr. cfr. M Montei
I Catullo | il
o eius
gnifica est verus amicus (pronuntiandum autem est — egli aggiunge — ut significati
exprimatur). L'amante che non riesce a vedere i difetti dell’amata era già stato criticato da Ora-
nella sutira precedente. Si tratta, però, di polemica antica: basta pensare alle parole
come
vv. 34-37 denique—ragris: insomma (denique, che non segna un’opposizione, Dafni in Trocr. 6, 18 (« spesso l’amore, o Polifemo, fa sembrare belle anche le
vorrebbe Lejay 78: cfr. Hofmann-Szantyr 514), bisogna esaminarsi bene, per vedere
brutte »). Sul motivo della cecità d’amore cfr. gli esempi raccolti da Otto 23
se la natura non abbia dispensato per caso cattive abitudini e difetti; nei campi tra- BV, ainor 1), in particolare PLAT. leg. 731e; Lucr. 4, 1153; Prop. 2, 14, 17-18; 3, 24, 6
scurati nasce la felce e si è costretti a bruciarla. Gli scoliasti intendono concute nel A proposito del v. 40 Porfirione osserva che Orazio, Luciliana urbanitate usus,
Aen.
senso di excute, considera, diligenter exquire: per concutere i.q. explorare cfr. Vera. teenaltu amaritudinem aspersit: su tale definizione cfr. I. Mariotti, Studi Iuciliani,
ta
7, 338 fecundum concute pectus. Ma concutere ci fa capire che qui l’anima è considera Viene 1500, 11 n. 1. Non si sa nulla di Balbino e di Agna; secondo lo ps.-Acrone
come un vaso, che il compratore esamina battendone la superficie con le nocche, per
nomen meretricis putidis naribus. Polybus autem vitium narium, quod adulescentem
scoprire eventuali incrinature. em idelectabat, Su tali escrescenze del naso (in Orazio cfr. anche epod. 12, 5) si sof-
Numqua vitiorum (v. 35) equivale a num qua vitia (Porfirione: num qua pro num Celso (6, 8, 2): interdum in naribus carunculae quaedam similes muliebribus mammis
aliqua): si tratta di costruzione molto rara fino a Tacito (ann. 1, 9 alia honorum). Se- untur... Polypus vero est caruncula, modo alba, modo subrubra, quae narium ossibus
condo Porfirione inseverit sta per ‘ inseverit se’ aut ‘ insita fuerit’; ma cfr. Cic. Tim. et. La prima sillaba è lunga come nella forma dorica rwAbrtovg (attico roXbrove).
animos corporibus . . . insevisset (sc. procreator); SEN. epist. 121, 17 (cura sui)
44 cum...
animalibus inest cunctis nec inseritur, sed innascitur. Olim (‘a suo tempo ’) si riferisce 48 Sarebbe bello se si commettessero sbagli del genere anche nel rapporto
è si-
al momento della nascita. In un contesto in cui si parla dei rapporti d'amicizia lelzlul Se un nostro amico ha un difetto, dovremmo comportarci come quei
gnificativa la presenza di consuetudo, che è vocabolo del linguaggi o politico e di quello
the tendono a ingentilire e a chiamare con nomi leggiadri le deformità fisiche
dell'amicizia ed esprime la frequenza di rapporti che originano il legame di amicitia:
cfr. in proposito Hellegouarc'h 1972, 76-79. Nel v. 37, ‘ incorniciato ’ fra attributo ts, come hanno chiarito Kiessling-Heinze 53, è nel v. 42 l'essenza di tutte le
e sostantivo, la felce è l'erba selvatica che nasce nei campi (Virgilio, georg. 2, 189, ie verrunno citate nel v. 55, grazie alla quale è possibile fornire una valutazione
la definisce curvis invisa aratris) e va bruciata per preservare il raccolto: cfr. PLIN. nat. del comportamenti dell’uomo, Il desiderio espresso da Orazio nei vv. 41-42
I :3, 49-54 359
Satire

358 ‘Orazio
l'avverbio serve ad intensificare il senso negativo dell’aggettivo (Porfirione: mire dixit
il decipi nei confronti degli amici era
tiene conto del fatto che nella morale dell’ epoca male parvum, volens intellegi macilentum): cfr. anche 1, 4, 66; carm. 4, 12, 7; PruD. cath
difetti entrambi molto criticabili; lo pro-
ritenuto indizio di debolezza e di adsentatio, praef. 14-15; anth. Lat. 648, 5-8 e inoltre Hofmann 1980 306 Nisb t-H bb d
89): molesta veritas . . . sed obsequium.
clama a chiare lettere Cicerone nel De amicitia ($ 1970, 125. i i ST
praecipitem amicum ferri sinit; maxima autem L’abortivus Sisybhus dei vv. 46-47 era, secondo Porfirione, un nano prediletto
multo molestius, quod, peccatis indulgens,
culpa in eo, qui et veritatem aspernatur etin
fraudem obsequio impellitur. Omni igitur hac da Antonio (Marci Antoni triumviri pumilio fuisse dicitur intra bibedalem staturam, in-
0 bsequio autem... comitas adsit, adsentatio,
in re habenda ratio et diligentia est... în genio tamen vivax): proprio per la sua furbizia deve aver ottenuto quel nome; per il
modo amico, sed ne libero quidem digna est.
vitiorum adiutrix, procul amoveatur, quae non some altisonante con chiari intenti ironici si può rinviare al nanerottolo, che in Pro-
44-48) è d’ obbligo il rinvio a Lucr.
Per l'elenco dei difetti che paiono pregi (vv. petzio 4, 8, 41 si fa chiamare Magnus. La notizia di Porfirione è confermata da Filo
4, 1160-1169 demo (Iepì onpetcov 2, 17), il quale parla di Pigmei che Antonio avrebbe fatto venir.
os, falla Siria. Abortivus è qui attestato per la prima volta: cfr. poi MARTIAL. 6, 93, 5 pu
nigra melichrus est, immunda et fetida acosm ua abortivo nec cum putrescit in ovo; Is, orig. 10, 20 abortivus eo quod non oriatur sed
caesia Palladium, nervosa et lignea dorcas, @sborlatur et excidat. Varus è chi ha le gambe storte in dentro (Porfirione: vari appellan-
sal,
parvula, pumilio, Chariton mia, tota merum fur introrsum retortis pedibus), scaurus chi le ha storte in fuori (Porfirione: scauri sunt
exis plena que honori s.
magna atque immanis catapl qui extantes talos habent). Fulcio è detto di parti del corpo solo nella satira precedente
loqui non quit, traulizi, muta, pudens est;
Balba (vv. B7-88 facies [sc. equorum] . . . decora | molli fulta pede est) e inoltre in ArnOB. adv
at flagrans odiosa loquacula Lampadium fit.
nat. 3, 13 caput (sc. deorum)... ossea substructione fulciri; Sion. epist. 1, 2, 3crura suris
Ischnon eromenion tum fit, cum vivere non quit
fulta turgentibus. Meglio attestato è pravus in riferimento a parti del corpo: oltre ad
prae macie; rhadine verost iam mortua tussì. ari 36 naso vivere pravo, cfr. Cic. fin. 5, 46 si quae in membris prava aut debilitata aut
,
At tumida et mammosa Ceres est ipsa ab laccho fmminuta sint; Tusc. 4, 28 vitium (appellant) cum partes corporis inter se dissident, ex quo
simula Silena ac saturast, labeos a phile ma.
pravitis membrorum, distortio, deformitas. In quanto, poi, al balbutire dei padri coi loro
o oggetti che indicano difetti
Come ha notato Fraenkel 1957, 88 n. 3, i quattr figli ancora in tenera età, osserva Porfirione che sic... blandientes infantibus infringere
disposti in accorta successione e tutti
fisici (baetum pullum varum scaurum) sono Winguan solent ut quasi eos imitentur: è questa la situazione di Ts. 2, 5, 93 (a proposito
diverse: (1) strabonem, (2) male parvus
determinati da costruzioni nominali o verbali del nonni) nec taedebit avum parvo advigilare nepoti | balbaque cum puero dicere verba
(4) illum... pravis fultum male talis. Per
si cui filius est, (3) hunc... distortis cruribus, dunem.
(appellat) e nell'ultima (balbutit), mentre
di più il verbo è espresso nella prima frase
to. Ma qui Orazio si è voluto diver-
nelle due centrali deve essere desunto dal contes ve 19 * Orazio passa ad elencare i vizi degli amici, che bisogna chiamare con nome
(paetum pater... pullum... parvus)
tire, perché, oltre all’insistente allitterazione sadivecmo per giustificarli e renderli accettabili. Lo spilorcio deve essere definito parsi-
difetti fisici vengano indicati da vocaboli
non può essere casuale il fatto che i quattro #0, l’invadente va considerato servizievole, il brutale diventa schietto e chi ha
ie romane (se ne accorse per primo
che sono al tempo stesso cognomina di nobili famigl anguce caldo passa per vivace.
per la gens Elia, Autronia e Papiria; Pul
Rutgers: cfr. Bentley 444); Paetus è attestato In purcius... frugi il senso di biasimo deriva dal comparativo, perché parce ac
i Licini e i Quintili; Scaurus per gli Emili
lus per i Fabi e i Numitori; Varus per i Cassi, Ilter convivono in 1, 4, 107. Frugi, antico dativo di frux (cfr. Don. ad Ter. Ad
dei vocaboli prescelti, strabo, come 08»
e gli Aureli. Per quanto riguarda il significato i frugi homo, utilis ut fruges), è l'opposto di nequam; sulla dote della frugalitas cfe,
mentre paetus è colui che ha gli occhi
serva Porfirione, detortis qui est oculis dicitur, Detot, 26 frugalitatem, id est modestiam et temperantiam; Tusc. 3, 16-17 Graeci |
e: cfr. Varr. Men. 344 B. e si pensi
leniter declinati (Paeta era appellativo di Vener =
Virtittem cowppocbyny vocant quam soleo equidem tum temperantiam, tum moderationem
pulcino ») doveva essere appellativo
al nostro ‘strabismo di Venere ’). Pullus («il . ..
Hare, nonnumquam etiam modestiam; sed haud scio an recte ea virtus frugalitas appel
284, 17 L. antiqu i pueru m quem -
frequente nel linguaggio affettivo: secondo Festo possi ... Eius enim videtur esse proprium motus animi appetentis regere et sedare sem-
d’anim ali quali termini del linguaggio affet-
quis amabat pullum eius dicebant (sui nomi «tdversantem libidini moderatam in omni re servare constantiam; cui contrarium
tivo cfr. già PrauT. Asin. 666 667 dic igitur
me tuum passerculum, gallinam, coturnicem, | 2 m nequitia dicitur. Ineptus è il contrario di aptus e indica una persona maldestra
um; 693-694 dic igitur med aneticulam, -
agnellum, haedillum; me tuum dic esse vel vitell summette sciocchezze (si pensi al senso di ineptiae e del verbo ineptire); in parti-
passerculum, putillum). In male parvus =
columbam: vel catellum, |-hirundinem, monerulam,
360 Orazio Satire I 3, 55-62 361

colare qui si tratta di chi s'intromette a sproposito: lo capiamo da Cic. de orat. 2, 17 Att, 1, 12, 1; 13, 14, 2; fam. 14, 4, 3; dopo di Orazio bisognerà giungere sino a Tertul-
qui aut tempus quid postulet non videt, aut plura loquitur, aut se ostentat (cfr. al v. 50 iactan liano per trovare la stessa collocazione di opinor: cfr. ThIL IX 2, 723, 65 sgg. Opinari è
tior), aut eorum quibuscum est vel dignitatis vel commodi rationem non habet, aut denique verbo prosastico, che in poesia è frequente solo nella commedia e in Lucrezio; Orazio
in aliquo genere aut inconcinnus (cfr. al v. 50 concinnus) aut multus est, is ineptus esse dicitur, lo usa quattro volte, ma solo nelle satire e nelle epistole.
Ineptus, dunque, è un uomo ingombrante, che si fa avanti a sproposito e manca di di- Il generico haec res (v. 54) indica il modo di comportamento che tende a minimiz-
screzione e di tatto. toro | difetti degli amici (ps.-Acrone: quia vitia infringimus et lenioribus nominibus ap-
AI v. 50 iactantior indica chi si mette in mostra vantando meriti inesistenti. Con- pellumus). Iungit iunctos è un esempio di epiploké (una forma verbale è ripresa nella stessa
cinnus, invece, può essere sinonimo familiare di commodus e designare l’accorto compor- frase dal part. pass. dello stesso verbo, in modo tale da accentuare il concetto da esso
tamento di chi sa stare al suo posto (cfr. anche Praur. Mil. 1024; Lucr. 4, 1276); eipresso e da sottolineare la rapida successione delle azioni: in Orazio cfr. anche 2
oppure potrebbe indicare chi vive all'unisono con gli amici. La prima interpretazione 3, 104 si quis emat citharas, emptas conportet in unum). Qui il legame tra le azioni descritte
sembra preferibile, perché — come osserva Monteil 1964, 180-181 — «si iactantior dalle forme verbali appare tanto più forte, in quanto esso è operato con forme del
ne paraît s'accommoder d’aucune valeur précise de concinnus, ineptus semble bien verbo iungere: ne vien fuori l’idea di un'amicizia indissolubile e al riparo da sorprese
exprimer l’idée d’une manque d’adaptation à un milieu social, supposant par là méme (efr. unche servat). Per lo sviluppo della figura retorica cfr. Hofmann-Szantyr 812-813.
que concinnus corrige cette idée dans l’esprit d’amis indulgents, et exprime à peu près
le contraire ». Secondo Kiessling-Heinze 54 postulare (v. 51) è sinonimo di velle; nel vv, 55-62 Gli uomini, però, prendono a rovescio le stesse virtù, in modo tale da farle
verbo, tuttavia, è insita l’idea del ‘ reclamare ’ qualche cosa (cfr. Ernout-Meillet 525): tembrare vizi: se uno è perbene, ma si presenta in maniera modesta, subito gli si ap-
il soggetto in questione, quindi, ‘ reclama ’, ‘ pretende ’ di apparire concinnus agli occhi - bloppa l'appellativo di tardo; se un altro è guardingo e circospetto, viene giudicato
degli amici. Truculentus, che deriva da trux, indica un individuo che si segnala pet la falso © astuto.
sua brutalità: questa caratteristica negativa dovrebbe mutarsi, in un'amichevole va- Nos (v. 55) indica gli uomini in generale, da cui Orazio non si esclude, dando così
lutazione, in quella positiva della fortitudo. La libertà eccessiva nei discorsi e nei giudizi Un peso maggiore al rimprovero, Da invertimus occorre desumere in contraria vitia;
(v. 52 plus aequo liber) deve esser considerata indizio di simplicitas. Per plus aequo liber - Ma forse compare già qui l’immagine del vaso: cfr. infatti 2, 8, 39 invertunt Allifanis
cfr. ps.-Acrone: ultra quam oportet; ‘ plus aequo’ liber est, qui, quod sentit, tacere non Winaria tota. Fortemente espressiva, nel v. 56, è l’immagine degli uomini che nella loro
possit. Secondo Porfirione simplices vulgo pro mansuetis et modestis dicuntur; hic simplicem follia è come se si adoperassero a sporcare il vaso pulito. Secondo Porfirione allegoricos
dixit, qui quod sentiat de amico, libera lingua pronuntiet. Qui, infatti, mentre fortis riprende how dicitur: incrustari autem vas dicitur, cum aliquo vitioso suco inlinitur, atque inquinatur
truculentior e afferisce alla sfera del comportamento, simplex si ricollega a liber e rientra le gita Luci. 135 M. incrustatus calix). Incrustare, che propriamente significa « inqui-
nella sfera dell’espressione linguistica. L’elogio della simplicitas e della fortitudo è tese fare », nel senso di crusta obducere compare solo qui e in Tertulliano; si tratta di verbo
suto da Cic. off. 1, 63 viros fortis et magnanimos eosdem bonos et simplices, veritatis amicos 4{b fato spesso in Varrone, ma senza la ‘ ratio inmunditatis’. La ‘ iunctura’ sincerum
minimeque fallaces esse volumus. asta nicompare in epist, 1, 2, 54.
Caldior (v. 53) equivale a fervidior ad irascendum. Per la sincope, tipica del linguag- _ Al v. 56 parte della tradizione manoscritta, oltre a Porfirione, ha cupimus in luogo
gio popolare, cfr. 1, 2, 113 soldo; Cic. inv. 2, 28 aliquem caldum vocari quod temerario d furimus: tuttavia furere sembra preferibile, proprio a causa della realistica espressi
et repentino consilio sit; cfr. però QuinT. inst. 1, 6, 19 Augustus quoque in epistulis ad C. eZAILÀ el contesto, al troppo banale cupere, tanto più che si tratta di verbo della pole-
Caesarem scribtis emendat quod is * calidum’ dicere quam ‘ caldum’ malit, non quia id lea stoica (i.q. delirare, desipere: cfr. 2, 3, 41 primum nam inquiram, quid sit furere).
non sit Latinum, sed quia sit odiosum et, ut ibse Graeco verbo significavit, teplepyov. Tut- lla chiusa del verso quis è un indefinito, benché non sia preceduto da ne, (ni)si,
tavia nei manoscritti caldus è molto raro e in poesia compare solo in una dozzina di i di ma cfr. v. 63 simplicior quis est, Ter. Eun. 511 roget quis; Cic. parad. 44 filiam
casi, da Lucilio a Marziale (cfr. ThIL HI 151, 32; per calidus i.q. iratus, ibid. 153, 65 sgg.). {a huhet, pecunia est opus; in tutti questi casi l’uso di quis si giustifica perché il pen-
Opinor, usato qui parenteticamente, non esprime certezza: cfr. Don. ad Ter. Andr, è ipotetico e bisogna, dunque, sottintendere si.
367 quoniam argumenta sunt ex coniectura, opinor dixit; nam contra opinionem ‘ certa res Multum + agg. al grado positivo (v. 57) costituisce una forma di superlativo
est’; quae autem opinamur, putamus, quae putamus, incerta sunt. Invece d’essere posposto, lingua familiare, attestata spesso in Plauto e poi soprattutto in prosa; in Orazio,
è messo all’inizio della frase qui e in epist, 1, 16, 78, come già in Praur. Asin. 151; irte Il caso isolato di carm. 1, 25, 5, compare solo nelle satire (1, 5, 92; 2, 3, 147)
Rud. 661; Cic, Quinet. 76; div. in Q. Caec. 54; Verr. 2,1, 29; 2, 5, 159; Caecin, 89; sile cpistole (1, 10, 3; 2, 2, 62). Demissus (i.q. humilis, modestus) indica un uomo
362 Orazio: Satire 1.3, 63-69 363

alla buona; per il nesso con probus cfr. Cic. de orat. 2, 182, da cui si evince che demissus vv. 63-69 simplicior—urgetur: se uno è di carattere semplice e .con le sue parole mo-
non ha necessariamente una sfumatura negativa: eaque omnia quae proborum, demisso- lesta all’improvviso chi è tutt’intento a leggere, viene definito scocciatore e privo del.senso
rum, non acrium, non pertinacium, non litigiosorum, non acerborum sunt, valde benevolen- del vivere comune. Così facendo, non ci rendiamo conto di sancire una legge ingiusta
tiam conciliant. D'altronde nella Pro Murena Cicerone associa l’idea dell’uomo demis- contro noi stessi, perché non c'è uomo che nasca senza difetti e migliore risulta colui
sus a quella della modestia e del pudor ($ 87 sit apud vos modestiae locus, sit demissis che ha difetti minori. È significativo che l’esemplificazione sia costituita dall’atteggia-
hominibus perfugium, sit auxilium pudori). Associato ad animus, invece, demissus assume mento del poeta stesso nei confronti di Mecenate, in modo tale che sia chiaro il senso
una connotazione negativa in Cic. off. 3, 115 ea quae timido animo, humili, demisso «di gratitudine da parte di Orazio; accompagnato da un atteggiamento di premurosa
fractoque fiant. mildisfazione per l'importante rapporto di amicizia. Secondo Fraenkel 1957, 88 questo
I dativi tardo e pingui sono accordati con illi; il Blandinius vetustissimus ha ille, passo appare come il primo tentativo del poeta d’imboccare la strada, che ben presto
che va con homo della frase precedente, e tale lezione è sostenuta da Bentley 446-448; marà da lui percorsa, della caratterizzazione del suo modo di vivere.
in tal caso, tuttavia, il lettore dovrebbe intendere tardo come dat. dipendente da damus Nei vv. 63-64 bisogna intendere si simplicior quis est et talis qualem, Maecenas,
e pingui come predicato, mentre pingui costituisce un’intensificazione del precedente mepe libenter obtulerim me tibi. Si ritiene da più parti che obtulerim sia un cong. ottativo
tardo e l’asindeto serve a mettere in rilievo il ‘ crescendo ’ dell’ingiuria. Per l’asindeto tiferito al passato (« come spesso vorrei essermi presentato a te »): tuttavia, come ha
cfr. in questa stessa satira huic parco, paucis contento (v. 16), probus... demissus sottolineato Woodcock 1938, 9, per conferire a obtulerim un valore ottativo si forza
(vv. 56-57), insuavis acerbus (v. 84). Il significato di libenter (« suivant mon caprice » Lejay, « ganz nach Belieben » Kiess-
Secondo Porfirione obdit (v. 59) nunc obicit atque offert significat; cfr. anche Paut, ling-TIcinze). Se c'è valore ottativo, esso è insito proprio in libenter, mentre obtulerim
Fest. 207, 15 L. obdere obponere vel operire. Prima di Orazio obdere è attestato solo nella è un cong. potenziale riferito al futuro (« come spesso e volentieri potrei presentarmi
commedia ed è riferito a chiavistelli e ad altri aggeggi con cui si chiude una porta; A te »). Implicitamente, secondo Woodcock, Orazio rivolge a Mecenate queste parole:
qui per la prima volta il verbo è adoperato ‘in imagine ’: successivamente lo sarà «lo vorrei offrirti (in futuro) frequenti prove, Mecenate, di possedere la qualità della
solo in Ov. Pont. 2, 2, 40 nec rigidam timidis vocibus obde forem. Nulli malo non è neu- Ilmplicitas », e sottintende un ragionamento di questo tipo: « benché possa essere
tro, bensì maschile (« non offre il fianco scoperto ad alcun malvagio »: qui il malus Attaccato come libertino patre natus, quia sum tibi, Maecenas, convictor (1, 6, 46-47)
è colui che ha tutte le intenzioni di giocare un tiro mancino): ciò s'accorda con l’am- 8, In luogo di simplex, possa essere chiamato fictus, astutus (1, 3, 62) e plus aequo liber
bito di provenienza dell'immagine, che è tolta dal linguaggio dei gladiatori (cfr. TIB, (1,3, 52)».
1, 4, 52 saepe dabis nudum, vincat ut ille, latus). | f" noto che i latini leggevano ad alta voce, o almeno mormorando, in modo tale
AI v. 60 i codici oraziani elo ps.-Acrone tramandano wersetur, a cui va preferito, ehe ogni lettura diveniva per loro una recitazione. All’inizio della satira 2, 7 Orazio
tuttavia, versemur del Blandin. vetust., perché Orazio, come si è visto in precedenza ta leggendo chiaramente ad alta voce, perché lo schiavo Davo che lo interrompe
(v. 55 invertimus, v. 56 furimus), coinvolge se stesso nel ‘ modus vivendi’ generale. ii nia corta precauzione esordisce con le parole iamdudum ausculto; nella satira 2, 5,
Mi sembra che in favore di versemur restino valide le osservazioni di Bentley 448: pol, la lettura silenziosa di Nasica (v. 68) è considerata una pratica eccezionale. Che do-
« sententia enim haec universum saeculi mores temporumque conditionem. tangit. Yesae esser proprio così è dimostrato dal fatto che, qualche secolo dopo, S. Agostino
‘i
Neque enim vult cautum hunc in peiore vitae genere, quam alios versari; neque huic mune stupefatto e intimorito nel constatare che S. Ambrogio legge in silenzio, Nel
magis, quam aliis, insidias calumniasque vitandas: sed eiusmodi cautelam et prudentiam esto oraziano la lettura ad alta voce è opposta al silenzio (legentem aut tacitum).
in omni vitae genere maxime probandam esse ». Per la posizione di inter cfr. i vv. 53 AL v. 65 lo ps.-Acrone accorda ad inpellat il senso di adloquatur e la sua interpre-
-
e 68: l’allitterazione (vitae versemur) conferisce solennità a un'affermazione che ha il lone è condivisa da non pochi commentatori moderni: tuttavia, a stare al ThIL,
in cui si denunciano l’invidia e la calunnia che allignano nel £ : ibra che il verbo non abbia mai avuto questo significato; qui impellere sarà sinonimo
valore di una massima,
rapporti umani. { percutere, usato naturalmente in senso metaforico. Il seccatore si rende molesto
Bene (v. 61), contrario di male (epist. 1, 19, 3 male sanus), è usato di solito per raf £ Hovis sermone (« col primo discorso che gli viene in mente »): quod videtur importu-
=
forzare aggettivi che esprimono qualità o vantaggi. Per bene sanus cfr. 1, 9, 44; 2,3, 74} commenta lo ps.-Acrone. C'è chi, come da ultimo Shackleton Bailey, riferisce
“=
Cic. Sest. 23; fin. 1, 71. L'uso frequente nell’epistolario di Cicerone fa capire che sì tu: nl soggetto di impellat; sembra preferibile, però, farne un attributo del sog-
tratta di espressione del linguaggio familiare: essa, d'altronde, rimase viva nella lingua = ti di caret, in quanto molestus risulta molto più efficace se inserito nell’accusa for-
quotidiana per tutta la latinità (cfr: Hofmann 1980, 200-201). ta contro quel sempliciotto, che non conosce le regole della cortesia; era questa
Satire I 3, 69-75 365
364 Orazio

ul exsequare e riprende l’immagine della bilancia. La stessa immagine semb


the whole sentence gains
anche l'opinione di Fraenkel 1957, 88 n. 1 («I feel that mente In Cic. fin. 2, 96 compensabatur tamen cum his omnibus (sc. malis) animi la tti
»). Il sensus communis di
in strenght and poise if the criticism begins with molestus quam capiebam memoria rationum inventorumque nostrorum. Se si ammette vesta solu.
rapporti sociali, dell’op-
cui l’importuno personaggio si dimostra privo è il senso dei sione, occorre digerire il forte iperbato che si crea per la separazione di cum dall'abl,
in comunità: cfr. SEN.
portunità e della convenienza, grazie al quale è possibile vivere vitils: l’unico esempio che si cita è costituito da Lucr. 2, 1166-1167 et cum ti vor
tempus, locum observet , personas, quia mo-
benef. 1, 12, 3 sit in beneficio sensus communis: temporibus praesentia confert | praeteritis; per di più occorre ammettere una m: Md
mentis quaedam grata et ingrata sunt; QuInT. inst. 1, 2, 20 sensum ipsum, qui communis di legami fra compenset e inclinet. L'alternativa consiste nel conferire a cum il valore
sed mutis quoque anima-
dicitur, ubi discet, cum se a congressu, qui non hominibus solum, di contenzione (em compenset) e nel considerare subordinata di inclinet la frase che
o qui: sulla flessione
libus naturalis est, segregarit? La forma inquimus è attestata soltant iroduce: è questa l’interpretazi
Wimmnel 1964, EI
i
128-137, Fra l'ltro egli ha mostoato Mal'infondatezza dell'unico
i i
di inquit cfr. Leumann 541.
di conseguenze funeste
Me ni ergomenti
esempio
Nelle parole del v. 67 si avverte il timore del sacrilegio e p ato (Lucr. 2, 1166-1167), dove cum non è una preposizione, bensì
Sancire è termine della lingua re-
(temere; legem iniquam, cioè non aequam; sancimus). pn congiunzione; del tutto diversi si rivelano i casi di iperbato con preposizioni
sacro e inviolabile ’;
ligiosa e politica, il cui significato originario è quello di ‘ rendere blaillubiche, quali inter, super, circa, propter, contra. Accanto alla ‘ pars destruens’
con una legge’ e, infine,
sancire legem passa poi a significare ‘ stabilire solennemente Wimmel ha portato buoni elementi in favore dell’interpretazione di cum co ij
‘ ratificare’, ‘ sanzionare ’. Si tratta di un uso attestato soprattutto in Cicerone e in flunzione grazie al confronto con la struttura del v. 25 cum tua pervideas cculîs mala
et libertate ea iura sanxe-
Livio: cfr. e.g. Cic. dom. 80 maiores nostri... qui de civitate Mppus Inunctis, che col v. 70 presenta notevoli e interessanti analogie strutturali. al
se (sc. Menibpum legatum),
runt; Liv. 34, 57, 10-11 ex eo genere cum Antiochus esset, mirari dattilo Iniziale cum tua corrisponde, infatti, il dattilo cum mea; seguono in entrambi
enim hoste pacem, non cum
quod Romani aequum censeant leges ei dicere... Cum Philippo 4 qual una forma verbale al congiuntivo (pervideas; compenset), i metricamente equi
1963, 121.
Antiocho amico societatis foedus ita sanciendum esse e Fugier lenti oculis e vitiîs e, dopo la cesura eftemimera, i neutri plurali a cui si riferiscono
essione proverb iale molto diffusa: cfr. ProP. A pomessivi iniziali (mala; bona). Considerata l’analogia fra i due versi, sembra impro.
Vitiis nemo sine nascitur è un’espr
contr. 2, 4, 4 nemo sine vitio est; PETRON.
2, 22, 17 unicuique dedit vitium natura creato; SEN. ‘Babile che il lettore antico possa aver accordato al cum del v. 70 una funzione diversa
[1]). Su optimus ... urgetur
75, 1 nemo... nostrum non peccat e Otto 375 (s.v. vitium quella del cum del v. 25. In quanto, poi, a vitiis, Wimmel ritiene che non lo si d bba
, ut nulla habeat, fieri
cfr. il commento di Porfirione: bene est, si pauca habeat, quoniam desiderare un ablativo: delle costruzioni attestate nel ThIL per compensare (con Vabl ”
non. potest. | cite Cn ame iena si vede qui presente la seconda, per analogia con conferre
sui piatti della bilancia di- | lesto caso D i ucreziano erroneamente citato per l’iperbato
vv. 69-72 amicus—eadem: un amico benevolo deve porre eum fornisce il miglior parallelo; ma cfr. anche 1, 5, 44; Cic. orat. 14; Prop. .1,5,7.
dalla parte dei pregi. 1, 5,7
fetti e pregi e, se vorrà essere amato, dovrà far pendere il piatto do .
lurilus hisce (v. 70) èx dat. dipendente da inclinet e, ovviamente, si riferisce a
bona vitiis e, successivamente, inclinet hisce (i.e.
Bisogna costruire cum compenset mea ud lam. Del tutto
meis bonis) pluribus (i.e. ut quae plura sint = « poiché sono di più »), si modo mihi bona superfluo si dimostra l’intervento di Doering sul testo tràdit
compiacente; si tratta di iunctura frequente nel et. Amare si volet hac lege, in luogo di inclinet, amari si volet: hac lege), che recen.
sunt plura. Amicus dulcis è l’amico
da Cic. Lael. 90, dov'è opposta agli acerbi inimici inte è stato accettato da Shackleton Bailey: Doering intende il contesto nel
linguaggio dell’amicizia, a cominciare
mereri quam eos amicos qui dulces videantur); cfr. 6 «hi si volet hac lege me amare, ad eandem legem vicissim me amabitur: ma nell
(melius de quibusdam acerbos inimicos
epist. 3, 4; AuG. conf. 8, 6, 13. Fpretazione fa difficoltà il me che occorre sottintendere nell'infinitiva. A proposito
anche Lyon. 6, 9; Ov. Pont. 1, 8, 31; PERS. 5, 23; Hier.
ut aequum est dem Freunde Vi 12 Porfirione osserva: allegoricos hoc significat: si ignoscet vitiis meis, indulgentia
Per Kiessling-Heinze 56 amicus dulcis è « der Freund, welcher figo vitta illius aestimabo. Hac lege (« secondo
no ad amicus dulcis V’esprese questa norma ») riprende il motivo
liebenswiirdig dulcis occurrit »: ma in tal modo essi unisco ico introdotto
bilancia e indica che l’amico nel v. 67, mentre trova una sua concretizzazione l’immagin
sione ut aequum est, che invece si riferisce alla pesa sulla biluncia, preannunciata in conpenset ed inclinet e ora resa esplicita dalla Dresenza
cfr. Serv. ad VERO.
deve compiere imparzialmente una tale operazione. Per aequum
iuxta naturam, Ina, un prestito antico dal greco rputàyy, che indica, appunto, la bilancia.
Aen. 2, 426 iustum secundum leges vel aliqua ratione constrictum, aequum
to a cum il valore di
vv. 69-72 I più antichi commentatori oraziani hanno accorda 1° All'amico bisogna perdonare le verruche, se si vuole che, a sua volta, egli ci
F; A A , . *

bona conpenset; ps.


preposizione, da collegare a vitiis (Porfirione: cum vitiis meis mea pini | nostri bitorzoli (tuber, parola antica e tecnica, indica un’escrescenza; termine
É . ® . 0 ». ® )

cum bonis); il verbo conpensare equivale


Acrone: amicus bonus debet conpensare mea vitia
o ‘Orazio Satire.I.3,. 76-83 367
366

cui sviluppo cfr. A. Ernout, Philologica, parto come il greco 10106 rinvia all'idea del calcolo. Pondera compare, con un analogo
ugualmente antico e tecnico è verruca, sul
» 47, 1990, 82-86). D'altronde, se. cer- ore metaforico, in Cic. Planc. 79 sed ego haec mei i Î
I, Paris 1946, 185, I. Mariotti, « Mus. Helv.
esser pronti a giustificare quelle degli altri. quid cuique debeam, sed etiam quid ciiusque intersit dipen camini mi pr
chiamo scuse per le nostre colpe, dobbiamo
bitorzoli e delle verruche (all’interno Coercere (v. 79), in cui è insito il concetto legale di ‘ reprimere ’ (ch THE Il
Con l’immagine fortemente realistica dei »,
ere, che significa concretamente « urtare 1436, 26 sgg.: d'altronde anche l’associazione stretta di supplicia e delicta si n
della quale assume un senso mate riale offend rbial e espre ssa
o delinea un'’antitesi prove nello stesso ambito) è termine tecnico per le sanzioni ufficiali; secondo Ki ssling
e non, in senso traslato, « dar noia ») Orazi
elica del fuscello e della trave e si confronti, Heinze se ne deve dedurre che in ponderibus modulisque suis si alluda all'attività degli
in vari modi: si pensi all'immagine evang
antitesi, SEN. dial. 7, 27, 4 papulas obser- edili, ai quali erano affidati controlli del genere, per evitare frodi e violazioni a Ila
per un modo diverso di esprimere la stessa
tere epicureo della massima aequum . . quum: cfr. VArr. Men, 245 B. fortis, aecus vel ad aedilicium modium. Se
vatis alienas, obsiti plurimis ulceribus. Sul carat )
terazione peccatis ... poscentem reddere rursus
rursus (vv. 74-75: si noti la ricercata allit venia m petim usque Vv. 80-83 si-dicatur: se il padrone fa crocefiggere uno schiavo, che si è permesso di
è formulato in ars 11 hanc
cfr. Grilli 1983, 270; un principio analogo
e solo a una restituzione (in questo caso, aasaggiare i resti del pranzo quando gli è stato ordinato di portar via il vassoi "o ;
damusque vicissim. Il verbo reddere non allud
tuzione di ciò che è dovuto, come in greco i nani di mente direbbero che egli è più pazzo di Labeone. Con un’imma co tipica
dell’indulgenza per i peccati), ma alla resti della commedia (cfr. Lejay 85), ma probabilmente ripresa dalla satira meni Pe dalla
avviene per &rroddbvat. diatriba (cfr. infatti l'analogia con Lucian. Prom. 10), Orazio st Cl nol ; cia
il difetto dell’ira ed altri in cui cadono gli luppo dottrinario delle argomentazioni. i siempera Il noioso svi
vv. 76-79 Poiché è impossibile estirpare
la ragione non si preoccupa di adoperare Per lo ps.-Acrone ligurrierit equivale a deglutierit e per Nonio 134, 24 L. a d
uomini sprovvisti di saggezza, perché mai fivatare |... multa avide consumere: si tratta di verbo dal frequente si if ;sceno
me i delitti con le pene?
i suoi modi di valutare i difetti e non repri
Lucrezio, sinonimo di praeterea, porro (derlvando da lingere il suo senso proprio è quello di « leccare ») attestato sai Plauto
Denique (v. 76) è, come di solito avviene in
di un aspetto completamente trascurato è pol In Lucilio, ma non disdegnato da Cicerone in senso traslato (Ven 53,3 17,
e introduce un nuovo argomento: si tratta
Fraenkel 1957, 87 n. 1 (ma cfr. già Lejay dam. 47). In Orazio cfr. anche 2, 4, 78-79 puer unctis / tractavit calice N 1 1
nella voce del ThIL, su cui ha fatto piena luce
la nota a 1, 1, 64. Il vitium irae è presentato furta (sc. fercula surrepta) ligurrit. m manitus, dim
ad 1.). Sul valore causale di quatenus cfr.
re alle radici (excidi penitus equivale a ale Sull’identi î
ci enlicazione di i ernia i
pForirione, non aveva dubbi: Marcus Antistius
come una pianta dannosa, che bisogna taglia
nte la consueta polemica con gli Stoici, sannoDre sé tus, mer rtatis in qua natus erat, multa contumaciter
radicitus exstirpari). Compare qui probabilme
i peccati, ritengono che si debba aesarem dixisse et fecisse dicitur. Propter quod nunc Horatius adulans A
i quali oltre a considerare allo stesso livello tutti bilme nte
rei quantitas (così Porfirione, che proba imanum cum dixit. Simile è il commento dello ps.-Acrone: Labeo iuris peritu capera
considerare l’animus peccantis e non la l’agg. stultus, it lens Augusti Caesaris; huic modo reprehendit Horatius ingratiam Cesari, "Marais
pensa all’adozione del linguaggio stoico da parte di Orazio in stultis:
se, come avverte Grilli 1983, 270, « deni- diu errore per Marcus) Antistius Labeo iuris peritus memoratae libertatis im in
infatti, riprende l’&ppewy degli Stoici); anche
si è voluto vedere epicureo, invocando i tun libere invectus est; ideo etiam eum nunc poeta male tractat, ut gratificet "Ag igusto.
que... haerentia è concetto che artificialmente +
tus evelli male posse putandumst . . . perché di tratterebbe, dunque, del celebre M. Antistio Labeone che i caposcuola d I: Den
il confronto con Lucrezio (3, 310) nec radici zio interpreta 4 proculiana, si contrappose alla tendenza tradizionalista rappresentata di Patio
ia prima (v. 309). Ma qui Lucre
rimangono naturae cuiusque animi vestig ggio, a
maestro, che, se pur con altro lingua ftone, caposcuola dei sabiniani. L’indispensabile sulla sua biografia è i A Per.
in modo del tutto ortodosso concetti del 2
accettava forme d i vita non del tutto
conformi all’ideale atarassia per la necessità i Labeo, Rémisches Privatrecht im ersten Jahrhundert der Kaiserzeit Halle 1873 7 n
che
555 Us.). Il che è totalmente diverso da ciò ; & per parte sua, sia pure con qualche esitazione, ritiene impossibile l'identificazio |
insuperabile di 1}j pboei ypÎjodar (fr. loro seguito Panezio,
i peripatetici e al Laheone oraziano col giurista, perché all’epoca del I libro delle satire costui di veva
dice Orazio e ciò che dice Orazio lo dicono
cui elementi delle passioni umane non sono ea tutt'al più 15-16 anni. E questo appare ostacolo insormontabile Nonostante
in base alla teoria della metriopdtheia per
ell’uomo, anzi se ciò avvenisse, sarebbe con ato utteggiamento antitirannico di Labeone possa giustificare la definizi Sora.
estirpabili penitus dalla natura stessa d
A di insanus (sull’atteggiamento antitirannico di Labeone cfr. le attest ioni tace
danno per l’uomo ».
qui ri presa e completata da quella delle da L. Borchett, Num Antistius Labeo, auctor scholae Proculianorum “Stoicae hi.
La precedente immagine dei pesi viene
crone, equivale a mensuris); ratio, d'altra = iae fuerit addictus?, diss. Vratislav. 1859, 10-11, che per parte sua crede “lliden,
misure (modulis che, come avverte lo ps.-A
Satire I 3, 83-95 369

368 Orazio
del precedente peccatum. D'altronde come delictum designa talora una mancanza di
del Labeone poco conto (cfr. ad es. il v. 141), così delinquere può indicare la presenza di difetti
tificazione col Labeone oraziano). Non va dimenticato che l’identificazione
despoti fu fatta propria da Ugo Fo- trascurabili: cfr. Cic. off. 1, 146 fit enim nescio quomodo ut magis in aliis cernamus, quam
oraziano col giurista nemico della tirannide e dei in nobismet ipsis, si quid delinquitur.
mo nei confronti
scolo, che se ne servì per bollare il poeta di adulazione e di servilis Nel v. 85 è preferibile interpungere forte dopo acerbus, che in tal modo intensifica
(Ediz. Naz.
del futuro principe e per esaltare la grandezza morale del giureconsulto
volendo dare Il concetto negativo implicito in insuavis; non fa difficoltà l’asindeto, per cui cfr. i
delle Opere di Ugo Foscolo, VII, 105: « ma quando si vede che Orazio,
solenne, scrive insanior Labeone, e che nel vv, 16, 56-57, 57-58. Insuavis costituisce l’opposto di dulcis, scil. amicus, del v. 69:
l’ultima pennellata alla pittura d’un pazzo e'è du tener presente che acerbus rappresenta l’antitesi proprio di dulcis, come mostra
io alla scienza e alla costanza di
tempo stesso si legge negli annali di Tacito sì bell’elog
vecchio veneran do Il frammento comico di autore incerto citato da Cic, fam. 3, 8, 8 med esse acerbum sibi
Labeone, chi non aborrisce la viltà d’un poeta che insulta ad un uti sim dulcis mihi (cfr. la III ediz. dei Com. Rom. Frg. di Ribbeck, p. 141). Insuavis,
ne di
ed inerme, perseguitato dal più forte, e a cui non rimaneva in quella condizio attestuto solo a partire dalla Rhetorica ad Herennium e da Cicerone, in poesia compare
de’
Roma altro protettore ed amico che la sua virtù, né altro asilo che il sepolcro
Accad. Scienze Torino » 78, 1942-194 3, 185). ‘bolo qui. Osserva Hofmann 1980, 302 che « le designazioni tratte da sensazioni disgu-
suoi maggiori? ». Cfr. G. Grosso, « Atti
altre itone come ‘ orribile, sudicio, schifoso, ripugnante ’ nella lingua d’uso si introducono
Considerata l’improponibilità dell’identificazione col giurista, si sono tentate
Antistio Labeone, nl posto delle espressioni precise e logiche ‘ ingiusto, indecente, infame” ».
vie. Si è pensato, in primo luogo, al padre del giurista, Pacuvio Il Rusone del v. 86 era apparentemente un usuraio, che per noi rimane uno sco-
en-
su cui cfr. W. Kunkel, Herkunft und soziale Stellung der ròmischen Juristen, Graz-Wi ‘ngacluto. Dipendiamo dal commento di Porfirione, non sempre attendibile — come
isti della
Kéln 1967 (II ediz.), 32-34: Pacuvio Antistio Labeone fu uno dei protagon a proposito di Labieno — in quanto ad identificazione dei personaggi: Octa-
12, 4) e morì suicida dopo la sconfitta dei ‘Ml è visto
congiura contro Cesare (cfr. PLuT. Brut. fa Ruso acerbus faenerator. fuisse traditur, idem scriptor historiarum, ad quas audiendas
o del contesto
cesaricidi a Filippi (APPIAN. civ. 4, 135; PLUT. Brut. 51, 2); il tono scherzos
non più ‘gignificut solitum fuisse cogere debitores suos, quibus scilicet talia audire poena gravissima
giustificherebbe la frecciata rivolta da Orazio a un antico commilitone, ora enim significat ‘ porrecto iugulo *. Le calende ricevono l’attributo di tristes perché
del XIX erat; hoc
in vita. Appare più probabile, tuttavia, l’identificazione, proposta all’inizio HI primo del mese bisognava pagare i debiti: che per taluni tale data con la sua scadenza
tribuno
sec. da F.A.W. Spohn e ripresa da Fraenkel 1957, 89, con C. Atinio Labeone, rappresentare una sciagura è sottolineato qui dall’accostamento tristes misero.
avrebbe gettato giù dalla rupe Tarpea potense
della plebe nel 131, il quale rimase famoso perché
espulso dal senato, se non fosse Il debitore deve procurarsi a tutti i costi la somma dovuta (mercedem aut nummos,
il censore Q. Cecilio Metello Numidico, che lo aveva n cul sono indicati gli interessi e il capitale: per questo significato di merces cfr. la
143). Il ricordo del
intervenuto un altro tribuno (cfr. Liv. per. 59; Prin. nat. hist. 7, nota n 1, 2, 14). La geminazione unde unde, che dà l’idea delle vane e ripetute ricerche,
fatto doveva essere ben vivo all’epoca d’Orazio, se si considera che Cicerone (dom,
(ille furor tri« ‘tquivale in modo più espressivo a undecumque (« da qualsiasi parte »), mentre il verbo
123) aveva ricordato il tribuno con una chiara allusione alla sua insania futricure (ThIL V 2, 2082, 60 « fere i.q. difficulter enodata efficere, parare ») denuncia
de, che già Lucilio, il quale attaccò aperta»
buni plebis); è più che probabile, d'altron hire note la difficoltà estrema dell'impresa: cfr. VATIN. ap. Cic. fam. 5, 10a, 1 de
Su questa, che rimane l’identif ica-
mente Metello, abbia ricordato il focoso tribuno. iunzuio tuo adhuc nihil extrico; Comm. instr. 1, 17, 1-2 deludunt vos... vates inanes
1971, 87-88. In
zione più attendibile, cfr. anche V. Ferraro, « St. ital. filol. class. » 43, cere suam dum quaerunt vitam.
rebbe lo
ogni caso appare errato correggere col Bentley Labeone in Labieno, che ripropor Per il povero debitore la situazione precipita ed egli è rappresentato, mentre è
stesso ostacolo della troppo giovane età. Batretto ad ascoltare le aspre lamentele del creditore, come se fosse in attesa del colpo
un amico, { gruzia. Porrigere (oppure dare, praebere) iugulum indica l’azione di chi porge il collo
vv. 83-89 quanto audit: ancor più grave è il peccato di chi prende ad odiare e ricevere il colpo fatale. La iunctura, che la fantasia di Porfirione mette invece in
come il debitore
che si è reso colpevole di una mancanza di poco conto, e lo evita prto con un preteso vizio di Rusone di costringere i debitori ad ascoltare le sue
e interessi. è =
fugge Rusone quando arrivano le calende, che lo costringono a pagare debiti fpportabili historiae, è ricercata e l’enfasi che ne deriva chiaramente ironica, perché
Come ha messo in rilievo Grilli 1983, 270-271, stoica in genere è la polemica lan è vocabolo tipico della lingua poetica elevata (TAIL VII 2, 637, 47).
richiamata dal
contro gli stulti, come lo è in genere la dottrina della mania o furor, qui
dal linguaggi o stoico insieme
furiosius del v. 83: esso sembra attinto intenzionalmente 90.95 Se invitiamo a cena un amico e costui, ubriaco, orina nel letto tricliniare
peccata, laboranti
con peccatum, quasi ad anticipare ilv. 96 quis paria esse fere placuit im) o fa cadere un piatto vetusto, oppure affamato afferra il pollo che nel vassoio
(cfr. gli
Nel v. 84 delinquere è stato scelto a bella posta in luogo del sinonimo peccare
a ripetizione
scolii a Ter. Hec, 663 delinquunt peccant), che avrebbe creato una fastidios
Satire I 3, 96-98 371
370 Orazio

Il compito di trasmettere l’eredità ad una terza persona; ben si capisce, quindi, che la
Che faremo, allora, se si
sta dalla nostra parte, per questo dovremmo detestarlo? violuzione del filecommisso costituisca un vero e proprio tradimento (vd. il verbo
mmisso o di negazione della
renderà colpevole di furto o di tradimento di un fideco prodere). Sponsum, come osserva lo ps.-Acrone, equivale a promissum: cfr. VARR. ling.
garanzia? 6, 70 appellabatur et pecunia et quae desponsa erat sponsa. Si tratta della garanzia data
nte attestato, com'è
Commeiere (ThIL III 1827, 13) i.q. mictu inquinare è rarame in un contratto fra privati e una terza persona, che completa l’idea di conmissa fide:
nel senso generico di cone
ovvio, a partire da Catullo (78, 2; 99, 10, dove però è usato efr. epist. 1, 16, 43 quo res sponsore et quo causae teste tenentur.
un piatto cupo di modeste
spurcare) e da Orazio. Catillus, diminutivo di catinus, indica
m puris circumposuisse
dimensioni: cfr. 2, 4, 74-75 piper album cum sale nigro / incretu vv, 96-98 Gli Stoici sentenziano che le colpe sono uguali; ma si ribellano il buon
catillis; VaL. Max. 4, 3, 5 e... ligneo catillo cenante m.
fanno, le consuetudini, l’utile stesso. La massima stoica è discussa e confutata anche
o: quando lo ps.
Del catillus si dice qui che è stato tritus dalle mani di Evandr da Cleerone (fin. 4, 55) e non è da escludere che Orazio se ne sia ricordato qui; secondo
m, si capisce che lo mette
Acrone intende tritum quale sinonimo di perfectum, operatu Gleerone i principi fondamentali dell’etica stoica sono che omnes, qui non sint sapientes,
di ciò, il commen to di
in rapporto con un Evandro artista. Si confronti, a riprova fieque miseros esse, sapientes omnes summe beatos, recte facta omnia aequalia, omnia
um hunc caelato rem ac
Porfirione: qui de personis Horatianis scripserunt, aiunt Evandr Deoccata paria. Ma, egli aggiunge, quae cum magnifice primo dici viderentur, con-
transtulisse; inde inter
plasten statuarum Marcum Antonium ab Athenis Alexandriam dlderata minus probabantur. Sensus enim cuiusque et natura rerum atque ipsa veritas clama-
In tal caso l'amico avrebbe
captivos Romam perductum multa opera mirabilia fecisse. bat quodam modo non posse se adduci, ut inter eas res, quas Zeno exaequaret, nihil interes
non designa mai un vaso,
rotto un vaso di pregio. Tuttavia, a parte il fatto che catillus t (sl noti la somiglianza fra sensus... et natura rerum atque ipsa veritas e sensus mores-
considerato che presenta
Orazio non può voler dire che il piatto è un’opera d’arte, que ‘.. atque ipsa utilitas; si veda anche exaequaret in Cicerone ed aequi in Orazio).
e del tutto trascurabile, tanto che lo si dovrebbe facilmente
il danno come minimo Su questa presa di posizione, che accomuna programmaticamente i due poeti
in ballo perché il suo
perdonare. Di conseguenza il mitico Evandro sarà stato tirato iatirici Lucilio e Orazio in una serrata polemica contro i filosofi cinico-stoici in quanto
una remota antichità, che tuttavia non è tale da conferire
nome riesce ad evocare Mppresentanti di principi talora fondamentali, enunciati in modo radicale, cfr. Puelma
antiquariato: tutt'al più
valore al catillus (è del tutto assente il nostro concetto di 949, 99. Per Orazio si tratta di una questione di buon senso e di buon gusto: a gui-
raccoglitori di antichità):
Orazio può aver voluto mettere alla berlina certi maniaci le nelle satire sono i concetti del verum, dell’utilitas, dell’aequum e del sensus, che
o ha
si tratta semplicemente di un piatto vecchio e, quindi, di nessun valore. Evandr il contrappone all’intransigenza dei dogmatici. In particolare, nel contesto della
2 tu autem proinde quasi
la funzione di rievocare i tempi remoti anche in GELL. 1, 10, i ira 1, 3 quella degli Stoici si configura come una lotta disperata e persa in partenza
cum matre Evandri nunc loquare, sermone abhinc multis annis iam desito uteris. tro il buon senso e le regole di vita, Le immagini sono prese dal linguaggio militare;
. . . pullum... parte)
Nel v. 92 una solenne allitterazione trimembre (positum filosofi dogmatici, infatti, si trovano in difficoltà (laborant), proprio come soldati che
tmesi (quia antepo
serve a rafforzare l’ironia del contesto. Porfirione pensa ad una na «ubendo un contrattacco nemico (cfr. il verbo repugnare); la lotta rischia di es-
è avverbio, qui come in PLAUT.
situm pullum in mea parte catini sustulit): ma ante BEL impari, se a rebugnare sono sensus moresque. Le allitterazioni scandiscono questa
in parte significa « la parte ri-
Men. 274 bonum ante ponam prandium pransoribus. Mea (paria... placuit peccata; ventum... verum).
piatto centrale. Su catinus,
volta verso di me »: se ne deduce che ci si serviva da un Ad verum (v. 97) equivale a ad aestimationem veri (ps.-Acrone): non si tratta,
oltre al precedente diminutivo catillus, cfr. VaRrR. ling. 5, 120 vasa in mensa escaria:
que, della verità dei filosofi, ma della realtà; gli Stoici, quindi, si trovano in diffi-
unt; in Orazio cfr. .
ubi pultem aut iurulenti quid ponebant, a capiendo catinum nominar tà quando si passa dai dogmi alla vita reale. Sensus, qui e nel contesto ciceroniano
anche 1, 6, 115; 2, 2, 39; 2, 4, 77. #a menzionato, è il buon senso, di cui è prova manifesta il commento scandaliz-
ob hanc rem del v. 91, è
Hoc (v. 93), « a causa di ciò », costituisce una variazione di dello ps.-Acrone: aliter indignatur animus, cum audierit homicidium factum, aliter
sinonimica di dulcis, suavis amicus. Nel v. 94
mentre iucundus amicus è espressione furtum. I mores, infine, sono le regole di vita: cfr. il virgiliano (Aen. 1, 264) mores-
(8, 12), mentre il fide come”
si furtum fecerit corrisponde al furtum faxit delle XII Tavole viris et moenia ponet.
de dolo malo. In questo casà
missa non reddere e il negare sponsa appartengono al settore A proposito del v. 98, Porfirione protesta contro quello che era uno dei dogmi
si adegua all’antichità
il ricorso all’allitterazione nel v. 94 (faciam . . . furtum fecerit) l'eplcurcismo: nondum video, quo modo utilitatem iusti et aequi matrem recte dixerit.
94-95. In conmissa fide”
della formula e al linguaggio strettamente giuridico dei vv. nposta e meditata si rivela la reazione dello ps.-Acrone: ingeniose ait, iustum
su cui cfr. Leuman n 446: per quanto #
siamo in presenza dell’arcaica forma di dat. fide, uuon ex utilitate descendere. Inter iustum autem et aequum haec differentia est: iustum
qualcun o, che poi aveva e
riguarda il fidecommisso, in esso il testatore nominava erede
372 Orazio Satire I 3, 99-106 373
Est enim utilitas vera iusti
est, quod ex lege descendit, aequum vero, quod ex natura ... di un lento e faticoso emergere dalle viscere della terra); secondo la dottrina epicurea,
ergo utilitas iusti mater rebugnat
et virtutis mater; altera est, quae videtur pecuniaria. Illa appunto, gli animali sarebbero venuti fuori dalla terra, in una specie di nascita spon-
em, sed natam esse ex utie
praeceptis Stoicorum. Ostendere vult, iustitiam non esse natural tamen: cfr. Lucr. 2, 1150 sgg.; 5, 781sgg.; 790-796; 805 sgg.; 809 sgg.; 916-917 e,
più confacente ai toni
litate. Prope ha la funzione di attenuare l'immagine altisonante, inoltre, Vero. ecl. 6, 40; Ov. met, 1, 416. La dipendenza da Lucrezio viene subito messa
ioni del genere, di chiaro
della tragedia che a quelli di un sermo. D'altronde espress in chiaro, al di là della ripresa concettuale, dalla chiusa del verso, in cui animalia terris
scuole di retorica:
sapore tragico, dovevano aver trovato ampia accoglienza nelle Fiprende l'identica chiusa di Lucr, 5, 797.
figura retoric a della prosopopoita: hoc
Rutilio Lupo (2, 6, p. 15, 8 Halm) così spiega la Per mutum... pecus (v. 100) cfr. Lucr. 5, 1059 cum pecudes mutae, cum denique
quae sine personis sunt aut eorum hominum, qui fuee
fit, cum personas in rebus constituimus, igecla ferarum. Mutus designa il suono non articolato degli animali da Naev. trag.
amus (cfr. anche QuINT.
runt, tamquam vivorum et praesentium actionem sermonemve deform 45 R. (esempi in THIL VII 1733, 33 sgg.); qui è trasferito ai primi uomini. Turpe è
crudelitatis mater avaritiast,
inst. 9, 3, 89). E declama, quale adeguato esempio: nam tinonimo di incultum (ps--Acrone), con allusione alla bassezza della condizione dei
l’oraziano iusti prope
pater furor. A. proposito di tale citazione, che ricorda da vicino primi abitanti della terra, che è in contrasto con la dignità umana (cfr. Monteil 1964,
poetae, qui fabulas scribserunt,
mater et aequi, Rutilio fa notare che hoc genere usi sunt 364). Pecus, che indica gli animali domestici in opposizione alle ferae (cfr. Lucr. 1, 14
in settenari trocaici,
in prologis (contro l'ipotesi che si tratti di un frammento tragico fatuo, pecudes), indica qui che i primi uomini vivevano nella condizione di bruti. Se-
ediz. dei Trag. Rom. Frg.,
come pensava Haupt, cfr. Ribbeck nella prefazione della II tendo un luogo comune, gli uomini primitivi si sarebbero cibati di ghiande: oltre a
.
Lipsiae 1871, LXVII-LXIX). Buon, 5, 939 glandiferas inter curabant corpora quercus, cfr. e.g. VARR. rust. 2, 1, 4 ut

i oribus ac virgultis decarpendo glandem, arbutum, mora, poma colligerent ad usum; Orazio
tali offerti dalla natura,
vv. 99-106 I primi uomini combattevano con i mezzi rudimen Mdopera, qui e in 2, 4, 40, il singolare collettivo glans. I cubilia sono il ricovero in cui
le parole e i nomi, comincia» 4
per contendersi le tane e il cibo; quando, poi, trovarono @iscorrere la notte: cfr. Lucr. 5, 969-971 silvestria membra { nuda dabant terrae nocturno
e di stabilire le leggi,
rono a desistere dalle lotte e a preoccuparsi di fortificare i villaggi tempore capti | circum se foliis ac frondibus involventes.
per evitare che esistessero ladri, briganti e adulteri. Sul modo di combattere dei primi uomini (vv. 101-102) cfr. Lucr. 5, 1283 sgg.
consapevolezza di.
È questo, forse, l’unico passo in cui Orazio si pone con seria ha cintiqua manus ungues dentesque fuerunt f et lapides et item silvarum fragmina rami | . . .
o del genere umano attingendo
fronte al passato ed elabora una teoria sullo svilupp gteriis ferri vis est aerisque reperta. Il sostantivo fustis, che indica il bastone, appartiene
ano, tratto dall'ul tima parte ;
a materiale epicureo, in particolare a materiale lucrezi terno cotidianus ed è molto raro in poesia, fatta eccezione proprio per Orazio (cfr.
vo sono sostanz ialmente
del V libro del De rerum natura. A caratterizzare l’uomo primiti he v. 134; 1, 5, 23; 2, 3, 112; carm. 3, 6, 41; epist. 2, 1, 154). La stessa successione
cazione, l’assenza
tre fattori: la selvaggia ferinità, la mancanza di strumenti di comuni Ir... fustibus è in Gaio, inst. 3, 220 pugno... aut fuste percussus. Porro (« progres-
429, « il recupero che
di forme organizzate di vita sociale. Come osserva Vitali 1976, mente ») sottolinea il graduale progresso degli uomini verso una forma di civiltà.
molto generico e scontato
Orazio fa di questi concetti . . . avviene secondo un modulo In i sta climax, dalle unghie ai pugni (cfr. la ‘ figura etymologica’ pugnis ... pugna-
azione delle principali fasi evolutive -
risultando una sintetica, anche se erudita, registr ) al bastoni alle armi, è tipicamente epicureo il senso di tale progressione nel tempo.
dell’uomo primitivo; non diventa mai, comunque, la elencazione delle serie di discri-2 i itule con cui Lucrezio scandisce il passaggio da una fase all’altra della storia del-
discriminante è-
minanti che segnano le tappe dell’uomo. Per Orazio la vera ed unica nanità (5, 1011. 1102. 1143. 1151), fanno riscontro in Orazio, oltre a porro, donec
qualità e cioè &
la scoperta del linguaggio che porta il mutum pecus a fare un salto di 103), dehinc (v. 104).
da litteratu s qual era, riporta.al fat Fabricaverat (v. 102) costituisce la prima attestazione della forma attiva, mentre
| darsi una organizzazione sociale. Orazio, quindi,
evoluzi one che signific a sviluppo:
linguistico la storia dell'evoluzione dell'umanità, epunente, attestata sin da Plauto, continua ad essere l’unica accolta da Cicerone
comple tament e la realtà i & Lucrezio (cfr. Don. GLK IV 383, 19 sunt verba incertae significationis, ut...
del sentimento (su un piano ben noto al poeta) ma che ignora
(mettendolo in posiz ss
ione co...: hacc enim... etinoetinr littera finiuntur). Come fa notare Grilli 1983,
della cultura materiale dell’uomo. Orazio, quindi, valorizza icurco è anche il concetto di usus, che è la somma dell’esperienza accumulata
che per Lucrezi o non era che un anello della lunga= x
di rilievo) quel fatto linguistico per volta e del bisogno, che di tale esperienza costituisce lo stimolo. Nell’usus
serie di acquisizioni e di scoperte ».
ione anc ino sono fusi i significati di ‘ esperienza ’ e di ‘ utilità ’: si tratta, per di più, di
Gli animalia (v. 99) sono «gli esseri animati », senza alcuna distinz e al quale (come anche ad utilitas e a consuetudo) è spesso attribuita una forza
attestat o sin da Cicero
tra le fiere e gli uomini; con questo significato il vocabolo è i altri esempi, su cui si sofferma Brink 1971, 158, sono in epist. 2, 2, 119 produ-
verbo che dà l’ide
e Lucrezio. Di essi si dice che « strisciarono fuori» (prorepserunt, t ianis; «rs 70-71 cadentque | quae nunc sunt in honore vocabula, si volet ususj Cic.
Satire I 3, 107-110 375
374 Orazio

expressit nomina Al v. 104 dehinc indica un ulteriore progresso: absistere bello (i.q. desistere, cessare
orat. 155 an dabat hanc consuetudo licentiam?; Lucr. 5, 1029 utilitas @ hello: si tratta di iunctura frequente negli storici, di cui cfr. gli esempi in ThiL I 171
rerum. #2) non indica, ovviamente, una rinuncia assoluta alla guerra, ma la rinuncia alla guerra,
sensus animalia
Sia voces sia sensus (v. 103) compaiono in Lucr. 5, 1087-1088 varii quale unico principio per risolvere le questioni, in favore di accordi e patti che non
e sono indicate
cogunt / muta tamen cum sint varias emittere voces. Con verba . .. nominaqu derlvuno dalla natura ma sono frutto di convenzione. A sottolineare questo concetto
ione) e le parole
le parole coniugabili (verba, termine con cui si designa la coniugaz oppida e leges incorniciano in modo significativo il v. 105, per cui cfr. Lucr. 5, 1108
con cui si indica la declinazione), mentre il plurale voces
declinabili (nomina, termine gendere coeperunt urbis arcemque locare. Il nesso oppida ... leges ricompare in ars 399
Le voci confuse
si oppone a verba nominaque (grida inarticolate vs parole articolate). 6ppida moliri, leges incidere ligno, mentre ponere leges, da Virgilio variato in moresque
senso (sensus, il signifi»
e indefinite (vox è solo il suono di una parola), dunque, trovano Viria et moenia ponet (Aen. 1, 264), è formato sul greco vépovc midévar. Il passo ora-
nei verba e nei nomina:
cato che una parola assume perché articolata in un certo modo) Mano si rivela interessante per il valore accordato « allo stadio finale cui approda l’uma-
et utilitas expressit
cfr. Lucr. 5, 1028-1029 varios linguae sonitus natura subegit | mittere Rità, organizzata socialmente entro la città, configurata come il punto di arrivo del pro-
la conquista
nomina rerum. Dopo la conquista del cibo e d’un riparo, dunque, giunge fesso d’incivilimento e, nel contempo, come il momento ottimale di vita associata.
della parola articolata. In questa dimensione, la città è il risultato di due concezioni opposte circa i moventi
a precisare
Con quibus... notarent Orazio vuol dire che gli uomini riuscirono della scelta sociale da parte dell’uomo: quella epicurea (espressa da Lucrezio ed, in
Housma n 139
le idee rendendo chiari e distinti i suoni della loro voce. Secondo tono minore, da Orazio) dell’aggregazione determinata dal metus e dal bisogno (in
quanto mai
voces notare non avrebbe senso; la sua congettura, però, rende il testo Questo caso particolare si avrebbe una sorta di equivalenza sinonimica tra oppida e
invenere i.e.
contorto (donec verba, quibus sensus, vocesque, notarent, f nominaque da) quella stoica, ribadita in Roma con chiarezza da Cicerone che vedeva l’uomo
notarent) : per di più nessuno degli
donec verba vocesque nominaque invenere, quibus sensus fpinto ad associarsi ed a vivere con gli altri per un innato istinto sociale » (Vitali
come ha sottolin eato
esempi citati da Housman propone una struttura simile, 1970, 430).
equivale nte a de-
Campbell 1945, 113. In difesa di notarent, secondo lo ps.-Acrone Nel v. 106 viene riesumato l’arcaico concetto del si quis furtum faxit: esso è in-
‘individ uare ’,
clararent, che può significare ‘rendere riconoscibile’, ‘indicare’, | ito In una formula legale di proibizione, che si articola in una serie nella quale sono
sint notata;
l’OLD (s.v. noto [9b]) rinvia a Var. ling. 7, 110 quibus vocabulis tempora inclusi i reati contro la proprietà (fur), contro la vita (latro), contro la famiglia (adulter).
Lucr. 1, 914 cum
Cic. Tusc. 3, 10 melius haec notata sunt verbis Latinis quam Graecis; Mentre fur è il ladro, il sostantivo latro, che indicava in Plauto il soldato mercenario
ligna atque ignis distinsta voce notemus e altri esempi postoraziani. fiteco, sta a designare il bandito che depreda con la violenza o il brigante che tende
facunde
Sulla funzione civilizzatrice del linguaggio cfr. carm. 1, 10, 1-3 Mercuri, 4mboscate: cfr. Varr. ling. 7, 52 veteres poetae nonnumquam milites appellant latrones . . .
orat. 1, 33
nepos Atlantis, | qui feros cultus hominum recentum { voce formasti; Cic. de fiuod ltem ut milites sunt cum ferro, aut quod latent ad insidias faciendas.
aut a fera agrestique è
quae vis alia potuit aut dispersos homines unum in locum congregare
?; nat. deor. 2, 148 iam vero domina
vita ad hunc humanum cultum civilemque deducere + 10/-1{0 Anche prima della guerra di Troia gli uomini lottarono per il possesso
rerum, ut vos soletis dicere, eloquendi vis, quam est praeclara quamque divina! Quae primum una donna e aveva la meglio la legge del più forte, mentre il più debole, privo delle
deinde hac co- 3
efficit ut ea quae ignoramus discere et ea quae scimus alios docere possimus;
s a timore, = x Fi nzie della legge, era destinato a soccombere, Dopo la tirata filosofica si assiste ad
hortamur, hac persuademus, hac consolamur afflictos, hac deducimus perterrito improvviso mutamento di tono, tanto più notevole in quanto l’osceno cunnus è
nos iuri$, sm —
hac gestientes conprimimus, hac cupiditates iracundiasque restinguimus, haec erito in una fase magniloquente, caratterizzata oltreché dal ricordo della guerra di
inmani et fera segregavi t (cfr. il comment o di
legum, urbium societate devinxit, haec a vita a dall'ufficiale causa belli e dalla presenza di taeter, che legato all'idea di una forza
Pease ad L.). ta mantiene saldi contatti con antiche concezioni religiose. Orazio resta qui an-
ossetva =
Per quanto riguarda il rapporto fra il contesto oraziano e quello lucreziano, to ui valori della morale tradizionale, con la sua esaltazione del matrimonium certum
recepisce S i
Vitali 1976, 429-430 che Orazio « pur utilizzando scopertamente Lucrezio ne | tuistum coniugium, contrapposti alla volgivaga Venus preferita, invece, da Lucrezio
e =
in maniera assai superficiale il pensiero . . . Il linguaggio, cioè, importa per la funzion = 1071).
ioni sociali (di contro all’asoci alità del pecus-
di connettivante espressa nelle aggregaz A proposito di sed ignotis... illi lo ps.-Acrone commenta: quia nemo de illis
ale c
che è tale perché, privo di ratio, è mutum) e, quindi, per la funzione strument sit, La stessa concezione dell’oblio che ha coperto i protagonisti delle epoche an-
garanzia della vita, sotta
consente di definire convenzioni, norme, strutture poste a ati alla guerra di Troia, per la mancanza di un cantore delle loro imprese, è espressa
l’egida del diritto ».
Satire I 3, 111-124 377
376 Orazio

la «Iliferenza fra ius ed aequitas in Don. ad Ter. Ad. 51 ius est quod omnia recta atque
Agamemnona/ multi; sed omnes inlacrimabiles/
in carm. 4, 9, 25-28 vixere fortes ante Inflexibilia exigit, aequitas est quae de iure multum remittit.
a
vate sacro. AI v. 109 la venus è definita incert
urgentur ignotique longa/ nocte, carent quia Il v. 114 è costruito con un sapiente uso dell’allitterazione (dividit ... diversis:
i e garantiti dalla legge; la clausola more
per l'inesistenza di vincoli matrimoniali sancit icato, in Lucr. wu diversis cfr. la nota a 1, 1, 109), di una coppia polare (fugienda petendis: la stessa
se priva della stessa crudezza di signif
ferarum compariva già, anche eliiusa con questa coppia polare è in 1, 2, 75) e della disposizione chiastica (fugienda
110 il comparativo editior designa ‘ chi ha
5, 932 vitam tractabant more ferarum. AI v. gorrisponde a diversis, i.e. malis, mentre petenda corrisponde a bona).
vista’ (in seguito, ‘ chi è di rango elevato ’);.
la meglio ’ sugli altri: editus è ‘ colui che è in Vincere (v. 115) significa ‘ convincere ’, ‘ dimostrare ’, sin da Praurt. Amph. 433
di insignis, praeclarus a partire proprio da
in riferimento a uomini diventa sinonimo viticon argumentis te non esse Sosiam?; Most. 95 profecto ita esse ut praedico vera vincam:
potentes et imperio editi et... validi nocere
questo passo; cfr. poi SEN. dial. 2} 4, 1 cum in grege efr, OLD s.v. vinco [4d]. Tantundem indica uguale gravità, idem uguale qualità. Nel v.
i, editior equivale a fortior. Caedebat ut
intendent. In iunctura con viribus, quind ista delle vacche 116 Orazio allude alla legislazione di Draconte, che disponeva (PLuT. Sol. 17) che la
o negli armenti per la conqu
taurus sta ad indicare che il toro ha la megli è l’uso di grex penu ci morte venisse stabilita per tutti i colpevoli: di conseguenza quanti rubavano
vindicans sibi vaccas). Raro
(ps.-Acrone: scilicet cecidit minores iuvencos, 11-12 ; Cic. @rteyyi o frutta dovevano esser puniti alla stessa stregua dei ladri e degli omicidi. Ben-
solo in carm. 2, 16, 33; epod. 2,
nel senso di ‘ bestiame ’, che compare tley 455 ritiene privo di senso nel nostro contesto il verbo frangere e corregge fregerit
l.); ps Quint. decl. mai. 13, 13.
Phil. 3, 31; Vero. Aen. 6, 38 (cfr. Serv. ad in Infregerit, rinviando a Ov. met. 10, 191 lilia ... infringat: cfr. però Pun. nat. hist. 22
Me luctucae similes ambo, nisi spinosi essent, caule cubitali, anguloso, intus cavo, sed ui
creato per paura delle sopraffazioni. Non
vv. 111-117 iura=legerit: il diritto è stato fractus copioso lacte manet e per frangere detto di piante e di alberi gli esempi raccolti
, né d'altra parte il ragionamerito può dimo
è la natura a separare l’ingiusto dal giusto
o ortaggi e di chi ha portato via i ‘sacri
in THIL VI 1241, 37 sgg.
strare che siano uguali le colpe di chi ha rubat Nel v. 117 legere equivale a subripere, furari: cfr. Non. 523, 33 L. legere ... subri-
arredi degli dèi. i pere significat, unde et sacrilegium dicitur, id est ‘ de sacro furtum’; Serv. ad Vero. Aen.
iniusti, indica gli ordinamenti giu-
AI v. 111 iura, in chiara antitesi col successivo 10, 79 ‘ legere’ furari. In sacra legerit si può scorgere chiaramente l'origine dell’aggettivo
pensavano gli Stoici), ma derivano dalla
ridici, che non sono opera della natura (come i ilegis; legerit è in rima col precedente fregerit. È stata giustamente notata la patina
concezione cfr. Shorey 1921, 164. Fateare
necessità di ‘evitare atti d’ingiustizia: su tale Afenica della formula qui noctumus sacra divum legerit, che ricorda lo stile della legge
zio; che l’adopera 12 volte e, con un’unica
necesse est è espressione molto familiare a Lucre : delle XII Tavole. Nocturnus ha valore avverbiale, come vespertinus in epod. 16;. 51: Lele
eccezione, sempre nella chiusa d’esametro. Mento notte è qui una componente supplementare dell’orrore che si accompagna al
historiam, ulteriormente specificato iù
‘Tenipora (v. 112) equivale a temporum figato nucrilego: cfr. carm. 2, 13, 7 nocturno cruore e Nisbet-Hubbard 1978, 208.0
in quibus dierum fastorum et nefastorum
fastos... mundi. I fasti sono i libri consolari,
però, con formula solenne si parla di fastos
totius anni fit describtio (ps.-Acrone). Qui, fast. 1, 657, include a 11 124 adsit—homines: deve esserci una norma che commisuri le pene alle colpe
, che viene ripresa da Ov.
evolvere mundi: la * iunctura’ evolvere fastos a: cfr. e.g. ché non si usi il flagello al posto della sferza: d’altra parte gli Stoici sarebbero ca-
critto, che è necessaria per la lettur

pera
Mr
in sé l’azione dello srotolare il manos agi di punire lievemente chi merita gravi pene a causa delle loro teorie sull'identità
studium libellos quos vellet evolveret. Mundus
Cic. top. 1 cum... uterque nostrum ad suum i eulpe e pene. . o i sa
sinonimo di orbis-terrarum: secondo il ThIL
non designa qui il globo terrestre, ma è cum ipse Il v. 118 si oppone fortemente al concetto stoico ed è improntato a stretta osser
tale significato è in Cic. har. resp. 63
di un
VII 1637, 52 il primo esempio sa del linguaggio giuridico: termine tecnico di tale linguaggio è regula (« Dorma »)
novo contremescun t; in seguito, però, Questo +
mundus, cum agri atque terrae motu quodam i stesso modo di inrogare poenam (numerosi esempi in TAIL VII 2, 438, 29 sor.)
poetico.
uso rimane quasi esclusivamente Mis... dequas indica pene commisurate alle colpe commesse: come si è visto nel
ratio: la natura, infatti, ci permette “
Nel v. 113 la natura viene contrapposta alla 111, aequus è diverso da iustus, che indica l'adesione scrupolosa alla legge. In me-
la ragione ci consente di capire che cosa
di distinguere l’utile dal dannoso, ma solo al v. 119 commenta Porfirione: ne leviter caedendum flagellis verberes; nam illud te
si tratta, dunque, dell’antitesi fra physis (e
sia giusto e che cosa, invece, sia ingiusto; , i‘quali facevano = i imonco, ne gravius puniendum ferula caedas, quoniam scio te nullum peccatum leve pu-
tratto polemico contro gli Stoici
logos, in cui si avverte un nuovo ene, Per i filosofi stoici, infatti, il livellamento non. andava nel senso. di un’indul-
da ius, si oppone ad iniquum, cioè al cone
derivare la physis dal logos universale. Iusto, = i fi, ina di una severità generale, La scutica era una frusta di strisce di cuoio (può
m ed aequum cfr. SERV. ad Vero. Aen. 2, 426
trario dell’aequum: sulla differenza fra iustu ere Indicata anche dai plurali lora e habenae), mentre il flagellum (diminutivo di
iuxta naturam; si aggiunga +
iustum secundum leges vel aliqua ratione constrictum, aequum
378 Orazio Satire I 3, 124-133 379

le conse» possiede già? L’immaginario interlocutore ribadisce l’opinione di Crisippo, secondo


flagrum) aveva pezzi di piombo all’estremità delle strisce; si capisce bene che
sia l’aggettiv o horribilis cui Il saggio è calzolaio, pur non avendo mai fatto né sandali né ciabatte.
guenze del suo uso potevano essere talora letali. Lo sottolineano
2, 2, 9). Il notissimo paradosso stoico (SVF I 53, 216 von Arnim, SroBs. Ecl. phys. 2, 7,
sia il verbo sectari, normalmente usato per la caccia agli animali (cfr. 1, 2, 106;
di 11 p. 99 Wachsmuth) aveva avuto ampia eco in Roma, sin da Luci, 1225 M. nondum
Il testo dei vv. 120-124 è molto controverso ed ha dato origine a vari tentativi
e in nunc il non del v. 121, Housman etiam hic haec omnia habebit,/ formosus dives liber rex solus ut extet. Cfr. poi Cic. Mur.
congettura. Mentre Palmer si limitò a corregger
do
141 reagì violentemente ai tentativi di quanti giustificavano il testo tràdito accordan
61 huius (sc. Zenonis) sententiae sunt et praecepta eius modi ... solos sapientes esse, si dis-
affermò con la sua tortissimi sint, formosos, si mendacissimi, divites, si servitutem serviant, reges e inoltre
a vereor ut lo stesso valore di vereor ne: « A_ language — egli
fin. 3, 75-76; Varr. Men. 245 B. Qui, comunque, l'inserimento del bravo calzolaio
consueta franchezza — in which one phrase possesses two diametrically opposite
is
senses and can be employed indifferently in either without anything to tell which
eonferisce all’argomentazione filosofica un tono umoristico, che si avverte anche nel-
can make himself intelligib le to his fellow man ». l'accorta ‘gradatio’ est rex (v. 125), solus sic rex (v. 133), magnorum maxime regum
meant, is not a language in which man
flagello,/ (v. 136).
Egli sconvolge i vv. 119-121, leggendo: nam, ut scutica dignum horribili sectere
dicas esse pares res. Non AI v. 126 quod habes è il regnum (cfr. lo ps.-Acrone: ait ergo Horatius: si secundum
ne ferula caedas meritum maiora subire] verbera non vereor, cum
flagello/ te, 0 Stoice, sapiens haec omnia habet, cur ad correctionem morum regnum petis, quod te habere
gli è da meno Shackleton Bailey, che propone: ne scutica dignum horribili sectere
(nam ut ferula caedas meritum maiora subire/ verbera non moror), (hoc) cum dicas, esse dixist?). All’obiezione di Orazio il suo interlocutore ha una reazione di stizza e di
sorpresa, e gli rinfaccia l'ignoranza delle teorie di Crisippo. Per il suo seguace, Crisippo
pares res. La struttura del testo tràdito è la seguente: nam non vereor ut caedas ferula
recisurum parva merita l'appellativo rispettoso e deferente di pater, perché, pur non essendo stato il
meritum subire maiora, cum dicas furta esse res pares latrociniis et mineris te
L’og- fondutore della scuola stoica come Zenone, passava per il suo rifondatore: cfr. infatti
(« le colpe leggere ») falce simili magnis (cioè falce simili falcis qua recidas magna).
appare {l pensiero degli Stoici tardi, testimoniato da Diogene Laerzio 7, 183 ei uù) fy Xpbawr
getto del contendere, come si è detto, è costituito dall’ut del v. 120, di cui non
illud dipen: Muc, vòx dv iv Zrod. Pater è attribuito a personaggi diversi in segno di grande riverenza:
chiara la funzione in rapporto a non vereor. Piuttosto che sottintendere un
sembra
dente da non vereor, creando così un anacoluto (ma cfr. Farrer 1966, 149), mi
pater è Epicuro per Lucrezio (3, 9), Socrate per Cicerone (nat. deor. 1, 93: Socrate è
che, mentre vereor ut esprime un dub- parens della filosofia), patres per Orazio sono Ennio (epist. 1, 19, 7-8) e Mecenate
che abbiano visto giusto quanti hanno sostenuto
non vereor ut esprime il suo contrario, cioè la certezza assoluta: Orazio, (opint. 1, 7, 37). Le crepidae (v. 127) sono calzature alte, di tipo greco: cfr. Isin. orig.
bio grave,
e con 9, 34, 3 crepidas Graeci ante repertas usi sunt. Est autem genus (sc. calceamenti) singulari
quindi, rivolgendosi al filosofo stoico, dice d’esser certissimo che egli punirebb
forma et idem utrique aptum pedi, vel dextro vel sinistro. Crepidas autem dictas, quod cum
sferzate leggere chi, invece, meriterebbe d'esser flagellato.
feno stringantur, sive a pedum crepitu in ambulando. Qui le crebidae sono opposte alle
Mentre fateare (v. 111) e velis (v. 112) sono seconde persone generiche, nel v. 120
la seconda persona serve a tirare in ballo un avversario fittizio, con cui si apre un felee, che erano i sandali romani.
dialogo polemico, proprio come nella diatriba. La ferula era una pianta dal gambo
che le usa» #v; 129-133 ut-rex: secondo il seguace della filosofia stoica, come Ermogene con-
lungo con cui si ottenevano verghe particolarmente apprezzate dai maestri,
si cone Hiua wl essere un cantore e un musico di tutto rispetto anche se tace e Alfeno un
vano per punire i loro scolari. Per la differenza tra furta e latrocinia (v. 122)
dal latro, che è impresurio di pompe funebri anche quando ha chiuso bottega, così il saggio è il mi-
sideri il v. 106, dove si distingue il fur, che è il ladro di scarsa levatura,
falce: falce
il bandito sanguinario. Nel v. 123 recisurum si adatta all'immagine della
ere, qualunque cosa si metta a fare, ed è il solo re.
permittan t homines Ermogene Tigellio, cantore alla moda contemporaneo di Orazio, non va identi-
recidere è espressione metaforica per poena afficere. Si tibi regnum
uno del
indica che il filosofo stoico, se raggiungesse il sommo potere, realizzerebbe
to col Tigellio di origini sarde ricordato nel v. 3 e purtroppo con lui costantemente
identiche anfuso da Miinzer, RE VI Al (1936) 943-5. Ermogene Tigellio è ricordato, con scarsa
principi fondamentali della sua dottrina: quello, appunto, che, considerando
tutte le colpe, le ritiene degne della stessa punizione . Implicita mente qui si sottopone
caso,
a critica un altro paradosso stoico, secondo cui « solo il saggio è re ». In questo
capire che egli sapeva comporre e cantare, essendo esperto nella modulatio, quo
potere. paene verbo, sostiene S. Agostino (mus. 1, 2), definitio continetur (sc. musicae): cfr.
poi, sarebbero stati gli uomini ad affidargli (permittant) il sommo
1a, 5, 4, 3 genera... sunt modulationum tria, primum quod Graeci nominant &ppoviay,
vv. 124-128 si-qui?: se il saggio — chiede Orazio — secondo gli Stoici ha tutte le dim AGHI tertium S&tovov e M.H. Liddell, « Trans. Amer. Philol, Ass.» 59,
che +
doti possibili, compresa quella di essere un bravo calzolaio, perché desidera ciò i DIO. ”
Satire.I 3, 133-136 381
Orazio -
380
prese cv
I serosaeron .
e ritenne ,
giusto correggere; quella del Blandinius si rivela la tra-
dubbi: urbane autem Alfenum Varum
Sull’Alfeno del v. 130 Porfirione non ha petit, Dubbi sulla soluzione di Pasquali furono sollevati da Ronconi 1945 67-68:
sutrina, quam in municipio suo exercuerat, Romam
Cremonensem deridet, qui abiecta
<scientiam) pervenit, ut et consulatum « difettoso, inaudito » è per lui il verso spondaico del Blandinius chiuso da una arola
magistroque usus Sulpicio iuris consulto, ad tantam
ificazione con P. Alfeno Varo, che eser- a struttura molossica e con lo spondeo anche nel IV piede. Per Ronconi ha na ion
gereret et publico funere efferretur. Questa ident
e nel 39 a.C. fu consul suffectus, è stata Il Pasquali quando dice che dopo l'esempio del cantante non può venire vello del
citò a Roma la professione di giureconsulto
ri oraziani; d'altronde vafer (i.e. astutus, éalzolaio; ma anche tonsor. fa difficoltà dopo ustrina, perché ci si atrenderchbe vstor
presa sul serio da generazioni di commentato
erebbe all'attività di un uomo di legge: In caso contrario l'esempio e il senso :non tornano: per leggere tonsor sarebbe stato
cordatus secondo lo ps.-Acrone) beri si adatt
e, tuttavia, dell'unico caso in cui un per- necessario tonstrina, per leggere sutor doveva precedere sutrina o un generico tabe d;
cfr. 2, 2, 131 vafri inscitia iuris. Si tratterebb a
verr ebbe messo alla berlina; l’impf. erat, d'altr egli legge clausaque taberna/ ustor erat. Il punto d’arrivo di una controversia tanto antie 1
sonaggio vivente di notevole notorietà zione di Porfir ione.
la fantasiosa ident ifica ml sembra rappresentato da clausaque ustrina/ ustor di Mariotti 1955 119-121: li
parte, lo confina nel passato ed è contro
a da accor dare a Porfirione nelle sue affermazioni de hu futto notare l’identità perfetta tra clausaque ustrina e la fine di due esametri luciliani
Legittime perplessità sulla fiduci (i
: 26 M. portumque Albumum; 1260 M. fluvioque Oufente): « anche in Lucilio — osserva
Fraenkel 1957, 88-89.
personis Horatianis sono state sollevate da
o clausaque taberna/ sutor erat; tutti, pain — m verso è chiuso ambedue le volte da una parola molossica, preceduta, con
Nei vv. 131-2 i codici oraziani tramaridan è l’unico a tra- nserzione di —que in sinalefe, da una parola spondaica (o anapestica) con essa con-
vetustissimus, che in più d’una occasione
ad eccezione del Blandinius
e degno di attenzione. Il Blandinius vetuse corduta. Orazio imita spesso con intenzione la tecnica esametrica di Lucilio: clausa
mandare la lezione giusta e, dunque, è sempr
erat (le due ultime parole in rasura). Nel {sitrina è dunque la lezione autentica perché rappresenta, dal punto di vista o,
tissimus tramanda clausaque ustrina/ tonsor
calzolaio e la tabernaè la sua bottega (a sutor ‘ sn ‘lucilianismo’ che non si vorrà attribuire al caso ). ne
primo caso Alfeno esercita il mestiere di rit Per il tipo operis... opifex (vv. 132-133; cfr. Is. orig. 10, 200 opifex; quod opus
di Porfirione: quamvistabernam clause
e a taberna riconduce anche il commento
nel secondo egli è un libitinarius e nel fui aliquod) esistono paralleli greci, quali «iméAoc aiyov, Body eruBovxéioc àvhp
et omne instrumentum sutrinae vendiderit),
cremati i cadaveri) fa il barbiere: tonsor, al.
. PEA .
Ra Te Di cfr. W. Schulze, Quaestiones epicae, Giitersloher 1892, 509, Hof- )
l’ustrina (da uro: è il luogo dove vengono i
di pollictor (l'addetto a lavare e a radere
lora, è generica designazione dell'attività St. ital. filol.
e il Pasquali: dapprima in «
morti). Del passo si è occupato a più ripres
L

— per ribadire la sua opinione contro un Vw, 133-136 vellunt-regum: alle ultime parole del seguace della filosofia stoica il poeta
class. » 10, 1932, 255-7, successivamente
class. » 13, 1935, 41-45 e, infine, nella II 01 oppone nuovi argomenti; ormai non c'è più possibilità di dialogo, di fronte a tanta
attacco del Rostagni — in « St. ital. filol. di-
Egli testardaggine. Di conseguenza egli si limita a registrare le reazioni ‘all’atteggiamento
e critica del testo, Firenze 1952, 383-4.
edizione della sua Storia della tradizione e che un copista Ael 4uo antagonista e lo raffigura in modo degradato mentre i ragazzi gli tirano la barb
lior, perché appare impro babil
fende il Blandinius: ustrina è lectio diffici re che sia avve- cado lileggiano, costringendolo a tenerli a bada col bastone. a
taberna, mentre è facile pensa
abbia corretto in tal modo il chiarissimo o
vale per l’esametro spondaico che è offert Ilarba e bastone erano attributi convenzionali dei filosofi cinici, con i quali ormai
nuto il contrario: l’identico ragionamento
un congetturatore avrebbe introdotto una endevano a confondere gli Stoici del tempo d’Orazio: cfr. 2,.3 35 sapientem barbam:
dal testo del Blandinius; ben difficilmente
esiste soltanto un altro esempio (ars 467). # VARI, Men, 419 B. itaque videas barbato rostro illum commentari. "Strappare i peli della
simile rarità, considerato che in Orazio ne ,
indotto un grammatico antico a correggere Barba, per di più a un serio filosofo, costituisce il colmo dell’irriverenza; in tal senso
Forse proprio la rarità di tale esametro ha oni un altro
del v. 128 (sutor) Orazio parag 3 intende Persio (1, 133 Cynico barbam petulans Nonaria vellat; 2, 28-29 idcirco stolida
E ancora: com'è possibile che al calzolaio
li non ha capito il paradosso crisippeo sul sa- : praehet tibi vellere barbamf luppiter?). Convenzionale è anche il comitatus di giovani ieri.
calzolaio? In realtà, proprio perché eg
è un calzolaio, l'interlocutore stoico = ti; i farne le spese è talora il poeta: cfr. ars 456 agitant pueri incautique sequuntur
piente, che pur non avendo mai fabbricato scarpe
dunque, un mestiere diverso, com'è diverso : poetam) e Brink 1971, 423. Ciò ci fa capire che non ha alcuna possibilità di co-
gli cita altri esempi. Ci aspetteremmo,
erso, appunto, quello del tonsor; per di più e nel segno l'ipotesi prospettata da Porfirione, secondo cui si tratterebbe di Epi-
quello del cantante Ermogene e com'è div _
mo un efficacissimo aprosdéketon, perché dopo L, ci aiunt summum bonum in voluptate positum. Lascivus, epiteto dei pueri, è detto
accettando clausque ustrina/ t onsor abbia era un
si scopre che nell’ustrina Alfeno vu al di là della misura e offende la gravitas, la moderatio, la continentia (ThIL VII
‘ ustrina'ci si attende ustor e invece, a sorpresa,
il mestiere tosando e-radendo i morti. Ses 48}, 71); talora può essere sinonimo di petulans: cfr. Pros. GLK IV 200, 1 inter
“tonsor, durique un pollictor, che haimparato
sulla base del v. 128, di chi non come
condo Pasquali, dunque, sutor è interpolazione,
Satire I 3, 137 — 4 383
382 Orazio

, quod ‘ lascivum' satullum gestientem tante formule con cui Orazio preannunzia la fine di una satira (cfr. Puelma 1949, 89
lascivum et petulantem et temulentum hoc interest n. 2); in particolare essa ricorda analoghe espressioni ciceroniane, come ne loni
‘ temulentum ’ vero satullum vinolentum
significat, ‘ petulantem * autem libidinosum ostentat,
di ‘ birbanti”, che il filosofo stoico fiat (leg. 2, 24), ne longum sit (Cat. 3, 10), nihil opus est exemplis hoc facere longi (fin.
esse demonstrat. Qui lascivi andrà inteso nel senso B 16). Il quadrans, la quarta parte di un asse, era una misera somma: cfr Sen.
rispettare: coerces appartiene al lin se
assediato deve prendere a colpi di bastone per farsi
o, che veniva comminata appunto 6, 9 (balnea) res quadrantaria. Nella coniugazione di lavo, Orazio preferisce nett conta
guaggio legale, perché richiama la pena della coerciti
Il bastone, tuttavia, è attributo le forme della III a quelle della I, che ricompaiono in 1, 4, 75; 1, 6, 125; epist 16 61
col fustis (ne sa qualcosa lo schiavo della commedia).
11, 8 qui pallio baculoque et baxeis et piceno i grammatici le forme della III erano arcaiche: cfr. Diom. GLK I 381. 12
fisso del filosofo cinico e stoico: cfr. Aput. met,
10, 9 hinc Stoici et Cynici bactroperi- CI lavas nos dicimus, illi (sc, vetusti scriptores) ’ lavis’. i
hircino barbitio philosophum fingeret; Hier. in Matth.
haberent. L'espressione turba circum Lorigine di stipator (v. 138) è chiarita da Varr. ling. 7, 52, nel contesto già citat
tae dici soliti, quia praeter baculum et peram nihil
ascoltare i discorsi filosofici dello 4 proposito di latrones del v, 106; dopo aver affermato che latrones dicti ab latere gui
te stante dà l'impressione di una folla che stia ad eircum latera erant regi atque ad latera habebant ferrum, egli aggiunge: quos postea n
e minaccioso, tanto che il serio
Stoico: in realtà il suo atteggiamento è irriverente
liberarsi dalla turba: tutto ciò in una atione ‘ stibatores’ appellarunt. Qui vengono richiamati, per contrasto, gli af: ll i
filosofo deve ricorrere al bastone per farsi strada e reazione
folla; rumperis, che descrive la f#@rtel che accompagnano i re: viene subito alla mente la Didone di Vi ili (Aen.
gradatio (urgeris, che indica la pressione della
con miserque; latras, che ripro» A, 136), che progreditur magna stipante caterva. Quel falso re, che invec sg fl sfo
spazientita del filosofo ed è, per di più, in enjambement alta»
e, infine, la conclusione magniloquente, che suona fiteico, è costretto ad andarsene solo come un cane. i 2 è il Alosofo
duce le sue urla animalesche; | Su Crispino cfr. 1, 1, 120; che si trattasse di un poetastro che voleva rivaleggiare
mente beffarda: magnorum maxime regum). an Orazio non lo capiamo solo da 1, 4, 14, ma anche dall’appellativo di inebno ch
(Hofmann-Szantyr 783). Il verbo
Rumbperis et latras è endiadi per latrando rumperis
alle contumelie della folla, da un Qui egli riceve: nella terminologia della polemica letteraria, infatti, ineptus indi ;
latrare, che esprime la reazione verbale del filosofo
dall’altro serve a richiamare tivale che è del tutto privo di stile; in proposito cfr. Puelma 1949, 100. Sectari Ch
lato conferisce alla sue parole un carattere animalesco,
2, 1, 84-85 si quis/ obprobriis dignum - Midica il «seguire, accompagnare abitualmente », è particolarmente a | ropri o in
proprio il nome dei Cinici (Kuvixés da xbwv); cfr. ferimento a un filosofo (cfr. sectator, secta).
one (de orat. 2, 220) riferisce in | PPTOREATO
latraverit; epist. 1, 17, 18 mordacem Cynicum. Cicer
discorso indiretto un giuoco di parole dell’oratore Filippo
, che, sfruttando lo stesso 3 Alla solitudine dello Stoico viene contrapposta la situazione del poeta, che proprio
Catule?*. Rumperis indica che il Ù fil suo atteggiamento improntato a saggia moderazione vive circondato da amici
doppio senso, doveva suonare così: ‘ Quid latras,
cfr. Cic. ad Q. fr. 3, 9, 1 qua pulerea non solo si oppone in tono ironico a sapiens, con cui era stato designato il fi
malcapitato filosofo a furia di sbraitare sta schiattando:
quidem; Prop. 1, 8, 27 rumpantur n fo nei versi precedenti (cfr. vv. 124. 127. 128. 132), ma riprende proprio ile _
(sc. licentia audacium) ante rumpebar, nunc ne movear
re nella nota favola della rana e (nine «dispregiativo che gli Stoici usavano quale antitesi del saggio. Inque vicem ( 141)
inigui. Sull’origine dell'espressione, che è da ricerca € formula frequente in apertura d’esametro (cfr. gli esempi citati da P Thielman
cfr. Otto 303 (s.v. rumpere). Chiaramente "
del vitello (2, 3, 314; BaBR. 28; PHAEDR. 1, 24) » Au h. Lat, Lex, » 7, 1892, 362), in cui l’enclitica si ricollega all’et del vi 139 ecosti.
il magnorum maxime regum |.
parod ico nei confronti di formule epicheggianti suona
designazioni di Agamennone o dei == Lace una variazione del normale et... et. Nel verso conclusivo, significativament
(cfr. anche epist. 1, 1, 107), che ricorda analoghe
o del superlativo col genitivo-- E "i corniclato fra privatus e beatus, Orazio sfrutta l'ambiguità dell'aggettivo beat che
re di Persia; per di più ha un sapore arcaico il rafforzament
hominem pauperum pauperrumus life a felicità spirituale può alludere a ricchezza materiale. na
plurale del positivo, per cui cfr. Praut. Aul. 227

vivere come un pezzente. Ne 4


vv. 137-142 Il saggio stoico sarà pure un re, ma dovrà
sa avrà mancato; Orazio, da
frattempo gli amici perdoneranno il poeta se in qualco
pur essendo un sette d.L. HenpRrICKsON, « Amer. Journ. Philol. » 21, 1900, 121-142; In., « Class. Phi
parte sua, perdonerà di buon animo le loro mancanze e vivrà,
un re. 8 II, 1916, 248-269; N. Rupp, « Amer. Journ. Philol. » 76 1955 "165-175; n
plice cittadino, più felice del filosofo stoico che si sente
quadra nte balneatori dato, neque Ha sa, Quart. » 49, 1955, 142-156; E. FrAaENKEL 1957, 124-8; N. RupD 1966 88 92,
Commenta Porfirione: quamdiu tu solus lavabis
discipl inae Stoicae sectator, facil thia Dessen, « Amer. Journ. Philol. » 88, 1967, 78-81; E. PARATORE « Gio i
quisquam tibi comitabitur praeterquam unus Crispinus
, ut non probent te regem esse. La formula filol » 20, 1967, 189-233; A. Manzo, « Rend, Ist. Lomb. » 102 1968, 445-471;
erit sic non credere paria esse peccata omnium
in 2, 1, 57. Si tratta di una delle = nr Winsor LeAcA, « Amer. Journ. Philol. » 92, 1971, 616-632: CJ. CLASSEN,
ne longum faciam (v. 137) ricompare nella stessa sede
- Orazio 385
384 Satire I 4

MUECKE, « Prudentia » 11, 1979, 55-68;


«Mus. Afr.» 6, 1977-78, 15-20; Frances man forte a Orazio accorrerà un plotone di poeti, che costringerà l’avversari
60; R.A. LA Freur, Aufst. u. Nied. ‘d.
C.J. CLASSEN, «€ Hermes» 109, 1981, 339-3 fiel campo opposto (vv. 129-143). SITO A PROSATE
Hunter, « Hermes » 113, 1985, 480-490.
rim. Welt Il 31. 3, 1981, 1794-1801; R.L. Secondo Hendrickson 1900, 121-142 qui Orazio si opporrebbe alla concezi
della satira quale carmen maledicum destinato a colpire i vizi umani come già aveva
onante della parrhesia dei rappresene
La satira si apre con una proclamazione altis fatto la commedia attica: questo sarebbe, tutt'al più, il difetto di Lucilio da cui Cirazio
del tutto liberi di denunciare chi Îmeri-
tanti della commedia attica,, che si sentivano prenderebbe le distanze in modo netto, coinvolgendo nella sua critica quanti fra i
1-5). Gli stessi spiriti rivissero in Lucilio,
tasse biasimo per le sue cattive azion i (vv. o suol contemporanei, per Lucilio professavano aperta ammirazione, Hendrickson 1 ;
ebbe il’difetto di scrivere troppo e in tropp
ché si limitò à mutare metro e ritmo, ma suoi versi (vv. tenne, In una fase successiva (1916, 248-269), di poter individuare il bersaglio d gli
e la scarsa levigatezza dei
poco tempo: di qui l'eccessiva, ridondanza zionale attacchi di Orazio nei membri del circolo neoterico, guidati da Valerio Caton S .
o: benché il filosofo Crispino, suo tradi
6-13). Ben diversa è la posizione di Orazi vincerà chi sarà
ftinmo in presenza, quindi, di un carme aggressivo, con un fine prevalente di ole: ica
s azione poetica, in cui
antagonista, lo sfidi a ùna. gara d’improvvi si letteraria. Credo, tuttavia, che resti preferibile l’interpretazione tradizional n condo
un simile confronto, perché oltre a sentir
capace di scrivere di più, egli si soottraé a la sua poesia è
x
risete gui gli intenti della satira sono difensivi: nei primi carmi della raccolta enell | prod n
parole. Sa bene che
d’animo povero e piccino è anche di poche blane ylambica Orazio aveva attaccato per i loro difetti alcuni personaggi che I s vi
e. di recita re in pubblico, convinto com'è che i suol 4
‘vata a pochi e, per di più, ha timor @éntemporanei potevano facilmente identificare, scatenandone la violenta r Lione,
versi non vadano a genio a molti: cer tamen
te non sono graditi agli aduilteri, agli avidi . Por lul, quindi, diveniva necessario difendersi da chi si era sentito offeso ediffamato
i
ad accumulare denaro; per tutti costofo
di denaro, ai mercanti, a quanti si affa nnano dai avol scritti e chiarire il proprio punto di vista sui contenuti e sul carstwere dell
14-38). Tanto per cominciare, Orazio vuole
il poeta è simile a un tor o inferocito (vv. produzione satirica. Per far questo Orazio non poteva rinnegare l’essenza stessa
perché le sue satire hanno uno stile dimesso
‘addirittura togliersi dal novero dei poeti, dalla satira, , c che egli,i, i infatti,i, sisi preoccupa d’inserire
da inser nella tradizione dell’onomastì ko-
, invece, è chi possiede un'ispirazione divina
che s'avvicina a quello della prosa; poeta modeln della commedia attica, a cui già Lucilio si era ricollegato. Il discorso però
m i. Anche per la commedia c’è da chiedersi
, ,

e una voce capace di esprimere suoni subli padri adie . dilata e le sue argomentazioni tendono a individuare quegli spunti di critica dei
se, nonostante il ritmo, essa si a
realmente diversa dalla prosa: d'altronde di {gl umani che non sono peculiari della satira, ma attengono al modo in cui gli uomini
e usano le stesse espressioni della commedia
rati coi figli ne esistono pure nella realtà i fapportano al vivere sociale. Quanto, poi, al timore di esporsi alle pubbliche recit
ere se vi siano fondati motivi per cui la proe
(vv. 39-62). Ora, però, è importante decid 1 (vv. 23-24), esso non sottintende clamorosi insuccessi, ma dipende dalla sfid i ia
nessuno deve aver paura, perché egli non
duzione satirica desti sospetti: di Orazio | Orazio nei confronti di chi giudica il suo prodotto non per quello che vale bensi
controvoglia, i suoi versi solo agli amfel
si comporta come un volgare delatore e recita, f la quantità e il carattere degli attacchi in esso contenuti: in ogni caso sembra oro.
(vv. 63-78). Eppure lo si accusa d’esse
r malvagio e si capisce che a mettere in gito prio che la sincerità oraziana non abbia incontrato il favore del pubblico. A_ Orazio
con lui ha familiarità di vita: ebbene, nessuno è: . ,

questa calunnia è stato qua icuno che spalle e TÀ, preme soprattutto confutare l’immagine che i suoi avversari hanno creato di lui
peggiore di chi non solo non difen de un a mico, ma addirittura lo attacca alle n li un toro inferocito e pronto ad aggredire, che pur di avere successo è dis te
Qualcuno se la prende con Orazio perché:
s'inventa sul suo conto fatti mai accaduti. attaccare anche gli amici (vv. 34-38): di qui dipende la parte importante ri vata
dorante Gargonio. Che dire, allora, di ch
ha riso del profumato Rufillo e del maleo adice di comportamento fra amici, POSTI
dall'accusa di ruberie, ma si meraviglia cha
come il suo antagonista, ‘difende Petillio - Lal punto di vista cronologico tutto ciò ci permette di dedurre che questa sati
79-101 )? A Orazio, dunque, si potrà p
sia riuscito a farla franca nel processo (vv. rgli fuvllocn dopo altre di contenuto apertamente aggressivo nei confronti d i 21 del
ggio. È stato il padre, d'altronde, a insegna
donare la sua franchezza e qualche motte forniti dai suoi com vati cittadini: è evidente, dall’allusione nei vv. 91-93 alle critiche rivolte a "Rufili
grazie agl i esempi negativ i
a fuggire i vizi facendoglieli riconoscere i rovin osi i Uargonio, che almeno la 1, 2 era già di pubblico dominio; lo stesso sembr "pro.
o Orazio è immune da difett
paesani di Venosa (vv. 101-129). Per quest le per 1, 3, di contenuto apertamente moralistico. Tuttavia "pur difendendo i di gli
eliminare con l’ età e con l’aiuto degli amle
né ha solo di trascurabili e veniali, che potrà echi, Orazio non nega che la sua poesia possa avere un Ne aggressivo né ” cite
é non cessa mai di riflettere e d’interroga?
D'altronde egli è sulla buona strada, perch A bandonarlo in futuro, Di Lucilio, d’altronde, egli non condanna l'atteggiamento,
quello degli altri. E non si accontenta #
se stesso sul suo modo di comportarsi e su hé di esso aveva mostrato di subire l'influsso almeno nella seconda satira sia
giù sulla carta i suoi pensieri. Proprio que
di meditare, ma si diverte anche a buttar hé, se non voleva tradire la funzione di critica sociale introdotta nella satira da
antagonista non vorrà perdonarglielo, a d
è uno dei suoi difetti veniali: e se il suo Ito, doveva mantenere intatto il proprio diritto ad attacchi personali. Per questo
Satire I 4, 1-5 387
386 Orazio

che lo nologla, che avrebbe richiesto la successione Cratino, Eupoli, Aristofane) costituiscono
il contrasto reale con Lucilio non è tanto nell’intensità delle aggressioni verbali
, quanto piuttosto negli la triade più spesso citata dalla critica letteraria antica per l’archaia (cfr. R. Pfeiffer,
accomunano ai comici attici (v. 5 multa cum libertate notabant)
Lucilio sarà pure Stara della filologia classica. Dalle origini alla fine dell’età ellenistica, trad. ital., Napoli
aspetti formali della sua produzione satirica: per Orazio (vv. 6-13)
durezza sti. 1973, 321): nel mondo latino cfr. anche le testimonianze di VEeLL. 1, 16, 3; QuInT.
facetus (v. 7), comis, urbanus (1, 10, 65), ma presenta aspetti rilevanti di
a troppo int, 10, 1, 66. Che priscus (v. 2) sia termine tecnico per definire l’archaia sembra con-
listica, tipici di chi, essendo un prolifico improvvisatore, non si preoccup
farmuto dall’attestazione di Velleio (una [sc. aetas inlustravit] priscam illam et veterem
di limare i suoi versi.
fub Cratino Aristophaneque et Eupolide comoediam). Priscus sarà definito Cratino in epist.
È facile sentir riecheggiare, in queste affermazioni di Orazio, la terminologia tipica
dovendo de- 1, 19, 1: l’aggettivo, di origine enniana, suscitava inevitabilmente rispetto e venera-
della polemica letteraria di stampo callimacheo: in particolare nel v. 11, Hane, Alla stessa atmosfera stilistica appartiene il costrutto arcaizzante alii quorum...
vasta por-
finire la prolissità di Lucilio, Orazio riprende l’immagine della corrente di - Virorum per alii viri quorum: per l’attrazione esercitata dal relativo, attestata anche in
detriti e d’impurit à, da Callimac o usata nel II
tata, che trascina con sé ogni sorta di 10, 16 illi, scripta quibus comoedia prisca viris est e in 2, 2, 58-59 vinum et cuius odorem
hea l’os magna sonaturu m che ca-
inno; nei vv. 43-46, poi, è di chiara origine callimac
nota ad I.). Al di là dei glel necucas perferre, cfr. già Ter. Andr. 3 populo ut placerent, quas fecisset fabulas; Cor-
ratterizza quanti sono dotati di un'ispirazione divina (cfr. la
hea e NiLiA epist. fr. 2 omnium eorum, quos antehac habui liberos e altri esempi in Hof
riscontri puntuali, appartengono alla critica letteraria di derivazione callimac
di Lue uann-Szantyr 564.
neoterica l’agg. durus per indicare l’assenza di cura e di elaborazione nei versi
troppi versi in troppo poco tempo, la cone Il nesso allitterante dignus describi (v. 3) propone la struttura dignus + inf. atte-
cilio (v. 8), l'accusa a lui rivolta di scrivere
fra l’ideale del parvum e del tenue, Mata a purtire da Catullo (68, 131 concedere digna) e frequente negli augustei (ThIL
trapposizione costantemente presente nella satira
chi pratica } 4, 1152, 32 sgg.), per probabile influsso di &Évog + inf. Describere è verbo del lin-
che caratterizza la poesia d’Orazio, e quello del grande, che è perseguito da guio della pittura (cfr. PLaur. Asin. 402 non potuit pictor rectius describere eius formam),
l’ace
generi letterari nobili (cfr. la nota ai vv. 14-21). Nello stesso ambito si muovono Mato pol per rappresentare i caratteri (epist. 2, 1, 154 e Brink ad L.), quasi sempre in
e la
costamento del sermo pedester della satira alla lingua della commedia (vv. 45-48) #0 nfavorevole (cfr. e.g. Cic, ad Q. fr. 2, 3, 3 respondit ei vehementer Pompeius Cras-
consapevolezza che lo stile della commedi a non è necessar iamente dimesso, ma legato
gua descripsit). Riferito all’attività degli autori attici di commedia indica l’ono.
a contesti e situazioni (vv. 48-52).
del ti komodetn, al quale si richiamava la satira; già Accio (fr. 12 Funaioli) aveva alluso
Orazio, dunque, finisce per occuparsi degli aspetti formali della satira più che
ai Pisoni, eonsuetudine di describere in theatro perperos populares (altri esempi dell'uso, anche
suoi contenuti, con argomentazioni che talora anticipano motivi dell’epistola nen tutti in contesti di critica letteraria, in ThIL V 1, 659, 67 sgg.). La lista dei per-
però, nella
AI di là della difesa del proprio modo di concepire la poesia satirica c'è, agyi degni d’essere bollati comprende i mali, cioè gli autori di gravi colpe, i fures
ca polemica col solito Crispino, che
satira 1, 4 ben altro di significativo: la buffones BI notturni), i moechi (gli adulteri) e i sicarii (i briganti). Per malus quale termine
erci; il quadro vivo dei Veno=
sfida il poeta ed è tanto certo della vittoria da scommett i linguappio legale cfr. Cic. Phil. 14, 7 testamenta, credo, subiciunt aut eiciunt vicinos
della sag-
sini scialacquatori, adulteri, dissipatori di patrimoni; soprattutto l'elogio ati inlulewcentulos circumscribunt: his enim vitiis affectos et talibus malos aut audaces ap-
conoscer e
gezza del padre, che non solo gli ha insegnato a fuggire i vizi facendoglieli lare consuetudo solet; moechus è prestito della lingua popolare da potyéc, preferito
al figlio un =
uno ad uno con i relativi esempi, ma fin dalla fanciullezza ha accordato Iter nella commedia e nella satira; sicarii sono quanti fanno uso della sica (ps.
tenore di vita superiore alle proprie possibilità. A. degna conclusione della satira giunge hei ‘sica’ gladius est permodicus, quem solent ferre in manicis dolosi interficientes
proprio da .;
l’aprosdéketon finale, con la scherzosa minaccia di una dura rappresaglia, illix homines, quibus sicarii dicuntur); arma nazionale dei Traci, a Roma la sica, un
non vuole perdonar gli .4
parte di chi si è professato non violento, nei confronti di chi ale culla lama ricurva, caratterizzava banditi e assassini: per questo motivo sicarius
il difetto veniale di buttar giù sulla carta il frutto delle sue meditazioni. uppò presto dal significato proprio quello di ‘ assassino ’. Nella presentazione dei
scrupolo di ‘i aggi messi alla berlina nella commedia attica l'enfasi dell'esordio ha rapidamente
vv. 1-5 Gli autori della commedia greca ‘ antica’ non si facevano alcuno il passo al linguaggio popolare, particolarmente adatto a sottolineare l’efficacia
in crescene
bollare chi se lo meritasse. L'esordio della satira è solenne, con un‘ tricolon
dalla. amesti komodein: anche alioqui è forma prosastica, che in poesia è attestata solo
do’ caratterizzato dall’accumulazione di nomi propri seguiti, in posizione enfatica, ‘rezlo (3, 415) e nella satira oraziana (cfr. anche 1, 6, 66).
il sostantiv o
qualifica dei personaggi elencati. Greci sono i nomi propri, di origine greca Famosis (v. 5) ha qui Voriginario significato negativo, dal quale solo in un se-
1952, - a
(poetae) che li qualifica e greca è anche la tecnica del verso, su cui cfr. Nilsson momento si sviluppò quello positivo (Ernout-Meillet 214). È chiaro, allora,
per la cro» i
75. Aristofane, Eupoli e Cratino (per motivi metrici elencati senza rispetto
388 Orazio
Satire I 4, 6-13 389

che libertas è vocabolo con cui Orazio rende il concetto di parrhesia, cioè della Libertà alone limae labor). Durus è termine ben noto della critica letterar
di linguaggio di cui i cittadini ateniesi godevano in ogni aspetto della vita pubblica, ia e della retorica, che
: Orazio adopera per definire la caratteristica dei poeti arcaici
Di tale libertas si riteneva che la commedia antica fosse depositaria: cfr. Qu. inst, in epist. 2, 1, 66-67. Com-
penare Indica l’accorta collocazione delle parole nella frase
10, 1, 65 facundissimae libertatis, et si est insectandis vitiis praecipua (analogo è l’uso di o nel verso: sulla compo-
Mulo cfr, Rhet. Her. 4, 18 compositio est verborum constructio quae facit omnes
libertas in Cic. Brut. 267 Latine... et multa cum libertate dicebat). Il verbo notare (da partes oratio
Na aequabiliter perpolitas.
nota, il marchio d’infamia che veniva impresso a fuoco sulla pelle) rinvia al motivo Il difetto di Lucilio consiste nella sua pretesa di comporre
della nota censoria. un gran numero di
Vetal In un tempo molto breve (vv. 9-10). Vitiosus, alla stessa
stregua di vitium (« di-
fatto »), è anch'esso termine della critica letteraria (esempi
vv. 6-13 hinc-moror: dagli autori dell’archaia (hinc = ab his, come in carm. 3, 6, 6 in Brink 1971, 115). La
lequacità di Lucilio è sottolineata dal contrasto fra ducentos versus
hinc sta per a dis e in 3, 17, 2 per ab hoc) dipende (il semplice pendet equivale al come e pede in uno: ducenti
elfra generica per indicare grande quantità anche in 1, 3, 11,
posto dependet) interamente (omnis, con valore avverbiale come in carm. 3, 30, 6 non mentre stans bede in uno
Ilude u sciatteria e a scarso impegno nell’elaborazione stilistica.
omnis moriar) Lucilio, i cui pregi risiedono nel garbo e nel fiuto sottile; ma egli è Alle interpretazioni
Wadizionali (stare nella posizione più scomoda e meno propizia
autore duro, troppo prolifico e improvvisatore, sovrabbondante e privo di accuratezza, per le meditazioni,
figl tempo brevissimo in cui ci si può reggere su un solo piede)
Nel profferire un tale giudizio Orazio da un lato si ricollegava a Lucilio stesso, che bri. Pisa » 14, 1945, 68 ha aggiunto una possibile derivaz
Ronconi, « Ann, Sc.
aveva collocato la sua poesia nell’identica tradizione (1111 M. archaeotera unde haec ione dal linguaggio del-
Agricoltura, sulla base di QuINT, inst. 12,9, 18 itaque in iis actionib
sunt omnia nata: cfr. Puelma 1949, 65 n. 1); dall'altro egli faceva sua l’opinione di ori: us omni, ut agricolae
Mt, pede standum est. Si tratterebbe, secondo lui, dell'operazion
gine peripatetica, affermatasi a Roma grazie all’autorità di Varrone, secondo cui carate e del pigiar l’ uva
Meandola con i piedi: in tal caso « montarci su con un piede solo votrebbe dire
teristica della commedia archaia sarebbe stato l’onomasti komodein; di conseguenza far
Meno forza: fuori metafora, applicarsi con minore impegno,
Lucilio, la cui satira era caratterizzata da violenti attacchi personali, si sarebbe ricol» compiere qualcosa con
Wlalnvoltura ». Ut magnum equivale a magnam rem se facere putans
legato proprio a questa consuetudine della commedia archaia. Nei confronti di essa (PorpHYR.; sulla
mula cfr. Hofmann-Szantyr 430). Dictare fa pensare ad un amanuen
Lucilio si limitò, a parere di Orazio, a mutare metro e ritmo: in ciò Orazio non tiene se, a cui Lu-
HO dettava i suoi carmi: sui vari significati di dictare
debito conto della presenza del senario giambico nella satira luciliana, prima del pre» cfr. Brink 1982, 10-11.
Nel v. 11, per definire la prolissità di Lucilio, Orazio riprend
valere dell’esametro. i 65 e l’immagine, ben
alla polemica letteraria callimachea, dell’ampia corrente che
Lucilio è facetus, comis, urbanus per Orazio come per Cicerone: cfr. 1, 10, 65; trascina con sé molte
Mnpuriti (hymn. 2, 108): per fluere detto di un discorso o
Cic, fin. 1, 7; de orat. 2, 25; fam. 9, 15, 2. Facetus non indica soltanto chi è dotato di di una serie di versi cfr. ThiL
972, 80 sgg.; in Orazio cfr. 1, 7, 26-27; 1, 10, 62; carm. 4,
spirito (Don. ad Ter. Eun. 427 facetus est, qui facit verbis quod vult, lebidus), ma anche 2, 5-6 (sulla metafora
P. Mantovanelli, Profundus, Roma 1981, 116). Lutulentus
chi possiede garbo e finezza; lo sottolinea Quintiliano (inst. 6, 3, 20), rifacendosi pro- equivale a turbidus e dà
Files della corrente limacciosa: cfr. SEN. contr. 4 praef. 11
prio ad Orazio: facetum ... non tantum circa ridicula opinor consistere: neque enim (a proposito dell’eloquenza
Aterio) multa erant quae rebrehenderes, multa quae suspicere
s, cum torrentis modo mag-
diceret Horatius facetum carminis genus natura concessum esse Vergilio (= sat. 1, 10, 44); quidem, sed turbidus flueret. Tollere è stato mal compreso
decoris hanc magis et excultae cuiusdam elegantiae appellationem puto. Ai pregi luciliani- dagli antichi commen-
I (Porenyr.: allegoricos a flumine, quo significat multa eum,
appartiene anche il gen. di qualità emunctae naris, cioè « di naso ben pulito » e, quindi sed inordinate dixisse,
quibus tamen sint nonnulla quae velis inde excerpere et pro tuis
« di fiuto sottile ». Emungere significa in senso proprio muco purgare e in senso traslato habere; ps.--Acr.:
mmere optares. Etiam quando asperos faciebat versus, erat
indica un uomo abile nel fiutare gli atteggiamenti ridicoli dei contemporanei: Fedro . quod velles imitari, hoc est:
In asperis versibus illius aliquid dignum imitatione): ma Orazio
applica la iunctura a Esopo (3, 3, 14 Aesopus ibi stans naris emunctae senex); cfr. anche stesso riprende il
s con l’identica terminologia e lo chiarisce in 1, 10, 50-51
QuINT. inst. 12, 10, 17 Attici limitati . . . et emuncti; Don. ad Ter. Phorm. 682 emuncetus è - at dixi fluere hunc lutu-
Rtum, siepe ferentem/ plura quidem tollenda relinquendis; e si veda
homo elegans et facetus. anche Quintiliano,
vhietta (inst. 10, 1, 94): ego... ab Horatio dissentio, qui Lucilium fluere
Dopo l’elogio per l’acuta sensibilità giunge, a sorpresa, la critica, che inizialmente lutulentum
aliquid quod tollere possis putat; nam et eruditio in eo mira, et
si appunta sulla durezza di Lucilio nel componere versus: durus, come verrà poi chiarita libertas atque inde
. . . ‘gi. . ts et abunde salis. Tollere, quindi, è qui l'opposto di relinquere.
dall'accusa d’incapacità di sopportare il labor scribendi (v. 12), indica l’assenza di cura. Garrulus (v. 12)
{ vulgo verbosus appellatur (Is. orig. 10, 114): sulla struttu
e di elaborazione nei versi di Lucilio (ciò che Orazio, ars 291, chiamerà con felice espres ra del verso cfr. M.
Uster, « Philol. Wochenschr. » 33-34, 1932, 941-2; i vv. 9
'
11 hanno valore pa-
Satire I 4, 13-25 391
390 Orazio

di porture a termine con rapidità la sfida, che naturalmente avrà quale material
interrotta alla fine del v. 8. Su recte, che i
rentetico e garrulus riprende la descrizione ; terlo le tabulae, cioè le tavolette cerate su cui si scrivevano i versi (basta ns slo
(« convenientemente »), cfr. F. Cupaiuolo,
Orazio adopera come termine tecnico bbllae pdoperate » Cal ta e Calvo nella loro singolare tenzone poetica, sare ale
Corte, III, Urbino 1987, 6 sgg. Gli antichi
Filologia e forme letterarie. Studi offerti a F. Della i LE iber di Catullo). Questa, per di più, è una sfida che
ut multum, nil moror: in tal caso bisogne» richi |
commentatori riferivano a Lucilio anche nam di arbitri, perché in palio c'è una som di d 1
cong. scripserit o il pres. cong. scribat. Cie lede la presenza
rebbe sottintendere a nam ut multum il perf. : boliace ulteriormente l'interpretazione.di ) cirio Com argomento, questo, che inde
et intolerabilis » con F. Marx, « Rhein,
Appare esagerato parlare di « ellipsis dura - Mare bene attenti perché nessuno dei due contend Dl qnd
multum sc. hominem: in realtà l’anafora di da COVmInO
Mus. » 47, 1925, 114 e intendere con lui - fhagarl copiando appunti già preparati: il ridicol è ll cteg iam nto di Colon
dello stesso verbo; l’espressione, tuttavia,
scribendi consente di sottintendere una forma a nil Malede nel fatto che il vincitore della ara da lui ; sci at Son SOVTà css ci
rerà sottintend ere scribatur. In quanto ino
avrà un valore generico e, quindi, occor Voral migliori, ma chi scriverà un numero Pie
ad analogia con non curo ut, non laboro ut. EG ere] sot di
moror (i.e. concedo) + ut, bisognerà pensare La contrapposizione dei contendenti solo in apparenza è limitata ad as
che però è stata accolta nella poesia elevata O fici
Si tratta di espressione della lingua parlata, è caratteriali: ad una prima lettura, infatti, Orazio enfatizza ironicamente la sca
1970, 174) ed è penetrata anche nel line ano
(esempi in D. Lebek, Verba prisca, Géttingen Wi di vena (inopis... animi) e la sua povertà di spirito (pusilli animi
il presidente di un'assemblea era solito no ich .
guaggio ufficiale; con tale formula, infatti, 0, fono 2, 17, DI oltre all'inelinazione a parlar poche volte e con poche parole (raro ci
Marc. Aur. 10, 9 nihil vos moramur).
togliere la seduta (cfr. ScRIP. Hisr. Auc. panca loquentis, in cui loquentis si accorda grammaticalmente col di ità animi
A logicamente con me). Alla sua situazione Orazi Ca
stoico Crispino (cfr. 1, 1, 120; 1, 3, 139) £ dan
vv. 13-21 ecce—imitare: il solito filosofo i Quale « imita l’aria chiusa nei mantici di pelle di car DI che + Mi Sn VETO
da scommetterci. Orazio, da parte sua, |
sfida il poeta ed è tanto sicuro della vittoria tratta di una translatio a fabris (ps.-Acrone; cfr. Vero, nei. 150 dl i vente n
dèi d’averlo fatto di poche parole, oltre
ama la qualità e non la quantità, e ringrazia gli Mb rasi accipiani PATO), grazie alla quale Orazio da
al suo avversario, che si gonfi pure e soffi, CI
che di scarsa vena e d’animo povero; quanto s rione). In realtà il cont è ri
riesce ad ammorbidire il ferro. Nel v. 14
i ini di i
come fa nno i mantici finché il fuoco non lo del quali Orazio contrappone l’ideale del damn " Sn i dipen ira
oversie: già gli antichi commentatori
una nuova ellissi ha suscitato perplessità e contr alle Wa pocsia, a quello del grande che è perseguito da chi pratica generi letterari diversi
tiva l'appartenenza di minimo sc. digito
erano in disaccordo, e se Porfirione garan cum volum us una n prospettiva non appare casuale la presenza di termini legati alconcetto del
espressioni proverbiali (solemu s namque
dicere: ‘ minimo digito provocat ?, MaI
psw edo DAI . naro vo perbauca) e del sostantivo animus che in con-
um alium totis viribus), già nello
quem intellegi tantum valere minimo digito, quant plus E poetica Indica | e l'ispirazione poetica; alla stessa sfera afferiscono, nella
o ? provocare dicuntur hi, qui in sponsione
Acrone s'incontra un’alternativa (‘ minim ne del rivale, le aurae conclusae hircinis follibus, il verbo laborare, che
x nt Rag o Nel
. .]
ipsi promittunt, quam e iga ab adversari ). P i 1 ” I . i i‘ 1 ber aver tlivcda al mot ivo d e 1 labo fr limae n
j p DI ecede nza ev t
evocato Tr Vi erbo
a pro
i e faticosi
posito
i
DL
di i Lucilio,
ili e ili

te, grazie al quale Orazio sottolinea i penos


le assicurazioni di Porfirione (solemus , . «
‘s aticosi tentativi da parte del suo
ragione dell’antagonista: tuttavia, nonostante pensa re ad = = ai rio di confezionare un molle carmen
dicere), non abbiamo neanche un esemp io di un simile uso ed è legittimo °
di un testo difficile da interpretare (scet
una sua forzatura per fornire una spiegazione #1)
plausibile appare la seconda interpre sl SI boatue--dignos: mentre Fannio si fa propaganda da solo portando le sue ope-
tico in merito è anche Léfstedt 1933, 239). Più si - tratto alle otteghe dei librai, è inevitabile che Orazio, a causa della sua si
o pignore e simm.): in tal caso Crispino
tazione (minimo i.q. minimo pretio, minim e 2 front non incontri il favore del pubblico. Nonostante la serie di fantasiose id tifo
itando una somma consistent
dichiarerebbe disposto a scommettere, depos
della vittoria. Non va sottova dello a ps.-Acrone, tutto quello che di Fannio si può può sapere èè inn CALO
1, 10,
di una minima dell’ avversario; a tal punto egli è sicuro ai dla »i parte
ove accenna un Fannio che alla tavola di E
x . LL nummo, p 1 Bourne Tigellio parla male di
lutata, però, la correzione di minimo in 61 sembra trattarsi, quindi, di un poetastro e il
enim sunt litterarum ductus) », ci e viveva facendo il cliente
plane nulla mutatione (totidem
= È ita; in 1, 10 Orazio lo definisce con dispr
espresso dallo ps.-Acrone nella sua difesa prezzo ineptus per sottolinearne l’incapa-
vista del senso non si discosta dal concetto i ifilata 1 presunzione.
il ricorso all’ellissi. ; ;
del tràdito minimo, presenta il vantaggio di evitare =Per quanto riguarda il modo d’agire di Fannio s
Lea
superiorità; lo mostrano la ripetizion@=
Crispino ha fretta di dar prova della sua iva Interpretazione appare convincente: . le "oisse CONtonELri
Casio GF vv. 21-22,
ibri di Fannio ven-
di concitazione e d’intento
di accipere e la serie di soggetti in asindeto, chiaro indizio
Orazio Satire I 4, 25-38 393
392

nessuno glielo K, Quinn, Poet and Audience in the Augustan Age, in Aufst. u. Nied. d. ròm. Welt, Il
gono portate in libreria col suo ritratto da Fannio stesso, senza che
opera a bocca 30, |, 1982, 75--180). Timentis (v. 23) si accorda con un mei, che si desume da mea del
abbia richiesto (ultro): l’autore, per di più, se ne sta a rimirare la sua
come in SEN, V, 22. Per l’indicativo iuvat in dipendenza da sunt quos cfr. epist, 2, 2, 182 est qui non
aperta (beatus). Resta la possibilità che deferre sia sinonimo di vendere,
raptum latro- gurat hubere.
epist. 42, 8 videamus hoc . . . quanti deferatur; PeTRrON. 12, 2 cum ergo et ibsi
ne si presenta ancor più grottesca , pete
cinio pallium detulissemus: in tal caso la situazio Vv, 25-33 quemvis-—poetas: tutti si affannano per avidità o per ambizione: c’è chi im-
stesso a occuparsi di mettere in vendita le sue opere. È possibile, co-
ché è Fannio puszisce per le donne sposate, chi invece per i fanciulli; uno va in estasi per l’argento
un qualche valore,
munque, leggere dietro le righe che solo le capsae e l’imago hanno yn altro per gli oggetti di bronzo; c’è, poi, chi si getta in mezzo ai pericoli per trasferire
controfigura del
mentre il contenuto è privo di pregio: Fannio, insomma, sembra una le merci da oriente a occidente e per incrementare il suo patrimonio. Quemwvis (v. 25)
papiri pregiati
Suffeno catulliano (c. 22), che scrive di getto migliaia di versi insulsi su ‘ fidica, nel suo valore letterale, libertà di scelta: in ogni caso, tuttavia, il risultato sarà
a caso anche Suffeno è definito beatus -
e in esemplari elegantissimi e raffinatissimi (non fémpre identico. Il contesto seguente (vv. 26-32) combina allusioni alla I (v. 26, vv.
[22, 16] nei momenti in cui si dedica all'attività poetica). Del tutto improbabi li appaiono 89-32) © alla II satira (v. 27). Misera (v. 26) ha valore attivo (« che rende infelici »);
ultro si riferirebbe
altre interpretazioni, che pure hanno goduto di una certa fortuna: ul tratta di epiteto convenzionale di ambitio (cfr. 1, 6, 129; Cic. off. 1, 87). È notevole
accogliere
agli ammiratori di Fannio, che gli farebbero dono delle casse destinate ad fiello stesso verso la variazione del costrutto (da laborare + ob e acc. a laborare +
addirittur a ai librai, i quali, non si capisce proprio
le sue opere e di un suo ritratto, o bl) Argenti (v. 28) è un collettivo che indica il vasellame d’argento: la critica del-
Errata è anche l’interpr etazione di Pore
perché, porterebbero a Fannio il suo ritratto. &more per i metalli preziosi era un cavallo di battaglia della diatriba (cfr. e.g. Sen.
trovato accoglien za nelle
firione, secondo cui ritratto e opere di Fannio avrebbero {al. 12, 11, 3 desiderat aureis fulgentem vasis supellectilem et antiquis nominibus artificum
che all’epoca .
biblioteche pubbliche senza alcuna pressione da parte sua: a parte il fatto #rgentiim nobile). L’Albio che ammira estatico oggetti di bronzo è uno sconosciuto,
creata nel 39 a.C. da
della redazione delle Satire esisteva solo la biblioteca pubblica tobabilmente lo stesso di cui si ricorda al v. 109 il figlio, dedito a una vita sregolata.
il suo trionfo
Asinio Pollione nel tempio della Libertà, grazie al bottino di guerra per | Mercante (v. 29) si dedica allo scambio delle merci in terre lontane e divise dal mare:
di casse invece che di armadi o di scafe
sui Parti, c'è da chiedersi perché mai si parli tre è termine tecnico della mercatura (cfr. Vero. ecl, 4, 38-9 nec nautica pinus/
fali; per quanto riguarda, poi, la possibilità della presenza del ritratto di Fannio in una . fabit merces; Pers. 5, 54-55 mercibus hic Italis mutat sub sole recenti/ rugosum piper et
ornare la
biblioteca pubblica, c'è da considerare che Asinio Pollione si preoccupò di Ilentis grana cumini). Ad eum... regio (vv. 29-30) è espressione poetica per ad regiones
fatta
prima biblioteca pubblica solo con le imagines dei più celebri poeti del passato, dentis solis; la successiva menzione dei mala fa intravedere i rischi che il mercante
Varrone (cfr. P. Fedeli in Le bibliotec he nel mondo antico
eccezione per il grande erudito #ve affrontare per mare: incurante di ciò, per amore del denaro egli si getta a preci-
e medievale, a cura di G, Cavallo, Bari 1988, 49; ibidem 38 sui ritratti degli autori insieme 9 nei pericoli, simile a polvere trascinata dal turbine (v. 31 pulvis collectus turbine).
dovuti |.
alle loro opere e 42-43 sugli armaria delle biblioteche). Tali travisamenti sono mi deperdat (sc. de summa perdat) indica le perdite di capitale che il mercante si
bile il cum med
al fatto che un Fannio idolatrato dai suoi ammiratori rende comprensi o «di evitare. Ampliare è attestato per la prima volta al v. 32 nel senso di augere
ineccepibile -
nemo scripta legat di Orazio: tuttavia il riferimento di ultro a Fannio appare anche bell, Hisp. 42, 2), mentre in Cicerone e in altri prosatori è presente il signi
dunque;
se si considera quale termine di opposizione recitare timentis (v. 23); mentre, n giuridico di ‘ differire’ (una causa e simm.: cfr. TAIL I 2001, 73 sgg.). Secondo
Orazio ha paura addirittur a di recitare in &
Fannio si fa propaganda per conto suo, pi. “Acrone in versus bisogna intendere i versi satirici e in poetas gli autori di satire:
pubblico i suoi versi. Fealti se nel contesto precedente e in quello seguente è chiamato in causa Orazio,
e not
Il timore da parte di Orazio (vv. 23-24) di esporsi alle recitazioni pubblich i Il poeta generalizza a bella posta l'odio degli uomini stolti per la poesia, lasciando
nella:
denuncia presunti insuccessi; esso dipende dal fatto che a parer suo gli uditori, tidlere che essi detestano i cultori di qualsiasi genere poetico.
giudican o dal punto di vista artistico, ma si sentone
stragrande maggioranza, non
il biasimo # 34-38 A stare agli avversari, il poeta è simile a un toro inferocito, pronto ad ag-
colpiti personalmente dalla sua poesia aggressiva, per quanto giusto sia
der Miindlich keit in der ròmi: ife: pur di avere successo egli non risparmierà né se stesso né gli amici e smanierà
loro rivolto (cfr. E. Lefèvre in G. Vogt-Spira, Strukturen
recitatio in pube noto a tutti. Sarà bene, allora, che Orazio dia ai suoi avversari una breve risposta.
schen Literatur, Tibingen 1990, 11). Siamo, dunque, nel periodo della
ra letteraria Sono gli antichi commentatori ad attestarci l’usanza di legare del fieno ‘alle corna
blico, che normalmente precedeva la vera e propria pubblicazione dell’ope
in L A toro pericoloso, per avvertire chiunque vi si imbattesse di tenersi alla larga. Da
(sulle fasi che precedevano la pubblicazione cfr. da ultimo quanto ho scritto
349-367; sulle recitation es è fondamen tal arco (uaest, Rom. 71) sappiamo che gli avversari usavano la stessa immagine per
spazio letterario di Roma antica, II, Roma 1989,
394 Orazio Satire I 4, 39-48 395

Crasso; il poeta, per parte sua, si rappresenta come un toro inferocito, pronto a ine fiIti,/ sumere depositum clavom fierique tribuno? e soprattutto ars 372-3 mediocribus esse
cornare i suoi nemici, in epod. 6, 11-12 cave cave, namque in malos asperrimus/ parata poetis/ non homines, non di, non concessere columnae). Sul dibattito intorno al problema
tollo cornua. Per l’invito a stare in guardia cfr. CALLIM. fr. 191, 79 Pf. « gedye PAXAet ‘attato da Orazio nel contesto successivo (se, cioè, satira e commedia siano o no poe-
peiy’ » Epei ‘“7dv dvdporoy ?. Ma è come si concili il loro stile familiare col linguaggio poetico), è d’obbligo il rinvio
Nel v. 35 la tradizione manoscritta oscilla, e con essa gli editori, fra excutiat sibi, 4 O, D'Anna in Studi di poesia latina in onore di A. Traglia, Roma 1970, 525-552.
non hic cuiquam e excutiat, sibi non, non cuiquam (con un uso popolare di excutere i.q, Concludere versum non significa, banalmente, ‘ concludere il verso ’ con la normale
excitare, su cui cfr. TRIL V 2, 1310, 5 sgg.). Quanti accettano la prima possibilità intene gliusola esametrica, ma indica piuttosto la capacità di mettere insieme un verso di-
dono sibi come un dat. di vantaggio e accordano a dummodo . . . sibi il senso di ‘ put ponendo le parole secondo le esigenze del metro regolare; cfr. AMMAN. 29, 1, 31
di strappare per sé una risata ’; in tal caso la contrapposizione fra sibi e amico sotto» Veraa ad numeros et modos plene conclusos e sull'uso di concludere ‘in arte rhetorica ’
lineerebbe l’egoismo di chi antepone se stesso agli amici. Chi accetta la seconda pos: TL IV 77, 6 sgg. A satis (v. 41) bisogna sottintendere ut aliquis putetur poeta. Si qui
sibilità (‘ non risparmierà se stesso né alcun amico ’) rinvia ad Arisror. Eth. Nicom, VA preferito a si quis, chiara normalizzazione di codici di secondaria importanza: come,
1128a, dove si dice a proposito del buffone che pur di far ridere « non risparmia né fatti, ha notato Lòfstedt 1933, 87 in Orazio quis domina su qui, sia come interro-
se stesso né gli altri ». A. favore di questa scelta sta il fatto che non hic in luogo di non tivo, sin come indefinito: di qui interrogativo o indefinito esistono solo altri due
non appare una chiara banalizzazione, probabilmente introdotta come variante in una mpi, nella sat. 1, 6 (vv. 30 e 79). Con sermo (v. 42) è designata la lingua comune di
fase antica della trasmissione del testo (su ciò cfr. K. Biichner, « Philologus » 93, 1938, | | glorni: cfr. la definizione della Rhet. Her. 3, 23 sermo est oratio remissa et finitima
491-2, che tuttavia preferisce excutiat, tibi non, non cuiquam di Rutgers: ma la corre» tidianae locutioni e Cic. orat. 67 video visum esse nonnullis Platonis et Democriti locu-
zione di sibi in tibi appare tutt'altro che necessaria). im, etsi absit a versu, tamen quod incitatius feratur et clarissimis verborum luminibus
Nella caratterizzazione che del poeta fanno gli avversari, il disprezzo traspare fur, potius poema putandum quam comicorum poetarum; apud quos, nisi quod versiculi
anche nella scelta di sfumature particolari di significato per i vocaboli: si è già notato t, nihil est aliud cotidiani dissimile sermonis.
nel v. 35 l’uso popolare di excutere per excitare; qui inlinere, che in senso proprio ine Ingenium non è qui l’ispirazione (un significato che non sembra attestato prima
dica lo ‘ spalmare ’ di cera le tavolette, essendo collegato a chartis designerà piuttosto Paor. 1, 7, 7: cfr. il mio commento ad l.), ma piuttosto il ‘ talento poetico’ (fre-
l’imbrattare d’inchiostro il papiro (per la struttura inlinere aliquid aliqua re cfr. THIL nti, in contesti di poetica, sono le attestazioni di un tale significato nell’elegiaco
VII 1, 383, 50 sgg.). Secondo la malevola interpretazione degli avversari il poeta sati. erzlo: cfr. 1, 7, 22; 3, 9, 52; 4, 1, 66. 126; 4, 6, 75; altri esempi in THIL VII 1, 1532,
rico, una volta scritti i suoi versi calunniosi, desidera che li conoscano tutti, persino tgg.). Il concetto d’ispirazione, nobilitato per di più dal comparativo divinior, ‘è
gli schiavi che tornano col pane dal forno e le vecchiette che vanno ad attingere acqua dente Invece nel successivo mens: Orazio si ricollega ad una tradizione di origine
alla fontana (altri intendono pueros et anus come espressione polare, diretta ad indicare itanicn (Tone 533e), che vede poetare gli epici e i lirici non grazie all’arte, ma perché
i giovani e i vecchi, dunque tutti; ma qui l’allusione sarà piuttosto alle persone incolte {em iluti da un entusiasmo divino. Anche per Cicerone (Arch. 18) il poeta è divino
e insignificanti). adam spiritu inflatus, mentre Virgilio dà al poeta l’attributo di divinus e Ovidio può
Finate orgogliosamente (am. 3, 9, 17-18): at sacri vates et divum cura vocamur; | sunt
vv. 39-44 Orazio non vuole neppure essere incluso nel novero dei poeti: per appate gui nos numen habere putent. Sullo sviluppo dell’argomentazione oraziana cfr. A.
, « Helmantica » 2, 1951, 84-94.
tenervi non basta fare un verso concluso, né si potrà chiamare poeta chi scrive versi
Shi possiede oltre al talento poetico una divina ispirazione dev’esser necessaria-
tanto vicini alla prosa; avrà diritto a questo nome solo chi sarà dotato d'ispirazione e
e dotato di un os magna sonaturum (il part. fut. indica qui capacità di raggiungere
di afflato divino. fe sublimi col proprio canto), un'espressione analoga a quella usata da VERG.
L'ampiezza e la complessità dell’argomentazione giustificano l’assenza di un suc« 3, 294 nunc, veneranda Pales, magno nunc ore sonandum: chiara è la dipendenza
cessivo deinde in rapporto al primum del v. 39: il passaggio ad un nuovo argomento gallimacheo (Aitia 1, 19 Pf.) péya popéovoay dordhy, su cui cfr. W. Wimmel, Kalli-
sarà contraddistinto dall’hactenus haec del v. 63. Dare (v. 39) è sinonimo di concedere, shos in Rom, Wiesbaden 1960, 39 e n. 1.
come in 1, 10, 5; 2, 2, 94; epist. 2, 1, 125 e in Cic. Tusc. 1, 25; fin. 5, 83. Nello stesso =
verso il poetas dei codici più importanti è stato corretto in poetis dalla prima mano del - & idcirco—merus: per questo motivo alcuni si sono chiesti se la commedia fosse
Vat. Reg. 1703 e dagli scoliasti; giustamente, se si considera l’usus scribendi oraziano érite poesia, visto che manca di una vigorosa ispirazione e sarebbe pura prosa,
(cfr. infatti 1, 1, 19 atqui licet esse beatis; 1, 2, 51 munifico esse licet; 1, 6, 24-25 quo tibi, Ila prosa non la distinguesse il ritmo.
Satire I 4, 48-56 397
‘ Orazio

farà nua l'obiezione in ars 93-94 interdum tamen et vocem comoedia tollit/ iratusque
L’accostamento del sermo pedester della satira alla lingua della commedia verrà ri-
Qhremes tumido delitigat ore. i
proposto da Orazio in 2, 6, 17; epist. 2, 1, 250-1; ars 229.I quidam di cui egli parla
Non pochi interpreti scorgono nei vv. 48-50 un’allusione a una palliata perduta;
saranno probabilmente i filologi alessandrini, mentre il vago comoedia designerà la
la nituazione descritta, però, induce a pensare a una scena tipica della palliata in genere,
commedia nuova, come si deduce dai personaggi presentati nei vv. 48 sgg. A. parere di Pa Importante appare, piuttosto, l’invito di U.E. Paoli, « Atene e Roma » 11, 1943,
Wickham i quidam di Orazio e i nonnulli di Cicerone (orat. 67, sopra citato) coincido» 19329 a vedere nei versi tracce di romanizzazione della palliata: nel teatro attico, infatti,
no: di conseguenza nel passo ciceroniano si avvertirebbe l’eco dello stesso giudizio. Che
Hta contro un figlio restio a sposarsi sarebbe sembrata scarsamente verisimile; per
dell'argomento si fossero appropriate le scuole filosofiche e retoriche sembra confer=
di più, se si prescinde dalle grandi famiglie, nel ceto borghese di Atene le doti erano
mato dalla presenza del verbo quaerere, col suo chiaro rinvio al concetto di quaestio:
te'altro che grandes. Per questo aspetto le doti di 10/0 20 talenti, generosamente pro-
per la terminologia cfr. QuInT. inst. 2, 19, 1 scio quaeri etiam natura . . . an doctrina e, Reese dui padri delle commedie plautine e terenziane, non trovano riscontro nella
poi, plurimum tamen referre arbitror, quam esse in hoc loco quaestionem velimus (cfr. Brink
Bmmediu attica.
1971, 395). Spiritus (v. 46) definisce un tono poetico particolarmente elevato (Nisbet-
Ad urdens (v. 48) occorre sottintendere l’abl. ira; nel v. 49 la qualifica del perso-
Hubbard 1978, 270: « the grandiose spiritus [rveiua] normally suggests something ine
lo della meretrix fa da cornice a quella del nepos. Bisogna costruire quod filius, nepos
flated and inspired »), come in carm. 2, 16, 37-39 mihi parva rura et/ spiritum Graiae
Ha amica meretrice (abl. strumentale, in cui meretrice è apposizione di amica): c’è
tenuem Camenae/ Parca non mendax dedit; 4, 6, 29-30 spiritum Phoebus mihi, Phoebus
un gioco di parole fra nepos (che ovviamente è lo scialacquatore) e filius, come
artem/ carminis nomenque dedit poetae; Vero. ecl. 4, 53-54 o mihi tum longae maneat pars heu Porfirione (bellam obscuritatem adfectavit ‘ nepos filius’ dicendo, sed ‘ nebos’ hic
ultima vitae,/ spiritus et quantum sat erit tua dicere facta; con spiritus Properzio definirà
Wax atiue prodigus’ intellegendus). In quanto all’uxor grandi cum dote, come ha chia-
l'ispirazione poetica di Pindaro (3, 17, 40 qualis Pindarico spiritus ore tonat; cfr. anche
Paoli (urt. cit.), nella commedia attica più che di una fanciulla dalla dote ragguar-
QuINT. inst. 10, 1, 61 novem vero Iyricorum longe Pindarus princeps spiritu, magnificentia), le xi sarà trattato di una èrixAnpog (donna-erede), cioè la donna che ha diritto
Acer e il successivo vis indicano l’intensità e la potenza dello spiritus (cfr. anche 1, 10, nolo ulla dote, ma a tutto il patrimonio, se nella sua famiglia sono morti tutti i
43-44 forte epos acer ut nemo Varius ducit e Brink 1982, 209), di cui la commedia difetta
gechi. I vv. 51-52 presentano uno squarcio di vita romana (e greca), ben noto grazie
verbis et rebus: col primo termine si fa riferimento all'aspetto formale, col secondo al
fiumorose testimonianze letterarie: il giovane di buona famiglia che, reduce dal
contenuto, come in Quint. inst. 10, 1, 27 ab his (sc. poetis) in rebus spiritus et in verbis
Netto, sc ne va col suo corteo di schiavi tedofori a cantare la serenata alla sua donna.
sublimitas ... petitur; res ha lo stesso senso nell’ars (v. 89 res comica, v. 322 versus inopes iò non vi sarebbe nulla di sconveniente: l'aspetto atipico e, dunque, riprovevole,
rerum). Con pede certo sono definite le leggi del ritmo, unico elemento che permette di qui nel fatto che il filius va al banchetto quando ancora è giorno pieno e circola
accordare al sermo della commedia un carattere diverso da quello della prosa: come
tn le fiaccole accese, ubriaco quando gli altri non hanno neppure banchettato.
osserva Hofmann 1980, 52, era ben avvertito il riecheggiamento del sermo cotidianus Giù è chiaro indizio di dissolutezza.
nella commedia e l'elemento di ‘ straniamento ’, tipico dell’arte, era confinato nella
sola metrica; ce lo conferma Cicerone, quando sostiene (orat. 67) che nei poeti comici 56 numquid-—pater: ma allora Pomponio, se fosse in vita il padre, sentirebbe
nisi quod versiculi sunt, nihil est aliud cotidiani dissimile sermonis (cfr. Marouzeau 1954, vl rlmproveri? Ciò significa che non basta scrivere un verso che, se provassimo
181). Lo stile di Orazio è particolarmente elaborato: differre col dat. è raro e poetico mporlo, ci darebbe un padre della commedia che parla come un padre reale. AI
sino a Vitruvio (THIL V 1, 1080, 25 sgg.; prima di Orazio l’unica attestazione è in Lucr, tivo di difesa dello stile della commedia in certe sue espressioni enfatiche si ri-
4, 477), mentre sermo merus è un nominativo costruito liberamente; per la successione
#; dunque, che anche nella vita di tutti i giorni chi, sdegnato, alza la voce, finisce
sermoni sermo cfr. 2, 4, 9 tenuis tenui.
Operare espressioni diverse dal solito e uno stile più incisivo. C'è chi pensa che
filo sla un personaggio della commedia: in tal caso pater si viveret significherebbe
vv. 48-52 at-facibus: però, si potrebbe obiettare, le commedie sono piene di padri il iuo fosse un padre vero (e non fittizio come quelli della commedia) ». Ma, più
furibondi per il comportamento dei figli, che dissipano il denaro e preferiscono l’amore
i muilmente, si tratterà di un personaggio reale, ben noto ai lettori contemporanei
per le cortigiane alla ricerca di mogli dotate. slo,
Con at sono introdotte le obiezioni di un fittizio interlocutore, il quale argomenta -
v. 52 Brink, « Proc. Cambr. Philol. Soc. » 1987, 27 difende numqui di pochi
che anche la commedia è capace di raggiungere toni elevati in particolari contesti (ad - particolarmente significativi rappresentanti della tradizione manoscritta, in quanto
esempio in quelli in cui un personaggio dà libero sfogo al suo sdegno). Orazio stesso
Satire I 4, 56-70 399
398 Orazio i

(così in PLaut. Rud. 736): fatira, u causa degli attacchi in essa contenuti. È vero che un Sulcio e un Caprio
atcaizzante soprattutto in rapporto con un comparativo
inevita bile la correzione. La mass in giro sempre muniti di atti d’accusa: chi, però, vive onestamente, non deve aver paura
ipotesi suggestiva la sua, ma non tanto da rendere
(ergo non satis est), che Orazio di loro. Quand’anche, poi, si assomigli a ben noti furfanti non c'è da a
sima successiva (vv. 53-56) è introdotta da una formula tra di
1, 10, 7. Nell’espressione puris Orazio, che non assomiglia né a Caprio né a Sulcio.
riproporrà — sia pure in inizio di verso — anche in i ver paura di
pura verba sono le parole seme — Hactenus haec è formula prosastica di transizione, molto frequente in Cicer
versum perscribere verbis, con allitterazione alternata, i
(cfr. nel v. 48 sermo merus e in QuINT. ins son cul Orazio mette fine a questa parte teorica per aprirne un’altra: altrettanto con.
plici, come quelle della lingua quotidiana
che il verso è scritto sino Venslonale, in questo caso, è l’uso di nunc, per cui cfr. Cic. div, 2 53, Orazio sia iDro.
8, 3, 14 purus sermo), mentre in perscribere il prefisso indica
prefiss sottolinea, sopraggiunge
o Mette di trattare in un’altra occasione (alias, sc. tractabimus, quaeremus ‘come com nenta
alla fine. Tuttavia, dopo l'impegno prolungato che il
uente eliminazione del suo Porfirione) l'argomento ora un po’ bruscamente accantonato, e cioè iustum sit ene
la rapida scomposizione del verso stesso, con la conseg
parole. Il composto dissolvere Le ma non terrà fede alla sua promessa; iustum poema è sinonimo di legitimum
tessuto metrico grazie ad una diversa collocazione delle cera
to da Orazio stesso al v. 60 { fat, 2, 2, 109: cfr. E. Pasoli, Le epistole letterarie di Orazio, Bologna 1964 06.9), Per
intensifica il semplice solvere, che è termine tecnico propos
ut dicitur, sic est vere soluta, . «è Li a Orazio interessa solo discutere se le accuse rivolte alla satira siano fondate tant )
(cfr. anche Cic. de orat. 3, 184 liberior est oratio et plane,
solvere). La conclusione da farne un suspectum genus scribendi. Come
ut sine vinculis sibi ipsa moderetur; QuInT. inst. 1, 9, 2 versus... al solito è necessaria un’esem lificazi °
(sc. pater, nella vita reale) tta «lalla vita reale: il comportamento di Sulcio e di Caprio si presta bene a hiarire
dell’opera di dissoluzione è segnata dall’espressivo quivis
i: cfr. carm. 1, 16, 16). tituazione (che qui e al v. 70 Sulcius sia preferibile a Sulgius di parte della tradizione
stomachetur (lo stomaco era considerato la sede delle passion
sione del serrato argoment @scritta, nonostante tale forma ricompaia in iscrizioni tarde, è stato dimostrato
e dall’allitterazione trimembre con cui è presentato, a conclu
recita con la maschera. L, Rudermacher, « Wien. Stud. » 53, 1935, 80-4). Determinare con certezza "chi
tare, il padre della commedia, personatus perché
pero 1 due personaggi appare, come al solito, impresa difficile; in questo caso cè
mutati l'ordine metrico e la .
vv. 56-62 his-poetae: se nella poesia satirica venissero gonforto del commento di Porfirione, secondo cui hi acerrimi delatores et ca dici
sca si eripias ... his [sc. vere
disposizione delle parole nell’ambito della frase (si costrui traduntur, et ideo rauci, quod in contentione iudiciorum clament. Cum libelis patemi
si avrebbe un risultato diverso
sibus] quae nunc ego [sc. scribo] quae olim Lucilius scribsit), ) quibus adnotant, quae deferunt. Sulcio e Caprio, dunque, sarebbero due delatori
epica: nel primo caso
dall’applicazione di un analogo modo di procedere alla poesia mestiere, in continua attività (ambulat, riferito ad entrambi, indica i loro concitati
le ritrovare le membra de
infatti, si otterrebbe prosa, mentre nell’epos sarebbe possibi hacclosi spostamenti) e rochi per il continuo denunciare presunti colpevoli o
Porfirione, i versi di Enni
poeta, anche fatto a pezzi. Questo perché, come spiega lesnante gridare nei processi (su male per intensificare parole di senso negati sE .
L'espr essione tempora certa mos
magno scilicet spiritu et verbis altioribus compositi sunt. bet-Hubbard 1970, 125); fra i commentatori moderni, tuttavia, c'è chi Densa sila
sione di sillabé‘
dosque indica il ritmo (modos) ottenuto grazie ad un’opportuna succes nobile attività di pubblici accusatori (un’abitudine, però, contro cui si scaglia vio.
Cic. orat. 194 trochae o, qui tema.
di una determinata quantità (tempora certa, per cui cfr. Trinente Cicerone in Brut. 130 e in off. 2, 50) o, addirittura, di ufficiali di polizia
che, secondo Orazio, accorda
poribus et intervallis est par iambo): è questa l’unica qualità «ju stiano le cose, nei loro libelli dovevano essere contenuti gli atti d’accusa,
(225-6 Sk.), che forse si rife
alla satira il carattere di poesia. I versi di Ennio qui citati i al presentavano minacciosi ai presunti malfattori (chi li ritiene pubblici accu-
nuova guerra nel 235 a.C.j
rivano alla riapertura del tempio di Giano a causa di una 1 pensa, invece, ad appunti dei loro discorsi: non si capisce, però, perché mai
proprio a proposit
dovevano essere particolarmente famosi, se Virgilio ad essi allude © e Caprio abbiano bisogno di portarseli sempre dietro). Quando subito d 5,
(Aen. 7, 620-2 tum regina deu.
dell’apertura del tempio di Giano ad opera di Giunone io parlerà della sua attività di poeta satirico, opporrà chiaramente i suoi libell
verso] Belli ferratos rumpit S
caelo delapsa morantisf impulit ipsa manu portas et cardine Pi) a quelli dei due delatori e il perentorio nec recito alla loro voce roca per le tto ‘pe
a pezzi », Orazio con ogì
turnia postes). Nel parlare, poi, delle « membra del poeta fatto ice, Suleio e Caprio, dunque, sono « causa di paura », per i furfanti (su uesto
donne di Tracia (cfr. Nisbe
probabilità accenna al mito di Orfeo, dilaniato dalle leato di timor, tipico della poesia, cfr. Prop. 3, 7, 13; Ov. fast. 1, 551; met 3 191;
lare rilievo, legato com'è
Hubbard 1978, 323). Il non del v. 60 acquista un partico Here, fur. 224. Latronibus è usato nel senso attenuato e più generico di male iven-
invenias, poi, piuttosto che a disl
invenias alla fine della citazione enniana; a non... ultlosis [ps.-Acrone], anziché in quello di assassini o banditi). Ma gli onesti be ne
unito etiam.
con valore concessivo (= vel disiecti), va strettamente #8 è qui usato in senso morale, diversamente dalla commedia, in cui ha senso ma.
sull’appartenenza o no del ' che hanno le mani pure, possono bellamente infischiarsela (contemnat) dei due
vv. 63-70 È tempo ormai di metter fine alla discussione
dei sospetti suscitati dal
satira alla poesia. Adesso occorre indagare sulla fondatezza
400 ‘ ‘Orazio Satire I 4, 71-85 401

Se tutto ciò succede con Sulcio e Caprio, figurarsi con il poeta satirico! Anche gellocuto in evidenza nella chiusa del verso, enuncia il giudizio del poeta, che ritiene
se (ut ha valore concessivo ed equivale ad etiamsi) si fosse simili ai latrones Celio e WA tale comportamento un indizio di leggerezza e di superficialità: chi così agisce non
Birrio, non si dovrebbe aver paura del poeta, che non fa il delatore di professione, ne conto né del senso comune (il sensus del v. 77) né dell'opportunità della situazione
Celio e Birrio restano per noi degli sconosciuti, nonostante il troppo vago e sospetto d dello circostanze (il tempus alienum del v. 78).
tentativo d’identificazione dello ps.-Acrone, secondo cui perditi adulescentes fuerunt,
Sui vv. 69-73 cfr. Rudd, « Hermathena » 87, 1956, 49-60. Difficile da digerire sembra Ni 78-85 laedere-caveto: nonostante tali assicurazioni, l'antagonista di Orazio è
il cong. sim, che i manoscritti tramandano al v. 70 e che i commentatori pretendono Meuro che il poeta si diverta di proposito a recar danno (laedere gaudes, col costrutto
di giustificare come congiuntivo attenuante (coniunctivus modestiae); mi sembra che a
poetico di gaudeo + inf. e con una probabile allusione al modo analogo con cui Lu-
ragione Brink 1987, 27 abbia proposto di correggerlo in sum, sia perché lemma e come al difende dal suo detrattore: 1015 M. gaudes, cum de me ista foris sermonibus dif-
mento di Porfirione hanno il pres. ind. e lo ps.-Acrone parafrasa con videor similis esse, i), L'intenzionalità del comportamento di Orazio, dal punto di vista del suo detrat-
sia perché il cong. può essere stato originato dall’attrazione esercitata da ut sis e dal B, è espressa da studium, su cui cfr. Cic. Rosc. Amer. 91 ut omnes intellegant me non
cong. seguenti (metuas, habeat, insudet); si confronti, poi, recito, che al v. 73 indica per bio accusare, sed officio defendere, mentre pravus, con valore predicativo, indica la
contrasto l’atteggiamento di Orazio. pretesa malvagità (a un’ipallage pensa Porfirione, che intende pravo studio facis
in quanto ad hoc, non si tratta di un abl., ma di un acc. dipendente da facis).
vv. 71-78 nulla—alieno: Orazio non desidera che i suoi libri abbiano un’ampia diffue Po Immediata è la reazione di Orazio, il quale si chiede dove mai il suo detrattore
sione: egli recita solo per un ristretto pubblico di amici e lo fa solo se essi lo forzano, Ma anduto a pescare un'accusa simile. L'immediatezza dell’immagine oraziana è stata
I più, al contrario, recitano ovunque, persino nei bagni pubblici, senza capire che il tolta da Porfirione, il quale sottolinea che hoc in me iacis è detto metaforicos ...,
loro modo d’agire è insensato e inopportuno. Chiara è l'opposizione fra la poesia rie bui da telo aliquo aut lapide, qui tollitur utique alicunde, ut mittatur. Il seguito delle sue
servata a pochi intenditori e quella, invece, di cui si pasce il vulgus (cfr. v. 23). entazioni ripropone l’immagine del delatore (e avvalora, quindi, l’interpretazione
Orazio, dunque, si augura (habeat ha valore ottativo, piuttosto che potenziale) sopra si è data dell’attività di Sulcio e Caprio): come, infatti, commenta lo ps.-
che i suoi scritti non siano esposti nelle tabernae librariae e neppure nelle loro pilae) @, Orazio si chiede se sia stato qualcuno a lui familiare a convincere in tal senso
secondo Porfirione e lo ps.-Acrone si tratterebbe di armadi, posti accanto ai pilastri Hei antagonista (quis eorum auctor est i.e. quis est eorum delator, cum quibus convivatus
delle botteghe dei librai, in cui erano sistemate le opere in vendita. Sappiamo anche; f? Secondo questa interpretazione quis ha valore interrogativo e non indefinito,
però, che ai pilastri ed agli stipiti delle tabernae librariae erano affissi gli elenchi delle }é pensano alcuni commentatori oraziani, che rinviano a 1, 3, 63; ma, come osser
novità: cfr. ars 373; MartiaL. 1, 117, 10. In quanto a libelli, c'è chi pensa ad un valotè Kiewiling-Heinze ad I., in rapporto con aliquis interrogativo « denique hebt die
limitativo del diminutivo, che servirebbe a designare o la loro breve dimensione o la 6 Frage hervor »: cfr. per denique i casi analoghi di epist. 1, 7, 68; 1, 13, 3; 2, 2, 127).
loro appartenenza a un genere secondario: non è necessariamente così, se si pensa ché © won) è, amici simili che aggrediscono alle spalle o non difendono un loro amico
i libelli oraziani sembrano contrapporsi intenzionalmente ai libelli di Sulcio e Caprio _ si sttacchi, vanno evitati a tutti i costi, perché sono anime nere. Lejay, seguito da
(v. 66). Per di più Orazio non vuole che i suoi libelli rechino tracce delle mani del dea , attribuisce i vv. 81-85 (absentem... caveto) al contraddittore fittizio, anche
testato Ermogene Tigellio (su cui cfr. 1, 3, 129), sudate per la fatica di svolgerli: è riconoscere che costui si esprimerebbe con una solennità oracolare che ci
questo un altro modo di opporsi al comportamento del vulgus. eremmo piuttosto dal poeta. Non si capisce, però, perché mai l’antagonista passi
La struttura dei vv. 74-75 è sunt multi qui recitent scribta in medio foro et qui (reci visamente a criticare l'atteggiamento di Orazio in quanto uomo, e non in quanto
tent) lavantes, nonostante Porfirione attribuisca in medio ... lavantes all’interlocutore è, per di più senza rispondere alla domanda del poeta. Per l’uso di rodere, che
e consideti quique lavantes un’aggiunta ironica del poeta. Ironico resta comunque I e In modo espressivo il dire malignità, cfr. 1, 6, 46 quem rodunt omnes libertino
contesto, in cui Orazio afferma che di persone disposte a recitare in pubblico ce ne Ratinn; Cic. Balb. 57 more hominum inwident, in conviviis rodunt, in circulis vellicant:
sono sin troppe, e non si limitano a farlo nel foro, ma recitano anche nei bagni pubblic 8 inlmico, sed hoc malo dente carpunt. Per l’allungamento in arsi dell’ultima sillaba
(proprio come pretenderà di fare, con grave rischio per la sua incolumità persona t fr. 1, 5, 90; 2, 1, 82; 2, 2, 47; carm. 1, 3, 36 e Nisbet-Hubbard 1970, 57.
l’Eumolpo petroniano [Satyr. 92, 6]): l’ironia è accresciuta dal ricercato acc. avverbiali Nei vv, 82-85 un’accorta gradatio definisce la tattica dei falsi amici: nel primo caso
suave, da legare a resonat, con cui Orazio dà una motivazione del comportamento de 41 etilpante, dove alio culpante ha valore ipotetico) si rimprovera una mancanza
più (nei locali chiusi la voce ha un suono soave). Ma immediatamente l’agg. inanis fesa, nel secondo addirittura un tentativo di aggressione, come indica il verbo
Satire.I 4, 86-100 403
402 © ..i Orazio

(solutos ee risus hécordu all'espressione un senso metaforico si coglie nella sua pienezza l'ironia della
captare: il falso amico « va a caccia » delle risa sgangherate della gente frase: l'anfitrione, infatti, può legittimamente esser definito colui che per primo praebet
versibus incomptis ludunt
hominum, per cui cfr. VERG. georg. 2, 385-6 Ausonii . . . coloni/ Wjuam se è proprio lui a dare inizio ai pettegolezzi e, quindi, a fornire al niger la ma-
faceto e mordace (ps.-Acrone:
risuque soluto), pur di conquistarsi la fama di uomo fetia con cui ‘ spruzzare ’ i presenti; oppure, e fra le due è questa la soluzione’ preferita
habent foca mordacia). Ma
faceti, iocosi ‘ dicaces’ sunt, qui risum movent maledicendo, qui
dicacitas, è capace da Flickinger, proprio organizzando un banchetto per un numero eccessivo di amici
c'è di più: il falso amico, pur di accumulare materiale per la sua (dodici invece di nove), fra i quali uno è sicuramente un niger, l’anfitrione offre a co-
di non mantene re il segreto (una colpa
(potest) d’inventarsi cose mai viste e addirittura Ati l'opportunità, metaforicamente l’acqua, con cui adspergere malignamente tutti gli
38). Dopo la lista delle cole
grave, questa, per i Romani: cfr. carm. 3, 2, 25; epist. 1, 18,
giungono la sentenza ti, Ma il niger, quando i fumi del vino gli hanno dato alla testa, non risparmia nep-
pe, chiusa da nequit (un verbo carico di forti implicazioni morali), Mute Il padrone di casa: proprio questo, d'altronde, sarà il timore di Nasidieno nella
ivo di niger
e il monito severo: chi si comporta in tal modo merita l'esecrabile appellat tra 2, 8, che paventa gli acris potores perché (v. 37) maledicunt liberius. Ad aggiun-
quanti si oppong ono alle animae candidae , cioè
(nigri, gli uomini dall'anima nera, sono è ironia all'espressione è il tono magniloquente con cui viene definita l’ubriacatura,
1, 0 nigrum malum
agli uomini schietti e sinceri, di 1, 5, 41: cfr. ScHot. ad Pers.
nec minus niger nec minus gie alla identificazione del vino col dio Libero e alla perifrasi solenne con cui è
dicimus; Cic. Caec. 27 Sex. Clodius, cui cognomen est Phormio,
Orazio riprende inelata la ben nota massima dell’in vino veritas (su cui cfr. Otto s.v. vinum, 2).
confidens quam ille Terentianus est Phormio). Nella drastica conclusione
(5, 16, 9 Romane,
formule oracolari, come dimostrano il vaticinium citato da Livio
sinas) e il celebre Y, 90--100 hic-fugerit: è paradossale che un personaggio simile sia considerato come
aguam Albanam cave lacu contineri, cave in mare manare suo flumine
Per tali formule di profezia Fraenkel amo di mondo (comis et urbanus), senza peli sulla lingua (liber), da chi ce l’ha con
cauneas (= cave ne eas) ricordato da Cic. div. 2, 84.
A. eq. 1039 e 1080-1, ‘BMime nere (infesto nigris: cfr. PoRPHyR. tibi qui nigris, id est malignis, infestus es) e
1957, 117 rinvia a Pimp. Pyth. 4, 75; HeropoT. 7, 148, 3; ArisToPH
Oruzio appaia livido e astioso solo perché ha preso in giro Rufillo dall’alito pro-
su tutti, salvo ato e Il puzzolente Gargonio. Il suo antagonista, invece, se si parla in sua presenza
vv. 86-89 Nelle cene fra amici intimi c'è chi si diverte a lanciar frecciate
lui, quando è in preda al vino, a tuberie di Petillio, ne prende subito le difese, ma in modo singolare: da un lato
che sul padrone di casa: ma non risparmia neppure
Orazio pensi a cone a «Il conoscerlo e stimarlo sin dall’infanzia, dall’altro si chiede come abbia potuto
Un uomo simile, bisogna forse ritenerlo spiritoso e gioviale? Che
i sui letti tricliniari, mentre rela nel processo a lui intentato.
viti fra amici lo si capisce proprio dall’affollarsi dei convitat
nove (il numero delle Il v. 92 è una citazione di 1, 2, 27, ma con una novità poco gratificante per Ru-
l'etichetta prevedeva un massimo di tre per letto e un totale di
— come ricorda Gellio Il definito facetus, qui degradato in quanto ineptus. La migliore definizione del
Grazie e quello delle Muse, secondo Varrone, Men. 333 B., che
um numero et progredi . Bificato di ineptus è fornita da Cicerone (de orat. 2, 17): qui aut tempus quid postulet
13, 11 — dicit... convivarum numerum incibere oportere a Gratiar
nella cena di Nast» : n i videt aut plura loquitur aut se ostentat aut eorum, quibuscum est, vel dignitatis vel com-
ad Musarum); il numero canonico di tre per letto sarà rispettato
buffone della compagni, tali ritionem non habet aut denique in aliquo genere aut inconcinnus aut multus est, is
dieno (sat. 2, 8). L'unus, che nel v. 87 si oppone ai cuncti, è il
aspergere (sc. salibua = isa viase: clicitur. Nella satira 1, 2 Orazio alludeva a due eccessi opposti, conferendo
che pur di guadagnarsi il pranzo con le sue facezie, si diverte ad
distinzione (quavis, sc. ratione) tutti i presenti: tattica ‘f un duplice e opposto valore a seconda del soggetto: quel rozzo (qui ineptus,
o addirittura maledictis) senza
egli si limita 5 di gusto ') di Rufillo ‘ profuma’ perché ha sempre in bocca pasticche per pro-
accorta, la sua, e quindi ancor più subdola e riprovevole, perché in realtà
sua ironia; chi la subisce, dunque, s’illude di te l'alito; Gargonio, invece, ‘ puzza? come un caprone.
ad aspergere, cioè a « spruzzare », con la
negativo di adsperge re è nella Rhet, È vero che lividus (v. 93) è, come nota lo ps.-Acrone, sinonimo di invidus: tuttavia
non esserne rimasto infradiciato. Un analogo senso
adsperge re possit. tivo rinvia alla sua originaria nozione coloristica di carattere negativo. A stare al
Her. 4, 62 circumspectans si quem reperiat cui aliquid mali... lingua
Bentley 465 come sle ento di Porfirione, Petillio, incaricato del restauro del tempio di Giove Capi-
Amet è congettura palmare del Blandin. vetust., già accettata da
favorevole, i ivrebbe rubato la corona aurea dalla statua del dio e, di conseguenza, sarebbe
nonimo di soleat: il tràdito avet non assicura che il desiderio abbia un esito
praebet aquam è il padrone di casa, che a processato, Si è negato a lungo valore a tale testimonianza, perché era proverbiale
Secondo la communis opinio colui che
di un ladro che aveva rubato la corona di Giove Capitolino (cfr. Praur. Men.
l’inizio del banchetto si preoccupa di far circolare l’acqua in cui i. convitati possano:
Alexandrinis aquam in + Trin. 83-84): essa, tuttavia, appare confermata dal fatto che il nome Petillius
lavarsi le mani (cfr. PetRoN. 31, 3 tandem... discubuimus pueris
oppure c’è chi pensa all’acqua per allungare il vino, ns compare in una moneta del 43 a.C. con l’immagine del tempio. Al pro-
manus nivatam infundentibus);
60, 1940, 411, se si él egli subì, con lieto fine (PorpHYR.: absolutus.. a Caesare est) Orazio accenna
Ma, come ha ben visto R.C. Flickinger, « Philol. Wochenschr. »
404 Orazio Satire I 4, 100-111 405

di nuovo in 1, 10, 26. Sull’anastrofe te coram, qui attestata per la prima volta, cfr. Hof- La trasgressione, che Orazio ammette chiedendone venia (hoc mihi
iuris, sc. hanc
- r 259, ThIL IV 943, 11. eultutem, cum venia dabis), è indicata dai due comparativi neutri:
liberius, che evidenzia
MA dal v. 96, che costituisce forse con 1, 6, 102 (ma cfr. ad n) Munico caso eecesnlva franchezza, e iocosius, che sta a designare l’insistenza al di
là della misura
di esametro ipermetro in Orazio, è introdotto un esempio ancor più pro ante e helle scherzo. Per l’abbreviamento della sillaba finale di dixero cfr. già
mentio al v, 93
cum non defendere. Chi parla, infatti, si proclama subito, senza mezzi termini, non » o # nelle satire oraziane, 1, 6, 119; 1, 9,2.
amico di Petillio sin dall’infanzia, ma addirittura suo convictor: un cermuine questo, Nell'elogio del padre, che insegna al figlio come si debbano fuggire
i vizi pre-
che designa « qui cotidie cum aliquo vivit » (THIL IV 875, 16), cioè, etimo ogicame: ne, fentandoglicli con gli esempi, i commentatori vedono l'influsso dei vv. 415 sgg.
degli
chi è « compagno di mensa » e, dunque, vive in intima dimestichezza con quale no. Adelphoe di Terenzio: inspicere tanquam in speculum in vitas omnium/ iubeo atque ex
Da un lato chi parla riconosce che Petillio ha esaudito molte sue richieste (pemuli i Alia sumere exemplum sibi.! « Hoc facito»... « hoc fugito»...! «hoc laudist»...
che dipende sia da rogatus sia da fecit) e si rallegra che se la sia cavata ne proce n #tho0 vitio datur ». Meno probabile appare un influsso diretto del Protagor
a platonico
rimanendo così sano e salvo (per incolumis, detto di chi viene assolto in dn proce ) (250-d), che L. Alfonsi, « Rhein. Mus. » 94, 1951, 92 ravvisa « nella
descrizione dei
cfr. Cic. Cluent. 10 contra damnatum et mortuum pro incolumi et pro vivo dicere; pu padri di famiglia i quali amorosamente ammaestrano i loro figli, più che nell’ast
razione
12 incolumem a calamitate iudicii; Arch. 9 quam diu incolumis fuit (contrapposto, apos tlelle regole, nella concretezza dei pratici esempi ». Insuescere, nel senso di assueface
re,
damnationem]). Dall'altra, però, il sostenitore — per motivi di clientela i î eti . o Bi già stato usato transitivamente da Lucr. 4, 1282: in seguito lo sarà
molto raramente
dopo essersi rallegrato per la sua assoluzione si chiede, con ipocrita perfidia, in fotte. TAIL VII 1, 2030, 11 sgg.). La costruzione del v. 106 è notando
vitiorum quaeque
modo sia riuscito a farla franca (fugerit = effugerit) nel processo: si noti che quo pacto i Wmplis ut (eadem vitia) fugerem; vitiorum sta sia con exemplis sia con
quaeque. La collo-
è espressione particolarmente adatta al contesto di carattere giuridico (pactum è la trane Hone di quaeque conferisce all'espressione un maggior vigore: il padre ha insegnato
sazione fra le parti, che può metter fine a un processo). Orazio a conoscere i vizi uno ad uno e ad evitarli uno ad uno; per
di più notare rac-
Mudo In sé il duplice senso di ‘ osservare ’ (‘ far osservare ’) e di ‘ criticare ’.
vv. 100-106 hic<notando: un difetto talmente deplorevole sarà sempre lontano dagli .
i
scritti e dall’animo i Gli i sisi potràà concedere, allora,
di i Orazio. p
ra, di esprimersi in qualche yi 107-126 cumrille?: il padre esortava Orazio a vivere con parsimonia, accontentan-
occasione in modo franco e ironico: è stato il padre, un vero galantuomo, a insegnargli. dal del poco che poteva procurargli, e gli citava nomi di Venosini che avevano
1 inellgi dissi-
a fuggire i vizi, facendoglieli conoscere uno per uno, con i relativi ese {1 patrimonio ereditato. Aveva sempre pronto un esempio tratto dalla sua terra
Ai vv. 100-101 i
Porfirione igini suco, liborem
commenta: : ex lolliginis Î men is vult i i { difetti da evitare, anche in materia d'amore per le cortigiane o per le adultere.
ex aerugine venenum: il nigrae sucus lolliginis è il nero di seppia, che simboleagiave E elò non voleva affatto sostituirsi agli insegnamenti dei filosofi: gli bastava
ritorna sul mor i appellarsi
livore e l’invidia (cfr. PLu. de sera num. vind. 22, 565c); il poeta, quindi, a enatumi aviti, perché il figlio riuscisse a superare indenne gli anni della fanciullezz
N . cu a,
tivo del nero, 3 con cui aveva già definito il malevolo calunniatore . Aerugo compare qui sh ui «lie ben presto sarebbe stato in grado di tenersi a galla da solo. Di
. cui 3 RIE
De
conseguenza
per la prima volta in senso metaforico, per indicare un vizio ‘ corrosivo ’ quale è ; semp! da imitare erano, per Orazio bambino, quelli dei cittadini più autorevoli
, noti
vidia: in ars 330 Orazio se ne servirà per definire l’avarizia: cfr. Nisbet-Hubbard 1970;
>
# la loro probità: da evitare, invece, erano tutte quelle azioni che
avevano nociuto
265, Brink 1971, 351, TRIL I 1066, 4 sgg. buona reputazione di altri Venosini.
Nei confronti della punteggiatura tradizionale dei vv. 101-102 (quod vitium procul
afore chartis, | atque animo prius, ut si quid ecc.) Housman 143-4 obiettò che ut cre 4 1107 111 cum-velit: la saggezza dei bei tempi antichi è condensata nell’esortazione
suo parere ridondante e privo di esempi; fece marcia indietro nel commento fivere parce atque frugaliter facendo tesoro degli esempi del figlio di Albio
e di Baio:
Manit. 4, 608, citando Surr. Tit. 7, 3 ut si quis. Valida appare, invece, la sua second arunosciuti, ovviamente, caratterizzati il primo da un tipo di vita molto criticabile
obiezione: se Orazio promette che il vizio della malizia sarà assente dalle sue opere male vivere, in cui l’avverbio condensa una serie di valori negativi di varia
natura),
prima ancora dal suo animo, egli ammette implicitamente che un tale vizio è presen illo dalla povertà (inops). Ai due, che evidentemente erano caduti in miseria
per
mentre egli scrive, nel suo animo e nei suoi scritti. Accettando la punteggiatura DIE cità di amministrare i loro beni, il padre di Orazio oppone il proprio stile di
vita,
posta da Housman e seguita da Shackleton Bailey, l’inciso ut prius fa capire che Ù aldistinto dal rispetto della metriétes. A_ rendere più efficaci gli ammaestramenti
promette che la malizia sarà, come nel passato, assente dal suo animo e dai suoi scr i a sottolineare l’affetto e la riconoscenza di Orazio — il padre interviene
in forma
Per vere promittere cfr. Catutt. 109, 3 di magni, facite ut vere promittere possit. Metta ummonendo e consigliando, con un esordio (nonne vides) che si ritroverà in 2,
Satire 1:4,. 111-134 407
406 ) Orazio

fanto rura costruzione mi satis est si (in luogo di satis habeo si), dal nesso causam reddere
ttura al quinto posto, sfruttando ;
5, 42. Nei vv. 107-8 la posposizione di ut addiri An luogo di rationem reddere (« fornire la spiegazione teorica »), dalle solenni espressioni
a, è stata portata ad esempio del e
massimo una possibilità offerta dalla lingua poetic Waditum ab antiguis morem e vitam famamque tueri, dall’uso prolettico di incolumis (ut
nomeno da Prisciano (GLK II 104, 28). fneulumis sit), dalla poetica costruzione di egere col genitivo, dalla funzione di rilievo
parce atque frugaliter stesse a cuore:
Ben si capisce che proprio l'elogio del vivere Beevputa da possum alla fine del primo lungo elenco per sottolineare la propria capacità.
il padre di Orazio, si era fatto da sé e
prima e più degli altri argomenti, a chi, come Nel secondo periodo risaltano l’uso transitivo di durare e il nesso membra animumque,
ore alla sua. condizione: è naturale
era riuscito a dare al figlio un tenore di vita superi the fa du pendant a vitam famamque. Ma l’animo semplice del padre emerge, a sorpresa,
padre si sia affacciato il timore d’essersì
che, negli anni della formazione di Orazio, nel ‘ Rel conclusivo nabis sine cortice: il carattere allegorico e proverbiale dell'espressione è
un dissipatore delle poche sostanze accue .
prodigato invano e di poter trovare nel figlio itato ben colto sia da Porfirione (id est: natabis per te sine adminiculo, et hoc allegoricos
nti sforzi. Il solenne magnum document um (v.
110) serve a introdurre l’ine ‘|
flleltur) sia dallo ps.-Acrone (metaphora a natatoribus, quia pueri sic discunt natare, id
del figlio di Albio e dall’inopia di Palo! 7
Mate Coro che si deve trarre dal male vivere Mii vives sine rectore . .. Proverbialiter posuit ‘ nabis sine cortice ’ i.e. sine alieno adminiculo
(ne patriam rem perdere quis velit, che
esso è formulato sotto forma di monito severo dI reges).
velit). Documentum combina il concetta
riecheggia la formula giuridica ne quis fecisse
osserva Hus 1965, 355-6, in cas
della lezione con quello dell’avvertimento. Come &v. 120-126 sic me-ille?: la conclusione non fa che ribadire il carattere formativo
un uomo o di un popolo vinti, la cui
simili si tratta sempre di un colpevole punito, di fogli insegnamenti paterni: essi non si limitavano ad educare, ma ‘ plasmavano ’ Orazio
i in modo analogo, Un tale significato;
sorte è richiamata per invitare a. non comportars heora fanciullo (si noti nel v. 121, incorniciato dai due imperfetti, la rara costruzione
molto spesso in Livio (cfr. e.g. 1, 28;
che è attestato qui per la prima volta, comparirà lubere con ut, che riecheggia il linguaggio ufficiale). Il suggerimento del padre di
6; 1, 52, 4; 3, 50, 8; 21, 19, 10). slo, il quale indica al figlio di seguire un modello che s’imponga per la propria au-
sessuale possono essere condensati RItà (v. 122 auctorem: quo è abl. del pron. relativo, non avverbio, in quanto è qui
vv. 111-115 a turpiaiebat: i precetti sull'amore gaente, come in PLaut. Stich. 602 e in Cic. de orat. 3, 54, l’espressione aliquo auctore
Se turpis è l’amore per le meretrich,
nell’esortazione ad evitare meretrici e adultere. iguid fucere), viene a coincidere con un precetto di Epicuro tramandato da Seneca
mante moechae definisce bene il giudizig
praticato invece con assiduità da Scetano, l’infa
Trebonio, acui capitò la sventura d » fit, 11, 8). A modello viene preso uno dei giudici scelti ogni anno, sulla base della
sull'amore per le adultere, prediletto invece da
infamanti riservate a chi veniva co Aurelia del 70 a.C., dal praetor urbanus in una lista che includeva senatori, cavalieri
colto in flagrante (e di subire, si capisce, le pene
non bella, che risulta molto più fort bunl aerarii: cfr. Cic. Cluent. 121 praetores urbani . . . iurati debent optimum quemque
in adulterio: qui è adoperata con efficacia la litote leetos tudices referre.
E. Hoffmann, Niegatio contrarii, Assen 190°
del normale mala; cfr. anche v. 136 e Maria Anche nell’enunciazione dei suoi divieti il padre di Orazio continua ad esprimersi
la convinzione, ampiamente espressa nella
86). Si capisce come si sia formata in Orazio pet vati nino stile che combina solennità ed immediatezza espressiva: dopo l'iniziale ricer-
all'amore per le liberte, a danno di quello
sat. 1, 2, sulla preferenza da accordare a «del supino factu, quasi esclusivamente arcaico e poetico (ThIL VI 125, 40 sgg.),
le meretrici e per le adultere. le quale sinonimo di noxium (esempi in THIL VII 2, 278, 62 sgg.), il padre ado-
ice ma non privo di saggezza, il padre
vv. 115-120 sapiens—cortice: uomo sempl un'immagine viva ed espressiva, qual è la metaforica rappresentazione della cattiva
agli insegnamenti dei filosofi. Anch egi
Orazio capiva bene di non potersi sostituire azione con un incendio, che trova precedenti in una serie d'immagini ciceroniane
tante: quello di custos, cioè di pedagose
tuttavia, doveva assumersi un compito impor . 1, 43 gravi diutumaque iam flagramus infamia; de orat. 2, 197 in accusando alicui
mihi custos incorruptissimus omnis, ciro
nei giovani anni del figlio (cfr. 1, 6, 81-82 ipse dium concitare; Att. 4, 17 [18], 2 consules flagrant infamia).
fi avrebbero completato e perfezionati
doctores aderat). In una fase successiva i filoso
costumi antichi: solenne suona il richie
i suoi precetti, volti a mostrare la saggezza dei 126-134 avidos—mihi: gli animi teneri si astengono dai vizi, se li scorgono in altri;
tica quiritaria. La morale del pa re |
al mos maiorum, che era il fondamento dell’e é tra
aria pruzie a questa capacità Orazio è immune da vizi devastanti e ne ha, tutt'al più,
quanto essa è morale spicciola perch i conto; anche questi, però, egli spera di eliminare con l’età, con le schiette cri-
Orazio coincide con quella delle satire, in
contrappone agli insegnamenti dottr
dalla vita di tutti i giorni e, di conseguenza, si degli amici, col giudizio personale.
teoria.
dei filosofi, che alla pratica preferiscono la Wtrazio instaura un parallelo fra il comportamento degli animi teneri, che si tengono
sime forme in -u (vitatu ... d
La sentenziosità dello stile traspare dalle raris i dul vizi quando ne vedono l’esistenza in altri, e quello dei golosi, che si deci-
ica oppos izione fra gli esempi da evitare
e quelli da seguire) e dall al
con la canon
Orazio Satire I 4; 134-143 409
408

un vicino li richiama minazione di difetti in precedenza definiti insignificanti Orazio non abbia impiegato
dono a mettersi a regime solo quando la morte improvvisa di
è aegros ad avere funzione predicativa avverbio che, invece, ne avrebbe specificato la qualità: per lui era più importante
alla realtà della loro malattia. In avidos . . . aegros
avidos va sottinteso edendi, Momettere l'ampia e quasi totale eliminazione di tali vitia. A garanzia Orazio esibisce
e temporale («i golosi quando sono malati »), mentre ad
. porca. Il turbamento che ‘H avo stesso comportamento: sia che passeggi in un luogo ombroso (la porticus sarà,
come in 1, 5, 75 convivas avidos e in carm. 3, 23, 4 avida..
espresso da exanimat, on fqyni probabilità, quella par excellence, cioè la porticus Pompeia) sia che indugi nel
gli avidi provano a contatto con la triste realtà è efficacemente
e metu; la rapida banalua lucubratorius, egli non si risparmia mai, ma si sottopone a un incessante esame
posto per di più in enjambement e seguito dagli allitteranti mortisqu
che Orazio adopera anche di coscienza (per neque... desum mihi cfr. Cic. Rosc. Amer. 104 vide ne tibi desis; fam
ricerca di un rimedio è caratterizzata dal nesso sibi parcere,
che nel linguag gio medico I, 9, 2 tibi deesse noli). i
in epist. 1, 7, 11 ad mare descendet vates tuus et sibi parcet e
o le prescriz ioni me«
designa l’aver riguardo delle proprie condizioni di salute seguend
ai rischi ma anche più mm 134-143 rectius-turbam: a rendere più efficace ed esplicita la sua continua medita-
diche. Gli animi teneri sono, ovviamente, maggiormente esposti
tenduntur insidiae, vel he, Il poeta presenta in forma diretta i suoi pensieri, tutti incentrati sulla scelta del
facili da plasmare, come sottolinea Cic. leg. 1, 47 animis omnes
et flectunt ut volunt. Quale maggior te, sul modo di mostrarsi gradevole agli amici, sull’individuazione delle cattive
ab iis... qui, teneros et rudes cum acceperunt, inficiunt
Un vocabol o, quest’ultimo, ni altrui, in modo da evitare di imitarle in futuro. Quando, poi, ha tempo libero
deterrente, dunque, del presentar loro aliena opprobria?
al senso originario taglio butta giù sulla carta le sue impressioni. Questo è uno dei suoi difetti veniali:
che a partire dall'epoca augustea prende a sviluppare, accanto
’, (ThIL IX 2, 798, è de non si sarà disposti a perdonarglielo, in soccorso di Orazio giungerà una folta
= probrum, contumelia), quello di ‘ atto infamante e disonorevole
è la costruzione di abs eta di poeti.
15 sgg.). Ugualmente ricercata e poetica al tempo di Orazio
Il vivere melius del v. 135 si oppone al male vivere del v. 109 e al tempo stesso recu-
terreo col semplice ablativo.
ricollegarsi al tono : nelle riflessioni conclusive il valore dell’insegnamento paterno: mentre il figlio
Dovendo definire la propria esperienza, il poeta non può non
un lato, ex hoc chiarie Alblo ‘ vive male’ perché ha dissipato il suo patrimonio, il bene vivere di Orazio ha
‘ medico ’ che aveva caratterizzato il precedente parallelo: se, da
tramenti paterni, ehiara connotazione morale e indica un operare con onestà e con tranquilla co-
sce subito che la sua condizione dipende interamente dai saggi ammaes
di vitia pemniciosa per Ria: Sic (v. 135) equivale a hoc faciens e lo stesso verbo va sottinteso in hoc quidam
sanus non lascia dubbi sul loro risultato e sull’assenza in Orazio
ma di poco conto e del tutto” ; belle (l'uso ellittico di belle è già in Cic. Att. 5, 10, 2 belle adhuc; 14, 19, 2 illud tamen
la salute interiore. Egli ammette di avere, sì, dei vizi,
mezzo, perché propria« belle). DI fronte al cattivo comportamento degli altri Orazio rivendica a se stesso
veniali: in mediocribus . . . vitiis è presente il concetto del giusto
e, dunque, mantiene dote della prudentia e ne proietta gli effetti nel futuro (olim, che segna lontananza
mente mediocris, da medio-ocris, è ‘ chi si trova a mezza altezza’
‘ mediocre ?: cfr, Ere presente c può essere impiegato per il futuro oltre che per il passato).
un giusto mezzo (di qui, con restrizione di significato, si passa a
anche da tali vizi; una tale : Le meditazioni di Orazio non si sostanziano solo in un colloquio silenzioso con
nout-Meillet 393). Orazio, però, non dispera di emendarsi
(fortassi s, rarissimo sostituto di for- #6 alcano, «a labbra serrate » (compressis labris; cfr. ora comprimere in Ov. met. 6, 294;
speranza è introdotta con un margine di dubbio
certi sono i casi plautini; atte si Lhyest. 100), come in epist. 2, 2, 145 quocirca mecum loquor haec tacitusque recordor,
tasse, è forse una forma arcaica, anche se tutt'altro che
tradizione manoscritta, è , Brink 1982, 361-2; egli le affida anche agli scritti, approfittando dei momenti
stato più volte in Cicerone, ma sempre con varianti nella
GLK I 185, un sostantivo impegnativo, questo, che però qui non designa il tempo libero
sicuro solo a partire dagli augustei: cfr. ThIL VI 1143, 29 sgg. e Cnaris.
diceretur quam ipegni politici, ma il tempo libero tout court. Il composto inludere, che Orazio
14 = 239, 10 sgg. Barwick consuetudine . . . obtinuit, ut fortasse libentius
s videtur). Tuttavi a la certezza del suc» Stimo uan intransitivamente (dopo di lui cfr. Lyon. 4, 35 ima videbatur talis inludere
fortassis, quoniam fortassis auribus nostris absurdiu
tempo, significativamente faaechiude in sé, grazie al legame col greco raltew, il concetto del poetare come
cesso è garantita non solo dai ‘ soccorritori ? (il trascorrere del
indicato col catulliano [76, 5] longa aetas; la franca critica degli amici; la riflessione pere 1 ellenistica e neoterica maniera. Ironicamente egli aggiunge che propri
Sal del suoi vizi « mediocri » e, continuando nel tono scherzoso so fema he, se
sonale), ma anche dall’avverbio largiter all’inizio del v. 132, che non a caso viene pre» n 2
ferito a large (che compare, invece, in carm. 1, 9, 6). Infatti non è tanto una presunta ì : le al vorrà perdonare (per concedere i.q. ignoscere cfr. Cic Rosc. À ne 3. V
. E j Luca. 4, 1191), accorrerà a sostenerlo una schiera di sceti. L o scherzo risiede
poeti. Lo scherzo risiede
diversità stilistica a determinare l’uso di largiter Lre di large, formex attestate entramb
. d
sin
,
. da Plauto, quanto piuttost o una sfumatura di significato, che è ben sottolineata da - fel fatto che Orazio ironizza addirittura sulla schiera dei suoi soccorritori
ehe 1 pocti costituiscono di gran lunga la maggioranza: è qu no 7 n i °
(GLK I 101, 1-2 = 128, 7-8 Barwick Iulius Modestus utrumque recte dici alt, -
Carisio
allusione all'imperversante e deprecata mania di scrivere versi che orende matti,
sed ‘large’ esse qualitatis, ‘ largiter* quantitatis). Ben si capisce, dunque, che per l’elia
9
410 “Orazio Satire I 5 411

colti ed incolti (cfr. anche epist. 2, 1, 117 scribimus indocti doctique poemata pase tugli nul percorso, i legami fragili e talora inesistenti tra le singole tappe, il silenzio. sulle
sim). ì motivazioni politiche, la conclusione improvvisa e troppo frettolosa. Valgano per tutti
Una massa solidale ha il suo peso: la satira si chiude con la buffonesca immagine 4 tillevi del Ronconi, che proprio dall'ultimo verso della satira prende le mosse: « pare
del filosofo antagonista di Orazio, che proprio dalle pressioni (cogemus) della massa the Il pocta tiri qui un sospiro di sollievo; e va bene per il viaggio, faticosoe disagiato,
sarà costretto a cambiar campo e a mutarsi in poeta. Concedere ha qui un significato fiénostante la compagnia lieta e cara al viaggiatore; ma la satira non è, in confronto
diverso dal v. 140 e indica il passaggio nelle file degli avversari, come in Cic. acad, ‘Ale altre, longa, bensì rientra nella estensione media delle altre. Senonché essa è venuta
fr. 20, 21 (Academicus) si in illos (sc. Stoicos) aut in istos (sc. Epicureos) concesserit. Quale ‘iù un po’ alla stracca, con meno colore e vivacità di altre, tranne qualche episodio
esempio di solidarietà sono citati i Iudaei: sulla base dei dubbi espressi da J. Holland, Aéeennuto di scorcio; e specie verso la fine il racconto si era fatto più schematico e più
« Vig. Christ. » 33, 1979, 347-355, credo che occorra andar oltre l’interpretazione tras iffrettato: il Poeta ha voluto riprendere il motivo di Lucilio, ma forse non lo ha risen-
dizionale, secondo cui Orazio ironizza sulla forza di proselitismo della comunità ebraica ite pienamente e non lo ha ricreato nel caldo vigore della sua fantasia. La cura di
di Roma. Qui egli sembra mettere l’accento piuttosto sulla pericolosa invadenza: d'altra ‘distingure le singole tappe, di registrare a mo’ di diario o di itinerario le caratteristiche
parte l'atmosfera di minaccia e d’intimidazione che da quella parte veniva proprio illa atruda, tratto per tratto, ha reso insolitamente monotona, e, sull’ultimo, sche-
in quanto prodotto di una straordinaria coesione era già stata denunciata, sia pur con Matica la satira, e il Poeta stesso ne ha avvertito forse il disagio ». i
le dovute cautele, da Cicerone nella Pro Flacco ($ 66): scis quanta sit manus, quanta cone Eppure proprio questa « cura di distinguere le singole tappe », di cui parla il Ron-
cordia, quantum valeat in contionibus; sic summissa voce agam, tantum ut iudices audianti Jeni, appare tutt'altro che presente nella satira; perlomeno bisogna convenire che
neque enim desunt, qui istos in me atque in optimum quemque incitent. Non a caso Orazio ‘| tasio non l’ha perseguita sistematicamente. Individuare un disegno strutturale, no-
adopera qui vocaboli del lessico militare, come cogere, manus (lo stesso termine usato stante la scarsa coerenza delle parti, è comunque possibile: sembra evidente una
da Cicerone) e auxilium; il conclusivo turba poi, esprime validamente l’idea d’intimie ddivisone in quattro fasi: vv. 1-26 dalla partenza da Roma sino all’arrivo ad Anxur;
dazione col ricorso alla violenza, che contraddistingue scherzosamente la conclusione faslo è in compagnia del retore Eliodoro; vv. 27-51a da Anxur a Caudio; ai due si
della satira e segna un ironico contrasto con lo sviluppo iniziale: se, cioè, l'antagonista licono a poco a poco i veri amici di Orazio; vv. 51b-76 la contesa di Sarmento con
non sarà convinto dal pacato argomentare di Orazio, allora sarà costretto a cedere con palo Cicirro, l’arrivo a Benevento; vv. 77-104 il percorso in. Apulia, dove — dopo
la forza. @atalyici accenti iniziali — domina l’idea della rapidità e della fretta. È significativo
all’inizio della terza sezione compaia un’invocazione alla Musa, che è una specie
toemio al mezzo. .
Troppi aspetti, però, restano oscuri, sia per quanto riguarda il viaggio sia per
santo concerne gli scopi perseguiti da Orazio. Del viaggio non è chiara neppure la
a

Katharine ALLEN, « Class. Journ. » 12, 1916-17, 230-246; Fiske 1920, 306-316; ikiwrata, che a seconda della fiducia nella resistenza fisica dei viaggiatori oscilla tra i 13
V. D’ANTÒ, « Rend. Acc. Arch. Napoli» 24-25, 1949-50, 237-255; A. La Penna, = " 18 glorni: questo perché, se non manca il nome delle località (ad eccezione di quella
« Maia » 5, 1952, 101; E. FraenkEL 1957, 105-112; R. PERNA, Ricordi di Puglia i indovinello del v. 86), non si capisce bene se alcune di esse siano sedi di pernotta-
Orazio, Sapri 1963, 27-35; E. CasrorINA, « Ann. Fac. Mag. Bari» 6, 1967, 81-92; ito © di semplice sosta durante una tappa. Né giova alla ricostruzione delle varie
A. Di BeneDETTO; « Helikon » 9-10, 1969-70, 3-23; F. ArnaLDI in Studi filologici e si il rinvio alle miglia percorse, che avviene solo in due casi (le tre miglia dalla fonte
storici in onore di V. De. Falco, Napoli 1971, 377-392; C.J. CLassen, « Gymnasium » “Feronia ad Anxur nel v. 25, le 24 miglia da Trevico all’oppidulum quod versu dicere
80, 1973, 235-250; K. SaLLMANN in Musa iocosa. Festschrift A. Thierfelder, Hildesheima est nel v. 86). Talora sono semplici particelle a segnare il passaggio da una tappa
New York 1974, 179-206; R. AmBrosinI, « Riv. cult. class. med. » 17, 1975, 79-9 ltra: inde al v. 3, deinde al v. 37 e dein al v. 97, hinc ai vv. 47. 50. 71, ex illo al v. 77.
J. Heurcon in La Magna Grecia nell’età romana. Atti del XV Congresso di Studi sulla “2 ta incerta, addirittura, una porzione del viaggio, per via del misterioso oppidulum:
Magna Grecia, Napoli 1976, 9-29; C.J. Crassen, « Hermes » 109, 1981, 339-360; == &ui non è certo se sia stata seguita la via Minucia dopo Benevento o si sia presa una
W.-W. Fners, « Hermes » 113, 1985, 69-83. 2 3 = siatoia sino a Canosa.
Pit che di una cronaca di viaggio, sembra di trovarsi in presenza di una serie di
La satira del viaggio a Brindisi ha lasciato perplesso e scettico più d’uno studios0i- ti, con osservazioni e ricordi privi di collegamento tra loro, con descrizioni di
oltre all’incertezza degli intenti perseguiti da Orazio si criticano la scarsezza di dete elli e digressioni curiose o umoristiche, che mostrano un occhio attento alla realtà

Potrebbero piacerti anche