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Elio Vittorini

Conversazione in Sicilia

Introduzione di
Edoardo Sanguineti
Nuova Universale Einaudi
Copyright 1966
Giulio Einaudi editore s'p'a',
Torino
Terza edizione
Giulio Einaudi editore
1969

Introduzione
Nel suo recente studio sopra La psicoanalisi nella cultura
italiana, Michel David ravvisa nella tendenza astratta e
simboleggiante di Vittorini, nel suo gusto della mitizzazione,
l'indizio di una vicinanza profonda con una psicologia di tipo
junghiano, e addita di conseguenza la possibilit di interpretare
Conversazione in Sicilia secondo lo schema epico della discesa alle
madri. Ancorch il David annoti immediatamente che non vi nessun
appoggio reale per una simile interpretazione, occorre dire che la
sua ipotesi esegetica non riesce per nulla eccentrica, se Vittorini
medesimo, poco tempo prima di morire - per non discorrere adesso di
suggestioni diverse, affacciate ripetutamente dai critici con varia
forza di convinzione - poteva trasmettermi, accompagnando la cosa con
parole di caldo interesse, se non di completo e costante consenso, la
fotocopia di alcuni capitoli di una tesi di laurea, opera di
un'allieva di Ezio Raimondi (di cui volentieri qui si registra il
nome, che quello di Franca Bernardi), orientata in una direzione
plausibilmente parallela, e proprio impegnata a percorrere, nel caso,
l'universo di Conversazione con l'Eliade come Baedeker. Viaggio non
privo di rischi, si sa, ma senza dubbio eccitante e appassionante
avventura, e capace - a tacere di altro, adesso - di sbalzare d'un
colpo solo, in un paesaggio tutto rinfrescato, e tutto fertilmente
inquietante, un volume che ancora esposto al pericolo, con
clamorosa ingiustizia, di rimanere oppresso sotto il peso di
polemiche affatto consumate, tra l'encomio morale svolto in regime di
commemorazione e l'immagine immediata, e tutta ancora da decifrare
nella sua sostanza ultima, del narratore lirico. Che l'immagine
originaria di Pancrazi, come noto, ma accompagnata subito, al suo
sorgere, da punte che oggi possono meravigliare non poco, chi pensi
che tra le riserve avanzate stanno certe perplessit intorno a quel
far nascere e mostrare il racconto allo scoperto nella sua matrice,
quel darne insieme la plastica e lo spaccato, che, a rileggerle a
distanza come accade, e a cancellare il nome di Faulkner gettato
ellitticamente subito dopo (o a lasciarlo almeno chiuso, intatto, tra
le sue buone parentesi), suscitano addirittura il sospetto di una
Conversazione da leggersi come una sorta di precoce nouveau roman, o
poco manca.
E qui gi ci si arresta perplessi, con un primo, vertiginoso
risultato. Perch, anche a sfogliare con occhio distratto simili
vecchie e nuove schede, fa sgomento il pensiero di un testo che
capace di sopportare indenne straniamenti tanto vistosi, in un arco
di storia tanto breve: tra etimo solariano e querelle neorealistica,
tra lirismo estatico-ermetico e narrativa al quadrato, e finalmente,
per tornare solleciti l onde eravamo partiti, tra Jung e Eliade. Ci
avesse pensato il Debenedetti di Personaggi e destino, non si sarebbe
certo limitato a depositare Vittorini in mezzo agli innesti di vite
americana (il che fa data, 1947), pur muovendo in caccia, con i pi
disparati autori, e con il fiuto abituale, del punto d'intesa tra il
personaggio e il mondo, e pur discorrendo di un vittoriniano
sfogare nel surreale la carica che il linguaggio aveva addensato nel
protagonista, per additare in questo modo, comunque, altri sentieri
possibili, che ci portano ormai direttamente, a seguirli con coerenza
sino in fondo, nel cuore della presente stagione sperimentale, o se
non altro alle porte della nuova avanguardia. Si ha voglia di
proclamare che un libro simile costretto meritamente a pagare pena
per l'eccesso di plasticit che ci verifichiamo da venticinque anni,
con la medesima evidenza ad ogni occasione, con le stesse certezze
impetuose, ogni volta, di averne sciolto l'ultimo segreto. Ma al
momento, e al minimo, eccone comunque garantita, come si dice, la
vitale urgenza, oggi. E a dire la cosa di corsa, ecco insomma
quell'unico testo esemplare che la generazione dei padri ha lasciato,
come opera aperta, alla nostra generazione letteraria. Inoltre
Debenedetti ci riporta in chiave, con quel suo memorabile epigramma
che dice: Ogni vero romanzo, ogni romanzo risolto a fondo, ha
contenuto una sua Nekuia. O, a rifare il giro per intiero,
ascoltiamo ancora Pancrazi, con la sua accoppiata di sangue e di
sesso, percepiti come immobili all'origine dell'uomo, simili
all'antico fato greco.
Colui che sia ossessionato, come chi scrive, dal mito davvero
romanzesco di una antropologia come storia, ha in vista, ormai
evidente, non poche tentazioni. E se resiste, naturalmente resiste
come deve, barricandosi dietro l'identit dialettica del binomio, e
rifiutandosi di collaborare, puntati i piedi con ostinazione, a una
lettura misurata in esclusiva sopra le coordinate che hanno
escogitato a parte per lui, un po' per conto proprio, e un po' tutti
insieme, antropologi, etnologi, psicologi e affini. Siamo sopra il
terreno deputato, ad ogni modo, dove deve impegnarsi a saltare una
simile tattica di interpretazione, se in ultima analisi, per
stringere le cose da vicino, e per potare i rami morti con qualche
coraggio, l'ingannevole alternativa tradizionale si pone poi sempre,
per Conversazione, categorialmente e privilegiatamente, anche se
formulata in modi assai discordi, nel bivio tra mito e storia. Tra un
Vittorini, si aggiunga in parallelo, che si confessa conversando, e
un protagonista che non autobiografico; tra la Sicilia e
dintorni, obiettivamente, degli anni '40, e una Sicilia che solo
per avventura Sicilia (in ragione del fatto - parole d'autore, non
dialogante soltanto con la censura, come incautamente si sospetta -
che il nome Sicilia mi suona meglio del nome Persia o Venezuela).
Leggendo la nota finale del volume, d'altra parte, incontriamo quella
immaginazione vittoriniana che pretende che tutti i manoscritti
vengano trovati in una bottiglia. Sopra le rive degli anni '60, il
reperto esemplare si dispone allora, in sede critica, a questa
maniera, interrogativamente: come poteva organizzarsi in racconto una
discesa nel reame lontano della fiaba iniziatica, negli anni della
seconda guerra mondiale?
Qui non si pretende certo di offrire una risposta, che esige ben
altro spazio di analisi. Ma sar da notarsi almeno, preliminarmente,
come il bivio tra mito e storia replichi, su un piano diverso, la gi
verificata antinomia letteraria di base, tra lirismo e narrativit.
La forzosa congiunzione operata da Vittorini era senza dubbio, nel
suo etimo, e lo testimoniano largamente le prime scritture, il frutto
di una faticosa compromissione. Qui oggi noi sentiamo tuttavia
giocare in pieno l'astuto destino di un romanziere che, affrontando
le ragioni equivoche di tutta una cultura, esaspera in s, per
intanto, la contraddizione che la storia degli stili proponeva come
centrale ai suoi giorni, e che soprattutto si disponeva come figura
tangibile di una sostanza mediata, pi difficile e oscura. E il
romanziere impiega come tempi di narrato i suoi grumi lirici, come
anelli di una registrazione di eventi le sue estasi immaginative,
come esiti fermi di dramma i momenti privilegiati della grazia
epifanica. Si pensi agli atti, proprio in un senso scolasticamente
tragico, in cui spartita la rappresentazione romanzesca, dal grande
viaggio inaugurale, che getta l'eroe nello spazio e nel tempo, al
colloquio iniziatico con la madre, che deve definire questo eroe
nelle sue radici vissute, restituirlo alle sue origini vere; dalle

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