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MIELOMA MULTIPLO

Il mieloma multiplo è una neoplasia delle plasmacellule, caratterizzata dalla proliferazione di cloni plasmacellulari i quali, nella
maggior parte dei casi (ma non in tutti), producono una componente monoclonale di immunoglobuline, denominata
componente M. Questa componente si rileva all’elettroforesi delle proteine come un picco nella banda gamma; a seguito
dell’immunofissazione può essere ben indentificata, risultando essere composta nel 50% dei casi da IgG, nel 20% da IgA o da
catene leggere (kappa e lambda), e meno frequentemente da IgD (a volte nella popolazione asiatica) IgM o IgE. Le catene leggere
hanno la capacità di attraversare il glomerulo, e per tale ragione possono riscontrarsi nelle urine sotto forma di proteinuria di
Bence- Jones. Esse sono presenti da sole nel mieloma denominato di Bence Jones, ma anche in associazioni a componenti
sieriche nei mielomi da IgG e IgA; in un 20% dei casi si riscontra solamente la proteinuria. In un 3% dei casi, nel paziente con
MM non viene riscontrata alcuna componente monoclonale. La presenza di questa componente monoclonale conduce a un
peggioramento e ad un fallimento dell’immunità umorale, con conseguente aumento del rischio di infezioni da germi capsulati:
alcune delle complicanze infettive più frequenti sono le polmoniti (soprattutto da Klebsiella Pneumonie e Staphilococcus
Aureus) e le infezioni delle vie urinarie (da E. Coli in particolare). Quando particolarmente abbondante, la componente
monoclonale in corso di mieloma multiplo genera sindromi da iperviscosità; esse si manifestano con la comparsa di neuropatia,
possibile comparsa di amiloidosi AL, disturbi circolatori e diatesi emorragica. La diatesi è dovuta da un lato alla
trombocitopenia, dall’altro all’inibizione della funzione piastrinica determinata dalle paraproteine. La proliferazione dei
plasmocitomi avviene a livello midollare. Raramente sono presenti plasmocitomi extramidollare; nel mieloma tipicamente non
si hanno linfoadenopatie o organomegalie. Per quel che riguarda la comparsa di disturbi circolatori, in questi pazienti le
paraproteine possono polimerizzare (soprattutto se si tratta di IgM, IgA o IgG3), provocando disturbi circolatori: spesso esse
precipitano a basse temperature, venendo perciò denominate crioglobuline, le quali possono essere la causa di disturbi circolatori
acrali. La proliferazione midollare dei plasmocitomi comporta la comparsa di lesioni osteolitiche – per via dell’attivazione degli
osteoclasti – rilevabili soprattutto a livello delle ossa craniche, delle vertebre e delle coste, che spiegano il più comune sintomo
della malattia: il dolore osseo. La comparsa di queste lesioni osteolitiche induce come conseguenza l’aumento della calcemia
sierica; l’ipercalcemia nei pazienti con MM compare con sintomi quali poliuria, polidipsia, nausea, vomito, astenia, anoressia.
L’insufficienza renale nei pazienti affetti da MM è conseguenza sia dell’ipercalcemia, sia del danno tubulare generato dal
passaggio delle catene leggere, sia della possibile comparsa di amiloidosi AL. Nel 30% dei casi di manifesta quello che viene
denominato rene da mieloma, con riscontro nel sedimento urinario di cilindri eosinofili, formati da catene leggere e cellule
giganti che le circondano. La lesione tubulare più precoce in corso di mieloma è l’acidosi tubulare renale di tipo 2. A tal
proposito, nei pazienti con MM bisogna fare attenzione all’esecuzione di TC con MDC e all’assunzione di FANS, in quanto in
questi casi è maggiore in rischio di IRA. L’insufficienza renale può essere concausa dell’altra manifestazione di malattia:
l’anemia. Essa deriva in genere dal danno midollare conseguente alla crescita dei plasmocitomi nel midollo. Essa è in genere
normocitica e normocromica. L’amiloidosi AL compare nel 10% dei casi, si caratterizza per il coinvolgimento renale e spesso
cardiaco. Patognomica dell’amiloidosi AL è la comparsa di ematomi periorbitali.
Agli esami di laboratorio possono dunque comparire anemia (nelle fasi avanzate altre citopenie) ed aumento della VES. E’
possibile che ci sia un allungamento del tempo di emorragia. Inoltre, possono comparire ipercalcemia ed iperuricemia,
aumento LDH, componente monoclonale all’elettroforesi delle proteine. E’ aumentata anche la beta-2-microglobulina, non
patognomica di MM ma con importante valore prognostico, in quanto è tanto più elevata quanto diffusi sono i plasmocitomi.
All’esame delle urine è possibile riscontrare proteinuria di Bence-Jones (tramite elettroforesi delle proteine nelle 24h. Dunque,
gli esami di laboratorio, l’elettroforesi delle proteine permettono di porre il sospetto diagnostico. Per caratterizzare la
componente monoclonale è possibile eseguire un’immunofissazione sierica e/o urinaria (che permette di valutare il tipo di
componente monoclonale qualora fosse presente). Per quantificarla esistono diversi sistemi, tra i quali la nefelometria. Per
quanto riguarda gli esami radiologici, la TC total body a basso dosaggio permette di rilevare la presenza di plasmocitomi (in
alternativa RX dei vari segmenti corporei), L’esame diagnostico fondamentale è la biopsia del midollo osseo, che permetti di
rilevare la presenza la componente plasmacellulare per più del 10%. Di questo quadro, alcune particolarità da ricordare sono le
seguenti:

- Nel mieloma di Bence-Jones non c’è picco monoclonale (essendo prodotte solo catene leggere liberate nelle urine),
dunque VES ed elettroforesi delle proteine sono normali)
- Nel mieloma multiplo con produzione di IgA il picco monoclonale può non essere riconoscibile in quanto spostato
verso il picco beta.

I criteri diagnostici per la diagnosi di mieloma multiplo sono in seguenti. Devono essere sodisfatti entrambi i due punti:

1. Presenza di plasamcellule >10% nella biopsia midollare


2. Presenza di uno dei seguenti:
a. Danno d’organo terminale definito come uno di questi 4:
i. C: calcemia > 11 mg/ml
ii. R: insufficienza renale con creatinina >2 mg o clearence >40 ml/min
iii. A: anemia con Hb < 10 g/dl
iv. B: lesioni ossee
3. Biomarcatori che indicano un rischio di progressione a danno d’organo terminale > 80%
a. Presenza di plasmociti > 60% nella BOM
b. Più di una lesione maggiore di 5mm alla RM
c. Rapporto catene leggere coinvolte / non coinvolte >100 mg/ml

Esiste inoltre una stadiazione della malattia che oggi si basa sui valori di bet-2-microglobulina. Abbiamo tre stadi:
- R-ISS-1: B2M < 3.5 mg/l, albumina >3,5mg/L, LDH normale, assenza di mutazioni ad alto rischio (traslocazioni 4:14, 14:16,
del17p)
- R-ISS-2: ciò che non è 1 o 3.
- R-ISS-2: B2M > 5,5 mg/L, LDH elevato, presenza di mutazioni ad alto rischio (traslocazioni 4:14, 14:16, del17p)
Le sopravvivenze a 5 anni sono rispettivamente 80%-60%-40%.

Esistono condizioni intermedie che non richiedono trattamento ma che vanno in diagnosi differenziale con il mieloma. Esse
sono:

- Gammapatia monoclonale a significato clinico incerto. Abbastanza frequente dopo i 70 anni, i rischio di progressione
a mieloma è dell’1% annuo. Si caratterizza per:
o Plasmociti midollari < 10%
o Presenza di componente monoclonale a basse concentrazioni (<30mg/L (o 3mg/dL))
o Assenza di danno d’organo o biomarcatori di progressione
- Smoldering mieloma. Rischio di progressione a forma sintomatica annua del 10%.
o Plasmociti midollari tra il 10 e il 60%
o Componente M sierica > 30 mg/L (o 3mg/dl) o componente di Bence-Jones > 500mg /24h
o Assenza di danno d’organo (CRAB) o di biomarcatori di progressione

Queste due forme non richiedono trattamento in quanto non esistono terapie che ritardano l’insorgenza del mieloma
sintomatico.

Il trattamento prevede l’utilizzo di diversi farmaci e diverse misure terapeutiche.

I farmaci utilizzati sono diversi:

- Immunomodulanti: talidomide, lenalidomide e pomalidomide. Sono farmaci che provocano apoptosi delle
plasmacellule e stimolazione dell’attività delle NK. Gli effetti collaterali maggiormente associati al loro trattamento
sono: 1. L’essere farmaci teratogeni 2. Aumentano il rischio di neuropatie 3. Edemi e bradicardia 4. Aumentano il
rischio di trombosi arteriosa e venosa, soprattutto quando associati a desametasone. Per quest’ultima ragione è bene
utilizzare una terapia preventiva con antiaggreganti (ASA) o anticoagulanti (eparina o NAO/warfarin).
- Inibitori del proteasoma: bortezomib, carfilzomib, ixazomib. Sono associati a neuropatie, comparsa di diarrea,
mielosoppressione.
- Anticorpi: elotuzumab. Stimola l’attività delle NK
- Inibitori delle deacetilasi istoniche: panobinostat. Reazioni avverse gastrointestinali.

1) E’ fondamentale stimolare la diuresi di questi pazienti. Almeno 3 L al giorno per evitare la precipitazione delle catene
leggere.
2) Nei pazienti con età inferiore ai 65-70 anni è possibile effettuare un trapianto autologo di cellule staminali
ematopoietiche. Seppur non curativo, esso migliora l’intervallo di tempo libero da malattia. Vengono prelevate
dapprima le cellule staminali, poi viene effettuata una chemioterapia di induzione in genere con
desametasone/bortezomib/lenalidomide. Nei pazienti di età superiore ai 65-70 anni o nei pazienti più giovani in cui
il trapianto non è indicato (per insufficienza cardiaca, insufficienza renale o respiratoria) si utilizzano direttamente
schemi chemioterapici.
3) E’ bene somministrare una terapia antiaggregante/anticoagulante nei pazienti in trattamento con immunomodulanti
per il rischio di trombosi venose.
4) I pazienti in terapia con inibitori del proteasoma possono beneficiare di una terapia antivirale con aciclovir preventiva.
5) Bifosfonati. L’utilizzo di mensile di pamidronato o di aledronato non solo riesce a limitare i danni dovuti
all’attivazione osteoclastica ma ha anche un effetto antimieloma diretto. Dunque sono indicati in tutti i casi
6) La radioterapia è indicata in alcuni casi:
a. Plasmocitomi solitari
b. Gestione del dolore in pazienti refrattari alla terapia
c. Compressione midollare
d. Fratture patologiche in grosse aree osteolitiche

Si parla di risposta alla terapia quando si dimostra l’assenza della componente monoclonale nel siero, la scomparsa dei
plasmocitomi dai tessuti e la diminuzione al di sotto del 5% dei plasmociti nel midollo osseo.
La terapia della recidiva può prevedere un nuovo trapianto autologo (se remissione da almeno 18 mesi), nuovo schema
chemioterapico o stesso schema chemioterapico (se la remissione indotta è durata almeno 12 mesi).

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