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La chimica biologica ovvero quella parte della chimica che si occupa delle reazioni che avvengono

negli organismi viventi, rispetta tutte le regole della chimica e tutti i principi di trasformazione
degli elementi. Essa ha come scopo quello di descrivere la logica molecolare della vita.

Ogni organismo vivente necessita di:


1. energia: essa può essere presa dalle radiazioni elettromagnetiche (organismi fotofori),
oppure da sostanze chimiche (organismi chemiotrofi);
2. carbonio: esso può essere preso da una fonte inorganica quale la CO2 (organismi autotrofi:
batteri e piante), oppure da composti organici (organismi eterotrofi);
3. organizzazione in cellule, organi, tessuti, apparati

ELEMENTI ESSENZIALI PER LA VITA


Dal punto di vista biologico, gli atomi possono essere abbondanti (come H, Na, K, Ca, C, N, O, P, S,
Cl) oppure presenti solo in tracce (Mg, Cr, Mn, Fe, Co, Ni, Cu, Zn, Se, I, V, Mo). Gli atomi H, O, N, C
rappresentano il 99% di tutti gli atomi totali del nostro organismo: il C è il più abbondante (più del
50% del peso della cellula è dato da C). Il C è molto importante perchè, in base alla distribuzione
elettronica esterna, può dare sia legami singoli (4), sia legami doppi che legami tripli.
Nel caso in cui ci sia un C e 4 H come sostituenti, essi si disporranno formando tra loro degli angoli
di 109,5° in modo tale da disporsi come un tetraedro (struttura del metano). Attorno a legami
singoli è possibile la libera rotazione.
Nel caso in cui ci fossero due legami fra due atomi di C, gli altri sostituenti, ad esempio H (etene o
etilene), hanno un angolo di 120°, e inoltre il doppio legame non permette nessuna rotazione
lungo il proprio asse creando così una struttura fissa.

Elettronegatività: è la capacità di un atomo di una molecola di attrarre gli elettroni coinvolti in un


legame covalente. Se l'elettronegatività fra i due atomi è simile allora gli elettroni saranno
perfettamente condivisi, se invece essa è diversa, gli elettroni saranno più attratti dall'elemento
più elettronegativo polarizzando la molecola (si parlerà quindi di una porzione elettronegativa e di
una elettropositiva). Il secondo atomo più elettronegativo sarà O. Tutti i legami fra C, O e N sono
tutti di ti po polari (quando la differenza di elettronegatività si avvicina a 0,4 il legame è polare). Il
legame fra C e H, avendo una differenza di 0,35, è apolare.

Alcoli
Sono formati da un gruppo ossidrilico (-OH). Il legame sarà polare per cui O sarà parzialmente
carico + mentre H sarà -. Il fatto di avere un gruppo
chimico polare aumenta la solubilità di questa
molecola: l'H2O che è il principale solvente, essendo
polare riesce molto bene a sciogliere n gruppo chimico
contenente OH.
Tioli
Sono formati da una catena idrocarburica con un
gruppo sulfidrilico ovvero -SH. La differenza di
elettronegatività è di 0,38 fra S e H quindi è apolare. Lo
S è un elemento molto reattivo. La sua presenza
permette di stabilizzare la struttura 3D delle proteine.
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Aldeidi
Si parla di un gruppo CARBONILICO: un C legato ad O con un doppio legame. È un gruppo polare in
quanto la DDE fra C e O è elevata (l'O è carico -). è un
gruppo fortemente reattivo. Quando il carbonile è
all'estremità di una molecola allora sarà
necessariamente presente anche un H diventando così il
gruppo tipico delle ALDEIDI.

Chetoni
Se invece il gruppo carbonilico è all'interno di una molecola e non all'estremità, allora il gruppo
carbonilico è tipico delle molecole che vengono chiamate
CHETONI.

Ammine
La DDE fra N e H è molto elevata, c'è sempre polarità quindi. Le ammine hanno caratteristiche
basiche: N ha un doppietto elettronico disponibile che
viene maggiormente usato per legare H+ (le quali
vengono liberate dagli acidi). Si ritrovano quindi negli aa.

Acidi organici carbossilici


Sono formati da un gruppo carbonilico (CO) e un gruppo ossidrilico (-OH). Si trova anche negli aa.

Esteri
Simile agli acidi carbossilici con la differenza che al posto di H troviamo un'altra catena
idrocarburica.
Ammidi
Qui abbiamo una somiglianza con il gruppo carbossilico ma, al posto di -OH abbiamo un'ammina
ovvero un N con due gruppi sostituenti. Esso è
alla base della formazione delle proteine.

LEGAMI
In chimica il legame è quella forza di natura elettrostatica che permette di tenere uniti più atomi o
molecole in una specie chimica.

Legami covalenti
Il legame covalente è quel tipo di legame dove si ha una condivisione di elettroni più o meno equa
fra elementi. Esso può essere apolare o polare. Esso è estremamente forte, si va da 150 a
1100kj/mol. La natura infatti utilizza i legami covalenti per creare lo “scheletro” delle molecole.

Legami non-covalenti
Sono tutti legami facilmente reversibili: può bastare la competizione con un'altra molecola oppure
condizioni molto vicine alla fisiologicità. Vengono usati per far interagire le molecole fra di loro
oppure per far interagire porzioni della stessa molecola fra di loro per far ripiegare ad esempio
una molecola andando a creare la sua struttura 3D. Questi legami permettono anche l'interazione
fra macromolecole molto diverse fra loro.
Se consideriamo gli antigeni ovvero le molecole che si trovano su un virus (molecole estranee al
nostro organismo), esse vengono legate dalle nostre Ig (che sono proteine) tramite legami non
covalenti (in particolare l'interazione antigene-anticorpo può sfruttare tutti i tipi di legami non
covalenti).
Legami ionici (100-1000 kj/mol)
Avviene fra molecole e atomi con grandi DDE: invece di condividere gli elettroni, l'atomo più
elettronegativo strappa gli elettroni all'altro atomo.
Legame idrogeno (4-30 kj/mol)
Esso è un legame abbastanza debole. La natura lo utilizza accoppiando decide di migliaia di legami
a ponte H andando a creare un insieme di legami deboli se presi singolarmente. Avviene sempre
quando un H è legato ad un elemento più elettronegativo (tipo O o N): c'è quindi una parziale
carica positiva sull'H. Essendo H elettropositivo, incontrando un altro atomo che possiede
elettroni (quindi parzialmente elettronegativo), si crea una forza di attrazione che permette quindi
di legare due molecole. Il legame a H avviene, idealmente, con un angolo di 180°, a meno di forze
esterne o ingombro sterico (che ne diminuisce la forza). Normalmente l'acqua liquida genera circa
3,4 ponti H per molecola di H2O, le molecole di H2O del ghiaccio invece formano 4 ponti H (questo
perché abbassando la T, sottraiamo energia all'ambiente rendendo più facile la formazione di
legami a ponte H) rendendo quindi il ghiaccio meno denso dell'acqua liquida.
Legame idrofobico (1-40 kj/mol)
Questo è il tipico legame che si crea quando le molecole di H2O, non potendo creare dei legami a
ponte H, formano una gabbia attorno ad una molecola non polare (Es. acqua e olio).
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Interazioni di van der Waals (0,4-4 kj/mol)


Sono interazioni elettrostatiche che nascono quando c'è una variazione istantanea di densità di
carica. Se una molecola possiede delle regioni cariche + e delle regioni cariche -, essa può indurre
un'altra molecola a creare dei dipoli (dipolo indotto). Ovviamente i vari dipoli possono interagire
fra di loro. Si creano così degli aggregati di molecole che di per sé non hanno cariche nette ma solo
parziali. Le interazioni che si creano, che sono comunque molto deboli, nascono da variazioni di
distribuzione di carica nel tempo, sono quindi facilmente reversibili.
Il grafico mostra come le forze di van der Waals siano
attrattive ad una certa distanza ma, con il diminuire
di essa, queste cariche diventano man mano più
repulsive. Esiste quindi per tutti i legami una inversa
proporzionalità fra la lunghezza del legame stesso
(quindi fra la distanza degli elementi in gioco) e la
forza del legame stesso: più il legame è forte e più
esso è corto.

Tutte le molecole che studieremo sono polimeri formati da vari monomeri: gli zuccheri formano i
monosaccaridi, gli acidi grassi formano i grassi, gli aa le proteine e i nucleotidi formano gli acidi
nucleici. Tutte le biomolecole sono a base di C, H, O e N, tutti legati covalentemente.

STEREOCHIMICA
Configurazione
Tutte le molecole hanno una precisa forma e senso.
Due molecole che si differenziano solo per la configurazione spaziale (ad esempio rispetto ad un
doppio legame), si dicono STEREOISOMERI e possono essere CIS o TRANS; tuttavia, hanno la stessa
identica formula molecolare. Passare da una configurazione all'altra non è banale, non avviene
spontaneamente e serve dell'energia affinché possa rompersi il legame e successivamente
ricrearsi.
Un altro esempio di stereoisomeria è la chiralità che si ha quando un C è legato a 4 gruppi R tutti
diversi fra loro. Quando in una molecola si ha più di un centro chirale, il numero di stereoisomeri è
uguale a 2^ (n° di centri chirali). Come si fa a dare un numero a tutte queste molecole? Se
prendiamo l'esempio d’una molecola con 2 centri chirali, essa avrà 4 stereoisomeri i quali saranno
a 2 a 2 speculari: le coppie con configurazione opposta, quindi speculari, sono definiti come
enantiomeri; i membri di queste coppie, ovvero la prima molecola di ognuna delle due coppie di
enantiomeri, sono fra loro stereoisomeri ma definiti come diasteroisomeri.
Quindi come catalogare queste molecole? Con le configurazioni D e L di Fisher (1891). Fisher,
ispirandosi alla gliceraldeide, uno zucchero che possiede un carbonio chirale, ha dato il nome L alla
gliceraldeide con OH a sx e H a dx e ha dato il nome D a quella con OH a dx e H a sx. Tutte le altre
molecole, con i loro gruppi sostituenti attorno al C chirale, vengono confrontate con la
gliceraldeide. Ma se la gliceraldeide possiede un H e un OH e le altre molecole posseggono altri
tipi di R, come si fanno a confrontare? Si appaiano i gruppi funzionali delle altre molecole con
quelli della gliceraldeide, appaiando quelli che possono essere interconvertiti attraverso una
reazione chimica a singola tappa.
È molto importante distinguere gli stereoisomeri perchè tutto ciò che avviene nell'organismo, a
livello di ogni singola reazione, avviene in modo stereospecifiche (se ci sono ad esempio 16
varianti di una molecola, può essere possibile che sono una di queste molecole possa servire alla
reazione): è il caso degli enzimi.
Conformazione
Il cambio di conformazione richiede solo la rotazione, non richiede tantissima energia perchè non
c'è nessun tipo di rottura di legami. In questi casi è molto difficile separare due conformeri perchè
la rotazione per passare da una forma sfalsata ad una eclissata avviene milioni di volte al secondo.

LA VITA DI UNA CELLULA IN AMBINTE ACQUOSO


Come possono tutti i lipidi nella cellula convivere in un ambiente acquoso?
L'acqua è una molecola formata da due H legati covalentemente ad un O che possiede anche due
doppietti elettronici: è quindi una molecola polare per via del dipolo. Il fatto che ci siano i
doppietti elettronici fa sì che ci sia una deviazione dagli angoli di legame classici: teoricamente gli
angoli dovrebbero essere di 109,5°, tuttavia i doppietti respingono i legami con H e l'angolo di
legame è di 104,5°. Gli H essendo positivi possono dare un legame a ponte H in quanto si legano
ad uno dei due doppietti dell'O. Ogni molecola d'H2O può avere quindi 4 ponti H. In un ponte H
sono implicati 3 atomi e in teoria essi devono avere tutti angoli di 180° per avere il legame più
forte, se per ingombro sterico l'angolo non è di 180°, lo stesso ponte H è più debole.
L'acqua, essendo una molecola polare, interagisce elettrostaticamente con i soluti ionici
dissolvendoli: lo fa neutralizzando parzialmente la carica degli ioni.
Saranno quindi molto solubili le basi azotate in quanto ricche di gruppi polari; sono molto solubili
gli zuccheri in quanto ricchi di OH; è solubile anche il gruppo P; gli unici che hanno problemi di
solubili sono gli acidi grassi in quanto costituiti da una catena più o meno lunga di idrocarburi e
presentano un gruppo polare alla testa e la coda apolare. Tutte le molecole che contengono una
porzione polare e una apolare sono definite anfipatiche.
Le molecole d'H2O che si trovano vicino a queste code idrofobiche degli acidi grassi, creano una
vera e propria gabbia per ingabbiare la coda idrofobica per cui non interagiscono. Da un punto di
vista termodinamico questa situazione è sfavorevole. Più acidi grassi inseriamo in soluzione
acquosa e più questi tendono ad aggregarsi fra di loro in modo da ridurre l'utilizzo di molecole
d'acqua e favorendo termodinamicamente questo processo. La condizione più favorevole è che
tanti acidi grassi formano una sfera (una micella), all'esterno della quale ci siano le teste
idrofiliche. Oltre alle micelle esiste anche la possibilità di creare dei doppi strati fosfolipidici (è il
caso della membrana nucleare) in modo da isolare totalmente le code apolari. In generale,
nell’interazione fra molecole idrofobiche si ha un vantaggio termodinamico: un esempio è
l'interazione fra i lipidi di membrana oppure l'interazione enzima-substrato. Anche le proteine
ovviamente sono molecole anfipatiche.

L'acqua può attraversare le nostre cellule? Come può farlo visto che i lipidi di cui sono fatte le
membrane non hanno affinità con H2O? È grazie alle acquaporine ovvero dei canali che
permettono di attraversare la membrana. Un altro metodo utilizzato dall'acqua per attraversare le
cellule è l'osmosi che permette al soluto di attraversare un soluto da una zona a bassa
concentrazione ad una ad altra concentrazione nel tentativo di diluire. Cosa provoca il passaggio di
H2O? Se prendiamo una cellula e la mettiamo in una soluzione isotonica, non avverrà nulla; se
invece immergiamo la cellula in una soluzione ipotonica, allora l'acqua tenderà ad entrare nella
cellula facendola scoppiare; viceversa, se essa viene immersa in una soluzione ipertonica allora
l'acqua della cellula uscirà. Le cellule del corpo umano non esplodono se immerse in acqua grazie
alla presenza del sangue e dei liquidi interstiziali con osmolarità simile alle nostre cellule che
quindi possono compensare l'entrata o l'uscita esterna di acqua, se poi entra troppa acqua ci
pensano i reni ad eliminarla.
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DIALISI
Essa è una tecnica biochimica che si basa sul fatto che si possano utilizzare delle membrane
semipermeabili, con pori ben definiti di dimensione nota, in cui noi possiamo immergere delle
soluzioni da cui vogliamo eliminare una parte dei soluti: processo di purificazione delle proteine,
ad esempio.

PH
Parliamo della [H+] che in molte reazioni può essere prodotto o reagente di determinate reazioni
chimiche. Gli H+ influenzano la termodinamica di una reazione in quanto il loro aumento modifica
l'equilibrio di una reazione; modificano la cinetica di una reazione e anche la permeabilità di
alcune membrane in quanto influenzano il passaggio di altre molecole. Gli H+ interagendo con
alcuni enzimi ne modificano il loro comportamento: la pepsina ad esempio ha il massimo di
concentrazione a pH 2, viceversa la concentrazione è pari a 0 a valori prossimi alla neutralità
(questo perchè agisce nello stomaco dove il pH è molto basso), altri enzimi tipo la tripsina o la
fosfatasi alcalina, che si trovano nell'intestino, lavorano a pH molto più bassi rispetto a quelli dello
stomaco.
Quando in un sistema troviamo un acido debole e la sua base coniugata forte (e viceversa) allora
siamo in un sistema tampone ovvero un sistema che si oppone alle variazioni di pH all'aggiunta di
una base o di un acido forte.
Nel nostro organismo il pH è molto importante perchè spostamenti drastici hanno effetti in molti
aspetti del nostro organismo. Nel nostro corpo troviamo quindi 3 sistemi tampone:
1. proteine: esse sono ricchi di aa acidi e basici che quindi possono donare o accettare H+. Un
esempio molto importante che è l'Hb;
2. acido ortofosforico: può dare 3 dissociazioni e permette così di accogliere o donare H+;
3. bicarbonato: acido carbonico che in H2O si dissocia nella sua base coniugata forte che a
sua volta si dissocia. Esso ha una rilevanza biochimica perchè la concentrazione di acido
carbonico dipende dalla CO2 disciolta nel nostro sangue che è a sua volta in equilibrio con
quella gassosa a livello degli alveoli polmonari. Questo ha una implicazione molto
importante perchè noi in questo modo possiamo regolare molto bene la quantità di CO2
nel nostro sangue variando la nostra sequenza respiratoria.

aa, PEPTIDI E PROTEINE


Le proteine hanno svariate funzioni:
1. possono essere enzimi ovvero catalizzatori di reazioni;
2. proteine di trasporto: un esempio è l'Hb;
3. proteine di riserva: dopo gli zuccheri e i lipidi la prima fonte di energia sono le proteine;
4. proteine contrattili: actina e miosina fra le più famosi;
5. proteine di difesa: gli anticorpi ad esempio;
6. proteine regolatrici: un esempio sono quelle proteine che regolano l'azione catalitiche di
alcuni enzimi (tipo i fattori di coagulazione del sangue necessitano di altre proteine ovvero
i cofattori);
7. proteine strutturali: un esempio sono le cheratine o il collagene.
Le proteine sono delle macromolecole fatte da monomeri di aa e sono il polimero più abbondante
in natura.
Gli aa naturali sono 20. Quasi tutti gli aa sono chirali (asimmetrici) e quasi tutti hanno una
struttura comune. La struttura comune prevede un C centrale denominato “alpha” dal quale
dipartono 4 sostituenti: un gruppo amminico basico (NH2) e un gruppo carbossilico acido (COOH),
un atomo di H e infine una catena R laterale che varia in ogni aa. Essendo il C centrale chirale, per
ogni aa esiste il suo isomero (forma L e D). La maggior parte degli aa sono tutti isomeri L, sono
alcuni aa contenuti nella parete di alcuni batteri sono di tipo D.
Se consideriamo un aa non considerando il gruppo R caratteristico, il fatto che ci sia NH2 e COOH
fa sì che un aa possa comportarsi da acido o da base a seconda del pH (sono quindi una specie
anfotera): se si procede con la titolazione di un aa, a pH fortemente acidi, la carica totale sarà
positiva in quanto COO- sarà protonato a COOH e NH2 diventerà NH3; iniziando ad abbassare
[H+], il gruppo acido perde l'H+ e la molecola diventa neutra in quando compare una carica
negativa che compensa quella positiva ovvero NH3+ (essi sono gli Zwitterioni); a pH fortemente
alcalini, tenderà a deprotonarsi anche il gruppo amminico, e l'aa risulterà carico negativamente.
Tutti gli aa, in base al pH possono essere sia Zwitterioni che anfoteri, ma alcuni possono anche
essere anfipatici.

aa apolari
Sono aa solitamente posizionati nella zona più interna della proteina in quanto non possono dare
nessun tipo di legame.
1. Glicina (Gly): il più piccolo che ha come R un H, per cui non è nemmeno chirale;
2. Alanina (Ala): ha un CH3 come R. Anch'esso è relativamente piccolo;
3. Valina (Val);
4. Leucina (Leu);
5. Isoleucina (Ile);
6. Metionina (Met): essa possiede un S nella sua struttura;
7. Prolina (Pro): tra gli idrofobici è l'unico in cui il C chirale non ha 4 sostituenti liberi ma vi è
una catena laterale (un anello detto gruppo imminico) che tiene in connessione il C alpha
con il gruppo amminico. Mantenendo legato NH2 e C alpha, non è permessa rotazione
libera fra i vari atomi conferendo in generale una certa rigidità: quando lo si trova nelle
proteine, inseriamo un punto di rigidità (per questo troviamo poche proline negli aa e in
punti precisi, fatta eccezione per il collagene. Questa rigidità ricorda molto la rigidità data
dal doppio legame fra 2 C, proprio per questo motivo la prolina può esistere in
configurazione TRANS e CIS che rende la proteina più o meno lineare. Tuttavia nel nostro
genoma non troviamo nessuna indicazione che vada a discriminare la forma CIS da quella
TRANS e viceversa in fase di traduzione: il processo è del tutto casuale. Questo è incredibile
perchè ogni tipo di proteina, a seconda di quale configurazione possiede, potrà svolgere
diverse funzioni. Il processo non è però lasciato del tutto al caso: subito dopo la sintesi
proteica, ci sono degli enzimi (peptidil-prolil-isomerasi) che permettono di convertire un
isomero CIS in uno TRANS. Questa famiglia di enzimi sono talmente importanti che la loro
assenza è incompatibile con la vita.

aa apolari con gruppi aromatici


Posseggono un benzene: il fatto di avere degli elettroni delocalizzati su 6 atomi di C, conferisce
caratteristiche molto importanti. Questi aa, grazie al benzene, hanno la possibilità di assorbire la
luce UV. Il Triptofano e la Tirosina hanno un picco di assorbimento a 280 nm.
1. Fenilalanina (Phe);
2. Tirosina (Tyr);
3. Triptofano (Trp).
Il triptofano assorbe 50 volte più della fenilalanina, la tirosina assorbe 5 volte più della
fenilalanina.
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aa polari
Essi sono polari per la loro DDE ma non posseggono carica netta. Questi, al contrario di quelli
apolari, sono posizionati all'esterno delle proteine, ovvero sulla superficie.
1. Serina (Ser): OH collegato al resto della proteina da un CH2;
2. Treonina (Thr): OH collegato al resto della proteina da un CH-CH3, essa è quindi
leggermente più grande e ramificata;
3. Cisteina (Cys), come la Serina ma al posto dell'OH ha un SH. Il gruppo SH è molto meno
polare del gruppo OH. La Cisteina è molto interessante per via della alta reattività del
gruppo SH. Esso infatti p in grado di dare una interazione importantissima in quanto aiuta
la stabilità delle strutture proteiche: 2 cisteine (una cistina) possono dare una interazione
fra i due gruppi SH e creare, per ossidazione, un ponte di-solfuro, che p fondamentale per
stabilizzare la struttura 3D delle proteine: questo permette di unire regioni diverse della
stessa proteina oppure due proteine diverse. Quando può avvenire questo legame?
Essendo una REDOX devono esserci le condizioni chimiche opportune: doppiamo essere in
un ambiente ossidante ovvero dobbiamo essere in una regione della cellula che possa
acquisire gli H+. In una proteina di media lunghezza non è infrequente trovare dai 10 ai 20
residui di cisteina. Tutte le proteine che devono entrare nelle membrane o che devono
essere secrete dalle cellule subiscono dei processi post-traduzionali sul RE: proprio il RE è
un ottimo ambiente ossidante che quindi può accogliere molto bene gli H che vengono
persi dalle cisteine durante la creazione del ponte disolfuro. Le interazioni fra cisteine
devono avvenire fra coppie legittime ovvero coppie distanti e non vicine. Nel caso in cui
avvenga spontaneamente un ponte disolfuro fra due cisteine vicine, allora intervengono
del PDI ovvero le disolfuro isomerasi. Come fa questo enzima? Esso non fa altro che
scindere e riformare i legami a ponte H fra tutte le cisteine possibili (quindi anche fra
catene proteiche distinte) fino a quando non trova quelle con meno energia ovvero più
stabili. Anche i PDI posseggono delle cisteine con le quali riescono a rompere e a riformare
i ponti disolfuro.
4. Asparagina (San): come l'acido aspartico solo che all'estremità R hanno un NH2 legato a CO
(gruppo ammidico) e non COOH;
5. Glutammina (Gln): come l'acido glutammico solo che all'estremità R hanno un NH2 legato a
CO (gruppo ammidico) e non COOH.
Asparagina e Glutammina sono le ammidi corrispondenti dell'acido glutammico e dell'acido
aspartico.
Sono aa abbastanza semplici, l'apolarità è data dal gruppo -OH. Questi aa in generale si trovano
sulla superficie delle proteine per interagire facilmente con i solventi acquosi perchè possono dare
ponti H. Non sono aa ionici quindi non hanno cariche ioniche.
aa carichi negativamente con carattere acido
Essi posseggono una carica negativa oppure possono essere legati ad un H+:
1. Aspartame o acido aspartico (Asp): legato al COO- da un CH2; 2.
Glutammato o acido glutammico (Glu): legato al COO- da 2 CH2.
La loro particolarità è quella di possedere un carbossile all'estremità R che conferisce loro una
carica netta negativa e proprietà acide.

aa carichi positivamente con carattere basico


1. Lisina (Lys);
2. Arginina (Arg): è un vasodilatatore;
3. Istidina (His).
La cosa peculiare è che sono ricchi di gruppi amminici e quindi possono accogliere H+
comportandosi da basi. Lisina e Arginina sono ricchi in CH2, sono molto basici; l'istidina è un po'
più piccola e possiede un anello imidazolico con i gruppi amminici ed è la base più debole delle tre.
La particolarità dell'istidina è che possiede nell'anello imidazolico un N sempre protonato e un
altro che può accogliere H+ comportandosi da base ma che in taluni casi può cederlo
comportandosi da acido: questo è possibile perchè il suo pKa è vicino alla neutralità e può quindi
esercitare un potere tamponante.

Modifiche post-traduzionali degli aa


Non esistono solo i 20 aa naturali in quanto essi possono subire delle modifiche post-traduzionali
che cambiano le loro proprietà chimico-fisiche. Esistono tante modifiche post traduzionali: la
maggior parte sono reversibili. Fra le modifiche più frequenti troviamo sicuramente:
1. l'aggiunta di OH (nome: IDROSSI-nome aa): molto frequente su prolina e lisina allo scopo di
aumentarne la solubilità e di aumentare la possibilità di instaurare ponti H;
2. aggiunta di metili (nome: METIL-nome aa): è sempre reversibile;
3. aggiunta di un secondo carbossile in posiziona gamma dell'acido glutammico (irreversibile)
facendolo diventare acido-gamma-carbossi-glutammato (Gla): l'acido glutammico era già
un aa acido negativo per via del suo carbossile, dopo questa modificazione viene aggiunta
una ulteriore carica negativa e un ulteriore gruppo acido. Questa modifica
posttraduzionale è molto importante nei processi di coagulazione (alcuni tipi di anti-
coagulanti vanno proprio a bloccare questa carbossilazione rendendo inefficiente la
coagulazione). Questo Gla può essere presente in gran numero nelle regioni iniziali dei
fattori di coagulazione delle proteine per potersi ancorare alla superficie lipidica di tutte le
cellule o frazioni di cellule che entrano in gioco durante la coagulazione;
4. fosforilazione (reversibile): aggiunta di un gruppo P ad opera di enzimi detti chinasi. La
reazione inversa è la defosforilazione ed è catalizzata dagli enzimi detti fosfatasi. Questa
modificazione è importante nel metabolismo degli zuccheri con enzimi che vengono
attivati o disattivato proprio grazie all'aggiunta di questi gruppi P. Questi gruppi si possono
aggiungere su aa con degli ossidrili tipo la serina, la treonina m a anche sulla tirosina. Gli aa
fosforilati che prima erano apolari ora si ritrovano ad essere carichi e questo può cambiare
enormemente la funzionalità della proteina di cui fanno parte;
5. acetilazione: aggiunta di un gruppo polare acetile (H3CCO-) che è molto importante a
livello dei residui di lisina (aa basico). Questa è una modificazione reversibile importante a
livello degli istoni (che impacchettano il DNA) in quanto tale modificazione permette
decompattare la cromatina rendendo disponibili i geni per la trascrizione. Al contrario la
deacetilazione porta a compattare la cromatina.
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aa come zwitterioni
Partiamo dall'aa più semplice, la glicina, privo di capacità di ionizzarsi. Tutto questo discorso vale
per tutti gli aa con catena R non polare quindi vale per gli alifatici apolari, per gli aromatici e anche
per i 5 aa polari (15/20).
Partiamo da un pH estremamente acido e quindi
sarà protonato in tutti i gruppi protonabili.
Cominciando a basificare il pH, grazie all'aggiunta
di una base forte, si instaura un primo equilibrio
tampone fra l'aa carico positivamente e l'aa in
forma neutra ottenuto dalla deprotonazione del
gruppo carbossilico in quanto è il primo ad avere la
tendenza a perdere un H+. Perdendo un H+ la
molecola complessivamente sarà neutra
(ZWITTERIONE). In questo momento siamo in un
sistema tampone che può opporsi alle variazioni di
pH definito da una costane di equilibrio pK1. Se
continuiamo a basificare, anche il gruppo basico
della glicina che normalmente tende ad acquisire
H+, lo perde in modo tale da far diventare
complessivamente neutra tutta la molecola. Ad un
preciso valore di pH (punto isoelettrico), che in
questo caso è 5.97, la molecola è presente solo in
forma neutra. È un valore talmente preciso che
solo conoscendo il punto isoelettrico di una
molecola, si può definire che tipo di molecola è.

Titolazione di un aa acido che può cedere


H+.
Partiamo da un pH molto acido dove tutti i
gruppi dell'acido glutammico saranno
protonati (i due carbossili e il gruppo
ammidico), l'aa sarà complessivamente
positivo. Man mano che si si sposta a pH
alcalini, si instaurerà un equilibrio tampone.
Basificando infatti il primo gruppo a perdere
l'H+ è proprio il carbossile legato al C alpha
poiché la vicinanza del carbossile al gruppo
amminico (anch'esso legato al C alpha) fa sì
che questo carbossile sia più acido dei
carbossili più distanti ad esso, per effetto
induttivo il quale cala col la distanza.
Continuando a basificare, anche il secondo
carbossile perderà l'H+ e alla fine anche il
gruppo amminico perderà l'H+ anche se in
teoria è basico. Il punto isoelettrico è
estremamente acido.
Titolazione di un aa basico
A pH
estremamente acidi tutti i gruppi sono protonati:
lo sono il carbossile, il gruppo amminico legato al
C alpha e anche l'N dell'anello imidazolico
dell'istidina che è capace di cedere o acquisire ioni
H+. Se cominciamo a basificare avverrà una
deprotonazione sul gruppo più acido quindi sul
carbossile, passando dalla carica +2 alla carica +1.
Spostandoci a pH più basici avverrà una
deprotonazione su uno degli azoti: quale dei due?
Quello meno basico: la vicinanza di N al carbossile
rende COO più acido e il gruppo amminico più
basico per cui l'N meno basico sarà quello
dell'anello imidazolico che appunto perderà l'H+
rendendo la molecola elettricamente neutra,
arrivando così allo Zwitterione ad un punto
isoelettrico quasi fisiologico: 7,59. Se continuiamo
ad aggiungere OH-, anche l'ultimo N si
deprotonerà arrivando ad una carica totale di -1.
Conoscendo la composizione in aa di una proteina
possiamo calcolare il punto isoelettrico di una
proteina, oppure possiamo misurarlo in modo più
preciso tramite una metodologia di laboratorio: la focalizzazione isoelettrica (IEF). In questa
tecnica si caricano miscele di proteine e le si separa su un gradiente di pH in base al punto
isoelettrico.

PROTEINE E LEGAME PEPTIDICO


Se consideriamo due aa qualunque, la loro unione è data da una reazione di condensazione: il
carbossile di un aa che interagisce con il gruppo amminico di un altro che porta alla liberazione di
una molecola di H2O. È un legame forte, covalente e si forma un nuovo gruppo chimico che è il
gruppo ammidico, che rappresenta proprio il legame peptidico. Questo tipo di reazione da un
punto di vista termodinamico è sfavorita: in natura ha tendenza ad avvenire la reazione opposta
ovvero l'idrolisi del legame peptidico formando due aa separati; questo non significa che le
proteine spontaneamente si idrolizzino in aa perchè c'è una barriera temporale enorme, ha quindi
una cinetica molto bassa. Eppure, nel nostro organismo l'idrolisi del legame peptidico avviene
molto rapidamente grazie proprio a degli enzimi.
Tutto ciò è inteso ad aa liberi in soluzione in laboratorio; tuttavia, in natura non abbiamo aa liberi
in soluzione. Nella realtà gli aa si trovano legati ai tRNA. Nel sistema della sintesi proteica viene
introdotta energia sotto forma di ATP, un ribonucleotide trifosfato che ha dentro di sé tantissima
energia che può essere liberata attraverso la sua idrolisi:

Vi è un enzima, l'Amminoacil-tRNA-sintetasi, che ha lo scopo di unire ogni aa al prorpio


equivalente tRNA durante la sintesi proteica: così facendo prende due molecole che
singolarmente erano stabili e le unisce con un legame ad alta energia. Da dove si prende l'energia?
Dall'ATP. Questo è molto utile perchè si può sfruttare il fatto che rompendo il legame tRNA-aa si
liberi tanta energia che viene usata per far avvenire la condensazione di due aa. In pratica non si fa
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altro che accoppiare dei fenomeni: l'energia chimica che era immagazzinata nel legame ad lata
energia è usata per condensare due aa.
Se prendiamo due aa condensati, ovvero legati fra loro, notiamo che la distanza di legame fra il C
alpha e il C del gruppo carbonilico di un aa è di circa 1.51 A, quello fra il C alpha e N è di 1.45 A
mentre il legame fra N e C del gruppo carbonilico è di circa 1.32 A. Vale sempre la legge
dell'inversa proporzionalità fra lunghezza di legame e forza dello stesso per cui questo legame,
essendo il più corto è di conseguenza anche il più forte, esso ha anche le caratteristiche di un
parziale doppio legame, basti pensare che il doppio legame fra C e O è di 1.32 A. A questa
caratteristica di parziale doppio legame è legato il fatto che tutti gli atomi coinvolti in questa
interazione si ritrovano sullo stesso piano. Il fatto che N abbia un doppietto elettronico disponibile
condivisibile con C (il quale può rompere un legame con O che a sua volta tratterrebbe il doppietto
di legame), fa sì che queste due strutture siano in risonanza fra di loro.

Questo ci dice che il legame peptidico non permette la libera rotazione fra le sue componenti,
questo limita la struttura delle proteine. Se anche fosse permessa la libera rotazione saremmo in
una condizione nella quale ci sarebbero delle repulsioni di natura elettrostatica.
A livello del legame peptidico quindi, gli aa non hanno la possibilità di ruotare liberamente,
tuttavia fra il C alpha e il proprio gruppo R, oppure fra il C alpha e il C carbonilico, le rotazioni
possono avvenire ma bisogna ben considerare le catene laterali R ovvero da quanto ostacolino le
rotazioni: dipende quindi dall'ingombro sterico oppure dalle repulsioni elettrostatiche. In una
catena di aa avremo sempre un'estremità con un gruppo amminico libero (estremità ammino-
terminale, Nterm) e una estremità con un carbossile libero (estremità carbossi-terminale, C-term);
questo perchè quando si guarda una proteina è necessario stabilire una convenzione: la parte
amminoterminale è l'inizio di ogni proteina. Questo sia per stabilire una convenzione e sia perchè
durante la sintesi proteica, il primo aa esce con l'estremità N-term.

STRUTTURE DELLE PROTEINE


La struttura iniziale delle proteine è la struttura primaria ovvero la concatenazione degli aa tramite
il legame peptidico. Abbiamo già detto che il legame peptidico introduce una rigidità fra gli aa per
via della parziale caratteristica di doppio legame del legame peptidico, dovuto alla
delocalizzazione degli elettroni. Una possibile rotazione può avvenire solo a livello dei C alpha fra e
R e fra C alpha e COO-, questi angoli vanno da 180° a -180° e ovviamente è da valutare l'ingombro
sterico dei gruppi R.
Ad esempio, se andiamo a vedere il grafico di Ramachandran, capiamo come sia possibile che
alcuni angoli di legame fra ciascuna coppia di aa, compresi fra 180° e -180° non si possano
formare.
Il grafico è costruito grazie a dei modelli matematici basati su angoli di legame e raggi di Van der
Waals. Ovviamente aa piccoli tipo la glicina possono permettere tantissimi angoli, un aa
problematico, tipo la prolina, ha un numero di angoli possibili molto più limitato. Attraverso il
grafico di Ramachandran possiamo sapere come la sequenza di aa si può ripiegare, andando così a
prevedere la struttura secondaria di ogni aa. Alcune strutture secondarie si collocano in regioni
ben definite, ovvero le alpha-eliche con un numero ben limitati di angoli di legame; altre hanno
molte più possibilità ovvero i beta-foglietti.
La sequenza primaria, ovvero la semplice sequenza di aa, è scritta nel DNA quindi determinata
geneticamente, ma le strutture 3D? In che modo sono determinate?
Strutture secondarie delle proteine
Sono delle strutture evolutivamente molto conservate e sono corte sequenza di aa che localmente
si organizzano nello spazio (di solito 10-15 aa).
• Struttura ad alpha-elica
Rappresenta un quarto di tutte le strutture secondarie, ha precise dimensioni ed è un'alpha-elica
destrogira. La formazione di un'alpha-elica dipende ovviamente dalla sequenza primaria degli aa in
quanto alcuni aa hanno più tendenza rispetto ad altri ad avvilupparsi ad alpha-elica. Qualunque
alpha- elica è una struttura estremamente ordinata con un passo costante ovvero di 5.4 A,
ottenuti con 3.6 aa. Tutte le catene R degli aa che compongono l'alpha- elica, sono portate verso
la parte esterna dell'elica stessa. Tutta la struttura dell'elica è stabilizzata da tantissimi ponti H che
si formano fra ogni carbonio carbonilico e l'H presente sul gruppo amminico di 4 aa successivi.
L'elica però, dipendendo da legami a ponte H i quali sono reversibili, è molto fragile. Essendo le
catene all'esterno, sono tutte disponibili ad interagire con qualsiasi cosa. Le alpha eliche son
ampiamente utilizzate dai fattori di trascrizione ovvero da quelle proteine che permettono
l'espressione dei geni sul nostro genoma. Per quanto riguarda le catene R laterali all'esterno
dell'alpha elica, questo vuol dire che ogni aa è compatibile con la struttura dell'alpha elica? No,
analizzando tutti gli aa presenti notiamo che ogni aa ha una propensione più o meno lata ad
entrare nella doppia elica: la glicina non ha grande propensione (per via della troppa libertà che
darebbe alla doppia elica), la prolina di contro ha poca propensione ad entrare per la della troppa
rigidità che darebbe.
• Struttura a beta-foglietto
Si parte da una corta sequenza di aa che sonio legati l'uno all'altro e formano il filamento beta, i
quali vanno ad appaiarsi con altri filamenti beta formano quello che è un piano che viene definito
proprio come foglietto beta. Questi filamenti beta non devono per forza essere continui (possono
esserlo) me possono anche essere in diverse regioni della sequenza primaria delle proteine. Sono
definiti paralleli o antiparalleli in base al modo in cui sono disposte le estremità C-term e N-term.
Questi appaiamenti fra corte sequenze lineari sono legate fra di loro, come? Il ponte H, lo stesso
dell'alpha elica, che avviene fra un H legato legato ad H del legame peptidico e l'O di un COO-. Nel
foglietto beta antiparallelo l'angolo del ponte H è sempre 180°, mentre nel parallelo il legame a
ponte H ha distanza maggiore e ci sono angoli diversi, per via della complessità della struttura. Le
catene laterali si tutti gli aa dei foglietti beta sono portate sopra e sotto il piano del foglietto e non
disturbano la struttura a beta foglietto, a differenza dell'alpha elica dove essi sono fuori. Questa
struttura secondaria è geometricamente poco esigente per cui tutti gli aa vano bene.
• Struttura a ripiegamento-beta
Molte volte in natura c'è la necessità di creare una curva nella struttura 3D delle proteine. Per fare
questo ci sono un paio di metodi, uno di questi è quello di utilizzare il ripiegamento-beta. Gli stessi
aa che erano fortemente dannosi nel formare le alpha-eliche (glicina e prolina) sono qui altamente
indispensabili: la prolina è molto piccola e non disturba la curva, viceversa la prolina (che già nel
suo isomero trans da una lieve curva alla catena di aa) si può trovane nell'isomero cis che ha una
curva di 180°. Queste strutture hanno anche un ponte H (formato come sempre) che tiene ferma
questa curva.
• Loop
Esistono inoltre delle strutture secondarie in cui ci sono degli amminoacidi non imbrigliati in
nessuna struttura, liberi, che fanno da tramite, da ponte, ad altre strutture secondarie: tutto ciò si
chiama loop, o cappio, o ansa o omega-loop. Anche il loop, come il ripiegamento beta cambi
repentini di direzioni però, non avendo una struttura fissa e definita, non avendo ponti H, può
farlo in vari modi non avendo una geometria da rispettare. Il fatto che questi loop non abbiano
una forma definita, fa sì che siano molto difficili da studiare ma il fatto che possano cambiare, da
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un vantaggio biologico enorme permettendo di dare interazione con altre molecole in quanto la
regione loop è molto adattabile ad altre molecole con le quali interagisce. È necessario ricordare
che i loop cambiano da proteina a proteina e anche nella stessa proteina hanno più forme
possibili. Essi sono molto importanti perchè generalmente vengono portati fuori dalla struttura
proteica, sono regioni esposti al solvente e quindi sono spesso ricchi di aa polari (un esempio sono
gli enzimi e gli anticorpi).
Le strutture sopracitate non sono le uniche strutture secondarie ma sono quelle essenziali dalle
quali la natura parte per creare altre strutture secondarie formate dall'interazione di queste 4
principali. A titolo di esempio: Ansa beta-alpha-beta (due filamenti beta e una alpha elica), oppure
il barile beta (tanti filamenti beta organizzati non su un piano ma su un cilindro), l'ansa beta-
alphabeta può inoltre interagire con il barile beta.

Strutture terziarie delle proteine


Regioni della proteina con funzioni particolari ben definite sono dette domini. Sono state scoperte
con delle parziali idrolisi a delle proteine che si scomponevano in varie “parti” sempre a struttura
terziaria. Ogni proteina ha ovviamente anche più di un dominio. Alcuni esempi di dominio sono
quelli delle proteine serin-proteasi della coagulazione: esse sono formate da vari domini, ad
esempio, il dominio GLA (indispensabile per ancorarsi alle membrane del sito di taglio), domini
EGF (servono a mediare interazioni con altre molecole), dominio AP (di attivazione ovvero un sito
di taglio che permette l'attivazione della proteina), dominio catalitico (dominio serin-proteasico
ovvero il dominio in cui avviene la reazione).
La struttura secondaria è solo una organizzazione locale, l'insieme di varie strutture secondarie
darà le strutture terziarie. La struttura terziaria definisce la disposizione spaziale delle proteine ed
è la vera e propria forma delle proteine. Aa lontani sulla sequenza primaria, quando si organizzano
in strutture terziarie, possono finire a legarsi. La struttura terziaria non è rigida ma ha una forma
che può cambiare, subire modificazioni conformazionali (spesso tutto ciò è proprio la chiave della
funzionalità della proteina).
Un esempio di struttura secondaria è quella della mioglobina che lega irreversibilmente l'O2, la
troviamo nei muscoli. La sua struttura è formata da una sola struttura terziaria, essa è globulare
ed ha tanti aa idrofobici che sonno prevalentemente all'interno della proteina formando il core
idrofobico della proteina. Nella mioglobina troviamo anche una struttura non proteica che è
indispensabile per la sua funzionalità.
Folding o ripiegamento
La nostra proteina parte da una sequenza primaria di aa, da cui originano tante alpha-eliche che si
ripiegano a formare la struttura terziaria. La forma finale della proteina, ovvero quella grazie alla
quale funzionerà, è detta conformazione nativa ed è in genere la forma a più bassa energia di
Gibbs, quindi con meno energia e più stabile.
Se alla base della struttura primaria vi era il legame peptidico fra vari aa, alla base della struttura
secondaria vi era soprattutto il ponte H, nella struttura terziaria ci sono alla base i ponti disolfuro, i
legami a ponte H, i ponti salini e delle interazioni debole idrofobiche e ancora le interazioni di Van
del Waals. La perdita di queste interazioni porta alla denaturazione delle proteine.

Denaturazione delle proteine


Si studia la denaturazione delle strutture terziarie delle proteine e non la loro formazione per via
della loro complessità. Man mano che si studia la loro denaturazione si conosce qualcosa in più
sulla loro formazione. Ogni volta che si perde un legame terziario, avremo una proteina
denaturata, aperta che ha perso la propria funzionalità. Come denaturare una proteina? Ci sono
numerosi agenti chimici e fisici che possono denaturare in vivo e in vitro le proteine: primo fra
tutti il calore, oppure cicli di congelamento e scongelamento; fra gli agenti chimici che fungono da
denaturanti troviamo innanzitutto la variazione di pH (ad opera di varie sostanze), oppure
l'aggiunta di grandi concentrazioni ioniche (andando quindi ad aggiungere della forza ionica che va
a competere con i legami ionici già presenti nella proteina), oppure altri tipi di molecole
denaturanti. In vivo, tutte queste cose facili da immaginare in vitro, possono capitare ed in genere
la denaturazione in vivo apre la strada con molte malattie soprattutto neurodegenerative. È
importante però capire che una proteina denaturata (dove i legami peptidici restano immutati) è
diversa da una proteina degradata (dove avviene la separazione dei vari aa). Alcuni esempi di
molecole denaturanti sono l'urea e il beta-mercaptoetanolo. Un denaturante molto importante è
il Sodio-Docecil-Solfato (SDS), oppure Sodio-Lauril-Solfato, è un detergente anionico e assomiglia,
da un punto di vista chimico, ad un lipide che ha una testa carica negativamente e una coda
idrofobica: è quindi una molecola anfipatica e, avendo una regione + e una -, è in grado di
interagire con qualsiasi proteina (si lega mediamente ogni 2 aa sulla superficie proteica). Esempio:
abbiamo una proteina, se la trattiamo con il SDS esso va a distruggere la struttura della proteina
andandosi a legare un po' ovunque introducendo mole cariche negative; questo fa sì che la
proteina non possa riarrangiarsi fino a quando SDS non si sia allontanato, per questo SDS è il
denaturante più utilizzato in laboratorio. Questo è interessante perchè le proteine sono tantissime
ma SDS è in grado di denaturarle quasi tutte e portarle alla sua forma primaria, facendogli perdere
tutto: rimane solo la catena lineare di amminoacidi.
Nelle proteine possiamo osservare una vera e propria curva di denaturazione qualunque sia la
proteina e qualunque sia la molecola denaturante. Questo significa che l'effetto denaturante
inizialmente è bassissimo perchè si denatura pochissima proteina, come a dire che le forze che
tengono insieme la struttura, seppure deboli, resistono. Ad un certo punto si arriva ad un valore
soglia oltre il quale, anche per piccole dosi di denaturante, la percentuale di proteina che si
denatura sale tantissimo. L'andamento è quindi di tipo sigmoide, tipico dei processi cooperativi:
significa che anche se si rompe un legame, gli altri aa fanno si che non cambi la struttura
complessiva della proteina; questo, tuttavia, vuole anche dire che quando si rompe un numero
sufficiente di legami, si rompano subito tutti gli altri legami. Esempio in cui è la T ad agire da
denaturante: se prendiamo 2 proteine diverse e le mettiamo a riscaldare possiamo vedere due
andamenti a sigmoide delle proteine: per ogni proteina che andremo a riscaldare possiamo
trovare una Tm (T di melting) oltre la quale la proteina è denaturata al 50%. Ogni proteina ha un
preciso Tm, non ne esistono due con lo stesso valore perchè dipende dal numero e dal tipo di
legami che compongono la proteina. Tanto più Tm è alta, tanto più essa sarà stabile. Poichè ogni
proteina ha una propria Tm, basterà riscaldare un campione per poter separare le proteine.
Quando una proteina si denatura per azione della T espone regioni idrofobiche che gli permette di
aggregarsi ad altre proteine, precipitando. Più una proteina è stabile e più servirà T o
concentrazione di denaturante per denaturarla. Da chi dipende la stabilità? Dai legami. Ad
esempio consideriamo un piccolo enzima tipo la Ribonucleasi A con meno di 100 aa, essa ha 4
ponti disolfuro e viene denaturata dall'urea (ha caratteristiche molto basiche) e dal beta-
mercaptoetanolo (forte riducente che rompe i ponti S); come conferma della denaturazione ci
basta misurare l'attività di questo enzima che è 100% all'inizio e che cala man mano che la
denaturiamo. Ma una proteina potrà tornare ad avere la propria struttura 3D anche dopo essere
stata denaturata? Se la proteina lo fa significa che la forma che essa possiede è scritta nella
sequenza primaria: ad esempio questo è il caso della Ribonucleasi A. Come possiamo allontanare
la Ribonucleasi A dalle molecole denaturanti? Banalmente con un sacchetto di dialisi: hanno preso
la proteine e il denaturante in soluzione, l'hanno immersa nel becher e semplicemente i
denaturanti sono andati in soluzione nell'acqua separandosi dalla proteina che è ritornata alla sua
forma originale.
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Per cui, volendo fare un riassunto, per proteine piccole la denaturazione è reversibile e la struttura
terziaria è scritta nella struttura primaria (tesi confermata anche in laboratorio). Tuttavia, in vivo
risulta veritiero soprattutto per le proteine piccole, ma quando si ha a che fare con proteine
grandi, le cose cambiano e le proteine hanno bisogno di un aiuto per arrivare alla forma
tridimensionale.
Come si arriva alla conformazione 3D dalla sequenza primaria?
Si è partiti da una prima ipotesi: durante il folding la proteina le prova tutte fino a quando non
trova quella più stabile associata ad una funzione biologica. Per confutare questa ipotesi è stata
presa una proteina da 100 aa e sono state fatte delle ipotesi: se immaginiamo che ogni residuo
possa assumere 10 conformazioni, assumendo che la proteina si ripiega casualmente, ogni
cambiamento avviene nel più breve tempo possibile ovvero 10^(-13)s. Con queste condizioni per
tentare tutte le prove possibili servirebbero 10^(77) anni per conformare una proteina corta.
Questo è impossibile perchè una proteina impiega 5 o 6 secondi per raggiungere la propria
conformazione. Se quindi non è un percorso casuale, che strada si segue? Innanzitutto, bisogna
diminuire l'entropia del sistema e questo significa che gli amminoacidi che sono disposti in una
struttura primaria devono prima formare le strutture secondarie e poi ripiegarsi in strutture
terziarie. L'organizzazione del folding della proteina è come un imbuto in cui man mano che si
scende verso il basso l'energia diminuisce e diminuisce l'entropia.

Meccanismi alternativi per il folding delle proteine


Solo due sono i meccanismi oggi proposti. Ognuno di questi due “metodi” sono a tappe ed è
probabile che ci sia qualcosa che discrimini le proteine che seguono una strada piuttosto che
un'altra, ma ancora non si sa per certo:
1. framework: il meccanismo prevede che abbozzino le strutture secondarie già mentre la
proteina esce dal ribosoma e poi avvengono tutti i successivi ripiegamenti che portano alla
struttura 3D. Al tempo 0 la proteina è denaturata ma subito iniziano ad abbozzarsi e
strutture secondarie; una molecola che si comporta in questo modo è l'inibitore 2 della
Chimotripsina;
2. collasso idrofobico in soluzione acquosa: può anche essere idrofilico a seconda del
solvente. Gli amminoacidi idrofobici non possono stare in acqua o in un solvente polare,
per cui collassano e si organizzano avvicinandosi per dare fra di loro delle interazioni
idrofobiche
Qualunque sia il meccanismo, ad ogni modo, è certo che man mano le proteine arrivano alla loro
struttura, esse si stabilizzano e si riduce l'entropia e l'energia, ma di certo non percorrono tutte le
strade possibili a loro disposizione. Il fatto che l'imbuto di formazione delle proteine sia
frastagliato, indica che ci sono degli intermedi di formazione più o meno stabili alla quale la
proteina può fermarsi trovando una certa stabilità; non tutte le proteine riescono ad arrivare alla
struttura 3D. Esistono anche altri imbuti in cui tutte le vie di ripiegamento sono equivalenti e
portano tutte a valle senza intoppi.
Quindi in sintesi nel processo di folding si possono formare dei ripiegamenti secondari sbagliati e
non adatti per arrivare alla struttura 3D. Questo porta a degli intermedi semi-stabili in cui la
proteina può arenarsi. Peggio ancora, delle proteine non correttamente ripiegate possono unirsi
fra loro e formare degli aggregati inutili ma molto stabili perchè ricchissimi di legami (molti
aggregati, ovvero le fibre amiloidi, sono anche molto più stabili dell'originale conformazione 3D
della proteina). Queste fibre amiloidi possono anche accrescersi per decenni portando a delle
malattie gravi come amiloidosi o Alzheimer; per cui il fatto che il 25% delle proteine non si
ripieghino correttamente, è una cosa molto pericolosa. Per evitare tutto ciò c'è un meccanismo
fisiologico che, se funziona bene, impedisce lo svilupparsi di queste malattie.
Proteosoma
All'interno delle nostre cellule c'è questo complesso macro molecolare che si occupa di degradare
le proteine conformate male. Questo tuttavia non è l'unico tipo di molecola che compie questo
lavoro. Esso essendo un complesso, è basato su un insieme di macromolecole. Le sub unità dalle
quali il proteosoma è formato sono interscambiabili e cambiano durante tutta la vita della cellula,
al bisogno, sia nelle diverse cellule nei diversi tessuti: tutte insieme formano un “barilotto” con
due “tappi” alle estremità. La proteina foldata male entra da una estremità ed esce
completamente degradata dall'altra parte in piccoli peptidi di 6-10 aa. Esso degrada tutte le
proteine che entrano dentro, il processo intelligente è quello che decide quali proteine mandare e
quali no. Di fare ciò se ne occupa il sistema della proteina ubiquitina (ubiquitinizzazione), ovvero
una piccola (76 aa) e molto antica proteina che riconosce dei segnali di scorretto ripiegamento con
l'estremità ammino terminale esposta ed alcuni aa idrofobici: in realtà è un sistema di enzimi che
si occupa di riconoscere le proteine erroneamente foldate alla quale viene attaccata l'ubiquitina e
il tutto viene preso in carica dal proteosoma.
Autofagia
Un altro controllo simile al proteosoma ma che degrada non solo singole proteine ma interi
organelli. Per autofagia d'intende quindi la rimozione selettiva di elementi cellulari danneggiati.
Questo avviene tramite la formazione di vescicole a doppia membrana detti autofagosoma:
queste vescicole inglobano gli organelli che non funzionano più e si fondono con i lisosomi (pieni
di enzimi degradativi). In realtà non più di un paio d'anni fa, si è scoperto che proteosomi e
autofagosomi lavorano assieme: il proteosoma fa parte del processo di autofagia, non sono quindi
indipendenti. L'organello che quindi si interessa di degradare sia le proteine che gli organelli si
chiama autofagoproteosoma.
Folding nel reticolo endoplasmico (ER)
Il ripiegamento di una proteina avviene in un ambiente in cui ci sono tanti altri tipi di proteine che
si stanno ripiegando e quindi con tutti gli aa esposto. La proteina legata all'ER comincia a ripiegarsi
prima che la sua sintesi sia terminata. Consideriamo di essere nel processo di sintesi proteica,
quindi nella traduzione, il canale dal quale fuoriesce la proteina è un canale molto stretto di
appena 15 A: la sequenza primaria appena creata non può organizzarsi in nessuna struttura nel
ribosoma. Essendo il ribosoma una macchina molto complessa, ci impiega un bel po' di tempo per
creare il legame peptidico: se consideriamo una proteina medio-grande di 300 aa, la sua sintesi
richiede diversi minuti. Questo va a discapito della formazione di legami sbagliati che creerebbero
una proteina erroneamente foldata. Tutti questi problemi sono stati risolti dalla natura creando
una macromolecola che ci aiuta il corretto folding. A fare ciò ci pensano delle proteine (che
assistono le proteine a raggiungere la forma corretta) e si chiamano Chaperon molecolari. Queste
macromolecole hanno tanti compiti: aiutano le proteine nascenti a ripiegarsi correttamente;
prevengono l'accumulo di proteine foldate erroneamente; aiutano quelle che hanno raggiunto
una forma intermedia o una forma scorretta, a raggiungere quella corretta; impediscono le
interazioni con altre molecole proteiche nel ER. Come fanno tutto ciò? Grazie alla loro struttura.
Sono macromolecole antichissime e presenti in ogni organismo. Tutti gli Chaperon hanno una
struttura a “barile” alla cui estremità possono entrare le neo-proteine da foldare. Questo barilotto
è costituito da due anelli, ciascuno formato da 7 proteine. Questa struttura non crea il
ripiegamento ma semplicemente da delle interazioni idrofobiche con la proteina appena
sintetizzata: così facendo la protegge dall'ambiente esterno impedendole di aggregarsi ad altre
molecole. Qual è il meccanismo? Lo Chaperon accoglie una proteina con tutti i domini idrofobici
esposti, interagisce con essa, lega i suoi aa idrofobici attraverso i propria sulla sua superficie
interna; attraverso un meccanismo ATP-dipendente, e attraverso conseguenti modificazioni di
forma del Chaperon stesso, cambia le sue caratteristiche di superficie interna esponendo degli aa
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idrofilici nascondendo le proprie catene laterali idrofobiche costringendo la proteina a ripiegarsi


correttamente non essendoci altre proteine alle quali potrebbe aggregarsi.

Strutture quaternaria delle proteine


Quando 2 o più proteine si uniscono fra loro, si parla di proteine in struttura quaternaria e ogni
catena proteina viene definita come sub-unità. Le sub unità possono essere identiche se derivano
dallo stesso gene (omodimeri, omotrimeri, omotetrameri) oppure se derivano da geni diversi si
parla di eterodimeri, eterotrimeri, eterotetrameri. In genere le sub unità sono legate da legami
non covalenti quindi reversibili, in genere. Spesso le varie sub unità si associano per coprire più
funzioni diversi: così come nei diversi domini di una singola catena di aa.
Le proteine in struttura quaternaria, in base alla loro forma, si classificano in proteine:
-globulari: che sono più o meno sferiche; sono la maggior parte di tutte le proteine. Un esempio è
l'emoglobina che è formata da 4 sub unità uguali a 2 a 2 (ci sono quindi due coppie di omodimeri
diversi fra loro);
-fibrose o filamentose: sono proteine con funzione strutturale all'interno o all'esterno delle
cellule. Per assolvere a questa funzione sono generalmente fatte per resistere a trazione
meccaniche, sono inoltre ricche di aa idrofobici per cui sono insolubili in acqua.
1. l'alpha cheratina molto diffusa in natura in specifiche strutture; essa è praticamente
inerte: la ritroviamo come costituente delle corna, delle penne, dei peli, delle unghie,
dei capelli. Se prendiamo un capello in sezione trasversale notiamo che le cellule che lo
compongono sono costituite al loro interno da numerose strutture di alpha cheratina,
le quali via via si organizzano in strutture sempre più complesse e resistenti.
Osserviamo l'alpha elica della cheratina: è caratterizzata da un passo di 5,4 A con 3,6
aa, è destrorsa, ha ponti H. Una alpha elica si associa ad un'altra alpha elica formando
una struttura superiore, attorcigliandosi fra di loro creando un avvolgimento avvolto in
senso sinistrorso, detto protofilamento. Due avvolgimenti avvolti si uniscono fra loro
andando a formare il protofilamento, due protofilamenti si avvolgono a formare una
protofibrilla. A stabilizzare i vari livelli di organizzazione, ci sono tantissimi legami. Se ad
esempio di fermiamo al primo livello di organizzazione, ciò che stabilizza l'avvolgimento
di 2 alpha eliche sono alcune interazioni idrofobici, alcuni legami ionici e il ponte SH (il
corno del rinoceronte ha la cheratina con più cisteine, che sono il 18% di tutti gli aa,
quindi con legami SH; al contrario la cheratina della lana o dei capelli ha meno legami
SH, quindi meno cisteine, quindi più flessibili e meno rigidi). La singola alpha elica che si
attorciglia in senso sinistrorso è la struttura terziaria della cheratina. Oltre alle cisteine
ci sono anche tanti altri aa idrofobici, tipo le leucine con cui creano legami idrofobici
all'interfaccia fra le 2 alpha eliche (fra questi amminoacidi idrofobici troviamo anche la
fenilalanina ma non troviamo la prolina che indurrebbe una variazione della geometria
della proteina). Un altro legame presente nella cheratina è il ponte salino o legame
ionico che avviene fra aa carichi + e – ovvero fra gli aa basici e gli aa acidi. Cosa capita
alle cheratine di un capello durante una permanente? Il parrucchiere deve modificare
la struttura quaternaria del capello evitando di degradare le proteine (deve modificare i
legami tranne quello peptidico); in che modo? Innanzitutto, lavora a caldo rompendo
subito le interazioni reversibili, dopo di questo aggiunge una soluzione on un contenuto
riducente che permette di rompere i ponti SH fra le cisteine coinvolte. Una volta rotti i
ponti SH, è facile manipolare la forma del capello, ad esempio, creando dei boccoli che
permettono quindi di avvicinare gruppi SH che prima erano lontani creando legami
disolfuro illegittimi.
2. collagene, che è la base del tessuto connettivo, es è sintetizzato dai fibroblasti. È la
proteina più abbondante dei mammiferi (è il 25% del peso dei mammiferi a secco,
escludendo l'acqua) ed è una molecola antichissima. Ne esistono più di 10 tipi diversi
codificati da almeno 18 geni differenti. Il collagene è formato principalmente da glicina
e prolina (i più problematici). Il collagene, se lo si osserva all'interno delle cellule, si
scopre che è costituito da tre sub unità (eterotrimero). La corda qui è formata da 3
catene proteiche diverse che si avvolgono in senso destrorso formando il procollagene
che, a livelli di organizzazione superiore forma la fibrilla. Ciascuna di queste catene ha
una propria struttura secondaria ovvero un'elica sinistrorsa che non è stabilizzata da
ponti H (il passo tuttavia è molto stretto: 3aa per giro di cui uno è sempre la glicina).
L'unità costitutiva della struttura terziaria e quaternaria del collagene è il
tropocollagene il quale è appunto formato da una tripla elica destrorsa. Ciò che
permette di avere 3 aa per giro è l'enorme quantità di glicina, viste le dimensioni
ridotte (un terzo di tutti gli aa del collagene). Sono estremamente presenti anche la
prolina e la lisina, tutti gli altri aa sono in quantità ridotte. Se ci sono mutazioni un un
paziente che vadano a cambiare anche solo una glicina del collagene, si possono avere
degli effetti molto particolari e variegati (dipende da quale collagene vanno a colpire e
in che punto del collagene). Andando a confrontare le sequenze consenso dei vari
collageni, si è scoperto che la glicina è presente ogni 3 aa, sempre. E sempre andando a
vedere le sequenze consenso si è scoperto che di fianco alla glicina troviamo o una
prolina o una lisina e, come terzo aa molto spesso troviamo o una idrossiprolina o una
idrossilisina. Abbiamo detto che l'aa più presente è la glicina: è fondamentale per le
strutture sinistrorse e, se andiamo ad osservare una tripla elica, ci accorgiamo che
sempre al centro troviamo una glicina, rendendo questo aa molto importante anche
per la struttura quaternaria. Queste tre eliche sinistrorse sono legate fra loro con
legami H e attraverso legami covalenti molto stabili. Ma come le triple eliche si
polimerizzano per creare le strutture quaternarie? Sono legate da legami che
avvengono solo fra le lisine (aa basico): l'enzima lisil-ossidasi ossida le lisine
trasformandole in un gruppo aldeidico e poi, una volta ossidate, le lega fra loro con un
legame crociato (ovvero un legame molto stabile che avviene tramite una
condensazione aldolica) che avviene fra triple eliche distinte ma anche all'interno della
singola tripla elica. Come avviene la sintesi del collagene? I ponti H avvengono a livello
della tripla elica e sono intermolecolari fra varie eliche ma anche fra una singola tripla
elica e avvengono fra gli OH di idrossiproline e idrossilisine (ad opera delle idrossilasi
che appunto aggiungono un OH a lisina e prolina). Queste idrossilasi possono
funzionare solo in presenza di un coenzima ovvero l'acido ascorbico (Vit. C). Importante
è capire che idrossilisina e idrossiprolina sono aa modificati, non c'è nessun gene che
codifica per loro, vengono infatti tradotti come lisina e prolina e poi un enzima li va a
modificare. In carenza di Vit. C si ottiene un collagene imperfetto che provoca lo
scorbuto, malattia che colpisce ossa, muscoli e tendini (tipico dei marinai che facevano
lunghi viaggi oceanici e non potevano assumere
Vit. C).
3. fibroina della seta, prodotta da ragni e insetti: è molto interessante perchè nella sua
struttura non ci sono eliche. Essa infatti contiene strati di foglietti beta ricchi di alanina
e glicina, idrofobici e molto piccoli (i due più piccoli): questo permette un grande
avvicinamento fra i piani dei foglietti beta i quali interagiscono fra loro con molte
interazioni deboli. Fra i gruppi peptidici, si formano come sempre i ponti H che
stabilizzano i beta foglietti fra loro. Sono proprio i ponti H che rendono la seta non
estensibile. La seta tuttavia è flessibile per via del fatto che i foglietti beta possono
essere piegati tutti insieme.
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PROTEINE DI TRASPORTO
Il problema del trasporto di ossigeno in organismi semplici è stato risolto con la diffusione
semplice, tuttavia in organismi più avanzati, meccanismi come la diffusione semplice servirebbero
appena a diffondere attraverso la pelle. Altri problemi sono relativi al fatto che l'O è poco solubile
in acqua e quindi anche nel sangue (quel poco che si solubilizza non è necessario al fabbisogno di
O nell'intero organismo e, se aumentassimo la concentrazione di O libero disciolto nel sangue,
esso sarebbe sotto forma di bollicine otturando i capillari); malgrado la natura abbia evoluto una
proteina deputata al trasporto di O, non esiste nemmeno un aa capace di legarlo reversibilmente:
l'ossigeno quindi deve essere respirato, legato, trasportato da un carrier e rilasciato dove occorre.
Chi svolge questo compito? In natura si è evoluto un sistema basato sui metalli di transizione, in
particolare Fe e Cu. Anche questo sistema ha dei limiti: il Fe è usato da tutti gli animali superiori
ma è un metallo che si ossida molto facilmente, soprattutto se lo mettiamo a contatto con
l'ossigeno (il Fe3+ ossidato non lega più l'O), solo il Fe2+ è capace di legare l'O reversibilmente. Ma
come fare per evitare che il Fe non si ossidi pur trasportando un ossidante? La soluzione è non
lasciare circolare Fe libero nel sangue ed evitare che si leghi a molte molecole di O facendolo
legare in modo controllato: una molecola di Fe e una di O. Per evitare che si ossidi, la natura ha
inserito Fe all'interno di una struttura non proteica denominata EME ovvero un eterociclo di
pirrolo ripetuto 4 volte. L'unità costitutiva di questo gruppo EME è un anello a 5 atomi di cui uno è
N e il resto sono C con H. Il Fe è legato ai 4 N dell'EME e lo fa attraverso dei legami di
coordinazione ovvero il legame dativo che vede uno ione metallico che si lega a dei ligandi che
abbiano a disposizione dei doppietti elettronici da mettere in comune per il legame (è un legame
covalente). Fe quindi, coordinandosi con i 4 N, impedisce che si possa legare con O visto che
anch'esso ha doppietti elettronici liberi. Fe può dare 6 legami di coordinazione: 4 sono occupati
dall'EME, ne restano altri 2 che sono uno sopra e uno sotto al piano (ricordiamo che il Fe per non
ossidasi può trasportare uno e un solo O). L'EME è chimicamente una porfirina. Il quinto legame
del Fe è impegnato con l'N di una catena laterale di un aa appartenente ad una proteina: questo N
appartiene all'anello imidazolico dell'istidina (aa moderatamente basico). Questa istidina è detta
istidina prossimale e il sesto legame del Fe è ovviamente utilizzato dall'O. L'EME si trova dentro ad
una proteina globulare e si trova dentro ad una sua tasca: il Fe è quindi blindato per 4 lati dai
legami con l'EME e da una istidina prossimale (lo spazio che ha l'O per legarsi al ferro è comunque
molto limitato). Tutto ciò è fatto in modo tale da rendere maggiore l'affinità fra Fe e O visto che
nell'aria non c'è solo O e il Fe è affine anche ad altre molecole tipo il CO che sarebbe velenosissimo
per noi e che, tra l'altro, è 20mila volte più affine al Fe dell'O. In che modo quindi tutto questo
complesso lega O e non CO? La prima risposta è che l'EME, banalmente, si trova in una globina.
Oltre all'istidina prossimale c'è una seconda istidina distale che non lega il Fe ma che agisce
opponendosi alle molecole entranti (è fastidiosa addirittura per l'O). L'istidina distale è abbastanza
lontana da non legare il Fe ma abbastanza vicina per complicare leggermente il legame Fe-O e
rendere molto difficile tutti gli altri legami fra Fe e altre molecole diverse da O. Il monossido di
carbonio è ibridato sp e quindi può dare legami secondo un angolo di 180° e quindi subisce
enormemente l'ostacolo dell'istidina distale. L'O è ibridato sp2 quindi attua dei legami di 120° ed
entra molto meglio nella tasca e subisce molto meno fastidio da parte dell'istidina distale. Quindi,
sebbene CO sia 20mila volte più affine a Fe rispetto ad O, con tutti questi meccanismi, diventa solo
200 volte più affine dell'O, tutto a causa dell'istidina distale. Come ultimo discriminante fra CO e O
è proprio la concentrazione nell'aria di O rispetto a CO che si trova solo in tracce.
Senza l'istidina distale soffocheremmo per la presenza di altri gas, senza l'istidina distale il Fe
potrebbe legare due O e si ossiderebbe perdendo la sua capacità di trasporto reversibile, se si
facesse a meno dell'EME avremmo 4 punti scoperti sul Fe e la sua ossidazione sarebbe sempre più
veloce.
Ma quali sono le proteine che possono portare l'EME e con esso l'O?
Mioglobina
Questa è una proteina in struttura terziaria, quindi fatta di una singola catena proteina fata di
153aa che possiede 8 alpha eliche e loop. È la proteina che troviamo prevalentemente nei muscoli
dove ha la funzione di legare l'O facendo da riserva di O nei muscoli.
Consideriamo il legame che una qualunque proteina può dare con un ligando, si forma il
complesso proteina-ligando. Questa “reazione” rappresenta un equilibrio e può ovviamente
essere manipolato. Da cosa dipende l'equilibrio di reazione? Dipende certamente dalle
concentrazioni delle 3 strutture in gioco (se sono alte le concentrazioni a sx l'equilibrio va verso dx,
viceversa se è alta la concentrazione a dx l'equilibrio si sposta verso sx). Inoltre, tanto più la
proteina è affine al proprio ligando, tanto più la legherà quando ce n'è poco. Ovviamente è
possibile calcolare la costante di associazione: tanto più essa è elevata, tanto più l'equilibrio va
verso sx; viceversa la costante di dissociazione, tanto più è piccola, tanto più il complesso è stabile
e la reazione è spostata verso sx. Si considera positiva una costante di associazione alta, così come
una bassa costante di dissociazione.
Se osserviamo una generica curva di interazione fra proteina e ligando: sull'asse x troviamo
quantità crescenti di ligando, sull'asse y abbiamo il rapporto fra i siti occupati dell'enzima e i siti
totali (0=nessun sito occupato; 1=tutti ti siti occupati). L'andamento è di tipo iperbolico. Vi è una
concentrazione di ligando al quale la proteina è satura al 50%, tale concentrazione corrisponde
alla costante di dissociazione. Tanto più è alta la costante di dissociazione, tanto più ligando
servirà per saturare la proteina; tanto più è alta, tanto meno affine sono proteina e ligando.
L'andamento è iperbolico perchè prima o poi si arriverà ad un plateau, significa che dopo un po' si
occuperebbero tutti i siti di legame e non si può più andare oltre.
Se osserviamo la curva di saturazione della mioglobina, ovviamente la confrontiamo con il suo
ligando ovvero l'O2. Anche qui troviamo un valore di kd alla quale il 50% dei siti di legame dalla
mioglobina sono occupati dall'O2: questa kd è chiamata P50 quando il ligando è un gas. Questa
P50 della mioglobina è molto bassa indicando la grande affinità proteina-ligando: nei nostri
polmoni la pressione dell'O” è 100 Torr, nei nostri tessuti è 20 Torr; se osserviamo la curva, la kd (o
P50) è 2 Torr, il che è davvero molto bassa e indica una grandissima affinità.
Come si comporta la mioglobina nei nostri muscoli?
Il sangue circola nel nostro organismo portando O2 in tutti i distretti tissutali e, in condizioni di
riposo, basse pressioni parziali di O2 servono a saturare tutte le cellule dell'organismo. In
condizioni di riposo quindi i depositi di mioglobina saranno sempre pieni. Se iniziamo a fare degli
sforzi prolungati, la prima cosa che fa il corpo è aumentare i battiti del cuore per portare più
sangue e ossigeno nei distretti, nell'unità di tempo. Questo per un po' di tempo è sufficiente ma,
se questo si protrae nel tempo, prima o poi andremo in carenza di ossigeno (succede solo in certi
tessuti: non sono interessati da questo meccanismo il cuore, il cervello). Quando si va sotto la P50
di O2, quindi si va sotto il 50% di mioglobina, nei muscoli volontari, questa diventa in grado di
cedere il proprio O2: questo è particolarmente importante per alcuni animali, tipo i cetacei che
vivono sott'acqua ma hanno bisogno di respirare (il capodoglio ha un sistema talmente efficiente
che riesce a stare per più di 2 ore senza respirare).
Per la funzione di riserva di O2 nei tessuti, la mioglobina è perfetta perchè lo rilascia solo in
condizioni di necessità. Come se la caverebbe nel circolo sanguigno? Anche se la mioglobina ha un
legame molto forte con l'O2, sarebbe molto inadatta ad essere un “trasportatore”. Quando un
capillare arriva ad un alveolo polmonare,incontra una pO2 di 100 Torr, se avessimo la mioglobina a
fungere da trasportatore, riuscirebbe a questi valori di pressione, a legare l'O2? Sì, senza alcun
problema. Se dai polmoni ci spostiamo verso altri distretti tissutali, avremo delle differenza di
pressione: ad esempio un muscolo a riposo ha una pressione pO2 di 40 Torr, un muscolo sotto
sforzo avrebbe una pO2 di 20 Torr.
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Qui la mioglobina se la caverebbe molto male perchè si troverebbe ad un punto molto lontano
dalla sua P50 e quindi non cederebbe quasi nessuna molecola di O2. Quindi, se bastano 2 Torr per
caricare la mioglobina al 50%, bastano valori di pressione poco più superiori per caricarla
completamente.
Emoglobina

Abbiamo detto che se avessimo la mioglobina come trasportatore, si caricherebbe al 100% nei
polmoni ma si scaricherebbe di pochissimo in condizioni di sforzo, senza dare ossigenazione (si
scarica di circa il 6%). L'emoglobina invece si carica “leggermente peggio” nei polmoni ma riesce a
cedere O2 molto meglio nei tessuti periferici fornendo circa il 66%.
L'emoglobina è una molecola simile alla mioglobina, la troviamo nei globuli rossi, si carica di O2
negli alveoli e si scarica benissimo nei tessuti periferici. Nei tessuti periferici l'emoglobina si carica
di CO2 che la scaricherà negli alveoli polmonari.
L'emoglobina è una proteina in struttura globulare, formata da 2 catene alpha e 2 catene beta. È
una proteina grande e ciascuna delle 4 catene di cui è formata assomigliano alla mioglobina: in
prima analisi quindi è come se l'emoglobina fosse formata da 4 mioglobine. Se la mioglobina
conteneva un solo gruppo EME in cui trovavamo solo un Fe, l'emoglobina contiene 4 gruppi EME,
ciascuno con il proprio Fe, capace di legare complessivamente 4 O2. La principale differenza è che
le 4 “mioglobine” presenti nell'emoglobina non lavorano singolarmente ma comunicano fra loro
ma formano un complesso unico. Aumentando il livello di analisi e confrontando le sequenze aa
della mioglobina, delle catene alpha e delle catene beta dell'emoglobina, ci accorgiamo che sono
diverse, ci sono solo 27 aa in comune (è una cosa sorprendente perchè le strutture finali sono
estremamente simili).
Alcuni degli aa presenti su entrambe le proteine sono l'istidina distale e l'istidina prossimale.
Questo ci da due concetti: la stessa struttura proteina può essere raggiunta da sequenze di aa ben
diverse; il secondo concetto è che gli aa essenziali per questa funzione (legare l'O2), devono
essere necessariamente presenti. Sia la mioglobina che le singole sub unità dell'emoglobina hanno
lo stesso meccanismo chimico di azione del legame di O2: un Fe2+ coordinato con 4 legami al
gruppo EME, il quinto legame è determinato dall'istidina prossimale e l'O2 arriva dal lato opposto;
l'unica differenza è che complessivamente l'emoglobina ha tutto questo moltiplicato x4.
Le 4 sub unità dell'emoglobina si trasmettono informazioni fra di loro attraverso conformazioni
per essere più o meno affini all'O2 in base alle condizioni esterne. Questa è la base molecolare
attarverso l'Hb è un perfetto trasportatore di O2. Nella curva di saturazione, il suo andamento non
è iperbolide come a mioglobina ma è sigmoide, l'unica cosa in comune è il plateau. A pressioni
parziali basse, è molto meno capace della mioglobina nel legare O2; la sigmoide è molto più
spostata a dx: questo indica una P50 molto più verso dx e quindi molto più alta nell?Hb rispetto
alla mioglobina. A basse pressioni di O2, l'Hb si satura poco quindi è poco affine con esso quando
c'è poco O2. Questa è una condizione ideale per cedere l'O2 nei tessuti e caricarla nei polmoni
dove la concentrazione è molto alta. Qui sta il segreto dell'Hb ovvero riuscire a modulare la
propria affinità con l'O2: ad alte concentrazioni Hb è molto affine, viceversa a basse
concentrazioni. Guardiamo questo grafico da dx verso sx: partiamo da una condizione di alta
concentrazione di O2

nei capillari attorno agli alveoli con P di 100 Torr; verso sx ci spostiamo verso capillari più a riposo
e poi verso ad esempio un muscolo sotto sforzo andando a diminuire sempre più la pressione
parziale di O2. L'Hb passando dagli alveoli ad un tessuto a riposo, scarica circa il 21% dell'O2,
andando in un tessuto in intensa attività, scarica fino al 66% dell'O2 caricato; tuttavia non riesce
mai a scaricarsi completamente (resta sempre il 33% dell'O2 legato all'Hb: questo è dovuto al fatto
che nessun processo biologico in natura ha una efficienza del 100%).
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Ipotizziamo con questo grafico che possa esistere una ipotetica Hb con 4 sub unità che non
cooperano fra di loro. Le 4 sub unità non cooperative, modellate matematicamente,
faticherebbero a saturarsi anche in condizioni di alta percentuale di O2 negli alveoli (si arrivo al
70% di saturazione). Ciascuna sub unità cercherebbe di strappare l'O2 all'altra sub unità e non si
arriverebbe mai al plateau desiderato. Andando nei distrutti tissutali dove la concentrazione di O2
è più bassa si arriverebbe al massimo ad un 38% di O2 scaricato.

Come comunicano le 4 sub unità dell'Hb?


Le 4 sub unità sono legate fra loro in zone di contatto fra le sub unità. In queste regioni di contatto
fra le varie sub unità, le interazioni che sono in gioco sono tutte reversibili e non esistono legami
covalenti. A grandi linee, sono interazioni idrofobiche fra gli aa (perchè sono regioni non esposte al
solvente); troviamo poi dei ponti H fra i gruppi polari e soprattutto dei legami ionici. Fra i due stati
vi è un evidente variazione di conformazione: la zona centrale è molto più ampia nello stato T. Nel
passaggio fra una forma all'altra, quindi, i dimeri si spostano chiaramente dando alla molecola due
comportamenti differenti.
L'Hb oscilla fra due stadi:
1. stato T: poco affine all'O2 è stabilizzato soprattutto da legami ionici. Quando questi legami
ionici si rompono fra 2 sub unità, favoriscono il passaggio allo stato R e, quando si comincia
a passare allo stato R, vengono condizionate anche le altre sub unità inducendole a
trasformarsi ad uno stato R. Cosa permette ai legami ionici di formarsi o rompersi? Il pH. I
gruppi aa, a pH neutri o leggermente acidi sono sicuramente protonati e carichi + e quindi
sono in grado di interagire con aa acidi se presenti con la loro carica -. Se andiamo a pH
basici gli aa si deprotonano e quindi non possono entrare in gioco nel creare ponti ionici. Ci
saranno quindi dei pH adatti a stabilizzare lo stato T e altri pH meno adatti;
2. stato R: molto affine all'O2.
Consideriamo un'unica sub unità in cui abbiamo il Fe2+ nel gruppo EME legato all'istidina
prossimale: siamo nello stato T con bassa affinità per O2. Una volta arrivato l'O2, si forma il
legame di coordinazione trascinando verso di sé il Fe e lo si nota soprattutto sull'effetto che tutto
ciò ha sul gruppo EME che si sposta leggermente. L'O2, tirando verso di sé il Fe, tirando verso di sé
EME, tira verso di sé l'istidina prossimale e quindi tira anche l'alpha elica inducendo una
modificazione di forma. Se la sub unità fosse da sola, questo non avrebbe effetto ma, nell'Hb, il
legame con l'O2 fa passare la sub unità allo stato R portando ad una modificazione di
conformazione che si trasmette alle sub unità vicine. Tutte le interfacce comunicano questa
modificazione conformazionale anche se le altre sub unità non hanno ancora interagito con l'O2
portando alla rottura dei legami ionici. In questo modo le altre sub unità diventano in
conformazione R e diventano più affini al legame con O2.

Regolazione allosterica
Consideriamo una molecola di due sub unità che al tempo 0 è scarica. Nella regione in cui si
legherà il ligando c'è grandissima flessibilità per facilitare l'interazione con il ligando (essa è una
regione instabile). Una volta arrivato il ligando, che si lega ad esempio alla sub unità a dx,
legandosi cambia la forma, si stabilizza attraverso questo legame. Non si stabilizza solo la regione
di legame ma anche le altre regioni vicine. Questa nuova forma assunta dalla sub unità che lega il
ligando viene assunta anche dall'altra sub unità che il ligando non l'ha mai visto. Il secondo
ligando, quindi, riuscirà ad entrare nel sito di legame della sub unità ancora scarica, molto più
facilmente: questo sta alla base della regolazione allosterica ovvero la regolazione di una sub unità
che si stabilizza grazie al legame con un'altra sub unità.
Regolazione allosterica dell'Hb, come fa ad essere affine all'O2 nei polmoni e poco affine nei
tessuti?
Allosteria: regolazione di una proteina per legame di una molecola in un punto diverso che
definisce la funzione della proteina stessa. La molecola si chiama genericamente “effettore
allosterico”, il punto in cui si lega è il “sito allosterico”. L'Hb sfrutta l'O2 come effettore allosterico
(anche se è il ligando di una qualsiasi altra sub unità) e sfrutta più sub unità per regolare il
passaggio da conformero T a R e viceversa. Ma com'è possibile questo meccanismo? L'effettore
allosterico o fa passare tutte le sub unità da bassa affinità ad alta affinità in un colpo solo, o
sequenzialmente. Il primo modello è detto concertato ed è “tutto o niente”: può avvenire quando
ci sono fino a 3 ligandi che fanno scattare il cambio di conformazione e affinità. Il modello
sequenziale prevede che il legame del ligando faccia cambiare la conformazione della sub unità in
cui si lega e che si trasmetta ad una sub unità adiacente che legherà un secondo ligando. Non si sa
quale sia il modello valido, sono validi entrambi, si pensa che possano essere funzionali entrambi,
contemporaneamente. L'inizio e la fine dei due modelli sono ovviamente uguali.
L'Hb, in tutto il suo percorso dai polmoni ai tessuti, non viene modulata solamente dalla pO2 che
trova nei tessuti, ma anche dal pH.
La CO2 viene prodotta come scarto del metabolismo delle nostre cellule e viene riversata nel
sangue, il problema è che ovviamente non potrà accumularsi all'infinito, sopra una certa soglia la
CO2 è gassosa (cosa impensabile nel sangue). Gran parte della CO2 (circa 80%), entra negli
eritrociti dove incontra l'enzima anidrasi carbonica che aiuta a far diventare acqua e CO2 in acido
carbonico in modo estremamente veloce. L'acido carbonico si dissocia automaticamente in H+ e
HCO3-. Si liberano quindi dei protoni che acidificano i tessuti periferici. Nei polmoni avviene la
reazione opposta: HCO3- diventa acido carbonico, poi acqua e CO2 che verrà espulsa dai polmoni
stessi. Nei tessuti periferici si ha una acidificazione, nei polmoni una basificazione (si parla sempre
di decimi di pH). Il fatto che il pH influenzi l'Hb è dovuto all'effetto Bohr.
A pH 7.2 nei tessuti, la sigmoide dell'effetto Bohr si sposta a dx ove a basse pressioni parziali di O2
risulta ancora meno affine per l'O2 e così Hb cede ancora più O2 ai tessuti periferici stabilizzando
ancora di più il suo stato T. a pH 7.6 nei polmoni, la curva è più a sx: ad alta pO2, l'Hb si carica
ancora meglio di O2 perchè il conformero predominante la forma R. Quindi, l'effetto Bohr è una
variazione della curva di saturazione dell'O2 all'Hb, in funzione del pH.
Come fa Hb a percepire il pH? Ci riesce legando direttamente l'H+ così come legando O2, Hb
riusciva a percepire la pO2. La differenza sta nel fatto che H+ e O2 si legano in punti diversi della
molecola di Hb provocando effetti opposti.
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Questi H+ si legano su tanti aa diversi e ionizzabili ma principalmente si legano alla catena laterale
delle istidine dell'Hb. La variazione di pH si riflette sulla variazione dello stato di ionizzazione anche
di altri aa basici che tendono spontaneamente a protonarsi a pH leggermente acidi o neutri. Solo a
pH basici tenderanno ad essere privi di carica e non daranno ponti salini. A pH leggermente acidi si
protonano e quindi danno ponti salini che stabilizzando la forma T dell'Hb. Gli aa acidi invece
tendono spontaneamente a perdere H+ andando a favorire la forma R.
L'Hb quindi risulta essere oltre che un trasportatore di O2, anche un trasportatore di H+ ma anche
di CO2. La CO2 può essere smaltita in 3 modi: può essere sciolta nel sangue (% trascurabile); circa
l'80% della CO2 è convertita in acido carbonico negli eritrociti (aiutando l'effetto Bohr, visto che
libera H+); circa il 20% di CO2 viene legata all'Hb in modo diretto ma assolutamente reversibile
perchè deve essere scaricata a livello degli alveoli polmonari. Ovviamente CO2 e O2 non
condividono lo stesso sito di legame sull'Hb. La CO2 si lega innanzitutto ad ogni sub unità dell'Hb
quindi per una molecola di Hb ci saranno 4 CO2, legandosi alla N-term trasformando l'Hb in
carbammino-emoglobina. Siccome anche la parte N-term dell'Hb era coinvolta in legami ionici, il
legame della CO2 cambia l'equilibrio fra forma T ed R: il legame della CO2 permette di formare
nuovi legami ionici che ancora una volta stabilizzano lo stato T (così come accadeva con gli H+).
Nei tessuti periferici quindi, dove già c'è poco ossigeno e Hb tende a scaricarlo, si lega la CO2 che
crea nuovi ponti salini che stabilizzano la forma T che facilita ancora di più il rilascio di O2; siccome
in questo legame viene liberato anche un H+, ogni volta che ciò avviene si incrementa ancora di
più l'effetto Bohr che sposta l'equilibrio verso lo stato T. Tutto questo ragionamento si inverte nei
polmoni: l'alta concentrazione di ossigeno farà diventare affine per esso l'Hb (che sarà in stato R) e
rilascerà la CO2 per passaggio di conformazione.
Un altro grande modulatore dell'Hb adulta è il 2,3-bisfosfoglicerato, una molecola prodotta
durante l'ossidazione del glucosio, presente in concentrazione 5M nei globuli rossi. Tutte le volte
che in una molecola troviamo bis- o tris- invece di bi- e tri- nella nomenclatura, significa che i
gruppi chimici che stiamo considerando, sono legati in punti diversi della molecola. Questa
metabolita secondario è una molecola piccola, acida che riesce ad inserirsi al centro della
molecola di Hb, proprio fra le varie Hb grazie proprio al gruppo acido al suo primo C che permette
di dare interazioni con aa basici (circa 6, tutti e solo appartenenti alle sub unità beta dell'Hb).
Questa molecola, ponendosi al centro dell'Hb stabilizza il suo stato T, ovvero la forma
deossigenata dell'Hb.
Qual è l'effetto del BPG sulla curva si saturazione dell'Hb?
Il BPG si trova nei globuli rossi ad elevate concentrazioni. La normale curva di saturazione dell'Hb è
quella centrale ed è quella corrispondente alla
concentrazione normale di BPG. Immaginiamo
una condizione in cui non esista BPG (molto
improbabile), non avremmo più un andamento
sigmoide ma l'andamento della curva
diventerebbe iperbolico: significa che l'Hb
diventerebbe simile alla mioglobina, forse
peggio, perchè sarebbe come avere 4
mioglobine alla massima affinità e non sarebbe
capace di cedere O2 nei tessuti. Nell'adulto
abbiamo una Hb con due catene alpha e due
catene beta, nel feto, al posto delle catene beta
ci sono due catene gamma che derivano
dall'espressione di un altro gene. Le catene
gamma legano pochissimo il BPG, come mai?
Perchè al posto di una delle istidine elle catene beta, sono sostituite con la serina. Il feto, quindi,
possiede una affinità per l'O2 elevatissima per strappare O2 all'Hb adulta della madre. Se il feto
non avesse così tanta affinità per l'O2, morirebbe visto che letteralmente non respira.
Se osserviamo un confronto fra Hb fetale e Hb adulta, notiamo che quella fetale è spostata verso
sx, ha un a P50 più bassa, nostra maggiore affinità per l'O2; tenendo conto che il feto non respira e
che ha una Hb più potente della madre, come può cedere O2 ai tessuti? Ce la fa proprio perchè
non respira: le pressioni parziali di O2 dei tessuti del feto, sono basse per cui Hb carico di O2,
davanti a queste pO2, cede facilmente tutto l'O2.

Il BPG è anche legato all'adattamento dell'organismo ai vari tipi di ambienti. Nei muscoli, senza
sforzi, la pO2 resta costante; cambia invece nei polmoni a seconda di dove ci troviamo. Una
persona che si trova a livello del mare incontra una pO2 superiore ai 12 kPa e l'Hb si carica di O2
quasi al 100%; una persona che invece si trova a 4500m di altezza slm, incontra una pO2 di circa 8
kPa: rispetto al livello del mare la pO2 è molto bassa e l'Hb si satura meno (prima intorno al 96%,
ora intorno al 90%). A livello del mare il delta fra quanto era carica e quanto si scaricava era di
38%, a livello del mare si riduce al 30%. Se ipotizziamo che il soggetto resti in montagna per un
tempo prolungato, il suo organismo risponderà adattandosi a questo ambiente ad esempio
aumentando il metabolismo basale oppure aumentando la concentrazione di BPG che passa dai
5mM a 8mM (ci impiega circa 3 settimane). La cosa strana è che aumentiamo i livelli di un
modulatore negativo che quindi renderebbe Hb meno affine per O2. Innalzando i livelli di BPG, la
curva di saturazione si sposta verso dx con P50 maggiori. Spostandosi verso dx l'Hb si satura un po'
meno, tuttavia questa Hb è molto più efficiente nel dissipare le proprie riserve di O2 (riesce a
cedere il 37% dell'O2 immagazzinato nei polmoni, che è simile al 38% dell'Hb a livello del mare). Se
lo stesso individuo viene riportato a livello del mare improvvisamente, si troverà in presenza di
una maggiore pO2 (circa 13%) e con una concentrazione di BPG di 8mM per alcune settimane.
Cosa capita? Capita che la sua Hb si carica quasi al 100% ma rimane capace di scaricarsi molto di
più (per via del BPG) di una emoglobina “normale”, si scarica infatti di circa il 50% (questo
succederà fino a quando avrà livelli di BPG alti).
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ENZIMI
Sono i catalizzatori dei processi biologici e aumentano la velocità di reazione dei processi biologici.
Sono quindi molecole che fanno avvenire le reazioni con tempi compatibili con la durata dei
processi biologici. Tutti gli enzimi sono proteine ovviamente, e sono globulari nella maggior parte
dei casi. Gli enzimi sono molecole estremamente efficienti perchè riescono a ripetere il loro lavoro
moltissime volte nell'unità di tempo processando così tantissime molecole ogni secondo. È
importante capire però che non possono agire sulla termodinamica della reazione, non possono
agire sulla spontaneità della reazione e sul suo equilibrio, possono solo velocizzarla: la reazione su
cui agiscono gli enzimi deve essere spontanea, altrimenti non può accelerarla. Poichè permettono
a migliaia di reazione di avvenire, gli enzimi sono anche punti di regolazione di processi molto
complessi (sono quindi accesi, spenti, velocizzati o accelerati proprio per regolare queste reazioni).
In genere gli enzimi agiscono su uno o su pochi substrati: sono molto specifici.
Molto importante per comprendere gli enzimi è lo studio della cinetica enzimatica ovvero la
reazione fra l'enzima e il suo substrato (il reagente), per ottenere il prodotto. Fra il substrato e il
prodotto troveremo l'ES ovvero il complesso enzima-substrato ovvero quello che si forma
dall'interazione fra le due componenti. L'enzima, sia all'inizio che alla fine della reazione, resterà
sempre uguale: è importante per incontrare una nuova molecola di substrato e e fare la stessa
identica reazione milioni di volte.
È importante ripetere che l'enzima non può intervenire sulla spontaneità di una reazione, non può
cambiare il delta G di una reazione che cambierebbe se e solo se si cambiano le concentrazioni del
substrato o del prodotto.
Se è vero che un enzima agisce in modo specifico (per un enzima c'è un substrato o poco più di
uno), significa che abbiamo migliaia di substrati, migliaia di reazioni chimiche che avvengono nel
nostro corpo e, di conseguenza, questo significa che esistono migliaia di enzimi nel nostro corpo.
Non solo riconoscono un solo substrato, ma spesso questi enzimi sono anche stereospecifici
ovvero riconoscono un solo isomero di un substrato (oppure riconoscono i centri chirali).
Reazione di 1° ordine
La reazione più semplice in cui il substrato diventa prodotto. In base alle caratteristiche
biochimiche di S o P, l'equilibrio è spostato verso dx o verso sx (a seconda se S o P sono più stabili).
Ovviamente anche la concentrazione di S o P influenza l'equilibrio della reazione. Tutto ciò po'
essere rappresentato da una curva tipica di ogni reazione NON catalizzata che appunto
rappresenta la variazione di energia libera, passando dal valore energetico del substrato a quello
del prodotto. Se il P ha un contenuto di energia G inferiore a S, il delta G sarà negativo, vuol dire
che P è più stabile. In ogni reazione troviamo il delta G° (zero) ovvero la variazione di energia
libera std ovvero valutata a 25°C, a pressione atmosferica e a concentrazione unitaria di P e S. Il
delta G1° (primo) std è invece la variazione di energia libera in condizioni biochimiche: vuol dire
che si considera T=36°C, pH=7,4 e [S] e [P] fisiologici.
Il delta G1° si conosce per ogni reazione del nostro organismo ma è importante ricordare che la
stessa reazione, se avviene ad esempio in un muscolo a riposo, in un muscolo sotto sforzo o nel
cervello, ha valori di delta G differenti per via delle condizioni dell'ambiente e per le
concentrazioni sia di P che di S.
Poichè il delta G1° è influenzato dal delta G° e dalle condizioni ambientali, se la reazione parte con
un delta G° negativo, la reazione diventa ancora più spontanea se S>P; se P>S, anche se delta G°
era negativo, il tutto potrebbe diventare positivo e quindi annullare la spontaneità. Tutto ciò per
dire che è necessario conoscere le condizioni ambientali, i vari delta G della reazione e infine
anche le concentrazioni di S e di P per capire se questo tipo di reazione può effettivamente
avvenire nell'organismo oppure no.
In tutto ciò, se la reazione è spontanea, non vuol dire che sia anche veloce in termini biologici.
Nella reazione da S a P, fra S e P troviamo un ulteriore stato molto instabile e ad alta energia che si
chiama “stato di transizione”: in questo stato si stanno rompendo i legami della molecola di S e si
stanno formando i legami per arrivare a P. Questo stato di transizione è il “muretto energetico” di
ogni reazione: se è basso può essere superato velocemente mentre se è altro rende molto più
lenta la reazione. È chiamato in genere Energia di attivazione (Eatt) e quindi ci dice in modo
pratico la velocità di reazione in base alla sua altezza, in base al suo “picco”. L’enzima ovviamente
agirà proprio su questa Eatt abbassando il picco energetico (senza intervenire né su P né su S
ovvero né sullo stato iniziale né su quello finale).
La reazione non catalizzata che porta da S a P ha una certa velocità che viene influenzata dal
substrato e dalla costante cinetica: tanto essa è alta, tanto la velocità di reazione sarà elevata.
Questa costante cinetica è inversamente proporzionale alla Eatt: costante alta=alta velocità=bassa
Eatt. Il segreto della catalisi sta nella capacità dell'enzima ad interagire con S per formare il
complesso ES. Mentre S è legato ad E, si converte in P. La reazione tipo è la seguente:

Come può l'enzima accelerare la reazione? In due modi:


1. la formazione de complesso ES è altamente specifica (un enzima per un solo substrato
nella maggior parte dei casi) e generalmente, anche se con eccezioni, l'enzima è
enormemente più grande del S che viene accolto nel sito attivo dell'enzima ovvero una sua
tasca interna protetta dl mondo esterno e dall'interazione con altre molecole: ovviamente
se il substrato non è quello giusto, S non può entrare nell'enzima;
2. abbassamento dell'Eatt: proprio grazie alla formazione del complesso ES ed EP che creano
degli intermedi di reazione con energia più bassa di S singolo; ad ogni modo, siccome
l'enzima non agisce sulla termodinamica della reazione, l il delta G di S iniziale e il delta G di
P non cambiano.
Per cui, alla fine del discorso, due grandi virtù degli enzimi sono: la capacità di aumentare la
velocità di reazione (alcuni degli enzimi più lenti, tra cui ad esempio l'anidrasi carbonica, aumenta
la velocità di reazione nell'ordine di 10^7); elevata specificità per il substrato (alcuni enzimi
lavorano su più di un substrato) e specificità per il prodotto.
Ma come fa un enzima ad abbassare Eatt?
Prendiamo come esempio qualcosa di macroscopico: S è una barretta di metallo, P è la stessa
barretta di metallo spezzata in due parti e il punto più alto della curva (ovvero il punto di Eatt)
corrisponde alla barretta un istante prima che si rompa. L'enzima dovrà aiutare a rompere quella
barretta avendo delle interazioni proprio con S. Un esempio di catalisi potrebbe essere un
magnete che aiuti a piegare la barretta per romperla. Se il magnete fosse completamente
complementare con la barretta metallica, quindi se l'enzima riuscisse ad avere una interazione
massima con S, lo stabilizzerebbe e non gli permetterebbe di diventare P. La realtà biochimica è
che l'enzima riconosce S con poche interazioni specifiche (il numero minimo); l'enzima da il
maggior numero di legami con lo stato di transizione ovvero quella molecola altamente instabile
dove si rompono i legami tipici di S e si formano quelli di P (è come se il magnete fosse
compatibile solo con la barretta già piegata). Andando a stabilizzare lo stato di transizione di S, si
facilita la “discesa” verso P. Ma chi è che porta via l'energia del picco di Eatt?
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L'energia viene sottratta proprio dal complesso ES che si forma. Ovviamente l'enzima non è rigido
ma può cambiare conformazione come tutte le proteine: E ed S non sono subito compatibili ma si
adattano fra di loro tramite un modello di “adattamento indotto”: il contatto fra E ed S, con un
insieme di interazioni deboli e reversibili, porta a modificarsi reciprocamente e a diventare ideali
nella interazione. L'enzima, nella maggior parte dei casi può catalizzare la reazione in entrambi i
sensi (da S a P e viceversa), tutto dipende però dalla termodinamica della reazione. Spesso però,
nelle vie metaboliche, il P di una reazione diventa S di un'altra reazione portando quindi ad una
riduzione di [P] spostando l'equilibrio sempre verso sx.
Tipi di catalisi (anche in contemporanea nello stesso enzima)
• catalisi acido-base: a livello del sito attivo intervengono le catene R degli aa che si
comportano da acidi o da base per far avvenire le reazioni. Questo enzima deve quindi
contenere degli aa in grado di prendere o cedere H+.
• catalisi covalente: tipico degli enzimi proteolitici ovvero che tagliano proteoliticamente
altre proteine. Durante la reazione si crea un complesso covalente fra ES (anche se la
maggior parte delle volte fra ES ci sono interazioni deboli) oppure fra un E e un intermezzo
di reazione;
• la terza strategia catalitica è la catalisi mediata da ioni metallici: un enzima è la DNA pol
che ha nel suo sito attivo dei cationi Mg2+ necessari affinchè avvenga la reazione.
Struttura generale degli enzimi
Gli enzimi per funzionare hanno spesso bisogno di alcuni aiutanti che sono i cofattori che possono
essere di origine proteica, ioni metallici, molecole organiche di origine non proteiche (i coenzimi:
ad esempio le vitamine). L'enzima che “si fa aiutare” è definito oloenzima: oloenzima + il
cofattore danno l'apoenzima. Quando ioni metallici o coenzimi sono legati covalentemente
all'apoenzima, sono definiti come gruppi prostetici. Classificazione internazionale degli enzimi
• ossidoreduttasi: enzimi che aiutano il passaggio di elettroni;
• transferasi: enzimi che aiutano il trasferimento di gruppi chimici;
• idrolasi: enzimi che aiutano la rottura di legami attraverso acqua;
• liasi: enzimi che aiutano la rottura di legami non attraverso acqua; • isomerasi; enzimi
che aiutano l'isomerizzazione di legami; • ligasi: enzimi che aiutano ad unire molecole.
Ovviamente ogni gruppo ha dei sottogruppi. Il nome complessivo dell'enzima è dato dal nome
della reazione e il tipo di enzima che opera in quella reazione (Es. DNA ligasi). La nomenclatura
passa da 2 nome a 3 nomi quando l'enzima lavora anche con un coenzima.

Cinetica enzimatica
Studiare la cinetica di un enzima porta a conoscere alcuni parametri descrittivi che ne
rappresentano la vera e propria carta d'identità. La velocità di una reazione enzimatica si misura
calcolando la [P] generato nel tempo. Per una determinata [S1], se abbiamo un andamento lineare
di generazione di P, tanto più passa il tempo e tanto più [P] otterremo proporzionalmente
all'andamento lineare della reazione. Più aumentiamo [S] e più notiamo che la retta del suo
andamento ha una pendenza maggiore e che quindi è aumentata la velocità di creazione del P
(aumentando S si genera più P nell'unità di T). Più si aumenta [S] e più si nota che l'andamento
non è più solo una retta ma inizia a curvare diventando un’iperbole. Perchè? Perchè ad un certo
punto siamo talmente veloci a generare P che abbiamo convertito già tutto S in P e non si può più
arrivare oltre arrivando ad un plateau generale. Se però consideriamo i primi minuti di reazione,
tutte le curve alle varie [S], sono delle rette (se consideriamo un T per cui S non si è ancora tutto
convertito in P). Sono proprio i coefficienti angolari di queste rette iniziali che daranno la velocità
di reazione. Anche se aumentiamo [S] per sfruttare al massimo la funzionalità dell'enzima,
arriveremo ad un punto in cui l'enzima sarà saturo e non potrà più aumentare la propria velocità
perchè si arriva ad una concentrazione di [S] in cui tutti i siti attivi di tutti gli enzimi presenti sono
occupati.
Per piccoli incrementi di [S], la reazione catalizzata cresce molto rapidamente ed arriva a
saturazione (al plateau) e quindi ad una velocità massima per un determinato enzima. La velocità
massima è il primo parametro cinetico che definiamo ovvero il numero massimo di molecole di P
generato per unità di T da una quantità ben fissa di enzima. A basse [S], ma comunque molto più
alte di [E], abbiamo un andamento rettilineo; ad alte [S] si arriva a saturazione e si arriva alla
velocità massima. L'unico modo per superare la velocità massima dell'enzima è quello di
aumentare [E], ingegnerizzarlo (cosa abbastanza difficile) o sostituirlo con un E più veloce (raro da
trovare).
Equazione di Michaelis-Menten
Per ottenere questa equazioni e questa teoria, sono state poste delle assunzioni, sono 3:
1. si considerano solo le velocità iniziali perchè all'inizio della reazione [S] non cala
significativamente. La quantità di P generato nei primi minuti/secondi di reazione, è
trascurabile perchè è improbabile, date le concentrazioni,che le poche molecole di P e le
poche molecole di E si incontrino per dare la reazione inversa. La reazione infatti, nei primi
minuti di indagine è irreversibile. La reazione inversa è sfavorita sia cineticamente (per
molecole che non possono incontrarsi) che termodinamicamente fino a che non si
accumuleranno grosse [P].
2. Lo step cineticamente limitante è la conversione del complesso ES in EP. Lo step
cineticamente limitante è il secondo indicato dalla k2 e che darà la velocità complessiva di
tutta la reazione. Nella fattispecie la k2, nel nostro caso, è proprio la conversione da ES a
EP. È la più lenta in quanto la formazione di ES è molto veloce vista la grande quantità di [S]
e di [E]. Quando ci si trova in ES devono essere rotti i legami che tengono insieme E ad S e
devono essere formati quelli nuovi per formare P e successivamente P deve staccarsi da E.
3. Equilibrio rapido del complesso ES e raggiungimento dello stato stazionario del
complesso ES. Si instaura un equilibrio fra E ed S per formare il complesso ES per cui questo
complesso rimane costante nel tempo (stato stazionario). Per discutere tale affermazione
osserviamo cosa succede alle varie specie chimiche durante una reazione:
1. S cala lentamente: all'inizio è in grande concentrazione ma poi viene convertito in P per
cui cala;
2. P invece aumenta dalla conversione di S ad opera di E;
3. E cambia rapidamente la propria concentrazione: l'E libero crolla molto velocemente
nei primi secondi di reazione scomparendo quasi del tutto. È importante notare che E
libero non sarà mai dello 0% perchè questo significherebbe una efficienza della
reazione del 100% e questo è impossibile in natura;
4. altrettanto velocemente alla diminuzione di E compare il complesso ES.
Dopo i primi istanti che E si complessa con S, si osserva una condizione di equilibrio, ciò significa
che la velocità di formazione del complesso ES, eguaglia quella di rottura del complesso stesso:
questo è lo stato stazionario. Come già detto quindi, il complesso ES potrà scomparire in due
sensi: o perchè si origina il P e quindi si libera E oppure ES si scinde in E ed S senza dare alcun
prodotto. Il complesso quindi si può formare solo in un modo ma si scinde in due modi. Se
trasformiamo la velocità di scissione in velocità di formazione e andiamo a considerare da cosa
sono costituite, riusciamo a scrivere questa equazione: k1[E][S] = k1[ES] + k2 [ES].
L'equazione di Michaelis-Menten è la seguente: essa è una equazione che descrive una iperbole.
Questo V0 indica la velocità iniziale che dipende dalla velocità
massima dall'enzima (che è una caratteristica tipica dell'enzima, ed è
un valore tabulato), dalla [S] (che conosciamo perchè l'abbiamo
fornita noi) e infine dipende dalla Km. Quindi, attraverso due
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grandezze misurabili ovvero la velocità massima, la velocità di reazione iniziale e [S], l'equazione ci
permette di scoprire una costante particolare che è proprio Km. Cos'è Km? È
uno dei parametri essenziali per descrivere un enzima e corrisponde alla concentrazione di S alla
quale l'enzima raggiunge la velocità semi massimale. Qualunque E ha una Vmax di lavoro? Quando
essa arriva a metà della Vmax possibile significa che essa sta lavorando con una concentrazione di
S pari alla Km. Numericamente quindi è una costante che corrisponde a [S] quando E raggiunge la
sua Vmax/2. A livello cinetico essa rappresenta ben altro. Qual è il significato di Km? Fra tutta la
dimostrazione per giungere a Km c'è un passaggio molto particolare: questo passaggio mostra
come essa sia un rapporto fra costanti cinetiche quindi una grandezza
adimensionale. Nella maggior parte delle reazioni, come già abbiamo detto,
lo step limitante è la conversione da ES a P ovvero lo step regolato dalla K2
che risulta essere la più lenta. Se siamo in una
condizione normale e K2 è certamente molto più bassa di K1, K2 può essere trascurata per cui ad
un certo punto avremo:

Valori bassi di Km ci dicono che l'enzima è affine a S, valori alti di Km ci dicono che E è poco affine
a S. Km è quindi inversamente proporzionale all'affinità fra E ed S. Questa equazione descrive
bene i grafici di reazione? In condizioni basse di [S], non otteniamo una iperbole ma una retta visto
che nella equazione generale [S] la possiamo elidere (a besse [S] la velocità è direttamente
proporzionale alla [S]); per alte concentrazioni di [S], diventa trascurabile la Km per cui la V0
diventa uguale alla Vmax del sistema in quanto tutti i siti attivi di tutti gli E sono saturi vista
l'elevata concentrazione di S.
Ma qual è l'utilità reale del parametro Km? Spesso la Km è in natura molto vicina alle
concentrazioni fisiologiche dei S per cui variando un po [S] possiamo passare da un E che lavora a
bassa velocità ad un E che lavora molto più velocemente. Consideriamo come esempio la prima
reazione della glicolisi ovvero la fosforilazione del Glu. Il Glu, nelle nostre cellule, reagisce con ATP
che cede un gruppo P diventando ADP e trasformando Glu in Glu-6P. Perchè l'organismo fa questa
cosa? Serve a “blindare” il Glu all'interno delle cellule che altrimenti uscirebbe tramite i
trasportatori GLUT. Il Glu-6P invece non ha nessun trasportatore per cui sarebbe impossibile per
lui uscire fuori dalla cellula. Per regolare questa prima reazione, ovviamente ci sono degli enzimi e,
gli enzimi che si occupano di fosforilare sono le chinasi, in questo caso sono le esochinasi. Ci
concentriamo su due enzimi che svolgono la stessa funzione sul Glu ma con due costanti diverse: 2
enzimi diversi che svolgono la stessa funzione sono detti isozimi. L'esochinasi 4 (o glucochinasi)
che si trova nel fegato è specifica solo per il Glu; l'esochinasi 1 si trova invece nel cervello ed agisce
non solo sul Glu ma anche su altri zuccheri esosi. In condizioni fisiologiche, non in condizioni di
iperglicemia e nemmeno in condizioni di ipoglicemia, nel nostro sangue abbiamo più o meno 5mM
di [Glu]. In queste condizioni, i neuroni nel nostro cervello, possono nutrirsi di Glu? Riuscirà
l'esochinasi 1 a fosforilare il Glu? La sua Km è 0,1mM ovvero 50 volte più basso della normale
glicemia per cui l'enzima va quasi al 100% della sua velocità (nel cervello). Se invece la [Glu] fosse
molto bassa ad esempio di 0,1mM, l'esochinasi 1 lavorerebbe a metà della sua velocità, a velocità
ancora inferiore l'enzima sarebbe quasi inattiva mentre a concentrazioni appena superiori allo
0,1mM l'enzima sarebbe quasi al 100% della sua velocità. L'isozima della esochinasi 1, ovvero la
glucochinasi, nel fegato, ha una Km di 15mM, 150 più alta di quella della esochinasi 1 rendendo la
glucochinasi molto meno affine per il Glu rispetto ad altri enzimi. Infatti, a concentrazioni
fisiologiche, l'evento ha una velocità di reazione molto bassa (circa 1/5 della sua Vmax). Questo ci
dice che la glucochinasi lavorerà sul Glu sono quando la sua concentrazione sarà elevata. Questo
perchè il cervello si nutre solo ed esclusivamente di glucosio (questo spiega perchè ha un enzima
molto affine ad esso), il fegato invece è l'unico organo che può produrre il Glu autonomamente
per cui avrà degli enzimi non necessariamente estremamente affini al Glu.
Quando la glicemia cala durante la notte, il nostro corpo riesce a creare un processo molto
particolare nel nostro corpo per la creazione di Glu in modo da liberarlo nel sangue e nutrire il
cervello. Questa differenza ci evita di andare in coma ogni notte per mancanza di Glu al cervello.
Tramite le Km e le [S], possiamo capire se fisiologicamente gli enzimi lavorano oppure no: tanto
più [S] supera la Km di E, tanto più esso sarà efficace ed attivo.
Ritornando alla curva di Michaelis-Menten, il problema grosso era quantificare la Vmax in quanto
questa era un asintoto verso il quale la curva tendeva ed era abbastanza difficile da quantificare in
laboratorio. Come si può quindi misurare in laboratorio? Si forniva ad una concentrazione
costante di E, una concentrazione crescente di S fino a quando la V di E non cambiava più, si
disegnava il grafico e si stimava la Vmax di ogni E. Un trucco matematico molto usato era quello di
trasformare l'equazione di Michaelis-Menten in una retta facendo i reciproci di ogni termine
dell'equazione.

L'ultima equazione, ovvero quella di Lineweaver-Burk non è altro che una retta.

Alla fine di tutto la Km ci dice solo quanto E è affine ad S, ci dice a che [S]E raggiunge la massima
velocità ma non ci dice se questa V sono in valore assoluto alte o basse. Questo lo si capisce
confrontando enzimi diversi con Km diverse fra loro.
Un altro parametro molto importante nella valutazione cinetica è la costante catalitica o “numero
di Turnover” (Kcat) ovvero il numero massi di molecole convertite in S nell'unità di T, per l'unità di
E. La Kcat è quindi una Vmax normalizzata per la quantità di E che consideriamo, permettendoci
di andare a confrontare vari tipi di E fra di loro: è un parametro molto semplice da calcolare ma è
di una grande importanza. Con un'altra formulazione la Kcat indica il numero
di moli di P generate nell'unità di T, per ogni E. Quando un E raggiunge la
propria Vmax è limitato solamente dalla sua tappa più lento che, come già
detto, è la K2. Dal punto di
vista delle unità di misura, la Kcat è espressa in 1/s ovvero s^(-1). Vi possono essere processi
catalitici fatte da numerose tappe e quindi definite da numerose K e, se le Kcat sono tutte simili
sarà necessario tenere conto del contributo di ciascuna costante ma, se nel processo catalitico c'è
uno step cineticamente limitante, la Kcat sarà uguale alla K dello step cineticamente limitante
essendo lo step più lento che da la velocità a tutto il resto. L'enzima che ha Kcat bassa è un enzima
molto lento, un enzima con Kcat alto è un E molto potente e veloce (sempre in base alla presenza
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di S). Un altro concetto della Kcat è che possiamo usare lo stesso E con una data Kcat per
confrontarlo con S differenti. Ad esempio la trioso-P-isomerasi può agire su due S, GAP e DHAP,
ma con Kcat diverse nell'ordine di 10 volte in base al S.
Tuttavia, così come solo la Km non basta per definire un E, anche solo la Kcat da sola non basta: ci
occorrono entrambe le K rapportate a [S]. Si è pensato di rendere più facile l'analisi di un E
facendo un rapporto fra Kcat e Km: questo rapporto è definito come costante di specificità e ci
permette di capire con un solo numero se l'E è efficiente (più è alta la K di specificità e più questo
E sarà efficiente). Questo rapporto permette di confrontare E diversi fra loro ma anche lo stesso E
per diversi S. La k di specificità ha il limite di non poter avere dei valori estremamente alti visto che
esiste un limite fisico nella reazione: sia E che S devono avere il tempo di incontrarsi per far
avvenire la reazione. Cosa limita l'incontro fra 2 molecole? L?unico limite sarà la V di diffusione
che le molecole hanno. Per ovviare a ciò la cellula ha creato tanti compartimenti per permettere
alle molecole di interagire fra di loro senza impedimenti o interferenze da parte di altre molecole.
Fra le molecole ovviamente esistono delle interazioni elettrostatiche che rendono più facili le
interazioni fra molecole (effetto Circe).

ESPERIMENTO DI LABORATORIO
Si pongono in provette delle [S] crescenti, senza enzimi; simultaneamente viene aggiunto l'E, si
lasciava avvenire la reazione per un numero limitato di minuti (perchè si vanno a valutare solo le V
iniziali). Ovviamente si lavora in presenza di un tampone per mantenere costante il pH e
permettere la massima aziona catalitica possibile. La reazione viene bloccata aggiungendo 100ul di
HCl 1M. Perchè si aggiunge questo acido a dissociazione forte per bloccare il tutto? Perchè
certamente l'aggiunta di acido forte ad un sistema, postava, visto le quantità, a denaturare i
campioni proteici, l'E, facendogli perdere la sua conformazione e la sua azione biologica. Tutto ciò
è fatto simultaneamente in tutti i pozzetti grazie a delle pipette multicanale. La lettura è fatta
tramite uno spettrofotometro che misura il colore sviluppato in ogni pozzetto il quale risulta
essere proporzionale al P generato dall'E. Sapendo quanto colore viene generato (proporzionale a
P) e sapendo in quanto tempo esso era stato prodotto (tempo uguale per tutte le reazioni), si
riesce a calcolare la Vmax, ma anche la Km, la Kcat e infine la costante di specificità
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MODULAZIONE DELL’ATTIVITA’ ENZIMATICA


La velocità di una reazione è influenzata da:
1. [S];
2. [E];
3. cofattori e coenzimi;
4. inibitori (molecole che servono a ridurre o bloccare gli enzimi per sempre o per un tempo
limitato);
5. allosteria;
6. attivatori;
7. pH;
8. T.
Gli enzimi possono essere inibiti in modo reversibile oppure irreversibilmente (detti anche suicidi).

4) Inibizione reversibile
Inibizione reversibile competitivo
Si può legare sulla base della propria affinità con l'E che sarà dettata dal numero di interazioni
deboli che l'I riesce a dare con E. L'I si lega nel sito attivo dell'E: è competitivo perchè I si lega al
posto di S. Molto spesso S e I sono molto simili ma se sono simultaneamente presenti, come si
decide chi entra nel sito attivo di E? Il tutto dipende solo da 2 cose: chi ha maggiore affinità
chimica (minore Kd) e chi si trova in concentrazione maggiore. Come si riflette tutto ciò sulla
cinetica? La curva cinetica di ogni reazione, all'aggiunta di dosi crescenti di I, perde di pendenza e
si sposta verso dx e con essa si sposta verso dx anche la Km che diventa quindi più alta e per cui
diventa peggiore. Se abbiamo molto S rispetto ad I, sempre in presenza di I, allora vince S
permettendo di arrivare comunque alla Vmax ma con [S] superiori alla
normale [S] in assenza di I. Se fornendo dosi crescenti di I si nota che si
raggiunge sempre la Vmax ma con maggiore [S] (quindi la Km si è
spostata verso dx), allora siamo difronte un I competitivo. Sulle rette dei
doppi reciproci on cambia il punti di incrocio delle tette sull'asse “y” in
quanto cambia solo il punto in cui le rette terminano sull'asse “x”
negativa.

Inibizione reversibile non competitiva o mista


Si tratta sempre di una inibizione reversibile ma il legame fra I ed E avviene lontano dal sito attivo
quindi S si può legare ad E anche quando I è legato ad E. Il legame di I induce cambiamenti nella
forma e nella funzione di E e ne riduce la capacità convertire S in P. Non andando ad interagire sul
sito attivo la Km resta invariata, quello che cala è la Vmax.
Anche in presenza di piccole quantità di I, pur non essendoci
competizione con S per legarsi al sito attivo, si riduce la Vmax di
catalisi che non si raggiunge mai. L'inibitore può legarsi, proprio
perchè non compete con S per il legame sul sito attivo, sia all'E
libero che all'E legato ad S formando sia il complesso EI che il
complesso
IES. Sul grafico dei doppi reciproci, poiché cambia la Vmax, tutte le
rette convergeranno su un unico punto negativo sull'asse “x”.
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Inibizione reversibile incompetitiva o acompetitiva


Gli inibitori incompetitivi si legano non nel sito attivo, non su un sito
allosterico dell'E ma in una via di mezzo ovvero sull'interfaccia ES. L'E
da solo non è appetibile per questo tipo di inibitore in quanto questo
I si lega ad E solo quando esso è già legato a S. L'I riconosce e lega
solo il complesso ES. Tanto più S viene aggiunto e si lega ad E, tanto
più aumenta il bersaglio dell'inibitore: con poche molecole di S e con pochi complessi ES, I può
fare poco ma se aggiungiamo via via grosse quantità di S, più si formano più complessi ES e più
esso potrà essere inibito. La formazione del complesso IES riduce la quantità di complesso ES
disponibile a convertire S in P e così facendo sposta verso dx l'equilibrio della reazione facilitando
anche la formazione del suo target ovvero il complesso ES. Il tutto fa calare la Km. In sostanza IES
porta ad un calo di ES e quindi altro ES deve formarsi. Come si riconosce questo tipo di inibitore?
Si lega all'interfaccia ES solo quando c'è S perchè il legame E ed S induce un adattamento fra di
loro: E è fatto per interagire con alcuni punti di S ma per essere perfettamente affine allo stato di
transizione. Quando si forma il complesso ES e quindi quando si rimodella l'E attorno al S per
permettere la catalisi del P, è qui che assume la giusta forma per interagire con I. L'effetto sulle
curve di reazione è quello di abbassare drasticamente la Vmax e abbassare la Km, il che
sembrerebbe strano, ma che serve a rendere maggiormente affine E ad S per la formazione del
complesso ES in modo tale da favorire l'attacco da parte di I.

4) Inibizione irreversibile
Avviene quando due molecole si legano in modo definitivo. Un esempio di inibizione irreversibile
lo troviamo nella coagulazione: l'antitrombina è un inibitore naturale presente nel nostro
organismo che è capace di legare alcuni target della cascata coagulativa. Ogni molecola di
antitrombina può legare uno e un solo target, per sempre. L'antitrombina va a inibire
irreversibilmente e quindi a bloccare l'enzima finale della coagulazione: ovviamente l'antitrombina
è proteica. Qual è la sua azione? L'antitrombina mima il substrato della trombina: l'antitrombina
ha un loop esterno esposto alla trombina; la trombina è nata e si è evoluta per tagliare il
fibrinogeno che viene convertito in fibrina; il loop dell'antitrombina mima il S naturale della
trombina entrando nel sito attivo, viene tagliato e a questo punto si innesca una modificazione
conformazionale estesa dell'antitrombina che con il loop rimane lì legata covalentemente alla
trombina. Una volta che si è formato questo complesso, l'unica cosa che può avvenire è che sia E
che l'inibitore vengano degradati. È un meccanismo molto complesso e costoso in quanto
l'inibitore non potrà mai più essere utilizzato, così come l'E.

7) effetti del pH sull’attività enzimatica


La catalisi che avviene nel sito attivo dell'E può coinvolgere degli aa ma anche dei legami ionici. Se
la catalisi si basa su scambio di protoni o su formazione di ponti salini o di legami ionici, le
variazioni di pH possono avere un effetto difetto sulla catalisi. I legami ionici sono anche
importanti per la formazione di legami terziari e quaternari dell'enzima quindi, anche nel caso in
cui essi fossero assenti dal meccanismo catalitico, una loro modifica ad opera del pH avrebbe
comunque una certa conseguenza sulla funzionalità enzimatica. Prendiamo come esempio la
pepsina che ha come pH di funzionamento il pH tipico dello stomaco ovvero 1,5 e che, appena
passa a pH neutri o basici, la sua funzionalità crolla (la sua attività diventa già praticamente nulla
prima di pH 6); stessa cosa la si vede con l'enzima glucosio-6-fosfatasi ovvero un enzima che ha
come pH di lavoro quello fisiologico, 7.4, ma che perde funzione non appena esso varia
leggermente. Per cui l'andamento tipico di ogni enzima in relazione al pH è a campana
raggiungendo il massimo della funzionalità entro un certo range di pH.
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8) effetti della T sull’attività enzimatica


Portiamo come esempio 3 diversi enzimi di 3 diversi animali che vivono in condizioni diverse: ad
esempio l'enzima da gambero dell'Alaska lavora perfettamente ad una temperatura di 4°C, la
chimotripsina del maiale lavora a temperature di 37°C mentre un qualsiasi enzima di un batterio
che vive in acque calde lavora a temperature di 95°C (condizione che denaturerebbero tutte le
nostre proteine in qualche secondo). Per cui sia il pH che la T influenzano gli enzimi in modo tale
da fargli avere un andamento a
campana.
Per quanto riguarda la T ottimale,
sono diverse da un enzima all'altro e
dipendono dall'organismo dentro al
quale ci troviamo. Sperimentalmente ci
si è accorti che la V di gran parte delle
reazioni enzimatiche raddoppia per
ogni aumento di 10°C di T. Questo
dipende molto se ci troviamo davanti
ad un organismo eterotermo o omeotermo perchè negli omeotermi la T non può aumentare di 10°C
come in laboratorio. Abbiamo detto che l'andamento degli enzimi in funzione della T è a campana
permettendo, all'aumentare della T, l'aumento dell'energia cinetica media del sistema: più
molecole che avranno una energia sufficiente per interagire fra di loro. L'aumento di T è quindi
favorevole fino ad una T ottimale di lavoro, oltre la quale l'energia cinetica continua ad aumentare
(quindi aumenteranno gli urti fra E ed S dando la formazione del complesso ES) ma
simultaneamente aumenteranno anche le molecole di E (e forse anche di S) che si denatureranno.

5) ENZIMI ALLOSTERICI
Abbiamo detto che non tutti gli enzimi obbediscono alla cinetica di Michaelis-Menten: ecco gli
enzimi allosterici che sono importanti nelle vie metaboliche per regolare i processi chiave del
metabolismo. Sono enzimi molto complessi che hanno anche una curva abbastanza complessa
visto che non è una iperbole ma hanno un andamento a sigmoide. Gli enzimi allosterici, a basse [S]
sono poco affini ad S mentre ad alta [S] sono molto affini ad S e catalizzano velocemente la
trasformazione in P. Gli enzimi allosterici sono composti da più subunità che si coordina fra di loro,
che comunicano fra loro (come l'Hb), spesso hanno più di una subunità catalitica e diverse sub
unità regolatrici; possono legare più metaboliti e possono
modificare la loro conformazione. Ecco un esempio di un
enzima allosterico dimerico formato da una subunità
catalitica e una regolatrice: a seconda di quale modulatore si
leghi alle varie subunità, cambierà il comportamento
dell'enzima. Ad esempio se arriverà un modulatore positivo,
questo si lega alla subunità regolatoria, indurre una
modificazione conformazionale dell'enzima che lo rende più
affine a S per legarlo più facilmente e convertirlo in P. Il
modulatore può essere o una sostanza diversa da S (parliamo
di modulatore “eterotropico”), oppure può essere il S stesso
(modulatore “omotropico”).
Così come abbiamo parlato di modulatore positivo, esiste anche l'opposto ovvero il modulatore
negativo: nelle reazioni a tappe, ad esempio quelle metaboliche dove esistono diverse reazioni
che si svolgono a catena e sono una dietro l'altra, in genere viene controllata solo
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la prima e l'ultima tappa. Un modo per regolare tutto il processo è che il P ultimo sia un
modulatore negativo del primo enzima allosterico (feedback negativo): è molto importante perché
man mano che P si accumula (per inutilizzo ad esempio), P stesso interagisce con l’enzima iniziale
in modo da non convertire più S nel primo P della catena di reazioni. Ovviamente questa è una
inibizione reversibile perchè non appena P inizia a calare, l'enzima riprende la sua attività.

6) ENZIMI ATTIVATORI
Attivazione reversibile
Aggiungendo gruppi chimici è possibile, attraverso legami covalenti, modificare gli enzimi
facendoli passare da una forma attiva ad una non attiva. L'aggiunta di gruppi P è l'esempio che si
vede maggiormente nelle reazioni: lo si fa aggiungendo un gruppo P a degli OH di alcuni aa (uno
dei processi più comuni è la fosforilizzazione della serina). Un esempio molto importante di
fosforilazione è la regolazione della glicogeno fosforilasi. Il glicogeno è una molecola molto
importante nel nostro corpo che rappresenta una importantissima fonte di energia (formata da
varie catene di glucosio). Per strappare queste molecole di glucosio ed ottenere energia,
interviene l'enzima glicogeno fosforilasi. Tale enzima è poco o per nulla attivo e per renderlo tale è
necessario che le catene laterali delle serine di questo enzima vengano fosforilate e per farlo deve
agire un altro enzima (quindi un enzima che va a modificare un altro enzima, attivandolo) che
aggiunga gruppi P (chinasi) in modo che la glicogeno fosforilasi passi da una forma inattiva ad una
forma attiva. Quando avremo smesso di compiere uno sforzo oppure non appena il nostro corpo
comincerà ad assumere energia dall'esterno per cui non sarà più necessario l'intervento di questo
enzima per ricavare glucosio dal glicogeno, occorrerà spegnere l'enzima: per farlo sarà necessario
l'intervento di un'altra famiglia di enzimi, le fosfatasi, che rimuoveranno i gruppi P riportando la
glicogeno fosforilasi in una forma poco attiva. Il processo opposto, ovvero la formazione di
glicogeno come riserva di energia a partire da molecole di glucosio è catalizzata dall'enzima
glicogeno sintasi che, sempre attraverso difosfati, permettono di attivarli di più o di meno a
seconda di quanti P vengono aggiunti: questo permette quindi una regolazione dell'attività di
questo enzima davvero finissima e molto precisa.
Attivazione irreversibile
Molti enzimi arrivano direttamente alla loro conformazione finale e sono quindi subito operativi,
altri invece sono prodotti in forma di precursori enzimatici inattivi (detti anche pre-enzimi o
zimogeni) e, solo dopo a dei tagli proteolitici possono assumere la forma finale alla quale è
associata la loro funzione biologica. Questi tagli sono delle modificazioni post-traduzionali
irreversibili: esiste un modo per attivare gli enzimi basato su tagli proteolitici che li converte da
zimogeni ad enzimi attivi. Esempi di questo tipo sono gli enzimi coinvolti nell'apoptosi cellulare,
negli enzimi che ci permettono di digerire le proteine che introduciamo con la dieta e fra quelli
che permettono la coagulazione del sangue. Un esempio sono i tagli proteolitici degli enzimi
pancreatici che permettono di digerire ciò che viene introdotto con la dieta. A tal proposito
consideriamo il chimotripsinogeno e il tripsinogeno (enzimi prodotti dal pancreas in forma
inattiva) che vengono convertiti rispettivamente in alpha-cimotripsina oppure tripsina (diventano
attivi per rimozione di piccole sequenza di aa). Proprio la rimozione di corte sequenze di aa
permette un riarrangiamento generale della molecola in modo tale che raggiunga la forma attiva e
inizi a svolgere la propria funzione. La natura ferma questi enzimi tramite inibitori irreversibili
“suicidi” oppure direttamente degradandoli.
MECCANISMI DI AZIONE ENZIMATICA
Le catalisi possono essere:
1. di tipo covalente;
2. di tipo acido-base: quando le catene R degli aa possono scambiare protoni;
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3. da ioni metallici all'interno del sito attivo dell'enzima.

Catalisi da ioni metallici


Un esempio di catalisi con ioni metallici sono ovviamente le polimerasi. Prendiamo come esempio
la DNA polimerasi che permette la duplicazione del DNA. Ovviamente il suo meccanismo di
funzionamento è abbastanza complesso ma in generale la DNA pol aggiunge dei nucleotidi tramite
un attacco nucleofilo da parte dell'OH in 3'. è un enzima che ha una efficienza assurda riuscendo
ad aggiungere 1Kb/s con davvero pochi errori. Questa molecola inoltre lavora con 4 substrati
diversi e 3 volte su 4 il substrato che trova è errato (basi nucleotidiche).
Il DNA è complessivamente carico – per i gruppi P che causano delle repulsioni elettrostatiche,
eppure ogni nucleotide per essere polimerizzato deve avvicinarsi alla catena di DNA superando le
repulsioni (1° problema); la reazione di catalisi non è altro che un attacco nucleofilo dell'O dell'OH
in 3' al P alpha di un nucleotide con la perdita di pirofosfato: il problema è che l'O dell'OH non è
certamente un buon nucleofilo (2° problema); come se non bastasse tutta questa reazione non è
spontanea, ha un delta G blandamente negativo (3° problema). Il 3° problema è compensato dal
fatto che il pirofosfato subisce una catalisi da parte della pirofosfatasi inorganica che lo scinde in
due P: il sottoprodotto di questa reazione viene quindi sottratto (diventando il S di un altro E)
spostando l'equilibrio enormemente verso dx. Ma come si supera il problema della repulsione fra
cariche? La DNA pol somiglia al palmo di una mano con un sito attivo nel quale avviene la
polimerizzazione dei nucleotidi. Nel sito attivo si può notare lo stampo di DNA da copiare e in
basso la catena nascente in cui viene polimerizzato il legame fra il P alpha. In questo punto sono
permessi solo gli appaiamenti corretti fra le basi. Gli appaiamenti scorretti (che avvengono 3 volte
su 4) non avvengono a causa di orientazioni sfavorevoli: oltre a catalizzare, il sito attivo della DNA
pol orienta correttamente le basi che devono legarsi per complementarietà. Quando c'è corretta
complementarietà si formano i ponti H e il tutto si posiziona correttamente nel sito attivo dell'E.
La DNA pol riesce anche a discriminare se si tratta di deossiribonucleotidi o ribonucleotidi. Se
entra nel sito attivo della DNA pol un ribonucleotide, questo non potrà mai orientare i propri P
correttamente anche se l'appaiamento di Watson e Crick è rispettato. Qual è quindi il ruolo degli
ioni metallici? Nel sito attivo sono presenti due ioni mG2+ che sono talmente importanti che se
mancano, l'intera reazione non avviene. Il Mg2+ si coordina con i P dei nucleotidi schermandone
le cariche negative e permettendo l'avvicinamento dei nucleotidi. Oltre alle cariche – dei P, nel
sito attivo sono presenti anche altre cariche negative rappresentate da residui di acido aspartico (i
quali sono essenziali per posizionare correttamente i due ioni Mg2+). Il secondo Mg2+ si coordina
con l'OH in 3' del nucleotide già legato, per rendere più elettronegativo l'O e permettere un
attacco nucleofilo.

Catalisi covalente e catalisi acido base (un enzima che sfrutta entrambi i meccanismi) L'enzima
in questione è una serin-proteasi, ovvero un enzima che appartiene alla famiglia delle proteasi.
Questa famiglia è davvero molto eterogenea, antichissima, sono enzimi essenziali (il 2% del nostro
genoma codifica per enzimi proteolitici) per la vita che idrolizzano il legame peptidico. Le proteasi
possono attuare tagli delle proteine in due modi:
1. dalle estremità: esopeptidasi;
2. dall'interno: endopeptidasi.
Tutte le proteasi possono essere divise in almeno 4 famiglie principali in base all'aa presente nel
sito attivo:
1. serin-proteasi: con una serina;
2. metallo-proteasi: sfruttano ioni metallici;
3. cistein-proteasi: sfruttano la cisteina;
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4. aspartico-proteasi;
5. altre: treonina-proteasi

Tutti questi 4 gruppi, anche se usano un aa o uno ione, attuano la stessa rottura: il finale è lo
stesso per tutti (rottura del legame peptidico). Tale reazione di idrolisi è favorita anche
termodinamicamente, al contrario la biosintesi del legame peptidico richiede un apporto di
energia. Ovviamente è spontanea ma cineticamente molto lenta per cui la reazione deve essere
catalizzata. La capacità di riuscire a creare un legame peptidico che avvenga in modo
cineticamente veloce è proprio quello di creare un potente nucleofilo che attacchi il C carbonilico
del legame. Com'è la reazione di taglio di proteine? Nei primi millisecondi notiamo che,
aggiungendo anche un indicatore di colore, la soluzione diventa subito colorata (di giallo nel caso
del p-nitrofenolo) fino ad un certo punto dopo il quale lo sviluppo del colore rallenta. Tale
reazione è quindi bifasica: abbiamo una prima fase molto veloce e successivamente una fase più
lenta. La serina nelle serinproteasi è sfruttata per dare l'attacco nucleofilo al C carbonilico del
legame peptidico. La parte veloce della reazione è proprio l'attacco dell'O dell'OH al C carbonilico
e quindi la formazione dell'acil-enzima. La seconda fase è quella in cui entra una molecola d'acqua
e distacca l'acile e si ripristina l'OH della serina ripristinando la serina per un nuovo attacco (fase
lenta). Ma perchè la serina, che normalmente è un nucleofilo debole, attacca? In che modo viene
resa un nucleofilo forte? Prendiamo come esempio la chimotripsina che prima del taglio è
chimotripsinogeno in forma inattiva. Il suo sito attivo (della chimotripsina) funziona grazie ad una
serina in posizione 195. Oltre alla serina 195 ci sono altri 2 aa molto importanti: l'aspartico 102 e
l'istidina 57. Questi 3 aa sono molto distanti in sequenza primaria ma vengono avvicinati grazie al
ripiegamento delle proteine; questi 3 aa sono detti TRIADE CATALITICA. La serina 195 quindi è un
potente nucleofilo grazie al contesto chimico che ha attorno ovvero grazie alla vicinanza con un
aspartico e una istidina. La serina (che può comportarsi sia da base che da acido), in questo
meccanismo si comporta da base, a pH fisiologico è deprotonata ma è in grado di strappare un
protone all'ossidrile della serina creando uno ione alcossido che è un potente nucleofilo; così
facendo si protona e si carica +. Da un punto di vista chimico è come se tutto ciò facesse calare la
pKa della serina diventando più acida. L'istidina carica + non è stabile a quel pH, potrebbe dare
legami ionici indesiderati: ecco qua la funzione dell'aspartico che, carico negativamente, stabilizza
l'istidina protonata. Ecco quindi spiegata come la vicinanza tra questi 3 aa, rende la serina un
ottimo nucleofilo.

Ma qual è il meccanismo d'azione delle serin-proteasi?


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Entra nel sito attivo una proteina che deve essere tagliata. Incontrando la serina, il suo O farà
l'attacco nucleofilo (ciò è permesso, come già detto, dal fatto che l'istidina strapperà il protone).
L?attacco dell'O sul C carbonilico parzialmente positivo, porterebbe a creare 5 legami che porterà
a rompere il legame più debole fra questi 5 ovvero il doppio legame. Rompendosi il doppio
legame, gli elettroni andranno sull'O elettronegativo. Il C è sempre in configurazione tetraedrica
ma questa struttura non è stabile visto che gli elettroni sull'O dovranno essere nuovamente messi
in condivisione. Questo intermedio tetraedrico è detto ossianione perchè ha un O carico -.
L'enzima ha una tasca all'interno della quale accoglie l'ossianione (tasca dell'ossianione) con cui
cerca di stabilizzarlo per quanto possibile; tuttavia questo intermedio ha pochissima emivita,
collassa e riforma il gruppo carbonilico rimettendo in condivisione gli elettroni. Sempre per via del
fatto che il C può dare solo 4 legami, un legame fra questi 5 dovrà rompersi: se si rompe quello
con la serina, la reazione torna indietro tornando ad E più S separati; l'altro legame probabile che
si rompa è quello peptidico (il che è ciò che vogliamo). Una volta che questo legame si è rotto, ciò
che resta legato alla serina è l'acil-enzima (fino a questo punto abbiamo assistito alla fase veloce
della reazione). Quando si è rotto il legame peptidico, N della proteina è più elettronegativo e
riesce a strappare dei protoni per cui N della serina, per compensare la carica, strappa un H dall'N
della proteina. A questo punto entrerà nel sito attivo una molecola di acqua (debolissimo
nucleofilo) che, grazie al suo posizionamento, cedendo un protone all'istidina (come la serina
all'inizio del meccanismo), diventa un potente nucleofilo attaccando il C carbonilico dell'acil-
enzima formando un ossianione: a questo punto anche in questo caso un legame del C si deve
rompere. Nel caso in cui si rompesse il legame con l'acqua la reazione tornerebbe indietro per cui
il legame che si rompe è quello fra l'acile e l'O della serina. A questo punto abbiamo liberato il sito
attivo, abbiamo liberato l'acile nella fase lenta e la proteina tagliata all'inizio, nella fase veloce.

Oltre alla tasca del sito attivo dove avviene l'interazione con gli aa, vi sono altre 2 importanti
tasche che giocano un ruolo fondamentale sia per il meccanismo catalitico, sia per dare specificità
alle serin-proteasi. Una prima tasca si chiama buco dell'ossianione che è essenziale per stabilizzare
l'intermezzo tetraedrico: questa tasca è creata dalla glicina e dalla serina 195 catalitica (sia la
serina che la glicina danno un ponte H con l'ossianione). È proprio legando questo ossianione (che
è uno stato di transizione fra S e P) che riusciamo ad abbassare l'energia di attivazione andando a
velocizzare la reazione.
È abbastanza ovvio che le serin-proteasi, vendo un meccanismo catalitico basato sia sul legame
covalente che su trasferimenti di protoni, è ovvio che se modifichiamo le proprietà acido base di
serina e istidina, riduciamo le capacità di catalisi dell'enzima (ovviamente a pH troppo acidi o
troppo basici distruggiamo tutta la struttura della proteina). Se ad esempio acidifichiamo
l'ambiente, abbiamo un effetto diretto sulla triade perchè alla base del meccanismo catalitico vi è
che l'istidina debba essere deprotonata: se ci troviamo in un ambiente acido, l'istidina si ritroverà
già protonata e quindi non avrà bisogno di strappare il protone alla serina; l'istidina si troverebbe
con il suo ossidrile normale e non potrebbe disporre delle cariche negative e delle sue proprietà
nucleofile per attaccare i C carbonilico. In ambiente basico, al contrario, la serina potrebbe essere
deprotonata non dall'istidina ma da altre molecole (gli OH- circolanti o da altre molecole basiche):
in questo caso potrebbe essere impegnata in interazioni con altre molecole così la serina sarebbe
deprotonata e la stabilizzazione con l'aspartico non servirebbe e tutto il meccanismo si
bloccherebbe.
Per quanto riguarda la chimotripsina, fino ad ora ci siamo concentrati solo sulla sua catalisi ma mai
sulla sua specificità di taglio. Vediamo questo meccanismo su tre enzimi digestivi (chimotripsina,
tripsine ed elastasi), tutti prodotti dal pancreas ma che hanno target diversi ovvero tagliano su
punti diversi della proteina (sebbene con lo stesso meccanismo della serin-proteasi). Questi 3
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enzimi hanno il 40% di sequenza di aa uguale, tutti e tre agiscono con lo stesso meccanismo,
hanno la stessa identica tasca catalitica ma ognuno dei 3 enzimi sfruttano il legame con aa diverso
per effettuare il taglio. La chimotripsina tagli il legame peptidico quando questo ha a monte degli
aa aromatici; la tripsina taglia il legame peptidico quando questo ha a valle degli aa carichi +;
l'elastasi riconosce aa piccoli e idrofobici ed effettua il taglio dopo di essi. Questa specificità è data
dalla terza tasca catalitica detta proprio tasca di specificità. Questa tasca è abbastanza grande da
permettere l'ingresso di aa aromatici ed è idrofobica visto che la maggior parte delle catena
laterali di questi aa sono idrofobiche. Quando entra una proteina e viene accomodato un aa
aromatico, può avvenire il taglio del legame peptidico.
La tripsina ha in questa tasca un aspartico 189 (che fa si che vengano riconosciuti aa basici come
lisina e arginina essendo più basici dell'istidina e quindi più carichi + a pH neutri); l'elastasi è quella
con la tasca di specificità più piccola ed idrofobica e per questo riesce ad accogliere solo le catene
degli aa valina e alanina (ciò che la rende idrofobica ed ingombrata e la presenza della valina 216 e
della valina 190). All'interno della tasca di specificità della chimotripsina si osservano 8 residui di
aa che servono a riconoscere il sito di taglio: ovviamente le interazioni che danno sono non
covalenti.

Esistono proteasi più specifiche di quelle che abbiamo visto fin'ora: sia la tripsina che la
chimotripsina e l'elastasi operano a livello digestivo per cui operano in un ambiente che è
abbastanza abbondante di questi aa (tutte le proteine target sono proteine introdotte con la
dieta). Tuttavia le serin-proteasi non esistono solo a livello gastrico e non operano solo sul
proteine introdotte con la dieta: alle volte infatti il taglio effettuato deve essere molto specifico in
quanto può servire a tagliare un'altra proteina che verrà attivata e che agirà a sua volta su un altro
S proteico. Molte volte il taglio è talmente preciso che per individuare il corretto sito per il taglio è
necessario il riconoscimento di decine di aa. Altre serin-proteasi ad esempio devono essere molto
precise perchè devono dare un solo taglio su un solo S fra migliaia di S: questo implica il
riconoscimento di decine e decine di aa fra decine e decine di S diversi. Questi riconoscimenti non
avvengono solo a livello della tasca catalitica o del sito di specificità ma avvengono anche
all'esterno ad esempio tramite le dimensioni. Ad esempio nella cascata coagulativa ogni enzima
riconoscerà il proprio S al quale darà un solo taglio in modo tale da attivarlo per farlo interagire
con un solo S. Tutte le proteine nella cascata coagulativa sono serin-proteasi altamente specifiche
e fra di loro hanno tutte più o meno la stessa dimensione.

Oltre alle serin-proteasi esistono anche le cistein-proteasi che hanno un meccanismo non tanto
dissimile dalle serin-proteasi in quanto anche se no c'è più l'O ma c'è uno zolfo, anche qui la
cisteina è resa un forte nucleofilo dalla vicinanza con l'istidina.
Per quanto riguarda invece le aspartico-proteasi e le metallo-proteasi, sono in gioco meccanismi
completamente diversi: per l'aspartato sono in gioco due residui di acido aspartico (uno protonato
e uno non) e per le metallo-proteasi sono in gioco vari metalli (è comunque presente l'attacco al C
carbonilico anche se questa volta è mediato da una molecola d'acqua).

LA CASCATA COAGULATIVA
La continuità dei vasi può essere interrotta perdendo sangue. Che si perda sangue esternamente o
internamente, qualcosa deve arrestare tali perdite. La natura ha evoluto un sistema per
rispondere ai danni da traumi o da patologie (che vanno a sfociare in una perdita di sangue)
purchè tali traumi non siano enormi. Quando parliamo di coagulazione in gergo intendiamo
qualcosa di sbagliato perchè il processo che permette di arrestare una emorragia è in realtà detto
EMOSTASI di cui la coagulazione è solo una parte. L'emostasi è quindi un insieme enorme di
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processi il primo dei quali è la vasocostrizione: quando si danneggia un vaso parte un riflesso
nervoso e subito dopo un riflesso ormonale che porta alla riduzione del lume del vaso stesso (ben
prima che si organizzi tutto il sistema per colmare questa perdita avviene la riduzione della
portata del vaso e quindi la riduzione del sangue che potenzialmente verrebbe perso). La seconda
parte dell'emostasi è cellulare ed è chiamata emostasi primaria ovvero la formazione di un tappo
bianco fatto di piastrine: la prima barriera fisica che si forma per limitare la perdita di sangue.
Dopo il tappo piastrinico, come terza fase, arriva l'emostasi secondaria (coagulazione): il processo
coagulativo è l'insieme di reazioni che porta alla formazione di una rete molto fitta di fibrina, una
proteina che permette di imbrigliare i globuli rossi e quelli bianchi, stabilizzando il tappo.
Terminata la cascata coagulativa e stabilizzato il coagulo, avverrà la rimozione biochimica del
coagulo ovvero la fibrinolisi.
Piastrine
Sono frammenti di cellule perchè derivano da un genitore ematopoietico presente nel midollo
osseo, ovvero il megacariocita (cellula molto grande con un nucleo ricco di DNA): le piastrine
derivano proprio dalla frammentazione di questa cellula (esse sono piccole e possono essere fino
a 400mila per mm^(3) di sangue. Le piastrine ovviamente sono prive di nucleo e quindi incapaci di
controllare l'espressione genica. La particolarità delle piastrine è che sono in grado di riconoscere
e legare con alta efficienza il collagene, attivandosi (proteina fibrosa che tiene insieme i tessuti
ancorandoli alle ossa, è una proteina che normalmente non viene a contatto con il sangue in
quanto gli endoteliociti non espongono molecole di collagene). Quando il sangue incontra il
collagene, e in particolare le piastrine incontrano molecole di collagene, esse si legano ad esso e si
attivano. L'attivazione della piastrina comincia a modificare il suo citoscheletro che permette di
avere una forma stellata alle piastrine; successivamente avviene il cambiamento della
composizione della membrana delle piastrine; tutte queste modifiche hanno uno scopo:
permettere alle piastrine di interagire fra di loro. Il fatto che le piastrine si attivino permette alle
piastrine di legarsi fra di loro e permette anche a quelle che non hanno incontrato il collagene di
interagire con le prime piastrine e legarsi ad esse per legare un tappo più grande. Ovviamente
contestualmente c'è il rilascio di ioni Ca, c'è il rilascio di microvescicole di particelle che sono delle
vere e proprie “mine” che aiutano l'attivazione. Oltre al cambiamento di forma vi è un altro
particolare ovvero la traslocazione di un fosolipide di membrana sul foglietto esterno: la
fosfatidilserina è carica – e, traslocando, carica altamente la superficie delle piastrine. Questo è
utile per far interagire fra di loro le piastrine ma è essenziale per fornire la superficie su cui
avverrà la coagulazione del sangue.
Perchè è così importante che ci siano delle superfici -? Questo è essenziale perchè i fattori della
coagulazione riescono a legarsi su superfici di membrana cariche negativamente; questi fattori
posseggono inoltre dei domini ricchi di GLA (acidi gamma carbossiglutammici) carichi
negativamente. Ma come fanno i GLA e le membrane, entrambi carichi – ad interagire? Nel
sangue c'è una grande quantità di ioni Ca2+ (in concentrazione 2,5M che quasi raddoppia nella
zona della coagulazione) che fa da ponte fra i residui GLA e le membrane cariche -. I fattori della
coagulazione che hanno i domini GLA, sono dei fattori che hanno subito una modifica post-
traduzionale: affinchè questa modifica avvenga è richiesta l'azione di un enzima che a sua vola
richiede l'ausilio di un aiutante ovvero la vitamina K (molti anticoagulanti colpiscono proprio il
ciclo della vitamina
K). Le piastrine si attivano e si carico -, ma questa non è la sola peculiarità delle piastrine. Ad
esempio, molte cellule tumorali si caricano -, le cellule in apoptosi come prima cosa mostrano la
fosfatidilserina caricando il tutto negativamente.
La coagulazione, quindi, deve avvenire su una membrana quindi su una superficie. Tutti i fattori
della coagulazione scorrono nel lume del vaso sanguigno, che senso ha far avvenire la
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coagulazione su una superficie? Se la coagulazione avvenisse nello spazio tridimensionale del


tubo, non faremmo altro che occludere tutto il vaso sanguigno. L'incontro dei vari fattori della
coagulazione è molto difficile in uno spazio 3D, è molto facile invece in uno spazio bidimensionale.
Cascata coagulativa
Essa riguarda l'attivazione sequenziale per dei tagli proteolitici. Questo schema riguarda la

schematizzazione di tutto il processo.


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Questo schema invece riguarda la cascata coagulativa secondo le conoscenze “odierne”.

La coagulazione è un fenomeno normalmente spento ed essa ovviamente non deve essere attiva) i
fattori circolano nel sangue in maniera inattiva). Ovviamente viene attivata a seguito di necessità.
Ovviamente questo processo deve essere estremamente controllato perchè non può proseguire
per troppo tempo e in tutto l'organismo, altrimenti potrebbe occludere il vaso oppure i trombi
potrebbero staccarsi e circolare nell'organismo fino ad occludere qualche capillare.
Per fattori della coagulazione si intende una proteina e questo tipo di proteine sono di due tipi:
1. serin-proteasi: enzimi che hanno la triade catalitica e che quindi tagliano altre proteine con
tagli specifici;
2. cofattori proteici che aumentano l'efficienza degli enzimi.
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Gli enzimi della coagulazione abbiamo detto essere serin-proteasi che danno tagli proteolitici
specifici. Cosa capita quando avviene il taglio? Nel momento in cui un fattore viene attivato per
taglio proteolitici (in genere basta un taglio o 2 al massimo) viene rimossa una parte della sua
sequenza e si crea una nuova estremità N-term che si ripiega e si infila all'interno del sito attivo
dell'enzima (essendo essa basica e positiva) dove incontra sempre un acido aspartico, negativo,
con cui crea un ponte salino (ovviamente è un aspartico diverso da quello della triade catalitica
altrimenti non avverrebbe il meccanismo). Quando un enzima viene attivato capita che si
avvicinano i 3 aa della triade catalitica.
Negli enzimi digestivi avevamo dei riconoscimenti generici e molto limitati (l'obiettivo era quello di
riconoscere quanti più S possibili per cui avevano dei riconoscimenti blandi: il tutto per
degradare), al contrario le serin-proteasi della coagulazione danno pochissimi tagli e molto
specifici (l'obiettivo è attivare). Dopo il taglio di attivazione, a seguito di modifica conformazionale,
la molecola non è formata da due parti distinte ma sono tenute insieme da ponti S. Questo è lo
schema da tenere a mente:

Ogni enzima con il proprio cofattore andrà ad attivarne un altro che assieme al proprio cofattore
ne attiverà ad un altro fino ad arrivare alla conversione dl fibrinogeno in fibrina. Ma chi inizia il
processo? La conversione finale è attuata dalla trombina: il fibrinogeno è una proteina
monomerica che a seguito di tagli della trombina, diventa capace di polimerizzare in quanto la
trombina rimuove le estremità del fibrinogeno che gli impedivano di polimerizzare (grazie alle
nuove estremità dette adesive). Il 50% delle proteine del sangue sono albumina, la seconda più
abbondante è proprio il fibrinogeno.
Via estrinseca (INIZIO)
L'innesco del processo coagulativo è dato da un cofattore chiamato Fattore Tissutale (TF), ovvero
una proteina che ha una porzione citosolica, una porzione transmembrana ed una extracellulare e,
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poiché fuoriesce dalle cellule è anche definito come recettore di membrana. È come un braccio
fuori dalle cellule che serve a prendere uno specifico enzima (uno e uno solo). Normalmente
questo cofattore non è esposto al flusso sanguigno in quanto la sua semplice esposizione da inizio
alla cascata coagulativa (esso quindi si trova all'interno di qualsiasi altra cellula fuori dal flusso
sanguigno). Quando il TF incontra il sangue, incontra il fattore 7 (l'unico con cui interagisce)
creando un complesso binario detto TF/FVIIa (la “a” indica che è una molecola attivata, tuttavia
ancora non si sa bene il meccanismo di attivazione). Nel nostro sangue circa 1/100 di tutto il FVII
contenuto nel nostro sangue è attivo, soltanto che quel poco che circola attivo, da solo non fa
nulla se non incontra il TF. La formazione del complesso TF/FVIIa permette di attivare un altro
fattore della coagulazione ovvero il FX che viene convertito dalla sua forma di zimogeno alla sua
forma attiva ovvero Fxa. Il Fxa è 50 Kdalton, il S è invece è 58,8 Kdalton, circa il 20% più grande e
quindi S non entra nel sito attivo: gli enzimi della coagulazione funzionano come tutti gli enzimi ma
non accolgono tutto S nel sito attivo ma ne accolgono solo una piccola parte ovvero la zona di
attivazione che deve essere tagliata. I fattori hanno in genere 2 ruoli: il primo è di orientare
correttamente il sito attivo dell'enzima rispetto ad S; il secondo è che permettono un
riconoscimento molto più specifico perchè il S non è riconosciuto solo dall'E ma dal complesso
enzima/cofattore (E/C). Facilitando il riconoscimento del S da parte dell'E, il C ne abbassa la Km (la
Km di E/C/S è più bassa del complesso E/S).
Il complesso TF/FVIIa è detto fattore tenasico in quanto attiva il FX a Fxa e, una volta che questo
fattore è in grado di attivare il meccanismo catalitico, incontra il suo cofattore, ovvero il FVa (che è
6 volte più grande di lui) e quindi il complesso Fxa/FVa incontra il suo S chiamato FII o
protrombina creando un complesso a tre molecole (Fxa/FVa/FII: complesso protrombinasico) che
porta all'attivazione della protrombina in trombina ovvero l'ultimo enzima della cascata della
coagulazione.
Questo sistema è detto via estrinseca della coagulazione ed è un sistema molto rapido perchè
richiede poche molecole, poche reazioni; tuttavia, è un sistema poco efficiente perchè produce
poche molecole di trombina, ha bisogno dell'aiuto di altre molecole per produrre la trombina che
serve a produrre grandi quantità di fibrina.
Via intrinseca (PROPAGAZIONE)
Fxa non è attivato solo dal complesso TF/FVIIa della via estrinseca, ma anche da un secondo
complessa ovvero dall'enzima FIXa quando esso è assieme al suo cofattore ovvero il FVIIIa che
quindi formano il complesso FVIIIa/FIXa i quali, assieme, possono tagliare e attivare grandi
quantità di FX. La carenza congenita o acquisita di FIX (emofilia B) o di FVIII (emofilia A) causano le
emofilie più famose. Queste due emofilie, anche se colpiscono due molecole diverse (uno è un
enzima è l'altro è un cofattore), hanno sintomi simili in quanto viene reso comunque inefficiente
lo stesso complesso. Entrambe le emofilie sono compatibili con la vita seppur con diverse
problematiche; tuttavia, la mancanza o anche solo la carenza di FVII nella via estrinseca è
totalmente incompatibile con la vita anche se fa parte di una parte del processo coagulativo meno
efficiente: questo perchè se manca il FVII tutto il processo non può iniziare, se invece manca il FIX
o il FVIII la coagulazione potrà avvenire anche se in maniera poco efficiente. Dal FX in poi le due
vie convergono per cui si ha una fase comune della coagulazione.
Ma chi attiva il FIX e il FVIII per far partire la via intrinseca? Direttamente o indirettamente è
sempre la trombina, per questo è molto importante che avvenga la via estrinseca in quanto è
necessario produrre una piccola quantità di trombina per permettere alla via intrinseca di
iniziare. Le reazioni della cascata coagulazione sono regolate da opportune concentrazioni si tutti
i loro componenti. Quelli che sono in cima sono presenti in piccole quantità mentre i fattori a
valle sono presenti in grandi quantità. Inibizione della coagulazione
Ma qual è il ruolo della trombina? Essa può agire su tanti S, non solo sul fibrinogeno; infatti, agisce
controllando la coagulazione stessa visto che può aumentarla attivando il FXI, attivando il
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cofattore ottavo o attivando il FX. Non solo, la trombina può anche inibire la coagulazione. La
trombina, infatti, può combinarsi con altre 3 molecole (TM, E.PCR, PC) formando un complesso
quaternario dove attiva la proteina C che assieme al suo cofattore, la proteina S, riesce ad
inattivare per tagli proteolitici i cofattori V e VIII.
Ovviamente ad inibire la coagulazione non c'è solo la trombina:
• TFPI: limita l'innesco della coagulazione stessa ovvero la via intrinseca andando ad inibire il
TF;
• APC/PS: vanno ad inattivare il cofattore V e VIII;
• ATIII: l'antitrombina. È un inibitore irreversibile, fondamentale per inibire la trombina
stessa ma contemporaneamente può agire su altri S:
◦ può inattivare il FVIIa per legame covalente irreversibile;
◦ può inattivare il FIXa;
◦ può inattivare il FXI.

CARBOIDRATI E GLICOBIOLOGIA
Sono le molecole pi abbondanti sulla terra e hanno numerose funzioni: ad esempio hanno una
funzione energetica, strutturale (cellulosa delle piante ad esempio) e funzionale (il mannosio-6P
che viene utilizzato per segnare ciò che deve andare ai lisosomi).
I monosaccaridi sono dei poliidrossi chetoni o poliidrossi aldeidi, ovvero degli scheletri carboniosi
in cui è presente un C carbonilico e numerosi gruppi ossidrilici.
Già in base al gruppo carbonilico possiamo distinguere i monosaccaridi in aldosi e chetosi.
Fra i monosaccaridi più comuni ed importanti riconosciamo la gliceraldeide (un aldoso a 3 atomi di
C), il diidrossiacetone (un chetoso a 3 atomi di C). Altri monosaccaridi importanti sono ad esempio
il glucosio (un aldo-esoso); il fruttosio (un cheto-esoso), il ribosio e il desossoribosio (entrambi
degli aldo-pentosi).
È proprio in base alla presenza dell'OH a dx o a sx che possiamo distinguere, secondo la
nomenclatura di Fisher, la forma D dalla forma L di gliceraldeide. Nella gliceraldeide è facile fare
ciò in quanto esiste solo un C chirale. Nei monosaccaridi invece la situazione si fa più complessa
perchè ci sono più centri chirali. Per classificare i monosaccaridi in L e D secondo la nomenclatura
di Fisher basta considerare il C chirale più lontano dalla funzione carbonilica. In natura tutti i
monosaccaridi sono della serie D ovvero hanno tutti l'OH a dx, cos' come tutti gli aa sono L (salvo
rare eccezioni).
Se prendiamo un monosaccaride, ad esempio il glucosio, è possibile notare come ci siano altri due
monosaccaridi molto simili a lui (sempre aldosi e sempre esosi) ma che differiscono per una
piccola particolarità: differiscono per l'esposizione nello spazio di uno solo degli ossidrili. Stiamo
parlando in questo caso del mannosio e del galattosio: il mannosio differisce da glucosio per la
posizione del gruppo ossidrilico del C2, il galattosio differisce per l'ossidrile in C4. Questi
monosaccaridi che differiscono per la posizione di un OH sono detti epimeri: due epimeri sono dei
monosaccaridi che differiscono l'un l'altro solo per la posizione di un ossidrile attorno ad un C.
Un'altra definizione è la seguente: gli epimeri sono diasteroisomeri che differiscono per un solo
centro chirale. Una caratteristica molto interessante degli zuccheri è che possono dare delle
reazioni intramolecolari dando origine ad una forma ciclica, la più presente in ambiente acquoso.
Questa ciclizzazione avviene fra un ossidrile dello zucchero e la funzione carbonilica (sia essa
aldeidica o chetonica). In un'ottica di chimica organica, questa è la reazione di formazione di un
emiacetale o di un emichetale; nel caso degli zuccheri questa reazione porta lo zucchero a formare
un anello. La reazione finisci qui oppure se esso entra in contatto con un altro OH (visto che non
può usarne un altro della propria struttura visto che si è già chiuso a ciclo) si può arrivare
addirittura al chetale o all'acetale (questo capita quando più monosaccaridi si uniscono a formare
dei polimeri): quando la reazione prosegue si può parlare di legame glicosidico. Nella formazione
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dell'eterociclo si perde la formazione carbonilica e il C1, che prima era carbonilico ora si ritrova ad
avere un OH ed inoltre è anche chirale per cui tutto l'eterociclo può esistere sotto forma di 2
diversi stereoisomeri. Il C divenuto chirale per ciclizzazione si chiama C anomerico e i due
steroeisomeri che si originano sono detti alpha o beta. In soluzione acquosa si avranno 3 forme in
equilibrio: la forma aperta, la forma chiusa alpha e la forma chiusa beta (per passare da alpha a
beta deve rompersi il ciclo e successivamente riformarsi): in soluzione la forma lineare è presente
nello 0.02%, la forma beta è presente per 2/3 del totale (è la più stabile), la forma alpha è
presente per 1/3. Quando uno zucchero si richiude a formare un eterociclo, assume una forma
simile a quella del furano (5 atomi), o come il pirano (6 atomi): questi due termini sono usati nella
nomenclatura: il glucosio diventa glucopiranosio, il fruttosio diventa fruttofuranosio.
Queste molecole cicliche non sono planari ma hanno delle forme 3D che possono essere definite a
sedia o a barca: fra le due possibili forme (che possono cambiare senza rotture di legame), la più
stabile è quella a sedia perchè riduce le interazioni fra i gruppi assiali ed equatoriali. Se guardiamo
il glucosio in forma ciclica a sedia, ovvero quella più stabile, e andiamo a confrontare l'anomero
alpha con quello beta, scopriamo che l'anomero beta è il più stabile perchè in esso tutti i gruppi
chimici sono equatoriali, mentre sull'anomero alpha l'OH è in basso (assiale) e quindi origina ad
una maggiore repulsione verso gli alti gruppi chimica).

IL METABOLISMO

Il metabolismo è l'insieme delle reazioni di degradazioni e biosintesi che si svolgono in un


organismo vivente. Nelle vie metaboliche il P di una reazione diventa il S di un'altra reazione. Le
vie di degradazione di composti organici inseriti con la dieta allo scopo di assumere energia
vengono definiti catabolismo; l'anabolismo è la biosintesi di molecole complesse che richiedono
energia per essere formate.
L'ATP è un ribonucleotide costituito dall'adenina (base azotata), un pentoso (il ribosio) e da 3
gruppi P legati fra di loro, ciascuno con carica -. Questa molecola è fortemente destabilizzata dalle
cariche – per cui è pronta ad “esplodere”: ogni vota che viene liberato un P, viene liberata energia.
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Il glucosio per noi organismi evoluti, è essenziale ma non è l'unica fonte di energia (ad eccezione
del cervello che si nutre solo di glucosio), si possono infatti usare i lipidi ma anche le proteine.
Oltre al ruolo energetico del glucosio, è necessario anche ricordare il suo ruolo strutturale in
forma di polimeri del tipo della cellulosa oppure di GAG. Indirettamente il glucosio è anche il
costituente di RNA e DNA perchè il desossiribosio e il ribosio derivano dal glucosio attraverso la via
dei pentodo fosfati. Ha anche una funzione di riserva sotto forma di amido, glicogeno o saccarosio.
Infine è un intermedio essenziale di altre vie anaboliche che ad esempio partono dal glucosio per
sintetizzare gli aa delle proteina o gli acidi grassi dei lipidi. Il ruolo energetico del glucosio è quello
energetico per eccellenza e ciò avviene con la sua trasformazione in piruvato tramite una via
anabolica detta glicolisi: per fare ciò sono necessarie 10 reazioni alla fine delle quali otteniamo 2
molecole di piruvato da una molecola di glucosio.

CATABOLISMO DEL GLUCOSIO


Dal glucosio estraiamo energia per arrivare a
due molecole di piruvato. Il destino di questo
piruvato dipende dalle condizioni che esso
troverà nella cellula:
• nelle nostre cellule in condizioni
aerobiche ovvero in presenza di O2, il piruvato
viene convertito in Acetil-CoA che può entrare
nel ciclo dell'acido citrico ed essere scomposto
a CO2 ed H2O (in presenza di O2 quindi il
glucosio diventa CO2 e H2O, gli stessi prodotti
che si ottengono da qualunque combustione);
• il piruvato può essere utilizzato per
l'anabolismo di aa e acidi grassi;
• in condizioni anaerobiche, senza O2
(tipo un muscolo), parte un processo
biochimico detto fermentazione lattica che
porta all'accumulo nel muscolo di acido
lattico: man mano che questa si accumula,
acidifica il muscolo portandolo al crampo e al
dolore in generale impedendo al
muscolo di contrarsi ancora come meccanismo di difesa per evitare di danneggiare troppo
il muscolo;
• in alcuni microrganismi, in assenza di O2, avviene una fermentazione alcolica che porta alla
formazione di etanolo e CO2. A certe concentrazioni l'etanolo per questi microrganismi è
tossico.
Quanta energia è contenuta nel glucosio? Bruciando il glucosio in presenza di O2 si nota che è
innanzitutto una reazione esoergonica ma che ha una grossa barriera da superare (energia di
attivazione): si ottengono comunque 2840Kj per mole di glucosio. Nella combustione diretta del
glucosio in laboratorio, l'energia che viene liberata è sotto forma di calore; nel nostro organismo
l'energia ricavata dal glucosio è energia chimica che viene immagazzinata in molecole come l'ATP.
Questa estrazione di energia chimica lo si fa attraverso una serie di tappe, ciascuna catalizzata da
un enzima: il grafico mostra tanti piccoli picchi di Eatt che permettono a questa catena di reazioni
di avvenire rapidamente. Se il glucosio si ossida a tappe, qualcuno si deve ridurre: i coenzimi. Un
grosso vantaggio di far avvenire l'ossidazione a tappe (oltre al fatto di non avere più un'unica
grossa barriera di Eatt) è che il processo in questo modo può essere regolato accelerando il tutto o
rallentando o bloccando l'intero processo.
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GLICOLISI
Questo processo che porta dal glucosio al piruvato è uguale sia in procarioti che in eucarioti; è un
processo di 10 reazioni altamente conservato. Da batteri a mammiferi cambia solo come queste
reazioni sono regolate.
La glicolisi viene divisa in due gruppi ognuno da 5 reazioni: la prima fase è detta di investimento
energetico perchè si spende energia, la seconda fase invece permette di ricavare energia. Perchè
occorre investire energia? Perchè per avviare il tutto è necessario destabilizzare il glucosio che
altrimenti sarebbe una molecola stabilissima: non esiste in natura una via catabolica che parta
senza spendere energia; se una molecola infatti potesse essere scomposta senza utilizzare
energia, allora quella molecola non esisterebbe perchè da S si passerebbe spontaneamente a P. La
prima fase, quella di investimento energetico, termina con la trasformazione del glucosio in due
molecole di gliceraldeide-3P; la seconda fase di recupero energetico porta a due molecole di
piruvato.
Reazione 1
Nella prima tappa della glicolisi il glucosio viene forsorilato in posizione 6 passando la glucosio al
glucosio-6P (da G a G6P). Lo si fa attraverso l'azione di un enzima, l'esochinasi. Questa reazione ha
una duplice funzione. Innanzitutto p bene ricordare che il G ha dei trasportatori sulle membrane
delle cellule, il G6P non ha trasportatori per cui quando nella cellula trasformiamo G in G6P, esso
non potrà più uscire fuori dalla cellula. Per cui il primo scopo della reazione è quello di sequestrare
tutto il G all'interno della cellula. Il secondo scopo è quello che, aggiungendo un P ad una molecola
inerte come il G, iniziamo a destabilizzarlo. Da un punto di vista energetico questo processo
richiede l'utilizzo di una molecola di ATP. Questa reazione è irreversibile visto che ha comunque un
deltaG negativo.
Il legame del glucosio all'interno del sito attivo (S è molto più piccolo di E per cui S entra bene nel
sito attivo di E) porta ad un cambio conformazionale (adattamento indotto distinto dal
meccanismo chiave-serratura) rendendo l'enzima adatto a catturare ATP e simultaneamente
questo cambio conformazionale rende difficile l'ingresso di acqua nel sito attivo di E: il pericolo
per tutte le chinasi è che una molecola di H2O vada ad idrolizzare l'ATP.

Reazione 2
La seconda reazione è una isomerizzazione (rottura di legami che non altera la composizione in
termini di atomi della molecola) che sposta un legame in modo tale da passare da un ciclo a 6
atomi ad un ciclo a 5 atomi passando da G a fruttosio (da G a F6P). Ad operare ciò è la
forfoglucoisomerasi (o fosfoesoso-isomerasi). Questo riarrangiamento è importantissimo per le
successive fasi perchè abbiamo una molecola molto più simmetrica il che sarà un dettaglio
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importante per le successive fasi. Il deltaG di questa reazione è lievemente negativo per cui essa è
del tutto reversibile: ovviamente va verso dx nella glicolisi in quanto il F6P diventerà il S della
reazione 3. Quando mangiamo qualcosa che contiene fruttosio, ovviamente questo è già
disponibile per la glicolisi, per cui sarà solo necessario fosforilarlo in posizione 6 per passare da F a
F6P. Cosa molto interessante è che il F può essere prodotto anche da nostro organismo, per cui
non dobbiamo per forza introdurlo dall'esterno.

Reazione 3
Questa reazione è catalizzata dalla fosfofruttochinasi 1 (PFK1) che fosforila il suo S prendendo un P
dalla molecola di ATP per cui anche nella terza tappa, come nella prima, spendiamo una ATP
(fin'ora ne abbiamo spese 2 di ATP). La PFK1 fosforila il fruttosio nella posizione 1 portandoci dal
F1P al F-1,6bisP (fruttosio 1-6 bis P). Anche questa terza tappa come la prima fosforilazione è una
tappa irreversibile caratterizzata da un delta G negativo. In questa immagine vi è evidenziata la
simmetria del fruttosio, cosa che servirà nella prossima tappa. Sia la prima che la terza tappa di
fosforilazione, servono a destabilizzare la molecola.

Reazione 4 (aldolasi)
Il F-1,6bisP viene rotto in due triosi e ad occuparsene è l'enzima aldolasi. I 2 zuccheri che
otteniamo potrebbero essere nuovamente uniti con una condensazione aldolica (da qui deriva il
nome aldolasi). Il delta G di questa reazione è fortemente positivo quindi dovrebbe avvenire solo
verso sx, tuttavia va verso dx in quanto i loro prodotti vengono sempre riconvertiti in quanto
saranno S della tappa 5. I due zuccheri che si formano sono la gliceraldeide-3P (G3P) e il
diidrossiaceton-P (DAP). Questi due zuccheri sono molto simili e differiscono solo per la posizione
del carbossile: in uno è all'estremità, nell'altro è interno alla struttura.
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A questo punto la natura avrebbe due strade in quanto abbiamo due zuccheri diversi. O la natura
crea due catene glicolitiche differenti per ogni zucchero, con il doppio di enzimi, oppure potrebbe
trascurare uno zucchero e lavorare solo sull'altro. Nel primo caso la scelta si rivelerebbe
sfavorevole perchè servono il doppio degli enzimi per le due vie cataboliche; nel secondo caso,
lavorare su un solo zucchero sarebbe altrettanto folle in quanto si lavorerebbe solo su metà S
iniziale che è rappresentato dal G. La natura quindi ha ideato un sistema molto interessante che
converte il diidrossiaceton-P in gliceraldeide-3P (cosa possibile data la somiglianza fra i due). Da
questa conversione poi partono le 5 fasi di recupero di ATP che avvengono solo sul G3P.

Reazione 5
A fare la conversione da DAP a G3P abbia,o la trioso-fosfato-isomerasi. La reazione è reversibile in
quanto ha un delta G positivo.

A questo punto della reazione abbiamo due molecole di G3P e abbiamo speso 2 ATP: queste 2 ATP
sono state utilizzate nella prima e nella terza reazione, che sono le uniche irreversibili.
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Coenzima NAD+/NADH (nicotinammide adenina dinucleotide)


Parliamo di un dinucleotide formato da 3 adenine, due gruppi P e infine la nicotinammide detta
anche vitamina B3. Questo coenzima può diventare NADH quando acquisisce un protone H e due
elettroni.

Questa molecola acquisisce gli elettroni e lo ione H in quanto è un trasportatore. Una volta
diventato NADH vuol dire che si è ridotto, per cui ha acquisito questi composti chimici da una
specie chimica che si è ossidata.

Reazione 6
Fin'ora non abbiamo ossidato ancora nulla, non abbiamo guadagnato energia anzi ne abbiamo
spesa, anche se lo scopo principale della glicolisi è proprio quello di ossidare il G al fine di trarne
energia. Tutte le reazioni di ossidazioni sono catabolizzate da una famiglia di E detti deidrogenasi:
in questa sesta tappa infatti interviene la G3P-deidrogenasi. Se un aldeide si ossida diventerà un
acido carbossilico o un estero: qui ossidiamo la G3P a glicerato e simultaneamente gli aggiungiamo
un P in posizione 1 ottenendo 1,3bis-P-glicerato. Alla fine quindi si accoppiano due reazioni: una
ossidazione ad una fosforilazione. Se la gliceraldeide si ossida, qualcuno si dovrà ridurre: il NAD+
che diventa NADH. Ovviamente dalla reazione 5 in poi è necessario moltiplicare tutto per 2 visto
che DAD è stato trasformato in G3P che si somma al primo G3P già esistente. Questo NADH poi si
sposterà nei mitocondri delle cellule prendendo parte alla catena respiratoria. La reazione ha un
delta G positivo, quindi è una reazione reversibile. La cosa interessante da un punto di vista
biochimico è che abbiamo accoppiato una reazione molto favorevole, l'ossidazione, ad una
reazione molto sfavorita, la fosforilazione. In questo modo abbiamo creato una fosfo-anidride
fortemente instabile che perderà almeno un P.
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Reazione 7
Il fatto che questo composto perderà spontaneamente un P è sfruttato dalla natura per
sintetizzare ATP. La perdita del P è altamente spontanea anche per via del delta G di reazione che
è altamente negativo. Spontaneamente quindi si passerebbe dal 1,3-bisP-glicerato al 2-Pglicerato.

Tuttavia in questa reazione agisce un enzima, la fosfoglicerato-chinasi, che accoppia la reazione


termodinamicamente favorita del P con la sintesi di ATP. Questa è una delle poche reazioni in cui
si produce ATP senza ricorrere all'enzima ATP-sintasi che per funzionare richiede O2 (la glicolisi
avviene in assenza di O2 visto che si è evoluta nei microrganismi prima che ci fosse ossigeno
nell'aria). L'enzima è detto chinasi (anche se stiamo defosforilando) perchè è stata scoperta prima
la reazione opposta ovvero quella di fosforilazione. Possiamo considerare la tappa 6 e 7 della
glicolisi quasi come un'unica reazione in cui in un caso aggiungiamo P per destabilizzare la
molecola che è talmente instabile che dura pochissimo e si sintetizza subito ATP (è quasi come un
intermezzo di reazione).
Ovviamente poiché tutto va raddoppiato, alla fine della tapa 7, otteniamo 2 molecole di ATP e due
molecole di 3-fosfoglicerato.
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Reazione 8 e 9
Abbiamo il 3P-glicerato che diventa S di un E che “sposta” il gruppo P dalla posizione 3 alla
posizione 2 ottenendo il 2P-glicerato. L'E che si occupa di fare ciò è detto fosfo-glicerato-mutasi.
La reazione ha un delta G leggermente + ed assolutamente reversibile. In questo modo si mette un
gruppo P ancora più vicino al carbossile andando a creare maggior repulsione andando a
destabilizzare la molecola. Questa molecola verrà de-idratata andando a perdere una molecola
d'acqua creando un doppio legame fra il C2 e il C3 creando il P-enol-piruvato che è ancora più
instabile del 2P-glicerato. Anche questa reazione della tappa 9 è una tappa reversibile, ha un delta
G positivo e quindi è reversibile. Il PEP (P-enol-piruvato) è una molecola ad alto potenziale di
trasferimento del P.

Reazione 10
Abbiamo detto che PEP è altamente instabile per cui perderà un gruppo P donandolo ad una ADP
per creare una ATP. La perdita del P è del tutto favorita perchè ha un delta G molto negativo.
Perdendo il P, si genera il piruvato nella sua forma enolica, ovvero una forma instabile che,
spontaneamente si trasforma nella forma chetonica (tramite tautomeria: spostamento di cariche
e protoni spontaneo senza E). Ciò che avviene quindi è una tautomeria cheto-enolica: l'ossigeno
legato al C2 dona un doppietto elettronico al C così da permettere la formazione del doppio
legame fra C ed O. O a sua volta perde un H che verrà preso dal C che prima era CH2 con il doppio
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legame con C2 (questo è possibili in quanto a seguito della formazione del doppio legame fra C ed
O, il doppio legame fra C1 e C2 si rompe).

Abbiamo detto che il P viene donato ad una ADP per sintetizzare ATP: anche nell'ultima fase della
glicolisi si sintetizza ATP. Questa reazione ha un delta G molto negativo per cui la reazione è
irreversibile (assieme alla prima e alla terza tappa). La reazione è catalizzata dalla piruvato chinasi.

Bilancio finale
Alla fine della glicolisi abbiamo speso 2 molecole di ATP, nella fase di recupero ne abbiamo
ottenute 2 di ATP, che si sommano ai 2 NADH e alle due molecole di piruvato.

Bruciando il G si ottenevano 2840Kj/mol sotto forma di calore, con la glicolisi non si arriva alla
completa ossidazione a CO2 e acqua, per cui si arriva a 85Kj/mole. Questo dato ci dice che gran
parte dell'energia del glucosio è ancora contenuta all'interno delle molecole di piruvato.

Abbiamo parlato della glicolisi ma è necessario ricordare che non abbiamo solo il glucosio puro,
abbiamo anche altri zuccheri di altra natura.
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Glicogeno
Esso è formato dal glucosio e si trova all'interno del nostro corpo in modo da immagazzinare
energia. Nel caso in cui il nostro corpo avesse bisogno di energia e non c'è la possibilità di
assumere glucosio dall'esterno, esso verrà preso dall'interno scindendo il glicogeno. Il glicogeno
viene quindi mobilizzato ovvero scisso. A farlo è un enzima detto glicogeno-fosforiladi che usa un
P inorganico per strappare dal glicogeno i singoli monosaccaridi (glucosio-1P). Questo è quindi un
processo catabolico che ci da un prodotto che tuttavia non è subito utilizzabile: non è glucosio
puro e non è nemmeno un intermezzo della glicolisi. Il G1P viene quindi trasformato in G6P (utile
nella glicolisi) da una mutasi (fosfoglucomutasi che sposta P da 1 a 6). Questo meccanismo è
geniale perchè abbiamo ottenuto il primo S della glicolisi, dall'interno del nostro corpo, senza
spendere ATP (visto che nella glicolisi era necessario fosforilare). Ovviamente sarà necessaria ATP
per sintetizzare il glicogeno. Fruttosio
Anch'esso è introdotto dalla dieta tramite cibi che lo contengono: sarà sufficiente fosforilarlo con
una chinasi per farlo diventare F6P in modo da entrare direttamente nella glicolisi. L'enzima che fa
questo è l'esochinasi, la stessa che lo faceva sul glucosio, sebbene con una velocità diversa.
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Galattosio
Il galattosio è un epimero del glucosio in C4, un suo stereoisomero. Grazie ad una isomerasi il
galattosio verrà convertito in glucosio.
Tutto questo discorso per sottolineare è che non esistono vie metaboliche precise per ogni
zucchero in quanto ogni zucchero viene ricondotto al metabolismo del glucosio: o vengono
trasformati in glucosio oppure in qualche intermezzo della glicolisi.

PRECISAZIONI
Reazione 2
La reazione che ci permette di passare da G ad F. Se non si fosse isomerizzato il G in F, non
avremmo ottenuto una molecola simmetrica: se avessimo mantenuto il glucosio e lo avessimo
spezzato in due come si fa nella tappa 4, avremmo ottenuto 2 zuccheri
molto difficili da convertir fra di loro.

Reazione 8
Qui apparentemente si spostava un P dalla posizione 3 alla 2 grazie alla
fosfo-glicerato-mutasi. In realtà il P non viene spostato. Se guardiamo nel
sito attivo ella mutasi, notiamo che ci sono due istidine di cui una è
fosforilata. Quando S (ovvero il 3P-glicerato) entra nel sito attivo, capita
che l'istidina libera si comporta da base strappando un H+ all'ossidrile
che si carica – e diventa nucleofilo che può dare l'attacco nucleofilo al
fosforo presente sulla seconda istidina del sito attivo.
In seguito a questo attacco, il P viene a legarsi all'O che ha dato l'attacco
nucleofilo ottenendo un intermedio di reazione ovvero il 2,3-
bisPglicerato, che è il modulatore negativo dell'Hb. A questo punto
abbiamo una molecola con due P, che è poco stabile: per cui l'istidina
rimasta libera, per una questione di distanze, si trova nella posizione
adatta ad attaccare il P in posizione 3. A questo punto restano degli
elettroni sull'O che fanno si che si riprenda il protone H+ che la prima
istidina aveva strappato inizialmente.

Reazione 6
Ci spostiamo circa a metà della glicolisi, la sesta tappa catalizzata dalla
G3P-deidrogenasi, in cui iniziamo a guadagnare ATP grazie alla
trasformazione della G3P in 1,3-bisP-glicerato. In questa tappa si
aggiunge un P inorganico in posizione 1 e simultaneamente si ossia la
gliceraldeide a glicerato e si riduce il NAD+ a NADH. La cosa interessante che avviene a livello del
sito attivo dell'enzima è che si riescono a coniugare 3 processi ben distinti e con termodinamiche
differenti ovvero la fosforilazione (un processo sfavorito) e l'ossidazione.
Come avviene?
Nel sito attivo dell'enzima entra S ovvero G3P dove ci sono altre molecole importanti ovvero il
NAD+ (indispensabile al 100%), una istidina e la catena laterale di una cisteina. La cisteina sarà l'aa
principale dell'E che darà l'attacco alla G3P per far partire il meccanismo catalitico.
Quindi tutto questo avviene nel sito attivo dello stesso enzima che coniuga sia la reazione di
ossidazione che la fosforilazione. Il vero protagonista di questo meccanismo è il NAD+ perchè è lui
che partire la reazione, rendendo il gruppo SH in grado di fare un attacco nucleofilo: lo zolfo
attacca il C carbonilico di G3P; questo C carbonilico è parzialmente carico negativamente perchè è
legato all'O. Tutto ciò è possibile proprio al NAD+ che fa perdere un protone allo zolfo lasciandolo
quindi prono ad attaccare il C carbonilico. Il ruolo del NAD+ è quello di abbassare la pKa
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rendendolo più acido. L'H+ che viene perso dal gruppo sulfidrilico della cisteina, verrà preso dall'O
(rompendo il doppio legame fra C ed O), si forma un intermedio covalente ma questo intermedio
covalente è destabilizzato dalla presenza di una istidina che si trova accanto, che ha
comportamento basico e tende a strappare l'H+ che aveva reso stabile l'O. L'istidina diventa
positiva, l'O trattiene gli elettroni di legame rimettendoli in condivisione con C per riformare un
doppio legame. A questo punto avviene un processo chiave.
La destabilizzazione delle molecola è compensata dalla riduzione del NAD+ a NADH: l'anello
nicotinammidico del NAD+ strappa 2 elettroni e un H+ (complessivamente uno ione idruro che
non potrebbe rimanere nel G3P) diventando NADH. A questo punto E è ancora legato ad S
covalentemente: questo intermedio di reazione si chiama tioestere. Questa reazione è
energeticamente estremamente favorita, ha un delta G fortemente negativo.
A questo punto il NADH può fuoriuscire dal sito attivo dell'E da cui non è più attivo, permettendo
ad un nuovo NAD+ di entrare nel sito attivo per iniziare a ripristinarlo. Servirà ancora l'ultima
tappa ovvero quella in cui entrerà nel sito attivo dell'E un P inorganico, e uno dei suoi O darò un
attacco nucleofilo al C carbonilico che è elettropositivo: si crea una fosfoanidride ovvero l'1,3-bisP-
glicerato che è altamente instabile (infatti la reazione ha anche un delta G molto positivo). A
questo punto abbiamo parzialmente ripristinato il sito attivo dell'enzima il quanto abbiamo anche
staccato il legame covalente fra l'1,3bisP-glicerato e l'enzima; tuttavia in questo modo la cisteina si
troverebbe uno zolfo carico negativamente e a questo punto li compensa riprendendosi l'H+
dall'istidina riottenendo l'istidina neutra, il gruppo SH e il NAD+ che avevamo già introdotto
precedentemente.
Ecco un riassunto semplificato di tutto il processo:
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Ecco il meccanismo di reazione completo:

FERMENTAZIONI
Sono reazioni che avvengono in assenza di ossigeno. Si collegano alla sesta tappa della glicolisi in
cui si consuma del NAD+. Il NAD+ deriva da una vitamina, è un oligoelemento, per cui è molto
prezioso per il nostro organismo in quanto è presente in piccole quantità. In assenza di ossigeno si
accumula NADH prodotto durante la glicolisi. Man mano che la glicolisi procede, se siamo in
condizioni di anaerobiosi, il poco NAD+ che abbiamo nel corpo si converte a NADH. Terminato il
NAD+, la sesta tappa della glicolisi si blocca in quanto esso, come già detto, è indispensabile. In
caso di sforzo intenso prolungato, è necessario continuare ad ossigenare tutti i tessuti: il cuore per
fare ciò aumenta i battiti e solitamente non va oltre i 180bpm. Se ciò non è necessario, i tessuti
vanno in anaerobiosi, con conseguente blocco della glicolisi, che impedirebbe di produrre altra
ATP per garantire lo sforzo che si sta sostenendo. Questo sancisce l'inizio dei processi
fermentativi.

A cosa servono le fermentazioni? Sostanzialmente servono a ripristinare il NAD+ necessario per


la glicolisi, oltre ad altri scopi secondari. In assenza di ossigeno il NADH non può essere
convertito in NAD+ e il piruvato non potrebbe entrare nel ciclo dell'acido citrico per produrre
altra energia. Per riossidare il NADH in assenza di ossigeno, qualcuno deve ridursi: sarà proprio il
piruvato a ridursi (di cui ne abbiamo in abbondanza nel nostro corpo).
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Fermentazione lattica
Questo processo porta il piruvato a diventare lattato (o acido lattico), prendendo il nome di
fermentazione lattica (che ha comunque come scopo quello di ossidare il NADH). Questo
fenomeno avviene frequentemente negli eritrociti che sono privi di mitocondri e quindi privi
della possibilità di effettuare il metabolismo connesso all'O2. È una cosa strana questa perchè gli
eritrociti ne hanno in abbondanza di O2 visto che il
loro compito è proprio quello di trasportarlo ai vari
distretti tissutali. Chi si occupa di convertire il
piruvato in lattato? Essendo questa una redox, l'E
sarà una deidrogenasi, in particolare la lattico (o
lattato) deidrogenasi. Il ripristino del NAD+
permette alla glicolisi di continuare per produrre
ATP.
Esiste però un problema, sempre rimanendo a livello di un muscolo sotto sforzo: nonostante
abbiamo prodotto NAD+ e possiamo continuare a produrre ATP per garantire energia per la
contrazione muscolare, bisogna tenere in conto che in questo modo comunque produciamo del
lattato che man mano che si accumula nelle cellule muscolari, ne acidifica l'ambiente. Man mano
che si accumula acido lattico nei nostri muscoli, prima o poi si arriva ad una soglia limite che
produce un effetto di dolore, il crampo, che rappresenta un meccanismo di difesa per proteggere
il muscolo che sta lavorando in assenza di O2 (che quindi potrebbe danneggiarsi
irreversibilmente). Questo acido lattico deve quindi essere smaltito, non solo per via del crampo
ma anche per l'acidificazione dell'ambiente cellulare che sarebbe dannoso. Dove finisce l'acido
lattico? Entra nel ciclo del Cori. Viene portato fuori dalle cellule muscolari e attraverso il sangue
arriva al fegato dove incontra l'enzima lattico deidrogenasi che stavolta catalizza la reazione
inversa: il lattato viene convertito nuovamente in piruvato. Ma perchè tutta questa fatica? Perchè
non è stato direttamente trasportato il piruvato al fegato senza farlo prima diventare lattato nei
muscoli? Innanzitutto per ripristinare il NAD+ (che è lo scopo delle fermentazioni); in secondo
luogo c'è il fatto che il piruvato è una molecola preziosa e le cellule tendono a tenerselo dentro in
quanto gran parte dell'energia del G è ancora nel piruvato: proprio per questo motivo non
esistono dei trasportatori del piruvato sulle membrane cellulari. Nel fegato il piruvato derivante
dal lattato viene addirittura trasformato nuovamente in glucosio attraverso la via anabolica
gluconeogenesi.

Fermentazione alcolica
Essa permette di arrivare dal piruvato ad etanolo e CO2. Affinchè avvenga, l'organismo deve avere
il corretto corredo enzimatico e quindi genico, Il tutto avviene in due fasi, la prima è una
decorbossilazione ovvero la rimozione di CO2 mediante l'E piruvato-decarbossilasi (che necessita
di Mg per la sua funzione), ottenendo l'acetaldeide. A questo punto l'acetaldeide si riduce ad
alcool etilico (o etanolo) e successivamente avviene la riossidazione del NADH in NAD+. Ad
occuparsi di questa seconda fase è l'enzima alcool deidrogenasi. Anche negli esseri umani
troviamo l'alcool deidrogenasi (non abbiamo la piruvato decarbossilasi): viene usata però per la
reazione inversa ovvero per metabolizzare l'alcool che viene ingerito trasformandolo in aldeide
acetiche e successivamente in acido acetico. Questo E ad esempio è presente in diverse quantità a
seconda dell'individuo, a seconda dell'area geografica. L'espressione del gene di questo E è
inducibile proprio dalla presenza di alcool.
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GLUCONEOGENESI
Stiamo parlando della catena di reazioni che converte il piruvato in G, ovvero l'opposto della
glicolisi (se non per alcune tappe). Questo è un processo anabolico che viene attuato solo in caso
di necessità. Il piruvato utilizzato per sintetizzare glucosio ovviamente non proviene dagli zuccheri
(perchè è necessario sintetizzare glucosio proprio quando non ne abbiamo): la gluconeogenesi
viene quindi definita come la sintesi di G da precursori non saccaridici.
La gluconeogenesi avviene principalmente nel fegato. Un
esempio di fonti di piruvato sono gli amminoacidi che grazie alle
transaminasi vengono trasformati in piruvato (eliminando la
funzione amminica): dall'alanina ad esempio eliminando il
gruppo NH2 arriviamo direttamente al piruvato, dalla acido
aspartico arriviamo all'ossalacetato e successivamente al
piruvato. Un altro carburante da cui ottenere il piruvato è il
lattato (con la reazione inversa della fermentazione lattica);
oppure gli acidi grassi. La gluconeogenesi non è una via distinta
della glicolisi ma non è solamente l'inverso. Essa sfrutta infatti 7
tappe della glicolisi ma al contrario; solo le 3 tappe irreversibili
della glicolisi (la prima, la terza e la decima: le prime due che
sfruttano ATP e l'ultima che produce ATP), non possono essere
sfruttate al contrario per la gluconeogenesi.

Fasi 1 e 3 della glicolisi (ultima e terzultima tappa della


gluconeogenesi)

A questo punto siamo al fruttosio 1,6 bis fosfato (qualunque sia la fonte di partenza) e ora
dobbiamo defosforilare ovvero rimuovere il P che era stato irreversibilmente aggiunto al fruttosio.
Nella glicolisi se ne occupava la PFK1, nella gluconeogenesi agirà una fosfatasi ovvero la fruttosio
1,6 bisfosfatasi che rimuoverà un P grazie ad una molecola di H2O. A questo punto abbiamo
ottenuto il F6P che verrà isomerizzato a G6P dalla fosfo-gluco-isomerasi in comune con la glicolisi.
Ora abbiamo il G6P che, grazie all'azione della glucosio-6fosfatasi perderà un P liberando glucosio.
L'enzima glucosio-6fosfatasi è presente quasi solo a livello epatico (un po' nella corteccia renale,
nel pancreas e nella mucosa intestinale) quindi, fra tutti i tessuti che possono effettuare la
gluconeogenesi, solo quelli che posseggono questo enzima possono arrivare al glucosio puro; tutti
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gli altri tessuti arrivano al G6P e si fermano. Il fegato però, anche se non è l'unico che può
generare glucosio, è l'unico che può immetterlo nel sangue.

Ultima tappa della glicolisi (prima tappa della gluconeogenesi)


Come ultima tappa della glicolisi avevamo l'instabile fosfoenolpiruvato che veniva convertito in
piruvato (il P perso veniva donato all'ADP). L'inizio della gluconeogenesi, invece di prevedere una
tappa al contrario, ne prevede 2: servono quindi 2 E e un intermedio, ovvero l'ossalacetato (che
abbiamo visto come prodotto di deamminazione dell'acido aspartico).
La prima reazione, tipica di molti processi anabolici è la carbossilazione ovvero l'aggiunta di CO2: il
primo enzima è la piruvato carbossilasi che appunto porta il piruvato a diventare ossalacetato.

Questa carbossilazione è sfavorita energeticamente (infatti richiede ATP) anche perchè va a


destabilizzare la molecola. Il gruppo carbossilico che quindi viene aggiunti, viene tolto per spingere
la termodinamica della reazione, visto che la CO2 è un ottimo gruppo uscente. Nel nostro
organismo non abbiamo la piruvato decarbossilasi per la fermentazione alcolica, ma abbiamo la
piruvato carbossilasi per la fermentazione alcolica. Come fa ad aggiungere CO2? Intanto la CO2
non viene aggiunta come tale ma entrerà in gioco sotto forma di bicarbonato (dal quale viene
estratta la CO2): in questo processo è previsto l'intervento della Vit. Biotina legata
covalentemente all'enzima. La Biotina è conosciuta per essere un trasportatore universale di CO2
ovvero il trasportatore di unità mono carboniose al loro massimo stato di ossidazione.
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La CO2 arriva sotto forma di bicarbonato e quindi


viene aggiunta al piruvato per formare l'ossalacetato
carbossilando il metile in posizione 3. La biotina come
permette tale carbossilazione? Andiamo a vedere il
sito attivo dell'E piruvato carbossilasi: dentro troviamo
una lisina (un aa basico che porta un gruppo amminico
all'estremità della sua catena R). è proprio questa
lisina che espone la sua catena laterale e che lega
covalentemente la biotina, andando a formare il
gruppo prostetico. È molto interessante il fatto che
entrambe queste molecole abbiano una lunga catena
che è flessibile.

Ma come fa ad avvenire questo meccanismo? Abbiamo detto che


il bicarbonato è la molecola che cede CO2 ma, essendo essa una
molecola abbastanza stabile, è necessario che venga destabilizzata
attivandola tramite idrolisi di una ATP (si crea il carbossifosfato,
che è altamente reattivo, e che attacca la biotina permettendole di
caricarsi di CO2). A questo punto di forma il carbossifosfato (CO2 +
P) che cede la propria CO” alla biotina. Tutto questo avviene
all'interno del primo sito attivo dell'E. Nel primo sito attivo la
biotina si carica di CO2 preso dal bicarbonato attivato e poi, grazie
a questo “braccio flessibile” dovuto alla struttura stessa della
biotina e della lisina a cui si è legata, sposta la CO2 che arriva nel
secondo sito catalitico dell'enzima dove incontra il S, il piruvato,
che verrà quindo convertito in ossalacetato. La gluconeogenesi
inizia nei mitocondri, la seconda tappa può avvenire sia nei
mitocondri che ne citoplasma: l'E che permette la conversione da
ossalacetato a fosfoenolpiruvato è presente sia nei mitocondri che
nel citoplasma (questo enzima è detto fosfoenolpiruvato incarbonchitasi detto anche PEP
carbossichinasi).
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In questa seconda tappa l'ossalacetato viene convertito in fosfoenolpiruvato, una molecola


comunque abbastanza instabile. Come avviene tutto ciò? L'ossalacetato tende a decarbossilarsi
spontaneamente, così facendo gli elettroni del legame covalente diventando utili a legare il doppio
legame del fosfoenolpiruvato, non può più esistere il gruppo carbonilico quindi si rompe il legame
pi greco. Gli elettroni quindi finirebbero sull'O che può dare un attacco nucleofilo al P gamma del
nucleotidetrifosfato strappandolo: quindi in questa fase esce una CO2, si forma un doppio legame
e all'O si lega un gruppo P creando il fosfoenolpiruvato. Qui quindi abbiamo associato una
decarbossilazione (che è molto spontanea dal punto di vista energetico e quindi con un deltaG
negativo) ad una fosforilazione (favorita energeticamente con un delta G positivo). A fornire il P
questa volta non è ATP ma un altro nucleotidetrifosfato ovvero il GTP (che energeticamente è
equivalente ad una ATP).

Dettagli sulla prima tappa sulla gluconeogenesi


Il piruvato abbiamo detto che può arrivare da deamminazione ossidativa degli aa: questo avviene
in maniera molto corposa nei mitocondri. Il piruvato nei mitocondri incontra la piruvato
carbossilasi che lo trasforma in ossalacetato: a questo punto basterebbe portare fuori
l'ossalacetato per far avvenire il resto della reazione visto che gli enzimi sono nel citoplasma.
Purtroppo però sulla membrana esterna e interna dei mitocondri non esistono trasportatori per
l'ossalacetato. L'unica soluzione è quella di trasformare l'ossalacetato in malato tramite una redox
(catalizzata dalla malato-deidrogenasi-mitocondriale): in questa reazione l'ossalacetato si riduce e
il NADH si ossida a NAD+. Il malato a questo punto ha un trasportatore e fuoriesce nel citoplasma.
Fatto ciò è possibile riconvertire il malato in ossalacetato visto che esiste nel citoplasma un enzima
uguale a quella vista nel mitocondrio (malato-deidrogenasi-citosolica), questa volta riducendo il
NAD+ in NADH. In questo modo, parallelamente, è come se, oltre ad aver spostato l'ossalacetato
dal mitocondrio al resto della cellula, avessimo anche spostato in NADH dal mitocondrio (di cui è
molto ricco) al citoplasma (di cui è molto povero). Questo processo è molto conveniente perchè se
nella glicolisi era necessario avere del NAD+, nella gluconeogenesi al contrario serve del NADH. Il
piruvato però, come abbiamo detto, può arrivare anche dal lattato proveniente dal ciclo di Cori. In
questa redox il NAD+ viene ridotto a NADH in quanto il lattato si ossida a piruvato: già solo in
questa fase abbiamo generato una quantità sufficiente di NADH citoplasmatico per la
gluconeogenesi. Il piruvato, per essere trasformato in ossalacetato deve per forza migrare nel
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mitocondrio: il piruvato quindi entra nel mitocondrio, incontra la piruvato-


carbossilasimitocondriale diventando ossalacetato e da qui si potrà convertire a PEP attarverso il
secondo enzima della gluconeogenesi (il PEP-carbossi-chinasi) presente anche nel mitocondrio.
Perchè non è stato utilizzato il PEP-carbossi-chinasi per trasformare direttamente l'ossalacetato in
PEP senza passare dal malato? Perchè altrimenti non avremmo generato la concentrazione
adeguata di NADH nel citoplasma, essenziale per la gluconeogenesi. Tutto ciò viene deciso dal
precursore gluconeogenetico del piruvato da cui si parte.
Quindi, riassumendo, la glicolisi conta 10 tappe, la gluconeogenesi ne ha 11 di cui solo 7 in comune
con la glicolisi. Il glucosio prodotto alla fine della gluconeogenesi nel citoplasma, per trasporto
passivo verrà portato fuori dalla cellula e poi nel sangue (che ne è carente). Ciò avviene solo nel
fegato, nella maggior parte dei tessuti si arriverà solo a glucosio 6P per la mancanza dell'E
glucosio6-fosfatasi.
Detto ciò, è comunque necessario precisare che la gluconeogenesi è un processo dispendioso che
consuma ATP, GTP e NADH. Questo però non è un problema perchè avviene nel fegato che è un
organo ricchissimo di energia.
Queste due vie, la glicolisi catabolica e la gluconeogenesi anabolica, sono finemente regolate
perchè devono dei processi mutualmente esclusivi che non devono mai avvenire
contemporaneamente nella stessa cellula.

ASPETTI TERMODINAMICI SULLA REGOLAZIONE GLICOLISI/GLUCONEOGENESI


Per regolare i due processi, la natura usa proprio le 3 reazioni che differenziano glicolisi da
gluconeogenesi ovvero quelle 3 reazioni della glicolisi con delta G enormemente negativo (la
prima, la terza e la decima).

In realtà i delta G di cui abbiamo parlato fin'ora sono dei delta G misurati in laboratorio, nella
realtà, con le concentrazioni di S e di E fisiologici, tutti delta G sono prossimi a 0 e quindi tutte le
reazioni sono facilmente reversibili. Restano comunque irreversibili le reazioni 1,3 e 10 della
glicolisi. A livello di queste 3 tappe avviene proprio la regolazione di glicolisi e gluconeogenesi. In
che modo? Regolando gli E di queste 3 tappe: il punto più importante di regolazione è la tappa
comando della glicolisi ovvero la conversione del fruttosio-6P in fruttosio-1,6-bisP ad opera della
PFK1.
Le regolazioni sono di 4 tipo:
1. trasporto (regolazione del trasporto del glucosio);
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2. allosterica (vi è un modulatore che si lega ad una sub-unità dell'E alterando


istantaneamente la funzionalità dell'E);
3. ormonale o covalente (è un sistema molto più lento della regolazione allosterica che porta
a modificare covalentemente e reversibilmente gli E. Porta ad attivare delle chinasi o delle
fosfatasi);
4. isozimi (E che catalizzano la stessa reazione degli E originali ma con cinetiche di reazione
diverse).

2) regolazione allosterica
Un esempio di questa azione è presente nella
reazione 3 ovvero quella catalizzata dalla PFK1
(tappa comando). L'E PFK1 è formato da più
subunità che comunicano fra di loro: è un
omotetramero che ha un andamento di reazione
sigmoidale. Questa tappa deve andare quando c'è
bisogno di produrre ATP, anche se essa stessa
necessita di ATP: quindi una molecola essenziale
affinchè avvenga questa reazione è l'ATP ma, in
modo contro intuitivo, questa reazione avviene
quando c'è poco ATP. Questo perchè se ce ne fosse
già tanto di ATP nella cellula, non avrebbe senso
spenderlo per fare glicolisi e quindi produrre altro
ATP. Come avviene la regolazione? Quando è presente tanto ATP, esso si lega a dei siti allosterici
della PFK1 riducendone l'affinità per il suo S (sposta la Km a valori molto più alti). Se in questo
esempio l'ATP è un modulatore negativo, l'ADP e l'AMP fungono da modulatori positivi. In una
cellula abbiamo tanto ADP e AMP quando viene brucata molta ATP. Il citrato invece, che deriva dal
ciclo di Krebs, è un modulatore negativo in quanto la sua presenza indica la presenza di energia.
Anche l'ultima tappa della glicolisi è modulata negativamente dall'ATP, anche se questo E ha lo
scopo di produrre piruvato (quindi maneggia sia ATP che ADP). La regolazione dell'ultima tappa è
la classica regolazione da prodotto, ovvero l'ATP facendo si che essa, una volta prodotta, se non
utilizzata, si accumuli andando a spegnere l'E evitando di consumare altro glucosio per produrre
energia che già c'è. Così facendo, anche le tappe prima di quelle inibite, si bloccano andando ad
accumulare i prodotti delle reazioni a monte tra cui il G6P. Quando si accumula il G6P, anche il
primo E della glicolisi, l'esochinasi, viene bloccata. Questo meccanismo del G6P è valido per
l'esochinasi e non per la glucochinasi epatica, ovvero un E di cui abbiamo già parlato per via della
sua Km enormemente più alta dell'esochinasi (nonostante abbiano la stessa funzione). La
glucochinasi epatica quindi non subisce inibizione allosterica.

4) isozimi
Le esochinasi e le glucochinasi, introdotte con il discorso dell'inibizione allosterica, sono fra di loro
degli isozimi. Estremamente attiva al S cioè il glucosio, la glucochinasi difficilmente è affine al
glucosio (agisce su di esso solo quando la concentrazione del glucosio è molto alta). Questo due E
hanno infatti anche delle regolazioni diverse: l'esochinasi (la 1, la 2 e la 3) sono inibite dal
prodotto, la glucochinasi non è inibita dal G6P. Questo è importante perchè se la glucochinasi
lavora sul S solo quando è ad alta concentrazione, è ovvio che lo convertirà in una altrettanto alta
concentrazione di G6P. Se fosse inibita da alte concentrazioni di G6P, farebbe un unico ciclo e poi
si fermerebbe.
Questo ci fa capire ad esempio che la regolazione che avviene nel fegato è molto più complessa di
quella che avviene nei muscoli. Nei muscoli banalmente prevale la regolazione allosterica ovvero
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la modulazione che rapidamente accendono o spengono enzimi: è logico che sia così perchè il
muscolo deve necessariamente rispondere in modo rapido agli stimoli (se ad esempio esso smette
di contrarsi deve smettere immediatamente di bruciare glucosio). Se consideriamo una fibra
muscolare a riposo, in cui non si brucia ATP nel processo di contrazione muscolare per cui essa in
questa fase si può accumulare: accumulandosi va ad inibire la piruvato chinasi e la PFK1,
bloccando tutte le reazioni e facendo accumulare tutti i loro substrati fino a quando non si
accumula anche il G6P che va ad inibire l'esochinasi.
Appena le fibre muscolari si contraggono e iniziano a bruciare ATP, ovviamente [ATP] cala, si sbloccano
la tappa 10 e la tappa 3, si riattivano gli enzimi piruvato chinasi e PFK1, aumentano le concentrazioni di
ADP e AMP che vanno ad attivare la PFK1: a questo punto si comincia a sfruttare il F6P, il G6P andando
a sbloccare anche il primo E ovvero l'esochinasi.

3) regolazione ormonale
Nel fegato oltre, oltre alle regolazioni allosteriche viste
precedentemente, vi sono anche delle regolazioni ormonali che
sono più complesse e lente. Perchè proprio nel fegato ci sono
queste regolazioni? Perchè è l'organo deputato al
mantenimento della glicemia sia dopo i pasti che a digiuno. La
regolazione ormonale avviene prevalentemente sulla terza
tappa ovvero la tappa comando della glicolisi.

Per parlare di ciò è necessario parlare di un nuovo regolatore


allosterico ovvero il F-2,6-BP. È un modulatore allosterico
positivo per la PFK1, è molto simile al F-1,6-BP della glicolisi
anche se non c'entra nulla con esso (non è ne S ne P). è un
modulatore presente nelle cellule epatiche e, in riferimento alla
tappa comando della glicolisi, questo F-2,6-BP aumenta
notevolmente la velocità di reazione di tale E in funzione della
[F6P] ovvero il suo S. Esso è quindi un modulatore
estremamente positivo per la PFK1 al punto che, quando è
assente, l'E rallenta di molto e per farlo “funzionare” serve una [F6P] molto elevata. La cosa
particolare è che F-2,6-BP ha effetto non solo su PFK1 ma anche sull'E della corrispondente tappa
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della gluconeogenesi ovvero sulla FBPasi (fruttosio-1,6bisfosfatasi): in questo caso è


estremamente negativo per questo enzima. Quando viene sottratto il modulatore, si spegne la
glicolisi e si accende la gluconeogenesi, viceversa quando viene aggiunto. La regolazione è quindi
mutualmente esclusiva. Come si collega tutto ciò alla regolazione ormonale? Gli ormoni agiscono
proprio a livello della regolazione dei livelli interni di F-2,6-BP nella cellula. Gli ormoni in gioco
sono l'insulina e il glucagone. Come si genera il F-2,6-BP? Molto semplicemente partendo dal F6P,
per fosforilazione da parte di una chinasi, otteniamo il F-2,6-BP (questa chinasi è la PFK2 perchè
fosforila in posizione 2). Ovviamente per diminuire i livelli di questo modulatore, viene tolto un P
dal F-2,6-BP ottenendo il F6P grazie ad una fosfatasi ovvero FBPasi-2. Quando cala il F-2,6-BP si
crea pi F6P utile nella gluconeogenesi, viceversa quando aumenta il F-2,6-BP si attiva la PFK1 e si
attiva la glicolisi. Non esistono una PFK2 e una FBPasi-2 separate, sono due reazioni enzimatiche
catalizzate dallo stesso enzima che ha sia l'azione chinasica che l'azione fosfatasica (questo E è
detto anche enzima Tandem). Se vi fossero due E separati, uno andrebbe acceso e l'altro spento in
modo simultaneo (cosa molto difficile): in questo modo un solo E che può esistere in due forme
diverse (con 2 S diversi), esercitando due azioni opposte è molto più comodo. Come si decide
quale conformazione di questo E deve prevalere? Lo si fa attraverso una fosforilazione: l'enzima
tandem che ha un dominio chinasico e uno fosfatasico ha un comportamento diverso a seconda se
è fosforilato o meno. Sono proprio gli ormoni glucagone ed insulina a decidere la fosforilazione.
Partiamo dal caso in cui ci sia bassa glicemia nel sangue quindi poco glucosio. Si libera glucagone
dal pancreas, incontra la propria molecola target, ovvero l'epatocita al quale si lega tramite un
recettore sulla sua membrana. Successivamente, con un meccanismo di trasduzione del segnale, si
arriva all'attivazione di un E ovvero la protein-chinasi-1. Tra i suoi vari S ha anche l'E tandem.
Quindi quando il glucagone arriva sulla membrana dell'epatocita, si lega alle sue proteine di
membrana e attiva una trasduzione del segnale che porta alla formazione della protein-chinasi-1
che forsforila l'E tandem a livello del dominio chinasico. Fosforilandolo induce la conformazione in
cui il domino chinasico è spento e quello fosfatasico è acceso (se è attiva questa componente, il
suo S è il F-2,6-BP che viene trasformato in F6P che è un reagente utile per la gluconeogenesi. In
più riducendo [F-2,6-BP], si attiva la gluconeogenesi).
Caso in cui la glicemia è alta e quindi il pancreas libera insulina. Per abbassare la glicemia
dobbiamo quindi o immagazzinare il glucosio in forma di glicogeno, oppure dobbiamo
catabolizzare il glucosio con la glicolisi. L'ormone insulina quindi una volta nel torrente sanguigno
arriva sulla membrana del proprio recettore (recettore tirosin-chinasico), avviene una trasduzione
del segnale e porta all'attivazione di una fosfo-proteina-fosfatasi che ha l'effetto opposto della
proteina-chinasi-1. Questa fosfo-proteina-fosfatasi va defosforilare l'enzima tandem che a questo
punto assume una forma completamente diversa: a questo punto esso ha il dominio fosfatasico
spento e quello chinasico attivo. Avendo il dominio chinasico attivo, prende il F6P e lo trasforma in
F-2,6-BP. Questo modulatore allosterico quindi, quando è in alte concentrazioni attiva PFK1 della
glicolisi e, sempre ad alte concentrazioni, spegne l'E della terzultima tappa della gluconeogenesi.
Abbiamo smesso quindi di produrre glucosio, visto che siamo in alta glicemia, e abbiamo iniziato a
sfruttarlo con la glicolisi.
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1) trasporto del glucosio


Il trasporto di molecole è il passaggio di molecole attraverso la membrana plasmatica, che può
avvenire generalmente in due modi:
1. attivamente: richiede ATP per consentire il passaggio di molecole. Può avvenire anche
contro gradiente di concentrazione;
2. passivamente: non richiede ATP. Esso avviene sempre secondo gradiente di
concentrazione. Può essere suddiviso in due tipi:
1. trasporto facilitato: movimento di molecole attraverso la membrana per mezzo di
proteine integrali di membrana;
2. diffusione semplice: tipica delle piccole molecole polari oppure di molecole
idrofobiche.
Il trasporto può inoltre avvenire con due modalità differenti:
1. uniporto: quando viene trasportata una molecola per volta;
2. cotrasporto:
1. simporto: due molecole nello stesso senso;
2. antiporto: due molecole nel senso opposto.
Il glucosio è una molecola polare non piccola che non riesce ad attraversare da sola la membrana
plasmatica. I trasportatori di glucosio si chiamano GLUT, ovvero proteine transmembrana (è un
trasporto passivo facilitato bidirezionale). Per indicare l'efficacia di trasporto di usa la Km: i GLTU
possono assumere una configurazione a bassa affinità per il glucosio ma anche una configurazione
ad alta affinità. Più la Km è bassa e più il trasportatore è affine per il glucosio quindi funziona
anche se c'è poco glucosio da trasportare. Esistono tante isoforme diverse di GLUT (che hanno
comunque la stessa funzione di trasporto di glucosio), la maggior parte raggiunge la massima
velocità di trasporto del glucosio anche a basse concentrazioni di esso. Un esempio sono i GLUT 4
che si trovano nei muscoli i quali hanno bisogno sempre di glucosio, per cui i GLUT 4 lavorano
anche a concentrazioni relativamente basse. Al contrario i GLUT 2 tipici del fegato, hanno una Km
altissima e quindi non è sensibile alla concentrazione normale del glucosio nel sangue, in primo
luogo perchè il fegato si nutre di altre sostanze lasciando il glucosio ad altri organi che non
possono farne a meno, in secondo luogo perchè il fegato si deve occupare del glucosio sono
quando esso è in alte concentrazioni (iperglicemia). Fin'ora sono state identificate 12 tipi di GLUT. I
GLUT 4 sono gli unici regolati da insulina: questo è importante perchè quando viene liberata
l'insulina a seguito dell'innalzamento della glicemia, capita, a livello dei muscoli, che delle micelle
intracellulari che posseggono delle GLUT 4 si fondano con la membrana plasmatica per aumentare
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il numero di trasportatori di glucosio e portare più glucosio nella cellula. In pratica, in condizioni di
iperglicemia, non solo gli epatociti introducono glucosio dentro loro stesse ma anche le cellule
muscolari aumentano la loro capacità di trasporto di glucosio aumentando la concentrazione di
GLUT 4 sulle loro membrane.

IL METABOLISMO DEL GLICOGENO


Il glicogeno è la polimerizzazione del glucosio usato come riserva energetica. Il glucosio non arriva
sempre dalla dieta: abbiamo visto che può essere prodotto dal fegato con la gluconeogenesi ma
può anche arrivare dalle riserve di glicogeno. Il glicogeno abbiamo detto che è un omopolimero
formato da glucosio come monomero che si lega ad altre molecole di glucosio attraverso un
legame acetalico glicosidico. Il glicogeno è un omopolimero non lineare quindi ramificato in
quanto il glucosio può legarsi ad altre molecole di glucosio tramite due tipi di legami glicosidici:
• legami alpha 1-4: fra il C anomerico in posizione 1 e il C anomerico in posizione 4 di un altro
glucosio, in mezzo c'è l'O a fare da ponte;
• legami alpha 1-6: stessa cosa dell'1-4 ma con il C 6.
Il legame C in posizione 1 è molto reattivo ed ha la tendenza ad ossidarsi perdendo i propri
elettroni e per questo è definito riducente. Una molecola di glicogeno ha sempre e solo una
estremità con il C1 libero, una estremità riducente, mentre tutti gli altri sono impegnati in legami
1-4 o 1-6. Questa differenza fra ossidanti e riducenti è importante a livello biologico perchè tutti
gli E del metabolismo del glicogeno lavorano solo sulle estremità non riducenti. Il fatto che il
glicogeno possa essere aggredito su diverse estremità contemporaneamente fa sì che sia molto
veloce sia la sua sintesi che la sua degradazione. Le ramificazioni si trovano ogni 12-14
monosaccaridi (l'amido ha ramificazioni ogni 25 monosaccaridi), e questo fa sì che esso sia una
riserva molto veloce da utilizzare. Il glicogeno è distribuito un po' in tutto il corpo ma
prevalentemente lo troviamo nel fegato e nei muscoli (ma anche tessuto adiposo, cuore e reni). Il
10% in peso del fegato è glicogeno mentre l'1-2% dei 15kg totali circa dei muscoli, sono costituiti
da glicogeno. Complessivamente nel nostro corpo abbiamo circa mezzo kg di glicogeno: può
sembrare tanto ma rispetto ad altre fonti di energia è poco visto che, ad esempio, abbiamo
doversi kg di riserva di energia sotto forma di acidi grassi. Basta circa un'ora di attività fisica
intensa per bruciare tutto il glicogeno.
Abbiamo detto che il glicogeno è un polimero ramificato di glucosio: le sue ramificazioni formano
delle strutture più o meno circolari definite particelle-beta che contengono moltissimi
monosaccaridi- Le particelle-beta possono raggrupparsi nell'ordine di qualche decina formando le
rosette-alpha; più rosette-alpha si raggruppano e possono formare i granuli di glicogeno, visibili
anche al microscopio. Al centro della prima struttura della particella-beta vi è una proteina, la
glicogenina, dal quale partono tutte le varie diramazioni: gli enzimi che lavorano sul metabolismo
del glicogeno (sia per allungarlo che mobilitarlo), sono tutti imbrigliati dentro le particelle-beta.

Ma perchè si accumula glicogeno e non direttamente glucosio?


Il glucosio può uscire in base al gradiente di concentrazione in quanto il trasporto è passivo e
bidirezionale e quindi esso andrebbe nel comparto con minor concentrazione (uscirebbe dalle
cellule per andare nel sangue). Un trucco per evitare che il glucosio esca della cellule è quello di
convertirlo in G6P. Perchè allora non accumuliamo G6P? Se consideriamo il glicogeno e la
concentrazione che esso ha mediamente nelle cellule, e considerassimo di avere altrettante
unità di glucosio sotto forma di G6P, arriveremmo ad una concentrazione enorme, tipo 400 mM.
Con questa concentrazione di G6P la cellula, per osmosi richiamerebbe talmente tanta acqua
che esploderebbe. La natura quindi, invece di accumulare glucosio sotto forma di G6P, quindi
sotto forma di monomero, lo accumula sotto forma di polimero ad altro PM che quindi va a
ridurre la concentrazione complessiva nell'equazione della molarità.
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Glicogenolisi
Questa è la via catabolica ovvero la via di utilizzo del glicogeno. Immaginiamo di essere in un
muscolo e di essere in una condizione di sforzo, in cui si contrae il muscolo e sia in carenza di
glucosio. Il muscolo ha una piccola percentuale del proprio peso che è rappresentato da glicogeno
dal quale attingere. Se idrolizzasse molecole di glucosio, libereremmo grandi quantità di glucosio
puro ma capiterebbe che esso uscirebbe dalle cellule tramite le GLUT. Quello che capita è che un E
(la GF) la gliogeno-fosforilasi sfrutta una molecola di P inorganico e la usa non per liberare il
glucosio dal glicogeno ma G1P (tramite il solito attacco nucleofilo sul C1) che non ha nessun
trasportatore. Questo G1P è quindi blindato nella cellula. L'altra cosa intelligente del GF è che,
oltre a creare una molecola che non può uscire dalla cellula, fa tutto ciò senza spendere ATP.
Purtroppo però il G1P è fosforilato nel punto sbagliato in quanto noi necessitiamo di G6P. È così
importante non spendere ATP per ottenere G1P da parte di GF? Nella cellula c'è l'esochinasi che
potrebbe direttamente permettere alla cellula di ottenere G6P spendendo ATP, il problema è che
siamo in un muscolo in penuria di glucosio e non è il caso si spendere altra ATP.
Ottenuto il G1P, una mutasi si occupa di spostare il P dalla posizione i alla 6
ottenendo il G6P (l'E è la fosfoglucomutasi) che a questo punto entra a far parte
della glicolisi. La GF però riesce a liberare unità di glucosio ma solo fino a che non
arriva ad una ramificazione, infatti appena arriva davanti ad un legame alpha 1-6 si
blocca, si stacca e lavora su una nuova estremità. Perchè? Il sito attivo semplicemente non riesce a
lavorare sui legami 1-6. L'E che interviene sul legame 1-6 si chiama enzima deramificante che ha 2
distinte attività:
1. una prima attività è transferasica ovvero sposta monosaccaridi da un punto all'altro;
2. la seconda attività è idrolitica (in particolare glicosidasica).
Questo enzima in pratica interviene quanto la GF si stacca (precisamente si stacca a 4
monosaccaridi dal legame 1-6): come prima cosa prende 3 glucosi (attività transferasica) e li
trasporta e lega su una catena con estremità non riducente, allungandola; a questo punto l'enzima
deramificante esplica l'attività idrolitica sul glucosio rimasto solo con il legame 1-6 liberando una
molecola di glucosio puro. Per il catabolismo del glicogeno quindi occorrono la GF (libera unità di
G1P), l'enzima fosfoglucomutasi (converte G1P in G6P) e l'E deramificante (si occupa delle
ramificazione).
Cosa capita invece nel fegato? Esso ha finalità diverse, no deve produrre energia in quanto esso
prende energia da altre fonti; lui ha lo scopo di mantenere stabile la glicemia. Vediamo il caso di
ipoglicemia:
• può produrre glucosio con la gluconeogenesi: lo fa per via del fatto che possiede l'E
glucosio-6-fosfatasi (che è quasi solo presente nel fegato) che gli permette di convertire il
G6P in glucosio il quale uscirà dalle cellule ed entrerà nel torrente circolatorio grazie alle
proteine GLUT2;
• sfrutta le riserve abbondanti di glicogeno per produrre G1P tramite la glicogenolisi.
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• sfrutta le riserve abbondanti di glicogeno per produrre G1P tramite la glicogenolisi.

Glicogenosintesi
La glicogenosintesi è l'insieme di reazioni che permettono di accrescere e generare ex novo il
glicogeno. Essa si attua in opportuni momenti ovvero quando abbiamo degli zuccheri in
abbondanza quindi sicuramente dopo un pasto ma anche dopo che il fegato, a seguito della
gluconeogenesi ha sintetizzato troppo glucosio che non viene sfruttato. Ovviamente se anche
tutte le riserve di glicogeno sono sature, gli zuccheri verranno utilizzati per creare acidi grassi e
quindi per immagazzinare energia sotto una diversa forma.
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Abbiamo detto che il glucosio viene trasformato, da una delle 4 esochinasi, in G6P che sarò
convertito in G1P attraverso la fosfoglucomutasi. Il G1P è una molecola moderatamente stabile
che quindi deve essere attivato: lo si fa attaccandogli un nucleotide, il che lo rende altamente
instabile; in più il nucleotide è un ottimo gruppo uscente per la successiva reazione. Il nucleotide
utilizzato in questa reazione è l'UTP (uracil-tri P). G1P, attaccando il nucleotide, rompe il legame
fosfodiesterico fra il P alpha e il P beta facendo uscire una molecola di pirofosfato e il nostro G1P
si ritrova legato all'UMP (uracil-mono P) ottenendo quindi l'UDPG (uracil-di-P-glucosio): la
reazione è catalizzata dall'E uracil-di-P-glucosio-fosforilasi detto anche UDP ovvero glucosio-
pirofosforilasi.
La liberazione del pirofosfato è utile per la termodinamica della reazione in quanto esso viene
subito idrolizzato dalla pirofosfatasi-inorganica (ottenendo due molecole singole di P): è proprio la
generazione di due molecole di P diverse che genera energia e che quindi rende spontanea la
reazione alla quale essa è accoppiata ovvero l'unione fra il G1P e il nucleotide. Questa prima
tappa, come già detto, è resa irreversibile dall'idrolisi del pirofosfato e, la cosa interessante è che il
nucleotide che abbiamo aggiunto al G1P è un ottimo gruppo uscente: tutta questa prima tappa è
necessaria perchè altrimenti non riusciremmo mai a legare un G1P ad un glucosio per creare il
glicogeno. L'E protagonista della formazione del glicogeno è la glicogeno sintasi (GS): all'interno
del suo sito attivo una estremità non riducente del glicogeno può attaccare l'UDPG e liberare UDP
(l'attacco nucleofilo avviene fra l'O dell'OH legato al C4 del G dell'estremità non riducente con il C1
in modo da formare il legame). La GS però sa catalizzare solo la formazione di legami 1-4 e non 1-
6. L'E che crea il legame 1-6 è detto E ramificante: è una transferasi che prende 7 glucosi di una
estremità non riducente e li sposta in una posizione più interna creando il legame 1-6 e, così
facendo aumenta il numero delle estremità non riducenti
aumentando molto di più la velocità di tutto il metabolismo del
glicogeno.
Cosa succede però quando tutte le riserve di glicogeno sono
esaurite? La GS, così come non riusciva a creare le ramificazioni,
non può neanche creare il glicogeno ex novo, può solo
estenderlo. Per la sintesi ex novo interviene un innesco, un
primer, ovvero una proteina, la glicogenina (che troviamo al
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centro di ogni particella beta di glicogeno). La glicogenina ha due compiti che assolve con due
domini, ciascuno contenenti un residuo aa di tirosina. L'anello della tirosina mima, con il suo
ossidrile, l'OH il C4 di un glucosio di una estremità non riducente. Questo OH infatti può dare lo
stesso attacco nucleofilo che abbiamo visto dare l'OH sul C4 di una estremità non riducente, sul C1
anomerico di un glucosio facendo si che un glucosio si leghi alla glicogenina liberando UDP. Poichè
abbiamo due tirosine nella glicogenina, complessivamente si legheranno due glucosi e quindi
avremo due punti sui quali gli altri G potranno legarsi. Nonostante ciò, la glicogenina si comporta
anche da E capace di effettuare una catalisi identica a quella della GS autocatalizzando l'aggiunta
di glucosio per ben 6 volte arrivando ad avere quindi 7 unità di G per ogni tirosina. A questo punto
interviene la GS che continua ad estendere la catena insieme all'E ramificante che forma i legami
1-6.

Il destino del piruvato nel catabolismo (CICLO DI KREBS)


Carburanti differenti, convergono nella formazione di una molecola molto energetica detta acetil
CoA, una molecola che prende parte alla prima parte della respirazione cellulare (un processo a 3
fasi). Il tutto è una ossidazione e avviene all'interno dei mitocondri. Tutti gli elettroni che vengono
presi dai vari coenzimi nel ciclo di Krebs, vengono trasferiti attraverso vari complessi
macromolecolari: questo trasferimento è indirettamente associato alla produzione di H2O e ATP.
Tutte queste fasi avvengono tutte in presenza di O2, quindi sono reazioni che si sono evolute vari
anni dopo la glicolisi, dopo la comparsa dell'O2 nell'atmosfera.
Il piruvato quindi subisce una attivazione, una trasformazione in una molecola molto più attiva,
l'acetil CoA: questa trasformazione avviene tramite un complesso multi-enzimatico chiamato
piruvato deidrogenasi. Questo complesso è fatto di 3 E e di 5 cofattori: il nome complessivo della
molecola viene dato dal primo E che agisce ovvero la piruvato deidrogenasi, successivamente
agiranno la diidrolipoil transacetilasi e la diidrolipoil deidrogenasi. Abbiamo detto che il piruvato è
una molecola ancora altamente energetica che entra in questo complesso della piruvato
deidrogenasi: questo complesso estremamente efficiente in quanto ogni P di una reazione
diventa immediatamente S della nuova reazione. Il piruvato in sostanza perde una CO2 e viene
anche ossidata: quello che resta del piruvato è uno scheletro a due atomi di C in cui troviamo un
carbonile che alla fine diventa un tioestere ossidandosi a spese di NAD+ che diventa NADH. Alla
fine quindi il piruvato si lega al CoA formando l'acetil CoA. Questo CoA viene aggiunto a ciò che
resta del piruvato in quanto è un ottimo gruppo uscente. In questo processo si perde una CO2 per
ogni piruvato. L'acetil CoA quindi è una molecola molto complessa che comprende una parte
vitaminica, un nucleotide e, come cosa più importante, contiene un gruppo SH all'inizio.
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Questo SH è fortemente reattivo ed è infatti proprio lui che viene utilizzato dal CoA per legarsi a
ciò che resta del piruvato: questo SH lega gli acili ovvero i carbossili privato del gruppo ossidrilico.
Gli acili possono essere anionici, cationici oppure radicalici a seconda di come viene strappato
l'OH. L?acetil CoA è definito in generale come un trasportatore universale di gruppi acilici (legati
con un legame tioestere) come la biotina era il trasportatore universale di CO2. Ma perchè il CoA è
un buon gruppo uscente? Perchè quando se ne va lascia l'acile (in particolare l'acile), sotto forma
di acetato stabilizzandolo per risonanza. Anche questa reazione di distacco del CoA che lascia
l'acile sotto forma di acetato, è una reazione con un delta G negativo. Tutto ciò serve per favorire
la trasformazione di acetato in citrato per favorire il suo ingresso nel ciclo di Krebs: in particolare
entra nella reazione che prevede la condensazione fra ossalacetato e Acetil CoA per formare il
citrato.

Il ciclo di Krebs è un insieme di 8


reazioni che si ripetono in un ciclo e,
per semplicità, si assegna alla reazione
in cui si inserisce l'Acetil CoA il numero
1. L'ossalacetato incontra l'acetil CoA,
che è altamente instabile: le due
molecole interagiscono fra di loro
condensandosi con l'uscita del CoA
che è estremamente favorevole. Si
forma il citrato, o acido citrico, che
funge da modulatore per la glicolisi
come indicatore di energia nella
cellula (il tutto è catalizzato dalla
citrato sintasi). Questo citrato subisce,
prima l'eliminazione di una molecola
di H2O che, successivamente viene
reinserita (deidratazione e successiva
idratazione, entrambe catalizzate
dall'E aconitasi). Questo permette all'E che catalizza le due reazioni, di spostare un ossidrile e di
metterlo in una condizione ottimale per la prossima reazione: l'ossidrile viene spostato dalla
posizione centrale ad una più in basso, formando l'isocitrato. 42: 28:54
La terza tappa prevede una decarbossilazione ossidativa in cui esce un carbossile sotto forma di
CO2 e si ottiene una molecola detta alpha-cheto-glutarato: abbiamo perso un carbossile a
abbiamo ossidato l'OH che prima avevamo spostato, facendolo diventare un carbonile;
ovviamente si ridurrà un NAD+ a NADH. L'E che catalizza questa reazione è l'isocitrato
deidrogenasi. A questo punto, abbiamo l'alpha-cheto-glutarato e a questo punto esce
nuovamente una CO2 ed entra un nuovo CoA che serve a destabilizzare la molecola ed è inoltre un
ottimo gruppo uscente per la prossima reazione. La reazione che permette di perdere una CO2
dall'alpha-cheto-glutarato è una decarbossilazione ossidativa (l'E è l'alpha-cheto-glutarato
deidrogenasi): essendo anche una reazione di ossidazione viene prodotto un NADH. In questa
reazione, togliendo una CO2 ci resterà un carbonile che, interagendo con il CoA forma un
tioestere: la molecola che si forma è il succinilCoA. Abbiamo detto inoltre che il CoA è un ottimo
gruppo uscente e l'energia che deriva dalla sua uscita viene sfruttata per sintetizzare un
nucleotide trifosfato ovvero il GTP. Ogni volta che viene aggiunto un P ad un nucleotide di P si
parla di fosforilazione a livello del substrato. La reazione che permette di formare il GTP prevede
appunto la fuoriuscita del CoA dal succinil-CoA che diventa succinato (la reazione è catalizzata
dall'E succinil-CoA-sintetasi in quanto è stata scoperta prima la reazione inversa). Il succinato,
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quindi, passa sotto un E detto succinato deidrogenasi che permette di rimuovere due H formando
un doppio legame (la molecola quindi inizialmente era il succinato, dopo la reazione diventa
fumarato) e formando la versione ridotta di un nuovo coenzima ossidoreduttivo ovvero il FADH2
che deriva dal FAD (l'E è la succinato deidrogenasi). Il fumarato poi subirà l'aggiunta di un OH- e un
H+ (quindi complessivamente di una molecola di H2O) sul doppio legame: la perdita del doppio
legame e l'inserimento di un ossidrile porta ad ottenere il malato grazie all'E fumarasi. Il malato è
in realtà la forma ridotta dell'ossalacetato e a questo punto è sufficiente ossidare il malato ad
ossalacetato (l'ossidrile passa a carbonile grazie all'E malato deidrogenasi): tutto questo avviene
contemporaneamente alla riduzione di un NAD+ a NADH (questo NADH è il terzo del ciclo di
Krebs). A questo punto tutto il ciclo ricomincia.

La cosa importante di tutto questo ciclo è che durante le varie tappe noi perdiamo tutti gli atomi
di C che componevano il glucosio. Durante la glicolisi avevamo ossidato e ottenuto ATP ma non
avevamo perso nemmeno una molecola di C, l'avevamo solo spezzato in due piruvati. Durante la
formazione dell'Acetil CoA abbiamo osservato una decarbossilazione ossidativa quindi abbiamo
perso una CO2 per ogni piruvato. Durante il ciclo di Krebs ci sono altre2 decarbossilazioni
ossidative e quindi abbiamo eliminato altre due molecole di C per ogni molecola di Acetil CoA.
Stechiometricamente parlando abbiamo perdo 6 atomi di C (2 durante la formazione dell'Acetil
CoA e 4 successivamente nel ciclo di Krebs) andando quindi a perdere tutti gli atomi di C del
glucosio da cui eravamo partiti. Cosa rimane quindi del glucosio? Rimane tutta l'energia
immagazzinata in molecole ridotte e nucleotidi tri P ovvero rimangono 3 NADH, un FADH2 e un
GTP (per ogni Acetil CoA). Delle 8 tappe del ciclo di Krebs, ben 8 tappe sono redox. L'E succinato
deidrogenasi, che permette di formare il FADH2 sarà estremamente importante nella respirazione
cellulare ovvero nella parte di trasferimento degli elettroni utile per sintetizzare ATP.

Stechiometria del catabolismo del glucosio

Complessivamente durante la glicolisi avevamo visto che si aveva un guadagno di due ATP e 2
NADH. Questi coenzimi possono essere convertiti in ATP: 2 NADH formano 5 ATP mentre 2 FADH2
equivalgono a 3 ATP. Mediamente otteniamo fra le 30 e le 32 molecole di ATP totali sommando
Krebs e glicolisi e sottraendo tutti gli ATP utilizzati: vi è questa discrepanza per via del meccanismo
utilizzato per il trasporto del NADH da citosol a matrice mitocondriale, che può consumare ATP.
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Se moltiplichiamo l'energia che deriva dall'ATP per il numero di molecole di ATP che otteniamo, ci
accorgiamo che l'energia ottenuta è di 976 KJ/mol che sono circa 1/3 di tutta l'energia che
otterremmo dalla combustione completa del glucosio (2840 KJ/mol). La resa di Krebs e glicolisi è di
circa il 34%. In realtà se andiamo a calcolare praticamente quanta energia può liberare in una
cellula l'idrolisi di una ATP, considerando le concentrazioni reali di S e P, il valore reale non 30,5
KJ/mol ma è circa 50 KJ/mol: l'aver ottenuto 32 ATP fa si che, considerando l'energia
immagazzinata realmente in queste molecole, il rendimento di queste reazioni biochimiche sia
molto più alto: circa 65%. Il concetto è che nessun processo biologico arriverà mai al 100% di resa
in nessun organismo quindi avere una resa reale del 65% è un gran bel risultato (il miglior motore
termico prodotto dall'uomo ha una resa di circa il 40% di rendimento). Il ciclo di Krebs è talmente
centrale nel metabolismo che talvolta diventa anche il fulcro di vie anaboliche di sintesi, infatti si
definisce come una via anfibolica ovvero sia anabolica che catabolica. Il ciclo i Krebs inoltre può
funzionare in entrambi i sensi di marcia: le molecole possono entrare in questo ciclo ma
contemporaneamente anche uscire da esso.

IL DESTINO DEGLI ELETTRONI DEI COENZIMI: RESPIRAZIONE CELLULARE


Considerando il catabolismo del glucosio, i primi due NADH li avevamo visti essere prodotti nella
6° tappa della glicolisi; successivamente, per ogni molecola di piruvato si produceva una molecola
di NADH per la formazione dell'Acetil CoA e poi successivamente nel ciclo di Krebs.

Il trasferimento di elettroni da coenzimi ossidoriduttivi a vari complessi macromolecolari (4


complessi macromolecolari multi-enzimatici presenti sulla membrana mitocondriale interna) è un
processo molto particolare che permette di riossidare i coenzimi ridotti durante le reazioni
precedente. Gli elettroni vengono trasferiti da un complesso all'altro, seguendo il gradiente di
potenziale STD di riduzione che è la misura della tendenza delle coppie di elementi redox a subire
la reazione di riduzione. I valori STD calcolati rispetto all'H (che ha valore pari a 0 per convenzione)
possono avere valori + (in questo caso hanno alta tendenza a ridursi) oppure valori – (bassa
tendenza a ridursi). Il motivo per la respirazione cellulare avviene solo in presenza di O2 è che
proprio in assenza di esso mancherebbe il traguardo del processo, ovvero la molecola che alla fine
accetta tutti gli elettroni (per questo è così importante l'Hb per il trasporto di O2). In questo
processo gli elettroni che passano da una molecola all'altra si trovano in un processo spontaneo,
esoergonico, che libera energia. Questo processo spontaneo è accoppiato ad un processo che
richiede energia: il processo esoergonico è associato al trasporto di H+ dalla matrice mitocondriale
allo spazio intermembrana: questo processo richiederebbe energia che viene fornita proprio dal
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trasferimento di elettroni. Il passaggio degli H+ non sarebbe spontaneo in quanto li trasferiamo da


un comparto all'altro, pompandoli, contro gradiente di concentrazione. Se fra le due membrane
accumuliamo H+, si accumulano quindi tante cariche +, mentre nella matrice mitocondriale
mancheranno le cariche + e quindi risulterà carica -: oltre a generare un gradiente di
concentrazione andiamo anche a generare un gradiente di cariche. I protoni, quindi, non possono
ritornare all'esterno, non possono attraversare la membrana quindi una volta che sono stati
trasferiti, non hanno modo di uscire attraversando al contrario i complessi. In realtà gli H+
possono uscire dalla matrice mitocondriale solo grazie ad un ulteriore complesso detto ATP
sintasi: è un complesso proteico a due componenti ovvero un canale protonico per gli H+ che
associa proprio la fuoriuscita degli H+ alla sintesi di ATP.
In un mitocondrio, nella matrice, oltre agli E già visti che servono per sintetizzare Acetil CoA e per
far avvenire Krebs, ci sono anche tutti gli E per il catabolismo dei lipidi, per il metabolismo degli aa;
nella membrana mitocondriale interna di un mitocondrio troviamo i 4 trasportatori di elettroni e
l'ATP sintasi. Che caratteristiche devono avere le molecole che compongono i 4 complessi? La
caratteristica fondamentale è che devono essere in grado di interagire con gli elettroni e quindi
devono essere in grado di accettare e perdere elettroni senza legarli stabilmente (redox): devono
prenderli dal NADH e poi trasferirli ad una molecola accanto. La maggiori parte delle proteine di
membrana hanno gruppi prostetici (molecole non proteiche legate ad una proteina con legami
covalenti che coadiuvano la funzione del complesso) in grado di legare 1 o 2 elettroni.
Per quanto riguarda questi 4 complessi, ci sono 3 classi di molecole:
• i citocromi ovvero proteine che contengono un gruppo eme e che assomigliano molto alla
mioglobina. La differenza fra citocromo e mioglobina sta proprio in come l'eme e quindi il
Fe è complessato nella molecola: nella mioglobina il Fe resta nello stato ossidativo 2+, nel
citocromo, non ci sono istidine prossimali o distali e quindi può ossidarsi o ridursi e quindi
passare da 2+ a 3+ e/o viceversa. Si parla qui di eme A, B e C (che hanno piccole differenze
fra di loro in base a quali gruppi nell'eme vengono sfruttati) e quindi si parlerà di citocromo
A, B o C. In base al tipo di citocromo, ci saranno anche delle piccole variazioni del
potenziale STD di redox in modo tale da essere posizionati in modo tale da creare un flusso
di elettroni. Nell'eme della mioglobina il Fe era inossidabile proprio grazie alle istidine, nel
citocromo il contesto permette che ci siano delle redox che hanno una tendenza diversa ad
avvenire proprio a seconda di come questo eme sia collocato nei vari citocromi;
• le proteine Fe/S che hanno nei loro siti di reazione il Fe coordinato da atomi di S
provenienti ad esempio dalle cisteine;
• ubichinone o coenzima Q o Vit Q, che non entra a far parte dei complessi ma fa da ponte
fra i complessi macromolecolari. È importane da ricordare che questa molecola è
liposolubile, è immersa nel doppio strato fosfolipidico ed è quindi libera di spostarsi da un
complesso all'altro per fare da ponte proprio per gli elettroni. L'ubichinone può essere
completamente ossidato (in tal caso è chiamato ubichinone) o completamente ridotto (in
questo caso è detto ubichinolo). Oltre alla completa ossidazione e alla completa riduzione,
può avere anche una variante intermedia in cui è parzialmente ridotto: in questo caso è
detto radicale semichinonico. A differenza delle proteine Fe/S, l'ubichinone è molto più
flessibile in quanto può ridursi parzialmente con un solo elettrone o anche totalmente con
due elettroni: questa flessibilità gli permette di accettare un elettrone da un complesso e
un secondo elettrone da un altro complesso.
Complesso 1 (NADH deidrogenasi, NADH-UQ reduttasi)
Il primo complesso riceve una coppia di elettroni dal NADH che cedendoli si ossida a NAD+. Gli
elettroni trasferiti arrivano indirettamente, attraverso vari passaggi ad UQ, portando ad una sua
riduzione. La prima proteina del complesso 1 (la prima di una lunga serie di proteine ordinate
secondo potenziali STD di riduzione crescenti in modo tale che ognuna possa strappare gli
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elettroni alla proteina precedente) è la FMN (flavin mononucleotide) ovvero un coenzima


trasportatore ossidoreduttivo, il quale prende i 2 elettroni al NADH che torna ad essere NAD+.
Questi elettroni vengono poi trasferiti ad una proteina Fe/S che poi li passerà ad un'altra proteina
Fe/S e così via fino ad arrivare all'ubichinone che si riduce ad ubichinolo.
In parallelo al passaggio di elettroni da una proteina all'altra fino all'UQ, vi è il trasporto di H+ dalla
matrice del mitocondrio allo spazio intermembrana: è qui che viene associato al processo
esoergonico di passaggio di elettroni, il processo endoergonico di pompaggio di H+: per ogni 2
elettroni che passano all'UQ, vengono trasferito 4 H+. Lo scopo del complesso 1 è proprio quello di
associare il pompaggio di H+ al passaggio di elettroni. Il meccanismo di associazione di questi due
processi è ancora largamente ignoto.

Complesso 2 (succinato deidrogenasi, succinato-UQ reduttasi)


Anche questo complesso trasferisce elettroni all'UQ che può quindi accettare un elettrone dal
complesso 1 e uno dal complesso 2, oppure ne prende 2 dal complesso 1 oppure 2 dal complesso
2. La differenza sta invece nel fatto che mentre nel complesso 1 gli elettroni vengono donati dal
NADH, nel complesso 2 gli elettroni vengono donati dal FADH2 che veniva generato nel ciclo di
Krebs, dalla conversione da succinato a fumarato, operata dalla succinato deidrogenasi. Una volta
strappati gli elettroni, vengono spostati dal FADH2 a varie proteine Fe/S nel complesso 2 fino al
UQ che diventerà ubichinolo: tutto questo avviene senza nessun contatto con il complesso 1 e
senza spostare nessun H+. Il NADH ha quindi il vantaggio di spostare 4 H+, il FADH2 questo non lo
fa.

Complesso 3 (ubichinone-Cit C o ossidoreduttasi)


L'UQ, in forma ridotta, diventa affine con il complesso 3, dove andrà a trasferire i suoi elettroni
che passeranno da una proteina all'altra fino al citocromo C che si trova nello spazio
intermembrana e non fa parte di nessun complesso ma serve solo a spostare elettroni da un
complesso all'altro (come UQ). Il citocromo C però, a differenza dell'UQ che può accettare 2
elettroni, riesce a prenderne solo uno per volta.
Quindi il complesso 3 prende gli elettroni dall'ubichinolo e li trasporta fino al citocromo C.

C'è quindi un problema di capienza in quanto l'ubichinolo scarica 2 elettroni al complesso 3


mentre il citocromo C può accettare solo un elettrone per volta dal complesso 3. Dei due elettroni
del complesso 3, uno viene donato al citocromo C (il quale perde affinità per il complesso 3 e
quindi si allontana verso il complesso 4), l'altro elettrone lo cede nuovamente all'ubichinone che
diventa radicale semichinonico. Durate questo trasferimento di elettroni, due protoni vengono
pompati dalla matrice allo spazio intermembrana dal complesso 3. Terminato questo primo ciclo,
inizia un secondo ciclo in cui entra un nuovo ubichinolo che di nuovo cede un proprio elettrone al
citocromo C (che ora è nuovamente ossidato) tramite il complesso 3; il secondo elettrone lo può
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trasferire al radicale semichinonico che aveva parzialmente ridotto nel primo ciclo trasformandolo
completamente in ubichinolo. In questo secondo ciclo di elettroni, di nuovo vengono spostati 2
H+. Per ogni coppia di elettroni che vengono spostati dal complesso 3 al complesso 4, 4 H+ in
totale nei due cicli, escono dalla matrice del mitocondrio per arrivare allo spazio intermembrana.

Complesso 4 (citocromo C ossidasi)


Abbiamo detto che il citocromo C, una volta ridotto, perde affinità per il complesso 3 dal quale si
stacca e si dirige verso il complesso 4 sul quale si ossida nuovamente.
Il complesso 4 prende gli elettroni che uno dopo l'altro vengono portati dal citocromo C e,
attraverso varie proteine, vengono portati all'ultimo accettore, l'O2, che si riduce ad acqua. Il
citocromo C ora è ossidato ed è poco affine per il complesso 4 ma molto affine per il complesso 3.
In tutto questo meccanismo i complessi restano fermi e ciò che sposta gli elettroni cono solo UQ e
citocromo C. Il citocromo C alla fine trasporta indirettamente gli elettroni per donarli all'O2. Il
passaggio di questi elettroni comporta un pompaggio di due H+.

Se partiamo dalla coppia di elettroni ceduti dal NADH, nel complesso 1 vengono traslocati 4 H+
assieme ai due elettroni del NADH; nel complesso 3 altri 4 H+ e nel complesso 4 solo 2 H+; in
totale arriviamo quindi a 10 H+. Tirando le somme per ogni NADH che entra si genera una
molecola di acqua e si spostano 10 H+ dalla matrice allo spazio intermembrana. Quando invece la
coppia di elettroni proviene dal FADH2, il processo comincia nel complesso 2 e, per ogni FADH2 si
spostano solo 6 H+: questo perchè si salta completamente il complesso 1 e i suoi 4 H+ traslocati. Il
fatto che dal NADH si possa ottenere il passaggio di 10 H+ e dal FADH2 la traslocazione di 6 H+, ci
permette di fare delle equivalenze secondo cui 1 NADH equivale a 2,5 ATP e 1 FADH2 equivale a
1,5 ATP. Il trasferimento di H+ crea alla fine una forza motrice protonica (circa pari a -200 KJ/mol)
che verrà sfruttata dall'ATP sintasi per sintetizzare ATP. Considerando che gli ATP costano circa 50
KJ/mol in condizioni reali, si potrebbe arrivare a creare un massimo di 4 ATP (teorici).

ATP sintasi
L'ATP abbiamo detto essere una molecola molto energetica e molto più instabile del S da cui viene
prodotto, ovvero l'ADP. Il suo costo di produzione è anche abbastanza elevato, 30 KJ/mol in
condizioni STD oppure 50 KJ/mol in condizioni fisiologiche. La sua biosintesi è endoergonica, la sua
idrolisi è esoergonica. Questo perché il suo P è molto più stabile da solo che non legato ad altri
due P quando si trova nell'ADP. Il flusso di elettroni di cui abbiamo discusso prima permetterebbe
a livello teorico di sintetizzare al massimo 4 ATP con una resa del 100%.
Nella realtà invece, un normale E, abbassa l'E di attivazione del sistema permettendo una rapida
conversione di S in P. L'ATP sintasi fa molto di più, infatti stabilizza moltissimo, legandoli, sia ADP
che ATP: in questo modo la conversione da ADP in ATP è molto più facile e veloce. All'interno
dell'ATP sintasi può avvenire sia la sintesi dell'ATP ma, quando occorre, può avvenire anche la
reazione opposta: idrolizzare ATP quando c'è troppa energia nella cellula che può anche servire
per concentrare gli H+. C'è però un problema. Il problema è il rilascio difficilissimo e lentissimo
dell'ATP: siccome con i propri legami l'ATP sintasi stabilizza sia S che P , si crea una barriera
energetica molto alta. Ma come lo risolviamo questo problema? Se non lo risolvessimo,
creeremmo ATP o ADP in modo molto veloce senza però riuscire a portarli fuori dal proprio sito
attivo. La natura quindi in che modo permette il distacco di ATP? Passando da una conformazione
ad alta affinità per l'ATP ad una a bassa affinità per l'ATP.
L'ATP sintasi abbiamo detto essere un grande complesso macromolecolare formato da due
porzioni distinte:
1. FO ovvero una molecola transmembrana sensibile all'antibiotico oligomicina e che
contiene il canale per il passaggio di H+ che permette la rotazione di questa molecola. La
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rotazione non è altro che il cambio di conformazione della sub unità FO dovuta al cambio
di conformazione. Oltre al canale per gli H+, FO possiede anche altre sub unità tra cui la
delta che servono ad immobilizzare il resto dell'ATP sintasi. Tutta questo complesso FO si
trova all'interno del doppio strato fosfolipidico;
2. F1 ovvero la porzione catalitica formata da 3 coppie di sub unità alpha e beta alternati fra
di loro. Ci sono quindi 3 eterodimeri, ciascun dimero alpha/beta contiene un sito catalitico
(per un totale quindi di 3 siti catalitici). Fra le varie sub unità alpha e beta c'è una specie di
perno ovvero la sub unità gamma. Questa sub unità gamma è come un perno asimmetrico
che ruota assieme alla sub unità FO e, ruotando, cambia la conformazione dei dimeri. Il
complesso F1 sporge nella matrice mitocondriale.
Quando gamma viene fatto ruotare per ruotare per via di FO, modifica la forma delle varie coppie
alpha/beta. A livello della porzione F1 abbiamo detto che ci sono 3 siti catalitici che passano
attraverso 3 diverse condizioni:
1. condizione in cui il sito catalitico lega il S: ADP + P;
2. condizione in cui nel sito catalitico c'è ATP;
3. condizione in cui il sito catalitico si svuota e rilascia ATP.
Abbiamo detto che in totale i siti catalitici sono 3 che passano da una condizione all'altra
attraverso cambi di conformazione indotti dal passaggio di H+.
Quindi, riassumendo: il passaggio di H+ induce una rotazione che si trasmette attraverso la sub
unità gamma che, ruotando, porta alla modificazione della forma e della condizione degli etero
dimeri alpha/beta. Tutto questo meccanismo è detto catalisi rotazionale.
I protoni passano per il canale, che si trova in una porzione di FO e man mano che fluiscono
inducono una rotazione che si trasmette alla sub unità gamma di F1; le coppie alpha e beta sono
frenate da delta e subiscono la rotazione di gamma che fa cambiare loro conformazione. È
importante sapere che le 3 copie alpha e beta non possono mai e poi mai avere le stesse
conformazioni proprio perchè la subunità gamma ruotando cambia la conformazione di un sito
catalitico alla volta.

Bilanci di reazione
Ogni volta che si passa da una conformazione all'altra dell'ATP sintasi serve il passaggio di 3 H+,
quindi per avere un intero ciclo di cambio di conformazione nelle 3 sub unità, sono necessari 9 H+
che permettono quindi di rilasciare 3 ATP. Tuttavia c'è un dettaglio da aggiungere. Sulla
membrana mitocondriale interna si fa entrare il P inorganico, il cui ingresso richiede il passaggio di
H+ per via di un simporto P/H+. Quindi, tirando le somme, siccome ci servono 3 P per sintetizzare
3 ATP, per sintetizzare 3 ATP serviranno 12 H+ (1 ATP per 4 H+).

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