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Titolo originale: Shijo Kingo Dono Gohenji (Shujo Shoyuraku Gosho) (GZ, 1143)
Scritto il 27 giugno 1276, a 55 anni, da Minobu
Destinato a Shijo Kingo
Non c'è vera felicità1 per gli esseri umani al di fuori del recitare Nam-myoho-
renge-kyo. Il sutra afferma: «E là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio».2
Potrebbe forse indicare qualcosa di diverso dalla gioia senza limiti3 della
Legge? Tu sei ovviamente incluso fra gli "esseri viventi" e "là" indica
Jambudvipa, in cui è compreso il Giappone. «Felici e a proprio agio» non vuole
forse dire che i nostri corpi e le nostre menti, le nostre vite e i nostri ambienti,
sono entità dei tremila regni in un singolo istante di vita e il Budda di assoluta
libertà?4 Non c'è vera felicità se non quella di avere fede nel Sutra del Loto.
Questo si intende con «godranno di pace e sicurezza nell'esistenza presente e
Il ventisettesimo giorno del sesto mese del secondo anno di Kenji (1276)
Segno ciclico hinoe-ne
Note
1) Il termine tradotto con "vera felicità" è juraku, che compare successivamente
nel sutra, dove viene tradotto con "felici e a proprio agio".
2) L'intero brano del sutra dice: «Questa, la mia terra, rimane salva e illesa,
costantemente popolata di dèi e di uomini. Le sale e i palazzi nei suoi giardini e
nei suoi boschi sono adornati di gemme di varia natura. Alberi preziosi sono
carichi di fiori e di frutti e là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio» (SDL,
303).
3) Il termine tradotto con "gioia senza limiti" è jiju horaku: ji = proprio, se stesso;
ju = ricevere; ho = Legge; raku = gioia. Indica la gioia che il Budda prova per la
propria Illuminazione.
4) Il termine tradotto con "assoluta libertà" è jiju yushin: ji = proprio, se stesso; ju
= ricevere; yu = utilizzare; shin = corpo. Indica il corpo, ricevuto dal Budda in virtù
della pratiche precedenti, in grado di godere pienamente della vita senza alcuna
limitazione. Si può chiamare anche Budda di gioia illimitata o più precisamente,
Budda dal corpo di gioia personale.
5) SDL, 127.
6) Letteralmente: nella prima parte della frase è cruciale il verbo satoru,
"illuminarsi", che sta a indicare non il mero rassegnarsi alla sofferenza, ma un
atteggiamento attivo nei confronti di essa che scaturisce da uno stato vitale
elevato e ci permette di comprenderne il valore per la nostra rivoluzione umana e
così trasformarla. Nella seconda parte il verbo è hiraku, aprire, lo stesso usato
nel principio e nel Gosho L'apertura degli occhi, a significare l'importanza di non
abbandonarsi ciecamente all'estasi della gioia, ma continuare a mantenere una
pratica costante.
CENNI STORICI
SPIEGAZIONE
(estratta dal testo pubblicato in Gli eterni insegnamenti di Nichiren Daishonin,
Esperia 1997)
L'inizio di questa lettera è molto importante poiché «esseri umani» sta a indicare
tutta l'umanità; vale a dire che l'insegnamento del Daishonin può portare
beneficio a tutti, nessuno escluso. Non è destinato solo ai giapponesi, a un certo
paese o a un particolare gruppo etnico. Ricchi o poveri, celebri o sconosciuti,
uomini potenti o cittadini comuni, artisti o scienziati: Nichiren Daishonin sostiene
che fondamentalmente non esiste felicità autentica, né vera gioia o
soddisfazione esistenziale, al di fuori della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo.
Quando recitiamo il Daimoku, infatti, la nostra vita e quella del Budda diventano
una cosa sola e possiamo attingere un'energia inesauribile per compiere la
nostra rivoluzione umana e aiutare gli altri a fare altrettanto.
La ricchezza, la notorietà o lo status sociale non sono di per sé una garanzia di
felicità. Ci sono molte persone ricche che soffrono terribilmente; c'è chi è preda
della vanità al punto da non trovare mai pace; ci sono personaggi famosi che
cadono nella disperazione quando le luci della ribalta si spengono.
D'altra parte, possono esserci due individui che lavorano in uno stesso posto,
eseguono gli stessi identici compiti e possiedono risorse materiali e posizioni
sociali equivalenti: eppure l'uno si sente soddisfatto mentre l'altro prova sempre
e solo angoscia. Non è raro incontrare tali disparità che hanno origine dallo stato
interiore di un individuo, dal suo cuore.
Quanto al progresso della scienza o alla crescita economica, non si può certo
dire che creino automaticamente felicità.
Sentirsi felici o infelici dipende solo da noi. Non è possibile provare autentica
felicità se non cambiamo il nostro stato vitale; viceversa, quando questo cambia,
tutto il nostro mondo si trasforma. Il mezzo per effettuare il cambiamento è la
recitazione del Daimoku.
«Il sutra afferma: "E là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio"».
Questo brano - che è tratto dalla sezione in versi (Jigage) del sedicesimo
capitolo del Sutra del Loto - significa che questo mondo è un luogo dove la gente
dovrebbe vivere in uno stato di felicità e di benessere. Noi ripetiamo queste
parole ogni giorno, mattina e sera, durante la lettura di Gongyo.
Secondo il Sutra del Loto il vero significato dell'esistenza umana è che siamo
nati per godere della vita, non siamo venuti al mondo per soffrire. Vivere felici e a
proprio agio significa gustare e apprezzare il proprio lavoro e la propria famiglia,
essere contenti di impegnarsi per aiutare gli altri attraverso le attività buddiste.
Persino quando accadono avvenimenti spiacevoli, se lo stato vitale è veramente
alto li si vede come un qualcosa che rende più interessante la vita, come un
pizzico di sale che esalta il sapore dei cibi. E ci si sente davvero contenti di
esistere, qualsiasi cosa accada.
Questo brano ci esorta a impegnarci nella pratica buddista per sprigionare una
grandissima energia.
«Potrebbe forse indicare qualcosa di diverso dalla gioia senza limiti della
Legge?».
Provare la «gioia senza limiti della Legge» significa assaporare la Legge mistica
eternamente immutabile e godere del potere e della saggezza che ne derivano.
In opposizione a questo tipo di gioia si può parlare della «gioia che deriva dai
desideri», vale a dire della soddisfazione che si prova nel realizzare desideri di
diverso genere: può sembrare autentica, ma di fatto è solo effimera e
superficiale. Poiché non scaturisce dal profondo della vita, ben presto lascia il
passo allo sconforto e all'insoddisfazione.
La fede ci permette invece di conoscere la gioia eterna che deriva dalla Legge.
Noi la otteniamo e la proviamo in prima persona, dipende solo e unicamente da
noi stessi.
Niente e nessuno può infatti renderci autenticamente felici se non il nostro
sforzo personale.
Di conseguenza non ha senso invidiare o provare rancore per gli altri, o
addirittura pensare che la nostra felicità dipenda da qualcuno. Ogni cosa si basa
in definitiva sul nostro stato vitale e sta a noi scegliere la direzione che vogliamo
prendere. Lasciarsi dominare dagli altri o dalle circostanze non è il modo di
vivere insegnato dal Sutra del Loto. Vera felicità non significa essere ora contenti
e ora disperati. Vincendo la tendenza a incolpare qualcun altro o qualcos'altro
per i propri problemi, lo stato vitale si dilata enormemente.
Del resto la fede serve prima di tutto a noi stessi. È vero che pratichiamo il
Buddismo per noi e per gli altri, ma in definitiva siamo noi i primi a trarre
vantaggio da ogni sforzo fatto in questo senso. Ogni cosa esiste per il nostro
sviluppo, ogni cosa contribuisce a migliorare la nostra vita e a stabilire in noi il
mondo della Buddità. Quando si pratica il Buddismo con questa determinazione,
tutte le lamentele scompaiono e il mondo della Buddità, che prima era rimasto
coperto sotto la polvere dei lamenti, comincia a risplendere.
A quel punto è possibile gustare liberamente tutta la gioia che deriva dalla
Legge.
In altre parole, il Daishonin si rivolge qui a Shijo Kingo dicendo: «Guarda che il
brano del sutra riguarda proprio te». Purtroppo, per quanto si legga il sutra o per
quanto si studi il Gosho, rimane spesso la tendenza a credere che vadano bene
per gli altri, ma che «in fondo la mia situazione è diversa». Quando si è colpiti da
un turbine di problemi, quando sembra che il cuore debba scoppiare dal dolore,
la conclusione è: «Non c'è rimedio per la mia sofferenza». Con questo brano, il
Daishonin sta dicendo che non è affatto vero.
Quando fu scritta la lettera, Shijo Kingo era stato accusato ingiustamente di varie
mancanze dagli altri samurai ed era caduto in disgrazia presso il suo signore.
Tutto a causa dell'invidia per la fiducia di cui aveva goduto in precedenza e anche
a causa della sua impulsività: Shijo Kingo non aveva mezze misure nel parlare
chiaro, quando gli pareva il caso, e si era fatto molti nemici.
Un aspetto forse tipico della natura umana è la tendenza a provare invidia anche
per le minime cose e a cercare di fare lo sgambetto a chi è oggetto di invidia per
poi gioire della sua sfortuna. Questa tendenza meschina non deve prevalere. Non
dobbiamo farci risucchiare dal vortice delle emozioni; non ha senso passare in
un attimo dall'esultanza alla disperazione.
Come indica l'espressione «la gioia che deriva dalla Legge», la chiave sta nello
sviluppare una forza interiore tale da riuscire a vedere tutto dal punto di vista del
mondo di Buddità, la condizione di felicità suprema. E questo è possibile - dice il
Daishonin - recitando Daimoku con costanza.
Inoltre, quando scrive «i nostri corpi e le nostre menti, le nostre vite e i nostri
ambienti», il Daishonin specifica che il Buddismo non è un'astrazione teorica che
tocca unicamente lo spirito, né si tratta di una trasformazione soggettiva del
proprio punto di vista che non tiene conto degli altri o di quanto ci circonda. La
fortuna e i benefici che si creano sul piano interiore diventano evidenti anche su
quello materiale. Sia nel corpo sia nella mente, sia in noi sia nell'ambiente, la
nostra fede - invisibile - ha l'enorme potere di trasformare visibilmente ogni cosa
nel miglior modo possibile, cioè nella direzione della felicità e della realizzazione
di ogni desiderio.
Chi mette in pratica questo principio è il «Budda di assoluta libertà».
Tralasciando la spiegazione dottrinale del termine, basti ricordare che il Budda di
assolutà libertà è un Budda che, pur rimanendo una persona comune, vive e usa
liberamente la gioia senza limiti della Legge. In particolare il Budda di assoluta
libertà è Nichiren Daishonin; in senso generale l'espressione si riferisce anche a
chi combatte per realizzare la propagazione della Legge secondo lo spirito del
Daishonin.
Nella Raccolta degli insegnamenti orali ha scritto: «"Il corpo che è ricevuto e
usato liberamente" non è altro che il principio dei tremila mondi in un singolo
istante di vita)»1.
Josei Toda insegnava che il Gohonzon è un magazzino inesauribile di benefici,
mentre Nichikan Shonin spiegava: «Se solo hai fede in questo Gohonzon e reciti
Nam-myoho-renge-kyo anche per un poco, nessuna preghiera rimarrà senza
risposta, nessuna colpa rimarrà senza perdono, ogni fortuna sarà concessa e
ogni giustizia provata»2.
Fino a che punto "riceviamo" e "usiamo" la gioia immensa e profonda della Legge
dipende esclusivamente dalla nostra fede. È solo la fede individuale che
determina se attingere dall'oceano quanto basta a riempire un bicchiere d'acqua
o una piscina olimpionica, se accontentarsi o se continuare a "ricevere" e "usare"
ancora e meglio questa gioia.
Se in fondo al cuore, magari in un angolo nascosto, avete deciso che solo voi
non riuscirete a essere felici, che solo voi non diventerete mai una persona
capace, che solo i vostri problemi non si risolveranno, questo stesso fattore
mentale, questo ichinen, impedisce il sorgere del beneficio.
In questo brano, quindi, l'intento del Daishonin è di dire a Shijo Kingo, che si
trovava in grandi difficoltà: «Sicuramente anche tu puoi diventare felice, proprio
come dice il sutra».
«Non c'è vera felicità se non quella di avere fede nel Sutra del Loto. Questo si
intende con "godranno di pace e sicurezza nell'esistenza presente e nasceranno
in circostanze favorevoli nelle successive"».
futuro, guarda alle cause che esistono nel presente»3, stabilire pace e sicurezza
nell'esistenza presente è la prova che in futuro avremo come effetto buone
circostanze, cioè nasceremo in un luogo che permette un'ulteriore crescita.
Alcune religioni insegnano che le persone saranno felici dopo la morte malgrado
un presente pienodi disperazione. Ma non è questo l'insegnamento del Sutra del
Loto, che spiega che possiamo gioire pienamente sia del presente sia del futuro.
Questa è l'essenza del Buddismo. Per realizzare tale esistenza, è necessario
sviluppare una grande energia vitale recitando Daimoku e quindi sfidare la realtà
della nostra vita.
Shijo Kingo correva il rischio di essere attaccato dai nemici, mettendo piede fuori
di casa. Il Daishonin lo invita a non commettere imprudenze, gli consiglia di
rimanere a casa, recitare Daimoku, incoraggiare la moglie e farsi incoraggiare a
sua volta. In altre parole, gli insegna l'importanza della fede anche per costruire
una famiglia felice ed equilibrata.
Invita Kingo a vivere felicemente il presente, a non rimuginare sul passato, a non
preoccuparsi a vuoto su cosa gli riservi il futuro. La felicità non si trova chissà
dove o chissà quando, va trovata qui e adesso.
«Quando c'è la sofferenza illuminati rispetto ad essa e quando c'è la gioia apriti
alla gioia. Considera allo stesso modo sofferenza e gioia, e continua a recitare
Nam-myoho-renge-kyo. Come potrebbe non essere questa la gioia senza limiti
della Legge?».
Nel momento della sofferenza, recitate Daimoku. Nel momento della gioia,
recitate Daimoku. Poter recitare Daimoku è di per sé felicità. Ci sono
inevitabilmente momenti di sofferenza e momenti di gioia nella storia di
un'esistenza, ma senza il dolore non si apprezza la gioia e senza conoscere il
sapore di entrambi non si percepisce appieno il gusto della vita.
«Quando c'è la sofferenza illuminati rispetto ad essa», dice Nichiren Daishonin.
La sofferenza è inevitabile nell'arco di una vita, quindi è necessario essere
preparati e avere la forza interiore per elevarsi oltre i sentimenti di
preoccupazione o di ansia. Dobbiamo fare in modo che la «luce serena della luna
dell'Illuminazione»5 - il mondo della Buddità - risplenda in noi. Allora i desideri
terreni si trasformano in Illuminazione e qualsiasi cosa ci capiti diventa un
carburante per la felicità.
«Quando c'è la gioia apriti alla gioia» significa far sbocciare «il loto mistico del
cuore»6 con allegria e gratitudine. Chi riesce a provare gioia, chi si sente grato,
vede moltiplicarsi questi sentimenti in un effetto a valanga perché è così che
funziona il cuore.
Le profondità dell'oceano rimangono calme e immutabili anche quando la
superficie è agitata. Ci sono sia la sofferenza sia la gioia nella vita, ma il punto è
sviluppare un io profondo e indomabile che non sia sballottato dalle onde. Chi fa
così, riceve la «gioia senza limiti della Legge».
Nel viaggio della nostra missione di propagazione della Legge non sempre tutto
procede senza scosse, sebbene noi siamo compagni eterni. Le persone che
stanno insieme quando tutto va bene ma che si evitano quando qualcosa non va
non si possono chiamare "compagni". Tapparsi gli occhi di fronte alle sofferenze
altrui pensando: «Questo non mi riguarda» non è lo spirito giusto tra compagni
che, per potersi dire tali, devono condividere sia il dolore sia la gioia.
Noi soffriamo insieme, gioiamo insieme e insieme sviluppiamo la nostra vita.
Consideriamo sia la sofferenza sia la gioia come fatti della vita e continuiamo a
recitare Nam-myoho-renge-kyo qualsiasi cosa accada. Mantenere questo legame
e l'impegno totale verso la fede sono per sempre la nostra linea di condotta.
Note
1) Buddismo e società, n. 117, p. 53.
2) Dal suo commento a Il vero Oggetto di culto.
3) Dal sutra Shinjikan, cfr. L'apertura degli occhi.
4) Il comportamento del Budda, SND, 4, 48.
5) GZ, 1262.
6) Ibidem, 978.