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L’ILLUSIONE

DELLA REINCARNAZIONE

Giuseppe Baroetto

2015

Nel moderno gergo buddhista i termini “rinascita” e “reincarnazione” sono considerati sinonimi
e, grazie soprattutto alla popolarità di alcuni lama tibetani ritenuti tulku1 o, come si afferma solita-
mente, “reincarnazioni” di importanti maestri spirituali del passato, si è diffusa la convinzione che
la credenza nella reincarnazione sia davvero basata sull'insegnamento del Buddha. Però, come ha ri-
badito Gyatrul Rinpoche, i “tulku genuini” non sono persone che, dopo aver lasciato un corpo, ritor-
nano prendendone un altro, bensì sono «emanazioni spontanee», paragonabili a «raggi di luce ema-
nati dal sole».2 Dunque, se i tulku non trasmigrano secondo la comune concezione della reincarna-
zione, in cosa consiste la rinascita delle persone che non sono tulku?
All'epoca del Buddha un monaco suo discepolo, immortalato come “Sāti, figlio del pescatore”,
basandosi sulle storie di vite precedenti raccontate dal Buddha, credeva che fosse una sola e medesi-
ma coscienza a passare da un corpo all’altro, perciò diceva: «Così come io comprendo il Dharma
insegnato dal Beato, è questa medesima coscienza, non un’altra, che vaga nei cicli delle nascite».3
Dopo averlo fatto convocare, il Buddha gli chiese cosa fosse la coscienza soggetta alla rinascita.
Sāti rispose: «Venerabile, essa è ciò che parla e sperimenta qua e là; essa sperimenta gli effetti delle
azioni buone e cattive».
La risposta di Sāti sembra ovvia: la coscienza o mente che trasmigra vagando nei cicli delle na-
scite è proprio ciò che parla e fa esperienze qua e là, ossia in questo luogo e in uno differente, in
questo momento e in un altro; infatti, è sempre e solo questa stessa coscienza che sperimenta gli ef-
fetti delle azioni (karma) positive e negative in tutte le esistenze. Anche al giorno d’oggi molti
buddhisti sarebbero implicitamente d’accordo con Sāti, però dovrebbero riflette sulle ferme e severe
parole dette dal Buddha dopo la sua risposta: «Stolto... hai inteso erroneamente con la tua compren-
sione errata, ti sei fatto del male e hai accumulato molto demerito, perché questo ti danneggerà e ti
farà soffrire a lungo».
Come ha scritto Piya Tan introducendo il testo citato, «Il Mahātaṇhāsaṅkhaya Sutta insegna la
natura condizionata della coscienza (viññāṇa). La coscienza, in altre parole, non è un'entità (come
un'anima immortale o una sostanza permanente) che trasmigra vita dopo vita, ma un “flusso di co-
scienza” (viññāṇa-sota)».4 Dunque, se neppure gli esseri ordinari trasmigrano secondo la comune
concezione della reincarnazione, in cosa consiste il ciclo delle rinascite chiamato saṃsāra? Cerche-
rò di rispondere a questa domanda ricorrendo inizialmente a una fonte buddhista non canonica, il
Milindapañha, che racconta il supposto dialogo avvenuto nel II secolo a.C. tra il re indo-greco Mi-
linda (Menandro I Sotere) e il monaco buddhista Nāgasena. Ne riporto alcuni brani particolarmente
significativi.

Il re disse: «Quando parlate di saṃsāra, Nāgasena, cosa significa?».


«Un essere nato qui, o re, muore qui. Essendo morto qui, appare altrove. Essendo nato là,
muore là. Essendo morto là, appare altrove. Questo si intende con saṃsāra».5

1
La parola tibetana tulku (sprul sku) corrisponde al termine sanscrito nirmāṇakāya.
2
Padmasambhava, Natural Liberation, Commentary by Gyatrul Rinpoche, Boston, Wisdom Publications, 2008, pp.
151-152.
3
Mahātaṇhāsaṅkhaya Sutta (Majjhima Nikāya 38.1).
4
Vd. www.dharmafarer.org, SD 7.10, p. 94.
5
T. W. Rhys Davids, The Questions of King Milinda, Part I, Oxford, Clarendon Press, 1890, p. 120 (III.6.9).

1
Il re disse: «Cos’è, Nāgasena, che rinasce?».
«Nome-forma rinasce».6

Il re disse: «Lei stava parlando proprio ora di nome-forma. Cosa significa “nome” in quell’es-
pressione e cosa significa “forma”?».
«Tutto ciò che qui è grossolano è “forma”; tutto ciò che è sottile, la mente e i fattori mentali,
quello è “nome”».7

“Nome-forma” (nāma-rūpa) è l’organismo psicofisico. Di solito “nome” non include la coscienza o


mente (citta), bensì soltanto i fattori mentali (cetasika), invece qui il termine è definito come «tutto
ciò che è sottile, la mente e i fattori mentali»8 in un corpo fisico che costituisce la “forma”. La rina-
scita riguarderebbe appunto tale organismo psicofisico.9 Evidentemente la parola “rinascita” non
deve essere intesa alla lettera, altrimenti si dovrebbe considerare anche il nuovo corpo fisico come
la rinascita di un precedente corpo fisico. Infatti, il termine paṭisandahati, tradotto nella citazione
precedente con “rinasce”, significa precisamente “ricollega, riconnette, riallaccia”. Pertanto, la
rinascita è un collegamento, una connessione o un legame che si stabilisce a causa del karma tra la
vita passata e la nuova vita: il soggetto cosciente della vita precedente non torna a rivivere, così
come non rivive il suo corpo fisico. Su questo punto il brano seguente è esplicito:

«È questo stesso nome-forma che rinasce?».


«No, ma da questo nome-forma le azioni sono compiute, buone o cattive, e tramite queste
azioni un altro nome-forma rinasce».10

Nel Mahātaṇhāsaṅkhaya Sutta, che inizia con il racconto del confronto tra il Buddha e il monaco
Sāti, la coscienza che ha abbandonato il corpo fisico e si trova nello stato intermedio (antarā-bhava)
viene chiamata gandhabba (in sanscrito gandharva), ossia “spirito”. Essa condiziona col proprio
karma la formazione del nuovo organismo, tuttavia non diventa la psiche di quel corpo, come erro-
neamente riteneva Sāti. Infatti, la coscienza della vita precedente e quella della vita successiva non
sono il medesimo individuo, perché sorgono sulla base di condizioni differenti, nondimeno appar-
tengono a un ininterrotto flusso di coscienza.11 Il Milindapañha chiarisce questo punto specificando
che “nome e forma”, la mente e il corpo, sorgono insieme come il tuorlo e il guscio:

«Perché, Nāgasena, quel nome non è rinato separatamente o non è rinata separatamente quella
forma?».
«Queste condizioni, grande re, sono collegate l’una con l’altra e scaturiscono insieme».
«Fate un esempio».
«Una gallina, grande re, non genererebbe un tuorlo o un guscio d’uovo separatamente, ma i

6
Ivi, p. 71 (II.2.6).
7
Ivi, p. 76 (II.2.8). Ho corretto la traduzione di Rhys Davids.
8
Ye tattha sukhumā cittacetasikā dhammā. In questo contesto “nome” è sinonimo di “corpo mentale” (nāma-kāya),
mentre “forma” sta per “corpo fisico” (rūpa-kāya). Nello schema che illustra i dodici nidāna, cioè le cause o sorgenti
del saṃsāra, il terzo fattore è la coscienza (viññāṇa) e il quarto è nome-forma; entrambi, però, possono essere interpre-
tati dal punto di vista della vita attuale o dal punto di vista della rinascita. Nel primo caso viññāṇa è la coscienza biolo-
gica, la mente nata insieme al corpo fisico, quindi “nome” include soltanto i fattori mentali, ossia le sensazioni (veda-
nā), i concetti (saññā) e gli impulsi (saṅkhāra). Nel secondo caso viññāṇa è la coscienza evolutiva, la quale è caratteriz-
zata dal programma karmico e costituisce il collegamento della rinascita, pertanto “nome” include anche la coscienza o
mente del nuovo organismo. Riguardo alla distinzione tra i due tipi di coscienza, definite da Piya Tan rispettivamente
“cognitiva” ed “esistenziale”, vd. www.dharmafarer.org, SD 17.8a, pp. 16-20.
9
Cfr. Cetana Sutta 2 (Samyutta Nikāya 12.39) che fa riferimento alla rinascita (punabbhava) come “discesa di nome
e forma” (nāma-rūpassa avakkanti). Vd. www.dharmafarer.org, SD 7.6abc, pp, 43-44, 49.
10
Rhys Davids, op. cit., p. 71 (II.2.6).
11
Vd. Sampasādanīya Sutta (Dīgha Nikāya 28.7), www.dharmafarer.org, SD 14.14, p. 117.

2
due apparirebbero uniti, essendo entrambi intimamente dipendenti l’uno dall’altro; simil-
mente, se non ci fosse nessun nome, non ci sarebbe nessuna forma. Poiché ciò che si intende
come “nome” in quell’espressione è intimamente dipendente da ciò che si intende come
“forma”, essi appaiono insieme».12

Nonostante il nuovo “nome-forma” non sia lo stesso della vita precedente, non è neppure totalmente
diverso; infatti, essi appartengono al medesimo flusso di coscienza a causa del karma ereditato:

Il re disse: «Chi è nato, Nāgasena, rimane lo stesso [della vita precedente] o diventa un altro
[essere]?».
«Non è lo stesso e neppure un altro».
«Fate un esempio» […].
«È come il latte che, una volta munto, si trasforma dopo un po’ di tempo in giuncata e poi dal-
la giuncata in burro fresco, quindi dal burro fresco in burro chiarificato. Allora, sarebbe giusto
dire che il latte era la stessa cosa della giuncata o del burro fresco o del burro chiarificato?».
«Certamente no, ma essi scaturiscono da quel [latte]».13

Il collegamento tra la vita precedente e quella attuale consiste nell’eredità psichica del patrimonio
karmico, analoga all’eredità biologica del patrimonio genetico, come si evince dalla seguente meta-
fora che illustrata il meccanismo del saṃsāra:

«È come nel caso di un uomo che, dopo aver mangiato un mango, seminasse il seme nel
terreno. Da quel seme nascerebbe un grande albero che darebbe frutti e in quel modo la
successione degli alberi di mango continuerebbe senza interruzione».14

Il seme di mango simboleggia l’eredità psichica del patrimonio karmico; perciò, così come un albe-
ro di mango non trasmigra in un albero nato da un suo seme, non c'è reale trasmigrazione di un’enti-
tà da un corpo a un altro. Il re Milinda probabilmente aveva familiarità con la nozione della trasmi-
grazione, per via della sua cultura religiosa greca, perciò forse percepiva la concezione buddhista
del saṃsāra come astrusa. I passi seguenti attestano la sua difficoltà e, nel medesimo tempo, costi-
tuiscono la più nota, geniale risposta della filosofia buddhista:

Il re disse: «Dove non c’è trasmigrazione, Nāgasena, può esserci rinascita?”.


«Sì, può esserci [rinascita]».
«Ma com’è possibile? Fate un esempio».
«Immaginate che un uomo, o re, accenda un lume tramite un altro lume: si può dire che uno
trasmigri dall’altro o nell’altro?».
«Certamente no».
«Proprio così, grande re, c’è rinascita senza trasmigrazione».
«Fate un altro esempio».
«Ricordate, grande re, di aver imparato, quando eravate ragazzo, qualche verso o altro dal vo-
stro maestro?».
«Sì, ricordo».
«Bene. Allora, quel verso è trasmigrato [in voi] dal vostro maestro?».
“Certamente no».
«Proprio così, grande re, c’è rinascita senza trasmigrazione».15

12
Rhys Davids, op. cit., pp. 76-77 (II.2.8).
13
Ivi, pp. 63, 65 (II.2.1).
14
Ivi, p. 120 (III.6.9).
15
Ivi, p. 111 (III.5.5).

3
È evidente che la fiamma di un lume, impiegato per accenderne un altro, non si trasferisce da un
lume all’altro, così come una poesia o una canzone non passa da un cervello a un altro. C’è un in-
flusso generato dal lume acceso su quello spento o da chi declama versi su chi li ascolta. Tale influs-
so simboleggia ciò che nel testo viene chiamato “rinascita” (paṭisandhi), ossia il collegamento kar-
mico tra una vita che è terminata e una vita che inizia. La reincarnazione intesa come trasmigrazio-
ne (saṅkamati) della medesima coscienza o anima attraverso molte esistenze è, quindi, un’inganne-
vole definizione del saṃsāra dal punto di vista della mente che, essendo identificata col contenuto
della propria esperienza, crede erroneamente di essere il medesimo soggetto cosciente di tutte le
vite ritenute “sue”. Ma, se lo spirito (gandhabba) non diventa il soggetto cosciente del nuovo corpo,
che fine fa?
Poiché nelle fonti antiche la natura del gandhabba e la modalità del suo rapporto con il nuovo
organismo sono solo accennate, ho cercato conferme della concezione buddhista della rinascita ne-
gli studi condotti da alcuni ipnoterapisti professionisti. Sebbene la loro comune convinzione sia
equiparabile a quella del monaco Sāti e, quindi, risulti deviante rispetto all'obiettivo della liberazio-
ne dal saṃsāra indicato dal Buddha, i risultati delle loro ricerche sono comunque di grande interes-
se. Essi concorrono nel dipingere un quadro della rinascita piuttosto differente da quello immagina-
to comunemente.
La prima importante anomalia evidenziata dagli studi finora pubblicati è che lo spirito destinato
a rinascere di solito non rimane all’interno del feto, ma si muove attorno, entrandovi e uscendovi
anche fino al momento della nascita. Inoltre, da un’indagine statistica condotta negli anni ’70 su
750 persone sottoposte a ipnosi regressiva da Helen Wamback emerge che «Un altro gruppo, pari al
5% dei soggetti, riferiva di non essere veramente entrati (sic) dentro il feto, neppure al momento
della nascita, ma di essere rimasti in grado di lasciare la coscienza fetale a proprio piacimento anche
dopo la nascita».16 Uno dei soggetti affermava: «Per la maggior parte del tempo io stavo fuori del
feto e ho continuato a starne fuori a lungo anche per tutto il primo anno di vita».17 Dunque, lo
spirito non solo è indipendente e diverso dalla coscienza fetale ma, sorprendentemente, rimane tale
anche dopo la nascita. Quanto a lungo? Non più di un anno? I dati più incredibili sono riportati dal
Dr. Michael Newton. Ecco due dialoghi significativi tratti da ipnosi regressive dei suoi pazienti:

Dr. N: Allora alla nascita, suppongo, il duro lavoro di fusione è terminato?


P: Onestamente, la fusione non è ancora completa per me. Parlo al mio corpo come ad una se-
conda entità fino a sei anni. È meglio non forzare la fusione completa. Per un po’ di tempo
giochiamo come due persone.18

Dr. N: Che età ha il bambino, quando tu smetti di allontanarti dal suo corpo?
P: Circa cinque o sei anni. Di solito, quando il bambino inizia la scuola noi non lo abbando-
niamo più. Con i più piccoli, invece, ci si può allontanare di tanto in tanto.19

Il completamento del processo di rinascita, quando lo spirito si dovrebbe fondere con la mente uma-
na, sembra coincidere con la piena amnesia, ossia l’oblio dell’aldilà e delle vite passate da parte del-
lo spirito. Andy Tomlinson riporta il seguente dialogo con Liam Thompson che, sotto ipnosi, descri-
ve il processo dell’oblio:

«In quale momento saranno messi in atto i blocchi della memoria?».


«Da bambino».
«E come funziona il processo di questi blocchi della memoria?».

16
Helen Wambach, Vita prima della vita, Roma, Mediterranee, 1991, p. 109.
17
Ivi, p. 110.
18
Michael Newton, Destiny of Souls, St. Paul, Llewellyn, 2004, p. 394.
19
Michael Newton, Ricordi dell'Aldilà, Milano, Armenia, 2011, p. 276.

4
«Come il mio cervello sviluppa la sua personalità, il mio Io immortale si acquieterà, come una
lampadina che si spegne. Non è mai del tutto spento però, è sempre lì, come acceso debol-
mente».20

Cos’è l’Io immortale in questo contesto? Sembra essere la coscienza dello spirito; tuttavia, se esso
si spegne, ne consegue che rimane acceso solo l’io umano, cioè la coscienza biologica nata con il
corpo come il tuorlo con il guscio?
Questa descrizione della rinascita è decisamente sconcertante; ma, se fosse vero che lo spirito
può mantenere la propria indipendenza dall’organismo non solo durante lo sviluppo fetale, ma an-
che fino all’età di sei anni, la nozione comune della reincarnazione sarebbe logicamente insostenibi-
le. Inoltre, lo spirito che attende di fondersi con la coscienza di un bambino di sei anni assomiglia di
più a un parassita psichico o a un demone possessore che a un’anima in procinto di rinascere. Av-
viene realmente la loro fusione?
Per rispondere a questa domanda e verificare i risultati pubblicati da importanti ricercatori come
Michael Newton, ho imparato anch’io a condurre sedute di ipnosi regressiva. In questo modo, insie-
me alla mia équipe ho potuto accertare che, in effetti, il completamento del processo di collegamen-
to tra lo spirito e l’organismo potrebbe anche attendere l’inizio dell'età scolare; in ogni caso, è nor-
male che lo spirito si aggiri attorno al corpo dopo la nascita. Pertanto, la coscienza biologica, cioè la
psiche o mente che sviluppa per gradi nel corpo la capacità di essere cosciente di se stessa e del
mondo, essendo scaturita insieme al corpo, non ha vissuto davvero altre vite.
Indagando poi sulla questione della fusione, ho appurato che l’amnesia non segna affatto l’unio-
ne completa dello spirito con la mente umana. La tanto sperata e attesa reincarnazione in realtà non
giunge mai a compimento, perché è psichicamente impossibile; sarebbe possibile soltanto se il cor-
po non avesse una coscienza biologica, ossia una mente propria. Poiché non è così per un corpo
umano naturale, il solo modo in cui lo spirito può continuare ad usarlo è rimanendo indipendente da
esso. Questa è anche la modalità in cui entità come parassiti psichici e demoni possessori sfruttano
l’organismo umano ma, diversamente da loro, lo spirito è destinato a bere le acque del Lete; quindi,
quando «la lampadina si spegne» in concomitanza con il completo oblio, anziché diventare il sog-
getto cosciente del “suo” corpo fisico, lo spirito semplicemente si assopisce, rimanendo immerso in
una sorta di stato onirico. Il corpo sottile proprio dello spirito resta così attaccato al corpo fisico
quasi come un sacco sulla sua schiena, svolgendo la funzione di deposito del patrimonio karmico al
livello di “inconscio profondo”.
La scoperta più sconcertante è stata la constatazione che dentro il sacco dello spirito ci sono non
solo le registrazioni delle vite passate, ma anche molte delle coscienze che le hanno vissute; esse
sono tutte addormentate e più o meno sognanti sotto forma di energie psichiche. I loro sogni genera-
no impulsi karmici che influiscono sulla mente umana, così come le esperienze della vita reale pos-
sono influenzare i sogni di quelle coscienze, le quali rimangono comunque inconsapevoli di ciò che
accade effettivamente all’essere vivente a cui sono attaccate.
Poiché la propria coscienza mentale e le coscienze del proprio patrimonio karmico sono legate
tra loro dai medesimi fili karmici, sono paragonabili a grani di una collana di perle, oppure ad anelli
di una catena. Fino a quando un essere è inconsapevole della pura natura originaria della sua co-
scienza, al di là del karma e dell’identificazione con qualsiasi esperienza, è incapace di sganciarsi
dalla catena karmica e, di conseguenza, è solo una parte e un'espressione di un flusso di coscienza o
energia psichica.
Il processo della cosiddetta rinascita non è altro che una sorta di “riciclo psichico”, in cui lo spi-
rito che crede ingannevolmente di potere tornare a vivere in un corpo umano contribuisce soltanto a
formare un nuovo organismo tramite il proprio patrimonio karmico. Poi, quando l’amnesia prevale,
lo spirito finisce inesorabilmente per essere riconvertito in energia psichica al livello di “inconscio
profondo”.

20
Andy Tomlinson, Il tempo tra due vite, Torino, Edizioni Amrita, 2013, p. 140.

5
Purtroppo le indagini sull’aldilà e sulla reincarnazione condotte tramite l’ipnosi regressiva e fi-
nora pubblicate riflettono tutte il medesimo errore metodologico, causato dall’ignoranza della vera
natura della coscienza. La convinzione di essere le proprie esperienze, azioni, sensazioni, emozioni,
pensieri, ricordi, fantasie ecc., è inaffidabile perché è una percezione illusoria di se stessi. Quindi, il
fatto di rivivere sotto ipnosi o ricordare in altre modalità esperienze di proprie esistenze precedenti
prova soltanto la propria identificazione con quel contenuto psichico, che potrebbe benissimo essere
stato vissuto originariamente da altre coscienze.
Per correggere questo errore, ho chiesto ai soggetti che sotto ipnosi rivivevano l’esperienza della
rinascita di descrivere l’evento non solo dal punto di vista dello spirito, ma anche da quello della
giovane mente umana e poi da una posizione neutrale indipendente dai primi due. In questo modo i
soggetti sono stati in grado di trascendere il senso di identificazione con l’esperienza della rinascita
registrata nel loro inconscio e, quindi, hanno potuto vedere l’evento obiettivamente, senza cadere
nella trappola di credere che l’entità cosciente della vita precedente fosse diventata, in seguito
all’amnesia, l’entità cosciente della vita successiva.
Infine, il fatto che le regressioni ipnotiche alla “vita tra le vite”, ossia allo stato intermedio, rive-
lino dimensioni dell’aldilà abitate da rassicuranti guide e maestri, i quali spiegano il valore evoluti-
vo e la necessità karmica della reincarnazione o rinascita su questo pianeta o altrove, non garantisce
la validità delle presunte verità così emerse. Anche se tali entità fossero reali, potrebbero voler fuor-
viare gli spiriti disincarnati, nonché gli umani che cercano il loro contatto; oppure potrebbero essere
ingannate dai potenti, oscuri esseri alieni che regnano sul saṃsāra, conosciuti collettivamente come
Māra nel buddhismo e definiti “arconti” nell’antico gnosticismo mediorientale. Una persona sotto
ipnosi non è in grado di percepire la reale identità di quelle entità apparentemente sapienti, a meno
che non sia stata addestrata correttamente a discernere tra realtà illusoria e vera realtà. Per farlo, oc-
corre seguire l’insegnamento di esseri realmente saggi come il Buddha, il quale sapeva riconoscere
le trappole di Māra ed era consapevole della natura ultima della realtà. Ebbene, diversamente dalle
guide e dai maestri dell’ingannevole oltretomba, il Buddha insegnò a trascendere il saṃsāra qui e
ora, rimanendo liberi dall’illusoria identificazione con la propria esperienza transitoria.

Sii libero dal passato.


Sii libero dal futuro.
Sii libero dal presente.
Essendo andato al di là del divenire,
con la mente del tutto libera
non tornerai più
a nascita e vecchiaia.21

21
Dhammapada 348 (24.15).

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