Sei sulla pagina 1di 13

lOMoARcPSD|1069713

9 - Amministrazione - Riassunto Manuale di diritto


commerciale
Diritto Commerciale (Università del Salento)

StuDocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo.


Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)
lOMoARcPSD|1069713

CAPITOLO IX
AMMINISTRAZIONE
1. I SISTEMI DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO

La riforma del 2003 ha previsto 3 sistemi di amministrazione e controllo.

a) Il SISTEMA TRADIZIONALE, basato sulla presenza di due organi entrambi di nomina assembleare:
l’organo amministrativo (amministratore unico o consiglio di amministrazione) ed il collegio
sindacale (o sindaco unico), con funzioni ora circoscritte al controllo sull’amministrazione. il
controllo contabile, in passato svolto dallo stesso collegio sindacale, è invece di regola affidato per
legge ad un organo di controllo esterno alla società (revisore contabile o società di revisione)
b) Il SISTEMA DUALISTICO, di ispirazione tedesca, prevede la presenza di un consiglio di sorveglianza di
nomina assembleare, e di un consiglio di gestione, nominato dal consiglio di sorveglianza. Il
consiglio di sorveglianza è inoltre investito di competenze che nel sistema tradizionale sono proprie
dell’assemblea.
c) Il SISTEMA MONISTICO, di ispirazione anglosassone, nel quale l’amministrazione e il controllo sono
esercitati rispettivamente dal consiglio di amministrazione, nominato dall’assemblea, e da un
comitato per il controllo sulla gestione costituito al suo interno ed i cui component devono essere
in possesso di particolari requisiti di indipedenza e professionalità.

Anche per le società che adottano il sistema dualistico e monistico è poi previsto, senza eccezioni, il
controllo contabile esterno. Il sistema tradizionale trova tutt’ora applicazione in mancanza di diversa
previsione statutaria.

2. STRUTTURA E FUNZIONI DELL’ORGANO AMMINISTRATIVO

Nel sistema tradizionale, la società per azioni non quotata può avere sia un amministratore unico sia una
pluralità di amministratori, che formano il consiglio di amministrazione. Le società quotate devono invece
avere un amministratore pluripersonale, allo scopo di consentire la nomina di almeno un amministratore
da parte dei soci di minoranza e di un amministratore indipendente. Il numero dei componenti può essere
in ogni caso liberamente determinato dallo statuto. Inoltre, il consiglio di amministrazione può essere
articolato al suo interno con la creazione di uno o più organi delegati, che danno luogo alle figure del
comitato esecutivo e degli amministratori delegati. La struttura dell’organo amministrativo non è quindi
fissata in modo rigido, per consentire il migliore adeguamento alle concrete esigenze operative dell’impresa
sociale.

Gli amministratori sono l’organo a cui è affidata in via esclusiva la gestione dell’impresa sociale e ad essi
spetta compiere tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale (art 2380-bis).

a) Gli amministratori deliberano su tutti gli argomenti attinenti alla gestione della società che non
sono riservati dalla legge all’assemblea. È questo il c.d. POTERE GESTORIO degli amministratori.
b) Gli amministratori (tutti o alcuni) hanno la rappresentanza generale della società. Hanno cioè il
potere di manifestare all’esterno la volontà sociale. Questo è il c.d. POTERE DI RAPPRESENTANZA.

Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)


lOMoARcPSD|1069713

c) Gli amministratori inoltre, danno impulso all’attività dell’assemblea: la convocano e ne fissano


l’ordine del giorno. Danno altresì attuazione alle delibere della stessa ed hanno il potere-dovere di
impugnare quelle che violino la legge o l’atto costitutivo.
d) Gli amministratori devono curare la tenuta dei libri e delle scritture contabili della società ed in
particolare devono redigere annualmente il progetto di bilancio da sottoporre all’approvazione
dell’assemblea. Devono inoltre provvedere agli adempimenti pubblicitari prescritti dalla legge.
e) Gli amministratori devono prevenire il compimento di atti pregiudizievoli per la società, o quanto
meno eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
f) Gli amministratori sono, infine, tenuti ad adottare ed effettuare efficacemente modelli di
organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione di reati dai quali può conseguire la
responsabilità amministrativa della società.

Le funzioni degli amministratori sono inderogabili da parte dell’autonomia privata; dei relativi poteri essi
non possono essere spogliati, né dispensati dai relativi obblighi, né dallo statuto né dall’assemblea. Si tratta
inoltre di funzioni di cui gli amministratori sono investiti per legge e non per mandato dei soci, nonché di
funzioni che essi esercitano in posizione di formale autonomia rispetto all’assemblea. Dell’adempimento
dei loro doveri essi sono personalmente responsabili civilmente e penalmente. E si badi, responsabili
civilmente sono non solo nei confronti della società, ma anche nei confronti dei creditori sociali, qualora
violino o lascino che siano violate le norme poste a salvaguardia dell’integrità del patrimonio sociale. Sono
questi tutti dati che depongono in modo univoco contro la possibilità di risolvere la figura degli
amministratori di spa in quella di semplici mandatari, sia pure generali. D’altro canto, però, non vi è dubbio
che l’investitura degli amministratori nel proprio ufficio riposa su un atto di nomina dell’assemblea e da
questa sono liberamente revocabili. Non è contestabile d’altronde che essi sono gestori di un’impresa altrui
da amministrare nell’interesse esclusivo dei soci. La loro posizione non può quindi essere assimilata
nemmeno a quella dell’imprenditore. Il rapporto che li lega alla società costituisce in verità un rapporto
tipico non risolubile in nessun altro.

3. IL RAPPORTO ASSEMBLEA-AMMINISTRATORI

Nel sistema tradizionale, la ripartizione di competenze fra assemblea e amministratori in merito alla
gestione dell’impresa sociale risulta dal coordinamento di due disposizioni: l’art 2364 n5 e l’art 2380-bis. La
competenza gestoria dell’assemblea ha perciò carattere delimitato e specifico, sussiste solo per gli atti
espressamente previsti per legge. La competenza gestoria degli amministratori ha invece carattere
generale, sussiste per tutti gli atti che non siano riservati all’assemblea e che si pongono in rapporto di
mezzo a fine rispetto al conseguimento dell’oggetto sociale. Gli amministratori quindi, una volta nominati
dall’assemblea, sono investiti di ampi poteri decisionali; e di poteri propri e non derivati dall’assemblea,
esercitabili in posizione di piena autonomia rispetto all’assemblea stessa. Solo essi sono infatti responsabili
civilmente, verso la società e verso i creditori sociali, dei danni arrecati al patrimonio sociale; l’assemblea è
per contro organo irresponsabile. La posizione degli amministratori non è inoltre assimilabile a quella dei
mandatari e pertanto essi non sono tenuti a conformarsi alle istruzioni del mandante (assemblea). È perciò
opinione corretta che né l’assemblea può impartire direttive vincolanti agli amministratori, né questi ultimi
sono obbligati, salva diversa disposizione statutaria, a sottoporre alla preventiva approvazione
dell’assemblea le loro iniziative. La competenza degli amministratori invece cessa, e lascia il campo a quella
dell’assemblea (straordinaria), quando si tratta di iniziative che comportano una sostanziale modifica

Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)


lOMoARcPSD|1069713

dell’oggetto sociale. Compete inoltre pur sempre all’assemblea un potere generale di controllo sull’attività
gestoria degli amministratori.

L’art 2380-bis afferma il principio che la gestione dell’impresa sociale spetta esclusivamente agli
amministratori. Lo statuto può prevedere solo che l’assemblea sia chiamata ad autorizzare atti di gestione
di competenza degli amministratori. L’autorizzazione dell’assemblea no esonera gli amministratori da
responsabilità civile e penale; ne consegue che sono comunque liberi di non darne attuazione.

4. NOMINA. CESSAZIONE DELLA CARICA

I primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo; successivamente la loro nomina compete
all’assemblea ordinaria. Lo statuto può tuttavia riservare ai possessori di strumenti finanziari partecipativi la
nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione; poteri speciali di nomina possono
essere inoltre statutariamente previsti a favore dello Stato o di altri enti pubblici. Tali amministratori
restano soggetti alle medesime norme previste per gli altri componenti dell’organo. Lo statuto può poi
stabilire norme particolari per la nomina alle cariche sociali da parte dell’assemblea ordinaria. Non è
consentito però innalzare i normali quorum deliberativi stabiliti per l’assemblea ordinaria di seconda
convocazione; valide sono invece le clausole statutarie che li riducono. E diffusi sono nella pratica i sistemi
di votazione (voto di lista, voto scalare, voto limitato, ecc) congegnati in modo da assicurare anche a gruppi
di minoranza propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione. In particolare, con il voto di lista
vengono presentate due o più liste di candidati; ogni socio può votare per una sola lista ed i posti nel
consiglio di amministrazione sono distribuiti in proporzione ai voti riportati da ciascuna lista, secondo
l’ordine di preferenza dei candidati.

E proprio il voto di lista è la soluzione prescelta dal legislatore per assicurare agli azionisti di minoranza una
presenza nel consiglio di amministrazione delle società quotate. Sempre nelle società quotate inoltre, a
partire dal primo rinnovo delle cariche sociali successivo al mese di luglio 2012, lo statuto deve preveder
meccanismi di nomina del consiglio di amministrazione volti ad assicurare l’equilibrio tra uomini e donne
(quote rosa).

Il numero degli amministratori è fissato dallo statuto, che però può anche limitarsi ad indicare il numero
massimo e il numero minimo. Gli amministratori possono essere soci o non soci; si tende però ad escludere
che possano essere designati amministratori le persone giuridiche.

Gli amministratori di società quotate devono tutti possedere, a pena di decadenza, i requisiti di onorabilità
fissati per i sindaci con regolamento del Ministero della Giustizia. Inoltre, almeno un componente del
consiglio di amministrazione (2 se i componenti sono più di 7), deve essere un c.d. amministratore
indipendente in modo da assicurare un’adeguata vigilanza sugli amministratori delegati: deve cioè essere in
possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci. Specifici requisiti di onorabilità, professionalità
ed indipendenza sono poi richiesti da leggi speciali per gli amministratori di società che svolgono
determinate attività (assicurativa, bancaria,…), o possono essere previsti dallo statuto.

Non possono essere nominati amministratori l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi è stato condannato ad
una pena che comporta l’interdizione dai pubblici uffici. Numerose cause di incompatibilità sono poi
previste da leggi speciali (ad es impiegati civili dello Stato, titolari di cariche di governo, membri del
parlamento,…). Le cause di incompatibilità, diversamente da quelle di ineleggibilità, comportano solo che
l’interessato è tenuto ad optare fra l’uno e l’altro ufficio; non rendono perciò invalida la delibera di nomina.

Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)


lOMoARcPSD|1069713

La nomina degli amministratori non può essere fatta per un periodo superiore a 3 esercizi; essi scadono alla
data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica.
Essi sono però rieleggibili, se l’atto costitutivo non dispone diversamente. Sono invece cause di cessazione
dall’ufficio prima della scadenza del termine:

a) La revoca da parte dell’assemblea, che può essere deliberata liberamente in ogni tempo, salvo il
diritto degli amministratori al risarcimento dei danni se non sussiste giusta causa. Gli
amministratori nominati dallo Stato o da altro ente pubblico possono essere revocati solo dall’ente
stesso che li ha nominati.
b) La rinuncia (dimissioni) da parte degli amministratori
c) La decadenza dell’ufficio, ove sopravvenga una delle cause di ineleggibilità, e per gli amministratori
indipendenti delle società quotate anche in caso di perdita dei requisiti di indipendenza.
d) La morte.

È preoccupazione costante del legislatore evitare che il verificarsi di una causa di cessazione dall’ufficio
paralizzi l’attività dell’organo amministrativo. Così:

 La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto solo nel momento in cui
l’organo è stato ricostituito. Gli amministratori scaduti rimangono quindi in carica, con pienezza di
poteri, fino all’accettazione della nomina da parte dei nuovi amministratori (prorogatio)
 L’amministratore che rinuncia all’ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio di
amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La rinuncia ha effetto immediato se rimane
in carica la maggioranza degli amministratori; in caso contrario, le dimissioni hanno effetto solo
quando la maggioranza si è ricostituita.
 Nei casi infine in cui gli effetti della cessazione non sono differiti o differibili (morte, decadenza,
dimissioni della minoranza degli amministratori), è dettata una speciale disciplina per la
sostituzione degli amministratori mancanti (art 2386). Sono al riguardo previste 3 ipotesi:
1) se rimane in carica più della metà degli amministratori nominati dall’assemblea, i superstiti
provvedono a sostituire provvisoriamente quelli venuti meno, con delibera consiliare
approvata dal collegio sindacale (cooptazione). Gli amministratori così nominati restano in
carica fino alla successiva assemblea che potrà confermarli o sostituirli.
2) Se viene a mancare più della metà degli amministratori nominati dall’assemblea, non si da
luogo alla cooptazione. I superstiti devono convocare l’assemblea perché provveda alla
sostituzione dei mancanti , e i nuovi amministratori scadono scadono con quelli in carica, se
non è diversamente previsto.
3) Se infine vengono a cessare tutti gli amministratori o l’amministratore unico, il collegio
sindacale deve convocare con urgenza l’assemblea per la ricostituzione dell’organo
amministrativo. Nel frattempo, per evitare un totale vuoto di poteri, i sindaci possono
compiere gli atti di ordinaria amministrazione (ordinaria gestione).

L’attuale disciplina inoltre riconosce la validità delle clausole statutarie che prevedono la cessazione di tutti
gli amministratori e la conseguente ricostituzione dell’intero organo, a seguito della cessazione di alcuni
amministratori (clausole simul stabunt, simul cedent).

La nomina e la cessazione della carica degli amministratori è soggetta ad iscrizione nel registro delle
imprese. All’iscrizione della nomina provvedono i nuovi amministratori entro 30gg; all’iscrizione della
cessazione provvede il collegio sindacale entro lo stesso termine.

Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)


lOMoARcPSD|1069713

5. COMPENSO. DIVIETI

Gli amministratori hanno diritto ad un compenso per la loro attività, che se non è determinato e non risulta
che essi vi abbiano rinunciato, è determinato dall’autorità giudiziaria. Non di rado tale compenso ha natura
composita e comprende oltre ad una remunerazione fissa, una quota variabile in rapporto al
raggiungimento di determinati obbiettivi, e include pure una serie di benefici (es uso personale dei beni
aziendali, stipulazione di un assicurazione). Può anche consentire una partecipazione agli utili della società
o nell’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione (stock
options). La regola basilare è che il compenso spettante agli amministratori, se non è stabilito dallo statuto,
viene determinato dall’assemblea ordinaria all’atto di nomina, nei sistemi tradizionale e monistico. Nel
sistema dualistico invece dal consiglio di sorveglianza. Tuttavia, per gli amministratori investiti di particolari
cariche in conformità dello statuto, la remunerazione è invece stabilità dal consiglio di amministrazione,
sentito il parere del collegio sindacale. Questo assetto normativo non ha assicurato un elevato grado di
trasparenza sulle politiche retributive perseguite dal consiglio di amministrazione. Da qui l’introduzione nel
tempo di una serie di rimedi:

a) Con la riforma del 2003 è stato stabilito che, se lo statuto lo prevede, l’assemblea può fissare un
importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli con cariche
particolari.
b) Nelle società quotate o con strumenti finanziari diffusi tra il pubblico, l’attribuzione di compensi
basati su azioni o altri strumenti richiede l’approvazione dell’assemblea ordinaria.
c) Nelle società quotate infine, il consiglio di amministrazione approva e sottopone agli azionisti una
volta l’anno, in occasione dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio, una relazione
sulla remunerazione.

La centralità della posizione degli amministratori nella direzione della società li rende partecipi di tutti i
segreti aziendali e ciò ispira alcuni specifici obblighi e divieti posti a loro carico. Per prevenire situazioni di
pericoloso antagonismo con la società e di potenziale conflitto di interessi, gli amministratori di società per
azioni non possono assumere la qualità di soci a responsabilità illimitata in società concorrenti, né
esercitare un’attività concorrente per contro proprio o altrui, né essere amministratori o direttori generali
in società concorrenti, salva l’autorizzazione dell’assemblea. L’inosservanza del divieto espone
l’amministratore alla revoca dall’ufficio per giusta causa e al risarcimento dei danni eventualmente arrecati
alla società. Specifici obblighi di informazione sui possessi azionari degli amministratori sono poi stabiliti per
le società con azioni quotate in borsa. Agli stessi è fatto divieto inoltre di acquistare, vendere e compiere
altre operazioni su strumenti finanziari della società, sfruttando informazioni privilegiate ottenute in
ragione al loro ufficio. La violazione del divieto espone a sanzioni penali.

6. IL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

L’SPA non quotata può avere sia un amministratore unico, sia una pluralità di amministratori; invece nelle
società quotate è oggi obbligatorio nominare più amministratori. L’amministratore unico riunisce in sé ed
esercita individualmente tutte le funzioni proprie dell’organo amministrativo. Quando invece
l’amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione, retto da un
presidente scelto dallo stesso consiglio fra i suoi membri, nel caso in cui non sia già stato nominato
dall’assemblea. Il presenza di un consiglio di amministrazione è necessario operare delle distinzioni per
quanto riguarda le modalità di esercizio delle funzioni.

Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)


lOMoARcPSD|1069713

L’attività deliberativa è esercitata collegialmente; le relative decisioni devono perciò essere adottate a
maggioranza, in apposite riunioni, alle quali devono assistere i sindaci. La rappresentanza della società è
invece funzione individuale; se più sono gli amministratori con rappresentanza, il relativo potere è
esercitato disgiuntamente o congiuntamente. È da ritenersi infine che l’attività di vigilanza spetti, oltre che
al consiglio collegialmente, anche al singolo amministratore individualmente; e ciò in quanto il singolo
amministratore è in ogni caso personalmente e solidalmente responsabile dei danni che alla società
possono derivare dall’omessa vigilanza. Più esattamente ogni amministratore può controllare i documenti
sociali, chiedere informazioni e compiere atti di ispezione; l’amministratore che nell’attività individuale di
rappresentanza ha accertato irregolarità, dovrà perciò sollecitare la riunione del consiglio di
amministrazione affinché questo collegialmente prenda le relative deliberazioni. Passiamo ora ad
esaminare la disciplina delle delibere consiliari, che con la riforma del 2003 è stata in più punti integrata e
modificata.

Se lo statuto non prevede diversamente, il consiglio di amministrazione è convocato dal presidente stesso,
il quale ne fissa anche l’ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinchè tutti gli amministratori
siano adeguatamente informati sulle materie iscritte all’ordine del giorno. Per la validità delle deliberazioni
del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della maggioranza degli amministratori in carica,
salvo che lo statuto non richieda un quorum costitutivo più elevato; le deliberazioni sono approvate se
riportano il voto favorevole della maggioranza assoluta dei presenti (voto per teste). Non è ammesso il voto
per rappresentanza. Nulla è disposto in via generale per la verbalizzazione delle delibere consiliari. È
comunque prevista la tenuta di un apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di
amministrazione, dal quale devono risultare le delibere adottate.

La riforma del 2003 ha infine radicalmente modificato la disciplina dell’invalidità delle deliberazioni del
consiglio di amministrazione, la cui impugnazione era in passato espressamente consentita in un solo caso:
delibera adottata con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi. Era però
controverso se nei confronti delle stesse fosse proponibile azione di nullità o annullabilità per vizi di
procedimento o contenuto diversi dal conflitto di interessi. L’attuale disciplina ha decisamente ampliato la
categoria delle delibere consiliari annullabili, mentre non sono previste cause di nullità delle stesse. L’art
2388 prevede infatti che possono essere impugnate tutte le delibere del consiglio di amministrazione che
non sono prese in conformità della legge o dello statuto. L’impugnativa può essere proposta dagli
amministratori assenti o dissenzienti e dal collegio sindacale, entro 90 gg dalla data della deliberazione; non
dai soci, a meno che questa non leda direttamente un diritto soggettivo del socio. Si applica in quanto
compatibile la disciplina dell’impugnazione delle delibere assembleari. L’annullamento delle delibere
consiliari non pregiudica i diritti acquisiti in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle
stesse. Una particolare e più rigorosa disciplina è stata poi introdotta per il conflitto d interessi degli
amministratori.

7. (Segue): INTERESSI DEGLI AMMINISTRATORI. OPERAZIONI CON PARTI CORRELATE.

L’amministratore che in una determinata operazione ha, per conto proprio o di terzi, un interesse non
necessariamente in conflitto con quello della società:

a) Deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale precisandone “la natura, i termini,
l’origine e la portata”
b) Se si tratta di amministratore delegato, deve inoltre astenersi dal compiere l’operazione,
investendo della stessa l’organo collegiale competente. Non è più fatto obbligo però di non votare.

Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)


lOMoARcPSD|1069713

c) In entrambi i casi il consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la


convenenza per la società dell’operazione.

La delibera del consiglio di amministrazione, qualora possa recare danno alla società , è impugnabile non
solo quando l’amministratore interessato ha votato ed il suo voto è stato determinante (prova di
resistenza), ma anche quando sono stati violati gli obblighi di trasparenza, astensione e motivazione sopra
esposti. Analoghi obblighi e responsabilità (rivolti verso il collegio sindacale) sono previsti se la società è
gestita da un amministratore unico. L’amministratore che violi tali obblighi risponde delle perdite che siano
derivate alla società dalla sua azione o omissione; risponde altresì dei danni che siano derivati alla società
dall’utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio
del suo incarico.

Maggiori cautele sono però imposte alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio per
quanto riguarda le operazioni con parti correlate; vale a dire operazioni aventi come controparte soggetti
particolarmente vicini alla società e perciò maggiormente a rischio di essere decise in conflitto di interessi.
La Consob stabilisce quali categorie di soggetti sono qualificabili come parti correlate. Per questo genere di
operazioni, l’organo di amministrazione è tenuto ad adottare, nel rispetto dei principi generali fissati dalla
Consob, procedure che assicurino la trasparenza e la correttezza delle decisioni. Al riguardo la Consob ha
individuato una procedura generale in base alla quale, per il compimento di tali operazioni, deve
preventivamente raccogliersi il parere motivato di un apposito comitato, composto esclusivamente da
amministratori non esecutivi, non correlati, ed in maggioranza indipendenti. Il parere non è vincolante, ma
la società deve informare il pubblico sulle operazioni approvate nonostante il parere negativo. La delibera
di approvazione deve essere motivata. Regole speciali e più rigorose valgono ancora poi per le operazioni di
maggior rilevanza.

8. COMITATO ESECUTIVO. AMMINISTRATORI DELEGATI.

Nelle spa di maggiori dimensioni è frequente un’articolazione interna del consiglio di amministrazione per
rendere più razionale ed efficiente la gestione corrente dell’impresa sociale. Se l’atto costitutivo o
l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può infatti delegare le proprie attribuzioni ad un
comitato esecutivo ovvero ad uno o più amministratori delegati.

Il comitato esecutivo è, al pari del consiglio di amministrazione, un organo collegiale; gli amministratori
delegati sono invece organi unipersonali. Se ve ne sono più di uno, essi agiscono congiuntamente o
disgiuntamente, a seconda di quanto stabilito nello statuto o nell’atto di nomina. Ad essi è di regola affidata
la rappresentanza della società. È poi possibile la coesistenza di un comitato esecutivo e di uno o più
amministratori delegati con competenze ripartite. La previsione di tali organi è rimessa allo statuto o
all’assemblea, mentre la designazione dei membri del comitato esecutivo e degli amministratori delegati è
rimessa al consiglio di amministrazione stesso. Con la concessione della delega, soprattutto se generale,
larga parte della gestione corrente della società è svolta dagli organi delegati, nei quali in fatto si concentra
il potere decisionale; non possono essere tuttavia delegate alcune operazioni (redazione del bilancio,
facoltà di aumentare il capitale sociale, adempimenti in caso di riduzione del capitale per perdite, redazione
del progetto di fusione o scissione). La delega non spoglia però il consiglio di amministrazione delle
competenze delegate; determina solo una competenza concorrente del consiglio e degli organi delegati. I
consiglio resta infatti sempre sovraordinato e può in ogni momento avocare a sé le attribuzione delegate,
revocare sia delega che revocati, impartire direttive. Si stabilisce che gli organi delegati:

Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)


lOMoARcPSD|1069713

a) Curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società sia adeguato alla natura
e alle dimensioni dell’impresa
b) Riferiscono periodicamente (in ogni caso almeno ogni 6 mesi) al consiglio di amministrazione e al
collegio sindacale, sul generale andamento della gestione e sulla prevedibile evoluzione, nonché
sulle operazioni di maggior rilievo effettuate.

Nel contempo, per consentire un’effettiva partecipazione di tutti i consiglieri alla gestione della società,
si dispone che tutti gli amministratori devono agire informati e tutti possono chieder agli organi delegati
che siano fornite in consiglio informazioni relative alla gestione della società.

9. LA RAPPRESENTANZA DELLA SOCIETA’

Fra le funzioni di cui gli amministratori sono per legge investiti vi è quella di rappresentanza della società. In
presenza di un consiglio di amministrazione, gli amministratori investiti del potere di rappresentanza
devono essere indicati nello statuto o nelle deliberazioni di nomina. Inoltre, se sono di uno, la pubblicità
legale della nomina deve specificare se essi hanno il potere di agire disgiuntamente (firma disgiunta) o
congiuntamente (firma congiunta). In base all’attuale disciplina, il potere di rappresentanza degli
amministratori è generale, e non più circoscritto agli atti che rientrano nell’oggetto sociale. Essi hanno
inoltre la rappresentanza processuale, attiva e passiva, della società.

Il potere di rappresentanza degli amministratori va tenuto distinto dal potere di gestione. Il primo riguarda
l’attività esterna: è il potere di agire nei confronti dei terzi in nome della società. Il secondo riguarda invece
l’attività amministrativa interna, la fase decisoria delle operazioni sociali. Salvo il caso dell’amministratore
unico e dell’amministratore delegato con rappresentanza, vi è una scissione nelle spa tra potere gestorio e
potere di rappresentanza degli amministratori.

La società può avvalersi anche di altri rappresentanti, e può trattarsi di soggetti stabilmente inseriti
dell’organizzazione dell’impresa sociale, come ad es i direttori generali, i procuratori esterni.

La rappresentanza organica degli amministratori di spa è assoggetta ad una disciplina peculiare che
privilegia al massimo l’esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi, nonché quella più generale di certezza e
di stabilità dei rapporti giuridici. Due sono i principi cardine secondo l’attuale disciplina:

a) È inopponibile ai terzi di buona fede la mancanza di potere rappresentativo dovuta ad invalidità


dell’atto di nomina. La società resta quindi vincolata dagli atti compiuti dagli amministratori
invalidamente nominati, salvo che non provi che i terzi ne erano a conoscenza.
b) La società resta inoltre vincolata verso i terzi anche se gli amministratori hanno violato eventuali
limiti posti dalla società ai loro poteri, salvo che si provi che questi abbiano agito intenzionalmente
a danno della società. (non è sufficiente provare la malafede, ma occorre provare l’esistenza di un
accordo fraudolento).

Con l’attuale disciplina non è stata invece riprodotta l’ulteriore disposizione di origine comunitaria, che
precludeva alla società di opporre ai terzi di buona fede gli atti ultra vires, degli atti cioè che non
rientravano nell’attività di impresa determinata dallo statuto. L’omissione è stata probabilmente
determinata dall’affermato carattere generale della rappresentanza. Restano invece opponibili ai terzi i
limiti legali del potere di rappresentanza degli amministratori (es conflitto di interessi).

Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)


lOMoARcPSD|1069713

10. LA RESPONSABILITA’ DEGLI AMMNISTRATORI VERSO LA SOCIETA’.

Gli amministratori sono responsabili civilmente del loro operato in 3 direzioni: verso la società (artt 2392-
2393), verso i creditori sociali (art 2394) e verso i singoli soci o terzi (art 2395). Diversa è tuttavia la
disciplina delle 3 azioni. Iniziamo dalla prima.

In base all’attuale disciplina, gli amministratori incorrono in responsabilità verso la società e sono tenuti al
risarcimento dei danni dalla stessa subiti quando non adempiono i doveri ad essi imposti dalla legge o dallo
statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Vale a dire
con la normale diligenza professionale di un amministratore di società. Gli amministratori non sono invece
responsabili per gli eventuali risultati negativi della gestione che non sono imputabili a difetto di normale
diligenza nella condotta degli affari sociali o nell’adempimento degli specifici obblighi posti a loro carico. La
loro è un’obbligazione di mezzi, non di risultato. Se gli amministratori sono più, essi sono responsabili
solidalmente; ciascuno può quindi essere costretto dalla società a risarcire l’intero danno subito, a meno
che non si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni attribuite ad uno o più
amministratori. La presenza di amministratori con funzioni delegate non comporta tuttavia , che gli altri
siano senz’altro esonerati da responsabilità solidale. È vero infatti che l’attuale disciplina, a differenza della
precedente, non pone più a carico degli amministratori un dovere generale di vigilanza sulla gestione. Non
è meno vero però che la legge impone a tutti gli amministratori di agire in modo informato e di adempiere i
propri obblighi con la diligenza del buon professionista; il che comporta fra l’altro di sollecitare informazioni
e chiarimento agli organi delegati, nonché di verificare se vi sia ragione di sospettare che le informazioni
ricevute siano incomplete o inattendibili. Sono inoltre responsabili se, essendo a conoscenza di atti
pregiudizievoli, non hanno fatto quanto possibile per impedirne il compimento o eliminarne e attenuarne le
conseguenze. Perciò, se il comportamento dannoso è direttamente imputabile solo ad alcuni
amministratori, con essi risponderanno in solido anche gli altri qualora, per violazione di specifici obblighi
posti a loro carico, o avendo comunque conoscenza del pregiudizio imminente per la società, non abbiano
prevenuto o impedito l’attività dannosa dei primi. Ne risponderanno però solo per “culpa in vigilando”, con
la conseguenza che, se costretti a risarcire il danno, avranno diritto di regresso per l’intero nei confronti dei
primi.

La responsabilità degli amministratori è comunque responsabilità per colpa e non oggettiva. Infatti, la
responsabilità per gli atti e le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che sia immune
da colpa perché:

a) Abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del
consiglio di amministrazione
b) Del suo dissenso dia immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.

L’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori deve essere deliberato dall’assemblea
ordinaria, oppure (significativa novità introdotta) dal collegio sindacale a maggioranza di 2/3 dei suoi
componenti. Gli amministratori-soci non possono votare nelle deliberazioni assembleari riguardanti la loro
responsabilità, essendo in evidente conflitto di interessi. La deliberazione dell’azione di responsabilità
comporta la revoca automatica dall’ufficio degli amministratori contro cui è proposta, solo se la delibera è
approvata con il voto favorevole di almeno 1/5 del capitale sociale. Se non si raggiunge tale percentuale
sarà invece necessaria una distinta ed espressa delibera di revoca.

Che l’azione sociale di responsabilità debba essere deliberata dall’assemblea tutela poco le minoranze
azionarie: la decisione è in sostanza nelle mani dello stesso gruppo di comando che ha nominato gli

Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)


lOMoARcPSD|1069713

amministratori, e che perciò deciderà di agire in giudizio contro di loro solo ove si rompa il rapporto
fiduciario. La situazione è oggi migliore rispetto al passato, in quanto la legittimazione all’esercizio
dell’azione di responsabilità è stata estesa anche al collegio sindacale. Sarebbe tuttavia ingenuo
dimenticare che anche i sindaci sono nominati dall’assemblea, e sono quindi anche essi espressione del
gruppo di comando. Solo nelle società quotate i sindaci devono essere in parte eletti dai soci di minoranza,
ma comunque in numero insufficiente per esercitare l’azione. Le cose cambiano invece quando la società
cade in dissesto ed è dichiarata fallita o assoggettata a liquidazione coatta amministrativa o
amministrazione straordinaria. In tal caso infatti la legittimazione a promuovere l’azione sociale di
responsabilità compete al curatore fallimentare, al commissario liquidatore o al commissario straordinario.

Una tutela limitata e indiretta delle minoranze è però prevista anche quando la società è in bonis. La società
può infatti rinunciare all’esercizio dell’azione di responsabilità o pervenire ad una transazione con gli
amministratori. L’una o l’altra devono però essere espressamente deliberate dall’assemblea, ed è
necessario che NON vi sia il voto contrario di una minoranza qualificata: 1/5 del capitale social, ridotto a
1/20 nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, o la minore percentuale prevista dallo
statuto. Altrimenti la rinunzia e la transazione sono senza effetto (art 2393).

Una tutela più energica delle minoranze è stata infine introdotta prima dalla riforma del 1998 per le sole
società quotate, e poi estesa a tutte le spa dalla riforma del 2003. In base all’art 2393-bis, l’azione sociale di
responsabilità contro gli amministratori (nonché contro i sindaci e gli amministratori generali) può infatti
essere promossa anche dagli azionisti di minoranza, così superando l’eventuale inerzia del gruppo di
comando. I soci che assumono l’iniziativa devo rappresentare almeno il 20% del capitale sociale; nelle spa
che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è sufficiente che l’azione sia promossa dai soci che
rappresentano 1/40 del capitale sociale. Si tratta quindi di uno strumento che può essere utilizzato da
minoranze stabili ed organizzate, e in particolare nelle società quotate dagli investitori istituzionali. L’azione
è promossa dalla minoranza tramite uno o più rappresentanti, ed è diretta a reintegrare il patrimonio
sociale, non a risarcire il danno eventualmente subito dai soci agenti. Si tratta infatti pur sempre della
stessa azione di responsabilità che la società può esperire previa delibera assembleare.

L’azione sociale di responsabilità può essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione dell’amministratore in
carica. La responsabilità degli amministratori è contrattuale, e non deriva da illecito extracontrattuale: la
società che agisce in giudizio sarà perciò tenuta a provare solo l’esistenza di un danno imputabile a
inadempimento degli amministratori. Spetterà invece a questi provare i fatti che valgono ad escludere o ad
attenuare la loro responsabilità.

11. (Segue): LA RESPONSABILITA’ VERSO I CREDITORI SOCIALI.

Oltre che nei confronti della società, gli amministratori sono responsabili anche verso i creditori sociali.
Diversi sono però i presupposti di questa azione. Infatti:

a) Gli amministratori sono responsabili verso i creditori sociali solo per l’inosservanza degli obblighi
inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
b) L’azione può essere proposta dai ceditori solo quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al
soddisfacimento dei loro crediti. Un danno per i creditori infatti non sussiste fin a quando il
patrimonio sociale è capiente.

L’azione può essere proposta dai singoli creditori sociali. Tuttavia, in caso di fallimento della società o di
assoggettamento della stessa a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria,

Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)


lOMoARcPSD|1069713

l’azione può essere proposta esclusivamente dal curatore, dal commissario liquidatore o dal commissari
straordinario. Così come stabilito per la responsabilità contrattuale, i creditori che agiscono in giudizio
devono provare il dolo o la colpa degli amministratori.

Benché sono diversi i presupposti, fra l’azione sociale di responsabilità e quella concessa ai creditori vi sono
indubbie interferenze. Infatti, il danno subito dai creditori non è altro che un effetto di riflesso del danno
che gli amministratori hanno arrecato al patrimonio sociale rendendolo incapiente. Ne consegue che se
l’azione risarcitoria è già stata esperita dalla società ed il relativo patrimonio è stato reintegrato, i creditori
non potranno più esercitare l’azione di loro spettanza dato che gli amministratori sono tenuti ovviamente a
risarcire il danno una volta sola. Anche la transazione intervenuta con la società blocca l’azione dei creditori
sociali; invece la rinuncia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei
creditori, per l’ovvia ragione che il patrimonio non è stato reintegrato.

L’azione dei creditori si prescrive in 5 anni, al pari dell’azione sociale. Questione tuttora dibattuta è infine se
tale azione sia diretta ed autonoma, oppure sia esercitata in via surrogatoria. Le conseguenze della diversa
qualificazione sono in teoria notevoli, ma nella pratica le differenze si attenuano notevolmente. Infatti nella
maggior parte delle ipotesi tale azione è esercitata dopo il fallimento della società ad opera del curatore.,
per incrementare la massa attiva fallimentare. Sembra comunque che la tesi dell’azione diretta ed
autonoma sia da preferire; ne consegue che:

a) Diversamente da quanto previsto per l’azione surrogatoria, i creditori sociali che agiscono contro gli
amministratori non sono tenuti a citare in giudizio anche la società
b) La sospensione della prescrizione dell’azione sociale, non opera per l’azione dei creditori sociali.

12. (Segue): LA RESPONSABILITA’ VERSO SINGOLI SOCI O TERZI.

La disciplina della responsabilità civile degli amministratori è completata dall’art 2395 che stabilisce che: le
azioni di responsabilità della società e dei creditori sociali non pregiudicano il diritto al risarcimento del
danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi
degli amministratori. Perché il singolo socio o il terzo posano chiedere agli amministratori il risarcimento
dei danni devono perciò ricorrere due presupposti:

a) Il compimento da parte degli amministratori di un atto illecito nell’esercizio del loro ufficio
b) La produzione di un danno diretto al patrimonio del singolo socio o del singolo terzo; di un danno
cioè che non sia semplice riflesso del danno eventualmente subito dal patrimonio sociale

Questo presupposto circoscrive significativamente l’ambito di utilizzazione di tale azione. Caso classico è
quello degli amministratori che con un falso bilancio inducono i soci o i terzi a sottoscrivere un aumento di
capitale a prezzo eccessivo; oppure gli amministratori che dissimulando dolosamente lo stato di dissesto
della società, inducono una banca a conceder un fido. Il socio o il terzo che agiscono in responsabilità
contro gli amministratori devono comunque provare che esiste un nesso causale diretto tra il danno subito
e l’illecito degli amministratori; prova questa non sempre facile. E la posizione processuale dell’attore
diventa ancora più critica se si ritiene che la responsabilità ex art 2395 abbia natura extracontrattuale.
Spetterà infatti solo al socio o al terzo provare anche il dolo o la colpa degli amministratori. L’azione può
essere esercitata entro 5 anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo.

Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)


lOMoARcPSD|1069713

13. I DIRETTORI GENERALI.

Gli amministratori si avvalgono spesso della collaborazione di altri soggetti stabilmente inseriti
nell’organizzazione imprenditoriale. La disciplina della spa non contiene norme specifiche al riguardo,
eccezion fatta per la figura dei direttori generali nominati dall’assemblea o dal consiglio di amministrazione
per disposizione dello statuto. L’art 2396 stabilisce che a tali direttori si applicano le disposizioni che
regolano la responsabilità degli amministratori, in relazione ai compiti loro affidati. Il codice si astiene dal
definire la figura del direttore generale. Si ritiene tuttavia che la qualifica debba essere riconosciuta ai
dirigenti che svolgono attività di alta gestione dell’impresa sociale. Essi sono perciò investiti di ampi poteri
decisionali e se, come normalmente avviene, esplicano funzioni che li pongono in contatto con i terzi,
possono essere assimilati agli institori; con conseguente applicazione della disciplina per questi dettata in
tema di rappresentanza della società. La nomina dei direttori generali non spoglia gli amministratori dei
loro poteri di gestione e rappresentanza ed anzi i direttori sono formalmente subordinati agli
amministratori, anche se di fatto assumo spesso rilievo operativo pari o anche preminente. Ricorrendo i
presupposti esposti in precedenza quindi, i direttori generali sono responsabili verso la società, verso i
creditori sociali e verso i singoli soci o terzi per i danni arrecati nell’esercizio dei compiti loro affidati. Essi
devono quindi di rifiutarsi di dare attuazione alle direttive degli stessi amministratori se illegali o
pregiudizievoli. Restano inoltre salve le azioni esercitate in base al rapporto di lavoro con la società.

14. GLI AMMINISTRATORI DI FATTO.

Si definisce amministratore di fatti il soggetto, privo della veste formale di amministratore per la mancanza
di nomina assembleare, che in fatto si ingerisce sistematicamente nella direzione dell’impresa sociale:
impartisce istruzioni agli amministratori ufficiali, ne condiziona le scelte operative e tratta direttamente con
i terzi. È facile intuire chi possano essere tali soggetti: l’azionista o gli azionisti di comando, che detengono il
reale potere decisionale. Gli amministratori di fatto sono equiparati a quelli legalmente nominati per
quanto riguarda l’applicazione delle norme in tema di responsabilità penale. È invece problema più delicato
e dibattuto se ad essi possa estendersi anche la disciplina della responsabilità civile. Chi ha in fatto
esercitato poteri direttivi può essere chiamato, in solido con gli amministratori formalmente investiti
dell’ufficio, a risarcire i danni arrecati alla società e ai creditori sociali? Risposta affermativa da la legge con
riferimento alla SRL, quanto meno quando la posizione di amministratore di fatto è assunta da un socio, ma
solo in presenza di comportamenti dolosi. Parte più consistente della dottrina ritiene che al quesito debba
darsi risposta affermativa anche per quanto riguarda la SPA. E a tale conclusione si perviene assimilando la
posizione degli amministratori di fatto a quella dei direttori generali, o richiamando la disciplina della
gestione d’affari. È questa una linea di tendenza chiaramente ispirata dalla finalità si reprimere possibili
abusi da parte degli azionisti di comando.

Scaricato da Merilisa Battiloro (fi11@hotmail.it)

Potrebbero piacerti anche