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Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana

Author(s): Giuseppina La Face Bianconi


Source: Acta Musicologica, Vol. 66, Fasc. 1 (Jan. - Jun., 1994), pp. 1-21
Published by: International Musicological Society
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/932622
Accessed: 30-09-2019 12:56 UTC

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Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana*

GIUSEPPINA LA FACE BIANCONI (BOLOGNA)

A Giulio Cattin,
per il LXV genetliaco.

La musica d'arte italiana ha un'importanza qualitativa e quantitativa tale che


anche i musicologi non italofoni ne fanno frequente oggetto di studio e di edi-
zione. Ma la specializzazione delle discipline determina spesso - e cib vale per i
musicologi italiani non meno che per gli stranieri - una sfasatura nell'attenzione
dedicata al testo musicale e a quello verbale. Se al testo musicale si applicano
metodi e procedimenti editoriali consolidati e raffinati dall'esperienza, l'ap-
proccio al testo verbale e spesso ingenuo ed accomodante. E ovvio per tutti che,
in linea di principio, il testo verbale merita le stesse cure del testo musicale.1 Da
questo postulato, pacifico, si deducono tre principii generali:
1) il testo verbale musicato, se italiano, andra trattato secondo i criteri della filo-
logia italiana;
2) se il testo e poetico - e ci6 si verifica nella quasi totalita dei casi -, andra rior-
ganizzata la sua forma metrica: in pratica, andra prodotta accanto all'edizione
della partitura anche un'edizione del solo testo verbale;2
3) il testo verbale andra definito, in prima istanza, secondo le fonti musicali,
mentre le sue attestazioni letterarie (ossia quelle destinate alla lettura indipen-
dente dalla musica) andranno considerate sussidiarie nell'accertamento del
testo musicato: e questo il caso delle edizioni di rime da cui talvolta attingono i
madrigalisti cinque-seicenteschi, edizioni che il musicologo fara bene ad accer-
tare e a tener presenti per una migliore comprensione del testo effettivamente
musicato, ma solo a titolo sussidiario per la sua definizione." Tuttavia capita che
il testo verbale sia testimoniato in fonti apposite, in redazioni poetiche coordi-
nate col testo musicale ma da esso distinte: e questo il caso del libretto a stam-
pa, che dell'opera o dell'oratorio rappresenta una fonte ufficiale ancorche par-

Pubblico qui, in forma ampliata, la relazione tenuta a Madrid il 9 aprile 1992 in occasione del XV congresso della
Societa Internazionale di Musicologia: ringrazio gli organizzatori per aver acconsentito alla pubblicazione su Acta
Musicologica. - Sono grata agli italianisti Bruno Brizi, Fabio Marri, Emilio Pasquini e Antonio Rossi per i suggerimenti
e le critiche sulle prime stesure di questo contributo, a mio marito Lorenzo per alcuni degli esempi qui illustrati. - La
ricerca e stata svolta, e la pubblicazione effettuata, con contributi del Ministero dell'Universita e della ricerca
scientifica e tecnologica.
Cfr. G. FEDER, Musikphilologie: eine Einfiihrung in die musikalische Textkritik, Hermeneutik und Editionstechnik
(Darmstadt 1987), p. 69 sg.; trad. ital. Filologia musicale (Bologna 1992), p. 79 sg. - Su alcuni degli argomenti che tratto
in questo articolo vertono le sagaci Osservazioni sulla tradizione musicale dei testi poetici italiani di C. VELA, nei suoi Tre
studi sulla poesia per musica (Pavia 1984), p. 3-27.
L'edizione del testo verbale pu6 perfino giustificarsi da s6, soprattutto in assenza di attestazioni letterarie. Uno
studio pionieristico: G. FOLENA, La cantata e Vivaldi, in: Antonio Vivaldi: teatro musicale, cultura e societh, a cura di L.
BIANCONI e G. MORELLI (Firenze 1982), p. 131-190, con la ricostruzione metrica dei testi delle cantate vivaldiane.
Cfr. L. BIANCONI, II Cinquecento e il Seicento, in: Letteratura italiana 6, a cura di A. ASOR ROSA: Teatro, musica, tradizione
dei classici (Torino 1986), p. 319-363: a p. 336-343 un'illustrazione dei modi e delle fonti diverse in cui i musicisti
reperiscono i loro testi.

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ziale, e tanto piu autorevole in quanto, a differenza della partitura, va e resta in


mano all'ascoltatore. Si impone allora per l'editore moderno la necessita della
doppia edizione: edizione del testo musicale corredato delle sue parole secondo
le sue fonti; edizione del testo verbale secondo la redazione poetica destinata
alla lettura, una lettura virtualmente o di fatto simultanea all'ascolto.4
Questi tre principii, a prima vista lapalissiani, comportano delle difficolta
nell'applicazione pratica. In questo contributo ci si soffermera soprattutto sul
primo punto, quello relativo all'applicazione dei criteri della filologia dei testi
italiani, e piui brevemente sugli altri due.
La lingua italiana, in particolare quella poetica, si e consolidata molto pre-
cocemente, fin dal XIV secolo, e tutto sommato modesta e l'evoluzione che essa
ha attraversato dall'epoca di Dante, Petrarca e Boccaccio in poi." Tuttavia, ac-
canto a questo italiano letterario dotato di una straordinaria stabilita e valido
dalla Sicilia alle Alpi, pullulano i dialetti, che - non senza aver prodotto a loro
volta alcune significative tradizioni letterarie cittadine e regionali - fino alla
meta del nostro secolo hanno rappresentato la vera lingua parlata, anzi le tante
lingue parlate dagli italiani;6 e anche la dove vi sia stata forte vicinanza, se non
addirittura coincidenza, tra lingua letteraria e lingua d'uso, ossia in Toscana,
sempre forte e stata la divaricazione tra italiano scritto e italiano parlato. Con-
vivendo con i dialetti, con l'italiano parlato e, sull'altro versante, con il latino
scritto, la lingua letteraria ha subito pressioni e spinte che hanno variamente
inciso, in epoche e luoghi diversi, sulla sua veste grafica, fonetica, morfologica e
sintattica. Da queste pressioni e spinte eterogenee la lingua poetica italiana si e
"difesa" a pih riprese. La normalizzazione pii radicale ed efficace fu quella che
nel 1525 il veneto Pietro Bembo operb erigendo a modello vincolante la lingua

4 utopica la concezione propugnata da G. FOLENA nella prefazione a La raccolta Rolandi di libretti d'opera: catalogo e
indici (Roma 1986), p. XV, secondo cui, nel caso di intonazioni plurime di uno stesso libretto, l'apparato critico
dovrebbe tener conto delle varianti genetiche ed evolutive esibite dall'intera tradizione letteraria e musicale di quel
testo. Se curo l'edizione dell'Artaserse di Hasse del 1740, la fonte verbale primaria coordinata con la partitura e il
libretto stampato per l'allestimento della "prima" al teatro di corte di Dresda, ed in subordine le edizioni seriori per le
riprese della medesima partitura, nonch6 i libretti per i "pasticci" che ne conglobassero dei pezzi. Pidi che per il
filologo musicale che si occupa d'un dato Artaserse, le vicende dei quasi duecento Artaserse musicati dal 1730 al 1795
rivestiranno grandissimo interesse per lo storico del teatro d'opera e della drammaturgia musicale (ivi compreso il
letterato che indaghi fisiologia, vitalita e senescenza di un singolo dramma, come ha fatto C. MAEDER, Metastasio,
I'"Olimpiade" e l'opera del Settecento [Bologna 1993]). - Su questo complesso di problemi, cfr. M. G. AccoRSI, Problemi
testuali dei libretti d'opera fra Sei e Settecento, in: Giornale storico della letteratura italiana 166 (1989), p. 212-225; G.
GRONDA, La carriera di un librettista: Pietro Pariati da Reggio di Lombardia (Bologna 1990); F. DE LEMENE, Scherzi efavole
per musica, a cura di M. G. ACCORSI (Modena 1992); I libretti italiani di Georg Friedrich Hiindel e le lorofonti 1*, a cura di
L. BIANCONI e G. LA FACE BIANCONI (Firenze 1992), p. V-XII; P. ROLLI, Libretti per musica, a cura di C. CARUSO
(Milano 1993); la tavola rotonda su Lafilologia dei libretti, negli Atti del convegno "L'edizione critica tra testo musicale
e testo letterario" (Cremona, 4-8 ottobre 1992; in corso di stampa).
Le principali storie della lingua italiana: B. MIGLIORINI, Storia della lingua italiana (Firenze 1960, 1991, Milano 1994;
su di essa cfr. C. DIONIsoTTI, Per una storia della lingua italiana, nella sua Geografia e storia della letteratura italiana
[Torino 1967, 1971], p. 89-124); A. STussI, Lingua, dialetto e letteratura, in: Storia d'Italia 1: I caratteri originali (Torino
1972), p. 677-728; F. BRUNI, L'italiano: elementi di storia della lingua e della cultura (Torino 1984); Storia della lingua
italiana, 9 voll., a cura di F. BRUNI (Bologna 1989 sgg.); V. COLETTI, Storia dell'italiano letterario (Torino 1993); Storia
della lingua italiana, 3 voll., a cura di L. SERIANNI e P. TRIFONE (Torino 1993 sgg.).
Si vedano G. ROHLFS, Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten (Bern 1949-1954); trad. ital.
Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti (Torino 1966-1969); T. DE MAURO, Storia linguistica dell'Italia
unita (Roma-Bari 1963); C. DIONIsoTTI, Regioni e letteratura, in: Storia d'Italia 5: I documenti (Torino 1973), p. 1373-
1395; L'italiano nelle regioni: lingua nazionale e identith regionali, a cura di F. BRUNI (Torino 1992).

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di un poeta toscano di due secoli prima, Francesco Petrarca.' Attenuatasi nel


Seicento l'efficacia della riforma bembiana, una seconda normalizzazione e mo-
dernizzazione della lingua poetica si ebbe con l'Accademia d'Arcadia (fondata a
Roma nel 1690), il primo organismo intellettuale collettivo di portata non piii
locale bensi nazionale, rilevantissimo anche per la musica (basti pensare al
ruolo svolto dall'arcade Pietro Metastasio)." Infine nell'Ottocento la "purifi-
cazione" della lingua letteraria investe la prosa (il nome piui eminente e quello
del lombardo Alessandro Manzoni).9
Data questa situazione storico-linguistica, il primo compito della filologia
italiana di fronte a qualsiasi testo e di accertare l'appartenenza dei fenomeni
grafici, fonetici, morfologici e sintattici alla sfera della lingua letteraria scritta (o
a quella delle grafie erudite latineggianti), oppure a quella della lingua parlata
che di volta in volta su di essa preme. L'apporto di questa seconda sfera in epo-
che, luoghi e ambienti sociali diversi e assai variabile: e comunque pii elevata a
ridosso delle "riforme" linguistiche, in particolare prima di quella del Bembo.
Questa circostanza induce spesso il filologo a conservare scrupolosamente spie
rivelatrici dello specifico impasto linguistico realizzato in quel testo;1o viceversa,
e invalso l'uso di attenuare le caratteristiche grafiche e fonetiche vuoi dialettali
vuoi latineggianti esibite dai testi poetici "riformati", concepiti in una lingua
poetica ben organizzata e formalizzata sotto il profilo sia ortografico sia gram-
maticale."

Va tuttavia chiarito qui un criterio generale, valido per ogni epoca (e questo
interesserai soprattutto i musicologi non italofoni). Nella filologia italiana de-
terminati fenomeni grafici, irrilevanti per la pronunzia, vengono ammodernati
pii o meno automaticamente, senza riguardo alla natura e all'eta del testo: si
distingue u da v, si riduce j (e spesso anche y) a i, si sciolgono et e & in e (ed da-

Il trattato delle Prose della volgar lingua si legge in P. BEMBO, Prose e rime, a cura di C. DIONIsoTTI (Torino 2a ed.
1966). Per i riflessi diretti della riforma bembiana sulla musica italiana, cfr. D. T. MACE, Pietro Bembo and the Literary
Origins of the Italian Madrigal, in: MQ 55 (1969), p. 65-86; trad. ital. Pietro Bembo e le origini letterarie del madrigale
italiano, in: II madrigale tra Cinque e Seicento, a cura di P. FABBRI (Bologna 1988), p. 71-91.
Cfr. A. QUONDAM, L'istituzione Arcadia: sociologia e ideologia d'un'accademia, in: Quaderni storici 8 (1973), p. 389-438;
C. DIONIsoTTI, Regioni e letteratura cit., p. 1391-1394.
Cfr., nella Storia della lingua italiana cit., a cura di F. BRUNI, i volumi di L. SERIANNI, II primo Ottocento: dall'eta'
0iacobina all'Unital (Bologna 1989), p. 133-143, e G. NENCIONI, La lingua del Manzoni (ibid. 1993).
Edizioni esemplari di poesia anteriore al Bembo sono, tra tante, P.J. DE JENNARO, Rime e lettere, a cura di M. CORTI
(Bologna 1956); A. POLIZIANO, Rime, a cura di D. DELCORNO BRANCA (Firenze 1986); A. TEBALDEO, Rime, 3 voll., a
cura di T. BASILE e J.-J. MARCHAND (Modena 1989-1992). - Trattazioni egregie dell'impasto linguistico nell'ultimo
Quattrocento: G. FOLENA, La crisi linguistica del Quattrocento e l"'Arcadia" di Jacopo Sannazaro (Firenze 1952); G.
GHINASSI, II volgare letterario nel Quattrocento e le Stanze del Poliziano (Firenze 1957); P. V. MENGALDO, La lingua del
Boiardo lirico (Firenze 1963); M. CORTI, L'impasto linguistico dell'"Arcadia" alla luce della tradizione manoscritta, in: Studi
difilologia italiana 22 (1964), p. 587-619. - Che grado di stratificazione possa raggiungere nelle fonti musicali tale
impasto, ' documentato per esempio in un manoscritto di musica polifonica del 1496: cfr. G. LA FACE BIANCONI, Gli
strambotti del codice estense ax F.9.9 (Firenze 1990), p. 43-73.
P tuttavia in atto una misurata controtendenza, piii severamente conservativa, che valorizza i tratti arcaizzanti e
latineggianti nella "veste umanistica" di cui il Bembo e i seguaci si compiacciono di addobbare la lingua poetica. - Un
quadro di orientamento importante: B. MIGLIORINI, Note sulla grafia italiana nel rinascimento, in: Studi di filologia
italiana 13 (1955), p. 259-296. Alcuni modelli esemplari di edizioni di rime cinquecentesche che possono interessare
l'editore musicale: G. DELLA CASA, Le rime, a cura di R. FEDI (Roma 1978); G. DI TARSIA, Rime, a cura di C. BOZZETTI
(Milano 1980); V. COLONNA, Rime, a cura di A. BULLOCK (Bari 1982). Per il Seicento, almeno G. B. MARINO, Rime, a
cura di O. BESOMI, A. MARTINI e altri (Modena 1987 sgg.).

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vanti a vocale quando non vi sia sinalefe), si normalizza l'uso dell'h


(sopprimendo anche quelle etimologiche e paraetimologiche), degli accenti,
dell'apostrofo, della punteggiatura e delle maiuscole, nonche l'unione e la divi-
sione delle parole. Questa procedura pub sembrare lassista, o troppo interven-
tista, a chi e abituato alla filologia dei testi inglesi e tedeschi, di lingue cioe che
hanno avuto un'elaborazione assai piui travagliata e una sistemazione ortogra-
fica e grammaticale assai pih recente dell'italiana. E vero l'opposto: proprio in
virtih della precoce definizione dell'italiano letterario risulta fuorviante e talvol-
ta rovinoso mantenere una veste grafica obsoleta, che pub indurre perfino al
travisamento del senso.12 Un esempio per tutti: se nel Libro quarto del Petrucci
(1505) trovo scritto <<Hai pretiosa fe si lacerata I come hai cagion dandar chia-
mando morte>, sono in dovere di trascrivere <<Ahi, pretiosa [ovvero: preziosa]
fe, si lacerata, I come hai cagion d'andar chiamando morte>>, altrimenti avrb
preso l'esclamazione ahi per la seconda persona singolare del presente indica-
tivo del verbo avere (hai), e l'avverbio si (cosi) per la scrizione latineggiante della
congiunzione se, o per la forma apocopata della terza persona singolare del
congiuntivo del verbo essere (sia = si'), o ancora per un pronome personale
riflessivo di terza persona (peraltro implausibile nel contesto).13 Ne starb a
menzionare le conseguenze, a tutti note per diretta esperienza, che la conser-
vazione pedissequa della grafia della fonte ha per l'ordine alfabetico dei capo-
versi: ne danno un ricco campionario il repertorio dello Jeppesen per la frottola,
quelli di Sartori-Lesure e di Fenlon-Haar per il madrigale, o l'Incipitario unificato
della poesia italiana, opere pur insigni ed utilissime,14 dove tuttavia la ricerca d'un
incipit richiede a volte il fiuto del detective (o, piu esattamente, una capacita
d'immaginare tutte le lezioni possibili quale pub darla soltanto una consumata
esperienza linguistica).
Per illustrare questi criteri generali, e nel contempo per documentare quanto
sia importante conservare con scrupolo i caratteri linguistici della fonte, con-
viene ricorrere ad un esempio di poesia per musica prebembesca. Si ponga la
trascrizione rigorosamente diplomatica di uno strambotto contenuto nel codice
Trivulziano 55 (databile all'ultimo decennio del secolo XV) accanto alla sua
edizione diplomatico-interpretativa: si vede bene come questa mantiene perfet-

12

Ii filologo britannico Conor Fahy e categorico: ((<<elevare il rigoroso metodo inglese ... a principio generale
nell'edizione dei testi italiani sarebbe una follia>> (The View from Another Planet: Textual Bibliography and the Editing of
Sixteenth-Century Italian Texts, in: Italian Studies 34 [1979], p. 71-92; trad. it. in: Filologia dei testi a stampa, a cura di P.
STOPPELLI [Bologna 1987], p. 191-216: 215; ora anche in: C. FAHY, Saggi di bibliografia testuale [Padova 1988], p. 1-32:
29). Sui problemi legati alla stampa e alle revisioni editoriali dei testi cinquecenteschi cfr. P. TROVATO, Con ogni
diligenza corretto: la stampa e le revisioni editoriali dei testi letterari italiani (1470-1570) (Bologna 1991).
13

Strambotti, ode,frottole, sonetti, et modo de cantar versi latini e capituli: libro IV (Venezia 1505, 1507), c. 32v. Edito in:
Ottaviano Petrucci: Frottole, Buch I und IV, a cura di R. SCHWARTZ = PiM 8 (Leipzig 1935), p. 78 sg. (n. 56).
K. JEPPESEN, La Frottola I-III (Aarhus-Kobenhavn 1968-1970); E. VOGEL, A. EINSTEIN, F. LESURE, C. SARTORI,
Bibliografia della musica italiana vocale profana, 3 voll. (Pomezia-Geneve 1977); I. FENLON e J. HAAR, The Italian Madrigal
in the Early Sixteenth Century (Cambridge 1988); Incipitario unificato della poesia italiana, 1-2 a cura di M. SANTAGATA, 3
a cura di B. BENTIVOGLI e P. VECCHI GALLI (Modena 1988-1990). Va detto che a tutt'oggi non e stato elaborato per la
poesia italiana un sistema di normalizzazione degli incipit flessibile e preciso quanto basta per agevolare la
consultazione alfabetica pur rispettando le diverse forme grafiche.

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Esempio 1: Milano, Biblioteca Trivulziana, ms. 55, c. 66v.

"l ' . ... . . '"' ~ a~ " rr 4b, r ,-E~ .- r ?c~; .~~o~; ? LI l OZC.

tamente intatta la veste linguistica, senza per6 ostacolare la letturals. Per dare la
misura dell'entita delle varianti, ma anche della diversa veste linguistica rispet-
to alla versione letteraria piui autorevole, si da nella terza colonna il testo come
appare nelle Opere delfacundissimo Seraphino Aquilano collecte per Francesco Flavio
(Roma, G. Besicken 1502), ossia in un'edizione apparsa postuma ma considerata
oggi la pidi attendibile:16

Milano, ms. Trivulziano 55, cc. 66v-67 Opere delfacundissimo..., c. d2v


trascrizione diplomatica trascrizione diplomatico-interpretativa trascrizione diplomatica

Ahy lasso a quate fiere la sete toglio Ahi lasso, a quante fier[e] la sete toglio, Ahy lasso a quite fiere la sete toglio
Per far degli ochi un fiume i ogni locho per far degli ochi un fiume in ogni loco; Per far degli ochi un flume Togni locho
Quati smariti i mar la nocte achoglio quanti smariti in mar la nocte acoglio, Quiti smaritiT mar la nocte achoglio
Perch la fiama mia no luce pocho perch6 la fiama mia non luce poco; Perch la fiama mia n6 luce pocho
Esi el pastor e i qualche arido scoglio e si el pastor ? in qualche arido scoglio, Esi el pastor eT qualche arido scoglio
Venedo al corpo mio piglia aq e fuocho venendo al corpo mio piglia aqua e fuoco; Ven.do al corpo nio piglia aq e fuocho
Cussi sepasse ognu de mia ferita cussi se passe ognun de mia ferita: Cussi sepasse ognri de mia ferita
Come adonq simor si alt na vita come adonque si mor, si altri n'ha vita? Come adong simor si all na vita

E evidente che il testo della stampa non pu6 essere stato la fonte diretta del
testo messo in musica, sia per la cronologia, sia per le difformita di lezione. Per-
altro lo stesso strambotto e attestato in altre tredici fonti manoscritte e a stampa
15

Milano, Bibl. Trivulziana, ms. 55, c. 66v-67 (nell'es. 1 si riproduce la sola c. 66v: lultimo distico appare a c. 67). Lo
strambotto e edito in JEPPESEN, La Frottola III cit., p. 317 sg.
16

Cfr. G. LA FACE BIANCONI - A. RossI, Serafino Aquilano nelle fonti musicali, negli Atti del convegno "L'edizione
critica..." (cit. alla nota 4).

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(senza musica), in lezioni che a loro volta divergono piui o meno dalla princeps e
dal Trivulziano." 17 dunque giocoforza riprodurre ciascuna fonte secondo il
proprio abito linguistico e le proprie lezioni. Si noti in particolare come una
delle irregolarita della versione trivulziana, l'ipermetria del primo verso (dodici
sillabe metriche invece di undici), e coerente con la musica, che onora la cesura
facendo cadenza e punto coronato sufiere a meta del verso (cfr. esempio 1).
Nel caso del repertorio madrigalistico cinquecentesco la situazione, assai di-
versa, e nel contempo piui semplice e piui complessa. La lingua prevalente e or-
mai quella della lirica petrarchesca, formalizzata dal Bembo, e in larga misura
mondata da regionalismi (quando ci sono, come nel repertorio delle villane-
sche, sono espliciti e intenzionali). Dall'altro lato, abbiamo a che fare per lo pih
con edizioni musicali a stampa, e questo significa che si e allungata la catena
degli intermediari: l'autore dei versi, il copista o lo stampatore della redazione
poetica che di fatto il musicista ha avuto sott'occhio all'atto di porla in musica,
il musicista stesso, il redattore musicale che ha preparato la musica per la
stampa, infine il tipografo musicale (che spesso avra lavorato in team, e che
comunque sara stato uno specialista della stampa musicale piui che di quella
letteraria). Ciascuno di costoro pu6 aver lasciato traccia della propria lingua,
del proprio uso linguistico, sulla veste grafica e fonetica del testo verbale come
appare nelle stampe.18
Tutto ci6 complica di molto il compito del curatore moderno. Che fare, ad
esempio, se nel Primo libro de madrigali a sei voci (1560, 1565) di Alessandro
Striggio il tipografo del veneziano Gardano, oppure gia lo stesso musicista,
mantovano, scrivono avellenato raddoppiando la liquida, secondo un ipercor-
rettismo frequentissimo nell'area linguistica padano-veneta, in cui la pronunzia
tende a scempiare le doppie; mentre, per converso, scrivono augeletti invece di
augelletti, vuoi rispecchiando nella grafia uno scempiamento corrente nella lin-
gua parlata di quell'area, vuoi perch6, tutt'all'opposto, innestano il suffisso vez-
zeggiativo sulla forma poetica apocopata augel?19 L'editore moderno deve deci-
dere se mantenere queste spie linguistiche, dovute forse alla trasmissione pid
che alle intenzioni consapevoli dell'autore della musica, ovvero ridurre il testo
alla forma linguistica normalizzata. L'editore conservatore dara un peso preva-
lente alla fonte in se, alla sua specifica cultura linguistica, ossia a quella del
musicista, o del tipografo, o dei redattori e correttori. L'editore che invece nor-
malizza mira a ripristinare integro e coerente il testo dell'opera d'arte - il sonet-
to del Petrarca - da cui ha preso le mosse il musicista, il quale non aveva certo
l'intenzione deliberata di manipolarlo. Ora, nel caso di avellenato la decisione e
semplice: questa voce va classificata come ipercorrettismo veneto, e va dunque
addebitata allo stampatore, o tutt'al piui ad un uso irriflesso del musicista, giac-
che nel componimento del Petrarca in cui compare (Rerum vulgarium fragmenta

18 Cfr. G. LA FACE BIANCONI - A. RossI, Le rime autentiche di Serafino Aquilano in musica (in corso di stampa).
La filologia dei testi a stampa, sviluppatasi dapprima nei paesi anglosassoni, da poco ha incominciato a mettere
radici in Italia. Cfr. i volumi di STOPPELLI, FAHY e TROVATO citati alla nota 12.
A. STRIGGIO, II primo libro de madrigali a sei voci, a cura di D. S. BUTCHART = Recent Researches in the Music of the
Renaissance 70-71 (Madison, Wi. 1986), p. XVIII e XXII.

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209: <I dolci colli ov'io lasciai me stesso>>) e stabilmente attestata come avelenato
(e ci6 fin dal manoscritto con correzioni autografe del poeta); lo stesso varra per
augeletti (augelletti in RVF 239: <<L ver' l'aurora, che si dolce l'aura>>; anche in
RVF 280, 310, 353), sia che la si consideri scempiamento, sia che la si intenda
come vezzeggiativo di augel. Non sarebbe irragionevole rettificarle nel testo e
annotarle nell'apparato: dal punto di vista della lingua del Petrarca e della poe-
sia cinquecentesca, avellenato e augeletti sono null'altro che errori, e il loro inte-
resse culturale riguarda semmai chi voglia studiare gli usi linguistici dello
stampatore o del musicista (ma in assenza di autografi musicali sara
impossibile accertare di chi dei due). Viceversa, I'editore che manterra avellenati
e augeletto fara bene a dichiararlo, giacche avra scelto di valorizzare queste spie
irriflesse dell'abito linguistico specifico della fonte.
Una decisione su venetismi del tipo di avellenato, frequentissimi nelle stampe
musicali veneziane e nord-italiane del Cinquecento, sara molto piu incerta
quando, invece che di autori toscani come il Petrarca, si tratti di autori veneti o
padani: le loro rime potevano presentare tali venetismi gia all'origine, prima di
essere stampate e musicate. La stessa difficolta si presenta, pidi in generale,
quando si tratti di rime non attestate da alcuna edizione letteraria coeva
(dunque senza possibilita di riscontrare la lezione musicata su una lezione let-
teraria preesistente), oppure documentate soltanto in edizioni letterarie venete
o padane in cui la patina veneta potrebbe sia appartenere alla lingua del poeta,
sia essersi depositata per mano dei tipografi. In certi casi sara impossibile deci-
dere se tali venetismi siano propri del testo come lo formul6 il poeta o come lo
ebbe sott'occhio il musicista, o vi siano stati inconsapevolmente introdotti dal
musicista o da chi ne stamp6 la musica. Per la poesia musicata nel Cinquecento,
una buona soluzione pratica di compromesso per il musicologo e di accogliere
nell'edizione le lezioni antiquate o poetiche che il Grande dizionario della lingua
italiana di Salvatore Battaglia contempla in alternativa alla lezione oggi preva-
lente,20 non senza dare uno sguardo supplementare almeno alle concordanze del
Petrarca e di Dante;21 le lezioni espunte, ovviamente, andranno annotate (non
per6, come s'e detto, le semplici varianti grafiche del tipo oim /hoimt/oyme per
ohime eccetera).
Merita di essere considerata qui una difficolta complessa e spinosa che af-
fligge i testi dei madrigali in musica del Cinque-Seicento: quella dell'elisione.22
un problema che, se si presenta in maniera episodica nelle fonti letterarie, ha
frequenza elevatissima in quelle musicali, e coincide quasi sempre col fenome-

20

S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana (Torino 1961 sgg.). Si tenga tuttavia presente che nei primi
volumi i redattori del Battaglia hanno tenuto un atteggiamento piii marcatamente purista, e registrano con maggior
parsimonia le lezioni arcaiche o regionali. Per le ultime lettere dell'alfabeto (dalla S alla Z) occorre tuttora rivolgersi
al vecchio Dizionario della lingua italiana di N. TOMMASEO e B. BELLINI (Torino 1861-1879).
21

K. MCKENZIE, Concordanza delle rime di Francesco Petrarca (Oxford 1912, rist. 1969); Concordanza della Commedia di
Dante Alighieri, a cura di L. LOVERA (Torino 1975).
Per la definizione dei problemi legati all'elisione e all'apocope, cfr. L. SERIANNI, Grammatica italiana: italiano comune
e lingua letteraria (Torino 1988), p. 24-28. - Di questo ed altri problemi fa utile cenno il saggio di M. DE SANTIS,
Questioni di prassi ecdotica nell'edizione dei testi poetici musicati da Andrea Gabrieli, negli Atti del convegno "L'edizione
critica..." (cit. alla nota 4).

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8 Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana

Esempio 2: Primo libro delle Muse, a quattro voci, Roma, Antonio Barre 1555 (Valladolid,
Catedral Metropolitana).

Ant. f c A N;T 0 8

iduc beg' ccdue core.

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no della sinalefe, ossia della fusione, nella pronunzia, tra la vocale finale
parola e la vocale iniziale della successiva, per dar luogo ad una sola
metrica. La sinalefe comporta di norma l'attribuzione di due sillabe gram
cali ad una stessa nota (appunto perche computate come un'unica sillaba m
ca). Per economia di spazio, o per difficolth tecniche nel dislocame
caratteri tipografici - molto piu numerosi quelli del testo verbale ch
della musica -, o per desiderio di chiarezza circa l'esatta distribuzione del
sotto le note, i musicisti e i tipografi sono spesso inclini ad elidere la prim
due vocali (ossia la finale atona della prima parola), anche nei casi in c
testo letterario (senza musica) l'elisione non sarebbe ne ammessa ne p
nel Cinquecento, nd tantomeno oggi.
La grafia cinquecentesca segnala l'elisione mediante l'apostrofo: la
odierna lo mantiene <<per distinguere dalla seconda la prima parola,
questa non ha esistenza indipendente,.23 Nelle stampe musicali cinquecen
l'uso dell'apostrofo come segnale dell'elisione e a volte eccessivo. Per e
Antonio Barre nei suoi tre Libri delle Muse (1555-1562) segnala quasi sist
mente la sinalefe effettiva mediante l'apostrofo anche in quei casi in cui
da elisione. Si veda l'esempio 2, che, tratto dal Primo libro, riproduc
drigale dello stesso Barr <<Non e pena maggior, cortesi amanti?,, compos
23

SERIANNI, Grammatica cit., p. 28.

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Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana 9

un'ottava rima di poeta ignoto: vi si osserva appunto l'uso dell'apostrofo come


segno di separatore grammaticale e di collegatore metrico, in cortesi'amanti,
suo'amor, e'amando.24 In altre parole, per Barr" l'apostrofo svolge anche la fun-
zione della mezzaluna che nelle nostre edizioni musicali lega le vocali interessa-
te dalla sinalefe: cortesi amanti eccetera. Che l'apostrofo per Barre sia un segnale
di sinalefe, effettiva o virtuale, si evince anche dall'uso oscillante dell'apostrofo
per l'apocope: in una stessa pagina25 si legge normalmente rider finto e seguitar
mi (senza apostrofo per la -e finale apocopata), ma cangiar'albergo e cercar'esca
con l'apostrofo, in quanto in questi casi la -e va intesa come finale elisa in posi-
zione di sinalefe (oggi non c'e motivo di ripristinare la -e ne di mantenere
l'apostrofo in questi due ultimi casi).
La difficolta maggiore, per l'editore moderno, sta nel definire quali elisioni
siano plausibili e quali implausibili per l'uso linguistico cinquecentesco. E
escluso che si possano mantenere tutte le elisioni e tutti i troncamenti adottati
da un tipografo come Barre: escluso - intendo dire - per i grammatici cinque-
centeschi, non solo per il lettore moderno. Occorre fare una casistica graduata.
Ci sono elisioni pacifiche tanto nell'uso coevo quanto nell'odierno: darm'aiuto -
nel ciclo ariostesco che apre il Primo libro - si mantiene senza difficolta (anche se
l'edizione letteraria dell'Orlando furioso XXXII,19, rispettosa della documentata
volonta autentica dell'Ariosto, ha darmi aiuto); ma nello stesso verso (<Et dopo
mort'a darm'aiuto serva>)) il troncamento di mort' e assai piu problematico, in
quanto lascia il lettore in dubbio se leggere morte oppure morto (l'Ariosto ha
morto). Ci sono elisioni che oggi non faremmo, ma che sono compatibili coll'uso
poetico coevo e che non creano equivoco per il lettore, come l'elisione nel ge-
rundio (amand'altrui) o della -i di -gli davanti a parola che inizia per vocale di-
versa da -i (begl'occhi: ma il Barre, nel facsimile qui riprodotto, omette di fare
proprio questa scontatissima elisione, e scrive begliocchi senza neppure il con-
sueto segno di separazione o sinalefe). Ci sono casi forse mantenibili secondo
l'uso coevo, ma rischiosi, tali da intralciare l'immediata comprensione del testo
(in <<Sia vil agl'altri e da quel sol'amata>> - attribuito ad Alessandro Veneziano
nel Primo libro delle Muse - conviene integrare sol in solo per evitare la confusio-
ne con la forma elisa di sole, altrettanto corrente in poesia: OF 1,44 legge <<Sia
vile agli altri, e da quel solo amata>). Ci sono casi, infine, che si spiegano pro-
prio soltanto con il bisogno del tipografo - o forse gia del musicista, o del suo
copista - di condensare quanto piu possibile (ma di fatto oltre i limiti del lecito)
le sillabe coinvolte nel fenomeno della sinalefe e attribuite ad una sola sillaba
metrica e perci6 ad una sola nota. Un limite estremo si tocca nell'esempio 2: in
gran miseri'e'il la -a di miseria - coinvolta in una sinalefe enorme, estesa su ben
tre vocali e una semivocale in tre parole (-iaeil) - ' indispensabile per non con-

24

Primo libro delle Muse a quattro voci: madrigali ariosi di Ant. Barre et altri diversi autori (Roma 1555 = RISM 1555/27).
Nelle parti di Alto, Tenore e Basso, Barr6 scrive ella'il.
25

Si tratta di p. 7 in II terzo libro delle Muse a quattro voci: madrigali ariosi, da diversi eccell. musici raccolti (Roma 1562 =
RISM 1562/7): i primi due casi citati compaiono nelle due quartine di sonetto <Se per un sguardo o per un rider
finto>> musicate da Filippo de Monte; gli altri due, nel madrigale <<Certo, o felici amanti>> (anzi <<Cert'o felici'amanti>!)
attribuito a Lerma.

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10 Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana

fondere il sostantivo con l'aggettivo miseri, e per assicurare la comprensione del


senso. In casi come questo, il ripristino della vocale elisa e necessario: e rivela-
tore che Antonio Gardano, ripubblicando il Libro primo delle Muse (RISM
1559/18), segua si in generale l'uso dell'apostrofo fatto da Barre, ma qui scriva
gran miseria'e il su'amor (o suo'amor; in RISM 1557/17 aveva invece ricalcato
pedissequamente la lezione della princeps).
Le regole generali dell'apocope, formalizzate dal Bembo, sono enunciate dai
grammatici coevi.26 Non cosi, purtroppo, le regole dell'elisione, che nella scrit-
tura poetica e un fenomeno piuttosto episodico, facilmente abbandonato
all'intuitivo buonsenso di autori e copisti. E proprio questo buonsenso che nelle
stampe musicali soccombe di fronte ad esigenze peculiari - di spazio, di tecno-
logia tipografica, di articolazione sillabica nel canto - e va ripristinato, pena
l'oscuramento del senso. Barre o Gardano sapevano peraltro benissimo che il
lettore, all'atto dell'esecuzione, avrebbe reintegrato, cantando, le vocali elise
indispensabili alla comprensione del testo. Nessun cantante o ascoltatore
avrebbe accettato senza ridere che si cantassero ottave famosissime dell'Orlando
furioso, o sonetti arcinoti del Canzoniere, mangiando le parole e riducendo <fior',
frondi, erbe, ombre, antri, onde, aure soavi>> a ?fior frond'erb'ombr'
antr'ond'aure soavi>>27 (RVF 303: <<Amor che meco al buon tempo ti stavi>>);
eppure i tipografi musicali giungono fino ad accumulare sette di queste elisioni,
come fa lo Scotto nel Libro III dei Madrigali a quattro voci a note negre (1549):
<Fior' frond'erb'aria antr'ond'arm'arch'ombr'aura>>.28 Ci sono anche casi in cui
l'elisione proposta dalla stampa musicale e impraticabile, come in lamentarmi,
ahi, dove all'ascolto sorgerebbe equivoco tra lamentarm'ahi e lamentar mai: la -i
di lamentarmi non pub non venir pronunziata, anche se Barre nel Primo libro per
ragioni di spazio e stato costretto ad eliminarla.
Per fortuna il problema grafico del ripristino delle vocali elise si lascia risol-
vere nella pratica con un accorgimento elementare: basta integrare queste lette-
re in un carattere diversificato (p. es. in corsivo), cosi il lettore sapra con esat-
tezza che, cadute nella fonte, sono restauro dell'editore.29 Comunque nell'
26

Cfr. P. BEMBO, Prose cit., p. 194-196 (e ad indicem, s.v. Troncamento). - Un panorama dei grammatici
cinquecenteschi: A. QUONDAM, Nascita della grammatica: appunti e materiali per una descrizione analitica, in: Alfabetismo
e cultura scritta = Quaderni storici 13 (1978), p. 555-592.
Cosi nel Secondo libro de madrigali a sei voci di Biagio Pesciolini da Prato (Venezia 1571). Ma gli usi oscillano:
Francesco Bifetto da Bergamo nei Madrigali a quattro voci: libro primo (Venezia 1547) scrive: <fior frondi erbe ombre
antri onde aure soavi>>. - Ringrazio Claudio Annibaldi e Piero Gargiulo, che hanno esaminato per me gli esemplari
romano e fiorentino delle due raccolte.

Cito da D. HARRAN, "Maniera" e il madrigale: una raccolta di poesie musicali del Cinquecento (Firenze 1980), p. 45 (si
tratta del verso finale di un'ottava di Claudio Tolomei).
29

Attenzione: un sistema analogo a questo, ma di significato esattamente opposto, 6 stato adottato da G. CONTINI per
segnalare, mediante il corsivo, le vocali finali scritte ma destinate a cadere all'atto della lettura nelle rime del
duecentista milanese BONVESIN DA LA RIVA (Le opere volgari [Roma 19411). - Ci sono tuttavia casi in cui l'integrazione
e improponibile, sebbene il sistema grafico-fonetico, rivelando i propri limiti, a rigore la richiederebbe. Alludo alla
pronuncia della c velare (ca co cu che chi) o palatoalveolare (ce ci cia cio ciu), che resta indistinta in presenza di
elisione. Sempre nel Primo libro del Barr6 (nel madrigale <<Cosi soave e '1 fuoco e dolce il laccio>> del Caldarino), il
verso il fuoc'il lacc'anzi desio che sempre> presenta la c velare davanti a i e la c palatoalveolare davanti ad a,
facilmente sanabili col ricorso al ripristino delle vocali cadute: oil fuoco, il laccio, anzi...>>. Ma come ci si comporterA
con la magic'erba che - per passare a tutt'altro repertorio - Amelia raccoglie nell'atto II, scena 1 di Un ballo in maschera
(spartito Ricordi; libretto 1859)? Sebbene seguita da e, la c si pronuncia esplosiva velare sorda: ripristinare la -a di

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Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana 11

edizione musicale conviene, per chiarezza di lettura e certezza nella distribu-


zione delle sillabe sotto le note, esplicitare la sinalefe mediante la mezzaluna.
Dedicher6 meno spazio agli altri due punti, ovvero alla riorganizzazione
della forma metrica e al trattamento da riservare alle fonti letterarie coordinate

con la musica, come il libretto. Le forme metriche hanno in poesia una dignita
propria, che deriva loro dalla tradizione, e sono un fattore attivo nel costituire
l'artisticita d'un componimento poetico. Chi da una fonte musicale, in assenza
di testimonianze letterarie, si accinge a ricostruire la forma ipotetica che il testo
aveva al momento di venir musicato, deve tener conto delle convenzioni
tecniche e del repertorio delle forme metriche italiane disponibili in un dato
momento storico.3o Essendo tale repertorio piuttosto standardizzato, l'opera-
zione non presenta di solito soverchie difficolta, per quante liberta il musicista
si sia prese nei confronti del testo, reiterando, invertendo, aggiungendo
sopprimendo parole. Ci sono tuttavia casi complessi e difficili da risolvere
d'acchito, se manca una fonte letteraria di riscontro. Maria Teresa Brasolin ha
mostrato come il gioco delle reiterazioni di parole tipico delle cosiddette "cacce"
trecentesche consenta di ricostruire misure di versi regolari da versi a tutt
prima inconsueti alla poesia italiana del secolo XIV, come il novenario. ' Un

magica, come fa la partitura Ricordi determina cacofonia, mentre; nell'autografo, Verdi avverte si la difficolta, m
adotta l'impropria grafia magich'erba, che suggerisce alla lettura un illogico plurale femminile magiche.
30

Alcuni manuali di metrica italiana accreditati: W. TH. ELWERT, Italienische Metrik (Miinchen 1968), trad. it.
Versificazione italiana dalle origini ai giorni nostri (Firenze 1973); R. SPONGANO, Nozioni ed esempi di metrica italiana
(Bologna 2a ed. 1974); M. RAMOUS, La metrica (Milano 1984); M. PAZZAGLIA, Manuale di metrica italiana (Firenze
1990); P. G. BELTRAMI, La metrica italiana (Bologna 1991); F. BAUSI - M. MARTELLI, La metrica italiana: teoria e storia
(Firenze 1993). Cfr. anche le trattazioni di A. MENICHETTI, Problemi della metrica, G. GORNI, Le forme primarie del testo
poetico, e M. MARTELLI, Leforme poetiche italiane dal Cinquecento ai nostri giorni, in: Letteratura italiana cit., 3*: Leforme del
testo (Torino 1984), p. 349-390, 439-518, 519-620. - La corretta ricostruzione della forma metrica 6, tra l'altro, vitale
per la ricerca delle fonti poetiche, quando queste non sono dichiarate. F. DEGRADA, nell'articolo Strutture musicali del
"Torneo notturno", in: G. F. Malipiero e le nuoveforme della musica europea = Quaderni di M/R 3 (Milano 1984), p. 66-82,
dA un'analisi finissima della Canzone del tempo che costituisce il <centro del dramma>> nel Torneo notturno di
Malipiero, ma ne legge i 24 versi come <<sei quartine d'endecasillabi organizzate in tre unitA di due strofe ciascuna>>.
In realtA si tratta, piii semplicemente, di tre strambotti in forma d'ottava toscana (abababcc): occorre rendersi conto
di questa articolazione per ricercare il testo utilizzato da Malipiero appunto entro il repertorio dello strambotto di
fine Quattrocento (i tre strambotti figurano nell'ed. Giunti 1516 delle rime di Serafino Aquilano: B. BAUER-
FORMICONI, Die Strambotti des Serafino dall'Aquila [Munchen 1967], p. 254 e 261, nn. 201 sg. e 223; I'attribuzione
all'Aquilano, peraltro, 6 affatto inattendibile). - Nella ricostruzione metrica da fonti musicali, se 6 vero che il
musicologo ha bisogno di competenze letterarie, 6 altresi vero che il metricologo ha bisogno di competenze
filologico-musicali. Lo Spongano, nelle Nozioni cit., p. 352, classifica come "stornello" (che tuttavia e denominazione
ottocentesca) i due versi e mezzo superstiti, un quinario e due endecasillabi, degli otto o sei endecasillabi che in
origine componevano lo strambotto <<Muta pensiero>> testimoniato mutilo nel codice estense o.F.9.9: il metricista non
si 6 reso conto che della composizione a quattro voci manca la facciata di sinistra, quella che nel codice suddetto reca
per esteso i primi quattro o sei versi di ciascuno strambotto. Sulla facciata di destra, la sola conservata, figura l'ultimo
distico e il semplice capoverso iniziale (un facsimile della pagina si vede nella sovracoperta della mia edizione, cit.
alla nota 10). Ignorando le forme di rappresentazione del testo musicale, Spongano ha creato, battezzato e messo in
circolazione un fantasma metrico che ormai conduce vita autonoma nei trattati di metrica italiana (cfr. A. M. CIRESE,
Ragioni metriche [Palermo, Sellerio 1988], p. 159, che cita il presunto stornello con guardinga diffidenza; BELTRAMI, La
metrica cit., p. 289).
31

M. T. BRASOLIN, Proposta per una classificazione metrica delle cacce trecentesche, in: L'ars nova italiana del Trecento 4
(Certaldo 1978), p. 83-105. Sul novenario, cfr. BELTRAMI, La metrica cit., p. 165-168. Due esempi tratti da <<Segugi a
corta e can per la foresta>> nel ms. Firenze, BN, Panciatichi 26, c. 99: il verso 9, <<Vien qua, vien qua, che qui son gli
orsi>>, in apparenza novenario, 6 la probabile riduzione di un endecasillabo regolare <Vien qua, vien qua, vien qua,

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12 Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana

altro caso di componimento poetico venatorio in cui occorre presumere


reiterazione di parole per colmare la forma metrica ipotetica dell'originale poe-
tico si osserva due secoli piii tardi nella Caccia dei lupi di Ruggiero Giovanelli
(nel secondo libro dei suoi Sdruccioli, 1589; cfr. esempio 3):32
Ecco, ecco i lupi fuor del pantaniccio.
Son quattr'insieme: adosso adosso adosso!
Amazza amazza amazza!

Ognun lasci i suoi cani!


Al lupo, al lupo, al lupo!
Serra serra, Falcon, serra, Melampo!
Ah Cagnaccio, ah Bronzino, ah buon Filarco!
SiL, Rutilon, afferra afferra afferra!
Stringi stringi, Cagnone!
Azzanna azzanna, Argeo!
Aiuto aiuto ai cani, o cacciatori!
Oprate i spiedi: amazza amazza amazza,
o buon cani, o buon cani, o buon pastori!

Esempio 3: Ruggiero Giovanelli, Gli sdruccioli a quattro voci ... libro secondo,
gelo Gardano 1589 (Modena, Biblioteca Estense).
Z"finl prte. t A 6. N T 6

Cco.Eccoi Iapif a ordd pauuaauicce Jon quatrr'ifcme .4d(.fi'adofs'ij'i s, a adofr-s8'adofj'doffo


S- Vloffi frr

Java ferra fern rra f i s fr

lJ7Trr"afcrmAraingi flringi a

caua azm'arirt aisa'aiu:' sj

d.Js'vA./f. adef/deff. Lu

che qui son gli orsi>; il verso 20, <<De


no; perche non voglio>> (BRASOLIN, p.
R. GIOVANELLI, Gli sdruccioli a quat
(Venezia 1589); e cfr. S. LEOPOLD, Mad
14 (1979), p. 75-127.

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Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana 13

Esempio 4: Claudio Monteverdi, Madrigali guerrieri et amorosi ... libro ottavo, Venezia,
Alessandro Vincenti 1638 (Bologna, Civico Museo Bibliografico Musicale).

A S. cn do oi Vi roI
. .. . I- aW-as No---m-W--.. . . P"... ..
memo 4. i... . . .. MM saw-M,.i- - - - do,-N
Ono -No;MSOWN1w m -9AM .0we w Nr damo mesawma

A- s,RdoIf,.ardo.inii memo
aupoauampoi umpo
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aw Monsoon aw go, Norms 0-=40 bloodI~d
;.J.- - -: ... .... ?_ r. .. .. .- . . . .(r~
"- - -, V-owI-Mot-so ........ _----.,--.,
auampo ii mi fn~g~o auampo auampno mi

fl"nggo ardo ardo accorrete vicini rdo ardo


M o o ll a m V - - ~? - - r r
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-~-c-,--- , ?-5?,?-lcl--,---'......,r?,,:-':.i~ - -- :OI__..- _----.-..._


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-_::= -==- : _"am=--.-0-


loco al la to A ladro A lal foo A ladro 'U" 2

$ Cmvs ~ I wm -a ,mi an me - 0- onil 0now


ccU cUa ii o ii anctua a infiammat

tra dimen to al tradimen to A roco rC06f ii cla-


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40 .0 .0 M O an s" . 00 w o aws to .08 o w ft o sonme 40% e o e ot m m A 04% mom a % s ARM at s w d a S M

Wre a Ic cet e 11 mtrte l i Hi i

In tutt'altro genere poetico (il sonetto), lo stesso fenomeno si osserva nel m


gale <Ardo, ardo, avvampo, mi struggo, accorrete>> dell'ottavo libro di Mon
verdi (1638; cfr. esempio 4):11

33

C. MONTEVERDI, Madrigali guerrieri et amorosi ... libro ottavo (Venezia 1638); e cfr. P. FABBRI, Monteverdi (T

1985), che ricostruisce lendecasillabo in <Ardo, avvampo, mi struggo, ardo: accorrete- (p. 427).

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14 Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana

Ardo, ardo, avvampo, mi struggo, accorrete,


vicini, amici, a l'infiammato loco!
Al ladro, al ladro, al tradimento, al foco!
Scale, accette, martelli, acqua prendete!

Ove manchi il riscontro della fonte letteraria, sono ovviamente insanabili le


omissioni di parole da parte del musicista, ma la ricostruzione della forma me-
trica ipotetica pu6 consentire, se non altro, di constatare che omissione c'e stata:
se anche fosse andato perduto il libretto del Rigoletto, dalla ricostruzione del
testo del quartetto <Bella figlia dell'amore> dovremmo dedurre che Francesco
Maria Piave aveva predisposto anche per Gilda, che pure canta solo quattro
versi, una sestina di ottonari perfettamente parallela alle sestine del Duca, di
Maddalena e di Rigoletto, giacche la regola vigente nella librettistica di meta
Ottocento prevede che nei pezzi concertati si assegnino agli interlocutori strofe
simmetriche:34

DUCA Bella figlia dell'amore,


schiavo son de' vezzi tuoi;
con un detto sol tu puoi
le mie pene consolar.
Vieni, e senti del mio core
il frequente palpitar.
MADDALENA Ah! ah! rido ben di core,
che tai baie costan poco;
quanto valga il vostro giuoco,
mel credete, so apprezzar.
Sono avvezza, bel signore,
ad un simile scherzar.

GILDA Ah cosi parlar d'amore


a me pur l'infame ho udito!
Infelice cor tradito,
per angoscia non scoppiar.
[Perche, o credulo mio core,
un tal uom dovevi amar!]
RIGOLETTO Taci, il piangere non vale; (a Gilda)
ch'ei mentiva or sei secura...
Taci, e mia sara la cura
la vendetta d'affrettar.
Pronta sia, sara fatale;
io saprollo fulminar.

34

Cfr. A. ROCCATAGLIATI, Libretti d'opera: testi autonomi o testi d'uso?, in: Le forme del testo = Quaderni del
Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate 6 (Bergamo 1990), p. 7-20: 10. Per il quartetto del Rigoletto, cfr.
Storia dell'opera italiana 6, a cura di L. BIANCONI e G. PESTELLI (Torino 1988), tavv. 6-7. Allo stesso Roccatagliati si
devono i primi studi circostanziati sulle forme metriche nei concertati di un librettista dell'Ottocento: Felice Romani
librettista, tesi di dottorato (Bologna 1993), cap. V/1.

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Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana 15

Vi sono infine casi in cui e impossibile decidere se dare la prevalenza al fattore


metrico in senso stretto (la misura dei versi) ovvero al fattore fonico della rima.
Perfino il Metastasio ha accettato spesso che la stessa aria venisse pubblicata in
due diverse forme: la prima, nel libretto, da una forma metrica fratta pur di
evidenziare il fitto gioco delle rime; la seconda omogeneizza i versi e lascia al
lettore il piacere di scoprire, leggendo, le rime al mezzo:35

versione Napoli, 1724 versione in Metastasio, Opere


(Paris, H6rissant 1780-82)

Se dalle stelle Se dalle stelle tu non sei guida


tu non sei guida, fra le procelle dell'onda infida,
fra le procelle mai per quest'alma calma non v'e.
dell'onda infida Tu m'assicuri ne' miei perigli;
mai per quest'alma nelle sventure tu mi consigli,
calma e sol contento sento per te.
non v'e.

Tu m'assicuri ne' miei perigli,


nelle sventure tu mi consigli,
e sol contento
sento

per te.

Con questi due ultimi esempi siamo gia entrati nel merito della terza questione,
che qui accenno. E vero, come dice Georg Feder, che in linea generale <<la lezio-
ne normativa del testo verbale nella musica vocale e il testo messo in musica cosi
come si trova o si trovava nel manoscritto originale del compositore>:36 e anche
se non c'e autografo, ci si basera per il testo verbale come per quello musicale
sulle fonti musicali considerate piii attendibili. Chi pubblica il ciclo di ottave

35

L'esempio, preso a caso, e quello dell'aria di Araspe nell'atto I, scena 8 della Didone abbandonata come compare nel
libretto napoletano del 1724 (ringrazio Michel Noiray per aver verificato la lezione nell'esemplare della BN
parigina), ossia nella primissima edizione, e nelle Opere del Signor Abate Pietro Metastasio 3 (Parigi 1780), ossia nella
redazione che rappresenta l'ultima volonta autentica del poeta. La forma polimetrica (o pseudo-polimetrica)
compare anche nell'edizione librettistica di Roma del 1726, riveduta e rimaneggiata dal Metastasio per Leonardo
Vinci (cfr. il facsimile Garland nella serie Italian Opera Librettos: 1640-1770 4 [New York-London 1978]), e si mantiene
in certe edizioni letterarie, come le Opere drammatiche 1 (Venezia 1733, 2a ed. 1734), prodotte col consenso se non
sotto la supervisione dell'autore. - L'importanza della corretta ricostruzione metrica si dimostra anche e contrario:
l'erronea comprensione della forma metrica pu6 occultare aspetti artistici non trascurabili. Tre esempi. PH. GOSSETr,
nel ricostruire il testo dell'abbozzo rossiniano da lui investigato in Gioachino Rossini and the Conventions of
Composition, in: AMI 42 (1970), p. 48-58: 52, ne rappresenta lo schema metrico come una miscela di ottonari e
settenari, laddove questi ultimi sono in realtA ottonari tronchi: badando si al conto delle sillabe ma non alla posizione
degli accenti, che ' l'elemento decisivo nella versificazione italiana, non riconosce il fattore, essenziale, dell'isometria,
che, insieme con l'obbligo dell'uscita tronca nell'ultimo verso di ciascuna strofa, caratterizza i numeri chiusi nella
librettistica ottocentesca. R. DAMMANN, nel descrivere l'aria del catalogo di Leporello (Die "Register-Arie" in Mozarts
"Don Giovanni", in: AfMw 33 [1976], p. 278-308: 281), legge endecasillabi i primi versi e si spinge ad affermare che
I'aria ' intessuta nelle misure "classiche" della versificazione italiana, ossia in endecasillabi e, nella seconda parte, in
ottonari: si tratta in realtA di decasillabi ed ottonari, misure entrambe parisillabe, e decisamente non "classiche". R.
DALMONTE, II prologo de "I [sic] Pagliacci": nota sul verismo in musica, in: Musica/Realta' 3, n. 8 (agosto 1982), p. 105-113:
107, nel descrivere il testo di Leoncavallo "ricostruisce" i versi dalla partitura, ma sbaglia a collocare gli a capo, e cosi
non s'avvede che questo manifesto del verismo musicale e steso in endecasillabi sdruccioli, alla stregua delle
commedie dell'Ariosto: scelta metrica non ingenua, da parte di uno che fu allievo di Carducci.
36

G. FEDER, Musikphilologie (cfr. nota 1), ibid.

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16 Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana

Esempio 5: Wolfgang Amadeus Mozart, Le nozze di Figaro, atto III, scena 2 (dalla NMA).

Pen - sa, ch1'in tua ma-no il mio ri - po - so.

0 I

tas
di
con
gen
olt
ver
fon
aut
lib
me
che
circa le didascalie, l'unico oltretutto che consente una lettura distesa
dell'intreccio.39 3 altrettanto deplorevole che, in molti casi, le edizioni odierne
libretti siano "addomesticate" secondo il dettato della partitura: e vero ch
compositore ha avuto piena facolta di manipolare il testo a suo piacimento, m
e buona norma che il filologo si astenga dalle contaminazioni nell'accertament
del dettato testuale. Mi limiterb ad un esempio.
Nel recitativo della scena III, 2 nelle Nozze di Figaro la Contessa dichiar
Susanna: <<Pensa ch'e in tua mano il mio riposo>> (cfr. esempio 5). La fras
ineccepibile nel contesto dialogico, che Mozart, in sole dieci note, realizza c
tutta la colloquiale flessibilita di cui e capace il suo recitativo semplice. Ma e a
surdo addebitare a Lorenzo da Ponte, accogliendolo nell'edizione del libretto,40

37

T. TASSO, Tutte le poesie, a cura di L. CARETTI (Milano 1957); la stessa edizione della Gerusalemme liberata e' stata
piui riprese ripubblicata separatamente (Bari 1961; Torino 1971). - Il caso e illustrato da I. FENLON, Cardinal Scipion
Gonzaga (1542-93): "Quel padrone confidentissimo", in: Journal of the RMA 113 (1988), p. 223-249. - Le varianti poeti
offerte dai testimoni musicali sono spesso importanti per la ricostruzione della storia (o preistoria) e consistenza de
testo. Cfr. p. es. A. VASSALLI, Sull'edizione delle rime di Battista Guarini: una riflessione, in: Forme e vicende: per Giovann
Pozzi, a cura di O. BESOMI, G. GIANELLA, A. MARTINI, G. PEDROJETTA (Padova 1988), p. 225-238; L. BIANCON
Cinquecento cit., p. 335 sg. (G. B. Marino); C. CARUSO nell'ed. cit. dei libretti di Rolli (nota 4), p. XXXI sg.
Sull'argomento, oltre i saggi citati nelle note 4 e 34, cfr. P. TROVATO, Note sullafissazione dei testi poetici nelle ediz
critiche dei melodrammi, in: Rivista italiana di musicologia 25 (1990), p. 333-352; ID., La veste linguistica nelle edizio
critiche: ammodernamento o conservazione?, negli Atti del convegno di Cremona (cit. alla nota 4); S. CASTELVECCH
Sullo statuto del testo verbale nell'opera, negli Atti del convegno "Gioachino Rossini 1792-1992: il testo e la sce
(Pesaro, 25-28 giugno 1992; in corso di stampa).
39

Una felice eccezione: l'edizione critica del Giustino di Vivaldi, a cura di R. STROHM (Milano 1991), da in appendice
il facsimile del libretto della "prima".
40

Come fanno M. BEGHELLI, Tutti i libretti di Mozart (Milano 1990), p. 508, e P. LECALDANO nella sua edizione di L.
DA PONTE, Tre libretti per Mozart (Milano 1956), p. 135: questi, tuttavia, pur accogliendo nel testo la lezione di Mozart,
da in nota quella dapontiana.

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Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana 17

questo verso abnorme, un decasillabo trocaico che nella poesia italiana


s'incontrera, e di raro, soltanto col Pascoli e col Carducci, e che comunque non
ha cittadinanza nei versi sciolti destinati al recitativo, sempre e soltanto en-
decasillabi e settenari. Lorenzo da Ponte ha scritto <<Pensa che or sta in tua
mano il mio riposo>>, e questo, un endecasillabo impeccabile, e il verso che,
buona pace di Mozart e dell'ascoltatore - al quale davvero non si richiede
sforzo titanico per rendersi conto delle discrepanze tra quanto legge e qu
sente -, bisognera riprodurre oggi nell'edizione del libretto, cosi come Da Po
lo concepi, lo offri a Mozart, e lo fece stampare a Vienna nel 1786.
Di divergenze anche ingenti tra il dettato del libretto e della partitura e
chissima la storia dell'opera italiana: due esempi illustri tra i tanti
L'incoronazione di Poppea41 e II barbiere di Siviglia rossiniano.42 Sono discrep
che fanno parte del gioco che s'intreccia tra i due autori, tra i due test
un'opera, quello verbale e quello musicale: e giusto che il filologo palesi qu
gioco, non che lo occulti, e che l'ascoltatore, munito di libretto, lo ripro
mentalmente nel rimando tra ci6 che l'occhio legge e ci6 che l'orecchio ascolta
E molto piui delicato prendere posizione sugli abbagli di lettura in cui
essere incorso il musicista, abbagli che il ritmo e la frase musicale consolida
talvolta senza rimedio. Che Mozart nella scena II, 10 delle Nozze faccia dire a
Antonio <Vedete i garofhni>, e rivelatore non soltanto di un'inopi
ignoranza lessicale e prosodica, ma anche del fatto che in fondo al musi
importa poco, in un contesto di botte e risposte come questo, osservar
misura del verso: qui Mozart ha letto endecasillabo piano il verso sdrucc
<Dal balcone? - Vedete i gar6fani>>, in un dialogo tutto condotto in decasilla

41

Le contaminazioni tra le partiture di Venezia e Napoli ed i libretti mss. e a stampa attuate da A. CURTIS nella sua
edizione dell'Incoronazione di Poppea (London 1989) sono, sotto il profilo della corretta procedura filologica, un
modello negativo, che non si giustifica ne con esigenze di perspicuith teatrale, ne con la pretesa di <<conflate a text, in
accord with the music as we know it, which nevertheless might not have displeased Busenello>> (p. XI). Tra laltro,
nell'applicare questo criterio, l'editore non si e sempre attenuto al precetto, dichiarato, di annotare le varianti. Tre
esempi: I, 1 (p. 20, batt. 101-103), le partiture danno <<su l'ali vostre>>, Busenello e Curtis ?fate sentire>>; I, 2 (p. 27, batt.
76 sg.) <Non ridir, non ridir quel che diciamo>> vs <Non ridire ad alcun quel che diciamo>>; I, 7 (p. 70, batt. 2-4) <<e le

randezze> vs <<e imperatrici>,.


Delle macroscopiche varianti che separano la partitura dal libretto del Barbiere da un'idea l'introduzione a Tutti i
libretti di Rossini, a cura di M. BEGHELLI e N. GALLINO (Milano, Garzanti 1991), p. XXII nota 32.
Attenti per6 alle varianti "coatte", ossia agli interventi della censura (per la definizione, cfr. L. FIRPO, Correzioni
d'autore coatte, in: Studi e problemi di critica testuale: convegno di studi difilologia italiana nel centenario della Commissione
per i testi di lingua = Collezione di opere inedite o rare 123 [Bologna 1961], p. 143-157). Si sa che la censura soleva
essere pih severa - o se non altro piui efficace - nei confronti dei libretti che non delle partiture: pu6 dunque
succedere che la partitura preservi lintenzione del librettista meglio del libretto. Un esempio notorio: in Coslfan tutte
II, 1 il libretto del 1790 da la lezione <<Una donna a quindici anni I dee saper ogni gran moda, I quel che il cor piui
brama e loda, I cosa e bene e mal cos''>>; il terzo verso e evidentemente un maldestro ripiego per rimpiazzare il
verso originale <dove il diavolo ha la coda>>, che al censore dovette parere troppo lubrico: ma Mozart lo mantiene. Il
caso ancora pit flagrante in I, 10, dove l'impertinente botta e risposta tra Don Alfonso e Despina, <<Ti vo' fare del
ben. - A una fanciulla I un vecchio come lei non pub far nulla>>, argutamente suggellata dalla rima baciata, nella
stampa del libretto venne edulcorata in un insulso <Non n'ho bisogno. I Un uomo come lei non pu6 far nulla>>. Cfr.
A. TYSON, Notes on the Composition of Mozart's "Cosifan tutte", in: JAMS 37 (1984), p. 356-401: 378 sg. Per una diversa
interpretazione, cfr. P. PETROBELLI, Mozart e la lingua italiana, in: Convegno mozartiano in occasione del secondo centenario
della morte = Atti dei convegni lincei 98 (Roma 1993), p. 37-46: 42 sg.

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18 Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana

Esempio 6: Wolfgang Amadeus Mozart, Le nozze di Figaro, finale II, scena 10 (dalla
NMA).
492

IL CONTE (con vivacitd)

Dal bal- co-nc? In giar - di- no?


ANTONIO (mostrandogli ii vaso)

SVe-d- g-ro- I a-ni.


Ve- de- tei ga-ro - Ila- ni.

ANTONIO ...e poc'anzi, pu6 darsi di peggio,


vidi un uom, signor mio, gittar giu'.
IL CONTE Dal balcone?
ANTONIO Vedete i gar6fani.
IL CONTE In giardino?
ANTONIO SI.
SUSANNA, CONTESSA Figaro, all'erta!
IL CONTE Cosa sento?
SUSANNA, CONTESSA, FIGARO (Costui ci sconcerta.)

In questo caso, bene ha fatto il curatore della Neue Mozart-Ausgabe a conservare,


dichiarandolo, il dettato ritmico di Mozart, ad onta della sua scorrettezza
prosodica;44 d'altra parte, non e irragionevole che, nella pratica, i cantanti retti-
fichino l'errore spostando una croma, e dunque una sillaba, da battuta 492 a
493, affinch6 il battere cada su garbfani: la rettifica non altera la struttura mu-
sicale e passa del tutto inosservata.
Decisamente insanabile, all'atto del cantare, e invece un caso come quello dei
versi metastasiani <<Tu pensaci, tu sei I l'arbitro del mio cor>> nel Siroe di Handel
del 1728 (cfr. esempio 7).45 Il musicista ha considerato indifferentemente
parossitona (arbitro) o proparossitona (arbitro) una parola che e invece
stabilmente proparossitona; ha dunque ritenuto di poter dare ai due settenari
un ritmo perfettamente parallelo (ictus sulla 2a e 6a sillaba). Su questo
parallelismo ha costruito la fisionomia melodico-ritmica dell'aria - un minuetto
-, tutta "in levare"; nel corso dell'aria la parola compare dieci volte, di cui
almeno quattro secondo l'accentazione erronea arbitro. Gli altri sei casi
occorrono in prossimita della cadenza conclusiva, la dove importa frenare
l'andamento basato su moduli metrico-ritmici "in levare"; ed anche di questi
casi la meta si pu6 considerare correttamente accentata solo a patto di leggervi
un'emiolia. L'editore moderno - come del resto il cantante - non ha qui modo

44

Cfr. Neue Mozart-Ausgabe 11/5/16: Le nozze di Figaro, a cura di L. FINSCHER (Kassel 1973), p. XVI. Nel recitativo III,
13 (p. 431, batt. 70) la parola 6 accentata correttamente (garbfani).
45

G. F. Hiindels Werke 75, a cura di F. W. CHRYSANDER (Leipzig 1878), p. 60-63.

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Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana 19

Esempio 7: Georg Friedrich Handel, Siroe, re di Persia, atto II, scena 8: <<Fra' dubbi affetti
miei>> (dall'edizione Chrysander).

vl I (vl II e via omessi)

Tu pen- sa-- ci, tu sci ar -bi - trodel mio

cor tu pen- sa- ci, tu sei I'ar - bi- tro del mio

bi-tuo en
tu sei, tu sei Iar - bi- s
tro -e,
del miocu
cor, . se
a - Par - i -

bi- tro del- mio cor. tu pen- sa- ci, tu sci Jar -

bi- o dl mio cor, bi tro dl mio cor,

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20 Giuseppina La Face Bianconi: Filologia dei testi poetici nella musica vocale italiana

d'intervenire senza scompaginare la struttura musicale: pu6 soltanto segnalare


l'improprieth.46
C'e anche il caso del compositore che fraintende il costrutto sintattico.
Nell'Incoronazione di Poppea I, 9 il librettista scrive: (<< partito l'imperio: e il ciel
di Giove, I ma del mondo terren lo scettro e mio>>, dove partito sta per diviso, e
le due frasi introdotte dai due punti e coordinate dall'avversativa illustrano
l'asserto. Il compositore ha tuttavia inteso il primo dei due versi come un'entith
logico-sintattica unitaria, e ha letto <<E partito l'impero e il ciel di Giove>>, tant'e
vero che ha assorbito la cesura nella sinalefe e ha staccato questo endecasillabo
dal successivo mediante una sonora cadenza in Do maggiore su Giove, che
equivale ad un punto fermo. All'editore moderno della partitura converra ac-
cettare la lezione distorta del musicista e limitarsi a segnalare l'improprieth e la
discrepanza rispetto al dettato del libretto.47
Occorre per6 che l'editore si guardi dal sospettare errori dove non ve ne so-
no. Ho in mente un'ottima registrazione discografica dell'Admeto di Hindel
(1727):48 il curatore e concertatore attribuisce alla svista di un copista sciagurato
un'accentazione che gli pare erronea e inammissibile, e perci6 "rettifica" il ritmo
dell'endecasillabo <<Chiuse ha il re le palpebre in dolce oblio>> (1,3), modificando
nel moderno pillpebre l'innocua diastole su palpebre, consueta nella poesia ita-
liana fino almeno al Carducci compreso (funebre, tenebre, lugirbre eccetera). Ma,
cosi facendo, il musicologo pecca di troppo zelo e sostituisce ad un endecasil-
labo inappuntabile un deforme endecasillabo con l'accento mediano in quinta

46

Non 6 tuttavia da escludere che la lezione parossitona fosse tollerata: nella Donna del lago I, 2 Rossini legge <<Ah si,
del mio destin l'arbitra sei>, fors'anche sotto l'influsso dell'incontro degli ictus sulla 6a e sulla 7a sillaba, che inducono
la diastole (cfr. I'edizione a cura di H. C. SLIM nell'Edizione critica delle opere di Gioachino Rossini 1/29 [Pesaro 1990], p.
65).
47

L'incoronazione di Poppea cit., p. 74. - Si osserva con gran frequenza che i musicisti procedono nella composizione
compitando il testo verso per verso, e strofa per strofa, ignorando gli enjambements; e ci6 vale per i madrigalisti del
Cinquecento come per gli operisti fino all'Ottocento. Questi ultimi, rotti ai pidi sofisticati enjambements nei versi
sciolti dei recitativi, non esitano talvolta nei versi lirici a smembrare brutalmente il nesso logico-sintattico, vincolati
come sono dagli stereotipi metrico-ritmici invalsi nel melodramma ottocentesco italiano. Verdi al librettista del Re
Lear, il 19 novembre 1853 (A. PASCOLATO, Re Lear e Ballo in maschera: lettere di Giuseppe Verdi ad Antonio Somma [Citta
di Castello 1902], p. 61 sg.): <<... Potrebbe darsi che in qualche punto, per fare un cantabile od un motivo, avessi
bisogno di qualche accomodamento, ma ci6 non rechera mai svantaggio all'interesse del dramma. D'altronde non
sara mai per un'esigenza d'artista, ma piuttosto per una necessith dell'arte stessa. Vi sovviene dell'aria di Belisario:
Trema, Bisanzio[: sterminatrice I su te la guerra discendera': cfr. il Belisario di S. Cammarano e G. Donizetti, II, 3].
Donizzetti non ha avuto nessuno scrupolo di attaccare sterminatrice a Bisanzio facendo cosi un controsenso orribile;
ma il ritmo musicale lo esigeva assolutamente. Sarebbe stato impossibile fare un motivo seguendo il senso di quei
versi. Non era allora meglio pregare il poeta d'aggiustar quella strofa?...>>. In effetti Donizetti articola i due doppi
quinari in due periodi di quattro battute, perfettamente paralleli quanto al ritmo, alla melodia e all'armonia: su
sterminatrice e su discenderai cade la stessissima cadenza sulla tonica, sicch6 all'ascolto la separazione tra i due versi
annienta irrimediabilmente la percezione del legame sintattico versi nonch6, di riflesso, della pausa enfatica dopo
trema! Per prevenire incidenti di questa specie, Verdi e spesso tassativo nell'esigere dai librettisti versi che abbiano
<<un senso a s&>, tagliati in modo che <il senso finisca col verso>; giunge ad imporre versi di suo pugno,
<<cantabilissimi>>, intimando al librettista: <<Fanne quello che vuoi, ma tieni quella forma, e quella cadenza> (lettere
del 18 ottobre 1848 a G. Mazzini e del 14 dicembre 1861 a F. M. Piave: I copialettere di Giuseppe Verdi, a cura di G.
CESARI [Milano 1913], p. 469; F. ABBIATi, Giuseppe Verdi 2 [Milano 1959], p. 677).
EMI IC 163-30 808/12Q (1978).

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posizone (?chiuse ha il re le palpebre in dolce oblio>>), che - esso si - e inammis-


sibile nella poesia italiana del Settecento."9
Mi resta da fugare un ultimo possibile equivoco. Questa rapida rassegna
non e un prontuario ne un ricettario da applicare alla brava: e nulla pihi che una
sommaria illustrazione di problemi e insidie che il musicologo incontra af-
frontando lo studio e l'edizione di musiche vocali su testo italiano. A ciascun
curatore incombe l'obbligo d'impossessarsi degli strumenti necessari per com-
prendere e accertare il testo musicato. La collaborazione di uno specialista, os-
sia di un filologo italiano, e spesso indispensabile e sempre raccomandabile; ma
non sara neppure del tutto sufficiente, se il filologo musicale non sara in grad
di cogliere da se i problemi filologici assai specifici che l'incrocio tra il sistema
poesia e il sistema musica determina, e di convertire i precetti della filolog
letteraria in applicazioni compatibili con la realta del testo musicale.
Di sicuro, per il musicologo la soluzione non stara nell'improvvisarsi filolo-
go, bensi nel diventarlo davvero, almeno un tantino.5o

49

In generale, per risolvere dubbi circa la corretta prosodia, il musicologo come il cantante possono valersi di uno
strumento prezioso: B. MIGLIORINI, C. TAGLIAVINI, P. FIORELLI, Dizionario d'ortografia e di pronunzia (Torino 1969,
1981).
50

Un esempio innocente di approssimazione interdisciplinare: R. DALMONTE, Camillo Cortellini madrigalista bolognese


(Firenze 1980), p. 61, dichiara <<imperfetta> una rima assolutamente regolare come nieghi/preghi; inoltre definisce il
tipo aferetico e '1 come <articolo enclitico>, ossia con particella atona posposta: che e fenomeno noto al rumeno e alle
lingue scandinave, ma non all'italiano.

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