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LIBRI PROFETICI

ESEGESI DELL’ANTICO TESTAMENTO.


PROF.: ANTHONY SEPULVEDA

ISAIA 40-66

Nei primi capitoli di Isaia vedevamo il messaggio di giudizio ma allo stesso tempo di speranza per Israele
e finiamo il capitolo 39 con la caduta di Israele e l’esilio in Babilonia. Ma la speranza di Isaia era quella di
avere una nuova Gerusalemme, pura, santa e “degna”, se si può dire, di Dio, e il re messianico che doveva
venire sarebbe colui che dovrà attuare questa cosa; i capitoli dal 40 in poi esplorano questa grande
speranza.

Iniziamo con un annunzio di gioia perché l’esilio è finito e la colpa è stata pagata “quoniam completa est
malitia eius dimissa est iniquitas illius suscepit de manu Domini” (Is 40,2). E subito si annunzia anche
una “voce che grida nel deserto” e chiede di preparare il cammino del Signore (mi sembra incredibile
vedere le similitudini con colui che sarebbe dopo Giovanni il Battista).

Secondo la descrizione potremmo dire che Isaia parla sul tempo di Esdra e Nehemia perché si riferisce a
qualcosa che accadrà alla fine dell’esilio ma anche lo vedo come un chiaro riferimento al vero esilio
portato dal peccato e alla liberazione data da Gesù e così anche l’immagine del Battista ci darebbe un
bell’indizio di esso.

Isaia continua a mostrare lungo i capitoli 41-47 che Dio è l’unico e vero Dio, è simpatico perché sembra
come se Dio volesse giustificare il suo amore, la sua predilezione per Israele e lo dimostrano brani come
“ex quo honorabilis factus es in oculis meis et gloriosus ego dilexi te et dabo homines pro te et populos
pro anima tua” (43:4) e altri. Ma sorprende ancora di più che Israele ancora rimasse “dura come una
roccia”, continua ad essere ribelle al suo Signore (48,1-2). Ancora nel capitolo 48 mi sembra bellissimo
come il Signore continua a “giustificarsi”, cioè continua a dire che il castigo è stato guadagnato dai propri
israeliti e si è trattato pure di una purificazione, non di un Dio castigatore e arrabbiato (48,10-12).

Nonostante questo ci si presenta la figura del Servo di Dio colui che compirà la missione di Dio e lo
chiama Israele (49,3) con la missione di restaurare il popolo di Dio e diventare lucem gentium per
portare il regno di Dio a tutte le nazioni. È esattamente colui che ci viene presentato nei capitoli 9 e 11 e
anche vedo una chiara parità con Gesù Cristo, pure con quello che continua nei seguenti capitoli “corpus
meum dedi percutientibus et genas meas vellentibus faciem meam non averti ab increpantibus et
conspuentibus” 50,4-9; “vere languores nostros ipse tulit et dolores nostros ipse portavit et nos
putavimus eum quasi leprosum et percussum a Deo et humiliatum”52,13-53,15.

Mi pare pure incredibile il chiaro riferimento alla risurrezione del brano 53,10: “et Dominus voluit
conterere eum in infirmitate si posuerit pro peccato animam suam videbit semen longevum et voluntas
Domini in manu eius dirigetur”. Non solo morirà ma pure vivrà, in Lui saranno salvati tanti “in scientia
sua iustificabit ipse iustus servus meus multos et iniquitates eorum ipse portabit” 53,11.

Dopo nei capitoli seguenti si vede un evidente pentimento del popolo di Israele, sembra come se il popolo
se ne accorgesse della loro malignità, del loro errore e nel capito 59 c’è tutta una sorte di preghiera di
pentimento che continua nei capitoli 63-64, più o meno, dove chiedono perdono e pure che il suo regno
venga nella terra così come è nel cielo. Però il pentimento non è totale, alcuni continuano ad essere empi,
non vogliono sentire Dio e il Signore chiaramente dice in 64,9 che alcuni, possiamo chiamarli i beati,
riceveranno il regno “et educam de Iacob semen et de Iuda possidentem montes meos et hereditabunt
eam electi mei et servi mei habitabunt ibi” si evidenza una chiara speranza, ciò che nell’inizio menzionavo,
cioè c’è speranza grazie a questo uomo che darà la vita per molti e allo stesso tempo vedo una immagine
di ciò che sarà la Gerusalemme celeste.

ALEJANDRO RANGEL
ANNO 19/20 – FACOLTÀ DI TEOLOGIA
COLLEGIO ECCLESIASTICO INTERNAZIONALE “SEDES SAPIENTIAE”

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