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Capitolo 15

Il tempo

I nsieme allo spazio, il tempo appare nella visione attuale della natura
come una nozione fondamentale della conoscenza del mondo fisi-
co. Dobbiamo ora studiare l’aspetto temporale di quella “strutturazione
spazio-temporale” che abbiamo indicato come uno degli aspetti fonda-
mentali dei sistemi naturali. Tuttavia, non possiamo limitarci alla con-
siderazione del ruolo che il tempo ha nelle teorie fisiche. Il tempo gioca
un ruolo fondamentale nella nostra visione della natura anche da altri
punti di vista, in particolare antropologico ed esistenziale. Ci occupere-
mo in primo luogo della temporalità in modo generale, per comprendere
il carattere accidentale del tempo.

15.1 La temporalità dell’essere materiale


La temporalità costituisce una dimensione della nostra esperienza
immediata. Ogni aspetto della realtà e del nostro proprio essere si dà Esperienza della temporalità
nella temporalità: gli avvenimenti ci appaiono come successivi; ogni
processo ha una durata, viene vissuto come presente, pensato come fu-
turo o ricordato come passato. Ci risulta possibile stabilire dei rapporti
temporali fra gli eventi: prima e poi, intervalli, istanti. La temporalità
è presente ad ogni livello della nostra esperienza, del nostro pensiero e
del nostro linguaggio.
L’essere nel mondo appare come un essere temporale. La filosofia ha
sempre indagato questo aspetto sempre presente nell’esperienza. Cos’è
l’essere temporale? Parmenide lo presenta come un’illusione, mentre
per Eraclito esso è l’unico aspetto certo della realtà; per Heidegger è
il nostro proprio “essere-nel-mondo” (esser-ci). Ed è nota la riflessione
agostiniana nelle Confessioni:

Quid est ergo tempus?


Si nemo ex me quaerat, scio;

193
194 Il tempo

si quaesitus, explicare velim, nescio1 .

Per Aristotele la temporalità è in rapporto anzitutto con la mutabili-


Temporalità e mutabilità tà. Ciò coincide anche con il nostro modo di percepire la realtà. L’espe-
rienza del tempo ci appare sempre collegata con la nostra esperienza del
cambiamento esterno (il trascorrere degli avvenimenti) o interno (le pro-
prie percezioni sensibili e intellettuali). Senza esperienza di mutamento
non possiamo avere esperienza della temporalità.
La temporalità deve quindi essere collegata a ciò che rende possi-
bile il mutamento, cioè la struttura “potenza-atto” dell’essere materiale.
La temporalità, caratteristica L’essere delle cose materiali possiede sempre una certa potenzialità, de-
dell’essere materiale
rivata dalla materia prima, ed è perciò sempre soggetto al cambiamento.
Detto in altre parole, l’essere materiale è sempre un essere parziale, che
può diventare altro, dando così origine alla temporalità. È un essere che
si distende in momenti temporali distinti, tra passato, presente e futuro.

Carattere accidentale delle determinazioni temporali Questo mo-


do di essere temporale delle cose materiali dà origine all’esistenza di
determinazioni temporali. Ogni affermazione al riguardo di un ente, sia
essa di tipo essenziale o accidentale, ha sempre un riferimento tempora-
le: ora, nel passato, o nel futuro. Ci troviamo così di fronte alla categoria
accidentale del tempo (quando).
L’essere delle cose materiali implica un “essere qui”, ma anche un
Parallelismo tra dimensioni “essere ora”. C’è un indubbio parallelismo tra la dimensione spaziale
spaziali e temporali
e la dimensione temporale. Tutte e due rappresentano una caratteristica
legata alla materialità delle cose naturali, che, come abbiamo detto, si
presentano in qualche modo come “frazionate”, divise quantitativamen-
te e temporalmente. Ci sono però delle chiare differenze, che rendono la
temporalità ancora più complessa di afferrare dalla spazialità.
Nei due casi, tuttavia, ci troviamo di fronte ad un riferimento acci-
dentale, reale ed estrinseco, che contribuisce a determinare la sostanza
naturale nella sua specifica realtà.
Si tratta, anzitutto, di un riferimento accidentale. Le cose cambiano,
Determinazione accidentale la loro esistenza si dà nel tempo, ma non si identificano con la tempora-
lità. L’essere non è puro divenire, come sosteneva invece Eraclito: spe-
rimentiamo la permanenza delle realtà sostanziali, a cominciare dalla
nostra stessa esistenza personale. Le determinazioni temporali dicono
qualcosa di noi, ma qualcosa di accidentale.
Il tempo è, tuttavia, un accidente reale. Siamo consapevoli del tra-
Accidente reale scorso del tempo; esso non è un’illusione o un aspetto soggettivo, ma
un dato di esperienza della realtà del mondo fisico. In ogni aspetto della
conoscenza del mondo fisico, come la fisica, la chimica o la biologia,
il tempo appare come una dimensione necessaria per una descrizione
completa della realtà e dei suoi processi.

1
«Cos’è dunque il tempo? Se nessuno m’interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi
m’interroga, non lo so». Agostino d’Ippona, Confessioni, XI, 14.
15.1. La temporalità dell’essere materiale 195

Si tratta, per ultimo, di un accidente estrinseco. Il riferimento tem- Accidente estrinseco


porale non modifica o cambia il sistema naturale in sé stesso, o intrin-
secamente, ma ci offre un riferimento ad altre cose o realtà che sono
insieme. Percepire la temporalità significa sempre percepire la relazio-
ne o il collegamento con altre cose o eventi che accadono attorno, o
forse anche interiormente. L’assenza di tale collegamento porterebbe,
come abbiamo detto, alla perdita dell’esperienza temporale, come può
talvolta accadere nello stato di coma. Dunque, come abbiamo già vi-
sto nel caso dello spazio, anche il tempo apparirà come un accidente
relazionale e relativo.
Per ultimo, come già nel caso dello spazio, possiamo dire che si
tratta di un accidente derivato dalla quantità e dalla materia. Anche se Derivato dalla materia
dovremo esaminare questa dipendenza più attentamente, nel cercare di
determinare la nozione di tempo, ciò che abbiamo premesso ci fa capire
l’intrinseca dipendenza esistente tra tempo e essere materiale o naturale.

Temporalità e gradi di essere Ciò che abbiamo chiamato temporali-


tà rappresenta una caratteristica dell’essere delle cose materiali. Anche
se la filosofia della natura si occupa soltanto di quest’ordine di realtà,
può essere utile mettere in relazione la temporalità propria degli enti
materiali con il modo di essere di altri livelli di realtà.
Possiamo considerare, da un primo punto di vista, come la nostra
esperienza temporale non sembra chiudersi nell’ambito del cambiamen-
to materiale. Possiamo considerare il cosiddetto tempo psicologico, cioè Caratteristiche del tempo
psicologico
l’esperienza soggettiva della temporalità. A livello psicologico essa per-
cepisce, nelle nostre sensazioni interne ed esterne, il trascorso tempora-
le. La memoria e l’immaginazione ci consentono di percepire anche la
successione e la contemporaneità, e in qualche modo a giudicare anche
gli intervalli tra gli eventi. Anche se il tempo psicologico è certamente
dipendente dai nostri processi fisiologici, esso ci apre tuttavia alla per-
cezione del tempo come dimensione non soltanto del movimento e la
sensazione, ma anche dell’essere. L’essere stesso appare come avente
una certa permanenza, una certa consistenza, che sperimentiamo come
legata alla mutabilità, ma non necessariamente dipendente da essa.
Se ora affrontiamo la questione dal punto di vista metafisico, potre-
mo riferirci alla “permanenza” dell’essere, non necessariamente legata
alla temporalità in senso materiale. Alcuni autori usano il termine “dura- Permanenza nell’essere e
durata
ta” per indicare la permanenza nell’essere. Ovviamente questo è inteso
in senso analogico a partire dall’esperienza della durata temporale. Po-
tremo allora parlare di “gradi di durata” a seconda del diversi gradi di
essere: ogni ente avrà un grado di durata dipendente del modo in cui
esso possiede l’essere in modo proprio e unitario.
Da questa prospettiva possiamo dire che il tempo sia il modo di
essere proprio (la “durata”) delle cose materiali, cioè dell’ens mobi-
le. Esso non possiede il proprio essere in maniera totale e definitiva,
ma è in qualche modo “dispiegato” appunto nel tempo. La temporalità
196 Il tempo

è, per questa ragione, manifestazione di un essere parziale, derivato o


“partecipato” dall’essere in sé, che è Dio.
Dio possiede il proprio essere di modo totale e pieno, in un unico
Natura dell’eternità atto onnicomprensivo. È ciò che chiamiamo eternità. Non deve esse-
re interpretata come un “tempo infinito”, cioè come una temporalità
che mai finisce. È un unico atto permanente. Quindi è più adeguato
comprenderlo come un “sempre presente”.
Negli esseri creati si danno anche diversi gradi di essere. Gli esseri
spirituali partecipano in qualche modo dell’eternità di Dio. Di per sé, il
tipo di durata dell’ente spirituale è diverso della temporalità delle cose
La “temporalità” degli enti materiali. L’ente spirituale (le “sostanze separate” del pensiero scolasti-
spirituali
co) una volta comincia ad essere è immortale: non essendo composto
di materia non si dà in esso la corruzione. Tuttavia esso non possiede
pienamente il proprio essere, che è sempre parziale e composto (meta-
fisicamente si parlerà della composizione di essenza e atto di essere).
Può sperimentare quindi una certa mutabilità nelle sue operazioni spiri-
tuali, per esempio una certa successione di atti intellettivi. La teologia
scolastica denomina questo tipo di durata evo o eviternità.
La durata propria dell’essere umano appartiene alla temporalità ma-
teriale, ma è in qualche modo aperta anche alla percezione della durata
degli enti spirituali, a causa del carattere spirituale e sussistente del-
l’anima umana. In questo modo è possibile affermare che “partecipa
dall’eternità”.
Anche nella realtà materiale possiamo distinguere diversi gradi di
I diversi “tempi” nel mondo temporalità, a seconda dei diversi ambiti di fenomeni. C’è una tempo-
materiale
ralità fisica, propria dei fenomeni fisici, e c’è anche una temporalità
biologica, che include, man mano ascendiamo nella scala degli esse-
ri, un possesso sempre maggiore delle proprio operazioni e le proprie
esperienze. Nello studio delle caratteristiche dei processi appartenenti a
questi diversi livelli di entità si può apprezzare come le caratteristiche
temporali diventano sempre più complesse, la temporalità sempre più
“ricca”. Nei fenomeni fisici i processi non permettono abitualmente di-
stinguere tra i due sensi del tempo (tempo reversibile). La direzionalità
del tempo appare invece con la comparsa di alcuni processi complessi
in ambito fisico e chimico (tempo irreversibile). La comparsa delle fun-
zioni finalizzate proprie degli organismi viventi permette parlare di un
tempo biologico. Con la comparsa delle facoltà conoscitive si dà un tem-
po esperienziale, che nella persona umana può essere chiamato tempo
psicologico, o tempo umano.

15.2 Il tempo
Abbiamo considerato prima la temporalità come caratteristica gene-
rale delle cose materiali. Dobbiamo ora cercare di rendere più concreta
questa nozione considerando il concetto di tempo. Con esso indichiamo
non soltanto la considerazione di un modo di essere specifico di ogni
15.2. Il tempo 197

sistema naturale, ma un modo concreto e particolare attraverso il qua-


le stabiliamo la relazione temporale fra gli eventi e le cose. Si tratterà
quindi di un concetto che ci consente di conoscere e fissare i rappor-
ti temporali in modo generale e qualitativo (indicando approssimativa-
mente il quando di un evento (mattina, sera, nel passato, tanto tempo fa,
tra poco....) oppure in modo preciso e quantitativo (tra 12 sec, 10:55:34
AM, ecc.).

Definizione aristotelica del tempo A differenza di ciò che accadeva


nel caso dello spazio, la filosofia greca concettualizza e usa la nozione
di tempo (κρόνος). Aristotele, in particolare, dedica al tempo un ’ampia
riflessione, nel IV libro della Fisica.
Abbiamo già notato la stretta relazione esistente tra tempo e mo-
vimento. Se le cose naturali sono temporali è appunto perché l’essere Esame del tempo in
relazione al movimento
materiale è caratterizzato dalla mutabilità, dall’essere in potenza che
viene continuamente attualizzato. Aristotele conclude, per questa ragio-
ne, che il tempo è “qualcosa del movimento”. Ma quale elemento del
movimento può essere il tempo?

– non è lo stesso movimento, poiché il movimento può essere più


veloce o più lento, mentre il tempo no; il movimento è nel sog-
getto, ma il tempo è in tutti;
– deve essere quindi qualcosa del movimento che sia comune a tut-
ti; è ciò che è comune è la natura successiva del movimento: il
movimento ha sempre delle parti, un “prima” e un “poi”;
– di fatto, la percezione del tempo non sembra essere altro che la
percezione di questa successione, cioè del “prima” e del “poi”
nel movimento.

Come avviene questa percezione? La mente coglie il prima e il poi,


dividendoli, cioè separandoli mentalmente. In questo modo la mente mi-
sura il movimento nella sua continuità successiva. Possiamo dire allora Definizione di tempo
che il tempo sia la misura attraverso cui la mente riesce a conoscere la
dimensione successiva del movimento. Questo è il senso della defini-
zione aristotelica di tempo: la misura del movimento secondo il prima e
il poi.

«Ecco quindi cos’è il tempo: il numero del movimento secondo il prima


e il poi (numerus motus secundum prius et posterius)»2 .

Caratteristiche della definizione di tempo La definizione aristoteli-


ca di tempo richiede alcune considerazioni. In primo luogo, questa defi-

2
“αριτµόσ κινεσεός κατ¦ πρότερον κሠÜστερον” (Aristotele, Fisica, IV, 11, 219b
1-2.
198 Il tempo

nizione è stata accusata di circolarità sin dall’antichità3 : essa presuppo-


ne infatti dei concetti temporali, come sono il prima e il poi. Tuttavia,
i commentatori di Aristotele, in particolare la scolastica, non accolgo-
no questa critica. La risposta di Tommaso d’Aquino è sufficientemente
È la definizione di tempo rappresentativa. La definizione aristotelica non sarebbe circolare poiché
circolare?
in essa “il prima e il poi” non vengono presi a partire dal tempo. Si trat-
ta invece del prima e del poi del movimento, in quanto causati non dal
tempo, ma dalla “grandezza”, cioè dalla posizione:
«Si qualcuno, contro la suddetta definizione, solleva l’obiezione che il
prima e il dopo sono determinati dal tempo, e così si ha una definizione
circolare, si deve dire che il prima e il dopo sono inseriti nella definizione
del tempo per il fatto che sono causati nel movimento dalla grandezza, e
non per il fatto che sono misurati dal tempo. Per questo motivo, in pre-
cedenza, Aristotele ha mostrato che il prima e il dopo sono prima nella
grandezza che nel movimento, e prima nel movimento che nel tempo, per
escludere questa obiezione»4 .

Questa risposta non appare oggi del tutto soddisfacente. Non sem-
bra sufficiente ammettere la relazione di anteriorità-posteriorità spaziale
allo scopo di fondare le relazioni del prima e del poi nel tempo5 . Hoenen
considera come il senso di tale relazione varia nel passare dalla grandez-
za spaziale al movimento, e da esso al tempo, in particolare per ciò che
riguarda il loro carattere relativo. Tra due punti spaziali non esiste una
relazione di priorità assoluta, ma soltanto in rapporto ad un terzo. Nel
movimento può darsi tale priorità, in quanto uno rappresenta il punto di
partenza e l’altro di arrivo, ma tale priorità potrebbe anche capovolgersi,
considerando il movimento inverso. Soltanto nel tempo la relazione di
priorità acquista un significato pieno.
Sembra più importante precisare invece di quale tipo di definizione
si tratta. Essa non vuole essere una “definizione logica”, di tipo assio-
Significato della definizione matico. Non è possibile dare una definizione di tempo in senso stretto,
di tempo
nel senso cioè di derivare tutte le caratteristiche della temporalità a par-
tire da altre nozioni non temporali. La temporalità risulta in sé stessa
irriducibile ad altri concetti.
La validità di questa definizione può essere invece considerata da
un altro punto di vista. Ammessa la temporalità come caratteristica ba-
sica del mondo fisico, qual è il fondamento della struttura attraverso cui
3
Tale critica è stata attribuita già a Galeno, secondo la testimonianza di Temistio
e Simplicio. Cfr. Peter Hoenen, Cosmologia, 5a ed., Romæ: Apud Ædes Pontificiæ
Universitatis Gregorianæ, 1956, p. 251.
4
«Si quis autem obiiciat contra praedictam definitionem, quod prius et posterius
tempore determinantur, et sic definitio est circularis, dicendum est quod prius et poste-
rius ponuntur in definitione temporis, secundum quod causantur in motu ex magnitudi-
ne, et non secundum quod mensurantur ex tempore. Et ideo supra Aristoteles ostendit
quod prius et posterius prius sunt in magnitudine quam in motu, et in motu quam in
tempore, ut haec obiectio excludatur». Tommaso d’Aquino, Commento alla Fisica di
Aristotele, a cura di B. Mondin, vol. 1, Bologna: Edizioni Studio Domenicano, 2004,
L. IV, l. 17, n.580.
5
Cfr. Hoenen, Cosmologia, 250 ss.
15.3. Caratteristiche del tempo 199

riusciamo a conoscere tale caratteristica? Per Aristotele questo fonda-


mento è il movimento o cambio, e quindi l’essere mutevole delle cose.
Conoscere questa mutabilità in atto significa conoscere ordinatamente
le parti del movimento, il suo più e meno. Ed è proprio questo cono-
scere il tempo: «Il numero ci permette distinguere il più e il meno, e il
tempo, il più e il meno del movimento; il tempo è quindi una specie di
numero»6 .

Il tempo come misura Dobbiamo considerare, in secondo luogo, la


definizione del tempo come “numero” cioè come misura. Questo impli-
ca che il movimento, in quanto successivo, possiede un aspetto quan-
titativo: delle parti in qualche modo “extra partes” (ora non in senso
estensivo, ma successivo), che possono quindi essere misurate. Possia-
mo domandarci però quale sia la parte che serve come unità di misura.
Poiché il tempo è continuo, e non formato da parti attualmente sepa-
rate, dovremo ammettere che non esiste nel tempo una unità di misura
“naturale” o necessaria. L’unità di misura sarà quindi convenzionale: un L’unità di misura è
convenzionale
particolare periodo di movimento che usiamo come riferimento per nu-
merare il movimento in generale. Può essere il battito del cuore, il moto
giornaliero o annuo del sole o della luna, i tempi battuti da un orologio,
o qualsiasi altro movimento che possiamo considerare in qualche modo
regolare.
Per ultimo, possiamo chiederci quale sia il movimento misurato.
Cioè il tempo, è misura soltanto di movimenti concreti (e allora potre-
mo dire che ogni movimento ha il proprio tempo), oppure è possibile
applicare la nozione di tempo a tutti i movimenti per uguale? È possibi-
le misurare anche la quiete, i movimenti irregolari, i processi complessi?
Certamente si. Anche se la definizione di tempo si riferisce alla misura
di un movimento concreto, la relazione tra questo e gli altri movimenti
che costituiscono l’insieme dei processi naturali consente che il tempo
definito sia applicato ad ogni movimento e processo del mondo fisico.
Dovremo tener presente, comunque, la differenza tra il senso in cui
la filosofia cerca di comprendere le nozioni temporali e la sua applica-
zione concreta da parte dell’indagine sperimentale della scienza. Se il
tempo è misura comporterà una particolare struttura quantitativa (mate-
matica), forse complessa, che la scienza dovrà determinare e definire.
Le caratteristiche del tempo che possiamo scoprire attraverso il suo uso
scientifico saranno comunque importante per comprendere meglio la
sua natura.

15.3 Caratteristiche del tempo


Possiamo ora tentare di esaminare alcune delle caratteristiche prin-
cipali della nozione di tempo. Uno dei principali problemi che si pon-

6
Aristotele, Fisica, IV, 11, 219b 3-5.
200 Il tempo

gono è quello della realtà del tempo. È il tempo qualcosa di reale, og-
gettivo, oppure dobbiamo vederlo piuttosto come risultato di una nostra
concettualizzazione, cioè come qualcosa di soggettivo?

Tempo reale e tempo astratto Possiamo dire, in primo luogo, che co-
Il problema della realtà del sì come lo abbiamo definito il tempo è certamente reale. La successione
tempo
nel movimento è qualcosa di reale; essa implica un insieme di relazioni
di successione (sia di ordine che metriche) tra i diversi eventi della sto-
ria dei sistemi fisici. In altre parole, la successione degli eventi naturali
è anche qualcosa di quantitativo, e quindi misurabile. In conseguenza, il
tempo, come misura del movimento è senz’altro una nozione reale, che
si riferisce ad un aspetto oggettivo del mondo naturale. Parallelamen-
te a quanto abbiamo visto, con più attenzione, nel caso dello spazio,
potremo dire ora che il tempo è reale, perché sono reali le relazioni di
successione tra gli eventi del mondo naturale.
Tuttavia, allo stesso modo che nel caso dello spazio era possibile
poi astrarre “l’insieme di relazioni quantitative” per costruire uno spa-
zio immaginario o matematico, ora, nel caso del tempo, potremo anche
astrarre della successione dei movimenti reali e la loro misura e restare,
per così dire, con la sola “scala temporale”, vuota di contenuto, che a
volte concepiamo come “il tempo”. Saremo così di fronte ad un tempo
astratto o tempo immaginario.

Tempo assoluto e tempo soggettivo Come accadeva nel caso dello


Tempo assoluto (Newton) spazio, anche qui potremo trovare delle posizioni estreme. Da una par-
te, un realismo esagerato, che considera quel tempo astratto come un
entità esistente con indipendenza delle cose che hanno esistenza “nel
tempo”. Abbiamo qui, anzitutto, la teoria del tempo assoluto di New-
ton, una specie di ricettacolo in cui scorrono gli eventi, dai quali però è
indipendente.

«Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura, senza rela-
zione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è
chiamato durata; il tempo relativo, apparente e volgare è una misura (esat-
ta o inesatta) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che
comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali sono l’ora, il
giorno, il mese, l’anno»7 .

La posizione opposta è quella di tipo soggettivistico, in cui il tempo


Tempo soggettivo (Kant) non ha una realtà a sé; esso ha soltanto un’esistenza mentale. La filosofia
critica kantiana associa spazio e tempo nel costituire le forme a priori
della sensibilità. Lo spazio costituisce la forma a priori della sensibilità
esteriore, in quanto ordina tutte le impressioni che riguardano la sensi-
bilità esterna; il tempo è invece forma a priori della sensibilità e esterna
e interna; non soltanto gli elementi sensibili che procedono dalle cose

7
Newton, Principi matematici, pp. 101–102.
15.3. Caratteristiche del tempo 201

esterne, ma anche quelli interni, vengono ordinati dalla forma a priori


temporale.
Per Aristotele e Tommaso d’Aquino, invece, il tempo è qualcosa di
reale e oggettivo, in quanto numero del movimento. Il movimento, cioè, Il tempo come misura
è successivo, numerabile, e quindi da origine così al tempo. Ma il tem-
po implica anche una certa dimensione soggettiva, poiché quel numero
del movimento deve essere “numerato” attualmente, e ciò richiede la
presenza di una mente in grado di numerare, cioè di misurare.
Questi due aspetti vengono presentati come due sensi del tempo. Il
tempo è misura, numero, ma in due sensi:

– numero numerato (numerus numeratus): è il tempo reale, succes-


sione quantitativa dell’essere mutabile;
– numero numerante (numerus numerans): il tempo astratto; è reale
“soltanto nella mente che numera”8 . Si tratta quindi di un ente di
ragione. In questo senso, dirà Aristotele, che “senza l’anima che
numera non c’è tempo”.

La continuità del tempo e l’istante Le caratteristiche del tempo con-


cordano quasi completamente con quelle della quantità dimensiva o
estensione e dello spazio. Non ci soffermeremo, quindi in esse, tran-
ne che nel caso della continuità. Il tempo, come dimensione quantitati- Continuità del tempo
va della realtà, appare come continuo. Esso è infinitamente divisibile in
parti però attualmente unite, anche se potenzialmente separabili. Questo
vuol dire, come nel caso dell’estensione, che non è possibile postulare
l’esistenza di una “parte temporale” che non sia a sua volta divisibile.
In altre parole, non ci sono “atomi” di tempo, che possano comporre il
continuo temporale per addizione, e che abbiano ciascuno una propria
identità separata da quella degli altri.
Nel caso del tempo la questione della continuità pone però un pro-
blema particolare: l’esistenza dell’istante. Se si vuole ammettere la real- Natura del istante
tà del tempo sembra necessario ammettere la realtà dell’istante tempo-
rale, almeno quella dell’istante presente: l’adesso. Ma se diamo realtà
all’istante temporale, non saremo davanti ad una parte indivisibile del
tempo? Non sarà allora possibile affermare che il tempo “è composto
da istanti temporali”?
È necessario però ricordare quanto abbiamo visto nel considerare
la continuità della quantità dimensiva. Come il punto non è una parte L’istante non è parte, ma
limite
dell’estensione o dello spazio, bensì un limite, anche l’istante non de-
ve essere considerato come una parte del tempo, ma appunto come un
limite temporale, cioè l’inizio o la fine di un processo temporale. L’e-
spressione: “il tempo è composto di infiniti istanti temporali” può esse-
re corretta se si interpreta in senso matematico: è possibile determinare,
nel continuo temporale, infiniti “punti limite” che danno inizio e fine a

8
Cfr. Aristotele, Fisica, IV, 14, 223a 25-29.
202 Il tempo

dei processi temporali. Non sarebbe corretta invece se si volesse con ciò
affermare l’esistenza d “unità temporali” separate, dette “istanti”, poi-
ché allora verrebbe meno nuovamente la continuità della dimensione
temporale.
La continuità del tempo fa si che nel considerare la serie di eventi
temporali (passato, presente, futuro) dobbiamo affermare, come fa an-
che Aristotele, che soltanto l’istante presente è reale in senso proprio (il
passato non c’è più, il futuro non è ancora arrivato). Ma il presente non
ha una realtà “chiusa” o “delimitata”: non è una parte di tempo, benché
piccola, nella quale noi ora esistiamo. È il limite tra passato e futuro; è
un presente “transiente”, un presente in flusso, la cui realtà sta proprio
nel essere sempre mutevole.
Queste riflessioni, lontane dal rendere la nozione di tempo artificiale
o ideale, fanno comprendere come la temporalità sia un segno della pre-
carietà (imperfezione, se vogliamo) dell’essere materiale e temporale.
Esso è in un “farsi” continuo, non è mai pienamente posseduto. Questa
è, infatti, la caratteristica di ciò che abbiamo chiamato eternità.

15.4 Spazio e tempo nella Teoria della relatività


Quanto abbiamo appena visto ci permette di comprendere meglio
l’unità di spazio e tempo, così come appare nella teoria della relatività.
Spazio e tempo sono inseparabili nel senso che non risulta possibile de-
terminare “lo stato (spaziale) del mondo in un dato instante temporale.
Se così fosse si potrebbe pensare che lo spazio abbia una realtà propria,
indipendente dal tempo. Ad ogni istante temorale corrisponderebbe una
“realtà” in qualche modo autosufficiente: “lo stato del mondo in quel-
l’istante”. La storia sarebbe quindi la successione di questi diversi stati
del mondo, ciascuno dei quali sarebbe atemporale.

t t t0

t0 = 0

t=0
t=0

a b

Figura 15.1: L’evoluzione dell’universo nell’immagine classica (a) e


relativista (b)
15.4. Spazio e tempo nella Teoria della relatività 203

Invece, nella visione propria della relatività il mondo è costituito


piuttosto da “storie” individuali. Ogni ente è temporale e spaziale, cioè
ha una propria storia (temporalità) che possiede anche dimensioni spa-
ziali (spazialità). Attraverso questi due tipi di dimensioni è capace di
relazionarsi con “le storie” degli altri enti e la loro spazialità. E così
sorgono spazio e tempo come misure matematiche di tale temporalità e
spazialità.
La teoria della relatività diede luogo, nella prima metà del s. XX,
a numerose interpretazioni di tipo filosofico. Presentiamo brevemen-
te, per concludere il nostro esame, quelle che hanno avuto maggiore
importanza.

Idealismo Alcuni tra i primi interpreti della relatività hanno voluto


vedere in essa una specie di idealismo neo-kantiano (Herman Weyl,
Ernst Cassirer). Spazio e tempo non sarebbero caratteristiche oggetti-
ve, ma forme a priori. Le apparenti contraddizione fra le determinazio-
ni spaziali e temporali dei diversi osservatori indicano quindi diverse
schematizzazioni mentali della realtà. Questa interpretazione trovò pe-
rò le critiche della scuola positivista, in particolare Hans Reichenbach.
Egli mostrò come lo spazio e tempo a priori ma necessari di Kant non
possono in nessun modo conciliarsi con i risultati della relatività.

Ultrarealismo Il matematico Herman Minkowski presentò nel 1908


un formalismo matematico che rendeva la relatività di Einstein più sem-
plice dal punto di vista formale. In esso spazio e tempo formano uno
spazio quadridimensionale pseudo-euclideo, in cui ogni punto corri-
sponde ad un evento della storia dell’universo9 . Questo formalismo fu
presto interpretato dallo stesso Minkowski e da altri come uno “spazio-
tempo” in cui ormai ogni evento è esistente, scomparendo la vera tem-
poralità dell’universo, che si trasforma in una “quarta dimensione” equi-
valente in tutto allo spazio.

Positivismo Il positivismo, rappresentato sopratutto da Hans Reichen-


bach, vede nella teoria della relatività una manifestazione della neces-
sità di eliminare le nozioni metafisiche. Possiamo soltanto adeguarci ai
risultati presentati dalla teoria, senza interpretarla in senso ontologico.
Tuttavia, lo studio posteriore dell’origine e della storia della teoria han-
no mostrato l’insostenibilità di un’interpretazione positivista. La teoria
di Einstein riesce appunto a superare una concezione puramente posi-
tivista, scoprendo una struttura spazio temporale nel mondo guidata da
leggi che hanno un valore realista.

Formalismo Alcuni autori neoscolastici, come Jacques Maritain, Ro-


berto Masi, Petrus Hoenen, vedendo nella relatività una certa contrad-

9
È il tipo di rappresentazione usata nella fig. 15.1.
204 Il tempo

dizione con le nozioni classiche dello spazio e del tempo tentarono di


ridurre il valore della teoria di Einstein ad un puro formalismo matema-
tico senza implicazioni di tipo metafisico. Spesso però non riuscivano a
distinguere tra il contenuto metafisico delle nozioni spazio temporali e
l’immagine classica di tipo meccanicista.

Realismo Non sono mancate anche le interpretazioni che attribuisco-


no un valore realista alla relatività di Einstein. La comprensione dello
spazio e del tempo risultano molto più vicine alle nozioni aristoteliche,
di tipo metafisico, in cui corrispondono a relazioni reali tra gli eventi
reali dei corpi. Anche se alcune caratteristiche dello spazio e del tem-
po si allontanano dalla nostra intuizione, la teoria tuttavia è in grado di
comprendere il loro senso, e di rappresentare in modo coerente e precisa
la realtà delle dimensioni spazio temporali della realtà naturale.

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