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D I S C O R SI
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D E L P A D R E

GIUSEPPE ANTONIO BORDONI

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ANNO QUAKTo, ToMO QUARTo.

per apprezzarla
IN i 3. Traffi,
Nella Stamperia di ſº R O N T.

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GIUSEPPE ANTONIO BORDONI

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I N D I C E
D E' D I S C O R S I
P E R L' E S E R C I z 1 o
DEL LA BUONA MORTE.
ANNO QUARTO.
PER LA DOMENICA PRIMA DELL'AVVENTO.

DiscoRso Iº penſier della morte. 1. Ci mode


ra ne noſtri ecceſſi. 2. Ci diſingan
ma ne noſtri errori. 3. Ci dirige ne noſtri dubbi.
PER LA DOMENICA SECONDA DELL'AVVENTO.
Correndo la feſta dell'Immacolata Concezione della
Santiſſima Vergine.
Disc. II. Grazia ſantificante. 1. Dobbiamo eſſer
ne giuſti conoſcitori per apprezzarla. 2. Vigi
º lanti cuſtodi per conſervarla. 3. Trafficanti in
duſtrioſi per accreſcerla.
PER LA DOMENICA TERZA DELL'AvvENTO.
Disc. III. L'amore dovuto a Criſto convien che
ſia. 1. Operoſo. 2. sofferente, 3. Coſtante.
- - 2,
FRA L' OTTAVA DEL SANTISSIMO NATALE.
Correndo in tal giorno la feſta de'Santi Innocenti.

DIsc. IV. Lo ſcandaloſo è gran nimico. 1. Di


Dio. 2. Del Proſſimo. 3. Di ſe medeſimo.
PEL GIORNO DELL'OTTAVA DE'SANTI INNOCENTI,

Disc.V. La conformità ai divini voleri è ſagri


fizio tra tutti. 1. Il più nobile. 2. Il più van
tagiaſo. 3. Il più ſoave.
NELL'OTTAVA DELL'EPIFANIA.

Disc. VI. A cagione degli umani riſpettivi ſi fa


una grave perdita. I. In riguardo a noi. 2. In
riguardo al mondo. 3. In riguardo a Dio.
PER LA DOMENICA PRIMA DOPO L'EPIFANIA
Disc. VII. Viver nel mondò, in cui ſi vive da i
più, è un diſordine. 1. Che inſenſibile s'intro
duce nell'anima ſenza rimorzo. 2. Che inemen
dabile s'innoltra ſenza riparo. 3. Che ineſcuſa
bile termina ſenza perdono.
PER LA DOMENICA SECONDA DOPO L'EPIFANIA.
Correndo la feſta della converſion di S. Paolo 25 Gennajo.
Disc. VIII. Chi ſi converte a Dio laſciar dee ad
imitazion di San Paolo. 1. L'antico intelletto,
ed inveſtirſi di nuove, e ſante maſſime. 2. L'an
tica volontà, ed inveſtirſi di nuovi, e ſanti vole
ri. 3. L'antico cuore, ed inveſtirſi di nuovi, e
ſanti affetti. -

PER LA DOMENICA TERZA DOPO L'EPIFANIA.

Disc. IX. Pianto d'inferno doloroſiſſimo, perchè


pianto. 1. Senza riparo. 2. Senza ſollievo. 3. Sen
z,A l C7 7221726', Per
PER LA DOMENICA QUARTA DOPO L'EPIFANIA.

Disc. X. Le paſſioni. 1. Debbono conoſcerſi. 1. Deb


Abono combatterſi. 3. Debbono ſterminarſi.
PER LA DOMENICA QUINTA DOPO L'EPIFANIA.
Disc. XI. L'ozio rende quaſi impoſſibile. 1. All'
innocente il fuggir dal peccato. 2. Al peccatore
il ſorgere dal peccato. 3. Al ravveduto il ſoddis
fare per lo peccato,
PER LA DOMENICA SESTA DOPO L'EPIFANIA.
Correndo la feſta della Purificazione della Santiſſima Vergine,
- o ſia della Candelaja.

DISC, XII. Il peccator moribondo vedrà. 1. La va


nità di quel mondo, che tanto amò. 2. La povertà
di quell'anima, che tanto traſcurò. - 3. La gra
vezza di que” peccati, che tanto moltiplicò.
PER LA DOMENICA DI SETTUAGESIMA,

Disc. XIII La Caſa dell'eternità è noſtra vera caſa.


1. Perchè unicamente in grazia di eſſa noi ſia
mo fatti. 2. Perchè a noi ſta il fabbricarcela a
modo noſtro. 3. Perchè allogiati, che vi ſaremo
una volta, non ne uſciremo mai più.
PER LA DOMENICA DI SESSAGESIMA.

Disc. XIV. La perdita del tempo. 1. E' in ſe ſteſ


ſa graviſſima, 2. E a noi dannoſiſſima. 3. E' in
giurioſſima a Dio.
NELL'OTTAVA DI PASQUA.

Disc. XV. Vita megliore, che ſperar deeſi dalla


morte, giacchè eſſa ci toglie. 1. Una vita pe.
ricoloſa, per darcene una ſicura. 2. Una vita
- - A 3 travaglio
travaglioſa per darcene una contenta. 3. Una
vita breve, per darcene una eterna.
PER LA DOMENICA PRIMA DOPO PASQUA.

Disc. XVI. Pace della coſcienza. 1. In queſta vi


ta, non può bramarſi bene, nè più grande, nè
più ſicuro. 2. Al punto della morte non può bra
marſi conforto, nè più ſoave, nè più efficace.
3. In ordine alla beata eternità non può bramarſi
pegno, nè più chiaro, nè più certo.
PER LA DOMENICA SECONDA DOPO PASQUA.
Disc. XVII. L'amore, che Dio ci porta, ci fa
ſperare, che morrenno bene, atteſo che ci ama.
i. Con ſincerità. 2. Con fortezza. 3. Con tene
i rezza. -
PER LA DOMENICA TERZA DOPO PASQUA.
Disc. XVIII. La vita è breve, dunque è neceſſario.
1. Uno ſconto prontiſſimo de'noſtri peccati. 2 Un
pronto diſtaccamento da tutto il ſenſibile. 3. Una
pronta provviſione d'opere buone.
PER LA DOMENICA QUARTA DOPO PASQUA.
Correndo la feſta della Santiſſima Sindone 4. Maggio.
Disc. XIX. La ſantiſſima Sindone ci renderà ine
ſcuſabili. 1. Come Evangelio viſibile, ch'ella è,
ſe troveraſſi men giva la noſtra Fede. 2. Come
pegno certiſſimo, ch'ella è, ſe troveraſſi men fer
ma la noſtra ſperanza. 3. Come ritratto ammira
bile, ch'ella è, ſe troveraſſi men fervida la
noſtra carità.
NELL'OTTAVA DI PENTECOSTE.

Disc. XX. Il ſanto timor di Dio. 1. Conſola. 2. Av- .


valora. 3. Aſſicura. Per
PER L'OTTAVA DEL COBPUSDOMINI.
Disc.XXI. Il Santiſſimo Viatico. 1. Ne dolori dell'
infernità è conforto efficaciſſimo. 2. Nelle batta
glie dell'agonia è fortiſſimo ſcudo. 3. Nel gran
viaggio dell'eternità è ſicuriſſima guida.
PER LA DOMENICA SECONDA DOPO LA PENTECOSTE.
Disc. XXII. L'affare della ſalute è il ſolo. 1. Che
prºpriamente ſi poſſa dir noſtro. 2. Che ci venga
raccomandato più eſpreſſamente da Dio. 3. Che
eſsa più giuſtamente le noſtre ſollecitudini
TER LA DOMENICA TERZA DOPO LA PENTECOSTE.
ºrrendo la feſta di S. Luigi Gonzaga della Compagnia
di Gesù, 21 Giugno.
Disc. XXIII. Per eſſere Santi anche in mezzo al
Mondo, ſi ami da noi ad imitazione di S. Luigi.
* La ritiratezza. 2. La mortificazione. 3. L'o.
7 A21072e.

PER LA DOMENICA QUARTA DOPO LA PENTECOSTE.


Pisc. XXIV. Tre accuſatori al Giudizio. 1. Il De
ºio, che metterà in chiaro ciò, che ſi è fatto,
º º dovea farſi. 2. L'Angelo tutelare, che fa.
º ºedere ciò, che non ſi è fatto, e doveafarſi.
3. La coſcienza, che moſtrerà, come in ciò, che
Per colpa ſi è fatto, e non ſi è fatto, non v'èſcuſa.
PER LA DOMENICA QUINTA Dopo LA PENTECOSTE.
ºrrendo in tal giorno la feſta de Santi Appoſtoli
Pietro, e Paolo.

Pº XXV. La Chieſa vuol eſſere da noi onorata.


º Sela ch'ella è con l'oſſequio ſincero della no
ºrº ſtima. 2. Vera ch'elli è con la profeſſion gene
- A 3 roſa
-

roſa di noſtra Fede. 3. Santa ch'ella è con l'inne


cenza illibata di noſtra vita,
PER LA DOMENICA SESTA DOPO LA PENTECOSTE.
DISC XXVI. Dee farſi temer da noi ſteſſi. 1. La
noſtra ignoranza. 2. La noſtra fiacchezza. 3. La
noſtra incoſtanza. - -

PER LA DOMENICA SETTIMA DOPO LA PENTECOSTE.

Disc. XXVII. Non far del male non baſta. I. All'


obbligo, che la Legge ci addoſſa. 2. Al fine, che
la Legge pretende. 3. Al premio, che la Legge
promette,
PER LA DOMENICA OTTAVA DOPO LA PENTECOSTE.
- Correndo la feſta di Sant'Anna.
Disc. XXVIII, Separazione de'reprobi nel giorno
eſtremo. 1. Dalla compagnia de giuſti, e però ob
brobrioſa. 2. Dall'amicizia del giuſti, e però do
loroſa. 3. Dalla gloria de'giuſti, e però ſpaventoſa.
PER LA DOMENICA NONA DOPO LA PENTECOSTE.

DIsc. XXIX. Abuſo delle divine iſpirazioni. 1. Com


tro le anime, che ſi abuſano delle divine iſpira
zioni, Iddio ſi ſdegna. 2. Dalle anime, che ſi a:
buſano delle divine iſpirazioni, Iddio ſdegnatº ſº
ritira. 3. Ritiratoſi iddio dalle anime, che ſi aha
ſano delle divine iſpirazioni, le conſegna in ba
lìa de loro nemici.
PERLA DOMENICA DECIMA DOPO LA PENTECOSTE.

Disc. XXX. La memoria d'aver peccato aſſicura.


.1. Il dolore d'aver peccato. 2. La ſoddisfazione
che
curarſi dal peccato.
prº
deeſi a Dio pel peccato. 3. La fuga daPer
PER LA DOMENICA XXII. DOPO LA PENTECOSTE.
Correndo la feſta di Santa Eliſabetta Regina d'Ongheria,
19 Novembre.

DIsc. XXXI. L'umiltà ci ſi perſuade dal peccato.


1. In cui ſiamo nati. 2. In cui ſiamo viſſuti.
3. In cui poſſiamo morire.
PER LA DOMENICA XXIII. DOPO LA PENTECOSTE.
In occaſione del funerale ſolito farſi ogni anno in ſuffragio
de Fratelli e Sorolle della Compagnia della Buona Morte
defunti.
Disc. XXXII. Tre morti diverſe per quella parte di
vita. 1. Che già è paſſata, 2. Che ſtà paſſando,
3. Che reſta a paſſare, -

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I N D I C E
D E' D I S C O R S I
P E R L' E S E R CI Z 1 o
DELLA BUONA MORT E.
ANNO QUARTO.
PER LA DOMENICA PRIMA DELL'AVVENTO.
DiscoRso Iº penſier della morte. 1. Ci mode
ra ne noſtri ecceſſi. 2. Ci diſingan
ma ne noſtri errori. 3. Ci dirige ne noſtri dubbi.
PER LA DOMENICA SECONDA DELL'AVVENTO.
Correndo la feſta dell'Immacolata Concezione della
Santiſſima Vergine. -

Disc. II. Grazia ſantificante. 1. Dobbiamo eſſer


ne giuſti conoſcitori per apprezzarla. 2. Vigi
lanti cuſtodi per conſervarla. 3. Trafficanti in- s
duſtrioſa per accreſcerla.
PER ELA DOMENICA TERZA DELL'AVVENTO.

Disc. III. L'amore dovuto a Criſto convien che


ſia 1. operoſo. 2. sofferente, 3.2,
Coſtante. l
FRA L'OTTAVA DEL SANTISSIMO NATALE.
Correndo in tal giorno la feſta de'Santi Innocenti.
Disc.IV. Lo ſcandaloſo è gran nimico. 1. Di
Dio. 2. Del Proſſimo. 3. Di ſe medeſimo.
PEL GIORNO DELL'OTTAVA DE SANTI INNOCENTI,

Disc.V. La conformità ai divini voleri è ſagri


fizio tra tutti. 1. Il più nobile. 2. Il più van
tagiaſo. 3. Il più ſoave.
NELL'OTTAVA DELL'EPIFANIA.

. Disc. VI. A cagione degli umani riſpettivi ſi fa


una grave perdita. I. In riguardo a noi. 2. In
riguardo al mondo. 3. In riguardo a Dio.
PER LA DOMENICA PRIMA DOPO L'EPIFANIA.
Disc. VII. Viver nel mondò, in cui ſi vive da i
più, è un diſordine. 1. Che inſenſibile s'intro
duce nell'anima ſenza rimorzo. 2. Che inemen
dabile s'innoltra ſenza riparo. 3. Che ineſcuſa
bile termina ſenza perdono.
PER LA DOMENICA SECONDA DOPO L'EPIFANIA.
Correndo la feſta della converſion di S. Paolo 25 Gennajo.
Disc. VIII. Chi ſi converte a Dio laſciar dee ad
imitazion di San Paolo. 1. L'antico intelletto,
ed inveſtirſi di nuove, e ſante maſſime. 2. L'an
tica volontà, ed inveſtirſi di nuovi, e ſanti vole º

ri. 3. L'antico cuore, ed inveſtirſi di nuovi, e


ſanti affetti. -

PER LA DOMENICA TERZA DOPO L'EPIFANIA.

Disc. IX. Pianto d'inferno doloroſiſſimo, perchè


pianto. 1. Senza riparo. 2. Senza ſollievo. 3. Sen
2,4 l Crºtºla'. Per
PER LA DOMENICA QUARTA DOPO L'EPIFANIA.

Disc. X Le paſſioni. 1. Debbono conoſcerſi. 1. Deb


bono combatterſi. 3. Debbono ſterminarſi.
PER LA DOMENICA QUINTA DOPO L'EPIFANIA.
Disc. XI. L'ozio rende quaſi impoſſibile. 1. All'
innocente il fuggir dal peccato. 2. Al peccatore
il ſorgere dal peccato. 3. Al ravveduto il ſoddis
fare per lo peccato.
PER LA DOMENICA SESTA DOPO L'EPIFANIA.
Correndo la feſta della Purificazione della Santiſſima Vergine,
o ſia della Candelaja.

DISC, XII. Il peccator moribondo vedrà. 1. La va


nità di quel mondo, che tanto amò. 2. La povertà
- di quell'anima, che tanto traſcurò.- 3. La gra
º vezza di que peccati, che tanto moltiplicò.
PER LA DOMENICA DI SETTUAGESIMA,

DISC. XIII La Caſa dell'eternità è noſtra vera caſa.


1. Perchè unicamente in grazia di eſſa noi ſia
mo fatti. 2. Perchè a noi ſta il fabbricarcela a
modo noſtro. 3. Perchè allogiati, che vi ſaremo
una volta, non ne uſciremo mai più.
PER LA DOMENICA DI SESSAGESIMA.

Disc. XIV. La perdita del tempo. 1. E' in ſe ſteſe


ſa graviſſima, 2. E a noi dannoſiſſima. 3. E' in
giurioſſima a Dio.
NELL'OTTAVA DI PASQUA.

Disc. XV. Vita megliore, che ſperar deeſi dalla


morte, giacchè eſſa ci toglie. 1. Una vita pe.
ricoloſa, per darcene una ſicura. 2. Una vita
- A 3 travaglio
travaglioſa per darcene una contenta. 3. Una
vita breve, per darcene una eterna.
PER LA DOMENICA PRIMA DOPO PASQUA.

Disc. XVI. Pace della coſcienza. 1. In queſta vi


ta non può bramarſi bene, nè più grande, nè
più ſicuro. 2. Al punto della morte non può bra-.
marſi conforto, nè più ſoave, nè più efficace
3. In ordine alla beata eternità non può bramarſi
pegno, nè più chiaro, nè più certo.
PER LA DOMENICA SECONDA DOPO PASQUA.
Disc. XVII. L'amore, che Dio ci porta, ci fa
ſperare, che morrenno bene, atteſo che ci ama.
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i. Con ſincerità. 2. Con fortezza. 3. Con tene
i rezza. -
PER LA DOMENICA TERZA DOPO PASQUA.

DIsc. XVIII. La vita è breve, dunque è neceſſario.


1. Uno ſconto prontiſſimo de'moſtri peccati. 2 Una
pronto diſtaccamento da tutto il ſenſibile. 3. Una
pronta provviſione d'opere buone.
PER LA DOMENICA QUARTA DOPO PASQUA.
Correndo la feſta della Santiſſima Sindone 4. Maggio.
Disc. XIX. La ſantiſſima Sindone ci renderà ine
ſcuſabili. 1. Come Evangelio viſibile, ch'ella è,
ſe troveraſſi men giva la noſtra Fede. 2. Come
pegno certiſſimo, ch'ella è, ſe troveraſſi men fer
ma la noſtra ſperanza. 3. Come ritratto ammira
bile, ch'ella è, ſe troveraſſi men fervida la
noſtra carità.
NELL'OTTAVA DI PENTECOSTE.

Disc. XX. Il ſanto timor di Dio. 1. Conſola. 2. Av- -


valora. 3. Aſſicura. Per
PER L'OTTAVA DEL COEPUsDOMINI.
Disc. XXI. Il Santiſſimo Viatico. I. Ne dolori dell'
infermità è conforto efficaciſſimo. 2. Nelle batta
glie dell'agonia è fortiſſimo ſcudo. 3. Nel gran
viaggio dell'eternità è ſicuriſſima guida.
PER LA DOMENICA SECONDA DOPO LA PENTECOSTE.

DISC, XXII. L'affare della ſalute è il ſolo. I. Che


propriamente ſi poſſa dir noſtro. 2. Che ci venga
raccomandato più eſpreſſamente da Dio. 3. Che
eſiga più giuſtamente le noſtre ſollecitudini.
PER LA DOMENICA TERZA DOPO LA PENTECOSTE.
Correndo la feſta di S. Luigi Gonzaga della Compagnia
di Gesù, 21 Giugno.
Disc. XXIII. Per eſſere Santi anche in mezzo al
Mondo, ſi ami da noi ad imitazione di S. Luigi.
1. La ritiratezza. 2. La mortificazione. 3. L'o-
raztone.
PER LA DOMENICA QUARTA DOPO LA PENTECOSTE.
Disc. XXIV. Tre accuſatori al Giudizio. 1. Il De
monio, che metterà in chiaro ciò, che ſi è fatto,
e non dovea farſi, 2. L'Angelo tutelare, che fa.
rà vedere ciò, che non ſi è fatto, e dove a farſi.
3. La coſcienza, che moſtrerà, come in ciò, che
per colpa ſi è fatto, e non ſi è fatto, non v'è ſcuſa.
PER LA DOMENICA QUINTA DOPO LA PENTECOSTE.
Correndo in tal giorno la feſta de Santi Appoſtoli
Pietro, e Paolo.

Disc. XXV. La Chieſa vuol eſſere da noi onorata.


*: Sola ch'ella è con l'oſſequio ſincero della no
fra ſtima. 2. Vera ch'ella è con la profeſſion gene
A 3 roſa
roſa di noſtra Fede. 3. Santa ch'ella è con l'inne
cenza illibata di noſtra vita.
PER LA DOMENICA SESTA DOPO LA PENTECOSTE.
Disc XXVI. Dee farſi temer da noi ſteſſi. 1. La
noſtra ignoranza.
incoſtanza. 2. La noſtra fiacchezza. 3. La
s

PER LA DOMENICA SETTIMA DOPO LA PENTECOSTE.


Disc. XXVII. Non far del male non baſta, I. All'
obbligo, che la Legge ci addoſſa. 2. Al fine, che
la Legge pretende. 3. Al premio, che la Legge
promette. -

PER LA DOMENICA OTTAVA DOPO LA PENTECOSTE.


- Correndo la feſta di Sant'Anna.

Disc. XXVIII. Separazione de'reprobi nel giorno


eſtremo. 1. Dalla compagnia de' giuſti, e però ob
brobrioſa. 2. Dall'amicizia dei giuſti, e però de
loroſa. 3. Dalla gloria de'giuſti, e però ſpaventoſa.
PER LA DOMENICA NONA DOPO LA PENTECOSTE.
Disc. XXIX. Abuſo delle divine iſpirazioni, i Cº
tro le anime, che ſi abuſano delle divine iſpira
2ioni, iddio ſi ſdegna 2 Dalle anime, che ſi a
buſano delle divine iſpirazioni , Iddio ſdegnato ſe
ritira. 3. Ritiratoſi Iddio dalle anime: che ſi abu
ſano delle divine iſpirazioni, le conſegna in ba
lìa de loro nemici.
PER LA DOMENICA DECIMA DOPO LA PENTECOSTE
Disc. XXX. La memoria d'aver peccato aſſicº:
1. Il dolore d'aver peccato º La ſoddisfazione
che deeſi a Dio pel peccato. 3. La fuga da proc
curarſi dal peccato. Per
PER LA DOMENICA XXII. DOPO LA PENTECOSTE.
Correndo la feſta di Santa Eliſabetta Regina d'Ongheria,
- 19 Novembre.

Disc. XXXI. L'umiltà ci ſi perſuade dal peccato.


1. In cui ſiamo nati. 2. In cui ſiamo viſſuti,
3. In cui poſſiamo morire.
PER LA DOMENICA XXIII. DOPO LA PENTECOSTE.
In occaſione del funerale ſolito farſi ogni anno in ſuffragio
i efunti.
e Sorolle della Compagnia della Buona Morte

Disc. XXXII. Tre morti diverſe per quella parte di


vita. 1. Che già è paſſata, 2. Che ſtà paſſando,
3. Che reſta a paſſare, -

DI
S C O R SO
P R I M O
PER LA DOMENICA PRIMA
-

D E L L' A V V E N T O.
Penſier della Morte.

Reſpice, ci levate capita veſtra, quia appropin


quat redemptio veſtra. Luc. 21.
ºra e' 'Egli è vero ciò, che diſſe il Mo
iº, Sºl. rale, che di malgrado alla mente
ºi richiamaſi ciò, che non può ri
J3 º i5. chiamarſi ſenza tormento: Nemo Ep. s.,
º º libenter ad id redit, quod non ſine
i FSi tormento cogitaturus eſt, con qua
- le ſperanza di gradimento poſſo
º queſta ſera ricondurre ſu queſto pulpito, c
rinnovare alla voſtra memoria il penſier della
morte? Che ſia queſto un penſier di rammari
º di orrore, di affanno, quando io il negaſſi,
º fitne fede, parlerebbe natura, che alla rimem
- branza
I2 Diſcorſo Primo.
branza ſola di morte ſtranamente riſenteſi, nè
può ſenza ribrezzo rappreſentarſi un taglio, che
ſepara da tutto, e rammentarſi una tomba, che
riduce preſſo che al nulla. Ma per altra parte,
ſe perchè meſto, ſe perchè doloroſo ſi eſclude
dall' animo il penſier della morte, qual ſarà
mai, quale la noſtra vita? Quanto ingombra
da inganni, quanto ſconcertata da vizj, quanto
tiranneggiata dalle paſſioni? Troppo è difficile,
che diaſi al vivere giuſta la regola, ſe queſta dalla
morte non pigliaſi. Ond'io più che al voſtro di
letto, mirando al voſtro vantaggio: Reſpicite,
dirò a voi parlando del giorno ultimo di voſtra
vita, ciò che parlando dell'ultima giornata del
Mondo diſſe Criſto a diſcepoli, reſpicite, e le
vate capita veſtra, quia appropinquat redemptio
veſtra. Stia pur fiſſo mai ſempre l'occhio della
mente in quel giorno, che con iſciogliere i le
gami del corpo, invierà libero al ſuo Creatore
lo ſpirito, reſpicite, reſpicite ; e vi aſſicuro, che
da queſto penſiero guidati, correranno feliciſſi
mi i voſtri giorni. E qual vita in fatti può ſu
queſta terra bramarſi più felice di quella, che
dubbio non inquieta, error non abbaglia, ec
ceſſo non altera ? Vita di moderazione in ciò
che brama, vita di verità in ciò che penſa, vita
di ſicurezza in ciò che opera. Or queſta, miei
Dilettiſſimi, queſta appunto è la vita di cui ci
fa vivere il penſier della morte, perchè penſier
che ci modera nel noſtri ecceſsi, come il vedre
mo nel primo punto ; perchè penſiero che ci
diſinganna ne noſtri errori come il vedremo nel
ſecondo punto, perchè penſiero, che ci dirige ne
noſtri dubbi, come il vedremo nel terzo punto.
Beato pertanto, chi bramoſo di regola ai af
tetti
Per la Domenica prima dell'Avvento, 13
fetti di verità ne giudici, di rettitudine nelle opera
zioni, ſaprà col penſier della morte rattriſtar
ſantamente la ſua vita. Cominciamo. ---

Il penſier della morte ci modera me noſtri ecceſſi. PUN


Quella via di mezzo, che ſola è via di virtù, quanto To L.
maiella è difficile a batterſi? Troppo è pronto ad
eccedere ne' ſuoi paſsi il noſtro piede, cda trarlo di
ſtrada più non vi vuole, ſe non che o alla ſiniſtrale
inſidj l'avverſità, o alla deſtra la proſperità lo ſolle
tichi: Se bionda è l'età, daſsi a ſcorrere ſviata pe'
prati piacevoli del diletto, e ſe canuti ſono gli an
ni, l'avarizialitorce ai tricoſi ſpinetti dell'intereſſe:
S ella è nobile la condizione, l'ambizion la tra
ſporta avegheggiare le cime ſplendide degli onori;
e ſe abbietto è lo ſtato, la povertà lo inabiſſa nel cu
pofondo di nera diſperazione, or l'albagia ſi fa
traviare dal ſentiero dell'umità, ora lo ſdegno ſi
ſpinge a traſgredire i confini della manſuetudine,
ora amor ſoverchio del noſtri comodi ci fa ſpezzar
i cancelli della mortificazione Criſtiana: Se il natu
ral è focoſo, Dio! in quante fiamme ſi sfoga di ac
ceſi riſentimenti; ſe ſquiſiti, ſe rari ſono i talenti,
eccointruderſi al poſſeſſo del cuore la vanità, ſeti
mida è l'indole, ora diffidenze abbandonaſi, ora
triſtezze: In ſomma o ſia ſpinta di paſsione, che
ci combatta al di dentro, o ſia attrattiva di og
getto, che ci luſinghi al di fuori, o ſia forza
d'eſempio, che dietro alle altrui orme ci tira,
certo è , che facilmente ſi eſce dai giuſti limiti
ed ora in un altro traſcorreſi fuor di ſentiero.
Un freno pertanto richiedeſi, che ci contenga
in dovere, ed a noſtri paſsi dia la miſura e la
legge: e queſto d'onde meglio può prenderſi,
che dalla morte, la quale ricordandoci con le
ſue ceneri la viltà del noſtro eſſere abbatte i fu
Ilì l
14 , Diſcorſo Primo.
mi del noſtro capo, e ci diſinamora di que
ſti beni col rammentarci lo ſpoglio ch'ella ne
fa.
- Tale appunto è il documento, che ci dà nel
Ieb. s.libro di Giobbe lo Spirito ſanto: Viſitans ſps
ciem tuam, non peccabis : Viſita di quando in
quando con il penſier la tua ſpecie, e omai non
ſarà, che tu dia in ecceſsi, non peccabis. Per ben
intendere queſto ricordo, diſtinguete, Uditori,
in ogni uomo, e le ſpecie per cui cogli altri
confondeſi, e gli accidenti per cui dagli altri
diſcerneſi: Se ſi conſidera nell' uomo la ſpecie,
l'uno è ſimile all'altro, perchè a tutti ugual
mente convien l' eſſer uomo, l'eſſer mortale,
l'eſſer un fragil compoſto di creta e di ſpirito;
ſe ſi conſideran gli accidenti, l'uno è diſſomi
gliante dall'altro, l'uno gode tra gli agi, l'al
tro geme fra ſtenti; l'uno naſce tra gli ſplen
dori di caſa illuſtre, l'altro tra l'ombre di igno
bil capanna; l' un brilla in poſti cccelſi, l'altro
giace in umil fortuna. Ecco però, dice Dio,
ecco come accertare ſi dee la moderazione ne
gli affetti: Non vi fermate, no a conſiderare ciò,
che vi diſtingue dagli altri, non la ſapienza
madre dell'orgoglio, non la ricchezza fomento
dell'avarizia, non l'avvenenza, argomento di
vanità, non la nobiltà, nodrice dell'ambizio
ne: No, accidenti ſono queſti dell'uomo, atti
a portare ad ecceſsi, ove di ſoverchio ſi apprez
zino. Se giuſte volete le voſtre idee, ſe giuſti gli
affetti, fiſſate nella voſtra ſpecie lo ſguardo:
Conſiderate, che uomini ſiete come tutti gli
altri mortali, deſtinati come tutti gli altri ad
un ſepolcro. Allora sì, che lungi da ogni ecceſſo
tra i cancelli della moderazione ſi tratterrà il
voſtro
Per la Domenica Prima dell'Avvento 15
voſtro cuore: Viſitans ſpeciem tuam, non pecca.
ſbis. Ed e così, miei Dilettiſsimi: Se colui di
ſtinto dalla natura ſopra degli altri col chiaror del
caſato, penſaſſe, ch'egli è, come ogn'altro,
un pugno di ſozza polvere, non è già vero,
ch'ei farebbe ſervire all' alterigia, ed alla pre
potenza lo ſplendor del ſuo ſangue: Viſitans
ſpeciem ſuam, non peccaret. E ſe colei, che ha
ricevuto da Dio più di grazia nel volto, più di
garbo nel tratto, più di vivacità nell' indole,
rifletteſſe, che come ogn'altra ſarà ancor ella
un giorno il ſudiciume d' una tomba, non an
derebbe già sì gonfia di ſe medeſima; e anzi,
che darſi a credere una diva di queſta terra,
porterebbeſi con più di modeſtia avanti agli uo
mini, e con più di umiltà avanti a Dio: Vi
iſitans ſpeciem ſuam, non peccaret.
Sì, Dilettiſſimi, diciamla pur francamente,
che troppo diſdice a chi parla da queſto luogo
diſsimular i diſordini. Se ſi penſaſſe alla morte,
averebbono i tavolieri tanti avventori, che vi
paſſano i giorni e le notti con diſcapito enorme
della famiglia, e dell' anima ? Se ſi penſaſſe alla
morte, regnerebbe a dì noſtri, come purtrop
po regna, quel tanto genio di divertirſi, che
togliendo ogni tempo, ogni affetto alle pre
ghiere, ed ai Sagramenti; tutto l'animo, tutti i
penſieri rivolge a viſite, a giuochi, a ſpaſsi,
a veglie, a teatri? Se ſi penſaſſe alla morte,
sfoggierebbeſi in pompe come ſi sfoggia, ſen
za riguardo ad accreſcere debiti, che a gran
pregiudizio de creditori, o per dir meglio a
dannazione certiſsima del debitori, mai non ſi
pagano, nè forſe mai pagheranſi? Se ſi penſaſſe
alla morte s' introdurrebbono tuttodì "
abull1
16 Diſcorſo Primo.
abuſi nel tratto, nuova libertà nei diſcorſi, ntio
ve indecenſe nelle mode, nuovi ſcandali nelle
amicizie? No, che queſti ecceſsi non ſi vedrebbo
no, ſe ſi penſaſſe alla morte. -

Ma pur troppo ſi avvera anche a dì noſtri


ciò, che a ſuoi tempi ebbe a piangere il reale
Profeta: Quia non eſt reſpectus morti eorum, o
ºſ. 72.
come anco più chiaro al mio propoſito legge
dall' Ebreo il Dottor Maſsimo: Quia non conſi
derant homines mortem ſuam, ideo tenuit eos ſu
perbia, operti ſunt iniquitate, ci impietate ſua.
Alla morte non ſi penſa, e però qual maravi
glia ſe tanti ſi veggono gli ecceſsi, in ogni gra
do, in ogni età, in ogni ſtato! Non vi ſi penſa
dai giovani, e danno in ecceſsi di libertà; non
ſi penſa dai ricchi , e danno in ecceſsi di te
nacità, non ſi penſa dai grandi, e danno in ec
ceſsi di ſuperbia, non ſi penſa dalle donne, e
danno in ecceſsi di vanità : Non conſiderant ho
mines mortem ſuam, ideo tenuit eos ſuperbias
perchè il penſier della morte va eſcluſo della
mente, regnan tranquille nel cuore le paſſioni, e
l'iniquità vi trionfa: Quia non eſt reſpectus morti
eorum operti ſunt iniquitate, di impietate ſua,
No; cari Uditori, non permettiamo, che dalla
memoria mai non ci sfugga un penſiero sì van
taggioſo ſe bramiamo, che non c'infatui ſu
perbia, che avarizia non ci avviliſca, che invi
dia non ci divori, che ira non ci precipiti, pen
ſiamo alla morte: Hec conſideratio, dice Agoſti
no, eſt deſtructio ſuperbi e, extinctio invidie :
medela maliti e, evacuatio vanitatis. Le ceneri
della morte ben meditate ſpegneranno ogni fiam
ma men pura: raffreneranno ogni brama men
regolata, ripareranno ogni diſordine, modere
ran flO
Per la Domenica prima dell'Avvento. 17
ogni ecceſſo. Scioglieraſſi ogni attacco a queſta
terra ſe penſeremo, che ſi ha preſto a laſcia
re: Deporaſſi ogni affetto a queſto corpo, ſe ri
fletteremo, che tra breve marcirà in un ſepolcro.
Debbo morire: Sì, miei Dilettiſſimi, diciamlo
pure ſpeſſo tra noi e noi : Debbo morire, e non
ſo quando; forſe preſtiſſimo: Debbo morire, e
non ſo come; forſe all'improvviſo: Debbo mo
rire, e non ſo dove; forſe in quel luogo dove
averò men d'aſſiſtenza: Debbo morire, c que
ſto è certiſſimo: fede lo dice, ragione lo in
ſegna, ſperienza lo moſtra. E con un tal pen
ſiero, miei Dilettiſſimi, com'è poſſibil, che vi.
vaſi tra i diſordini che vivaſi tra le licenze º che
vivaſi ſenza penſiero dell'anima, ſenza penſiero
della ſalute !
O Gesù caro, ſe intendeſſimo bene una verità
per altro sì chiara, non viverebbeſi no, non
viverebbeſi come ſi vive, ma non s'intende pur
troppo, perchè alla morte ſi penſa poco; ne fug
giam la memoria, perchè ci ſpiace ; e intanto
per paura, che un tal penſiero c'inquieti, ci pri
viamo de' ſuoi vantaggi. Deh ! caro Gesù, illu
minateci queſta ſera: Ve ne preghiamo per quel
le piaghe ſantiſſime, che adoriamo ne' voſtri
piedi, e fateci conoſcere che non vi ha miglior
regola per ben vivere, che il penſare alla morte:
Sicchè vivendo lontani da ogni ecceſſo col pen
ſiero d'avere un giorno a morire, aſſicuriamo
con la moderazione della vita, la ſantità della
Im Ortc. . -

Il penſier della morte ci diſinganna me noſtri -


errori. I noſtri ecceſſi naſcono d ordinario da e
- - - e - UN

noſtri errori, onde ſe da queſti il penſier della roti,


morte non ci diſinganna, indarno ſperaſi, che
Tom. IV. Anno IV. B in
I8 Diſcorſo Primo
in quelli ci moderi. Quell'attaccamento ſovver
chio, che a queſti beni ſi ha, quell'andarne con
tanta ſollecitudine in traccia, quell'accorarſi ſe
mancano, quell' invanirſi ſe abbondano, deriva
(e chi nol vede) da una falſa ſtima, che ſe ne
ha: Malavezzi, che ſiamo a giudicar delle coſe,
diciam beato è, chi sfoggia tra le ricchezze, e
chi brilla tra gli onori , e chi diverteſi nei pia
ceri, e chi ſovraſta nei comandi, e chi ſigno
reggia tra le grandezze. Quindi non è da ſtu
pire, ſe a giudici ſtravolti ſuccedono brame di
ſordinate, e ſe ingannato nelle ſue maſſime l'in
telletto eccede ne' ſuoi affetti la volontà. Forza
è però torre gli errori per moderare gli ecceſſi,
e per dar legge alla volontà diſingannar l'intel
letto: E queſto appunto, ſe crediamo a S. Lo
renzo Giuſtiniano, è il frutto ſtimabiliſſimo,
Delig. che dal penſier della morte ritraeſi: Conſideretur
º º vita terminus, o non erit in hoc Mundo quid
ametur. Abbiano quanto ſi voglia di attrativa
quei beni, che il Mondo a chi promette, a chi
dona; la morte ben meditata ne ſpegnerà nel
cuore ogni amore, perchè ne toglierà dalla
mente ogni ſtima.
Ed in verità, miei Dilettiſſimi, donde meglio
che dalla noſtra mortalità trar ſi poſſono lezio
ni di diſinganno ? Chi ci può ſcoprire più chiaro
il nulla di quei titoli, di cui l'orgoglio ſi pa
ſce? Chi ci può ſcorgere meglio la vanità di
quella gloria di cui l' ambizion è sì vaga ? Chi
può darci a conoſcere più manifeſta la caducità
di quel beni, di cui l'avarizia è sì ingorda. Si
ſpinga un penſiero a quella tomba, che col
chiuderci tra le ſue ombre, ci torrà dagli oc
chi ugualmente, e dalla memoria degli ".
- quale
Per la Domenica prima dell' Avvento. 19
quale ſtima ſi farà più degli applauſi, e delle
comparſe di queſta terra ! Si meditin quell' oſſa
ſpolpate, e verminoſe, a cui un giorno ci ri
durremo, e poi in qual concetto terremo noi
più quelle tante delicatezze con cui ſi carezza
no i ſenſi! Eh, che non può a meno, dice Gi
rolamo, di non mirar con diſprezzo quanti beni
dalla noſtra cecità falſamente ſi apprezzano, chi
li conſidera in viſta della ſua morte: Facile con
temnit omnia qui ſe cogitat moriturum. .
Con ragione però, diſſe il Griſoſtomo, eſſere
il ſepolcro una gran ſcuola, perchè ſcuola, in
cui ſi apprende la vera ſapienza: Scuola, in cui
s'impara dove impiegar ſi debba la noſtra ſtima,
dove il noſtro diſprezzo; ſcuola, in cui all'intel
letto noſtro s'inſegna a penſar giuſto, ed a giu
dicar delle coſe ſecondo il lor merito. E fu ſn
queſto il rifleſſo, che lo ſteſſo Santo Dottore,
diſcorrende dell' uſo, che anticamente correa
di dare a cadaveri ſepoltura fuor delle mura
delle città: ſappiate, dicea, che non è ſenza
noſtro grande ammaeſtramento un tal coſtume.
Il mettere in viſta di chi entra nelle città pri
ma d'ogni altra coſa i ſepolcri, è un premunire
l'animo dei paſſaggieri contra la vana ſtima delle
mondane magnificenze; ſi moſtrano prima i mor
ti, e poi i palagi, che loro dierono ſontuoſo
albergo, ed i giardini, che loro ſervirono di
amero diporto, ed i tribunali, che lor porſero
ſede autorevole, affinchè nel tempo in cui ſi
ammirano le grandezze, che il Mondo coranto
ſtima, ſi vegga parimente il loro fine; e dalle
ceneri de poſſeſſori s'impari a non far caſo del
poſſeduto: Ante civitatis ingreſſum ſepulchra vi
des, ut priuſquam amplitudinem & di vitias civi
B 2 t/gt15
2O Diſcorſo Primo
tatis conſideres, agnoſtas omnium illorum finem,
così il Boccadoro. Nè di minor noſtro profitto
vuol, che ſia Agoſtino l'uſo di poi introdotto,
che ſieno per lo più nelle Chieſe i ſepolcri. Que:
ſto è, dice il Santo, perchè all'entrarvi, ed all'
uſcirne, più ſpeſſo in noi ſi rinnovi la memoria
della morte, e la veduta frequente della caſa, che
ci aſpetta, caſa di tenebre, di obblivione, di orrore,
c'inſegnianon apprezzar quelle coſe, checolaggiù
non ſi portano: Ut ingredientes, o egredientes
mortis admoveamur & ſic ad Deum convertamur.
Ed ora intenderete il perchè, divino infalli
bile oracolo ci ammoniſca, di gran lunga eſ
ſer meglio porre il piè in una caſa, che pian
ga in triſto lutto, che in una, che rida in lieto
convito: Melius eſtire ad domum luttus quam ad
domum convivii i perchè in una caſa, dove a lau
tacena ſi ſiede, che maſſime poſſono mai appren
derſi, ſe non maſſime di libertà, di diſſolutezza, e
talora anche maſſime d' empietà, tanto ſono
in tali occaſioni inverecondi i geſti, oſceni i mot
ti, ſcompoſte le riſa, immodeſte le canzoni, e
applaudite le intemperanze; laddove in una caſa,
dove la morte ha portato il lutto, tutto è com
poſtezza, tutto è modeſtia, tutto è ſaviezza: en
trano amici, entrano conoſcenti, entrano con
iunti, e nel conſolare, che fanno, chi è af.
itto, non altro ſi ode ſe non diſcorſi di Cri
ſtiana filoſofia: chi rammemora la padronanza,
che ha Dio di darci, e di toglierci ciò che abbiam
di più caro, chi ricorda eſſere queſta la ſtrada,
che tardi o toſto abbiamo a far tutti, chi ſog
giunge non eſſere queſta terra paeſe, per cui
ſiam fattis che queſta vita, e queſto Mondo un
dì, o l'altro ſi hanno a laſciare, e che " V”
la
Per la Domenica prima dell'Avvento. 21
ha nulla di meglio, che penſar a ſtar bene, o
ve eterno è il ſoggiorno. E a chi ſi debbono
diſcorſi così ſenſati, e maſſime così giuſte, non
ad altri certamente, che alla morte! Queſta è,
che col mettere ſotto gli occhi le fredde ſpo
glie di un morto, di quel marito, di quella
ſpoſa, di quel figliuolo, porta il diſinganno nei
vivi, e col rappreſentare il fine altrui, fa, che
ognun penſi a se ſteſſo: In illa finis cuntforum Ibid,
admonetur hominum, ci vivens cogitat quid fu.
turum ſit. Tanto egli è vero, che ad iſnidare
dalla noſtra mente ogni errore, più non vi
vuole, che aver preſente la morte.
Ma il male ſi è, mici dilettiſſimi, che aman
ti, che ſiamo del noſtro inganno, alle lezioni,
che la morte ci dà, noi non applichiamo la
mente, avverandoſi pur troppo, non ſenza ſtu
pore del Boccadoro, che con la morte tuttodì
ſotto agli occhi non ſe ne intendono i docu
menti : Mortem omnes vident, pauci intelligunt.
La veggono i giovani in altri giovani, e non
perciò ſi perſuadono eſſer follia perdere in di
vertimenti ed in amori quegli anni, che mor
te immatura può troncare ſul fior più bello; la
veggono i grandi in altri grandi, e non perciò
intendono, che s'ingannano a partito chi più,
che quelle del cielo ſtima, e cerca le grandez
ze di queſta terra: Mortem omnes vident, pauci
intelligunt. Cari miei uditori, intendiamola al
men noi, e col penſarvi ſeriamente, e ripen
ſarvi, uſciamo una volta del noſtro inganno:
Faccia in noi la morte antipenſata ciò che vo
gliam o no, farà un dì la morte preſente; non
è egli vero, miei dilettiſſimi, che giunti, che
ci vedremo al fine del noſtri giorni , ſcorgere
B 3 Il C
22. Diſcorſo Primo \

me, che non altro furono, che vanità gli o


nori, vanità i titoli, vanità i corteggi, vanità
le pompe, vanità gl' impegni, vanità i be
ni tutti di queſta terra: Vanitas vanitatum,
& omnia vanitas. Non è egli vero, che fatti
in quell'eſtremo avveduti, avremo in gran com
to gli atti virtuoſi, le opere ſante, gli eſercizj,
di divozione, le mortificazioni, le orazioni
le penitenze ? Or quel diſinganno, che cagio
ma la morte, quando è preſente, lo cagioni
adeſſo il penſier della morte; e riflettendo ſpeſ
ſo che un di ol'altro morremo , ſtimiamo ciò
che in quel punto ſi ſtima; ſprezziamo ciò che
in quel punto ſi ſprezza. Che ſe per non con
triſtare col penſier della morte il noſtro animo
amiamo di vivere ne'noſtri errori, ſi viva pure,
ſi viva. Ma il diſinganno, che or non voglia
mo, l'averemo un dì, sì, l'avremo, ma ſenza
pro, perchè troppo tardi.
Ah nò, Gesù caro, non permettete, che por
tiamo ſino alla morte la vana ſtima di queſto
Mondo. Fate, che ce ne diſinganniamo adeſſo,
e adeſſo ne conoſciamo la vanità. Quel lume
di verità, che in noi ſi avviverebbe, ma ſenza
pro dalla morte preſente, ci ſi avvivi ora con
utile dal penſier della morte. Dateci pertanto gra
zia, che ſia queſto un de penſieri noſtri più
famigliari: Ve ne preghiamo per le piaghe
ſantiſſime delle voſtre mani, che umilmen
te adoriamo, affinchè giudicando delle coſe
appunto come ſe ne giudica in morte, ſprez
ziamo adeſſo quei beni, che in morte ſi di
ſprezzano, e quei ſoli ſtimiamo, che in mor
te ſi ſtimano,

Il
Per la Domenica prima dell'Avvento. 23 -
Il penſier della morte ci dirige ne moſtri dubbi. P
Egli è pur troppo vero, e lo proviam tutto-º-
dì, che nelle noſtre deliberazioni pieni ſiamo
di dubbietà. E' sì ſcarſo quel lume, che la ra
gion naturale in noi accende, che dove trattaſi
di riſolvere, titubiamo, eſitiamo, e temiamo
ſempre, ſe ſia bene ciò che vogliamo, o ſe ſia
male, ſe ſia il meglio, o ſe ſia il peggio, ſe
l'eſito ſortiraſſi felice, o ſe infauſto; e quindi
è, che ora ſi vuole ciò che non ſi volea poc'
anzi; ora più non ſi vuole ciò che poc'anzi vo
leaſi: Cogitationes mortalium timide, tale ap-ºp. 9
punto è la pittura, che delle noſtre incer
tezze già fece il Savio, ci incerte providen
tie noſtre. Or qual ſarà in tante perpleſſità il
conſigliero, che ci diriga ? quale in tanta oſcu
rità la guida, che il buon ſentiero ci additi? Non
altra, miei dilettiſsimi, che il penſier della mor
te. Chiamiamo nelle noſtre determinazioni la
morte a conſiglio , ed ella ci ſcuoprirà delle
noſtre idee quali ſieno le giuſte, quali le falſe;
delle noſtre vie quali le rette, quali le ſtorte;
delle noſtre operazioni quali da eleggerſi, qua. Eee
li da riprovarſi: O mors, dice per bocca dell' ,
Eccleſiaſtico lo Spirito ſanto, bonum eſt judicium
tuum. Tu ſei, o morte, la madre del buon
conſiglio: e parlando Abacuc Profeta di chi
ſtampa nel cammino della ſalute orme ſicure,
dice, che non dà paſſo, ſenza ch' egli abbia
in viſta la morte: Ante faciem eius ibit mors; Atac.,
e quì notate, che dove nella vulgata leggiamo
ibit mors, voltano i ſettanta ibit ratio , quaſi
per iſpiegarci, che quando nel noſtro operare
Va innanzi la morte, va innanzi ancora il buon
lume, e ſi opera con ſicurezza, perchè ſi ope
B 4 Id
24 Diſcorſo Primo
ra con la ragione: ibit mors, ibit ratio: ende
ne ſiegue, che il conſiglio, che dalla morte ſi
piglia, non può non eſſere ottimo, perchè con
ſiglio ſuggerito dalla ragione; O mors bonum eſt
judicium tuum: bonum eſt. Anzi ella è sì accer
tata ne ſuoi conſigli la morte, che Dio mede
ſimo alle ſue voci la ſoſtituiſce per noſtro in
dirizzo. Oſſervatelo in Abramo. Infino a tanto
che il ſanto Patriarca fabbricato non ſi ebbe il
ſepolcro, Dio mai non ceſsò d'iſtruirlo: ed ora
egli medeſimo con la ſua voce, ora per mez
zo d'Angioli ſuoi meſſaggeri lo dirigeva dub
bioſo, afflitto lo conſolava; timido lo incorag
giva; e con promeſſe, con favori, con benedi
zioni ne animava la ſperanza, e ne promovea
la fedeltà, ma deſtinata ch'egli ebbe nella ſpe
lonca di Ebron la tomba, più non ſi legge ,
Lib.6
che dal cielo a lui ſcendeſſe o una voce, o una
ſinGen visita, che lo iſtruiſſe : Ulterius, ella è di Ru
perto Abbate la rifleſsione, Deus Abrah e appa
ruiſe non legitur: quaſi che inutile foſſe ogni
altro conſiglio, a chi già avea per conſigliero
il ſepolcro, nè mancar più poteſſe di direzione,
chi avea per direttrice la morte. E queſta ſteſſa,
al dir di Agoſtino, è la ragione, per cui il
Redentore ſolito a dar ricordi a quelli, cui ren
dea la ſanità, niun che ſi ſappia, ne diede mai
a quelli, cui reſe la vita, perchè ad ammae
ſtramento di queſti, in luogo di Crifto parla
va la morte: pro Domino loquebatur mortis af
fectio,
Ora ſe Dio medeſimo per darci a conoſcere
quanto accertato ſia nel ben guidarci il penſie
ro della morte, lo ſoſtituiſce all'efficacia della
ſua voce; poſſiamo noi dubitare, che un tal
pen
Per la Domenica Prima dell'Avvento 25
penſiero, ſe trovaſſe in noi ricetto, non ci ad
diterebbe con ſicurezza le vie da batterſi ? Ah
cari uditori, ſe nelle occaſioni il conſultaſsimo,
credetemi, che per oſcuro, che ſembrici il cam
mino di noſtra vita, non ſi farebbono que paſ
ſi falſi, che pur ſi fanno. Riſolverebbeſi ciò ,
che oneſtà, che giuſtizia, che ragione richieg
gono; nè rimarrebbe più luogo a tanti penti
menti, che c'inquietano, ora di avere intra
preſo ciò che dovea ommetterſi; ora di avere
ommeſſo ciò che dovea intraprenderſi : Sì, ſe
quel giovine, ſe quella giovane quando trattaſi
di ſcegliere uno ſtato di vita, ſeriamente pen
ſaſſero quale vorrebbono in punto di morte a
ver preſo non è già vero, che ſeguirebbono
più gl'inviti del ſecolo, che gl'impulſi di Dio?
E voi, che ite ſollecito in traccia d'impiego,
ſe con la morte vi configliaſte, non cerchere
ſte già quello di maggior luſtro, avvegnachè
vi manchino le abilità, piuttoſto che quell'altro
di minor nome, ma più adattato alle voſtre
forze? Con quanto più di cautela vi portereſte
o mercatante ne' voſtri traffichi: che miglior
uſo fareſte del voſtri beni, o facoltoſo, ſe l'uno
circa le ſpeſe; l'altro circa i guadagni chiede
ſte dalla morte il conſiglio! Che lealtà vi ſareb
be ne' contratti, che giuſtizia vi ſarrbbe nelle
liti, che innocenza ne divertimenti, che oneſtà
nelle amicizie, ſe entrando prima ciaſcun in ſe
ſteſſo, diceſſe: di queſto contratto, di queſta
lite, di queſti divertimenti, di queſte amicizie
avrò io mai a pentirmi, quando io mi trove
rò all'orlo dell'eternità? O qnanti a un tal ri
eſſo hanno ſepolti tra gli eremi i lor talenti !
Quanti hanno preferita a lor agi, a lor teſori
l'Evan
26 Diſcorſo Primo
l'Evangelica povertà ! O come, diceano tra ſe e
ſe, come in punto di morte ſarò contento di
aver così riſoluto, di aver eſeguito così ! E que
ſto pure è il rifleſſo, che in faccia del reo co
ſtume mantiene anche a di noſtri in più di un
giovine l'orrore alla libertà; queſto che in più
d'una dama fomenta il diſtaccamento dal Mon
do in mezzo del Mondo ſteſſo, queſto, che in
più di un nobile a diſpetto delle maſsime dell'
alterigia conſerva un'eſatta ſoggezione al Van
gelo. E queſto parimente, miei dilettiſsimi, ſe
abbiamo ſenno, ha da effere il rifleſso, che dia
d'or avanti alle noſtre operazioni la norma.
Avrò io a caro , andiam fra noi ſteſſi dicendo,
avrò io a caro in punto di morte di avere
impiegato il mio tempo più in ozioſi tratteni
menti, che in eſercizi divoti ? goderò io in
punto di morte di aver dato del mio denaro
più aſſai al giuoco, che alle limoſine ? Sarò io
contento in punto di morte di aver ſervito
più al Mondo, che a Dio, di avere penſato
più al corpo che all'anima; di aver amata più
la terra, che il cielo ? In ſomma in ciò che ſi
fa, in ciò che riſolveſi interroghi ognuno ſe
ſteſſo, e dica: di ciò che io fo , di ciò che ri
ſolvo, in punto di morte ne avrò conſola
zione, o diſguſto ? l' approverò allora, o il
condannerò è ne goderò , oppure ne piangerò?
vorrò averlo fatto, o averlo ommeſſo? e udita
la riſpoſta chiara, certa, infallibile, che farà la
morte, faccia , e riſolva ciò che di fare, e
riſolvere ella ſuggerirà. E che di meglio, di
lettiſſimi, poſſiam bramare, che avere in noi,
e con noi, in ogni tempo, in ogn' incontro
un conſigliero fidiſsimo, che accerti le noſtre
C
Per la Domenica prima dell'Avvento, 27
miſure; che regoli i noſtri paſsi, che ſcopra i
noſtri pericoli, che aſsicuri la noſtra ſorte! Che
e per orrore di un tal penſiero, non ci vaglia
mo del ſuo conſiglio, cari miei uditori, di
chi ſarà la colpa, ſe ſi eleggono ſtati di vita,
che non convengono, ſe ſi pigliano riſoluzio
ni, che ci rovinano, ſe ſi abbraccian partiti che
poi diſpiacciono, ſe ſi torce dal buon ſentiero,
ſe ſi vive alla cieca tra mille diſordini, e ſe in
fine ſi trova irreparabile il precipizio, dite, miei
dilettiſsimi, la colpa di chi ſarà?
Ah, Gesù caro, mia pur troppo, mia tutta
è la colpa, ſe nel mio operare mi dilungo dal
giuſto. Se non faccio ciò che dovrei, e come
il dovrei, ſi è perchè non penſo alla morte ,
e non voglio da queſta prender la regola del
la mia vita: Deh mio Gesù, per quella piaga,
che adoro nel ſagroſanto voſtro coſtato, con
cedetemi, vi ſupplico, che io ſappia nell' av
venire prevalermi di quel buon lume, che dal
penſier della morte mi può venire: Sicchè ri
flettendo con ſerietà a ciò che in morte vor
rei aver fatto, impari adeſſo, e riſolva quel ,
che far debbo.
D I S C O R S O I I.
PER LA DO M E NIC A SE C O N D A
DELL' AVVENTO
Correndo la feſta della Immacolata Concezione
della Santiſſima V E R G 1 N E.

Grazia Santificante,
a

Jacob autem genuit Joſeph virum Marie,


de qua natus eſt Jeſus. Matth. I.
Sulti pure, che ben ne ha ragione, la
pietà, e l'oſſequio verſo Maria. Il ſan
to e glorioſo impegno di tante, e si
i famoſe Accademie, di tanti, e sì dot
ti ſcrittori, di tanti e sì pii Monarchi
già vede riverito da popoli, e onorato dagli
oracoli del Vaticano quel punto, che fu alla
divina infante il primo della ſantità ugualmen
te che della vita. Alla Concezione di quella gran
donna, ch'ebbe l'eccelſa ſorte d' eſſer vivo tem
pio di umanata divinità, già più non ſi ode chi
contenda il pregio d'immacolata, e al ſolo leg
gere queſte brevi, ma incffabili parole, de qua
natus eſ Jeſus, non vi ha chi non le accordi
con Agoſtino eſenzion da ogni macchia, anche
di ſola origine. Inde enim ſcimus, quod ei tan
to plus grati e collatum fuit ad vincendum omni
ex parte peccatum, quia, concipere & parere me
ruit eum, quem conſtat nullum habuiſſe i ".
Oſl
Per la Domenica ſeconda dell'Avvento. 29
Nou vorrei però, Uditori miei cari, che pa
ghi di una ſterile gioja, punto poi non vi cu
raſte di convertire in pro de' figliuoli le glorie
della Madre. E' vero, che in un miſterio, in
cui le prerogative non ammettono ſimile, non
vi può eſſere imitazione; ma ſe render non ſi
poſſono ſimili a quei di Maria i noſtri principj,
vorrei almeno, che al primo iſtante dell' eſſer
ſuo proccuraſſimo ſimile l'ultimo del viver no
ſtro; ſicchè la grazia divina, che fe ſanta la
di lei Concezione, faceſſe ſanta pure la no
ſtra morte. E tanto appunto voglio ſperare,
che otteniremo, ſe dal preſente miſterio, che
ben può chiamarſi il trionfo della grazia ſan
tificante , impareremo a formare una giuſta
idea della medeſima grazia. Che però ſcorgen
do nell'odierna ſolennità Dio per una parte ,
che con la grazia vuole abbellita Maria nel pri
mo iſtante, e Maria per l' altra, che ſin dal
primo iſtante ſollecita corriſponde alla grazia ,
che l'abbelliſce, prendo io ad eſporvi tre cor
riſpondenze, che alla grazia dobbiamo: la pri
ma con eſserne giuſti conoſcitori per apprez
zarla, la ſeconda con eſserne vigilanti cuſtodi
per conſervarla: la terza con eſſere trafficanti
induſtrioſi per accreſcerla. Vediamo pertanto
nel primo punto la ſtima, che dobbiam fare
della grazia : Vediamo nel ſecondo punto la
cuſtodia, che dobbiamo aver della grazia: Ve
diamo nel terzo punto l' accreſcimento, che
dobbiamo proccurar della grazia. Così avver
rà, che ſtimandola, conſervandola, accreſcen
dola, finiremo in grazia i noſtri giorni, como
Maria cominciò i ſuoi,

Dob
3O Diſcorſo II.
se Dobbiamo eſſerne giuſti conoſcitori per apprez
PUN-zarla. Ella è cecità ben deplorabile della miſera
ro I. noſtra mortalità, miſurare col giudizio del ſenſi
il merito della ſtima. Se un oggetto non luſinga
col piacere, o non alletta con lo ſplendore, o
mai più non trova nè mente, che lo apprezzi,
nè cuor, che l'ami. E quindi è, che i beni di
grazia, che ſuperiori alla natura non ſoggiaccio
no a i ſenſi, raro è, che trovino appreſo l'uo
mo affetto, e ſtima: Ma ben tutt'altro è il giu
dizio, che a noſtro diſinganno ne forma nell'o-
dierno miſterio il Divin Verbo. Poteva egli ( e
chi nol ſa) formare a ſuo talento una Madre,
illuſtre per diadema, venerabile per impero, ſplen
dida per ricchezze 5 Madre a cui nulla mancaſſe,
o di grandezza per ſuo decoro, o di delizie per
ſuo piacere i poteva egli colmarla di onori, di
autorità, di potenza, e fornirla a dovizia di tutti
que'beni, che ſoli appagano le ingorde brame
di un Mondo ingannato, eppure nulla di queſto.
A preparare una Madre degna di un Dio im
piegò l'onnipotenza ogni ſuo sforzo in queſto
ſolo, che in quell'iſtante in cui tutti compajono
deformi per colpa, ella brillaſſe luminoſa per gra
zia. Queſta sì, queſta fu la prerogativa, per cui
Maria fu innalzata ſopra il comune degli uomi
ni: queſto fu il pregio, per cui ella comparve
più grande d'ogni grande di queſta terra: que
ſto fu il carattere nobiliſſimo della deſtinatale Di
vina Maternità; e con queſto fà l'Eterna Sapien
za conoſcere qual foſſe la ſtima ſua, e qual eſ.
ſer debba la noſtra di quella grazia, che ci ſan
tifica.
E vaglia il vero, Uditori, ſe mirar vogliamo
la grazia con uno ſguardo di fede, che non vi
ſcor
Per la Domenica ſeconda dell'Avvento. 3 I
ſcorgeremo di grande! Mirate quant'ella è pre
zioſa; ove di queſta portin l'impronto le noſtre
azioni, diventano ſubito prezzo baſtevole per
l'acquiſto del Cielo; e dove ſenza la grazia an
che le più eroiche impreſe ſono in ordine al pre
mio eterno di niun valore, con la grazia le ope
re anche più picciole, anche più abbiette, tanto
vagliono, quanto il Paradiſo medeſimo. Mirate
quant ella è bella; ove di eſſa vadane ammantata
un'anima, più non vi vuole, perchè ella ſia og
getto di compiacenza agli occhi di Dio, e tutto
che racchiuſa ella ſi trovi in un corpo o vile per
naſcita, o putrefatto per piaghe, o per macchie
deforme, contuttociò dà ella di ſe viſta sì vaga,
che Dio, non ſapendo per dir così finir di mi
rarla: Quam pulchra es! va ſclamando, amica Cant.,
mea, quam pulchra es. Mirate, quant'ella è no
bile s ognun ſa di quant'umile ſchiatta noi ſia
mo, o ſe ne conſideri il nulla da cui fummo
tratti, o il loto, di cui fummo compoſti, o il
peccato, con cui vennimo a queſta luce; eppure
ove all'eſſer noſtro un grado ſolo di grazia ſi
uniſca, innalzati veniamo a ſtato sì eccelſo, che
ſormonta, quantº ha d'illuſtre natura tutta ; ed
è tale l'onore, tale la dignità, ch'ella ci confe
riſce, ch' egli è poco l'eſſere con tutto rigore
di verità chiamati amici di Dio, poco l'eſſere
riconoſciuti figliuoli addottivi di Dio, poco l'eſ
ſere dichiarati legittimi credi di Dio. Che più ?
Giungiamo a tanto di nobiltà, che con una co
municazion di ſoſtanza la più maraviglioſa, e
inſieme la più ſublime, che concepir mai ſi poſ
fa, ſiam fatti partecipi della natura ſteſſa di Dio:
Divin e conſortes natura. Chi l crederebbe, ſe la 1.Pet,
fede medeſima con la penna di S. Pietro non
l'atteſtaſſe, - Or
32 Diſcorſo II.
Or quale ſtima non merita un ben sì grande,
un ben sì nobile, un ben sì prezioſo? Maggiore
ch' egli è, e infinitamente maggiore d'ogni be
ne di queſta terra, non è egli giuſto, che ad
ogni bene di queſta terra ſi preferiſca ? Eppure
diciamlo un poco con iſchiettezza, quale ſtima
ne abbiamo noi fatta? L'abbiamo noi preferito,
com'egli merita, ad ogni altro di queſti miſeri
mondani beni? Ah, che ſe ho mai deſiderate le
lagrime di Geremia, egli è certamente nel gior
no d'oggi, per deplorare, non dico ſolo la
ſcarſa ſtima, ma il poſitivo diſprezzo, che della
grazia ſi moſtra ! Qual bene omai vi ha tra i
Fangoſi di queſta terra, che non la vinca in con
fronto alla grazia? Dica pur quanto vuole l'An
gelico S. Tommaſo, che di quanto vi ha di ric
co nella natura, più vale un grado ſolo di gra
1. 2. 7 zia: Bonum grati e unius, majus eſt quam bonum
I 13art.
9.ad 2.
natura totius univerſi s laſcia perciò quel cuore
intereſſato di antiporre alla grazia un un vile gua
dagno? Ha bel dire S. Cirillo, che chi vuole vera
nobiltà, e ſoda grandezza, la cerchi per mezzo
della grazia nella figliuolanza eccelſa di Dio: Fa
ſtigium nobilitatis eſt interfilios Dei computaris
ſi aſtien egli perciò quello ſpirito vano di an
dar in traccia per vie anche inique degli cfimeri
ingrandimenti di queſta vita, meglio, che figlio
di Dio, amando vivere ſchiavo del Mondo? E
gli è pur certo, che adunate in una quante ſono
al preſente, e poſſon eſſere doti naturali negli
Angioli, ſarebbono di gran lunga men belle di
quel, che ſia la grazia, chiamata perciò dal Dot
tore Serafico: Primum & excellentiſſimum inter
dona creata: Eppure quanti, quante con iſca
pito della grazia o coltivano in ſe, o idolatra
mO
Per la Domenica ſeconda dell'Avvento. 33
no in altri tutt'altra bellezza. Si ha pur nella
grazia il pegno più certo dell'amicizia di Dio, e
il dono più ſplendido della ſua beneficenza: Om
mium Dei beneficiorum, come la chiamò S. Dio
nigi, praclariſſimum, quanti nulla dimeno, e quan
te preferiſcono alla grazia divina le vane, e ſpeſ
ſo ancora le impure ſperanze di un'amicizia crea
ta! O Santo Giobbe, ben aveſte ragione di dire,
che l'uomo non ne conoſce il ſuo prezzo: Ne- io,si
ſcit homo pretium eſus ! Tanta ſtima delle gran
dezze del Mondo, degli onori del Mondo; delle
amicizie del Mondo; e della grazia, che porta
ſeco amicizia di Dio, figliuolanza di Dio, par
tecipazione di Dio, poſſeſſo eterno di Dio, sì po
ca, o per dire più giuſto, niſſuna ſtima: Neſcit,
neſeit homo pretium eſus. O lagrimevole inſenſa
tezza ! Quis dabit, sì ch'egli merita, che più
con le lagrime, che con le parole deploriſi un
sì luttuoſo
quam, diſordine:
ci oculis Quis lacrymarum,
meis fontem dabit capiti meo a Jer.
d plo- y3
rabo die ac notte. Sebbene, ah che il diſordine piut
toſto che pianto chiede riparo. Un'occhiata per
tanto, cari Uditori, un'occhiata vi chieggo a
queſto Gesù: Miratelo ſu queſto tronco per voi
crocifiſſo, morto per voi, e imparate una volta
qual della grazia eſſer debba la noſtra ſtima. Ve
dete voi queſti ſquarci, che sì lo sformano? Sap
piate, ch'ei gli ha tollerati per abbellir voi con
la grazia ; vedete voi queſta Croce, ſu cui lan
guiſce ? Sappiate, che ivi è ſalito per innalzare
voi alla grazia; vedete voi queſto prezioſiſſimo
Sangue, che ſino all'ultima goccia ſparge dalle
ſue vene ? Sappiate, ch'egli è lo sborſo, che ha
fatto per comperarvi la grazia; e voi della ſua
grazia ne fate sì poco conto, che per un ca
Anno IV. Tomo l/, C priccio
34 Diſcorſo II.
priccio, per un piacere, per uno sfogo, per un
guadagno, per colui, per colei la rinunziate, la
diſprezzate, la buttate da voi. Criſto la ſtima
tanto, e noi sì poco! E chi, dilettiſſimi, chi dei
due s'inganna ? Noi, o Criſto? noi, che prefe
riamo alla grazia beni viliſſimi, o Criſto, che
tanto la ſtima, quanto il ſuo ſangue, quanto
la ſua vita, quanto i ſuoi meriti. Chi dunque,
dite, dilettiſſimi, chi dei due s'inganna ?
Ah Gesù caro, gl'ingannati ſiam noi, noi che
acciecati dalle noſtre paſſioni, facciamo sì poca
ſtima di quella grazia, di cui ſono prezzo le
voſtre pene, e il voſtro Sangue. Riconoſciamo
confuſi l'inganno noſtro, e pel voſtro Sangue me
deſimo, per le voſtre pene, vi ſupplichiamo ad
averci pietà. Più non ſarà, no: più non ſarà, vel
promettiamo di tutto cuore, più non ſarà, che di
ſprezziamo nell'avvenire un bene, che tanto va
le, quanto la vita di un Dio. Voi intanto coi
voſtri lumi fate, che ne conoſciamo ſempre più
il prezzo; ve ne preghiamo per quelle piaghe
ſantiſſime, che ne voſtri Piedi adoriamo; affin
chè creſcendo con la cognizione la ſtima, ſia
mo ſempre diſpoſti a perder piuttoſto qualun
que altro bene, che mai perder la voſtra gra
nezia.
Pgs- Dobbiamo eſſerne vigilanti cuſtodi per conſer
To II. varla. S'egli è vero, Uditori, com'è veriſſi
mo, che un teſoro con tanto più di cautela ſi
cuſtodiſce, quanto maggiore è il riſchio di per
derlo, chi di voi mi negherà, che ſomma non
debba eſſere l'attenzion noſtra nel cuſtodire la
grazia, ch'è tutta la ricchezza della noſtr'ani
ma: Date ſolo un'occhiata a quella creta, che
ci compone, e poi dite a me, ſe un s" S1
- - C
Per la Domenica ſeconda dell'Avvento. 355
degno, racchiuſo in un vaſo sì fragile, non corre
di continovo un grande pericolo di ſmarrimen
to: Habemus theſaurum iſtum ( così ne ſcriſſe, cora
l'Appoſtolo per riſvegliare in noi col timore di
perderlo la cautela nel cuſtodirlo ) in vaſis fi
filibus. Aggiungete, che con un pegno per una
parte sì ricco, per l'altra sì mal difeſo: abbiamo
a camminare per vie, lubriche per paſſioni, che
ci luſingano, oſcure per ignoranza, che ci ac
cieca, ſoſpette per inclinazioni, che ci tradiſcono,
mal ſicure per nimici, che c'inſidiano, per vie
in ſomma, nelle quali più che i paſſi ſono i pe
ricoli. Qual vigilanza pertanto richiedeſi, affin
chè un teſoro di tanto prezzo mai non ſoggiac
cia alla rapina di un qualche ladro dimeſtico, o
al ſacco di un qualche aſſalitore ſcoperto.
Io non ſaprei, Uditori, d'onde meglio, che
da Maria prender l'idea d'una cuſtodia così im
portante. Ma prima rammentivi ciò, che dell'
odierno miſterio le ſcuole c'inſegnano: che mer
cè i privilegi fatti oggi da Dio alla Concezion
di Maria, ella andò libera da quell'orrida cat
tività, in cui tutta geme la diſcendenza di Ada
mo, libera da quel fomite, che dalla concupi
ſcenza in noi ſi accende, ſorgente funeſta d'o-
gni noſtro diſordine, libera da quelle rivolte in
teſtine, che dentro di noi ſi ſollevano dalla car
ne contro lo ſpirito: Ma queſto è il meno; ram
mentivi, che Maria non ſolo nel ſuo primo i
ſtante fu Santa, ma confermata eziandio nello
ſtato della ſantità, ſicchè come fu ella per fa
vore ſingolariſſimo reſa impeccabile, così la gra
zia di cui apparve sì riccamente abbellita, fu gra
zia punto non ſoggetta, non dico a perderſi,
ma nè pure a ſcemarſi. Udite ora, e ſe potete,
- C 2 - tratto
36 Diſcorſo II.
trattenete le maraviglie: Così com'ella era ſicu
riſſima di non mai perdere il bel teſoro, che
poſſedea, cuſtodillo nulla dimeno mai ſmpre con
tal vigilanza, con tale attenzione, che di più
non avrebbe potuto, s'ella in verità foſſe ſtata la
più in pericolo di ſmarrirlo. Sempre himica d'o-
gni pompa di Mondo, lontana ſempre da ogni
commerzio del ſecolo, amò a tal ſegno la riti
ratezza, che fin turbolla la comparſa di un Angio
lo in forma d'uomo. Chi può ridire qual foſſe la
ſua parſimonia nel cibo, quale negli occhi la ſua
modeſtia, quale nelle parole la ſua cautela, qua
le in ogni ſuo portamento la compoſtezza! Avre
ſte detto al vederla, che mal ſicura di ſe, temeſ
ſe di tutto; tanta era in tutto la ſua circoſpezio
ne. Argomentate ora, e dite, ſe Maria tutto che
immune da ogni ſtimolo, che l'inchinaſſe al
peccato, vegliò nulla dimeno sì attenta ſu ſe me
deſima, come, e quanto dobbiamo noi vegliar
ſu noi, noi dalle paſſioni si combattuti, noi dal
ia malizia così acciecati, dalla concupiſcenza sì
ſpinti al male? Se Maria fornita di una grazia inal
terabile, ineſpugnabile, e per parlar con le ſcuole
inamiſſibile, pure la cuſtodi con attenzione sì ſol
lecita; noi, che tante volte poſſiamo perderla,
quanti ſono i pericoli, che ci aſſediano, quante le
tentazioni, che ci ſorprendono, quanti i nimici,
che dentro e fuori ci fanno guerra, potremo noi
mai per conſervarla moſtrarci abbaſtanza ſolleciti?
Ma che farebbe, dilettiſſimi, ſe mentre Ma
ria è sì attenta a cuſtodire una grazia, che non
può perdere, noi sì ſoggetti ad iſmarrirla; an
zichè ſottrarla dai riſchi, ai riſchi medeſimi la
eſponeſſimo ? Ah, cari uditori, convien pure
ch'io lo dica, e piaccia almen a Dio i il
1IlO
Per la Domenica ſeconda dell'Avvento. 37
dirlo ſia di profitto per più d'uno forſe, e per
più d'una, che quì mi aſcoltano. E può ella
co..ſervarſi la grazia in quelle converſazioni,
dove i motti, dove le occhiate, dove le dime
ſtichezze, dove le indecentiſſime ſgolature, fan
no della modeſtia ſpietatiſſimo ſcempio? Può
ella conſervarſi con quelle amicizie fomentate
non meno con ſegrete corriſpondenze, che con
paleſi corteggi? Può ella conſervarſi in quei ri
dotti, in quel circoli, ne'quali vanne con detra
zioni e con ſatire sì sfregiata la carità ? Può lla
conſervarſi in quelle partite di giuoco così vizio
ſo; e di giuoco, in cui con profuſion enormiſſi
ma tanto ſi butta e di denaro, e di tempo? Può
ella conſervarſi con avere ſotto agli occhi quei
libri, che o infettano la religione con le lorno
vità, o avvelenano co' loro amori i coſtumi ? Io
non ſo, dilettiſſimi, ciò che voi nel voſtro cuore
ve ne diciate; ſo ben ciò che ne laſciò ſcritto
gregorio il Grande: Depredari deſiderat qui the Hon.
ſaurum publice portati in via L'eſporre a sì fatti ".
pericoli il teſoro ineſtimabile della grazia, è un
cercar chi lo involi, e un volerlo perdere a bella
poſta, egli è un evidentiſſimo farne getto.
Almen ſi moſtraſſe, dopo averlo perduto, ſol
iecitudine di riacquiſtarlo. Ma quanti (o Dio!)
quanti paſſano nel miſero loro ſtato le ſettima
ne, ed i meſi, ſenz'avvederſi, o almen ſenza
cruciarſi della funeſtiſſima loro ſciagura ? Ah ſe
mai aveſs io queſta ſera preſente talun di coſtoro:
imparate, gli vorrei dire, dall'odierno miſterio,
che triſto, che deforme ſtato ſia il voſtro. Il
divin Figlio non può nè pure per un momento
ſoffrire ſenza grazia la madre. Non rifiuta egli
di venire alla luce in una ſordida ſtalla: non ri
- C 3 fiuta
38 Diſcorſo II.
fiuta di paſſare i ſuoi giorni in poveriſſimo al
bergo : non rifiuta di laſciare la vita ſopra tron
- co infamiſſimo: Ma naſcere da una madre, che
per un iſtante ſolo ſia ſtata infetta da colpa, o
queſto no, o queſto no: tanto ha egli in orrore
un'anima ſenza grazia; e voi, o miſero, ve la
paſſate ridendo, ſordo ai rimproveri, che ve ne
fa la coſcienza, inſenſibile alle minacce d'un
Dio ſdegnato, ſenza pietà di voi medeſimo, che
già già ve ne ſtate con un piè nell'Inferno! O
ſe ſapeſte qual teſoro vi manca, or che vi man
ca la grazia : Si ſcires donum Dei, ſi ſci
res. Ma io non poſſo credere, che in un gior
no di sì diſtinta pietà, tra voi ſi trovi un'ani
ma sì diſgraziata; onde tutto lo zelo rivolgo
ad inculcar la cuſtodia del bel teſoro, che poſ
ſedete. Deh, miei dilettiſſimi, ſe per conſerva
re la roba, la ſanità, la riputazione, non vi
ha induſtria, che non ſi adoperi; perchè non mo
ſtreraſſi premura uguale di conſervare un bene
tanto più degno, qual è la grazia ? Lungi per
tanto dalla voſtra lingua quegli equivoci: lungi
dalle voſtre mani que viglietti: lungi dal voſtro
cuor quegli amori: lungi quegli odj. Prontezza
in iſcacciar que penſieri: vigilanza in ribattere
quelle tentazioni: coraggio in reprimere quella
paſſione, e ſopra tutto, fuga coſtantiſſima, fu
ga delle occaſioni pericoloſe. E non baſta, U
ditori, che il noſtro nimico tenti ogni arte per
involarci la grazia, ſenza che noi medeſimi lo
invitiamo a rapircela? Non baſta, che i pericoli
ſi preſentino non cercati, ſenza che noi medee
ſimi andiamo ſpontanei ad incontrarli ? O gra
zia, bella grazia, ſe foſſi tu conoſciuta, non è
già vero che ſareſimo nel cuſtodirti sì poco
attenti !
Per la Dom. ſeconda dell'Avvento. 39
O Gesù mio, quanto io mi confondo della
poca premura, con cui ho finora cuſtodita la
voſtra grazia ! Inorridiſco al penſier dei perico
li, ai quali l'ho eſpoſta. Sì, mio Gesù, ne inor
ridiſco qualor vi rifletto. Un teſoro sì bello,
un teſoro così prezioſo, oh Dio come l'ho tra
ſcurato! Conoſco il mio torto, Gesù mio ca
ro, e lo confeſſo, e lo deteſto; ma ſon riſolu
to vegliar d'or avanti più attento alla cuſtodia
di sì gran bene: Fuggirò i pericoli, frenerò i
miei ſenſi, mortificherò le mie paſſioni. Voi aſ
ſiſtetemi col voſtro ajuto; ve ne prego per
quelle Piaghe, che adoro nelle voſtre Mani
ſantiſſime. Voglio, sì, ad ogni coſto lo voglio,
che in me ſi conſervi queſto bel pregio di bea
ta eternità. Sicchè con queſto nel cuore viven
do, con queſto ancora nel cuore mi meriti di e
mOrll C. - PUN
Dobbiam eſſerne trafficanti induſtrioſi per ac-,i.
creſcerla. Queſta terza corriſpondenza, che la
grazia richiede, ſpiccò pur bene in Maria. Avea
ella ricevuta nel primo iſtante dell'eſſer ſuo
grazia così copioſa, che potea dirſi pienezza di
grazia: non perchè giunta già al ſommo, capa
ce più non foſſe di accreſcimento: ma perchè
l'abbondanza fu tale, che più ella ricevette di
grazia in quel primo momento, di quello, che
ne aveſſero mai conſeguito, o foſſero mai per
conſeguirne tutti inſieme i Cori degli Angioli,
e tutte inſieme le ſchiere de Santi: ond' ebbe a
ſcrivere S. Girolamo: Ceteris per partes, Marie
ſe infundit tota plenitudo gratiae. Eppure in tan
ta pienezza di grazia credete voi, che Maria
contenta di nulla ſminuire di capitale sì vaſto,
non ſi deſſe penſiero di assier Tante"
4 ll
4O Diſcorſo II.
fu paga di ſolo cuſtodire il già ricevuto, che al
tra mira non ebbe mai, che di creſcere ſempre
di merito in merito, e di ſantità in ſantità:
qual potè mai noverarſi momento di vita ſua,
che impiegato non foſſe o in ſanti penſieri, o
in affetti ferventi, o in operazioni virtuoſe ? Fi
no gli anni dell'infanzia più tenera, fino i me
ſi, che paſsò tra le ombre del ſen materno, fin
le ore, che diede al neceſſario riſtoro del ſon
no, non andarono ſenza frutto di meriti. Tan
to fu ella intenta a far della grazia continovo
traffico, bramoſa tanto più di arricchirſene, quan
to ſe ne ſcorgea più ricca. Nè dee recarci ſtu
pore, Dilettiſſimi, che a Maria ſteſſe sì a cuo
re un accreſcimento sì vantaggioſo. Sapea ben
ella, che la grazia ci ſi dà eſpreſſamente da
Dio, perchè ſe ne faccia commerzio: Sapea,
che la grazia è un fondo, da cui eſige Dio mol
tiplicato il frutto: Sapea in ſomma, che la
grazia è un capitale, a cui non può farſi torto
maggiore, che col laſciarlo in ozio. E però vol
le col ſuo eſempio inſegnarci il traffico, che
haſſene a fare, non meno in oſſequio di chi la
dà, che in vantaggio di chi la riceve.
E in verità, cari Uditori, avete voi mai ri
flettuto a quel negotiamini, dum venio, che il
Lue. 19
Redentore c'ingiunge? Con queſto traffico, a s
cui ci obbliga, che credete voi ch'egli pretenda?
Ch ogni induſtria noſtra ſi occupi in aggiugne
re comodi a comodi, ricchezze a ricchezze, o
nori ad onori? Penſate. Pretende, come tutti
ad una voce i Santi Padri ci accertano, preten
de, che mettaſi per dir così a banco, e quan
to ſi può ſi moltiplichi il talento prezioſiſſimo del
lagrazia, ch'ei ci ha rimeſſo. Queſto egli pretende,
queſto
Per la Dom. ſeconda dell'Avvento. 41
queſto egli vuole in maniera, che a chi lo traffica
bene promette premj, e quai premj! e a chi lo ſcia
lacqua, minaccia gattighi, e quai gaſtighi! Sic
chè ove a far della grazia un buon impiego
non ci veniſſe dagli eſempi di Maria la ſpinta,
ci vien queſta, e ci vien gagliardiſſima dal co
mando di Criſto. Or qual è, Dilettiſſimi, l'uſo,
che noi facciamo? Non parlo già di quella
grazia, che nel ſanto Batteſimo ci fu data: Ah
miſeri! Quanti di noi hanno a piangerne la
perdita lagrimevole, che ne hanno fatta pec
cando! Parlo di quella, che la Divina Miſe
ricordia nella Sagramental Penitenza ci ha ri
donata: di queſta sì, qual è l'uſo, che ne fac
ciamo? Si penſa, ſi ſtudia, ſi travaglia per ac
creſcerla? Se dò d' ogni intorno un'occhiata ,
veggo induſtrie, veggo fatiche, veggo ſolleci
tudini: ma, oimè ! Fatiche, induſtrie, ſollecitu
dini, che mirano a tutt'altri accreſcimenti, che
della grazia. Veggo chi ſi affaccenda per cre
ſcer di poſto, veggo chi ſi ſtrugge per creſcere
in facoltà, veggo chi ſi lambicca per creſcere
in dottrina, veggo chi ſi conſuma per creſcer
di ſtima, e veggo perfino chi ſi rovina per cre
ſcere in faſto. Ma per creſcere nella grazia, dove
ſono le induſtrie, dovele fatiche, dove le ſollecitudi
ni? Se ne farebbe pure un bel traffico con la pie
tà verſo Dio, con la carità verſo i poveri, con
la frequenza de Sagramenti, con le opere di
ſalutar penitenza. Ma queſte dove ſono, Dilet
tiſſimi, dove ſono ? Poſſibile dunque, che ſi
abbiano tutto giorno a vedere moltiplicate le
pompe, e non la grazia, moltiplicate le mode,
e non la grazia, moltiplicati fino nei giorni più
ſagroſanti dell'Avvento i giuochi, i
-
º" y NC .
1.
42 Diſcorſo II. -

divertimenti, e non la grazia: O Fede, o Re


ligione, o Vangelo! e quale onta dee mai eſ
ſere la moſtra al vedere nel Criſtianeſimo, che
dove ſi tratta di temporali guadagni, tutto è fer
vore, e dove ſi tratta di ſpirituali vantaggi, tut
to è freddezza! Troppo avrei, che dire, Udi
tori, ſe voleſſi a queſto confronto permettere
allo zelo un po di sfogo: Ma laſcio tutto, e ſol
domando: qual dei due acquiſti ſia più per con
ſolarvi nel punto di voſtra morte, acquiſto di
grazia, o acquiſto di denaro sacquiſto di gra
zia, o acquiſto di titoli; acquiſto di grazia, o
acquiſto di fondi? Se l'acquiſto di denaro, di
titoli, di fondi, via, dirò, creſcaſi alla buon'o-
ra in denaro, in titoli, in fondi: Ma s'egli è
vero, come niun di noi certamente ne dubita,
che queſti ſi hanno in punto di morte a laſcia
re, e che la ſola grazia Divina è quel capitale,
che ſi può recare con noi al Tribunale di Dio,
chi non vede, che dal ſolo acquiſto di queſta ſi
può in quel momenti ſperare conforto? Che
follia dunque ella è mai, che ſtupidezza, pen
ſar tutto dì ad acquiſti, che in quell'ora vi
mancheranno, e di quello, che mancar non
potrebbevi, non darvene alcun penſiero?
Se almeno non curandovi di accreſcimento
di grazia, foſte ſicuri di mantenervi nel capita
le in cui ſiete, pazienza, tutto il male finirà in
vedere a ſcarſi meriti corriſpondere ſcarſo pre
mio, e a poco di grazia poco di gloria. Ma
la coſa non va così, Dilettiſſimi, non va così.
Il capitale della grazia egli è di queſt'indole,
so, s. che ſe non ſi accreſce, ſi ſcema ; e ne perde
de Paſi un poco chi nulla vi aggiunge: Qui non pro
ficit, udite ſe può parlare più chiaro
-
".
tCſ1CC
Per la Dom, ſeconda dell'Avvento. 4;
tefice S. Leone: qui non proficit, deficit, c qui
nihil acquirit, non nihil perdit, e l'imparò il
Santo Pontefice dal Redentore medeſimo, il qua
le inſegnò, che abbonderà nella grazia, chi di
quella, che ha, ne fa un buon uſo: e che all'
oppoſito, chi non accreſce quel poco, che ha,
di quel poco medeſimo anderà privo: Habenti Mith.
dabitur & abundabit, ei autem qui non habet, ”
& quod videtur habere, auferetur ab eo. Quin
di è, che S. Pietro eſortando alla perſeveranza
i primi Fedeli, non ſi contentò di dir loro, che
conſervaſſero vigilanti la grazia, ma diſſe, che
ogni sforzo faceſſero per accreſcerla: Creſcite in 2 Petr.
gratia, affinchè noi ancora intendeſſimo, che º
grazia non trafficata preſto ſi perde.
Dove ora ſono quel pigri Criſtiani, che van
dicendo: a me baſta d' eſſere in grazia: che poi
queſta accreſcaſi, o nò, poco importa. O ce
cità, o ſtupidezza ! Importa tanto, quanto o lo
andarne ben ricchi, o l'andarne del tutto pc
veri. Anche quel ſervo infingardo, dicea tra sè:
a me baſta, che il talento dal Padrone rimeſſo
mi non ſi ſmarriſca: che poi non mettaſia frut
to, nè ſi moltiplichi, poco importa: Ma ben
gli fè provare quanto importaſſe al ſuo arrivo
il Padrone, che ſcopertane la pigrizia: ſervo in
degno, gli diſſe, così hai trafficato il talento,
che ti ho rimeſſo. Io mi aſpettava di vederlo
dalla tua induſtria moltiplicato, e tu codardo
hai meglio amato ſeppellirlo nell'ozio ! Su, mi
niſtri dell'ira mia, togliete a coſtui l'abuſato ta
lento, e vada il vigliacco ad iſcontare tra gli
orrori di buio carcere la ſua ſpenſieratezza:
Tollite ab eo talentum, 6 inutilem ſervum eſi. Mºtih.
cite in tenebras eſteriores. Cari miei us" io º 5°
C11
44 Diſcorſo II.
den ero, e ſa quei Dio, che ci è preſente, con
quanto ardore deſid ro, che ſia ſantificato dal
la grazia l'eſtremo voſtro reſpiro: Ma quanto
temo, che per più d'uno ſiano vani, ed in u
rili i miei deſiderj Troppo in molti, ah troppo
in ella è grande la traſcuranza nel trafficare
con ſante operazioni la grazia ! Ora ſi ſpaccia,
che non ſi puo, ora che non ſi ſa, ora che non s
ſi ha tempo, ed ora che non ſi ha il modo;
la realtà ſi è, che mai non mancano di prete
ſti per ſottrarſi dal ben operare. E non avrò io
a temere, che ſervi così diſutili, così ſcioperati
non ſieno per eſſere nel punto della lor morte
confinati nel baratro di eterne tenebre? Sì, miei
Dilettiſſimi, che lo temo ; lo temo, e piaccia
a Dio, che p r colui, per colei sì ſpenſierati,
sì tiepidi il mio timor non ſi avveri.
Ah nò, mio buon Gesù, non permettete,
che vi ſia tra noi alcuno, che debba qual ſervo
inutile morire privo di voſtra grazia ! Voi, che
voleſte, che foſſe in grazia il primo iſtante
della vita di Maria Santiſſima ; deh concedete a
me, e a quanti quì ſiamo, che ſia in grazia
l'ultimo cella vita noſtra. So, ch'io non meri
- to, nè meritar mai potrò benefizio sì grande ,
ſpero contuttociò d' ottenerlo, perchè l'implo
ro, e lo domando per quella Piaga ſantiſſima,
che adoro nel voſtro Coſtato; e l'imploro al
tresì, e lo domando per i meriti della voſtra
puriſſima M dre, e per la ſua Immacolata Con
cezione. Affinchè più ſicuramente l'ottenga, fa
te, vi ſupplico, ch'io ben conoſca il prezzo
ella voſtra grazia, e la ſtimi quant'ella me
rita, ch'io la cuſtodiſca con vigilanza, e la con
ſcavi fino alla morte. Fate, ch'io la ta" COII
- - ant C
Per la Dom, ſeconda dell'Avvento. 45
ſante induſtrie, e ſempre l'accreſca: Sicchè do
po un teſoro copioſo di grazia raunato in que
ſta vita, meriti di paſſare nell'altra al poſſeſſo
di un teſoro copioſo di gloria.

D I S C O R S O I I I.
PER LA D o M E N I CA T E R ZA
D E L L' A V V E N T O.
Amore dovuto a Criſto,
-

Dirigite viam Domini. Joan. 1.

s": - 'egli è vero Uditori, che amor chie:


:º; de amore, io non ſo intendere,
i S . 3 come avvenir mai poſſa, che nell'
i sx, º amare Gesù il noſtro cuor non ſi
º grS ſtrugga. Portatevi col penſiero a
Betlemme, e mirate ſe potea Gesù
darci dell'amor ſuo prove più chiare. Fattoſi per
noi bambino, eccolo in rozza, e vil capanna
cominciare tra patimenti una vita, che tutta do
vrà impiegarſi a pro noſtro. Indubitabile fede ci
dice pure, che ſoto tenere membra incompara
bile Divinità ſi naſconde: Eppure mirate a che
l'amor l'ha condotto; quì non vedete nè ap
parato di magnificenza, che metta in ſogge
zione l'acceſſo ; nè lampi di maeſtà, che iſpi
rin terrore, più che riſpetto. Umiliazioni, pa.
il IXAC1ìt1
46 Diſcorſo III.
timenti, povertà, ſolitudine, ecco tutto il cor
teggio, con cui fa nel Mondo la ſua prima com
parſa un Dio fatt Uomo, e ſe di naſcita si pe.
noſa, e sì umile ne chiedete il perchè, vi di
rà Pier Griſologo, che così Gesù nacque, per
chè preteſe così di accendere coll'amor ſuo verſo
di noi l'amor voſtro verſo di lui: Sic naſci voluit, qui
voluit amari. Or come va mai, cari Uditori, che in
viſta d'un amore sì acceſo verſo di noi, non arda di
bell'amore il cuor noſtro verſo di Criſto! Come va,
che avendo Gesù cominciato ad amarci ſin da'
primi momenti di ſua vita, noi dopo tanti an
ni di vita non cominciamo una volta ad amar
io da vero! Avraſſi dunque a veder ſempre tra
Criſto, e noi diſcrepanza sì moſtruoſa! Sebbe
ne nò, che temer non poſſo in Udienza sì pia
diſcordanza sì luttuoſa. So, che non avvi tra voi
alcuno, che a ſuo gran pregio non rechiſi d'
amar Gesù, e prova mi è del voſtro amore il
ſeguir, che oggi fate l'invito di Chieſa Santa,
che in queſti giorni con le voci del Precurſore
di preparare v'intima al Divino Infante conde
gno albergo: Dirigite viam Domini. Ciò ſolo
di che forſe temer io poſſo, ſi è, che l'amor
voſtro verſo Gesù non ſia, qual Gesù ſteſſo da
voi lo brama, e vale a dire, che non ſia un a
more, che a quel di Criſto ſi raſſomigli. E
però contentatevi, ch'io queſta ſera per diſpor
vi a porgere in queſti giorni a quel Dio, che
naſce tributi d'amor gradito, vi eſponga le pre
rogative, che giuſta l'idea dell'amor di Gesù
verſo di noi, aver dee l'amor noſtro verſo di
lui. L'amor di Gesù verſo di noi fu in primo
luogo amor, che operò, e operò molto per
noi fu in ſecondo luogo amor, che "i C
OliIl
Per la Dom. terza dell'Avvento. 47

ſoffrì molto per noi: fu in terzo luogo amore,


che qual cominciò in Betlemme, tale manten
neſi ſino al Calvario: ed eccovi con ciò deſcrit
to qual eſſer debba l'amor noſtro verſo di Cri
ſto. Debb'eſſere amor operoſo, lo vedremo nel
primo punto: debb'eſſere amor ſofferente; lo
vedremo nel ſecondo punto: debb'eſſere amor
coſtante, lo vedremo nel terzo punto: Co
minciamo.
morIl operoſo.
noſtro amor verſo Criſto
So, Uditori, eſſer debbe
che ognun un in-
di voi, a-PUN
To I.

terrogato ſe ami Gesù, con tutta franchezza ri


ſponderebbe, sì, ch'io l'amo, e come nò? Egli
è il mio Legislatore, il mio Redentore, il mio
Dio, e può cader in dubbio s'io l'ami! Eppu
re perdonatemi, cari Uditori; ma ſe ho da par
lare con iſchiettezza, o quanto temo, che più
d'uno, più d'una, che si francamente riſpon
dono d'amar Gesù, in verità non lo amino !
E che? credereſte voi forſe, che l'amore a Ge
sù conſiſta in certe proteſte, quanto ſpecioſe,
altrettanto infeconde , che di quando in quando
ſi fanno ? In certe offerte, quanto ampie, al
trettanto inefficaci, con le quali l'anima ſi of.
feriſce tutta a Gesù, ma ſenza dargli mai nul
la ? Certamente che nò, perchè a dar prova
d'amor ſincero vi vuol altro, che belle parole:
Nè in inganno punto minore ſareſte, ſe di ve
ro amor vi pregiaſte, ad ogni ſoſpiro, che vi
eſca, affettuoſo dal petto, ad ogni affetto, di cºri
ne vada intenerito il cuore, ad ogni lagrimuz
za, che vi ſgorghi dolce dagli occhi, ad ogni
fiammella di cui vi ſentiate ardere l'anima :
uanto è facile, che un'affezion naturale ſi
creda impulſo della grazia che impulſo della
grazia
48 Diſcorſo III.
grazia ſi giudichi corriſpondenza del cuore che
prendaſi per amore l'iſpirazion ad amare! che
certe tenerezze infuſevi nell'anima dalla divi
na liberalità, ſi ſtimino sfoghi amoroſi di volon
tà infervorata! Nò, miei Dilettiſſimi. Se nell'a-
more, che dobbiamo a Gesù non vogliamo
prendere abbaglio, non d'altronde abbiamo a
trarne l'indizio, che dalle opere s ove man
chino queſte, ſembri a noi ciò, che ſi vuole
THomil dell'amor noſtro, Gregorio il grande ce lo da
" per falſo; Nec tamen ſibi aliquis credat, quid
Evang. quid ſibi animus ſine operis atteſtatione reſpon
derit. Amor, che non opera, è un ombra, una
Homil. maſchera, un fantaſma di amore: Si operari re
º nuit, amor non eſt.
E con ragione, perchè l'amore è come il fuo
co, e al fuoco appunto nelle ſagre carte ſi raſ
ſomiglia. Or chi non ſa, che il fuoco nulla più
abborre, che l'ozio ? Sempre in movimento,
ſempre in azione, c arde, e ſplende, e illumi
na, e accalora , infin che può ſi ſolleva, e quan
to più può ſi diſtende. Seppellito ſi diſſoterra, e
con qual impeto ! trattenuto vince ogni oſta
colo, e con qual forza ! imprigionato ſi apre l'u-
ſcita, e con quale violenza! ſempre moſtran
doci, che ozio, e fuoco mai non ſi accordano.
Or tale, dice il citato Pontefice, ſi è l'amore:
idibid. Nunquam eſt Dei amor otioſus, e tanto non può
trovarſi un amor, che non operi, quanto è im
poſſibile un fuoco, che non riſcaldi, che non
illumini, che non divampi dilectio vacare non
poteſi : Fu ſentimento ancor di Agoſtino. E for
ſe non fu così l'amor, che Gesù portò a noi?
Non fu egli già pago, che ſi fermaſſe il ſuo a
more, dirò così a fior di labbra; Più che º
C
Per la Domenica terza dell'Avvento. 49
le parole, dimoſtrarcelo volle con opere. Nacque
per noſtro amore, e per noſtro amor egli viſſe,
per noſtro amore morì , quanti paſſi " diede,
e furono ſenza poſa, quanti ſudori egli ſparſe,
e furono ſenza miſura, quanti prodigi operò, e
furono ſenza numero; tutti ebbero dalla ſua carità
verſo noi il moto, la ſpinta, e l'anima. Per dat
ci in più maniere a conoſcere il ſuo bel cuore,
di quante ſembianze, e tutte amorevoli ei ſi ve
ſtì ? or di Padre, che ci carezza, or di Maeſtro,
che c'inſtruiſce, or di Medico, che ci riſana, or
di Paſtore, che ci governa. Lo ſanno le contra
de della Giudea, che lo videro indefeſſo ſcorrere
que villagi, e dove paſcer famelici, dove con
vincere increduli, dove con la luce della dottri
na ſgombrar errori, dove con l'efficacia dello zelo
ſterpare abuſi, dove ad afflitti porger conforto,
dove ad infermi recar ſalute, dove ai peccatori
rimetter colpe, dove ai morti render la vita. Que:
ſto sì, dilettiſſimi, ch'egli è amare, perchè dell'
amore ſono altrettante le prove, quante ſono
della vita le operazioni. - -

Ora io ritorno a voi, Uditori miei dilettiſſimi,


e domando: Se voi, come andate dicendo, a
mate veramente Gesù, dove ſono le opere, che
diano dell'amor voſtro un atteſtato ſincero? do
ve ſono? Queſta è la pietra di paragone, con
cui a parere del citato Gregorio ſi dee diſcerne
re l'amor vero dal falſo : Probatio dilectionis ex
hibitio eſt operis. Che voi amiate la voſtra prole,
io lo ſcorgo e dalla tenerezza, con cui la ca
rezzate, e dall'attenzione, con cui la cuſtodite,
e dagli ammaeſtramenti, coi quali la educate;
che amiate la voſtra caſa, io lo ſcorgo, e dalla
ſollecitudine, con cui ne promovete gl'intereſſi,
Tomo IV, Anno IV, D e dalle
5o Diſcorſo III.
e dalle ſpeſe, con cui ne ſoſtenete il decoro, e dai
titoli, con cui vi sforzate di accreſcerne il luſtro:
Ma del voſtro amore a Gesù, che ſaggio ne date
voi, o ne avete voi dato fin ora ? Non occorre,
nò, dice il Griſoſtomo, che tutto di proteſtiate,
che lo amate più di voi ſteſſi. Queſte ſono pa
role, ed io domando fatti: Ne mihi dicas : aili
go Deum etiam pluſquam me ipſum: verba ſunt
iſta: oſtende hoc ipſis operibus. Taccia per un po
co la lingua, e parlin le opere: dove ſono le li
moſine a ſuoi poveri? Sapete pure, che Criſto è
di queſti ſommamente ſollecito, e che riconoſce
come fatto a ſe ſteſſo, ciò che ad eſſi vien fatto:
dove ſono le viſite a ſuoi altari? Sapete pure, che
gli ſono care, che le brama, e che le aſpetta, e
che ſi duole della ſolitudine, in cui ſi laſcia: dove
è l'acceſſo frequente alla ſua menſa ? Sapete pure
gl'inviti premuroſi, ch'egli vi fa, bramoſiſſimo
d'eſſere e voſtro paſcolo, e voſtra vita; dove in
ſomma ſono gli eſercizi di pietà ad onor ſuo in
trapreſi ? dove ſono ? Si chiamate a ſcrutinio la
vita voſtra paſſata, e fate di tutte le voſtre opera
zioni un giuſto calcolo, ſottraetene quelle, che ſi
ſono date agl'intereſſi, quelle che ſi ſono date al
piacere, all'ambizione, al genio, al Mondo, e poi
dite a me: Reſtano elleno molte le impiegate
a queſto fine di dare a Gesù una prova fede
le di un cuore amante?
Io ſo, dilettiſſimi, che una tal rifleſſione cavò
già dirottiſſime lagrime dagli occhi di S. Bernar
do. Ma per verità con quanto più di ragione a
vremo noi a confonderci, ſe a ſua imitazione en
traſſimo di quando in quando in noi medeſimi
e diceſſimo tra noi e noi : Io mi vo luſingando
di amar Gesù: ma in realtà, che ho fatt'io fino
I di
Per la Domenica terza dell'Avvento. 31
ra per dargli dell'amor mio contraſſegni non dub
bj: Sono già ſcorſi della mia vita tanti anni, do
ve ſono le ſettimane, dove i giorni, dove le ore
impiegate per lui? Se io lo amaſſi davvero non
ne imitarei gli eſempi, non ne ſeguirei i conſi
glj? e quel ch'è più, ſe lo amaſſi, l'offenderei
tuttodì, come purtroppo l'offendo? Ah, miei di
lettiſſimi, ſe la diſcorreſſimo così, ben ci avvedreſ
ſimo, che ſiamo illuſi, quando ſenza opere ci
perſuadiamo di amare, e dareſſimo un po più
di orecchio all'Evangeliſta S. Gioanni, il quale
ci avviſa, che a dar prove di amore non ci con
tentiamo di belle eſpreſſioni, di belle proteſte,
ma che con la ſincerità delle azioni diamo a ve
dere, che la lingua, e cuore, e mano vanno d'ac
cordo: Filioli non diligamus verbo, neque lin- .ro,
gua, ſed opere, o veritate. Ma il male ſi è, che
godiamo del noſtro inganno, e per timore, che
il vero amore troppo ci coſti, ci aduliamo col
falſo. Ma giorno verrà, cari Uditori, in cui que
ſto ſteſſo Gesù al lume veridico dell'eſtrema can
dela ci farà ben conoſcere il molto, che ſi è ſa
puto far pel Mondo, il molto che ſi è ſaputo
fare pei propri comodi, il molto, che ſi è ſaputo
fare per le vanità, ed il poco o nulla, che ſi è
ſaputo, che ſi è voluto fare per lui. Sembra a
voi, Uditori, che vorrà egli in que momenti,
moſtrar co fatti il ſuo amore a chi co fatti non
ha moſtrato in vita di amarlo ?
Io non ſo ciò che voi nel voſtro cuore giu
dichiate ; ma io certamente al ſol penſiero ne
innoridiſco, nè trovo altro partito, che di get
tarmi a voſtri Piedi o mio Gesù, e deteſtare que
ſta ſera la ſterilità del mio amore verſo di voi.
Voi per mio amore non vi ſiete riſparmiato in
D 2 nulla
52 Diſcorſo III. -

nulla, e dal primo momento del viver voſtro in


fin all'ultimo vi ſiete impiegato per me: E io
(o confuſione!) per amor voſtro ho fatto sì po
co, e queſto ſteſſo poco, sì male. Ah poteſſi io
richiamare gli anni traſcorſi, che mi ſono paſſa
ti sì ſterili, sì ozioſi, sì vuoti! Ma giacchè tanto
non poſſo, ricevete, o mio Gesù, in contraccam
bio il dolore, che ſento di non averli impiega
ti per voi. Più non ſarà, Redentor amabiliſſimo,
che l'amore, che vi profeſſo ſi fermi ſulle ſole
labbra, voglio, che paſsi dal cuore alla mano:
voglio che dalle parole paſsi alle opere. Voi aſ
ſiſtetemi con la voſtra grazia, che imploro per
e quelle piaghe, che adoro ne voſtri Piedi ſantiſsimi,
TF
UN
Il noſtro amor verſo Criſto eſſer dee un amor
ro II. ſofferente. Notaſte voi mai, Uditori, la circo
ſtanza del tempo, in cui Criſto con replicate do
mande accertar ſi volle dell'amor di S. Pietro?
Leggete l'Evangeliſta S. Gioanni, e troverete,
che fu allora, quando il Sant'Appoſtolo avve
dutoſi, che ſe ne ſtava in ſulla riva vicina il
divin ſuo Maeſtro, toſto dalla navicella, in cui
era, gettoſsi in mare per gire a lui: Cum audiſ
Ioan, ſet quia Dominus eſt, miſii ſe in mare. E potea
S. Pietro dar meglio a conoſcere, qual verſo
Criſto foſſe il ſuo cuore ! qual ſaggio più certo
potea egli dare dell'amor ſuo, che un diſprez
zo sì generoſo d' ogni pericolo, e un'impazieri
za sì ſanta d'eſſer con Criſto! Eppure chi l'a-
vrebbe creduto! di queſta prova, che pur ſem
brava sì chiara, Criſto non ne fu pago; ma ſape
te perchè ? perchè fu quella un' azione corag
gioſa sì; ma precipitoſa: E però non fu ſaggio
baſtevole d'amor ſineero. In certi eſtri d'im
provviſo fervore con facilità s'intraprende i"
-
Per la Domenica terza dell'Avvento. 53
ſe paſſato il bollor dello ſpirito, ſi trova dell'ar
duo, con l'iſteſſa facilità ſi tralaſcia l'impreſa:
Quante volte proviamo ancor noi, che una Pre
dica, che ci muova, una Comunione, che ci
conſoli, un ritiramento, che ci compunga, por
taci a generoſe riſoluzioni, e a dare eziandio ad
una vita fervente un ſanto principio ! e poi, ap
pena ſi affaccia una difficoltà, appena s'incon
tra un incomodo, che l'incominciato corſo ral
lentaſi, e ſi rattiepidiſce il conceputo fervore;
Sia pertanto, ſia pure, dice Criſto, un bell'atto
d'amor generoſo l'eſſerſi Pietro gettato in mare
per venirſene a me, ma a darmi prova d'un
vero amore, queſto non baſta ; che fa però è
Tre volte ſe lo amaſſe, interrogatolo, e uditone
tre volte il sì, bene ſoggiunſe Criſto, ſe mi ami,
o Pietro, ecco a che dei ridurti : Hai a contrad- “
dire inchinazioni, hai da inghiottir ripugnanze,
hai da gradire umiliazioni e patimenti: Cum eſ
ſes junior, cingebaste, ci ambulabas ubi vole
(bas, cum autem ſentieris, extendes manus tuas,
c alius te cinget, 6 ducet quo tu non vis. Igno
minie, catene, perſecuzioni, e croci metteranno
alla prova il tuo amore: così mi ama, chi di
vero cuore mi ama.
Ed ecco l'idea, riflette ſu queſto racconto A
goſtino, ecco l'idea di quell'amore, che Criſto
vuole da noi. Vuole un amore, che riceva non
ſolamente dall'opere, ma da patimenti ancora il
ſuo luſtro: Interrogatur amor, ci imperatur la- Or As.
bor. Ma queſto amor tollerante quanto mai e-º
gli è raro! Inſino a tanto che il far per Gesù
qualche coſa ci rieſce comodo, pur pur ſi trova
chi ſi riſolve; ma ſe il biſogno porti, o di far
fronte a contraddizioni, o di fois umani
L 3 Il
54 Diſcorſo III.
riguardi, o di ſoffrire dicerie maligne, ecco toſto
più della neve venire freddo quel cuore, che pre
tende a poc'anzi di ardere al pari di un Mongi
bello. Vorrebbeſi, che l'amore non ci coſtaſſe
mai nulla: Mai l' annegazion di un volere, mai
il ſagrifizio d'un comodo, mai la privazion di
un piacere, mai il diſturbo di un ripoſo; e un
amore di natura sì delicata, e sì molle, può egli
dirſi amor vero? Nò, che non l'è, dilettiſſimi,
non vi adulate, non l'è. Chi di cuore ama Cri
ſto, non ammette riſerve, non prefiggeſi condi
zioni. Pronto a patire, e tutto, e ſempre, nè per
difficoltà ſi rallenta, nè per incomodo ſi atteriſce,
nè per tempo ſi affliggs; raſſegnato nelle diſdette,
che lo ſorprendono, paziente nelle infermità, che
lo affliggono, manſueto tra le perſecuzioni, che
lo moleſtano: offeſo perdona, diſguſtato ſop
ma porta, tentato ſi umilia, deriſo non parla, con
i traddetto non ſi riſente: Ardenter Chriſtum di
ligenti nihil difficile videtur, così ne ſcriſſe S.
Lorenzo Giuſtiniano, ignem, ferrum, vincula,
carceres, perſecutiones, flagella, adverſaque om
mia Chriſti amor tolerare facit. Intendetela, ani
me delicate, che tanto amate la divozione, quan
to queſta può unirſi co voſtri comodi: voi, che
a farvi perdere ogni contegno, baſta un motto,
che un pò vi punga ; voi, che a tenervi lon
tane dalla divina parola, baſta il timore di un
pò di freddo, o pur caldo i voi, che a tratte
nervi ſchiave d'un reo coſtume, baſta la paura e
di un che diranno; l'intendete: ignem, ferrum,
vincula, ºrc. ſono bugiarde quelle proteſte di
amore, che voi fate a Gesù, ſe l'amore, che
proteſtate, o non vuol ſoffrir nulla, o vuol ſo
lo ſoffrir ſino ad un certo ſegno, e non più.
E, per
Per la Domenica terza dell'Avvento. 55
E per verità, cari Uditori, come poſſiamo noi
negare a Criſto un amore, che ſoffra, ſe ri
flettiamo, ch'egli ci ha amati a coſto di tante
pene! Scorrete col penſiero quant'ella durò la
vita di Criſto, trovate voi, ch'egli abbia paſſato
pur un momento ſenza patire! Volve, ci volve
vitam boni Jeſu ( egli è il Serafico Bonaventura,
che vorrebbe pur che imparaſsimo il vero mo
do di amare), o non invenies eam niſi in Cru
ce; ex quo enim carnem aſſumpſit, ſemper in pana
fuit. Interrogatene la capanna di Betlemme, che
il vide tremar bambino, l'Egitto, che lo accolſe
ramingo, ed eſule ; la bottega di Nazaret, che
lo allevò povero e ſconoſciuto sla Giudea, la
Paleſtina, la Samaria, che ſantificata da viaggi
ſuoi, il videro grondar ſudori, e languire per
iſtanchezza; il Getſemani dove ſvenne accorato,
il Pretorio dove ſpaſimò tra i flagelli, il Calva
rio dove agonizzò, e ſpirò crocifiſso, e tutti ri
ſponderanno ad una voce, ſemper, ſemper in
paena fuit. E per chi, cari Uditori ? per chi? Per
voi, per me, per noſtro bene, per noſtra ſal
vezza. E non era già duopo no, che per noſtro
riſcatto ſi addoſſaſſe un faſcio di tante pene. Un
ſolo ſoſpiro, che uſcito foſſe da quel cuore a
moroſo, una lagrima ſola, che foſſe caduta ſu
quelle guancie divine, una ſola goccia di ſangue,
che tratta ſi foſſe da quelle vene prezioſe era
più che baſtevole a trarci di ſchiavitù, e a ri
comprarci la perduta eredità, ma quod ſufficie
bat redemptioni, dirò anch'io col Boccadoro, non
ſatis erat amori. Miſurò egli il patire non dal
noſtro biſogno, ma dal ſuo amore, e perchè
a mò immenſamente, immenſamente pati,
D 4 Or
'56 Diſcorſo III,
Or dite a me, cari Uditori, non chiede egli
e orriſpondenza un amore sì tollerante è non è
egli giuſto, che ſe Gesù tanto per amor noſtro
ha ſofferto, ſofferiamo noi qualche coſa pera
mor ſuo? Maſſimamente che non ii già
Criſto da noi, che divoriamo affronti, ed igno
minie uguali alle ſue, non domanda, che ſom
mettiamo gli omeri a Croci peſanti, qual fu
la ſua; domanda un poco di ritegno a quella
lingua, un poco di freno a quegli ſguardi, un
poco di pazienza tra quei dolori; domanda,
che ſi mortifichi quel genio ingordo di libertà,
che tanto regna ai di noſtri ; domanda, che ſi
ricevano con umile raſſegnazione quelle piccole
Croci, ch'egli ci porge; domanda ( o Dio! può
egli chieder di meno! ) domanda, che tanto al
meno ſi ſoffra per amor ſuo, quanto ſi ſoffre
per amor del Mondo. Quanto s'incontra d'in
comodo per compiacere agli amici, quanto
per eſaltar la famiglia, quanto per adattarſi
al coſtume, quanto per un pò di gloria mon
dana. Ah, miei Dilettiſſimi, diaſi ognuno del
la mano al petto, e conſideri da una parte quan
to egli ſoffre pel Mondo, conſideri dall'altra
quanto ſoffre per Criſto; e ſe trova, ch'egli
più ſoffra pel Mondo, che per Gesù, o quel
che ſarebbe ancor peggio, ſe trova che per a
more del Mondo ſoffra moltiſſimo, e per amor
di Gesù non ſoffra mai nulla, confeſſi pur ſuo
mal grado ch'egli ama il Mondo, e non Gesù,
Ah pur troppo, Redentore mio caro, pur
troppo ſono anch'io un di coloro, che vorreb
bono amarvi, ma ſenza coſto ! Pronto a ſoffrir
tutto dove il genio mi porta, ritroſo ad ogni
pena dove ſi tratta del voſtro sito Erri" ul,
-
Per la Domenica terza dell'Avvento. 57
fu già così l'amor voſtro verſo di me, quelle
ſpine, que chiodi, quella Croce, ben mi mo
ſtrano chiaro il peſo enorme del patimenti, che
per amor mio portaſte. Deh ! Crocifiſſo mio
bene, per quelle piaghe, che adoro nelle voſtre
mani ſantiſſime, fate, ch'io intenda una volta,
che non è vero amore un amor delicato: Fate,
ch' io intenda, che ſe voglio amare debbo patire:
Fate, ch'io intenda, che non avrò mai luogo nel
voſtro cuore, ſe non ho parte nella voſtra =
Croce. PUN

Il noſtro amor verſo Criſto eſſer dee un amor co- ro III.


ſtante. Ordinò già Dio nell'antica legge, che nel
ſuo altare il fuoco mai non mancaſſe ; non ſi
curò, che ſempre ſi ſcannaſſero vittime: che
ſempre ſi bruciaſſero incenſi : che ſermpre ſi
offeriſſero doni: ma il fuoco lo volle mai .. .
ſempre acceſo : Ignis autem in altari ſem- iº,
per ardebit. Non è , Uditori, ſenza miſtero
queſto precetto. Il fuoco, come avete udito nel
primo punto, è ſimbolo dell' amore: l'altare,
dice Gregorio il grande, è figura del noſtro cuo
re; il fuoco dunque, che nell'altare ſi vuol perpe
tuo, è l'amore, che nel cuore ſi vuol durevole:
Altare Dei eſt cor noſtrum, in quo jubetur ignis Mi -

ſemper ardere, quia neceſſe eſt ex illo ad Domi-º


num charitatis flammam indeſinenter aſcendere.
Se così è, eſca d' inganno, chi ſi crede di dar
ſaggio baſtevole dell'amor ſuo, qualora per Ge
sù opera per un poco, e poi ſi ſtanca, ſoffre
per un poco, e poi ſi annoia: Un dì tutto fuo
co, e tutto gelo nell' altro. Vampe ſono queſte,
efimere vampe di un cuor iſtabile, che non ſi
preſentan gradite agli occhi di Criſto. Se l'amore,
che ſi profeſſa non è fuoco, che ſempre duri,
ſiccome
58 Diſcorſo III.
ſiccome non è quello, che ha moſtrato Criſto
per noi, cosi ancor non è quello, di cui noi
ſiamo in dovere verſo di Criſto. -

Ralleatoſſi egli mai l' amore di Criſto verſo


di noi ? Illanguidili egli mai ? Con quell'ardore
con cui cominciò ad amarci, non continuò egli
ſempre, ſenza che mai ne veniſſe, o rattiepidita
dalla ingratitudine umana la ſua bontà, o ſtan
cata dalla fierezza giudaica la ſua pazienza ?
Jo. 13. Cum d.lexiſet ſuos (uditene regiſtrata nell'Evan
gelio a noſtra iſtruzione la ſua coſtanza) qui eranº
art Mundo, in finem dilexit eos, che vale a dire,
giuſta la ſpiegazione di Agoſtino, e dell'Ange
lico, uſaue ad finem, uſque ad mortem, dilexie
eos. Anzi non ſolo non iicemò egli mai il ſuo
anore, ma ſempre lo accrebbe, operando ſem
pre più, ſempre più ſofferendo per noi, ſino a
quell'ecceſſo ineffabile di laſciare ſopra infame
patibolo la prezioſa ſua vita: Cum dilexiſſet, uſº
que ad finem, uſque ad mortem dilexit, e quaſi
queſto foſſe ancor poco, nello ſteſſo partire da
noi, trovar volle maniera di reſtare con noi. Iſti
tuì con invenzione tutto propria di un amorin
ſaziabile il Sagramento Eucariſtico, e là in quell'
Oſtia adorata laſciò tra noi il ſuo corpo, nel
ſuo corpo il ſuo cuore, nel ſuo cuore l'amore :
quaſi dicendo: Parto è vero, parto dagli occhi
voſtri, ma non parto da voi, ſarò nel Cielo, e ſarò
ſu la terra vi amerò di laſsù, e vi amerò di quag
giù, e infino a tanto, che il Mondo non avrà fine,
a au, non avrà fine nel Mondo il mio ſoggiorno: Ecce e
28. go vobiſcum ſum uſque ad conſumnationem ſerali.
Sì, uſque ad conſummationem ſeculi ſarovvi preſen
te nelle afflizioni per conſolarvi, nelle neceſſita per
ſoccorrervi, ne Perico. Per liostarvi, a-ria vita,
se
Per la Dom. terza dell'Avvento. 5o
e nella morte per ſempre aſſiſtervi, uſgue ad con
ſummationem ſeculi, vi voglio riſtorar col mio
ſangue, vi voglio nodrir col mio corpo, voglio
farvi miei con tutto me; in ſomma uſque ad
conſummationem ſeculi vi amerò, e dell' amor
mio ne avrete in perpetuo pegno il mio corpo.
O immenſo, o ecceſſivo, o incomprenſibile
amore !
Ecco Criſtiano, ſclama quì attonito, tutto amo
re, e tutto zelo Bernardo, ecco il cuore a cui
dee conformarſi il tuo cuore, ecco l'amore a
cui dee conformarſi il tuo amore: Diſce, o Chri-s
ſtiane, a Chriſto, quomodo diligas Chriſtum. Tu,
che per tanti titoli ſei tenuto ad amare Gesù,
impara da Gesù ſteſſo il modo di amarlo diſte
a Chriſto e c. Confronta amor con amore, e
mira ſe l'amor di Gesù fu come il tuo, vario,
fragile, incoſtante. Tu, nell'amarlo sì languido:
Tu, nel ſervirlo sì freddo: Tu, nel pregarlo
sì diſſipato: Tu nelle pratiche di pietà sì reſtio
a comunicarle i sì pronto ad interromperle, sì
facile a tralaſciarle: ſono elleno queſte le pro
ve che dai a Criſto dell'amor tuo? ſono eglino
queſti gli eſempj, che dall' amor ſuo ti ha Cri
ſto laſciati? Deh ! impara una volta dall'amore
di Criſto, che l' amor ſe non è durevole, ſe
non è coſtante, ſe non è uſue ad finem, uſiae
ad mortem, uſque ad conſunmationem, non è
amor.vero: Diſce, o Chriſtiane, a Chriſto, quomodo
diligas Chriſtim.
Dall'amore di Criſto appreſe sì bene ad amare
il cuore di Paolo, che non temè di sfidare le
creature tutte a far prova di ſua coſtanza: Quis Roma.
nos ſeparabit a charitate Chriſti ? Chi potrà dar
ſi il vanto di aver ſu me forza tale ia ſcior quei
legani
6o Diſcorſo III
legami di carità, che mi ſtringono a Criſto?
Chi? Tribulatio, an anguſtia, an fames, an nu
ditas, an periculum, an perſecutio, an gladius ?
No, che non pavento, che povertà o ricchezza,
eſaltazione o abbaſſamento, vita o morte, cielo
o inferno, ſminuiſcan giammai, di una ſola
ſcintilla la bella mia fiamma : Armiſi il Mondo
inferociſca la tirannia, ſi ſcateni l'abbiſſo: non
temo, non temo; ſinchè il mio cuore avrà vi
ta! viverà nel mio cuore l'amore a Criſto. O
queſto sì, Dilettiſſimi, ch'egli è amore ſincero,
amore, che non cede punto al difficile, amore
che non ſi rallenta per noia, amore che nulla
perde di ſua fermezza, o proſperità ci eſalti, o
avverſità ci deprima. - -

Ma è egli in fatti così il noſtro amore? Se


Criſto ſi faceſſe queſta ſera ad interrogarvi ſe voi
lo amate con queſto amore, pare a voi, che
potreſte francamente riſpondergli con le parole
dette già da S. Pietro: Etiam, Domine, tu ſeis quia
amo te ? Sì, mio Signore, io vi amo, camo con
tal fermezza, che niuno mai dall' amarvi mi di
ſtorrà: E voi, che vedete il mio cuore, ben lo
ſapete, tu ſeis quia amo te: dite, potreſte voi
riſpondere così? Ognun ſa ciò che il ſuo cuore
gli dice: Io intanto ſoggiungo, che queſta in
terrogazione ſi farà a ciaſcuno di noi in punto
di morte da Criſto Giudice. Sì, ci dimanderà
quali verſo di lui in tutto il corſo di noſtra vita
abbiam dati contraſſegni di amore. Anime ozio
ſe, che paſſate le voſtre ore in divertimenti, in
giuochi, in converſazioni, in teatri, che riſ
ponderete? Anime delicate, che per ogni leg
giero incomodo mancate a voſtri proponimenti,
cd abbandonate gli eſercizi di pictà, che riſpon
- - - dcrete ?
Per la Dom, terza dell' Avvento. 6I
derete? Anime volubili, che ora ferventi, ora
tiepide, or penitenti, or peccatrici, ora in corſo,
ora in ozio, mai non date due paſſi ſeguiti nella
via della virtù, che riſponderete? E noi, cari
Uditori, che riſponderemo quando il tremendo
Giudice a rimprovero del noſtro diſamore ci
metterà ſotto gli occhi, e le opere, che per
noſtro amor egli ha fatte, e la coſtanza, con cui
a coſto della ſua vita, e del ſuo ſangue ha per
noſtro amore condotto a termine il grande affare
del noſtro riſcatto, che riſponderemo? Io leg
go, Uditori, che apparſo Criſto alla venerabile
Margherita Alacoque, e con lei dolendoſi della
ingratitudine del ſuoi Criſtiani: mira le diſſe,
mira, o figlia, queſto mio cuore, mira di qual
amor egli è acceſo: mira ſe a pro degli uomi
nipotea l'amor mio ſpiccar di più. Eppure dalla
maſſima parte tanto non ottengo d'eſſer corriſ.
poſto, che anzi altro tutto di non ricevo,
che oltraggi. Or queſto, che fu non altro, che
un dolce sfogo di Gesù amante, con un'anima
ſua diletta, ſarà uno sfogo terribile di Gesù adi
rato contro le anime diſamorate nel giorno ea
ſtremo. Mira, dirà il divin Giudice al Criſtiano,
che non lo amò, o ingrato, mira queſto mio
cuore. Mira di qual amor egli avvampa: Mira
ſe in contraſſegno di amarti potea per te far di
più ; eppure tanto non ho ottenuto, che tu mi
amaſſi, che anzi non ho da te ricevuto altro,
ehe ſtrappazzi ed ingiurie; queſta, o sleale, è la
corriſpondenza, che al mio amor, al mio cuore
hai moſtrata ? E ad un tale rimprovero, che do
vrà mai aſpettarſi un diſamorato Criſtiano ? Se
per ſentenza di Paolo Appoſtolo, è fulminato
anche in vita con maledizioni ed anatemi, chi
- nQ) A
62 Diſcorſo III.
1. Cor.
I 6. non ama Gesù: Si quis non amat Dominum ns
ſtrum Joſum Chriſtum ſit anathema , penſate
voi, che ſarà per ſentenza di Criſto in punto di
ll OftC.
Dilettiſſimi, mctriamci al ſicuro da queſti ful
mini con amare chi tanto merita d'eſſere ama
to, il Salvatore, il Redentore noſtro Gesù, ma
perchè ſia il noſtro amore qual eſſer dee, ſia
amor che operi, amor che ſoffra, amor che
duti. Amiamo, Dilettiſſimi, amiamo Gesù, per
chè egli ha amati noi, amiamolo molto, per
ch'egli ci ha amati molto, amiamolo ſempre
perch'egli ci ha amati ſempre. Ah giovine, gio
vine, amore a Gesù, e non al piacere, non al
giuoco; amore a Gesù, o donna, e non alle va
nità, non al Mondo; amore a Gesù, o voi miſe
rabile, che amori men puri nel cuor nodrite:
amore a Gesù. Ah, cara mia Udienza, quando ſarà,
che con prontezza generoſa, e ſincera ſi profeſſi
a Gesù qui preſente un vero amore? Quando?
Queſta ſera, mio buon Gesù, sì, non più tardi
di queſta ſera. Tutti e con tutto lo ſpirito ſu le
labbra ci proteſtiamo di amarvi, e io fra tutti,
che pur nell'amarvi ſono ſtato fino ora sì tiepido:
sì, amabiliſſimo Redentore, io vi amo con tutto
il cuore, con tutta l'anima mia, vi amo ſopra
ogni coſa creata : Etiam, Domine, tu ſcis quia
amo te. Tu ſcis. Sì, Gesù caro, vi amo, e in prova
della ſincerità con cui parlo, ardiſco chiamarne
teſtimonio quel lume, con cui voi penetrate il più
profondo de cuori: Tu ſcis quia amo te. Ma per
chè il mio cuore di ſua natura è sì freddo;
cuore, bel cuore del mio Gesù a voi ricorro,
e per quella piaga d'amore, che in voi adoro,
vi ſupplico a vibrar ſul mio cuore una di
-
º".
C
Per la Dom. terza dell'Avvento. 63
le fiamme, di cui voi ardere. Accendete nel petto
mio un amore, qual io lo bramo, degno di voi;
e ſia un amor operoſo, un amor ſofferente, un
amore coſtante, ſia un amore, che dall' amarvi
ardentemente in queſta vita, mi porti ad amar
vi eternamente nell'altra.

D I S C O R S O I V.
N E L L' OTTAVA D E L SANTISSIMO
NATALE,
Correndo in tal giorno la Feſta de Santi Innocenti.
Scandalo.
i s

Tune Herodes mittens occidit omnes pueros, qui


erant in Bethleem. Matth. 2.

33-ast: On può a meno, Uditori, che nel rin


N i novarſi la memoria di quella ſtrage
- lº crudele, che riempì di dolor, e di pian
i Ris to i confini di Betelemme, non vi rina
ſca nel cuore, un giuſto ſdegno contro dell'em
pio Erode, che con fierezza mai più non udita ne
diè il comando. Barbaro! Sembrami di udirvi
dire: contro un popolo d'innocenti armar furio
ſa la mano, e condannare al crudo taglio di
morte innumerabili vite, ree ron d'altro, che
d'eſſer bambine ! Inondar con le lagrime di ma
dri afflitte, e col ſangue di pargoletti ſvenati,
tutto un diſtretto, ſol perchè l'onora con la ſua
naſcita il Re del Cielo! Moſtro ſpietato, forza C
64 Diſcorſo IV. «
è pur che ſi dica, che o un covile di tigri ti di:
alla luce, o una rupe del Caucaſo ti formò il
cuore! Lodo, Uditori, lo sfogo dell' indegna
zione voſtra giuſtiſſima, ma ſe ho a dirla con
iſchiettezza, perchè prendervela con tanto ardore
contro un Erode, ch'è morto, e non più toſto
contro gli Erodi dei noſtri di O quanti, ſe ſa
peſte, quanti fanno anche adeſſo ſtrage barbara
d'Innocenti, con queſto lagrimevol divario tra
quell'Erode, e queſti, che quello fece ſtrage di
corpi, e queſti la fanno d'anime: quello inviò
Martiri al Cielo: queſti popolan di dannati l'in
ferno! Non fia dunque più lodevol penſiero,
rivolgere contro queſti i più zelanti rimprove
ri: e giacchè riparar non ſi può una ſtrage
già fatta, porre almeno un qualche argine a
quella, che va tutt'ora facendoſi. Sì, miei Dilet
tiſſimi, contro di queſti voglio io prendermela
queſta ſera contro di queſti. Già vi avvedete, che
il mio dire prende di mira gli ſcandaloſi. O che
Erodi, che triſti Erodi ſono coteſti, che cruda
guerra muovono coſtoro a Dio, che orrido
ſcempio fanno coſtoro dell'innocenza, con mino
re ſtrepito, è vero, di quel ch'eccitò in Betlem
me l'antico Erode, ma non già con minor dan
no; più di rovina recando queſti con un eſempio
perverſo, di quel, che l'altro apportaſſe con mille
ſpade deſolatrici. Ma infieriſcano pure, quanto
a lor piace, coteſti Erodi Criſtiani: Giorno verrà,
in cui la finiranno alla peggio, come alla peg
gio finilla l'Erode Giudeo, che roſo da vermini,
che gli divorarono le vive carni, e tormentato
da dolori, che gli ſtraziaron le viſcere, morì con
la rabbia in volto, e la diſperazione nel cuore.
Io voglio ben credere, che di coteſti i" IOCl1
Nell'Ottava del santiſſimº Natale. 65
Erodi non ve ne ſia tra voi, pure perchè il divenir
lo è sì facile, voglio iſpirarvene quel più, che
poſſo di orrore, affinchè non ricopiandone in
voi la lor vita pernizioſiſſima, vi liberiate altresì
dal pericolo della loro ſpaventoſiſſima morte. Mi
fo pertanto a moſtrarvi eſſere lo ſcandaloſo il
grande univerſale nimico di tutti. Gran nimico
di Dio in primo luogo, e lo vedremo nel pri
mo punto. Gran nimico in ſecondo luogo del
proſſimo, e lo vedremo nel ſecondo punto. In
terzo luogo gran nimico di ſe medeſimo, e lo
vedremo nel terzo punto. Cominciamo. . -
Lo ſcandaloſo gran nimico di Dio. Un attenta- Pun
to ben temerario, ben moſtruoſo, ben diabolico, º
forza è pur ch'egli ſia quello, per cui può giun
gere un uomo ad eſſere chiamato il gran nimico
di Dio. Eppure tant'è, queſto è il titolo, che
porta in fronte lo ſcandaloſo, e gli conviene sì
giuſto, che nulla più. , E quì notate, che ſcan
, daloſo io chiamo non ſolo chi o coll'invito,
, o col conſiglio, o coll' eſempio induce altri
, a far male, prendendo eſpreſſamente di mira
, il mal medeſimo, a cui induces ma chi an
, cora o parla, od opera in modo, che porge
, al proſſimo occaſione d'inciampo, tutto che -
, non abbia di mira l'inciampo, di cui è occa
, ſione; ſcandaloſo chiamaſi l'uno, e ſcanda
, loſo l'altro, perchè l'uno, e l'altro ſpinge il
, proſſimo alla caduta dall'uno voluta diretta
, mente, indirettamente dall'altro: ond'è, che
, sì all'uno, che all'altro dico dovuta la taccia
, obbrobrioſa di gran nimico di Dio , . E per
moſtrarvelo con tutta chiarezza io vi domando:
non direſte voi gran nimico d'un eccellente archi
tetto, chi diſtruggeſſe quante più può delle ſue
Tom. IV. Anno IV. E opere ;
66 piſcorſo IV,
opere; gran nimico di un dipintore famoſo,
chi ſconciaſſe quante più può delle ſue pitture,
gran nimico d'un eſimo ſcultore chi sfregiaſſe
quanto più può delle ſue ſtatue 'E chi può dubi
tarne ? Or che altro fa uno ſcandaloſo in riguardo
a Dio, che altro fa, ſe non de lavori a lui più
cari sfigurarne quanti più può. Sappiamo pure,
che tra i lavori, che ha dati a luce l'Onnipoten
za creatrice, i ſuoi più diletti ſono le anime; la
vori sì belli, che portano improntata l'immagi
ne del ſuo medeſimo Artefice: lavori si mobili,
che vantano con Dio medeſimo participazion di
natura: lavori di sì eccellente ſtruttura, che
tempo non li conſuma: lavori di sì gran prezzo,
che per ricuperargli ſmarriti, il Figlio ſteſſo di
Dio, è ſceſo dal cielo in terra, ed ha fatto uno
sborſo di tutto il ſuo ſangue: Sangue, che in
ogni goccia contiene un valore infinito. Or di
queſti lavori non è egli vero, che tanti ne gua
ſtano gli ſcandaloſi, tanti ne diſtruggono, quan
te ſono le anime, ch' eſſi pervertono? Così è pur
troppo, dice il Salmiſta, queſto è appunto il
mal genio di coſtoro; diſtruggere quelle opere,
che dalle voſtre mani, o gran e Iddio, uſcite ſon
Pſ. I Oe più perfette: Que perfeciſti deſtruxerunt.
Tanto baſtar potrebbe, Uiitori, per intende
re il gran nimico,ch'egli è di Dio uno ſcandaloſo:
Eppure queſto è il meno, dice il Griſoſtomo.
Volete vedere a qual ſegno di inimicizia contro
Dio giunga uno ſcandaloſo. Fing te, che ſiavi
un moſtro tale di ſcelleratezza, che dovunque
ſcorga Altari, e Tempi, là porti e le rovine,
e gl'incendj. Scorra le campagne col ferro e ne
atterri quante Chieſiuole accolgano i voti fervidi
del ſemplice paſtorello. Entri nelle Città, e gº
Nell'Ottava del Santiſſimo Natale. 67
le fiaccole in pugno avvampi, ed inceneri le Ba
ſiliche più maeſtoſe, nè ſiavi luogo dalla pubbi
ca o dalla privata pietà conſecrato all'Altiſſi
mo, contro cui non isfoghi il ſuo empio furo
re: Chi non direbbe, aver coſtui giurata contro
Dio implacabile inimicizia? Ora ſappiate ſog
giunge il citato Dottore, ſappiate, che più
di coſtui ſi moſtra nimico di Dio uno ſcanda
loſo, perchè ſe la piglia ancor egli contro il
Tempio di Dio, giacchè al dir dell'Appoſtolo,
Tempio di Dio, è ognun de fedeli: Vos eſtis 2. Cor:
Templum Dei vivi; ma Tempio di gran lunga a.
più degno, perchè del Tempio materiale è più
pregevole lo ſpirituale; Tempio più venerabile,
perchè dove gli altri ſono Tempi morti, queſto è
Tempio vivo, Tempio più maeſtoſo, perchè abi
tato dallo Spirito ſanto medeſimo per mezzo
della ſua grazia; onde ſe moſtra ſarebbe di
llna i" nimicizia con Dio il rovinar quelle
Chieſe, che ſopra baſi di marmo, ed a regole
d'arte ſi conſacrano a Dio Ottimo Maſſimo, che
dovrà dirſi di chi ſtermina, e abbatte que Tem
pj tanto più auguſti, che hanno per fondamento
la fede, per ornamento la grazia, e Dio ſteſſo per
oſpite? Si ergo, conchiude il Santo, Eccleſiam Hom.
deſtruere grave eſt, d ſceleſtum, multo magis ſi , i
templo ſpirituali hoc fiat: Anguſtior enim eſt ho i"
mo, magiſaue venerandus quam Eccleſia.
Finiſſe almen quì la guerra, che muove a Dio
lo ſcandaloſo, e contento di prenderſela contro
i lavori di Dio, e contro i Tempi di Dio, non
volgeſſe contro Dio medeſimo i maligni ſuoi col
pi. Ma purtroppo è vero, grida Paolo, che il
furor voſtro, o ſcandaloſi, a Criſto medeſimo non
la perdona: Peccantes in fratres & percutientes iº»
E 2 conſcientiam
63 Diſcorſo IV. --

eonſcientiam eorum infirmam, in Chriſtum pecca


tis, in Chriſtum. In Chriſtum, che come capo non
può a meno, che non riſentaſi nello ſtrazio, che faſſi
delle ſue membra. In Chriſtum, che come paſtore
non può a meno, che non ſi affligga nel vederſi rapi
rele pecorelle ſue care. In Chriſtum, che come Re
dentore riceve lo ſmacco di veder buttato a male
il prezzo infinito del ſuo riſcatto. In Chriſtum pec
catis, in Chriſtum. Con ragione però può d'o-
gni ſcandaloſo dolerſi Criſto, come già ſi dolſe
di Saullo: Quid me perſequeris ? fe pur dir non
vogliamo con Santo Bernardo, che non ſol
iù di Saullo, ma più de crocifiſſori mede
imi di Gesù, ſi moſtra ſuo nimico lo ſcandalo
ſo, perchè ſe queſti ſparſero il di lui ſangue; il
di lui ſangue però andò in riſcatto dell'anime;
laddove queſto nell' oltraggio, che gli fa, gli
ruba quelle anime ſteſſe, che col ſuo ſangue ha
redente: Ond'è che attonito per l'orrore il San
to Abate: Horrendum, eſclama, penitus ſacrile
gium, quod & ipſorum videtur excedere facimus,
qui Domino majeſtatis manus ſacrilegas injece
ruºlf,
Ma ſe lo ſcandaloſo è sì gran nimico di Dio,
non ſarà Dio ancora gran nimico dello ſcandalo
ſo? Sì, che lo è se lo è di tal maniera, dice il
Griſoſtomo, che dove in altri diſſimula colpe
anche graviſſime, nello ſcandaloſo nè pur diſſi
mula le più leggere: Tam Deo odibile eſt ſcanda
lum, ut peccata graviora diſſimulet, in quibus rui
ma fratris non eſt, non autem levia, in quibus fra
ter offenditur, ci ſcandalizatur. Sì, sì, avete
bel dire, o ſcandaloſi, che quei tratti, che voi
uſate sì liberi non ſono, che ſcherzi, e che que
gli equivochi, che voi dite sì malizioſi, non
- - - - - hanno
Nell'Ottava del Santiſſimo Natale. 6o
hanno fine cattivo sche quelle parole, che vi
eſcono di bocca oſceniſſime, le profferite per abi-.
to, e ſenz'avverdervene; che quei baciamani così
frequenti non altro ſono, che convenienze di ci
viltà; ſono ſcandali, e tanto baſta, tutto è meſſo
a libro, di tutto ne darete conto ſtrettiſſimo, e
ſe di que falli, che voi contate per nulla, ſe ne
fa da Dio caſo sì grande, levia non diſſimulat;
penſate poi, che ſarà di que regali donati con
intenzione sì rea, di quel conſigli ſuggeriti con
tanto ſcapito dell'oneſtà, di quelle viſite conti
novate con tante dicerie del vicinato, di que” di
ſcorſi fatti con tanto sfregio della modeſtia, della
carità, della religione, di que vanti vituperevoli,
con cui fin giungete a gloriarvi delle ree voſtre
corriſpondenze. Che ſe Dio con voi nel perdon
delle colpe va contanto riſerbo, che neppure diſſi
mula le più minute ſarà egli poi nella diſtribuzion
delle grazie sì liberale, che vi accordi le più
importanti, e quella ſingolarmente di ben mo
rire ? Follia ſe vel credete: temerità ſe lo ſpe
rate. E che pare a voi, che ſia Dio per accordare
a ſuoi maggiori nimici quella grazia, che an
che a più cari amici ſuoi non accorda, ſe non
a coſto di fervidiſſime ſuppliche? E che tanto
non avete a ſperarla, che anzi io vi ſo dire,
che a quell' ora appunto, a quell'ora eſtrema
vi aſpetta quel Dio, contro cui ſe la pigliano i
voſtri ſcandali ; sì, a quell'ora vi aſpetta. Voi
gemerete, ed egli inſulterà ai voſtri gemiti, voi
ricorrerete, ed egli ributterà i voſtri ricorſi: Sì, te
merario, dopo la guerra fin'ora fattami vorreſti
adeſſo la pace! Che pace? Viveſti da mio nimi
co, muori pure da mio nimico, Eh, cari miei
Uditori, ſe mai di queſti nimici ve ne
di Dio foſſe
s. - - E 3
76 Diſcorſo IV.
foſſe tra voi alcuno, ſe mai talun di noi aveſſe
dato, o deſſe ancora al ſuo proſſimo un qual
che ſcandalo, deh! non aſpetti a chieder pace
da Dio, quando la pace non ſi dà più. Sebben,
che diſſi, ſe mai vi foſſe! Sì, che vi è , e ſono
io, e ſiete voi. Ah, cari Uditori, e chi è di noi,
che o con qualche parola men cauta, o con qual
che eſempio men buono, o con qualche tratto
men guardingo, o con qualche conſiglio men
retto, chi, diſſi, chi non ha dato al ſuo proſſi
mo un qualche ſcandalo, o domeſtico, o pub
blico? Chi non ha data una qualche moſtra di
queſta nimicizia con Dio ? Se così è, ecco il
tempo di chieder pace, e di ottenerla. Cor
rono giorni di ſalute , giorni di miſericor
die, giorni di grazia, Criſto è nato, per da
re appunto a ſuoi nimici la pace, ed a voce
d'Angioli ce l'eſibiſce: In terra pax hominibus
bona voluntatis. Chiediamola, miei Dilettiſsimi,
ccco Gesù pronto a darcela.
Sì, Gesù caro, io che men di tutti la me
rito, primo di tutti ve la domando. Ecco a
voſtri piedi il peggiore del voſtri nimici: quell'
indegno, quell'ingrato, che ha dati al proſſi
mo tanti ſcandali. Pace vi chieggo, pace a
queſt'anima, che vi ha moſſa una guerra sì
ingiuſta. Deteſto i mali eſempi, che ho dati, e
per quelle piaghe, che adoro ne' voſtri piedi
ſantiſſimi imploro col cuor più contrito il per
dono. Deh mio Gesù, fate, che provi ancorio
gli effetti della voſtra venuta nel Mondo, e
che giacchè ſiete nato per dar la pace ai voſtri
nimici, accordatela ancor a me, indegno sì di
riceverla, ma riſoluto di non romperla più, c
di mantenerla coſtante ſino alla morte. L
- - 0
Nell'Ottava del Santiſſimo Natale. 71 -
Lo ſcandaloſo gran nimico del ". Quan Pos
do quel padron Evangelico inteſe nata nel ſuo roli.
campo inſieme col grano la zizzania, queſto,
diſſe ſubito, queſto è un colpo di man mimica: Matth.
Inimicus homo hoc fecit. Con molto più di ra 13e
gione poſſiamo noi dir lo ſteſſo, Uditori, ri
flettendo alla zizzania maligna, che nel campo
fecondiſſimo della Chieſa a cagion degli ſcanda
li pur troppo alligna: Inimicus homo hoc fecit.
E in fatti egli è del ſuo proſsimo sì fier nimi
co lo ſcandaloſo, che di tutti que mali, che a
danno del proſsimo ordir ſi poſſono da un cuor
maligno, niuno ve n'ha, niuno che poſſa in
gravezza venire al confronto con quelli, che
da uno ſcandaloſo derivano. Togliere a chi vive
negli agi la roba, cd obbligarlo a paſſare in
miſera povertà miſeri giorni, egli è un gran
male, e nol niego: un gran male sfregiare con
nere calunnie un nome illuſtre, e a ſpinte d'im
poſture sbalzar da un ſeggio onorevole chi l'
occupa con tutto il merito: un gran male all'al
trui vita tramare inſidie, e ſaziare col ſangue
innocente una ſete crudele. Tutto vero: eppu
re lo credereſte? Men dello ſcandalo nuocomo
le rapine, men le calunnie, men le ucciſioni: ed
eccone la ragione. Chi ruba , chi calunnia :
chi uccide, non toglie ſe non beni di fortuna,
o di natura: laddove chi ſcandalizza toglie be
ni di grazia: Or ſiccome queſti ſecondi ſono de
primi incomparabilmente più grandi, più eccel
ſi, più nobili, così più di gran lunga ne ſof
fre chi de ſecondi è ſpogliato, che chi de pri
mi. Eh, ch'ella è ben altra diſdetta perdere la
grazia divina, che le ricchezze terrene, perde
re l'amicizia di Dio, che la ſtima del Mon
E 4 - do,
72 - Diſcorſo IV.
do, perdere la vita dell'anima, che la vita del
corpo. Se nimico del proſſimo giuſtamente ſi
giudica chi ne invola le ſoſtanze, nimico del
proſsimo chi ne ſcredita il nome, mimico del
proſsimo chi ne toglie la vita, non dovrà dirſi
gran nimico del proſsimo lo ſcandaloſo, au
tore di perdite ſenza paragone più lagrime
Voli?
Cosi è purtroppo, o ſcandaloſi, nimici voi
ſiete del voſtro proſsimo, peggiori d'ogni ladro
più ingordo, peggiori d'ogni calunniator più
maligno, peggiori d'ogni aſſaſsino più ſcellera
to; e ſe ſi ha da trovare un pari a voi, non
non occorre nò, che ſi cerchi ſu queſta terra,
perchè non v'è, forza è, che cerchiſi nell'In
ferno, ed è il demonio medeſimo: queſto è il
ſolo, che al par di voi è nimico dell' anime,
e voi i ſoli, che lo ſiete al par di lui. E che
ſia così, mettete, Uditori, al confronto ciò,
che a pregiudizio delle anime fa il demonio ,
e ciò che fa lo ſcandaloſo, e ſcorgerete, che
l'uno e l'altro cerca lo ſterminio della divozio
ne, e il trionfo dell'iniquità ; l' uno e l'altro
tenta di alienare dal bene, chi vi è propen
ſo, ed indurre al male, chi n'è ritroſo: l'uno,
e l'altro ha di mira ſovvertire innocenze, corrom
per coſtumi, introdurre abuſi, toglierſeguaci al
la virtù, e dargli al vizio : Tanto in tutti e due
ſono conformi genio e carattere, ſe non che in
qualche maniera può, e dee dirſi peggior del
demonio lo ſcandaloſo: peggiore, perchè il de
monio è un nimico ſcoperto, e da un nimico ſco
perto ognun ſe ne guarda. Lo ſcandaloſo è un
mimico naſcoſto , ed un nimico naſcoſto più
facilmente tradiſce : Peggiore perchè il demo
- e - Il 1O
Nell'Ottava del Santiſſimo Natale 73
mio ſuggeriſce bensì il male, ma non lo in
ſegna; lo ſcandaloſo, e lo ſuggeriſce, e lo
inſegna: peggiore perchè il demonio s'inſinua,
all'interno del cuore, non all'eſterno dei ſen
ſi; lo ſcandaloſo s'inſinua e al cuore e ai ſen
ſi, ed è ſempre tentazion più gagliarda quel
la, che per mezzo dei ſenſi aſſale il cuore. O
1a io così la diſcorro, Uditori: ſe tra i mimici
dell' uomo, ſembra, che il peſsimo debba dir
ſi il demonio, che dovrà dirſi dello ſcandalo
ſo peggiore ancora del peſsimo.
Aggiungete, che da uno ſcandaloſo non ſola
mente ne vengono rovine all'anima, ma ai
corpi ancora, ancora alle ſoſtanze, alle fami
glie, alle Città, e ciò pei flagelli divini, che
gli ſcandali traggono. O quante volte piovon
diſgrazie ſopra una caſa per domeſtici ſcanda
li, e per pubblici ſcandali piovono pure ſo
pra di un regno ! Andate adeſſo, o ſcandalo
ſi, e dite ancora ſe vi dà l'animo, che non ſo
no un gran male quelle burle, con cui ritrae
te dalla divozione chi vi ſi ſente propenſo, quel
conſigli, con cui animate alla vendetta chi in
oſſequio del Vangelo vuol diſsimulare le ingiu
rie: quegli inviti, con cui ſtimolate alla liber
tà chi ama la ritiratezza , quelle mode, con
cui promovete l'inverecondia in chi guſta del
la modeſtia. Voi con queſto rovinate coſcien
ze, appeſtate città, e fin tirate ſu gl'innocenti
dal Cielo i fulmini, e ne parlate come di un
male da nulla? Ah non ne parla già così, chi
da queſto vi ravviſa per i più arrabbiati nimi
ci del voſtro proſſimo!
Che ſe bramaſte ſapere, Uditori, quali poi
di queſti nimici ſieno i più dannoſi, ve lo di
- - - IQ,
A
74 Diſcorſo IV.
rò : e piaccia a Dio, che non ſia a grande on
ta di più di un che mi aſcolta. Sono quelli,
che avendo obbligazione maggiore di dar buon
eſempio, lo danno cattivo. Queſti , sì, queſti
ſono i più dannoſi, perchè i loro ſcandali con
più di ficilità ſi ricevono, e ricevuti laſcian nel
cuore l'impreſſion più profonda. Padri, che in
vece d'iſpirare a figliuoli carità, e manſuetu
di ne, date ſu gli occhi loro in mille ſmanie :
Madri, che invece di riprovar nelle figlie la va
nità, ſiete le prime a praticarla con faſto, che
ſtrage voi fate nella voſtra prole , che or
renda ſtrage! Padroni, che anzi che invigilare
ſu la divozione de' voſtri famigli, date loro a
vedere, che voi ne avete pochiſſima : Padro
ne, che anzi che avere l'occhio ſu i portamen
ti delle voſtre ſerve, le fate complici de' voſtri
intrighi: Capi di bottega, che anzi che inſegna
re con la voſtra pietà la ſantificazion delle feſte
a chi vi è ſoggetto, voi i primi le profanate
con l'ozio, con le intemperanze, co giuochi;
o ſe ſapeſte, che profonde ferite fanno nelle lor
anime i voſtri eſempi ! Che dirò poi di voi, o
lumi del Mondo, Eccleſiaſtici venerabili, nei
quali come idee di ſantità ſtà fiſſo l'occhio del
popolo Ah ſe mai dalla voſtra bocca eſce un
motto men caſto, ſe mai ſi ſcorge nel voſtro
converſare un tratto men ritenuto, ſe mai ſi
oſſerva nel voſtro vivere un tenore men rego
lato, chi può eſprimere gl'influſsi peſtiferi, che
da voi, come da maligni pianeti ſul baſſo vol
go diſcendono. E voi anime più timorate, che
fate a faccia ſcoperta profeſsion di virtù, ſap
iate, che con certi voſtri difetti fate ancor voi
alta piaga nello ſpirito del voſtro proſsimo. I
- difetti
Nell'Ottava del Santiſſimo Natale. 75
difetti ſono piccioli, vel accordo, ma non ſo
no di picciole conſeguenze. Da quel poco ma
le, che fate voi, prendono cuore gli altri a
farne molto di più , ed è un più , a cui date
voi occaſione col voſtro poco. Deh guardiamci
cari uditori, di non far mai numero con sì
dannoſi nimici del noſtro proſsimo, e per guar
darcene con ſicurezza, appigliamci all' avviſo
dell' Appoſtolo, il quale ſin dalle coſe di ſua
natura permeſſe, vuol, che i fedeli ſi aſtenga
no, quando da quelle ne può naſcere ſcanda- .
lo: ond' è, che ſcrivendo ai Corinti, mai non
ſarà, dice loro, che io faccia coſa, che poſſa
in qualche modo eſſere a miei fratelli occa
ſion di rovina, e ſe il paſcerſi di quel cibi,
che a falſi numi ſi ſono offerti, può dar nell'
occhio, ſieno queſti quanto ſi voglia permeſſi,
non me ne paſcerò in eterno: Si eſca ſcanda. 1 Cor.B
lizat fratrem meum , non manducabo carnem
in eternum. Ecco, Uditori la regola, ecco la
riſoluzione, che ci dee ſtar fiſſa nell' animo:
coſa che rechi ſcandalo, mai in eterno: Poſſo
no certe mode eſſer d' inciampo a un occhio
caſto, tanto baſta : Sieno permeſſe quanto ſi
voglia, non le ſeguirò mai in eterno; quell'
appartarſi nelle aſſemblee a parlare da ſolo a
ſola, può eccitar ſe non fuoco, almeno fumo,
e fumo tale, che offenda anche l'occhio di chi
l'oſſerva, tanto baſta: Sia pur vero, che l'in
tenzione non è cattiva; non lo farò mai in e
terno. Certe viſite poſſono dar luogo a ſoſpet
ti, tanto baſta: Sia pur vero , che non vi è
male, non le farò , non le riceverò io mai
in eterno. Così, dilettiſſimi, dee ſentirla ogni
Criſtiano, così la dee diſcorrere; e non ſa ".
l
76 Diſcorſo IV,
ſi pace l'Appoſtolo, che verſo il proſſimo non
ſi nodriſcan ſentimenti sì giuſti: Che durezza,
dic'egli, che crudeltà è codeſta ? Avrà dunque
a perire per tua cagion un tuo fratello, per cui
ſalute Criſto è nato, per cui riſcatto Criſto è
Ibid, morto ? Et peribit infirmus in tua ſcientia,
frater, propter quem Chriſtus mortuus eſt: Cri
ſto ha fatto quanto ha potuto per dargli vita,
e tu, crudele, fai quanto puoi per dargli mor
te? Contro un fratello un tratto sì barbaro? e
qual nimicizia vi può mai eſſere al par di que
ſta? Ah, cari Uditori, ſe a queſte voci non
prendiam orrore allo ſcandalo, quando lo pren
deremo? quando, miei dilettiſſimi, quando?
O Gesù caro, non permettete, che di un
male sì grande non ſe ne abbia l'orrore, che
merita. Recare al proſſimo un danno tale, che
il demonio medeſimo non gliene può recare
un maggiore; e non ſarà queſto un male da
inorridirne? Ah sì, mio Gesù, sì, che al ſolo
penſarvi ne inorridiſco, e non ſo come ancora
io abbia cuore di ſtarmene avanti a voi: Che
non avete voi fatto per ſalvare il mio proſſimo,
e io co miei ſcandali, che non ho fatto per
perderio! Nò, mio Gesù, non dovrei più com
parire alla Divina voſtra preſenza; ma animato
dalla bontà voſtra infinita, mi preſento al Tro
no della voſtra clemenza, inorridito, confuſo,
pentito dei paſſati miei ſcandali. Deh per quelle
Piaghe, che adoro nelle voſtre Mani ſantiſſime,
concedetemi, vi ſupplico, un miſericordioſo
perdono. Vi prometto, che quanto per lo paſ
ſato ſono ſtato facile a ſcandalizzare il mio
roſſimo, altrettanto ſarò attento ad edificarlo
nell'avvenire,
Lo
Nell'Ottava del Santiſſimo Natale. 7 rrrra
Lo ſcandaloſo gran mimico di sè medeſimo, Pt: N -
Tutto che ogni peccatore debba dirſi nimico TO IIIa

di sè medeſimo, ciò però più che d'ogni al


tro, ſi avvera di un peccator, che dà ſcandalo.
Imperocchè, queſto non ſolo arma di sè la ma
no ſua propria, ma quella ancora degli altri,
e di tante ferite ſi carica, quante ſono e le ſue
colpe, e le altrui da sè cagionate. Quindi chi
può ridire le innumerabili piaghe, di cui va
lordo. Quanti diſordini naſcono da un ſolo e
ſempio cattivo ! e tutti cadono ſu chi lo diede;
da una rea maſſima quante peſſime conſeguen
zel e tutte attribuiſconſi a chi ſuggerilla; quan
te impuriſſime fantaſie da una pittura immo
deſta! e n'è di tutte colpevole, chi la tien in
veduta; quante fiamme d'indegno amore da un
poema laſcivo, o da un luſinghevol romanzo!
tutte ſono imputabili a chi lo preſtò, quante
diſſenzioni da un rapporto maligno ! ed è reo
di tutte chi lo fece, quante ommiſſioni di ſante
opere da un motteggio ſatirico, ed empio ! e
van tutte a conto di chi lo diſſe. Or qual mag
gior moſtra può uno dare di nimicizia contro
sè ſteſſo, che il far che militi a ſuo proprio ſter
minio l'altrui malizia; e quaſi che a fabbricar
ſi la ſua rovina non baſtaſſero le proprie colpe,
volere in ajuto le altrui.
Foſſero almeno facili a rimarginarſi coteſte
piaghe, che vengono allo ſcandaloſo dall'al:
trui mano. Ma quì è, dove più ancora fa egli
conoſcere quanto ſia nimico di sè, perchè il
male, che per mezzo de' ſuoi ſcandali ſi cagio,
na, difficilmente riparaſi. Infino a tanto che
il peccato tutto ſi ferma in chi lo commette,
il riparo è più facile: Uri ravvedimento ſinee
IO,
a v
73 Diſcorſo Ipº -

ro, un dolor efficace, un contrito Peccavi ſal


da la piaga, ma quando paſſa anche in altri la
colpa, quanto è malagevole il porvi rimedio!
Un incendio, che con poco ſi accende, non ſi
eſtingue con poco se ſe a trarre un'Anima
fuor del retto ſentiero una parola è più che ba
ſtevole, non baſtan mille a ricondurvela. Che
ſe lo ſcandalo ſi è diramato nella moltitudine,
ſe ha sfiorato il candore di tradita innocenza,
ſe ſi è radicato in chi l' appreſe, con qualche
mal abito, qual riparo vi può mai eſſere, qual
riparo ! Ah non ſenza ragione tremava nel pun
to della ſua morte quel Berengario già ereſiar
ca famoſo, e poi compuntiſſimo penitente: De'
peccati, diceva, che ho io commeſſi, la peni l
tenza, che ne ho fatta, mi fa ſperare il perdo
noi ma de peccati, ch'altri han commeſſi per
cagion mia, o quanto temo d'averne a rende
re ſevero conto! Ed è pur troppo così, ſog
giunge quì il Belluacenſe: Scoſſo già il peſo
delle tue dolpe, può accader, che ti opprima
il carico delle altrui: Fortaſſe peccatum te gra
vabit alienum, cum deletum fuerit tuum. Giu
dicate ora, Dilettiſſimi, ſe non è un farla da
gran nimico di sè, il renderſi che fa lo ſcan
daloſo reo di un male, non ſolo graviſſimo,
ma preſſo che irreparabile. -

Eppure vi è ancora di più, e di peggio: ed


è la pena, che dee lo ſcandaloſo aſpettarſi, pe.
ma proporzionata, non dico già ſolo a peccati
ſuoi perſonali, ma a tutti ancora gli altri pec
cati, che avranno avuta da ſuoi ſcandali in qual
che maniera l' origine. Leggiamo nell'Eſodo
regiſtrata una legge, con cui Dio ordinava,
che ove mai in mezzo al campo avvi"
Q11G
Nell'Ottava del Santiſſimo Natale. 79
foſſe la bionda matura meſſe, dov ſe in pena
rifarne il danno chi aveſſe o per incuria, o per
fxod,
malizia acceſo il fuoco. Si egreſſus ignis com a ha
prehenderit ſtantes ſegetes in agris, reddet da
mnam, qui ignem aetenderit. Or ſul tenore d'u-
na legge conſimile ſarà giudicato, ſarà condan
nato lo ſcandaloſo. Per la tua lingua entrò in
caſa la diſſenzione, diſſenzione, che poi produſſe
mille freddezze nel parentado, mille mormora
zioni nel vicinato, mille dicerie per la Città, di
tutto foſti l'autore di tutto hai a portarne la pena?
Reddat damnum, qui ignem accendit. Per l'im
modeſtia del tuo veſtire ſpiccaronſi dagli occhi
altrui tanti ſguardi licenzioſi. Si annidarono nell'
altrui mente tanti penſieri lordiſſimi. Si acceſi
ſero nell'altrui cuore tante impuriſſime bramet
Tu foſti d'incendio sì rovinoſo il mantice in
degno, tu pagane il fio: Reddat damnum. Mira
laggiù quelle anime, che tra fiamme deſolatri
ci diſperanſi; quella fu ſovvertita da tuoi eſem:
i: quell'altra da tuoi diſcorſi: quella laſciò il
n che faceva, perchè derideſti la ſua pietà:
i" altra vacillò nella fede, perchè metteſti in
ubbio punti di religione: Ardono le infelici, e
arderanno per ſempre; ma tu come ſei della
lor colpa, e della lor pena l'iniqua cagione,
ne farai dell'una, e dell'altra a tue ſpeſe lo
ſconto: reddat, reddat damnum. Miſri ſcanda
loſi! Se aveſte a ſcontare i ſoli voſtri peccati già
ſarebbe graviſſima la voſtra pena: or che ſarà
dovendone ſcontare ancora tanti altri, de qua
li ſolo Dio ne ſcorge l'immenſo numero. Ep.
pure tant'è, vedete. Nel proceſſo che un dì ſi
farà, troverete ſcritto di voi quei due capi d'
accuſa, che leggiamo ſcritti di Geroboamoi
Pecoa
35 Diſcorſo II.
3. Reg. Peccavit, di peccare fecit: e ſiccome quell'emº

l
pio Re
chè fu daquia
peccò, Diopeccavit,
rigoroſamente
e moltopunito, e per
più perchè
-- -

fu cagion di peccato; quia peccare fecit: così


ancor voi piombar vi ſentirete ſul capo un dop
pio fulmine, l'uno che punirà in voi i pec
cati, che commetteſte, l'altro che punirà in voi
i peccati, che faceſte commettere, -

Ne fia ſtupore, Uditori, che andar ne deb


ba dallo ſdegno divino sì malconcio lo ſcan
daloſo; nimico ch egli è di tutti, ha tutti al
tresì nimici di sè, e come già d'Iſmaello, così
ancora di lui ſi può dire: Manus ejus contra o
Gen 12 mnes, manus omnium contra eum. Sì, manus o
mnium contra eum, perchè tutti contro di lui
gridan vendetta; la gridano le anime ſovvertite;
la grida la Chieſa lor Madre, la gridano gli
Angiolilor tutelari; la grida Criſto lor Redento
re: e la vendetta, che contro lui da tutti ſi gri
da, già per bocca di Oſea ha Dio giurato di
farla nel punto della ſua morte: Occurram eis
oſ º quaſi urſa raptis catulis. In quella guiſa, dice
Dio, che un orſa tutta furia ſi avventa contro
chi le ha rapiti i ſuoi teneri parti, e lo afferra,
e lo addenta, e lo sbrana, tale mi farò io all'in
contro dello ſcandaloſo, che muore, e tutto
ſdegno nella voce, e nel volto, e nel cuore,
fulminerò l'anima micidiale, e la precipiterò
negli abiſſi: Occuram ei quaſi urſa raptis catu
lis. Ora ſe tali ſono i tuoni delle minacce, che
all'orecchio dello ſcandaloſo rimbombano, ſe
tali ſono i fulmini de gaſtighi, che ſul di lui
capo ſi ſcagliano, non ho io ragion di dirlo,
e di crederlo il maggior nimico di sè medeſimo?
Eppure quanti ve n'ha di queſti mimici di ſe,
- - - che
l
Nell'Ottava del Santiſſimo Natale. 31
che nulla badando alle colpe, di cui ſi aggra
vano, nè alle pene, a cui condannanſi, nè ai
gaſtighi, che loro ſovraſtano, mai non ceſſa
no di appeſtare col loro ſcandali le caſe, in cui
albergano, le compagnie, con cui trattano, e
fin le Chieſe, in cui entrano. O ciechi , che
non veggono l'orrido precipizio, che ſi lavo
rano ! Ben altrimenti la ſente chi è ſcorto da
miglior lume. S. Pier Damiani, perchè talvol- , . .
ta uſcito gli era di bocca qualche motto pia- fi:
cevole, che meſſo avea ne' circonſtanti riſa in
nocenti, o mio Dio, dicea piangendo, che
ſarà mai di me nel tremendo voſtro giudizio !
Se a chi ride voi minacciate guai terribili: Ve
vobis, qui ridetis, che ſarà di me! che ſarà di
me, che non ſolo ho riduto, ma fatto ridere
ancora gli altri! Ah, dilettiſſimi, ſe ad un'om
bra di ſola ſcandalo tanto tremano i Santi, come
non tremerà chi porge al proſſimo veri ſcan
dali, o con iſconcie parole, o con equivochi
motti, o con liberi tratti, o con mode immo
deſte, o con traſporti furioſi, o con deridere la
pietà, o con vantarſi del vizio, o con diſſua
dere le opere buone, o con perſuader le catti
ve: Come non tremerà ? Con qual fronte po
trà preſentarſi al Tribunale divino ? Quale ſcam
po ſperar potrà dall'ira, implacabile del divin
Giudice? Deh, cari uditori, riconoſciamo una
volta, riconoſciamo il gran male, ch' egli è lo
ſcandalo; e co ſentimenti di S. Bernardo dicia
mo ancor noi: Morire piuttoſto, morire piut
toſto, che dare mai uno ſcandalo.
Sì, mio Gesù, morire piuttoſto, che dare
mai uno ſcandalo, ah, che fin ora non ho mai
ben conoſciuti i diſordini di un sì gran male!
Tomo IV. A nno IV. E Nò,
82. Diſcorſo IV.
Nò, mio Gesù, non gli ho mai ben conoſciu
ti. Ora sì li conoſco, e buon per me, che li
conoſco prima di preſentarmi al Tribunale di
voi, mio Giudice. Vi ringrazio, mio buon Ge
sù, dei lumi datimi queſta ſera. Deteſto di tut
to cuore i paſſati miei ſcandali, e per la piaga,
che adoro nel ſagroſanto voſtro Coſtato, vi
ſupplico a perdonarmi non men le mie, che le
altrui colpe, di cui ſon reo: Ab occultis meis
munda me, e ab alienis parce ſervo tuo. So
no pronto prontiſſimo a morire piuttoſto, che
mai più dare uno ſcandalo. Si, mio Gesù, ve
lo proteſto con tutta la ſincerità del mio cuo
re: Morire piuttoſto, che mai più dare uno
ſcandalo. -

o(S&ESSESS&s=SS 3S S-SES)o
D I S C O R S O V.
PEL GIORNO DELL'OTTAVA DE SANTI
IN NO CE NT I.

Conformità a voleri divini.


o(=)o
Angelus Domini apparuit in ſommis Joſeph, dicens:
ſurge, ci accipe puerum, 6 Matrem eſus, cº
fuge in AEgyptum. Matth. 2.
S.S, SA E mai altra volta, uditori, vi ho ac
-

3 S ; cennato mezzo ſicuro di accertar ſan


A ta in un con la vita la morte, egli
ºa º S è certamente queſta ſera, in cui da
un'eroica ſommiſſione ai divini vo
leri, traggo con l'argomento del mio
- - - - -
sitº
l
Pel giorno dell'Ottava dess Innocenti e,
il trattenimento della voſtra pietà. Ecco là nel
la povera caſa di Nazaret tra le notturne più
ſolte tenebre meſſaggero celeſte, che intima in
un ſogno a Giuſeppe, eſſer voler di Dio, che
col pargoletto Gesù, e la ſua tenera Madre fug
ga ſenza indugio in Egitto : Angelus Domini
& c. e quel ch'è più, ſenza che ſi prefigga alla
benoſa dimora alcun termine, ſe gl'ingiunge
li non penſare al ritorno ſino nuovo ordine: E
ſto ibi, uſque dum dicam tibi. Dura intimazio
ine dover partir dalla patria, e partir ſubito,
ſenza neppur aſpettar un raggio di Sole, che
riſchiari la via, dover eſporre agli incomodi di
un lungo travaglioſiſſimo viaggio un bambino
sì tenero, e una madre sì delicata; doverſi cer
car ricovero in paeſe ſtraniero, ſconoſciuto, i
dolatra, ſenza ſaper quando avrà termine il di
ro eſiglio! Giuſeppe contuttociò non ſi ſcuſa,
non moſtra difficoltà, non frappone dimora :
Sommette alle ordinazioni del cielo umile il
capo ; e volendo null'altro, che quel che Dio
vuole, ſtringe al ſeno il caro pegno alla di lui
cura commeſſo, e in compagnia della vergine
ſpoſa, con la provvidenza per guida, al gran
de viaggio ſi accinge. Gran virtù di Giuſeppe,
ma inſieme grande iſtruzione, che queſto San
to protettore, ch' egli è della buona morte ,
ha col ſuo eſempio laſciata a chiunque brama
di ben morire. La raſſegnazione, uditori, ai di
vini voleri è ſtata mai ſempre uno de mezzi
e più ſicuri, e più facili per ſantificare il cor
ſo ugualmente, che il termine dei noſtri gior
ni: e di queſta vorrei, che ad imitazione del
Santo noſtro Avvocato ne proccuraſſimo nelle
vicende sì varie di noſtra vita, coſtante più che
R 2 poſſia
34 Diſcorſo V. -

poſſiamo la pratica. So, che il conformarſi mai


ſempre alla volontà ſovrana di Dio ci obbliga a
fare della noſtra volontà un ſagrifizio continuo:
Lo ſo, ma queſto ſagrifizio medeſimo, che del
la noſtra volontà faſſi all'Altiſſimo, tanto non
dee ritrarci, che anzi debb'eſſere a noi il più ef,
ficace motivo di raſſegnarci in tutto, e ſempre
ai divini voleri. Primo, perchè non può farſi
ſagrifizio più nobile, lo vedremo nel primo pun
to: Secondo, perchè non può farſi ſagrifizio più
vantaggioſo, lo vedremo nel ſecondo punto:
"Terzo, perchè non può farſi ſagrifizio più ſoa
ve, lo vedremo nel terzo punto. Cominciamo.
Pe Non può farſi ſagrifizio più nobile. Non può
"i negarſi, Uditori, che non ſia tanto più nobile
º “ un ſagrifizio quanto quel bene, che a Dio ſi
offre, ſi è più pregievole. Così più di quel di
Caino fu nobile il ſagrifizio d'Abele, perchè più
di quelle del primo erano pregievoli le vittime
del ſecondo; e più ancora di quel di Abele fu
nobile il ſagrifizio di Abramo, perchè incom
parabilmente più di un Agnello era pregievole
un figlio unigenito. Ora egli è certo, che tra
i beni, che ha l' uomo, quel che più merita
pregio ſi è la volontà: perchè queſta dotata,
ch'ella è di libertà perfettiſſima, la fa nell'uo
mo da ſovrana, che regna; ella riſolve, ella co
manda, ella accetta, ella rifiuta, ella ama, ella
odia: e di tutti gli altri beni sì eſteriori, che
interiori dell'uomo, ella come arbitra ne diſpo
ne. Sicchè ove queſta con pienezza di ſommiſ
ſione alla divina volontà talmente conformiſi,
che ſpogliandoſi d'ogni ſuo volere, altro voler
più non abbia, che quel di Dio; chi non ",
GhG
Pel giorno dell'Ottava de'SS. Innocenti. 85
che viene con queſto a farſi a Dio un ſagrifizio il
più degno, che far ſi poſſa dall'uomo, perchè
fagrifizio della miglior parte dell'uomo. Sebbe
ne, che diſſi, della miglior parte dell'uomo,
doveva dire di tutto l'uomo. Imperocchè chi
altro non vuole, che quel, che vuol Dio, dà
chiaramente a conoſcere, che de' ſuoi beni, de
ſuoi ſenſi, delle ſue potenze altro uſo non vuole
ſe non quello, che vuole il medeſimo Dio; ſic
chè qualora con cuor ſincero diciamo a Dio,
facciaſi, o Signore, il voler voſtro, in realtà gli
diciamo, che di quanto noi ſiamo, di quanto
abbiamo ne diſponga come a lui piace. Prova
chiariſſima, che a Dio con un ſagrifizio il più
nobile, che idear mai ſi poſſa, tutto l'uomo con
ſagraſi. Un bel ſagrifizio, non lo niego, ſi è
quello dell'oro, qualora ſi ſoccorrono poveri:
Un bel ſagrifizio quel dell'onore, qualora ſi ſof
fre pazientemen e un'ingiuria: Un bel ſagrifizio
quel della roba, qualor ſe ne tollera generoſa
mente la perdita; ma queſti ſono ſagrifizi di coſe,
che ſono bensì dell'uomo; ma non ſono l'uomo
medeſimo: Un bel ſagrifizio ſi è quel dell'oc
chio, quando raffrenaſi negli ſguardi, quel della
lingua, quando ſi modera nelle parole, quel del
la mano, quando ſi regola ne ſuoi tratti, quello
del corpo, quando ſi affligge con penitenze,
quello dell'intelletto, quando cattivaſi in oſſe
quio della fede, ma queſti ſono ſagrifizj dell'uo
mo sì, ma non più, che d'una parte dell'uo
mo: Il ſagrificare all'Altiſſimo tutto l'uomo,
egli è vanto unicamente d'una volontà, ch'è oſ.
ſequioſa a quanto Dio diſpone; tutto adora con
umiltà, tutto accetta ſenza riſerva; onde forza
è confeſſare, che fra tutti i ſagrifizj, che dall'
F 3 ll OIIl Q
36 Diſcorſo V.
uomo ſi fanno, queſt' è il più bello, il più de
gno, il più riguardevole.
Ma più ancora ne ſcorgerete il ſuo pregio, ſe
rifletterete, che con queſto ſagrifizio della no
ſtra volontà daſsi a Dio la moſtra più generoſa
dell'amor noſtro. Non aver mente, che per Id
dio, non aver cuore, che per Iddio, non aver
lingua, non aver occhio, non aver mano, che
per Iddio, non è egli il ſommo a cui giunger
poſſa l'amore: Or chi altro non vuole, che quel
che vuol Dio, non è egli vero, che al divino
beneplacito tutti ſubordina i ſuoi penſieri, i ſuoi
affetti, le ſue parole, le ſue azioni? Dove Dio
vuole, che ſi ami, egli ama, dove vuol, che
ſi odj, egli odia, dove vuol, che ſi fugga, egli
fugge, dove vuol, che ſi operi, egli opera. Sono
doloroſe le malattie, ma ſe Dio vuol, che le
ſoffra, le ſoffrirò; è penoſa la povertà, ma ſe
Dio vuol, che in caſa mia l'alberghi, l'alber
gherò; ſono moleſte le traverſie, ma ſe Dio vuol,
che le accetti, le accetterò: Voglio in ſomma
quel, che Dio vuole, e quel, che Dio non vuo
le, neppur io lo voglio. E qual prova, Udito
ri, qual maggior prova può darſi di amor ſin
cero? Eadem velle, ſcriſſe Girolamo, eadem
molle, ea demum firma amicitia eſt. Carità più
fina, e più ſoda non può trovarſi di quella,
che ha il volere medeſimo, ed il medeſimo non
volere di quel Dio, che amaſi. E ſe al dire di
Gregorio il grande, il ſaggio più indubitabile
dell'amore ſi dà coll'opere: Probatio dilectionis
exhibitio eſt operis; chi più coll'opere moſtra di
amare, che colui, che in tutto quello, che fa,
che dice, che penſa, altro ſcopo, altra mira
non ha, che d'incontrare, che d' eſeguire il di
- V1n
Pel giorno dell'Ottava de'SS. Innocenti. 87
vin volere ! quanto però forza è dir, che ſia no
bile quel ſagrifizio , che dalla più nobile delle
virtù , che lo anima, prezzo e luſtro riceve !
In fatti tal fu la ſtima, che di sì nobile ſagri
fizio fece mai ſempre l'Incarnata Sapienza, che
con queſto cominciò la ſua vita mortale, pro
ſeguilla con queſto, con queſto la terminò. Oſ
ſervate: era in impegno di placar l'ira del divin
Padre, e ripararne l'onore involatogli dalla ribel
lione dell'uomo. Che fece pertanto? Giacchè al
tre vittime non eran valevoli al grande intento;
preſo che appena ebbe ſu queſta terra l'albergo,
gli fè della ſua volontà un generoſo compitiſſi
mo ſagrifizio: In capite libri, così con ſenſi pro-Pſ 29:
fetici parlò a di lui nome il Salmiſta, ſcriptum
eſt de me, ut facerem voluntatem tuam. Con
queſta medeſima conformità , con cui die le
moſſe al vivere, corſe poi tutto l'arringo dei
giorni ſuoi, e ſe bambino vagì tra faſce, ſe paſsò
nell'Egitto l'infanzia, ſe occupò tra i lavori d'u-
na officina l'adoleſcenza, ſe faticò, ſe ſudò,
ſe ſoffrì, tutto fu in dipendenza del voleri del
Padre: Que placita ſunt ei, facio ſemper, con º
eſpreſſa proteſta di mai non cercare in che che
ſia la ſua propria volontà: Non quero volunta Id. so
tem meam, ſed voluntatem eſus, qui miſit me.
Anzi tanto eragli a cuore il fare non altro, che
la volontà del ſuo Padre, che chiamava queſto
il ſuo cibo: Meus cibus eſt, ut faciam volunta º º
tem eius, qui miſit me. E ſe inſegnò le doman
de, che far doveanſi a Dio, una delle prima
rie volle, che foſſe : Fiat voluntas tua. Se di Matth.
a conoſcere chi più avrebbe impegnati gli af º
fetti ſuoi; qui fecerit, diſſe, voluntatem Patris Iaia,
tici, qui il calis eſt, ipſe vº,frater, ci ſoror,
- - --
- 4, &
33 piſcorſo IV.
& mater eſt. Se additò a chi cercolla la ſtrada
vera del Cielo: Qui fecerit, riſpoſe, voluntatem
Id. 7e Patris mei, qui in carlis eſt, ipſe intrabit in re
gnum celorum : Che più ! lo ſteſſo ſagrifizio, che
fè ſulla Croce con laſciarvi tra mille ſpaſimi la ſua
vita, intanto lo volle, in quanto lo volea il ſuo
Id. 26. Padre: Non ſicut ego volo, ſed ſicut tu, e il ſuo
finire di vivere altro non fu, che un dar termi
ne a quel ſagrifizio, a cui dato avea princi
pio nel cominciar della vita: Factus obediens
a. Phil.
3. uſque ad mortem. Neghi ora chi può, ch ei non
ſia il ſagrifizio più nobile, che far ſi poſſa quel
lo, di cui l'eterno Unigenito con volerlo ſem
pre in ſe ſteſſo, ne moſtrò ſtima sì grande.
E ſe è così, ſaravvi, Uditori, tra noi chi non
ſi animi a fare a Dio un ſagrifizio sì degno ?
ſaravvi chi non riſolva d'interamente ſommet
tere alla volontà divina la ſua è Noi andiamo ta
lor cercando, che coſa far ſi potrebbe di gloria
di Dio, di ſervigio di Dio, di piacere di Dio.
Eccolo, miei dilettiſſimi, in poche parole : Di
ciamogli, ma di vero cuore con tutta la ſince
rità: Fiat voluntas tua, Signore, ſi eſeguiſcano
circa di me i ſovrani voſtri voleri, e credetemi,
che in queſto, che pare a prima viſta sì poco,
avremo detto, e fatto moltiſſimo: diſſi di cuore,
e con tutta la ſincerità ; perchè chi vi ha, che
non dica, e più volte ancora ogni giorno: Fiat
voluntas tua. Ma quanto è dalla lingua diverſo
il cuore! Dio non vuole le vanità, e voi le vo
lete; Dio non vuole certe libertà, e voi le vo
lete; Dio non vuole quell'antipatia, e quelle
avverſioni, e voi le volete; Dio non vuole quel
la vita sì diſſipata, e voi la volete, e poi ſi ha
da credere, che voi dite con tutta la fin" C
Pel giorno dell'Ottava de'SS. Innuoenti. so
del voſtro animo: Fiat voluntas tua. Queſto è
burlar Dio, cari Uditori, mentre con opere to
talmente contrarie alle parole, nel tempo ſteſ.
ſo, che moſtriam di bramare, che ſi faccia la
ſua volontà , ſiamo più che mai ſaldi in fare
la noſtra. Chi parla ſinceramente , ſapete, che
intende egli dire, qualora dice: Fiat volun
tas tua ? Intende dire: Signore, ſi faccia in o
gni tempo, in ogni occaſione, in ogni coſa il
voler voſtro, non ſi riguardi nè a ciò, che chie
dono le mie paſſioni, nè a ciò, che deſidera il
mio amor proprio: Altro riguardo non bramo,
che ſi abbia, ſe non quello del piacer voſtro;
ſano, che mi vogliate, o infermo, in povertà,
o in ricchezze, tra proſperità, o tra diſgrazie,
in allegrezza, o in lutto, a me baſta ſapere qual
ſia il voler voſtro, perchè ſarà ſubito il mio.
Voglio quel ſolo, che voi volete: E per que
ſto appunto lo voglio, perchè voi lo volete:
Fiat voluntas tua. O queſto sì, dilettiſſimi, ch'e-
gli è parlare con ſincerità; queſto è cercare con
iſchiettezza il ſolo voler divino. Queſto è quel
degno, quel nobile ſagrifizio, che ſi fa di noi
all'Altiſſimo, ma in realtà la penſiam noi così,
quando diciamo fiat voluntas tua? Sono queſti
i ſentimenti del noſtro cuore ? Eſaminiamoci un
poco, miei dilettiſſimi, mettiamo un poco al
confronto il cuor con la lingua: Vanno o non
vanno d'accordo è ciò che a voi ne ſembri, io
nol ſo.
So bene, o mio Gesù, che io ho non poco a
confondermi a un tal confronto, dico, è vero,
e dico ſpeſſo, che la volontà voſtra ſia fatta: Fiat
voluntas tua: ma intanto, ſe ben rifletto, voglio
fatta la volontà mia, e non la voſtra, ºCSll ,
buon
9e Diſcorſo V.
Gesù, quando ſarà ch'io vi faccia di me un ſa
rifizio perfetto! quando, quando ſarà, che alle
ſovrane voſtre diſpoſizioni interamente ſommet
tami! Deh, per quelle piaghe, che adoro ne'
voſtri piedi ſantiſſimi, datemi grazia, ch'io co
minci queſta ſera a non cercare, a non bramare
mai altro, che il ſanto voſtro volere. Sicchè ſpo
gliandomi affatto della mia volontà per fare uni
camente la voſtra, dir poſſa nell'avvenire, come i
mi protetto di dirlo adeſſo col cuore ugual
mente, che con la lingua: Fiat voluntas tua, fiat,
sa-fiat.
Pos. Non può farſi ſacrifizio più vantaggioſo. Pri
iro II, ma, che in queſto punto m'inoltri, è da ſup
porſi, Uditori, quel principio indubitabile di no
ſtra fede, che quanto in queſto Mondo avviene,
eſcluſone ſolo il peccato, tutto avviene per diſ
poſizione ſovrana di Dio. Se quello è ſano, quell'
altro infermo; ſe quello è povero, quell'altro
ricco; ſe quello giunge a pel canuto, e muore
quell'altro nell'età bionda, tutto a Dio dee at
a Eccl.tribuirſi, perchè di tutto n'è Dio l'autore: Bona S
mala, vita, 6 mors, paupertas, 6 honeſtas
a Deo ſunt, ne fa fede infallibile l'Eccleſiaſtico,
Quelle coſe medeſime, che a noſtro giudizio
effetti ſono del caſo, poſſono bensì dirſi caſuali a
riguardo di noi, ma non già mai a riguardo di º
Dio: Che vi ha di più caſuale, che un elezio
ne fattaſi a ſorte, qual già fu l'elezione di Saul
lo al Regno, e di Mattia all'Appoſtolato. Ep
pure ogni elezione fattaſi a ſorte, è elezione vo
luta da Dio, che maneggia com'egli vuole le
Prov, ſorti: Sortes mittuntur in ſinum, ſed a Domino
temperantur, lo diſſe il Savio. Che più º quel
mali medeſimi, che ci avvengono per altrui
- colpa,
Pel giorno dell'Ottava de'SS. Innocenti. 91
colpa, tutto che Dio non li voglia come col
pa, che ſono degli altri, li vuole però come
mali, che ſono di noi. Quel mal umor vi mole
ſta, quel maligno vi perſeguita, quel ſuperbo
vi opprime, quell'avaro vi anguſtia, quel vendi
cativo vi colpiſce, Dio è, che vi manda quella
moleſtia, quella perſecuzione, quell' oppreſſio
ne, quell' angheria, quel colpo, e tutto, che
non voglia egli, ma ſol permetta l'altrui pec
cato, vuol però dell' altrui peccato ſervirſi a
voſtri afflizione, ſia in prova dalla voſtra vir
tù, ſia in gaſtigo de' voſtri falli. Tanto che, ſia
ſi qual ella ſi voglia la cagione immediata
del voſtro male, è ſempre vero, dice Amos Pro
feta, che eccettuato il peccato non vi è ma
le , che non venga da Dio: Si eſt malum in ci -
vitate, quod non fecerit Dominus. Nè ſolamente”
avviene per la divina ordinazione ogni coſa,ma av
viene in modo, che il diſpoſto da lui, non è punto
in man moſtra l'impedire, che avvenga. Si ricalci
tri quanto ſi vuole ; vogliaſi, o nò, ciò che Dio
ha ordinato ha da eſſere: In ditione tua cunctaº -
ſunt poſita, º nemo eſt, qui poſit tua reſiſtere
voluntati. Ciò ſuppoſto, Uditori, che non ſi può
in verun conto metter in dubbio, non è egli van
taggio noſtro, e gran vantaggio, il far della no
ſtra volontà un ſagrifizio all'Altiſſimo? Se quanto
ci avviene tutto è diſpoſto da Dio, e diſpoſto
in modo, che l'impedirlo non è in noſtro arbi
trio, non tornaci a conto, miei Dilettiſſimi, far
cene un merito, con accettarlo dalla ſua mano,
e raſſegnarci ſubito a ſuoi voleri ? Perchè vo
gliamo noi con una inutile ripugnanza perdere
quell'immenſo guadagno, che far poſſiamo con
tina puntual ſommiſſione? E chi può epi"
- gli
\
92 Diſcorſo V.
gli acquiſti grandi, che far ſi poſſono; e di gra
zia in queſta vita, e di gloria nell' altra, qua
lora o al giungerſi di un diſguſto, o al ſorpren
derci d'una diſgrazia, anzi, che vendicarci del
Proſſimo, o brontolar contro Dio, diciam con
Giobbe: Sicut Domino placuit ita fattum " , ſit
fob, I» nomen Domini benedictum. Così Dio ha diſpoſto,
ſien benedette per ſempre le ſue giuſtiſſime ordi
nazioni: Or pare a voi, Uditori, piccol van
taggio il far sì, che la neceſſità paſſi in virtù , e
che un oggetto, che non è di noſtra elezione,
divenga argomento di noſtro merito?
Ma queſto è poco: dico di più, che tanto ſi
dee premere il ſommettere a Dio ogni noſtro vo
lere, quanto l'aſſicurare in ogni coſa il vero
noſtro vantaggio; perchè ſebbene tutto ci av
venga per diſpoſizione divina, nulla però ci av
viene, che non ſia da Dio ordinato a pro no
ſtro. E chi non ſa, che quella Provvidenza ſo
vrana, che veglia al governo univerſale di tutti,
e particolar di ciaſcuno, altra mira non ha, nè
può avere, che la pubblica, e la privata felicità,
Se queſto è proprio d'ogni governo ben regolato
di queſta terra, quanto più dee ciò dirſi di quel
governo, ch'è fra tutti il più ſaggio, il più giu.
ſto, il più provvido: Maſſimamente, che il go
verno, che ha Dio di noi non ſolo ha per mente
una ſapienza infinita, ma ha ancora per cuore
una infinita bontà: Sicchè quanto è certo, che º
ſa ciò, che al bene di tutti, e di ciaſcuno con è
viene, altrettanto non può dubitarſi, che non lo
voglia. E' vero, che all' occhio noſtro, che mal
diſcerne molte coſe , ch'egli ci manda, non ſem
bran buone, ma il bene, che in eſſe noi non
vediamo, lo vede ben cgli, e perchè erº" Q
Pel giorno dell'ottava de' SS. Innocenti 53
lo veda, ce lo proccura. Quella indiſpoſizione vi
crucia, e non ſapete darvene pace: ma Dic la
vuole, perchè vuole con queſta diſtaccare dal
Mondo il voſtro cuore; quel trattato ſi è rotto,
e voi piangete, avete torto: o ſe ſapeſte quanti
guai, quanti diſguſti vi ha Dio riſparmiati con
queſto colpo! chi non avrebbe creduto diſgrazia
to al ſommo Giuſeppe, quando venduto fu a
Madianiti: Eppure quella vendita fu da Dio or
dinata al ſuo maggiore innalzamento. Chi non
avrebbe giudicata vicina allo ſterminio Betulia,
quando aſſediata fu dal ſuperbo Oloferne: Ep
purequell' aſſedio fu da Dio ordinato a gloria
maggiore del di lei nome. Eh, ch'ella è così, cari
Uditori, Dio con le ſue incomprenſibili diſpoſi
zioni non mira, che al noſtro bene, e noi volen
do quel ch'egli vuole, ſiam ſicuri di voler ſem
ſtre il noſtro vantaggio. -

Anzi tanto ne ſiam ſicuri, che più aſſai, che


la noſtra volontà, tornaci a conto far quella di
Dio: Ed eccone chiariſſima la ragione. Dio nel
ben, che ci vuole, non può ingannarſi; laddo
ve noi, tra per l'ignoranza, che ci accieca, tra
per l'amor proprio, che ci tradiſce, nel bene,
che ci vogliamo, ſoggetti ſiamo ad abbaglio :
e avvien non di rado, che vogliamo il noſtro
male, perchè l' apprendiamo per bene, o non
vogliamo il noſtro bene, perchè l'apprendiamo
per male; ma non così certamente non così
avviene, quando ſenza riguardo a quello che
noi vorreſſimo pienamente ci rimettiamo a quei
che vuol Dio: incapace, ch'egli è di errore, non
può ſe non accertare il ben, che ci vuole, e tutto
che ci guidi talora per vie o penoſº al noſtro ſen
ſo, o contrarie alle noſtre idee, ſempre però
- hanno
a- . . . . . .

94 Diſcorſo V. -

hanno queſte per termine il noſtro vantaggio:


Tanto non può dubitarſi, Uditori, che ſe abbia
mo noi ſenno, più aſſai, che la noſtra volontà,
premer ci dee, che facciaſi la divina.
E ciò, è sì vero, Uditori , che il ben medeſi
mo, che facciamo non ci può eſſere vantaggio
ſo, ſe non in quanto ſi fa con dipendenza da vo
leri di Dio; ove queſta non ſiavi, ciò che ſem
bra virtù, non lo è, e con tutta l'apparenza,
che ha di bene, non merita lode, ma biaſimo.
Leggete Eſaia, e troverete, che gli Ebrei ſi dol
ſero già, che Dio non moſtraſſe di gradire i lor
digiuni, le loro umiliazioni, le loro penitenze:
I ss.Jejunavimus, & non aſpexiſti, humiliavimus ani
mas noſtras, e neſciſti. Ma ſapete, che riſpo
ſta di loro a nome di Dio il Profeta : In die je
junii veſtri, diſſe loro, invenitur voluntas veſtra i
la ragione, per cui Dio non gradiſce i voſtri di
giuni, ſi è, perchè fate la volontà voſtra, e non
la ſua. Egli vuole da voi più di compunzione nel
cuore, e non l'ottiene, più di carità verſo il proſ
ſimo, e non l' ottiene; e non volendo voi quel
ch'egli vuole, ha egli poi a gradire quel ſolo,
che voi volete? Eh, che non è queſta nò, l'u-
miliazione, che plachi, è proſunzione che oltrag
ia. Così, il Profeta: O quanti anche a dì no
# meriterebbono un tal rimprovero, vorreb
bono far del bene, ma a modo ſuo, a genio
ſuo, non a modo, non a genio di Dio. Sanno be
niſſimo, che la volontà di Dio ſarebbe, che
deponeſſero quell' avverſione, che reprimeſſero
quell'orgoglio, che laſciaſſero, o almeno almeno
che moderaſſero quella moda: ma di queſto non
ne voglion far nulla. Li vedrete bensì paſſar le
ore in Chieſa, quando forſe più ſarcbbe neceſſa
IIO ,
Pel giorno dell'Ottava de'SS. Innocenti. 95
fio, che per attendere alla famiglia, le paſſaſſero
in caſa. Li vedrete obbligarſi con voto a far la
tal feſta, portare in tal abito, quando a Dio aſſai
più caro ſarebbe, che combatteſſero quella paſ.
ſione, che troncaſſero quell' amicizia. Li ve
drete oſſervare digiuni di loro, direi piuttoſto,
capriccio, che divozione, quando meglio, che
dal cibo ſarebbe aſtenerſi dalla converſazione, e
dal giuoco. Or come mai ſperar poſſono coſto
ro, che ſien lor di vantaggio coteſte lor opere,
ſe a farle s inducono non per volontà, che ne
conoſcano in Dio, ma per volontà ſolamente lor
propria: Nò, miei, Dilettiſſimi, in fino a tanto
che ſarà vero, che in die jejunii veſtri, invenitur
voluntas veſtra, non ſarà mai, che il ben che
ſi fa, ſia grato a Dio, e utile a voi: Tanto non
può dubitarſi, che ſe amiamo il noſtro vero
vantaggio, dobbiamo in tutto fare a Dio della
noſtra volontà un pien ſacrifizio, -

Se così è, cari Uditori, avvi coſa, che più pre


mer ci debba, che l'abbandonarci interamente
a Dio, ed il far regola del noſtro volere il vole
re divino? Se da una parte l'opporſi a ciò che
Dio vuole, non è poſſibile, ſe dall' altra ſiam
certi, che Dio ſempre vuole il ben noſtro, e ſe
di più le ſteſſe opere di virtù intanto ſono di virtù,
in quanto ſi fanno, e come, e quando, e per..
chè Dio le vuole; poſſiamo noi meglio pro
muovere i noſtri vantaggi, che con un pieno ri
metterci nelle ſue mani, e dirgli ancor noi con le
parole di Criſto afflitto nell'orto. Non mea, ſedi
taa voluntas fiat ? E vero, che a ciò che Dio vuo
le, ripugna talora il noſtro amor proprio, il
quale mai non vorrebbe nè dolori, che cruciaſſe
to il corpo, nè afflizioni, che tormentaſſero l'ae
Illll 1O
96 Diſcorſo P.
nimo: E' vero altresì, che il demonio, qualora
per diſpoſizione divina ſoffrir ci vede o nella ſa
nità, o nella roba, o nell' onore, ſubito ci ſug
geriſce ſentimenti d'impazienza, di malinconia,
di diſperazione, e portar ci vorrebbe o a dolerci
di Dio, o a mormorare del proſſimo: Ma noi
fiſſando lo ſguardo in quella mano divina, da cui
viene il colpo, che ci addolora, diamo all'uno,
e all'altro quella riſpoſta, che diede già il Re
Joa.18. dentorea S. Pietro: Calicem, quem dedit mihi Pa
ter, non vis ut bibam illum? Queſto Calice, che
mi amareggia, mi vien da Dio, da quel Dio,
che come buon Padre non mira, che a miei van
taggi, e avrò io cuore di rifiutarlo? Non mel
terrò molto caro, e nol tracannerò ſino all'ulti
ma goccia: Non bibam illum? Eh, lungi da me
luſinghieri nimici, lungi da me, Dio vuol così;
lo voglio anch'io. Calicem, quem dedit mihi Pa
ter, non bibam illum? -

O Gesù caro, ſe inveſtir ci ſapeſſimo di ſen


timenti sì giuſti, che felicità ſarebbe la noſtra!
Che bella dovizia di grazie ci pioverebbe in ſe
no dal Cielo! Che bei teſori di meriti ci ac
quiſtereſſimo ſu queſta terra ! Ma perchè ſpeſſe
volte ſecondiamo piuttoſto le noſtre ripugnanze,
che i voſtri voleri, ci priviamo pur troppo
de gran vantaggi, che una ſanta raſſegnazione
ci porterebbe. O buon Gesù, voi che foſte ai vo
leri del Divin Padre così ſommeſſo, dateci gra
zia, che al voſtro eſempio pratichiamo anche
noi una ſommeſſione sì neceſſaria per una par
te, per l'altra si vantaggioſa. Ve ne preghia
mo per quelle Piaghe, che adoriamo nelle vo
ſtre ſantiſſime Mani; ſicchè volendo non altro,
ſe non quello, che voi volete, accertiamo noi
- allCQI di
Pel giorno dell'Ottava de'SS. Innocenti. 97
ancora que beni, che voi volete a chi altro v
non cerca, che il voler voſtro.
PUN
Non può farſi ſagrifizio più ſoave. Sembra, TO III,
Uditori, un paradoſſo incredibile, che accoppiar
ſi poſſa con la ſoavità un ſagrifizio, con cui l'
uomo ſi ſpropria di quel, che ha più di caro,
della ſua propria volontà. Che ſia queſto un ſa
grifizio di molto pregio, che ſia di gran vane
taggio, s'intende, ma che il ſagrificare quel
bene, che più d'ogni altro ſi ama, ſia coſa
dolce, come può intenderſi! Eppure tant'è,
miei Dilettiſſimi, e lo intenderete beniſſimo,
ſe vi farete meco a riflettere, che in queſto
ſagrifizio conſiſte il più dolce di tutti i beni,
la pace del cuore. Queſta pace, Uditori, è quel
bene, che tutti amano, che tutti cercano, e
pochi ottengono: Ma ſapete perche? perchè
appunto ritroſi ai Divini voleri, non cercano, che
di appagare i ſuoi propri. Vorrebbono quel che
non hanno: ed intanto mentre dura o la pri
vazione del bene, che ſi vorrebbe, o la pre
ſenza del male, che non vorrebbeſi, non può
a men che non paſſino giorni inquietiſſimi. Nò,
Uditori miei cari, il mezzo di conſeguire l'in
terna pace non è ſecondare la propria volon
tà, è lo ſpogliarſene per fare unicamente quel
la di Dio. Allora sì, che nel ſeno di dolce pa
ce ripoſerà tranquillo lo ſpirito.
E vaglia il vero, Uditori, qual coſa vi è mai,
che turbar poſſa quel cuore, che da una parte
è perſuaſo, che tutto viene da Dio, ed è fiſſo
dall'altra in volere ſempre quel che Dio vuo
le? Inquieterallo forſe perdita di ſoſtanze? Ma
nò, perchè alza ſubito al Cielo gli occhi con
Giobbe, e ſcorgendo, che la man, che il col
Anno IV. Tomo IV. G piſce
98 Diſcorſo V.
Job.io piſce è quella di Dio, manus Domini tetigit me,
raſſegnato la bacia, e la benedice. Attriſterallo
forſe ſorpreſa di malattia ? ma nò, perchè riflet
te, che non lo avrebbe queſta raggiunto, ſe
inviata non l'aveſſe Dio ſteſſo, onde accoglien
dola come una viſita, che Dio gli manda, non
fe ne crucia, come non crucioſi della ſua ce
Iob, a cità il buon Tobia: Non eſt contriſtatus quod
plaga cacitatis eveniſſet ei. Lo faranno forſe
ſmarrir di cuore i tradimenti, le perſecuzioni,
le ingiurie? Ma nò, perchè ſa, che Dio anche
dall'altrui male può, e vuole ritrarne il ſuo
bene: onde ſenza punto alterarſi fa ſervire all'
eſercizio di ſua pazienza lo sfogo dell'altrui
malizia, imitando il manſueto David, che ma
ledetto dall' ingratiſſimo Semei, non ſolo non
vendicoſſi, ma impedì ancora la vendetta, che
a i Res
6,
prender ne voleano le fedeli ſue guardie: Di
mittite, ut maledicat juxta preceptum Domini:
Scorrete in ſomma ad una ad una ſe pure ſcor
rer tutte ſi poſſono, perchè innumerabili le mi
ſerie, che inondano queſta valle di pianto, non
ne troverete pur una, che in un animo piena
mente raſſegnato ai Divini voleri ſollevar poſſa
Prov.
l 2e
una nuvola di triſtezza: Non contriſtabit juſtum
quidquid ei acciderit, è lo Spirito Santò, che
lo aſſicura. Lite improvviſa minacci lo ſtermi
nio del patrimonio, non contriſtabit; Nera
calunnia ſcemi al buon nome lo ſplendor, che
lo illuſtra, non contriſtabit; Morte immatura
tolga in un con l'erede le ſperanze della fa
miglia, non contriſtabit; Inondiſi dal fiume il
campo, flagelliſi dalla grandine la bionda meſ
ſe, vadane in una notte involato da man ra
pace il guadagno di molti luſtri, ſconvº" la
- caſa
Pel giorno dell'Ottava de'SS. Innocenti. 99
caſa o il marito collerico, o la moglie inquie
ta, o il figlio diſcolo, o il congiunto maligno:
Non contriſtabit, nò: non contriſtabit, juſtum
quidquid ei acciderit. Perchè fiſſo ſempre in
queſto penſiero, che Dio è quello, che ordina
tutto, alle Divine diſpoſizioni china umile il
capo, e volendo ſempre quel , che Dio vuole:
Ita Pater, dice ancor egli con le parole inſe
gnateci dal noſtro Divin Maeſtro, ita Pater quo- Manh.
miam ſic fuit placitum ante te. Io non voglio
già dire, Uditori, che la raſſegnazione, di cui
vi parlo render ci debba inſenſibili ai dolori, ai
diſguſti, alle traverſie: Nò, miei Dilettiſſimi, la
raſſegnazione non cambia nè in marmo, nè in
bronzo la noſtra carne: Si ſentono i dolori , i
diſguſti ſi ſentono, ſi ſentono le traverſie, ma con
tutto il ſentirſi non tolgono l'interna pace, perchè
nel tempo medeſimo, che ſi ſentono, ſi accettano
di buon grado, e ſi vogliono, e per queſto ap
punto ella è un ſagrifizio la raſſegnazione ai
divini voleri, perchè va congionta con ſofferen
za; ma è un ſagrifizio ſoaviſſimo, perchè la
ſofferenza non toglie la tranquillità, e l'una
con l'altra in bella lega mirabilmente ſi ac
coppiano. -

Che ſe il dolore d'un mal preſente punto non


turba un cuore ai divini voleri ſantamente con
forme, penſate poi ſe turbarlo potrà il timore
d' un mal futuro. Queſto, Uditori, è quel timo
re, che, padre di mille affanni, rieſce non di rado
più nocivo del male medeſimo, che ſi teme. Ve
drete più d'una volta certuni, che ſecondo lo
ſtato loro preſente paſſar dovrebbono con tutta
tranquillità i loro giorni: Eppure per alta loro
diſdetta non godonodº" momento di pace, e
2 per
IOO Diſcorſo V.
perchè ? perchè ſi affannano ſull'avvenire. Quel
teme un roveſcio di fortuna, che rovini il nego
zio; teme quell'altro una trama dell' emolo,
che lo sbalzi dal poſto; quella ha il figlio lonta
no, ed è ſempre in timore, di qualche triſta no
vella, quell'altra ſi trova incinta, e vive ſem
pre in paura d'un parto infelice; chi ſi affanna
ſull'aſpettazione d'una ſentenza, chi ſull' eſito
di un trattato, chi ſulla riuſcita di un maneggio:
ed intanto ecco il cuore in tempeſta. Anguſtielo
ſtringono, malinconie l'opprimono, ſollecitu
dini lo conturbano, e per l'apprenſione di un
male, che forſe mai non ſarà, perdeſi un ben
sì pregievole, che aver potrebbeſi, la tranquil
lità, e la pace. Or egli è certo, Uditori, che da
un sì affannoſo timore, va immune una volontà
raſſegnata ai divini voleri: perchè ſapendo, che
non può avvenir nulla, che diſpoſto non ſia da
Dio, la diſcorre così: O avverrà il male di cui
ſi tratta, o non avverrà; ſe non avverrà, ella è
follia turbarſi di un male, che non ſarà; ſe poi
vverrà, ſarà queſto ſteſſo un indizio, che Dio
o vuole, e ſe Dio lo vuole, lo voglio anch'io.
Egli è il padrone: mandi pure ciò, che a lui pia
ce: Dominus eſt, quod bonum eſt in oculis ſuis,
faciat. - - -

Ma perchè ciò, che inquieta il cuor dell'uo


mo, non è ſolamente il timore dei mali di que
ſta vita, ma il deſiderio ancora dei beni; ag
giungerò a prova maggiore di quella pace,
ch'è dolce frutto d'una intera conformità ai
Divini voleri. Aggiungerò, diſſi, che un cuor
raſſegnato va libero affatto da coteſti inquietiſ
ſimi deſiderj. E come nò, ſe l'unica ſua bra
ma ſi è , che il Divin volere ſia fatto ! Indiffe
rentiſſimo
Pel giorno dell'Ottava de'SS. Innocenti. Io 1
rentiſſimo a tutto il reſto; d'altri beni non cu
raſi, ſe non di quelli, che Dio vuole, ch'egli
abbia ; e perchè quelli, che Dio vuole, ch'e-
gli abbia, mancar non gli poſſono, punto non
s inquieta nella ricerca degli uni, più che degli
altri: Se pur dir non vogliamo, che non deſi
derando egli mai nulla, ſe non quel che Dio
vuole, niun più di lui ha i ſuoi deſiderj appa
gati; sì perchè Dio più abbandona con chi a
lui più rimetteſi, sì perchè non avendo egli al
tra volontà, che quella di Dio, ſiccome è ſicu
ro, che la volontà di Dio ſi fa ſempre scosì
ancora è ſicuro, che ſi fa ſempre la ſua. Che
bei giorni pertanto, che giorni lieti, che gior
ni ſereni, forza è dire, che paſſi chi non ha
nè dolor, che lo turbi, nè timor, che lo af,
fanni; nè brama, che lo inquieti; e in ogni
coſa, che avvenga, perchè vi ſcorge il voler
di Dio, vi trovi ſubito l'appagamento del
CllOre.

Deh, cari Uditori, proccuriamci ancor noi


uu bene sì dolce, e cercando la noſtra pace,
dove unicamente ſi trova, facciamo a Dio un
ſagrifizio compito d'ogni noſtro volere. Voglia
mo una volta quel, che dee volerſi, con volere
quel ſolo, che vuole Dio, e proveremo anche
noi, che paſſerà tranquiliſſima la noſtra vita. E quel
che più importa, che dolce, che cara morte
ſarà la noſtra, ſe preparata vi avremo con una
ſanta raſſegnazione la ſtrada! Non ſarà già di
meſtieri, che ſi miſurino le parole, per darce
ne negli eſtremi giorni l'annunzio; ah nò, di
rà ogni anima raſſegnata, nò, non mi adulate,
paleſatemi pure lo ſtato, in cui ſono, e perchè
non morirò io volentieri, ſe Dio vuole, che io
G 3 muora ?
ro2 Diſcorſo V.
muora ? Ho fatta quant ho potuto la ſua vo
lontà in vita, voglio farla anche in morte. -

Sì, mio Dio, ſi adempia pure ciò, che avete


di me diſpoſto: Paratum cor meum Deus, pa
Pſ.s6. ratum cor meum. Soſcrivo di buon grado al vo
ſtro decreto, compiſcaſi pure per man della
morte il ſagrifizio,
volontà, mi è ſtata che
cara vila ho fatto
vita, dellaa tan-
infino mia s
al

to, che la vita ſi è voluta da voi; or che vo


lete la morte, mi è cara la morte: Fiat, sì,
fiat voluntas tua. Queſti ſono, miei Dilettiſſimi,
i ſentimenti, che avremo in morte, ſe in via
ta avremo voluto non altro, che il volere di
Dio, ed a ſentimenti sì giuſti ben vi avvedete,
ſe morte più prezioſa bramar ſi poſſa. Avvez
ziamci pertanto,
conformità, cari Uditori,
rendiamei familiare aqueſto
queſtabelſanta
ſa- t

crifizio; e in tante occaſioni, che ſi preſenta


no, non miriamo mai altro, ſe non Dio,
che vuol così, e con ſommiſſione perfetta di
figlio al ſuo Padre, di ſervo al ſuo Padrone, a

di ſuddito al ſuo Sovrano: Fiat, diciamogli


ſempre, fiat voluntas tua.
Sì, mio Gesù, fiat fiat. Mi ſottometto di queſt'
ora per ſempre ad ogni voſtro volere. Tutto quel
lo, che voi vorrete, mi proteſto fin d'ora di vo
lerlo ancor io. Nelle voſtre mani ſtà la mia vita,
e ſtà la mia morte. Viverò ſe volete, e ſe volete
morrò:
rendo laA volontà
me baſtavoſtra
di fare, e vivendo,
fantiſſima. Deh,e Gesù
mo- º
e,

caro, per quella piaga, che adoro nel ſagro


ſanto voſtro coſtato, fate vi ſupplico, che non
abbia mai più altra volontà che la voſtra, e che
la faccia di tal modo ſu queſta terra, che mi me
riti di paſſare un giorno a farla per ſempre rºgiº º
to3

a FFFFFFFS
Siczieri ieri ieri: ieri 24
D I s C o Rs o v I.
NELL' O TTAVA DELL'EPIFANIA.
Riſpetti umani.

Ubi eſt, qui natus eſt Rex Judeorum. Matth. 2.


% FN
2 On iſperi di trovar Dio chi nol cerca
- 1 anche in mezzo di chi nol cura. Tale
te N - N i p - º-

2 gºl ſi è l' ammaeſtramento, che coll'e-


S 2% ſempio loro queſta ſera ci porgono i
Santi Re Magi. Eccoli entro Geruſalemme girare
anfioſi di via in via , di piazza in piazza, e inter
rogare ſolleciti del nato Re de' Giudei: Ubi eſt,
qui natus eſt Rex Judeorum. Niſſuno ſa darne
loro contezza, anzi all'udire la naſcita di un nuo
vo Principe, ne fa ognuno le meraviglie. Ma non
perciò deſiſtono dall'impreſa i nobili pellegrini;
e riſoluti di trovare chi cercano, non temono
d'infoltrarſi fin nella Reggia dello ingeloſito Ti
ranno. O quì sì, che la mondana prudenza: fer
mate, o Principi, avrebbe lor detto, fermatel'in
cauto piede: Come! nella Metropoli di un Re
altiero, e crudele, anzi nella ſua medeſima Corte
andare in traccia di un nuovo Re, e dichiararvi
con proteſte non dubbie d'eſſer venuti a ricono
ſcerlo con tributi, e ad inchinarvili con adora
zioni: Venimus cum muneribus adorare eum ! Ap
- G 4 pena
Io4 Diſcorſo VI.
pena potrebbe andarne ſcuſato un rozzo villanel
lo, che allevato tra boſchi non ſa, che ſia ra
gion di ſtato, e geloſia di regno. Ma che Princi
pi di naſcità, letterati di profeſſione, di men
te accorta, di ſenno maturo, di lunga ſpe
rienza, in paeſe ſtraniero, in corte barbara
chieggan conto di un nuovo Sovrano, bramoſi
di bacciarne lo ſcettro, o di adorarne il ſolio,
chi la può intendere? Così avrebbe, Uditori,
parlato loro, chi prende da riguardi di Mondo
le miſure dell' operare. Ma tutt'altra fu la rego
la, che ſi prefiſſero que Santi Re. Fiſſi, e fermi
in cetcare quel Dio, che a caratteri di nuova luce
gli avea invitati, punto non ſi curarono di quan
topotea di loro penſarſi, e dirſi da una città in
turbazione, e da una corte in geloſia: e ſupe
rlori ad ogni umano riſpetto fino a tanto, che
non ottennero l'intento loro, mai non ſi dieron
poſa. O queſto sì, cari Uditori, ch' egli è cercar
Dio da vero! Ove ſi tratta di andare a Dio, non
vi ha da eſſere riſpetto umano, che ci trattenga.
Eppure, o lagrimevole obbrobrio del Criſtiane
ſimo! omai nulla più ſi teme, che il dichiarar
ſi di cercar Dio. Per paura di una diceria, di una
burla, di un motto, o ſi laſcia il retto ſentiero,
o per lo meno non vi ſi fanno progreſſi: E in
tanto, che ne ſiegue? Il peggio, che ſeguir poſe
ſa : Si muore male con i molti, perchè non ſi
ardiſce di viver bene con i pochi. Come farò io
dunque queſta ſera a mettere un pò di cuore a
chi ne manca, ed iſpirare coll'eſempio del ſag
gi Re un ſanto ardire a chi laſciati abbattere
da queſti vani timori! Eccovi il mio penſiero.
Moſtrerò, che col vincere i riſpetti umani non ſi
perde nulla, e all'oppoſto ſi perde moltiſſimo ſe
i - Il CIl
Nell'Ottava dell'Epifania. lo 5
non ſi vincono, perchè ſi fanno tre conſiderabili
perdite: la prima in riguardo a noi, e la vedre
mo nel primo punto; la ſeconda in riguardo al
Mondo, e la vedremo nel ſecondo punto; la
terza in riguardo a Dio, e la vedremo nel terzo
punto. Cominciamo.
Per cagion degli umani riſpetti ſi fa una gran
PUN
perdita in riguardo a noi. Ed o qual perdita! per To I.
dita graviſſima, perdita vergognoſiſſima. Per
deſi la libertà: può darſi per noi perdita più gra
ve? e perdeſi in ordine alla religione, che pro
feſſiamo: può darſi perdita più vergognoſa ? Ep
pure tanto è, cari Uditori miei, chi ſi arrende
vigliacco ad umani riſpetti condanna a catene,
a ſchiavitù quell' arbitrio, che natura ci ha dato
libero: Imperocchè, come c'inſegna S. Pietro ,
tanto è darſi per ſervo, quanto il darſi per vin z Pct.a
to: A quo qui, ſuperatus eſt, hujus & ſervus eſt,
chiaro è, che altrettante volte noi ci diamo per
ſervi dell'altrui capriccio, quante all'altrui ca
priccio ci diamo per vinti. E allora certamente
ci diam per vinti, quando temendo o la cri
tica dell'altrui occhio, o i pungoli dell' altrui
lingua, o i ſentimenti ſtravolti dell'altrui opi
nione, facciamo ciò che il buon lume ci ſug
geriſce di ommettere, ed ommettiamo ciò che
il buon lume ci ſuggeriſce di fare. Ora che di
più ſi può perder dall'uomo, quando giunge
ſi a perdere il più bel pregio, ch'egli habbia,
la libertà ? Perdita poi la più obbrobrioſa, che
concepir mai ſi poſſa, perchè ove trattaſi di
religione, ſe ne volle mai ſempre in ogni età,
e da qualſivoglia nazione in tutta liberrà l' e
ſercizio: Eppure in queſto ſteſſo non ſi vergo
gna di farſi ſchiavo chi ſi laſcia vinente vin
- QSIC
Io6 Diſcorſo VI.
cere da riguardi di Mondo. Vedete, uditori, a
che dura neceſſità il miſero ſi riduce, e a qua
li ſtrettezze la ſua vil ſervitù lo condanna. Pro
feſſa, è vero, profeſſa il Vangelo, ma con ta
le riſerbo, che per timore di dar nell'occhio,
vuole, che la profeſſion del Vangelo punto non
iſminuiſca il commerzio col Mondo : Dà di
quando in quando contraſſegni di religione ,
ma a que ſoli ſi attiene, che meno eſpor lo
poſſono alle dicerie de libertini. Vorrebbe pure
che le maſſime della Fede foſſero quelle, che
al ſuo operare deſſer la regola; ma non oſa ſe
guirne ſcopertamente la guida, perchè non ſen
teſi di far fronte alle critiche, che a riprovare
la ſua condotta ben toſto ſi ecciterebbono. Si
avvede beniſſimo, che Dio da lui domanda una
vita più ritirata: l'abbraccierebbe, ma non ar
diſce, perchè teme, che un operar più aſſeſta
to gli tiri la taccia di ſingolare. Sente, che la
coſcienza con interni rimbrotti gl'intima di ac
cordare un po meglio alla ſua fede i ſuoi co
ſtumi: lo farebbe; ma lo trattiene l' apprenſion
de motteggi, con cui dagli amici accolto ſa
rebbe il ſuo cambiamento di vita. Tali in ſom
ma ſono le anguſtie, dalle quali ſi laſcian co
ſtoro ſtrignere il cuore in ciò che riguarda e
ſercizio di religione, e profeſſion di virtù, che -

nulla riſolvono di bene, nulla intraprendono , a


i"
ſe non conſultato prima tra ſe e ſe l'altrui ge
nio, l'altrui capriccio ; e comparir vogliono º
Criſtiani tanto ſolo e non più, quanto può ac º

cordarſi con l'approvazion di quel Mondo, di


cui temono l'occhio ſindacatore. Or qual ſer
vitù può idearſi più infame, più obbrobrioſa,
che nei più cſenziali noſtri ſagroſanti doveri ri
CeVcrG
Nell'Ottava dell'Epifania. Io7
cevere dal Mondo la legge; e da ciò ch' egli
può dirne, da ciò ch' cgli ne può penſare, pren
dere del ſuo operare la regola. O vituperio trop
po indegno, non ſol di chi ha fede, ma di chi
pregiaſi di aver ſenno! Venundati ſunt, cade i Mac.
pur bene ſopra coſtoro il rimprovero fatto già “
dallo Spirito Santo a quel miſcredenti del po
polo Ebreo, ut facerent malum : Ed in che mai
dee ſtarci più a cuore la libertà, che in ciò che
riguarda religione, fede, ſalute, anima, eter
nità ! Che ſia da ceppi, dicca l'Appoſtolo, ri
ſtretto il piede, e tra gli orrori di oſcuro car
cere gema il corpo tra le catene, poco rilieva:
ma ſchiavitù, che mi impediſca la profeſſione
generoſa della mia fede, o queſta non mai
non mi arroſſiſco, nè mi arroſſirò giammai in
faccia al Mondo di quel Vangelo, di cui mi
pregio e banditor e ſeguace: Non erubeſco E- Rom.
vangelium. Così Paolo, e così con Paolo do
vrebbeſi proteſtare ogni fedele pronto a ſoffrir
in tutt'altro la ſoggezione, fuorchè in ciò che
ſpetta ai doveri del ſuo Batteſimo.
Ma queſto è purtroppo il diſordine del noſtri
dì. In tutto il reſto, fuorchè nella pratica del
Vangelo, ſi vuol ſerbata con geloſia la libertà:
Ditemi in fatti, le voſtre entrate non le ſpen
dete voi come meglio vi ſembra? Non regola
te la voſtra famiglia come vi torna più a conto ?
Non maneggiare gli affari voſtri come giudi
cate, che più convenga? Non vi fate già ſchia
vo in queſto dell'altrui fare, dell'altrui dire?
Se ſi rideſſe taluno della voſtra cconomia , v”
indurreſte però a fare ſpeſe ſuperflue è Se mot
teggiaſſe tal altro la voſtra puntualità, l'atten:
zion voſtra ne' voſtri negozj, li traſcurereſte voi
per
I O8 Diſcorſo VI.
perciò ? So di certo, che nò: Laſciereſte dire,
e ſeguitereſte a fare. Solo dove ſi tratta di adem
pire con cſattezza i doveri Criſtiani, ſi ha ri
guardo, che non ſi dica, che non ſi burli : e
meglio ſi ama farſi ſchiavo di un mal coſtume,
che mantenerſi in una ſanta libertà , e di far
ciò che deeſi. In quello, che meno importa,
non ſi vuol ſervitù, in ciò che più di tutto dee
premere, ed in che conſiſte l'onor, e la gloria
di un vero Criſtiano, la libertà non ſi cura! O
Santo David con quanto più di ragione direſte
!
ºadeſſo: Homo cum in honore eſſet, non intellexit;
ſollevato il Criſtiano mercè il ſuo Batteſimo al
la libertà dei figliuoli di Dio, non conoſce, e
non intende il pregio, che più di ognaltro lo
Pſ. 4s. illuſtra : Cum in honore eſſet, non intellexit. E
per verità, è egli intendere, cari uditori, il ſe
guire nell' operare non già il lume del buon
conſiglio: ma le orme del mal eſempio ? E'e-
gli intendere, il recarſi ad onta quel bene, di
cui un Criſtiano pregiar dovrebbeſi; e recarſi
a gloria quel male, di cui dovrebbe un Criſtia
mo ſommamente arroſſirſene? E'egli intendere ,
eleggere quaſi per creanza il peccato, che forſe
non ſi vorrebbe per genio? Dir equivochi con
chi ne dice per non moſtrare di voler far lo
ſpirituale con chi vuol far lo ſpiritoſo ? Farſi reo
al par di ogni altro per timore di comparire
da men degli altri? Dite, è egli queſto un'in
tendere, che ſia onore, che ſia gloria, che ſia
libertà ? Non è piuttoſto un avvilirſi, un diſo
morarſi, un farſi il ſommo de torti? Eh , sì ri
petiamolo pure, che pur troppo è così. Homo
cum in honore eſſet, non intellexit.
Eſſi
Nell'Ottava dell'Epifania, Io9
Eſſi sì, che l'inteſero i Criſtiani del primi ſe
coli. Con quale generoſità profeſſavano eſſi il
Vangelo in faccia dell'idolatria medeſima, che
ne ſmaniava: pronti a perdere e beni, e vita
piuttoſto che la Criſtiana loro libertà ! Sentivan
ſi ora ſcherniti quai vigliacchi ſenza onore,
ſenza ſpirito, ſenza cuore, perchè manſueti
corriſpondeano con benefizj alle ingiurie; ora
vilipeſi come infami, perchè faceano oggetto
de' ſuoi amori l' obbrobrio di un Crocifiſſo ;
ora inſultati quai milenſi, perchè recavanſi a
pregio l'eſſer umili, ed umiliati: Ubicumque in
venerint Chriſtianum, uditene da Agoſtino il
racconto, ſolent inſultare, exagitare, irridere,
vocare hebetem, inſulſum, nullius cordis, nul
lius peritie; ma non perciò laſciavanſi eſſi at
terrire, ſicchè rallentaſſero nè pure un punto
dal fervor della vita, o dalla modeſtia del por
tamento, o dall'amor della Croce; anzi da
gli ſcherni medeſimi prendean cuore a profeſ
ſare con impegno maggiore la Fede ſanta. Se
coli fortunati dove ſiete ſpariti! Facciaſi oggidì
un ozioſo, un maligno, un diſſoluto a taccia
re di milenſagine, di ruſtichezza, d' inciviltà
chi per torſi da pericoli fugge il giuoco, il ri
dotto, il teatro; o di viltà, e di niun cuore
chi o per ubbidire al comando di Criſto per
dona un'ingiuria, o non accetta una sfida: Vo
care hebetem, inſulſum, nullius periti e 5 qual
cuore mai vi ha, che ad una tal batteria non
ſi dia per vinto! Eppure non trattaſi già ne tem
pi noſtri di profeſſar la pietà a fronte della ſu
perſtizione, e a diſpetto della barbarie: Trat
taſi di non arroſſirſi di eſſere Criſtiano nel cuo
re del Criſtianeſimo : trattaſi di adempi -

Q
1 to Diſcorſo Vi.
obblighi del Batteſimo in mezzo del battezzati:
O ſchiavitù troppo indegna di un cuor Criſtia
no! O diſonore troppo ſenſibile dell'Evangelio,
e della Fede! Deh non ſi laſciamo, cari udito
ri miei, addoſſare un giogo sì infame 5 non
permettiamo, che ci ſi tolga il più bel pregio,
che abbiamo, la libertà Criſtiana. Se il Mon
do ha le ſue leggi, ſe i ſuoi uſi, le ſue con
venienze, ei vuol, che ſi oſſervino; tanto ſi oſ
ſervino, quanto ſi accordano con la virtù , e
non più. Ove il maligno pretenda di ſtendere
il ſuo imperio fin dentro il Santuario, e di
preſcrivere limiti al Vangelo, ed alle ſue maſ
ſime, ſi deridano i ſuoi comandi , e facciaſi
fronte al ſuo ardire. Se ſchiavi abbiamo adeſ
ſere, non mai del Mondo, nò; ſchiavi voſtri, ºra

o mio Gesù, o queſto sì.


Di voi sì, che poſſiamo eſſere ſchiavi, anzi
di voi dobbiamo eſſerlo. La ſchiavitù, che a
voi ſi profeſſa, tanto non toglie la libertà no
ſtra, che anzi la perfeziona, e perchè quanto i
più ci obbliga ad eſſere ſoggetti a noi , tanto
più ci aſſicura dalla tirannia del Mondo. Que
ſta dunque è la ſchiavitù, ch'io mi eleggo,
nobiliſsima, glorioſiſſima ſchiavitù, queſta io
voglio, non quella del Mondo, vile, indegna,
ed obbrobrioſa. Dica il Mondo ciò che vuole,
mai non abbandonerò le voſtre maſſime, il vo
ſtro Vangelo, i voſtri eſempi. Mi metto per.
tanto, o Gesù caro, unico mio Signore, mi
metto qual umile voſtro ſchiavo a voſtri pie
di, e adorandone le ſantiſſime piaghe vi ſup
plico a darmi grazia, che impari da eſsi a ſem
pre più calpeſtare con libertà generoſa ogni u. º
mano riſpetto, - è
Si
Nell'Ottava dell'Epifania. i sera
Si fa una gran perdita in riguardo al Mondo. P.
Il motivo, per cui certe anime fiacche ſi laſcia-roir,
no sì facilmente guidare dalla opinion vana
del Mondo, ſi è perchè temono di ſcolorar la
ſua fama, o di ſcadere di ſtima, ſe così non ſi
guidano. Errore, pernizioſiſsimo errore! Appreſº
ſo chi, domando io, appreſſo chi temete voi
d' incontrar nella ſtima qualche diſcapito, ſe
con ſanta libertà apertamente vi dichiarate per
la virtù 3 ditemi appreſſo chi? Diamo intorno
intorno un'occhiata, e vediamo, quali ſieno
que perſonaggi, che sì vi mettono in appren
ſione. Non farebbe già quella ſaggia matrona,
che ſoſtiene con nobil contegno lo ſplendor
della naſcita º quella nò, che anzi apprender
da eſſa potete, come ben ſi accordino nobiltà,
e religione, decoro , e pietà. Sarebbe forſe
quel Cavaliero ſenſato, che colla gentilezza del
tratto, e maturità del conſiglio ſa sì ben con
ciliarſi appreſſo tutti venerazione, ed affetto ?
quegli nò : che anzi col ſuo eſempio v'inſe
i gna, che la virtù ſoſtenuta in faccia del con
tradditori è il più bel pregio di ſangue illuſtre.
Perſone ſagge, quante ne ſcorgo di autorità »
di prudenza, di ſenno, eſſe non lo ſono: che
anzi nulla più diſapprovano, che il regolare le
proprie azioni non ſecondº i principi dell'ope
ſtà, ma ſecondo le bizzarrie dell'altrui genio;
e col ſentimento di Sant'Ambrogio non altro
ci replicano, ſe non che apud omnem Chriſtia
º num prima honeſtatis debet eſſe militia. Sicchè
nell'opinione del più ſenſati, tanto è falſo .
che s'incontri diſcapito , qualor ſi opera con
º franchezza evangelica, che anzi allora vi ſi per
º de; quando per vani riguardi ſi travia dal ret
- tO
E I2 Diſcorſo VI.
to. Chi ſono dunque coſtoro, appreſſo a qua
li ſi teme tanto di perdere? Sono, ſe la verità
non vuol naſconderſi, ſono quattro capi ſven
tati, pieni di fumo, gonfi di vanità, di poco
ſenno, di niuna legge; uno ſtuolo di libertini,
di morta fede, di perduta coſcienza, di avve
lenati coſtumi. Sono perſone, che di religione
altro non han che l'apparenza, e ingolfate ſi
no agli occhi nel Mondo, appena ſanno che
ſia Vangelo. E queſte han tanta forza da farvi
torcere il piè dal ſentiero della virtù º Queſte
hanno a dar legge al viver voſtro? Di queſte
haſſi a temere, che diranno, che penſeranno ?
Ma, Dio immortale! Se non ſi vuol far torto
al buon diſcorſo, ditemi per vita voſtra; quan
do convenienza, o neceſſità ci ponga tra i due,
o di ſcapitare nel concetto de buoni, o di
ſcapitare nel concetto del malvaggi , l'otti
mo lume, quale di queſte due perdite dee
farci preſcegliere? Qual è ſvantaggio maggiore,
perdere la ſtima del ſaggi, o quella degli in
ſenſati? Quella di chi opera con giuſtezza, o
quella di chi vive a capriccio? Per ſomiglianza
di coſtumi eſſere apprezzato dagli empi, è una
ſtima, che fa diſonore, e non fu mai perdita
l'eſſerne privo: eſſere apprezzato da buoni, o
queſta sì, ch'è lode, ed è perdita da piangerſi
amaramente, l'andarne ſenza.
Sebbene credete voi, anime ſchiave, ſe mai
quì ſiete, degli umani riſpetti, credete voi, che
coll'addattarvi più che al Vangelo al genio al
trui, ſiate per incontrare la ſtima di que me
deſimi, a quali cercate di compiacere? V in
gannate a partito. Penſate ſe gente avvezza a
burlare, a morteggiare, a dir male, vuole ſul
- COIltO
Nell'ottava dell'Epifania. I 19
conto voſtro mutar linguaggio. In faccia, può
eſſere, vi applaudiranno: Ma dietro le ſpalle
faranno in pezzi la voſtra fama. Moſtreranno
all'eſterno ogni riſpetto per voi, ma interna
mente faranno di voi quel giudizio, che me
ritate. Voi per incontrare il loro gradimento per
dete alle Chieſe il riſpetto, corriſpondendo al
le loro con le voſtre occhiate; or bene, aſpetta
tevi pure, che fuor di Chieſa facciano chioſa
non favorevole a voſtri ſguardi. Per un lieve
motteggio sbandiſte la modeſtia, grazia la più
bella , che vi rideſſe ſul viſo, e ſulle labbra ;
ora ſappiate, che ſe dicevano prima, che trop
po prezioſe facevate le voſtre grazie; or già
ſi ſpaccia, che divenuta ne ſiate liberale più del
dovere. Per paura di diſguſtare colui, colei,
non avete cuore d'interrompere quella partita,
quando la divozione vi vorrebbe altrove. Ed io
vi ſo dire, che quei medeſimi già dicono nel
ſuo cuore, che voi per un'ora di giuoco ri
nunziereſte un anno di Paradiſo; in ſomma, ſe
quando per un vano timore vi conformate al
mal coſtume, udir poteſte come di voi ſi par
la, vi avvedreſte, che più aſſai è deriſa la vi
le voſtra condiſcendenza, di quel che il ſareb
be l'umiltà, la ritiratezza, la divozione. Eh,
che la virtù compar bella anche ai vizioſi, e
ſe l' accolgono talora con burla, non è per
chè non l'apprezzino, nò; è perchè vaghi di
licenza veggono di mal occhio l'altrui pietà,
e nella via, che pur vogliono battere del mal
fare, non vorrebbono l'onta di eſſere ſoli, on
de per liberarſi dal continuo rimprovero, che
ricevono dagli altrui buoni eſempi, pigliano il
partito di porre in deriſo la ſantità: Remedium
Tom. IV. Anno IV. H pena
I 14 Diſtorſo VI.
pane ſue arbitrantur, ſi nemo ſit ſanctus . . . .
... ſi turba ſit pereuntium , ſi multitudo peccan
tium: Così ſcoprinne Girolamo la rea loro in
tenzione. Per altro non ſono sì ciechi, che non
conoſcano anch' eſſi i pregi di una vita ben re
golata: anch'eſſi la ſtimano; e quando a di
ſpetto del loro inſulti la ſcorgono ſalda, malgra
do, che ne abbiano, la riſpettano.
Ecco però il bel guadagno, che fate, Ani
me puſillanimi, co voſtri indegni riſpetti; voi
perdete con la ſtima de buoni, quella ancor
de'cattivi: laddove al merito di una virtù co
raggioſamente abbracciata, ſi renderebbe dagli
uni e dagli altri la dovuta giuſtizia. Mi ſi nie
ghi pertanto, ſe ancor ſi può, che il traviare
dal giuſto per umani motivi non porti ſeco
graviſſime perdite in riguardo ancora a quel
Mondo medeſimo, per cui riſpetto traviaſi. Ed
è in fatti pena ben giuſta, che chi per paura
degli uomini non ubbidiſce a Dio , non ſolo
non trovi negli uomini il ben, che ſpera, ma ri
porti dagli uomini medeſimi il mal, che teme,
e più ancora di quel che teme. Siame teſtimo
nio Sedecia ultimo tra i Re di Giuda. Intimoſ
ſi a queſto Re da Geremia di uſcire da Gero
ſolima, ed abboccarſi co' Generali del Re Na
bucco, venuti a ſtringerlo con aſſedio. Tal eſ
ſere il volere divino, e non altrimenti poter
egli liberar ſe dal ferro, e Geruſalemme dal
fuoco. A tal riſpoſta combattuto Sedecia da un
umano riſpetto, come? riſpoſe, e volete, o
Profeta, che io mi eſponga alle burle di quel
Giudei, che fuggiti da me hanno abbracciato
il partito de'miei nimici? che diranno al ve
dermi chiedere con umiltà da Caldei la pace?
Per
Nell'Ottava dell'Epifania. 115
Perdonimi Dio: ma io non ho cuor di ubbi
Jer.3º
dire: Solicitus ſum propter Judaeos, qui transfu
gerunt ad Caldaos, ne forte tradar in manus eo
rum, ci illudant mihi. Così diſſe, così fece,
così non ubbidì. Schivò egli con ciò le mal te
mute deriſioni? Nullameno. Eſpugnataſi la Cit
tà da nimici, il Re fu colto nella ſua fuga, e
toſto acciecato, condotto fu carico di catene in
Babilonia a piangere in dura ſchiavitù tra gra
viſſime perdite, degli occhi, della libertà, del
Regno. Va, Re infelice, e dì ancora, ſe ti dà
l'animo: Solicitus ſum.... ne illudant mihi. E
noi da lui impariamo, cari uditori, che con
la diſubbidienza a Dio, non ſi fuggono le de
riſioni, ma s'incontrano, e s'incontrano ezian
dio molto maggiori di quelle, che ſi fuggono.
Non temiamo pertanto di alcune perdite con
l'ubbidire a Dio, dove ſi tratta d'incontrare il
ſuo genio, e di dichiararci apertamente per lui,
facciamci cuore, non temiamo nulla : perchè
nulla ſi perderà. Peraltro quand'anche ſi temeſ.
ſe, anzi quand'anche foſſe inevitabile appreſſo
il Mondo qualche perdita ; ah, cari uditori,
non dobbiamo eſſere pronti a farla, piuttoſto
che per piacere al Mondo, diſpiacere a Dio!
"uò una burla, che a noi ne venga, metterſi
º, confronto di un'offeſa, che a Dio ſi faccia º
Quando debba o a noi , o a Dio venire un di
" ; è egli dovere, che ſia di Dio piutto
º, che di noi? Che Dio ſia il vilipeſo piuttoſto
"e noi i deriſi? E dov'è il riſpettº ad un Dio
º grande º Dove il timore di un Dio sì giuſto?
" fedeltà a un Dio sì benefico? Dove i
nime co" Dio sì buono? Anime timide, a
3.

º codarde, ſe mai º" ſiete, ſu riſpondete.


2. 2
II6 Diſcorſo VI.
Ah, che altra riſpoſta non v'è, caro Gesù:
che con la confuſione ſul volto confeſſare il gran
torto, che abbiamo, quando per riſpetto del -

Mondo, manchiamo al riſpetto dovuto a voi.


uand'anche foſſe vero, che ſi ſcapitaſſe avanti
al Mondo col profeſſare apertamente le voſtre
maſſime, che ci dee importare del Mondo, dove
ſi tratta del voſtro onore, del voſtro guſto. Non
è egli dovere, che diſpiacciaſi agli uomini piut
toſto che a voi ? Ah sì Gesù mio, così dee farſi,
così farò. Non voglio più, no, laſciarmi gui
dare da vane apprenſioni: Voglio fare ciò, che
il voſtrº onore, e la gloria voſtra da me richieg
gono, e poi ne giudichi il Mondo, come a lui -

piace, poco m'importa. Pregovi intanto, mio


buon Gesù, per le piaghe ſantiſſime delle voſtre
mani, che riverentemente adoro, ad avvalorare
col voſtro aiuto la mia fiacchezza, affinchè mi
mantenga inalterabilmente ſino alla morte in .

quella fedeltà, che con tutta giuſtizia vi debbo,


ºr e con tutta ſincerità vi prometto.
in. Si fa una gran perdita in riguardo a Dio. Sup
poniamo, Uditori, che col cedere a riſpetti u
mani nulla ſi perda in riguardo a noi, nulla in
riguardo al Mondo; la ſola perdita, che ne vie
ne in riguardo a Dio, ella è sì grande, che que
ſta ſola dee baſtare non ſolamente a farci ſprezza
re, ma ancora a farci avere in orrore ogni vana ap
prenſione. Imperocchè ſe vi ha coſa, che alienare
poſſa da noi il dolce cuore di Dio, e farci perdere
la ſua più benevola protezione sì in vita, che in
morte, ella è certamente quella viltà, con cui per
un meſchino riguardo ſi giunge ad arroſſirſi del
ſuo ſervizio, o a farſi cuore ad offenderlo. E
perchè ne andiate perſuaſi, altro da voi no"
O2
Nell'Ottava dell'Epifania. 117
do, ſe non che riflettiate al torto, o per dir
meglio, agl'innumerabili torti, che Dio riceve
da condiſcendenza sì vile. Egli è pur certo, che
da queſte anime di niun cuore affrontaſi Dio ne'
ſuoi Sagramenti, con lo ſmentire, che fanno il
carattere di Criſtiano impreſſo loro nel Batteſi
mo, e l' eroica fortezza iſpirata loro nella Cre
ſima; affrontaſi nel ſuo Vangelo, di cui ſi ver
gognano, quando recar ſi dovrebbero a gloria
di portarlo ſcolpito non ſolo in cuore, ma in
fronte, affrontaſi nella ſua Fede, perchè al dire
di S. Cipriano, l'abbandonare per rifleſſi vaniſ
ſimi il partito di Dio è una ſpecie di apoſtasia:
In his omnibus apoſtaſia quedam fidei eſt; affron
taſi nelle ſue grazie, mentre per timore di far
parlare di ſe, non corriſpondono alle interne
chiamate, con le quali le invita a cambiare, o a
migliorare coſtumi; più di tutto però affrontaſi
Criſto nella ſua vita, perchè Criſtiani poco più
che di nome, ſi arroſſiſcono di ricopiarne in
faccia del Mondo gli eſempi: Criſto umile, ed
eſſi perchè temono d'incontrare con l'umiltà
l'altrui diſprezzo, meglio amano di ſecondare
con la ſua l'altrui ſuperbia: Criſto modeſtiſſimo,
ed eſſi per paura, che le converſazioni più non
gli accolgano con gradimento, ſi addattano ad
ogni immodeſtia di moda, e ad ogni licenza di
di tratto: Criſto amantiſſimo della ritiratezza,
ed eſſi perchè non dicaſi, che non ſanno vivere
al Mondo, ad altro non penſano, che a viſite,
ed a comparſe: Criſto manſuetiſſimo, ed eſſi,
perchè non credaſi, che non s'intendono di o
nore, d' ogni menoma ingiuria ne giurano, e
ne vogliono la vendetta. Nel diſprezzo medeſi
mo d'ogni umano
-
riesi,, 3 generoſi"
che
1C
I 18 Diſcorſo VI.
diè Criſto a conoſcere, che coſtanza? Sapea, che
ſarebb'egli ſtato il berſaglio del dileggiamenti,
Luc.., delle ſatire, degli ſcherni: Signum, cui contra
dicetur: Sapea, che la ſua naſcita sì abbietta,
la ſua vita sì ſconoſciuta, la ſua morte sì addo
lorata ſarebbe ſtata da Giudei creduta ſcandalo,
1 Cor. da Gentili pazzia: Judaeis quidem ſcandalum,
gentibus autem ſtultitia. Laſcioſi egli perciò at
terrire? mutò egli diſſegno? Si ſotteraſs'egli nè
pur un apice da voleri del divin Padre? Ma
di eſempi sì belli laſciati da Criſto per no
ſtra iſtruzione non ſi fa caſo, e per non perde
re un'amicizia, per non contriſtare un compa
gno, per non diſguſtare una perſona di qual
che autorità, ora i tralaſcia una divozione, ora
ſi fa plauſo a un moto indegno, ora ſi tien ma
no a un diſcorſo mordace, ora ſi acconſente ad
un invito fuor di ragione. E potranno coſtoro
ſperare, che ſia Dio per mirarli con occhi di
parzialità ! Vergognarſi di comparire in faccia
agli uomini, come comparve il Figliuol di Dio,
e poi pretendere d'eſſere quai ſuoi figliuoli ac
colti da Dio con carezze, e provveduti a dovi
zia di grazie! A voi ne rimetto, Uditori, con
un paragone il giudizio. Se un voſtro ſervo per
onta di darſi a conoſcer per voſtro, vi ſerviſſe
più che poteſſe da lontano: ſe ſi vergognaſſe di
comparire in pubblico con la voſtra livrea: ſe
proccuraſſe a tutto potere di naſconderla se quel
che ſarebbe ancor peggio, ſe nelle più belle com
parſe depoſta per roſſore la voſtra, veſtiſſe quel
la di un voſtro nimico, lo mirereſte con par
zialità d'affetto, ſeguitereſte voi a dargli alber
go in caſa voſtra, a paſcerlo della voſtra menſa,
a ſtipendiarlo col voſtro ſoldo? Ah, lo
-

CliC
Nell'ottava dell'Epifania. I 19
reſte diſpettoſi di caſa, e tutta vi vorrebbe la
voſtra manſuetudine a non caricarlo di villanie,
e di colpi: Indegno, infame, tu vergognarti di
me ? tu ? Dite ora voi qual trattamento da Cri
ſto ſi meriti, chi in mezzo al Mondo ſi vergogna
di comparir ſuo ſeguace, chi nelle occaſioni,
che pur ſono tante, non ardiſce di ſoſtenere il
ſuo partito, e le ſue maſſime, chi in ſomma ſi
arroſſiſce di ſpiegare in faccia di chi che ſia quel
la divina livrea, di cui andonne pompoſamente
veſtito nel ſagro Fonte.
Io intanto da quel molto, che dee temere in
vita, paſſo a quel peggio, che dee aſpettarſi in
morte; che fiducia in quegli eſtremi momenti
potrà egli avere nel Crocifiſſo, unico conforto di
un moribondo ! Al mirarlo, allo ſtringerlo, rea
coſcienza gli rinfaccerà le cento, e mille volte,
che ha poſpoſte le ſue iſpirazioni, i ſuoi conſi
gli, i ſuoi precetti, il ſuo merito al genio di
un amico, all'autorità di un maggiore, all'ap
prenſion di un motteggio, alla corruttela di un
mal coſtume: Quindi con che cuore, con qual
fronte potrà egli chiedergli ajuto nelle tentazio
ni, e ſollievo nelle ſue agonie: qual ſarà il bat
ticuore dell'infelice al penſare, ch'entro a pochi
momenti dovrà veder quel Gesù, di cui ſi è tam
te volte arroſſito, ed averlo per Giudice: E per
verità ſarà ben giuſto il timore: perchè Criſto
medeſimo ſi è proteſtato di volere nel ſuo giu
dizio rendere a coſtoro la pariglia: Qui me Lue.s.
eruhuerit, o meos ſermones, hunc filius hominis
erubeſcet, cum venerit in majeſtate ſua: Sì, dirà
Criſto, vi ſei pur giunta al mio Tribunale, ani
ma vigliacca: vi ſei pur"a Ti versosi
2 4. l
I2o Diſcorſo VI.
di me, della mia dottrina, de' miei eſempi, ora
io ti voglio rendere roſſor per roſſore, e vitupe
ro per vitupero. In faccia al Mondo ti arroſſi
ſti di me, ed io in faccia al Cielo mi arroſſiſco
di te. Va, ſervo indegno, aveſti ad onta il dichia
rarti per mio; mio non ſarai in eterno. O ani
ma Criſtiana, eſclama quì pien di ſpavento A
goſtino; Ubi eris tu, quid facies, ſi te attendat
alle excelſus, ci dicat tibi : erubuiſti de humili
tate mea, non eris in claritate mea. Che farete
allora, che direte, ove vi rivolgerete? Addurrete
per iſcuſa, che non ardivate eſſere il ſolo a ſof
frire ingiurie ſenza vendetta º che non ardivate
eſſer la prima a veſtir più modeſta ? che il co
ſtume portava così ? che così facean gli altri ?
che non ſi poteva altrimenti ſenza diſcapito ? E
ual diſcapito maggiore, che udirvi dire: Eru
i", de humilitate, non eris in claritate mea.
O queſta sì, cari Uditori, ch'ella è perdita da te
merſi: perdita della protezione di Criſto in vita:
perdita dell'aſſiſtenza di Criſto in morte: per
dita della benedizione di Criſto al Giudizio. Deh
non ci eſponiamo di grazia a perdite sì luttuoſe!
Via una volta coteſti riſpetti di Mondo; non più
coteſta verecondia vizioſa, che ci fa arroſſire del
Vangelo; veggaſi una volta una ſanta sfaccia
tezza, perchè ſoſtenga in faccia al Mondo l'o-
nor di Dio, e della ſanta ſua Legge: Diſcedat,
proſiegue Agoſtino, mala verecundia, 6 acce
dat ſalubris imprudentia. O noi felici, ſe arri
viamo a ſegno di metterci ſotto a piedi ogni u
mano riguardo! Salvus ſum, dicea Tertulliano,
e vorrei, che con lui ne andaſſe ancora perſua
ſo ognun di noi, ſalvus ſum, ſi non confundar
de Deo mèo. S'io giungo a tanto di non arroſº
ſirmi
Nell'Ottava dell'Epifania. 121
ſirmi del mio Dio, io ſon ſalvo: sì, ſalvus ſum,
perchè ſe non mi arroſſiſco del mio Dio, lo ſervi
rò con fedeltà a diſpetto di tutte le dicerie. Se non
mi arroſſiſco del mio Dio, praticherò con eſattez
za, che che il Mondo ne dica, le maſsime di mia
Fede: ſalvus ſum, perchè ſe dagli uomini riceverò
beffe, da Dio riceverò grazie, ſe gli uomini mi ri
fiuteranno, Dio mi aſsiſterà, Dio mi accoglierà,
Dio mi benedirà; ſalvus ſum, perchè Criſto ſi è
impegnato di parola ad eſſere mio glorificatore in
faccia agli Angioli, s'io ſarò ſuo glorificatore
in faccia agli uomini: Quicumque confeſſus fue- Lucia
rit me coram hominibus, o filius hominis confite
bitur illum coram Angelis Dei. E con un impe
gno sì certo di mia ſalute eſito ancora a dichia
rarmi apertamente per lui?
Ah nò, che non eſito punto, Gesù mio caro.
Odami pure il Mondo, e lo ſappia, ch'io ſono
tutto per voi, pronto a profeſſare in faccia di
chi che ſia il voſtro Vangelo. Non mi arroſſirò
certamente di voi, perchè in voi ho tutta la mia
fiducia: Deus meus, in te confido, non erubeſcam, Pf. ss
E ſe la fedeltà, che vi prometto, ecciterà contro
di me maldicenze, deriſioni, motteggi; non per
ciò recherommi ad onta il continuare a ſervirvi,
anzi mi conſolerò anch'io con Davidde, che ſe ſa
rò beffato dagli altri, ſarò da voi benedetto: Ma pſies
ledicent illi, 3 tu benedices. Sì sì, maledicent illis
ma il loro dir male finirà preſto. Tu benedices,
e le voſtre benedizioni dureranno in eterno. Co
minciate, Gesù mio, a benedir queſta ſera que
ſta mia riſoluzione, e per la piaga ſantiſſima del
voſtro Coſtato, che adoro con tutto l'oſſequio,
concedetemi, che come il dico adeſſo di tutto
cuore, così ancora lo dica per ſempre: In te, Do
mine, ſperavi, non confundar in aternum. Dl
12 2
se srec srec srec sresa
iD I S C O R S O V I I.
PER LA DO M EN I CA PR IM A
D O P O L' E P I F A N I A.

Viver nel modo, con cui ſi vive dai più.

In his, qua Patris mei ſunt, opportet me eſſe.


Luc 2. -

ºrº SºgHE il fare ciò, che fan gli altri non


5 S ſia la giuſta regola dell' operare,
3, C 3 quando altra prova non ve ne foſ
2S º ſe, ſarebbe più che baſtevole a per
3 N di ſuadercelo l'eſempio, che nell'o-
dierno Vangelo ce ne ha Criſto la
ſciato. Terminata la ſolennità della Paſqua par
te da Geruſalemme Maria, parte Giuſeppe, par
ron gli amici, partono i conoſcenti: Gesù ſolo
non partes e tutto, che vegga, che la ſua di.
mora ſia per eſſere di rammarico a ſuoi parenti,
che fanciullo com'egli è, lo temeranno ſmarrito,
pure ſi ferma, e intento ſolo al rifleſſo, che
la gloria del Divin Padre così richiede, punto
non bada a ciò, che gli altri ſieno per dirne;
In his, que Patris mei ſunt, queſto è tutto il
motivo, che lo trattiene in viſta degli altri,
che partono, oportet me eſſe. Sì, cari Uditori,
queſto ſolo baſtar dovrebbe per far ins".
CIMC .
Per la Domen, prima dopo l'Epifania. 11;
che ad operar con giuſtezza mirar non dobbia
mo a ciò, che dagli altri ſi fa, ma ſolo a ciò,
che Dio vuol, che ſi faccia. Eppure, corre pur
troppo l'oppoſta maſſima di fare più , che quel
che ſi dee, quel che ſi vede, e ſenz'altro ri
guardo, che di addattarſi a ciò, che faſſi dai
più, punto non ſi bada al come bene ſi operi,
purchè ſi operi ſecondo il coſtume. E fia poi
meraviglia, che chi vive come vivono i più, muo
ja altresì, come muoiono i più, e con la mol
titudine ſi precipiti, chi vuol per guida la mol
titudine! Ah, cari Uditori, io vorrei pure, che
voi almeno per accertarvi una ſanta morte pren
deſte dall' eſempio di Criſto, e non dall'attratti
va del coſtume la regola dell' operare, e ſen
za badare a ciò, che dagli altri ſi faccia, quel
ſolo faceſte, che il ſervizio di Dio domanda,
governandovi ancora voi con queſto ſolo prin
cipio: In his, que Patris mei ſunt, oportet me
eſe. Contentatevi pertanto, che ad aſſicurarvi
un vantaggio si rilevante io vi eſponga il di
ſordine luttuoſiſſimo, ch' egli è il far regola
del ſuo vivere il modo con cui ſi vive dai più;
diſordine, che s'introduce nell'anima ſenza ri
morſo: diſordine, che inemendabile s'innoltra
ſenza riparo: diſordine che ineſcuſabile termi
na ſenza perdono; Diſordine però luttuoſiſſimo
ne' ſuoi principi, come il vedremo nel primo
punto: Luttuoſiſſimo ne ſuoi progreſſi, come
il vedremo nel ſecondo punto: Luttuoſiſſimo
nel ſuo termine, come il vedremo nel terzo
punto. Cominciamo. e
E' un diſordine, che inſenſibile s'introduce PoN
nell'anima ſenza rimorſo? Dio ci liberi da una º ”
paſſione, che trovi nel cuore un pacifico alber
gO,
I 24 , Diſcorſo VII.
go. Non contenta queſta di alzarvi trono di
Regina, ergevi ancora Cattedra di Maeſtra ; e
ſollecita di ſecondare i ſuoi movimenti, porge
con tutta franchezza regola di giudicare, di de
cidere, di conchiudere. Quante ragioni ella tro
va per giuſtificare ogni coſa, che la luſinghi,
e quante per rigettare ogni coſa, che la inquie
ti! Quindi a danno ineſplicabile di chi l'aſcol
ra, vienſi a formare una coſcienza a capriccio,
che ſtabiliti a ſuo modo i principi dell'opera
re, ravvolge chi opera, ſenza che ſe ne avveg
ga, tra mille vizj. Ed eccovi appunto ciò, che
avviene a chi ſi laſcia guidare dalla corrente
del Mondo. O ſia timore, che non ardiſce far
fronte ai mali eſempi, che lo circondano, o ſia
orgoglio, che anche nel vizio ſdegna di appa
rire da men degli altri, o ſia ſovverchio amor
di sè ſteſſo, che di buon grado ſi addatta a tut
to ciò, che ſolletica l'inchinazion naturale ;
certo è, che ogni ſtudio ſi adopera per colo
rire coll'oneſtà il conformarſi coll'uſo. Si co
mincia ad iſtabilire per maſſima: che nel Mon
do ſi dee vivere col Mondo; niuna coſa più
odiarſi in chi vive tra i molti, che la ſingolari
rà s che non può non eſſere prudenza regolare
le ſue azioni, dalle azioni delle perſone del ſuo gra
do medeſimo: della ſua medeſima condizione; eſſer
in ſomma una ſpecie di neceſſità laſciarſi condur
dalla folla, a chi per obbligazione di ſtato vi
ſi trova nel mezzo. Da principi di queſta fatta,
ecco formarſi una coſcienza tutta a genio del
piacere, dell'intereſſe, dell'ambizione, e ſtabi
lirſi con una morale affatto nuova, che leci
tamente può farſi, quanto comunemente ſi fa:
Capit licitum eſſe (così l' oſſervò S. cp") -

- quo
Per la Domen, prima dopo l'Epifania. 125
l
-
quod publicum eſt. Quindi con una dialetica ap
v preſa nella ſcuola dell'amor proprio ſi forma
è queſto diſcorſo: Gli altri fanno così, dunque
ſenza ſcrupolo, ſenza rimorſo così può farſi.
Se ciò ſia vero, Uditori, io me ne rapporto
alla ſperienza, che di continovo ci moſtra un
sì abbominevole accordo della coſcienza col reo
coſtume. Quelle liti sì prolungate rovinano con
iſpoſe gravoſiſſime le famiglie: E voi, o Curia
º,
le, con qual coſcienza per mezzo di ſofiſtiche
ſottigliezze le fomentate? Con qual coſcienza
le tirate in lungo con dilazioni affettate ? Con
qual coſcienza ? riſponde, io non ne ho un me
nomo ſcrupolo, ſi è ſempre fatto così. E voi,
o Giovane, non vi arroſſite di ſtarvene con un
ginocchio a terra, e l'altro nò, nelle Chieſe,
e nelle ſale: in queſte vile idolatra di un volto,
in quelle adoratore irriverente di un Dio! Riſ
ponde, che gliene toglie ogni rimorſo il farſi
così dagli altri ſuoi pari. E quel trattare, o
Donna, sì poco guardingo, pare a voi, che
convenga al voſtro ſeſſo, al voſtro grado, e all'
età voſtra ? riſponde, che la coſcienza è in ſi.
curo, perchè l'uſo così permette. Così ſcuſa il
Mercante con lo ſtil del commerzio quegli inte
reſſi così ecceſſivi: Così il Soldato col coſtume
della milizia le ſue licenze: Così il Nobile con
le leggi della Cavalleria i ſuoi puntigli; ed in
tanto paſſeggiano per le Città battezzate con
maſchera d'innocenza, paſſaporto d'oneſtà le
ingiuſtizie, le uſure; le immodeſtie, le alteri
gie, e gli ſcandali. Il coſtume ſi è fatto diret
tore della coſcienza, e la coſcienza ingannata
ne riceve con piacere le leggi, Capit licitum
eſſe, quod publicum eſt. Ch
C
Y26 Diſcorſo VII.
Che luttuoſo diſordine ſi è coteſto! Non vi ha
certamente tra voi chi non lo vegga, ma io a
dir il vero non ne ſtupiſco, perchè la voglia di
fare ciò, che fan gli altri, o eſtingue del tutto,
o offuſca di molto quel buon lume, che dee di
ſcernere il ben dal males e guida cieca, ch'ella è,
purchè ſi vada dove gli altri vanno, nè vede, nè
laſcia vedere i precipizj ai quali conduce. E quin
di è, Uditori, che ci laſciò il Redentore nel ſuo
Vangelo l'avviſo di vegliare attentamente ſopra
di noi, acciocchè quel lume interno, che dee
eſſere la regola pratica del noſtro operare, non
Lue, venga ingombrato da tenebre: Vide ne lumen,
quod in te eſt, tenebre ſint. Perchè infino a tanto
che queſto lume, che altro non è, che la noſtra
coſcienza, mantienſi puro ſenza offuſcamento di
errori, le azioni regolate da eſſo ben poſſono
chiamarſi con la fraſe dell'Appoſtolo: frutti di
Eph. s.luce, fructus lucis ; ma ove queſto dall' ingan
no ſi oſcuri, che altro aſpettar ſi può, ſe non
quelle, che lo ſteſſo Appoſtolo chiama opera
zioni di tenebre, opera tenebrarum. Ed o quali,
o quante di queſte opere tenebroſe produce una
Matth coſcienza, che abbia ſpoſato il coſtume! Si lu
º men quod in te eſt, dice Criſto, tenebre ſint,
ipſa tenebrae quante, quanta erunt. Cammina la
miſera, e ad ogni paſſo, che dà, eſce di ſtra
da, ma perchè cammina nel buio, nè ſi avvede
del ſuo traviare, nè ſe ne duole.
Quindi chi può ridire il numero immenſo di
colpe, che come da ſorgente avvelenata deri
va da una coſcienza si pervertita ? Il Santo Aba
te di Chiaravalle per darcene in qualche modo un
idea, preſo dalle parole del Salmiſta il confron
to, paragona una coſcienza ſchiava degli uſi ad
llll
Per la Domenica prima dopo l'Epifania 127
un gran mare, in cui guizzan tranquilli rettili ſen
za numero: Mare magnum & ſpatioſum, illic rep
tilia quorum non eſt numerus. O che vaſto, che ſter
minato mar di peccati! ma peccati,che come rettili
s'inſinuano inſenſibili, e vi dimoran pacifici: Ma
re magnum & ſpatioſum. Quanti equivochi giun
gono con applauſo all'orecchio, ed eſcono per
vivacità dalla lingua per non parere tra compa
gni un milenſo: quante corriſpondenze di occhia
te, e dimeſtichezze di tratto, perchè ſi dica, per
chè ſi vegga, che ſi ſa vivere al Mondo: quante
ſpeſe ſoverchie, ſmoderate, e ſuperiori fors'
anche al proprio ſtato per pareggiare con gli altrui
sfoggi: quanti giuochi, perchè dagli altri ſi giuo
ca, quante detrazioni, perchè dagli altri ſi parla,
quanti perdimenti di tempo, perchè dagli altri
ſi vive in ozio: Mare magnum & ſpatioſum, pec
cati ſenza numero : reptilia quorum non eſt nu
merus: peccati malizioſamente non conoſciuti,
perchè non voluti conoſcere, peccati, che vi
vono in pace nel cuore, perchè dall'uſo ſov
vertitore della coſcienza ricoperti col manto dell'
oneſtà. Ah, che purtroppo, cari Uditori, que
ſto è l'incanteſimo del coſtume; col lungo mi
rare i diſordini ſe ne perde l'orrore, poi comin
ciano ad iſcuſarſi, poi a piacere, poi ad ammet
terſi: e più non ſembrano biaſimevoli, ſolo per
chè ſono comuni; ed ecco, Uditori, come dal
uſo a poco a poco perverteſi la coſcienza, e ſen
za che punto ſe ne riſenta di mille colpe ſi ag
grava. - -

Conobbe queſti pericoli il Re David, e rivol


to al ſuo Dio: ah, Signore, dicea reggete vi
prego, co voſtri lumi i miei paſſi! Miro d'ogni
intorno, e più non ravviſo ſantità in Iſraello:
Salvum
I 23 Diſcorſo VII.
º “Salvum me fac, Domine, quoniam d effecit Sani
ctus. Alla legge ſanta prevale il rio coſtume, e
dove prima prendeaſi dalla voſtra voce la regola
ora ſi prende dall' altrui opere ; le noſtre maſſi
me non hanno più credito, e ſi eccliſſa nel vo
Ibid. ſtro popolo la bella luce delle voſtre verità: Di
minuta ſunt veritates a filiis homunem. Piaccia
a Dio, che imitatori del Salmiſta apriamo gli oc
chi ancor noi, e non ci laſciamo incauti dalla
traviata moltitudine trarre di ſtrada. Nè ci ſarà
punto difficile il tenerci contro la corrente ben
ſaldi, ſe fiſſato nella divina Legge lo ſguardo,
queſta piglieremo per unica regola del noſtro
operare. Così fece quel generoſo padre de Ma
cabei, che vedendo gli altri ſeguir vigliacchi i
comandi ſacrileghi del perfido Antioco, eſecran
do la lor viltà: ſiegua, diſſe, chi vuole i co
mandi dell'empio Re, mai non ſarà, che ne io,
E • Ma
nè i miei figliuoli ci ſcoſtiam dalla legge de padri
scab. 2 noſtri: Et ſi omnes gentes obediunt Antiocho, ego,
& filii mei obediemus legi patrum noſtrorum; ſen
timenti degni veramente d' imprimerſi in ogni
cuore Criſtiano; Nò, dite ancor voi, ſe ſiete
capo di caſa, no, non ho altra regola, che la
legge divina. Stia chi vuol ſu i puntigli, perda
chi vuole in divertimenti il ſuo tempo, ſiegua
chi vuole le uſanze, e le leggi del Mondo: Io, e
i miei figliuoli non ci dilungheremo giammai dai
dettami dell'Evangelio: Ego, di filii mei obedie
mus legi: Nò, dite anche voi, ſe ſiete madre di
famiglia, io non ho altra regola che la legge di
vina. Amino le altre, quanto a lor piace, le
pompe, pratichin mode poco decenti, corra
no a veglie, a feſtini, a teatri, e facciano a
lor talento di notte giorno, di giorno notte s io,
C
Per la Domenica prima dopo l'Epifania. 125
e le mie figlie ameremo mai ſempre la ritira
tezza, la pietà, la modeſtia: Ego e fili e mea obe
i diemus legi e c. Nò, dite anche voi, quanti quì
i ſiete, Uditori miei amatiſſimi: Io non ho altra
i regola, che la legge divina? Facciano gli altri
ciò, che vogliono, dicano, ciò che vogliono
i motteggino alla libera, converſino alla dimeſti
ca, corrano di viſita in viſita, di piacere in pia
cere, di giuoco in giuoco, io non voglio far
nulla, che non ſi accordi appunto con la legge
ſanta di Dio: O ſe ci appigliamo una volta ad
una regola sì giuſta, miei dilettiſſimi, non cor
reremo più riſchio, nò, che la coſcienza ci tra
i diſca ingannata, non correremo più riſchio,
che ſi cammini alla cieca, e ſi corra fra tenebre
º al precipizio.
è O Gesù caro, imprimeteci voi nell'animo
: ſentimenti si giuſti, e fate, che guidata da que
ſti la noſtra coſcienza dia mai paſſo fuori del
buon ſentiero. Ah, che troppo è facile, che le
uſanze del Mondo ſovvertano il noſtro cuore, e
º lo avvolgano ſenza avvederſene in mille diſor
dini. Fate pertanto, per quelle piaghe ſantiſſi
i me, che ne voſtri piedi adoriamo, fate che
º altra regola mai non abbiamo del noſtro ope
i rarc , fuorchè la legge voſtra ſantiſſima, nè
º mai miriamo a quel, che dagli altri ſi fa, ma uni
i camente a quello, che da voi ſi comanda: Sic
chè ſicuri da ogni inganno giungiamo un giorno
: a quel feliciſſimo termine, a cui la voſtra legge
conduce, chi fedelmente la ſiegue. e
; E' un diſordine, che inemendabile s'innoltra P
ſenza riparo. Nulla vi ha di più facile, che il di i
i venire ſenza rimedio un male, che ſi ammette
, nel cuore ſenza rimorſo. In fatti quand' è, che
riconduceſi ſul ſentiero della ſalute un pecca
Tomo IV. Anno IV. I tOrC

l
13o Diſcorſo VII. x

tore traviato, ſe non allora, che con inter


ni latrati la ſua ſteſſa coſcienza lo inquieta, e
lo perſeguita, e rinfacciandogli ad ogni momento
il ſuo peccato: miſero, gli va dicendo, che hai
fatto! Per un piacere, per uno sfogo, per un nulla
ribellato ti ſei dal tuo Dio, e ne hai provocato
lo ſdegno. Ah infelice, più non è per te il Pa
radiſo! la divina vendetta or or ti raggiunge,
l' Inferno or or t' ingoja; e con sì fatti rim
brotti tanto lo tormenta , tanto lo agita ,
che ſpreme alla fine dal di lui cuore un vi
vo dolor del ſuo fallo. Ma quando tace ogni ri
morſo, e la coſcienza addormentata nelle ſue
colpe non ha chi la ſcuota, quale ſperanza vi
può mai eſſere di ravvedimento, ditemi, quale ?
Chi ha da ſcoprirle lo ſtato miſero in cui ſen
giace? Chi ha da rimproverarle le macchie ſor
dide di cui va lorda è Forza è però, che col man
car del rimorſo, manchi ancora il rimedio, e che
il male inſenſibile prima nei ſuoi principi, diven
ga poſcia irreparabile nei ſuoi progreſſi. E non
lo diſſe appunto il Griſoſtomo, che non vi ha più
luogo a riparo quando il vizio divien coſtume:
Deſinit eſſe remedio locus, ubi qua fuerunt vitia,
mores ſunt. Or quànd'è, miei dilettiſſimi, che
paſſa il vizio in coſtume, ſe non all'ora, che la
coſcienza col rimirarlo di continovo negli altri,
più nol ravviſa per deſſo, e ricopiandolo in ſe,
gli accorda come ad amico un tranquillo ſog
giorno, ed intanto peccando con tutta pace, e
ripeccando tanto non penſa ad emendarſi, che nè
pur ſi avvede d'eſſer colpevole. Penſate però ſe º,
v,
riparar mai ſi potrà un male, che paſſato in uſan
za più non ſi ricognoſce per male, deſinit eſſe
remedio locus, ubi que fuerunt vitia, mores ſunt.
Quindi
Per la Domenica prima dopo l'Epifania. 131
Quindi zelino pure quanto a lor piace i Mi
niſtri Evangelici, e riprovino il rilaſſamento de'
coſtumi, la vanità delle pompe, lo ſcialacqua
mento del tempo, la morbidezza del vivere, l'ec
ceſſo del giuochi, l'indecenza di certe mode,
non pertanto otterranno circoſpezione, mode
ſtia, ritiratezza ; moderazione, perchè niſſuno
mira come rimproverato a ſe quel coſtume,
ch ei vede comune negli altri: E' vero, dice co
lui, ch'io perdo non men di tempo, che di da
naro ſu tavolieri, ma non fanno lo ſteſſo tanti
altri dell' età mia , e del mio grado: E' vero,
dice colei, che con pace maggior della caſa po.
trei riſparmiare certe ſpeſe, ma veggo finalmen
te che le altre non le riſparmiano. E così, di
ſcorrendo, appena troverete, chi ſi faccia col
pevole di un abuſo rimproverato da ſagri per
gami, ſol tanto che lo ſcorga protetto e pra
ticato da molti; e con una ſomma indifferenza
di animo riſponde dentro di ſe: Il Predicatore
non dice a me, perchè io non faccio coſa, che
non ſi faccia da tutto il Mondo.
Che ſe per porre alla radice la ſcure, ſi rap
preſenti ai ſeguaci degli uſi, che queſto ſteſſo
è il loro gran male, voler fare ciò, che faſſi
da tutto il Mondo, ſapete che riſpondono ? Riſ
pondono ciò, che diſſe Mosè a Faraone, quan
do gli chieſe la permiſſione di portarſi a ſagri
ficar nel deſerto: Si mattaverimus ea, que º Exod
lunt AEgyptii coran eis, lapidibus nos obruent. Se
noi, dicea Mosè tra mezzo agli Egizi, ſagrifi
cheremo al noſtro Dio quelle divinità, ch'eſſi
adorano, ci ſeppelliranno vivi tra i ſaſſi: Ora
con un ſimile ſentimento, benchè in caſo diſ
ſimile, penſate, riſpondon coſtoro, s'egli è poſ
- - l 2 ſibile,
132 Diſcorſo VII,
ſibile, che noi in mezzo al Mondo ſagrifichia
mo a Dio quell' Idolo, che il Mondo adora,
i ſuoi coſtumi, i ſuoi uſi; quante ſarebbono le
dicerie, quanti i motteggi, quante le ſatire, che
ſi ſcaglierebbono contro di noi? Come compa
rir potremo nelle aſſemblee ſenza eſſer deriſi !
Come paſſeggiar per le ſtrade ſenza eſſere mo
ſtrati a dito ? Eh, che non ſi può in verun mo
do, non ſi può, chi vuol pace, forza è, che
viva nel Mondo come ſi vive. Ed ecco uditori,
ſempre più irreparabile loro male, perchè di
venuta nell'ingannata lor opinione mal neceſſa
rio; con queſta orribile conſeguenza, che dila
tandoſi d'età in età il male non riparato, in
volge chi ſuccede nella rovina di chi è prece
duto, e paſſando in eredità anche le uſanze,
fanno, che dove caddero i padri, cadano anco
ra i figliuolis dove caddero le madri, cadano
ancora le figlie, dove caddero i vecchi, cadano
ancora i giovani, avverandoſi pur troppo ciò,
che ſu queſto propoſito ſcriſſe il morale di Ro
ma, che traſmettendoſi da una generazione all'
altra il reo coſtume, ſi ammucchiano cadute ſo
pra cadute, ſopra le cadute degli avi le cadute
de' nipoti: Praecipitataue per manus traditus er
ror aliorum ſuper alios mentium. Giudicate ora
voi, dilettiſſimi miei, ſe dove il male, e male
di conſeguenze sì rilevanti, non ammette rime
dio, ſperar ſi poſſa ſalvezza. Eh, ch: purtrop
po ſi periſce coi più, perchè coi più ſi vuol vi
vere, e ſi va ſenza ribrezzo al precipizio, per
chè vi ſi va in compagnia ben numeroſa.
Io però non ſo indurmi a credere, che ſi tro
vi pur uno in udienza sì pia cieco ſettator del
coſtume; anzi ſembrami di ravviſare in ognuno
- di
Per la Domenica prima dopo l'Epifania. 133
di voi un vivo ritratto del fervoroſo Tobia, il
quale ſottrandoſi dalla moltitudine, che piega
va ſacrilega fronte ai vitelli d'oro alzati dall'
empio Geroboamo, non arroſſivaſi d'eſſere il
ſolo, che porgeſſe fedele omaggio al vero Dio:
Solus fugiebat conſortia hominum, C pergebat in Tob. 1,
Jeruſalem ad templum Domini.
Così ſaggiamente dee farſi, ove trattaſi di ſchi
vare un male, che non ammette riparo. Che
però affinchè le uſanze del guaſto ſecolo mai vi
ſmovano dalla Criſtiana voſtra riſoluzione, ſiavi
mai ſempre fiſſo nell'animo il bel conſiglio di
Sant'Eucherio, di mirar ſempre come obbrobrio,
non mai come eſempio il malcoſtume: Semper
ut oppro brium, nunquam ut exemplum. Sì, cari
uditori, ut opprobrium, non ut exemplum, ſi han
no a mirar certe mode, che riportano l'applau
dimento de licenzioſi, ma non ſi accordano con
la modeſtia Criſtiana, ut opprobrium, non ut e
xemplum, certe dimeſtichezze, che portano il
nome di vivacità innocente, e ſono ſcandaloſe
licenze, ut opprobrium, non ut exemplum, certe
maſſime, che con la fraſe del Mondo ſi chiaman
politiche, e nel concetto di Dio ſono ſtoltezze,
ſono empietà, ut opprobrium, non ut exemplum,
que libertinaggi di motti, di tratti, di canzoni,
che in certi conviti, in certe cene laſcian in
dubbio, ſe più vi trionfi l'intemperanza, o
l'immodeſtia, Corra in ſomma , corra la turba
ove vuole, ed inſenſata ſi affolli attorno ai pia
ceri, ai divertimenti, alle mondane allegrie: Noi
ſottrandoci dal numero, per ſottrarci dalla rovina,
miriamo il folle ſuo impegno:Semper utopprobrium
nunquam ut exemplum. Si sforzerà il reo coſtu
me di tirarci con mendicati isti al ſuo r"
I 3 O1
I 34, - Diſcorſo VII.
Noi riſpondiamogli con S. Bernardo, che la veri
tà, e non l'uſanza debb'eſſere la noſtra regola:
Debet nos judicium veritatis ducere, non privi
legium conſuetudinis. Ci aſſorderà la moltitudi
ne con le ſue voci ora d'invito, ora di burla:
Noi porgiamo orecchio all'avviſo di S. Gio
vanni Climaco, che dee ſu queſta terra vivere
tra i pochi, chi vuole tra i pochi regnare :
Vive cum paucis, ſi vis regnare cum paucis. Bia
ſimerà il Mondo la ſingolarità d'una vita,
aliena dalle ſue uſanze ; biaſimi quanto vuole:
non fia meglio, cara mia udienza, ſingolariz
zare con chi ſi ſalva, che accomunarſi con chi
ſi perde ?
Sì, ch'egli è meglio, Gesù mio caro, nè ſo
lamente meglio, ma indiſpenſabile, ma neceſ
ſario. Che follia ella è mai per non volerſi di
ſcoſtare dai più, volerſi perdere coi più! No,
mio buon Gesù, nol farò mai. Sieno pur pochi
quei, che non ſeguono gli uſi del Mondo; io
voglio eſſere tra queſti pochi, perchè voglio eſ.
ſere tra quei, che ſalvanſi. Deh per quelle pia
ghe, che adoro nelle voſtre mani ſantiſſime, ot
tenetemi, vi ſupplico, dal divin voſtro Padre una
di quelle grazie, che mantennero giuſto un Noè
in mezzo alle iniquità di tutta la terra, caſto un
Giuſeppe tra le impurità dell'Egitto, innocente
un Loth tra le diſſolutezze di Sodoma, fedele
un Tobia tra le Idolatrie del popolo: Sicchè la
forza d l coſtume contrario a voſtri ſanti det
tami, mai non mi tragga a dar un paſſo fuori
de' miei doveri.
E' un diſordine, che ineſcuſabile termina ſenza
il non
perdono. Perſuadere a chi vive nel Mondo, che
ſiegua gli uſi del Mondo, io lo " ll
ItOIl ,
Per la Domen. prima dopo l'Epifania. 135
ditori, io lo confeſſo, è difficile impreſa. Per
quanto a convincerlo ſi adoperi ogni arte, non
vuol intenderla, e a lui ſembra, che ſe pure vi
ha male nell'adattarſi al coſtume, non può non
eſſere un mal degno di ſcuſa, perchè ſe, come
diceaſi, s'inſinua ſenza rimorſo, pare che igno
ranza lo ſcuſi: e ſe innoltrandoſi non ha rime
dio, pare che lo ſcuſi neceſſità. Convien per
tanto, uditori, che conduciam l'oſtinato a quel
tribunale di verità, a cui dovrà preſentarſi dopo
la morte, e giacchè ignoranza e neceſſità ſono
le due tavole, a cui nel pericolo di un eterno
naufragio ſi affida ; vediamo ſe queſte trar lo
potranno a ſalvamento, quando sfaſciataſi que
“ſta ſpoglia mortale troveraſſi l'anima nel gran
de Oceano dell'eternità.
E in primo luogo, come può egli mai con
l'ignoranza difenderſi un appaſſionato ſeguace
degli uſi, ſe a diſarmar queſta ſcuſa con dop
pio lume ſi avventano ragion, e fede! Come
può mai darſi a credere di operar con giuſtez
za, chi altro motivo del ſuo operare non ha,
che conformarſi alla turba: Direſte voi, ch'e-
gli ha ſenno, chi in un cammino pericoloſo,
e ſdrucciolo, per ſua guida ſceglieſſe un cieco?
Direſte voi, ch' egli è viandante avveduto ,
chi pago di andar accompagnato, nulla poi ba
daſſe, ſe buona ella ſiaſi, o ſe falſa la ſtrada ?
Eppure che altro è vivere ſecondo l'uſo, ſe
non un camminare alla cieca ſenza riflettere ,
ſe ciò che ſi fa, ſia ciò appunto, che far ſi dee?
L'inteſe pure dal lume ſolo della ragione il
Morale, che tra le coſe più da ſchivarſi, una
è il ſeguire la moltitudine: Quid tibi vitandum senee,
precipue exiſtimem quaris ! Turbam. Turbam. E b"eat. c
I 4 tal ltO z.
136 Diſcorſo VII.
tanto era appreſſo lui operare coi molti, che
operare alla peggio. Argumentum peſſimi turba
eſt; onde iſtruendo il ſuo Lucilio: mirate, di
ceagli, dove dovete andar voi, non dove va
dono gli altri. E che di più non avrebbe egli
detto, ſe come in noi, così in lui, accoppiata
ſi foſſe alla ragione la Fede: O queſta sì, che
abbatte affatto ogni preteſa ignoranza. Imperoc
chè qual maſſima più ci s'inculca nelle ſagre
carte, che non tener dietro alla turba, nè dar
ſi ſchiavo alle uſanze! Ella è pur voce di Dio
quella dell'Eſodo, che della moltitudine, che
ſempre prevarica, non ſe ne debbono ſeguir
Exod. le orme: Non ſequeris turbam ad faciendum ma
º lum. Ella è pur voce di Dio quella di Paolo
a Romani, che vieta il conformarſi ai coſtu
Fomrz mi del ſecolo : Nolite conformari huic ſeculo.
Diſſe pur Criſto di bocca ſua propria, ch ella
è ſtrada da non tenerſi la più battuta, la più
Matth comune: In viam gentium non abieritis. Diſſe
“ pur che la via della moltitudine è via di per
Matth. dizione : Lata porta di ſpatioſa via eſt, qua
z. ducit ad perditionem , o multi ſunt, qui in
trant per eam. Diſſe pure, che la porta ſtret
tiſſima della ſalute non ſi trova ſe non da po
Ibid. chi: Pauci ſunt, qui inveniunt eam. Si ſcuſi dun
que, ſe può, con l'ignoranza chi ha contro
di ſe due irrefragabili teſtimonj, che lo ſmen
tiſcono: la ragione co ſuoi dettami: e la fede
co ſuoi oracoli.
Meno poi, e aſſai meno a difendere un o.
perare sì fuor del giuſto, vale il preteſto di ſo
gnata neceſſità. Imperocchè io dimando , chi
vi coſtringe a conformarvi ai coſtumi del gua
ſto ſecolo ? Chi? Il voſtro ſtato, no, perchè
tIO
Per la Domen. prima dopo l'Epifania. 137
ioverete perſone del voſtro ſtato fedeliſſime a
Dio. La voſtra età, no, perchè non mancano
tempi di chi pari a voi nell'età non ſi laſcia
perVertire dal Mondo. Il tempo, che corre, no,
perchè anco in queſto tempo vi è chi in faccia
del Mondo ſoſtiene intrepido il partito di Dio.
Chi dunque vi coſtringe? Chi vi mctte in co
la preteſa neceſſità ? Ditelo, chi? E'inpoſſi
bile, voi dite, che io frequenti quell'aſſemblea,
ſenza che dia in ecceſſo di giuoco; e chi vi ob
bliga a frequentarla ? E' impoſſibile, ch' io vi.
i quelle perſone ſenza, che nel cuor mi ſi ec
ci o fiamma, o fumo; e chi vi obbliga a vi
itale? Ma gli altri viſitano, gli altri frequen
tano; ed io ripiglio: chi vi obbliga a fare ciò,
che fan gli altri? Se pochi ſono quei, che ſi
contengono tra i limiti del dovere, e molti
quelli, che li traſcorrono, non è egli in vo
tra mano il gettarvi nel partito come de'mol
ſi così de pochi ? Diſingannatevi pertanto, dice
Tertuliano, diſingannatevi, non è neceſſità, che vi
ſcuſi, quella che tanto ſolo visſorza, quanto volete
Voi. Nulla neceſſitas excuſatur, que poteſi non eſſe ne
telitas. Infatti dove trattaſide temporali voſtri inte
teſſi, che vuol dire, che ſe altri gettano per impru
denza il ſuo, voi non ne ſeguitegli eſempi? Sapete
pur dire allora, che non volete rovinarvi con
ci ſi rovina; dunque ſolo dove ne va di mez
20 l'onor di Dio, ſolo dove ne ſcapita il van
taggio dell'anima, vi ſarà indiſpenſabile neceſ
ſia di fare quel, che fan gli altri? O miſera
ºſa, che ſolo accreſce il reato; o fievole apo
logia, che più vi condanna!
Per verità ſarà pure un bel difendervi al Tri
ºstile Divino, quando per voſtra diſcolpa: Si
gliore
i 38 Diſcorſo VII.
gnore, direte, ſe io non vi ho ſervito con la
fedeltà, che doveva, mia non è la colpa, ella è
tutta del coſtume, che regna. E' vero, che be
ne ſpeſſo mi ſono uſciti di bocca motti poco
decenti, ma queſto era il linguaggio, che tra
miei pari correva, e ſarei ſtato tacciato di trop
po timido, di poco accorto, ſe non aveſſi ſa
puto intrecciare alle altrui laidezze le mie. Ho
perduta gran parte delle mie ore nelle conver
ſazioni, ne' circoli, ne teatri, in giuochi, in
allegrie, in detrazioni, ma era queſto divenuto
l'impiego ordinario del tempo, nè io vedeva,
che gli altri della mia condizione, ſe 'l recaſſe
ro a ſcrupolo. Pocchiſſima è ſtata nel mio ve:
ſtir la modeſtia, e ben mi avvedeva dello ſcan si,

dalo, che ne ſeguiva, ma le mode portavan


così, e fummi una ſpecie di neceſſità l'altrui e
ſempio. Sono ſtate frequentiſſime alle perſone
di mio genio le viſite; rariſſime a ſagri Altari:
più che le corone, ho manneggiate le carte;
pe'miei divertimenti non mi è mancato mai
tempo, cd ho penato ſolo a trovarne per le pre
ghiere, per la parola di Dio, per la frequenza
de' Sagramenti; ma che ne poſs'io, ſe così vi
vevaſi dai più degli altri: O inſenſati, così gl'
interrompe tutto zelo il Griſoſtomo, e non vi
avvedete, che in vece di produrre difeſe, ag
gravate le accuſe ! Sapevate pure, che Criſto
avea ſempre mai riconoſciuto per ſuo nimico il
Mondo con le ſue uſanze, e perchè dunque ſe
guite il Mondo, e non Criſto ? Sapevate pur dal
Vangelo, che il gregge degli eletti era piccolo,
ſcarſo, e perchè dunque per divertirvi tra i mol
ti vi ſotraeſte dai pochi? Ah miſeri, vi con
dananno le ſcuſe voſtre medeſime, c siasi VO
lcito
Per la Domen, prima dopo l'Epifania. 139
leſte guida al fallire la moltitudine, ben vi ſtà,
ſe con la moltitudine non trovate pietà. Così par
la il Boccadoro, e così ſenza dubbio parlerà
Criſto. Che pietà, che perdono ſperar può mai,
chi a difendere i ſuoi diſordini ſi affida a ſcuſe
sì frivole! Nò, dicea S. Paolino, mai non ſarà,
che fondar ſi poſſano ſugli eſempi della molti
tudine giuſte difeſe: Nihil omnino agimus, qui
nos per multitudinis exempla defendimus; nè mai
ſi otterrà, ſoggiunge Girolamo, che il peccato
con la turba porti al peccato l'impunità: Multi
tudo ſociorum, impunitatem non facit criminum.
Guardivi però il Cielo, miei dilettiſſimi, dal
mai regolare con sì ſtrami principi le voſtre a
zioni, ed ove fiſſar vogliate negli altrui eſempi
lo ſguardo, ah non ne mancan de'buoni, da
gui prendere la giuſta idea! Se queſti ſon pochi,
ſe ſono i meno, non importa. Meglio è atte
nerſi con pochi al buon ſentiero, che traviare
con molti. E' meglio, o quanto meglio, trovar
coi pochi nel divin tribunale buone accoglien
ze, che riportare coi molti rimbrotti ſeveri. E
quand'anche nè pur queſti pochi vi foſſero, va
le per tutti queſto Gesù, che ad alta voce ſic
chè tutti l'intendano ci ſtà dicendo. Ego, ego ſum Joa.14
via; Io ſono la vera ſtrada, che ſi dee da tutti
tenere: a me ſi volga lo ſguardo, in me ſi fiſſi
la mira: Ego ſum via. Io e non il coſtume, io
e non la moltitudine, io e non la libertà, io
e non il Mondo, io ſon la via ſicura. Solo chi
cammina per queſta ſtrada giunge a ſalvezza:
Ego ſum via, ego, ego. Non più dunque, miei
dilettiſſimi, non più ſi miri ciò, che facciano
gli altri: Sinite mortuos ſepelire mortuos ſuos. Luc.9.
Mirate unicamente ciò, che ha fatto Gesù 5 la- -
- - ſciate,
I 46 Diſcorſo VII.
ſciate, che altri mirino il faſto, voi amate l'umil
tà di Gesù; laſciate, che altri vogliano libertà,
voi amate la ritiratezza di Gesù; laſciate, che
altri perdano il ſuo tempo in trattenimenti ge
miali, voi imitate in Gesù la modeſtia; la puri
tà, la cuſtodia de ſenſi. Gli altrui eſempi ( ah
diſgrazia miei dilettiſſimi! ) gli altrui eſempi
non ci tolgano Gesù di viſta: e