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D E' D I S C O R S I
P E R L' E S E R C I z 1 o
DEL LA BUONA MORTE.
ANNO QUARTO.
PER LA DOMENICA PRIMA DELL'AVVENTO.
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I N D I C E
D E' D I S C O R S I
P E R L' E S E R CI Z 1 o
DELLA BUONA MORT E.
ANNO QUARTO.
PER LA DOMENICA PRIMA DELL'AVVENTO.
DiscoRso Iº penſier della morte. 1. Ci mode
ra ne noſtri ecceſſi. 2. Ci diſingan
ma ne noſtri errori. 3. Ci dirige ne noſtri dubbi.
PER LA DOMENICA SECONDA DELL'AVVENTO.
Correndo la feſta dell'Immacolata Concezione della
Santiſſima Vergine. -
DI
S C O R SO
P R I M O
PER LA DOMENICA PRIMA
-
D E L L' A V V E N T O.
Penſier della Morte.
Il
Per la Domenica prima dell'Avvento. 23 -
Il penſier della morte ci dirige ne moſtri dubbi. P
Egli è pur troppo vero, e lo proviam tutto-º-
dì, che nelle noſtre deliberazioni pieni ſiamo
di dubbietà. E' sì ſcarſo quel lume, che la ra
gion naturale in noi accende, che dove trattaſi
di riſolvere, titubiamo, eſitiamo, e temiamo
ſempre, ſe ſia bene ciò che vogliamo, o ſe ſia
male, ſe ſia il meglio, o ſe ſia il peggio, ſe
l'eſito ſortiraſſi felice, o ſe infauſto; e quindi
è, che ora ſi vuole ciò che non ſi volea poc'
anzi; ora più non ſi vuole ciò che poc'anzi vo
leaſi: Cogitationes mortalium timide, tale ap-ºp. 9
punto è la pittura, che delle noſtre incer
tezze già fece il Savio, ci incerte providen
tie noſtre. Or qual ſarà in tante perpleſſità il
conſigliero, che ci diriga ? quale in tanta oſcu
rità la guida, che il buon ſentiero ci additi? Non
altra, miei dilettiſsimi, che il penſier della mor
te. Chiamiamo nelle noſtre determinazioni la
morte a conſiglio , ed ella ci ſcuoprirà delle
noſtre idee quali ſieno le giuſte, quali le falſe;
delle noſtre vie quali le rette, quali le ſtorte;
delle noſtre operazioni quali da eleggerſi, qua. Eee
li da riprovarſi: O mors, dice per bocca dell' ,
Eccleſiaſtico lo Spirito ſanto, bonum eſt judicium
tuum. Tu ſei, o morte, la madre del buon
conſiglio: e parlando Abacuc Profeta di chi
ſtampa nel cammino della ſalute orme ſicure,
dice, che non dà paſſo, ſenza ch' egli abbia
in viſta la morte: Ante faciem eius ibit mors; Atac.,
e quì notate, che dove nella vulgata leggiamo
ibit mors, voltano i ſettanta ibit ratio , quaſi
per iſpiegarci, che quando nel noſtro operare
Va innanzi la morte, va innanzi ancora il buon
lume, e ſi opera con ſicurezza, perchè ſi ope
B 4 Id
24 Diſcorſo Primo
ra con la ragione: ibit mors, ibit ratio: ende
ne ſiegue, che il conſiglio, che dalla morte ſi
piglia, non può non eſſere ottimo, perchè con
ſiglio ſuggerito dalla ragione; O mors bonum eſt
judicium tuum: bonum eſt. Anzi ella è sì accer
tata ne ſuoi conſigli la morte, che Dio mede
ſimo alle ſue voci la ſoſtituiſce per noſtro in
dirizzo. Oſſervatelo in Abramo. Infino a tanto
che il ſanto Patriarca fabbricato non ſi ebbe il
ſepolcro, Dio mai non ceſsò d'iſtruirlo: ed ora
egli medeſimo con la ſua voce, ora per mez
zo d'Angioli ſuoi meſſaggeri lo dirigeva dub
bioſo, afflitto lo conſolava; timido lo incorag
giva; e con promeſſe, con favori, con benedi
zioni ne animava la ſperanza, e ne promovea
la fedeltà, ma deſtinata ch'egli ebbe nella ſpe
lonca di Ebron la tomba, più non ſi legge ,
Lib.6
che dal cielo a lui ſcendeſſe o una voce, o una
ſinGen visita, che lo iſtruiſſe : Ulterius, ella è di Ru
perto Abbate la rifleſsione, Deus Abrah e appa
ruiſe non legitur: quaſi che inutile foſſe ogni
altro conſiglio, a chi già avea per conſigliero
il ſepolcro, nè mancar più poteſſe di direzione,
chi avea per direttrice la morte. E queſta ſteſſa,
al dir di Agoſtino, è la ragione, per cui il
Redentore ſolito a dar ricordi a quelli, cui ren
dea la ſanità, niun che ſi ſappia, ne diede mai
a quelli, cui reſe la vita, perchè ad ammae
ſtramento di queſti, in luogo di Crifto parla
va la morte: pro Domino loquebatur mortis af
fectio,
Ora ſe Dio medeſimo per darci a conoſcere
quanto accertato ſia nel ben guidarci il penſie
ro della morte, lo ſoſtituiſce all'efficacia della
ſua voce; poſſiamo noi dubitare, che un tal
pen
Per la Domenica Prima dell'Avvento 25
penſiero, ſe trovaſſe in noi ricetto, non ci ad
diterebbe con ſicurezza le vie da batterſi ? Ah
cari uditori, ſe nelle occaſioni il conſultaſsimo,
credetemi, che per oſcuro, che ſembrici il cam
mino di noſtra vita, non ſi farebbono que paſ
ſi falſi, che pur ſi fanno. Riſolverebbeſi ciò ,
che oneſtà, che giuſtizia, che ragione richieg
gono; nè rimarrebbe più luogo a tanti penti
menti, che c'inquietano, ora di avere intra
preſo ciò che dovea ommetterſi; ora di avere
ommeſſo ciò che dovea intraprenderſi : Sì, ſe
quel giovine, ſe quella giovane quando trattaſi
di ſcegliere uno ſtato di vita, ſeriamente pen
ſaſſero quale vorrebbono in punto di morte a
ver preſo non è già vero, che ſeguirebbono
più gl'inviti del ſecolo, che gl'impulſi di Dio?
E voi, che ite ſollecito in traccia d'impiego,
ſe con la morte vi configliaſte, non cerchere
ſte già quello di maggior luſtro, avvegnachè
vi manchino le abilità, piuttoſto che quell'altro
di minor nome, ma più adattato alle voſtre
forze? Con quanto più di cautela vi portereſte
o mercatante ne' voſtri traffichi: che miglior
uſo fareſte del voſtri beni, o facoltoſo, ſe l'uno
circa le ſpeſe; l'altro circa i guadagni chiede
ſte dalla morte il conſiglio! Che lealtà vi ſareb
be ne' contratti, che giuſtizia vi ſarrbbe nelle
liti, che innocenza ne divertimenti, che oneſtà
nelle amicizie, ſe entrando prima ciaſcun in ſe
ſteſſo, diceſſe: di queſto contratto, di queſta
lite, di queſti divertimenti, di queſte amicizie
avrò io mai a pentirmi, quando io mi trove
rò all'orlo dell'eternità? O qnanti a un tal ri
eſſo hanno ſepolti tra gli eremi i lor talenti !
Quanti hanno preferita a lor agi, a lor teſori
l'Evan
26 Diſcorſo Primo
l'Evangelica povertà ! O come, diceano tra ſe e
ſe, come in punto di morte ſarò contento di
aver così riſoluto, di aver eſeguito così ! E que
ſto pure è il rifleſſo, che in faccia del reo co
ſtume mantiene anche a di noſtri in più di un
giovine l'orrore alla libertà; queſto che in più
d'una dama fomenta il diſtaccamento dal Mon
do in mezzo del Mondo ſteſſo, queſto, che in
più di un nobile a diſpetto delle maſsime dell'
alterigia conſerva un'eſatta ſoggezione al Van
gelo. E queſto parimente, miei dilettiſsimi, ſe
abbiamo ſenno, ha da effere il rifleſso, che dia
d'or avanti alle noſtre operazioni la norma.
Avrò io a caro , andiam fra noi ſteſſi dicendo,
avrò io a caro in punto di morte di avere
impiegato il mio tempo più in ozioſi tratteni
menti, che in eſercizi divoti ? goderò io in
punto di morte di aver dato del mio denaro
più aſſai al giuoco, che alle limoſine ? Sarò io
contento in punto di morte di aver ſervito
più al Mondo, che a Dio, di avere penſato
più al corpo che all'anima; di aver amata più
la terra, che il cielo ? In ſomma in ciò che ſi
fa, in ciò che riſolveſi interroghi ognuno ſe
ſteſſo, e dica: di ciò che io fo , di ciò che ri
ſolvo, in punto di morte ne avrò conſola
zione, o diſguſto ? l' approverò allora, o il
condannerò è ne goderò , oppure ne piangerò?
vorrò averlo fatto, o averlo ommeſſo? e udita
la riſpoſta chiara, certa, infallibile, che farà la
morte, faccia , e riſolva ciò che di fare, e
riſolvere ella ſuggerirà. E che di meglio, di
lettiſſimi, poſſiam bramare, che avere in noi,
e con noi, in ogni tempo, in ogn' incontro
un conſigliero fidiſsimo, che accerti le noſtre
C
Per la Domenica prima dell'Avvento, 27
miſure; che regoli i noſtri paſsi, che ſcopra i
noſtri pericoli, che aſsicuri la noſtra ſorte! Che
e per orrore di un tal penſiero, non ci vaglia
mo del ſuo conſiglio, cari miei uditori, di
chi ſarà la colpa, ſe ſi eleggono ſtati di vita,
che non convengono, ſe ſi pigliano riſoluzio
ni, che ci rovinano, ſe ſi abbraccian partiti che
poi diſpiacciono, ſe ſi torce dal buon ſentiero,
ſe ſi vive alla cieca tra mille diſordini, e ſe in
fine ſi trova irreparabile il precipizio, dite, miei
dilettiſsimi, la colpa di chi ſarà?
Ah, Gesù caro, mia pur troppo, mia tutta
è la colpa, ſe nel mio operare mi dilungo dal
giuſto. Se non faccio ciò che dovrei, e come
il dovrei, ſi è perchè non penſo alla morte ,
e non voglio da queſta prender la regola del
la mia vita: Deh mio Gesù, per quella piaga,
che adoro nel ſagroſanto voſtro coſtato, con
cedetemi, vi ſupplico, che io ſappia nell' av
venire prevalermi di quel buon lume, che dal
penſier della morte mi può venire: Sicchè ri
flettendo con ſerietà a ciò che in morte vor
rei aver fatto, impari adeſſo, e riſolva quel ,
che far debbo.
D I S C O R S O I I.
PER LA DO M E NIC A SE C O N D A
DELL' AVVENTO
Correndo la feſta della Immacolata Concezione
della Santiſſima V E R G 1 N E.
Grazia Santificante,
a
Dob
3O Diſcorſo II.
se Dobbiamo eſſerne giuſti conoſcitori per apprez
PUN-zarla. Ella è cecità ben deplorabile della miſera
ro I. noſtra mortalità, miſurare col giudizio del ſenſi
il merito della ſtima. Se un oggetto non luſinga
col piacere, o non alletta con lo ſplendore, o
mai più non trova nè mente, che lo apprezzi,
nè cuor, che l'ami. E quindi è, che i beni di
grazia, che ſuperiori alla natura non ſoggiaccio
no a i ſenſi, raro è, che trovino appreſo l'uo
mo affetto, e ſtima: Ma ben tutt'altro è il giu
dizio, che a noſtro diſinganno ne forma nell'o-
dierno miſterio il Divin Verbo. Poteva egli ( e
chi nol ſa) formare a ſuo talento una Madre,
illuſtre per diadema, venerabile per impero, ſplen
dida per ricchezze 5 Madre a cui nulla mancaſſe,
o di grandezza per ſuo decoro, o di delizie per
ſuo piacere i poteva egli colmarla di onori, di
autorità, di potenza, e fornirla a dovizia di tutti
que'beni, che ſoli appagano le ingorde brame
di un Mondo ingannato, eppure nulla di queſto.
A preparare una Madre degna di un Dio im
piegò l'onnipotenza ogni ſuo sforzo in queſto
ſolo, che in quell'iſtante in cui tutti compajono
deformi per colpa, ella brillaſſe luminoſa per gra
zia. Queſta sì, queſta fu la prerogativa, per cui
Maria fu innalzata ſopra il comune degli uomi
ni: queſto fu il pregio, per cui ella comparve
più grande d'ogni grande di queſta terra: que
ſto fu il carattere nobiliſſimo della deſtinatale Di
vina Maternità; e con queſto fà l'Eterna Sapien
za conoſcere qual foſſe la ſtima ſua, e qual eſ.
ſer debba la noſtra di quella grazia, che ci ſan
tifica.
E vaglia il vero, Uditori, ſe mirar vogliamo
la grazia con uno ſguardo di fede, che non vi
ſcor
Per la Domenica ſeconda dell'Avvento. 3 I
ſcorgeremo di grande! Mirate quant'ella è pre
zioſa; ove di queſta portin l'impronto le noſtre
azioni, diventano ſubito prezzo baſtevole per
l'acquiſto del Cielo; e dove ſenza la grazia an
che le più eroiche impreſe ſono in ordine al pre
mio eterno di niun valore, con la grazia le ope
re anche più picciole, anche più abbiette, tanto
vagliono, quanto il Paradiſo medeſimo. Mirate
quant ella è bella; ove di eſſa vadane ammantata
un'anima, più non vi vuole, perchè ella ſia og
getto di compiacenza agli occhi di Dio, e tutto
che racchiuſa ella ſi trovi in un corpo o vile per
naſcita, o putrefatto per piaghe, o per macchie
deforme, contuttociò dà ella di ſe viſta sì vaga,
che Dio, non ſapendo per dir così finir di mi
rarla: Quam pulchra es! va ſclamando, amica Cant.,
mea, quam pulchra es. Mirate, quant'ella è no
bile s ognun ſa di quant'umile ſchiatta noi ſia
mo, o ſe ne conſideri il nulla da cui fummo
tratti, o il loto, di cui fummo compoſti, o il
peccato, con cui vennimo a queſta luce; eppure
ove all'eſſer noſtro un grado ſolo di grazia ſi
uniſca, innalzati veniamo a ſtato sì eccelſo, che
ſormonta, quantº ha d'illuſtre natura tutta ; ed
è tale l'onore, tale la dignità, ch'ella ci confe
riſce, ch' egli è poco l'eſſere con tutto rigore
di verità chiamati amici di Dio, poco l'eſſere
riconoſciuti figliuoli addottivi di Dio, poco l'eſ
ſere dichiarati legittimi credi di Dio. Che più ?
Giungiamo a tanto di nobiltà, che con una co
municazion di ſoſtanza la più maraviglioſa, e
inſieme la più ſublime, che concepir mai ſi poſ
fa, ſiam fatti partecipi della natura ſteſſa di Dio:
Divin e conſortes natura. Chi l crederebbe, ſe la 1.Pet,
fede medeſima con la penna di S. Pietro non
l'atteſtaſſe, - Or
32 Diſcorſo II.
Or quale ſtima non merita un ben sì grande,
un ben sì nobile, un ben sì prezioſo? Maggiore
ch' egli è, e infinitamente maggiore d'ogni be
ne di queſta terra, non è egli giuſto, che ad
ogni bene di queſta terra ſi preferiſca ? Eppure
diciamlo un poco con iſchiettezza, quale ſtima
ne abbiamo noi fatta? L'abbiamo noi preferito,
com'egli merita, ad ogni altro di queſti miſeri
mondani beni? Ah, che ſe ho mai deſiderate le
lagrime di Geremia, egli è certamente nel gior
no d'oggi, per deplorare, non dico ſolo la
ſcarſa ſtima, ma il poſitivo diſprezzo, che della
grazia ſi moſtra ! Qual bene omai vi ha tra i
Fangoſi di queſta terra, che non la vinca in con
fronto alla grazia? Dica pur quanto vuole l'An
gelico S. Tommaſo, che di quanto vi ha di ric
co nella natura, più vale un grado ſolo di gra
1. 2. 7 zia: Bonum grati e unius, majus eſt quam bonum
I 13art.
9.ad 2.
natura totius univerſi s laſcia perciò quel cuore
intereſſato di antiporre alla grazia un un vile gua
dagno? Ha bel dire S. Cirillo, che chi vuole vera
nobiltà, e ſoda grandezza, la cerchi per mezzo
della grazia nella figliuolanza eccelſa di Dio: Fa
ſtigium nobilitatis eſt interfilios Dei computaris
ſi aſtien egli perciò quello ſpirito vano di an
dar in traccia per vie anche inique degli cfimeri
ingrandimenti di queſta vita, meglio, che figlio
di Dio, amando vivere ſchiavo del Mondo? E
gli è pur certo, che adunate in una quante ſono
al preſente, e poſſon eſſere doti naturali negli
Angioli, ſarebbono di gran lunga men belle di
quel, che ſia la grazia, chiamata perciò dal Dot
tore Serafico: Primum & excellentiſſimum inter
dona creata: Eppure quanti, quante con iſca
pito della grazia o coltivano in ſe, o idolatra
mO
Per la Domenica ſeconda dell'Avvento. 33
no in altri tutt'altra bellezza. Si ha pur nella
grazia il pegno più certo dell'amicizia di Dio, e
il dono più ſplendido della ſua beneficenza: Om
mium Dei beneficiorum, come la chiamò S. Dio
nigi, praclariſſimum, quanti nulla dimeno, e quan
te preferiſcono alla grazia divina le vane, e ſpeſ
ſo ancora le impure ſperanze di un'amicizia crea
ta! O Santo Giobbe, ben aveſte ragione di dire,
che l'uomo non ne conoſce il ſuo prezzo: Ne- io,si
ſcit homo pretium eſus ! Tanta ſtima delle gran
dezze del Mondo, degli onori del Mondo; delle
amicizie del Mondo; e della grazia, che porta
ſeco amicizia di Dio, figliuolanza di Dio, par
tecipazione di Dio, poſſeſſo eterno di Dio, sì po
ca, o per dire più giuſto, niſſuna ſtima: Neſcit,
neſeit homo pretium eſus. O lagrimevole inſenſa
tezza ! Quis dabit, sì ch'egli merita, che più
con le lagrime, che con le parole deploriſi un
sì luttuoſo
quam, diſordine:
ci oculis Quis lacrymarum,
meis fontem dabit capiti meo a Jer.
d plo- y3
rabo die ac notte. Sebbene, ah che il diſordine piut
toſto che pianto chiede riparo. Un'occhiata per
tanto, cari Uditori, un'occhiata vi chieggo a
queſto Gesù: Miratelo ſu queſto tronco per voi
crocifiſſo, morto per voi, e imparate una volta
qual della grazia eſſer debba la noſtra ſtima. Ve
dete voi queſti ſquarci, che sì lo sformano? Sap
piate, ch'ei gli ha tollerati per abbellir voi con
la grazia ; vedete voi queſta Croce, ſu cui lan
guiſce ? Sappiate, che ivi è ſalito per innalzare
voi alla grazia; vedete voi queſto prezioſiſſimo
Sangue, che ſino all'ultima goccia ſparge dalle
ſue vene ? Sappiate, ch'egli è lo sborſo, che ha
fatto per comperarvi la grazia; e voi della ſua
grazia ne fate sì poco conto, che per un ca
Anno IV. Tomo l/, C priccio
34 Diſcorſo II.
priccio, per un piacere, per uno sfogo, per un
guadagno, per colui, per colei la rinunziate, la
diſprezzate, la buttate da voi. Criſto la ſtima
tanto, e noi sì poco! E chi, dilettiſſimi, chi dei
due s'inganna ? Noi, o Criſto? noi, che prefe
riamo alla grazia beni viliſſimi, o Criſto, che
tanto la ſtima, quanto il ſuo ſangue, quanto
la ſua vita, quanto i ſuoi meriti. Chi dunque,
dite, dilettiſſimi, chi dei due s'inganna ?
Ah Gesù caro, gl'ingannati ſiam noi, noi che
acciecati dalle noſtre paſſioni, facciamo sì poca
ſtima di quella grazia, di cui ſono prezzo le
voſtre pene, e il voſtro Sangue. Riconoſciamo
confuſi l'inganno noſtro, e pel voſtro Sangue me
deſimo, per le voſtre pene, vi ſupplichiamo ad
averci pietà. Più non ſarà, no: più non ſarà, vel
promettiamo di tutto cuore, più non ſarà, che di
ſprezziamo nell'avvenire un bene, che tanto va
le, quanto la vita di un Dio. Voi intanto coi
voſtri lumi fate, che ne conoſciamo ſempre più
il prezzo; ve ne preghiamo per quelle piaghe
ſantiſſime, che ne voſtri Piedi adoriamo; affin
chè creſcendo con la cognizione la ſtima, ſia
mo ſempre diſpoſti a perder piuttoſto qualun
que altro bene, che mai perder la voſtra gra
nezia.
Pgs- Dobbiamo eſſerne vigilanti cuſtodi per conſer
To II. varla. S'egli è vero, Uditori, com'è veriſſi
mo, che un teſoro con tanto più di cautela ſi
cuſtodiſce, quanto maggiore è il riſchio di per
derlo, chi di voi mi negherà, che ſomma non
debba eſſere l'attenzion noſtra nel cuſtodire la
grazia, ch'è tutta la ricchezza della noſtr'ani
ma: Date ſolo un'occhiata a quella creta, che
ci compone, e poi dite a me, ſe un s" S1
- - C
Per la Domenica ſeconda dell'Avvento. 355
degno, racchiuſo in un vaſo sì fragile, non corre
di continovo un grande pericolo di ſmarrimen
to: Habemus theſaurum iſtum ( così ne ſcriſſe, cora
l'Appoſtolo per riſvegliare in noi col timore di
perderlo la cautela nel cuſtodirlo ) in vaſis fi
filibus. Aggiungete, che con un pegno per una
parte sì ricco, per l'altra sì mal difeſo: abbiamo
a camminare per vie, lubriche per paſſioni, che
ci luſingano, oſcure per ignoranza, che ci ac
cieca, ſoſpette per inclinazioni, che ci tradiſcono,
mal ſicure per nimici, che c'inſidiano, per vie
in ſomma, nelle quali più che i paſſi ſono i pe
ricoli. Qual vigilanza pertanto richiedeſi, affin
chè un teſoro di tanto prezzo mai non ſoggiac
cia alla rapina di un qualche ladro dimeſtico, o
al ſacco di un qualche aſſalitore ſcoperto.
Io non ſaprei, Uditori, d'onde meglio, che
da Maria prender l'idea d'una cuſtodia così im
portante. Ma prima rammentivi ciò, che dell'
odierno miſterio le ſcuole c'inſegnano: che mer
cè i privilegi fatti oggi da Dio alla Concezion
di Maria, ella andò libera da quell'orrida cat
tività, in cui tutta geme la diſcendenza di Ada
mo, libera da quel fomite, che dalla concupi
ſcenza in noi ſi accende, ſorgente funeſta d'o-
gni noſtro diſordine, libera da quelle rivolte in
teſtine, che dentro di noi ſi ſollevano dalla car
ne contro lo ſpirito: Ma queſto è il meno; ram
mentivi, che Maria non ſolo nel ſuo primo i
ſtante fu Santa, ma confermata eziandio nello
ſtato della ſantità, ſicchè come fu ella per fa
vore ſingolariſſimo reſa impeccabile, così la gra
zia di cui apparve sì riccamente abbellita, fu gra
zia punto non ſoggetta, non dico a perderſi,
ma nè pure a ſcemarſi. Udite ora, e ſe potete,
- C 2 - tratto
36 Diſcorſo II.
trattenete le maraviglie: Così com'ella era ſicu
riſſima di non mai perdere il bel teſoro, che
poſſedea, cuſtodillo nulla dimeno mai ſmpre con
tal vigilanza, con tale attenzione, che di più
non avrebbe potuto, s'ella in verità foſſe ſtata la
più in pericolo di ſmarrirlo. Sempre himica d'o-
gni pompa di Mondo, lontana ſempre da ogni
commerzio del ſecolo, amò a tal ſegno la riti
ratezza, che fin turbolla la comparſa di un Angio
lo in forma d'uomo. Chi può ridire qual foſſe la
ſua parſimonia nel cibo, quale negli occhi la ſua
modeſtia, quale nelle parole la ſua cautela, qua
le in ogni ſuo portamento la compoſtezza! Avre
ſte detto al vederla, che mal ſicura di ſe, temeſ
ſe di tutto; tanta era in tutto la ſua circoſpezio
ne. Argomentate ora, e dite, ſe Maria tutto che
immune da ogni ſtimolo, che l'inchinaſſe al
peccato, vegliò nulla dimeno sì attenta ſu ſe me
deſima, come, e quanto dobbiamo noi vegliar
ſu noi, noi dalle paſſioni si combattuti, noi dal
ia malizia così acciecati, dalla concupiſcenza sì
ſpinti al male? Se Maria fornita di una grazia inal
terabile, ineſpugnabile, e per parlar con le ſcuole
inamiſſibile, pure la cuſtodi con attenzione sì ſol
lecita; noi, che tante volte poſſiamo perderla,
quanti ſono i pericoli, che ci aſſediano, quante le
tentazioni, che ci ſorprendono, quanti i nimici,
che dentro e fuori ci fanno guerra, potremo noi
mai per conſervarla moſtrarci abbaſtanza ſolleciti?
Ma che farebbe, dilettiſſimi, ſe mentre Ma
ria è sì attenta a cuſtodire una grazia, che non
può perdere, noi sì ſoggetti ad iſmarrirla; an
zichè ſottrarla dai riſchi, ai riſchi medeſimi la
eſponeſſimo ? Ah, cari uditori, convien pure
ch'io lo dica, e piaccia almen a Dio i il
1IlO
Per la Domenica ſeconda dell'Avvento. 37
dirlo ſia di profitto per più d'uno forſe, e per
più d'una, che quì mi aſcoltano. E può ella
co..ſervarſi la grazia in quelle converſazioni,
dove i motti, dove le occhiate, dove le dime
ſtichezze, dove le indecentiſſime ſgolature, fan
no della modeſtia ſpietatiſſimo ſcempio? Può
ella conſervarſi con quelle amicizie fomentate
non meno con ſegrete corriſpondenze, che con
paleſi corteggi? Può ella conſervarſi in quei ri
dotti, in quel circoli, ne'quali vanne con detra
zioni e con ſatire sì sfregiata la carità ? Può lla
conſervarſi in quelle partite di giuoco così vizio
ſo; e di giuoco, in cui con profuſion enormiſſi
ma tanto ſi butta e di denaro, e di tempo? Può
ella conſervarſi con avere ſotto agli occhi quei
libri, che o infettano la religione con le lorno
vità, o avvelenano co' loro amori i coſtumi ? Io
non ſo, dilettiſſimi, ciò che voi nel voſtro cuore
ve ne diciate; ſo ben ciò che ne laſciò ſcritto
gregorio il Grande: Depredari deſiderat qui the Hon.
ſaurum publice portati in via L'eſporre a sì fatti ".
pericoli il teſoro ineſtimabile della grazia, è un
cercar chi lo involi, e un volerlo perdere a bella
poſta, egli è un evidentiſſimo farne getto.
Almen ſi moſtraſſe, dopo averlo perduto, ſol
iecitudine di riacquiſtarlo. Ma quanti (o Dio!)
quanti paſſano nel miſero loro ſtato le ſettima
ne, ed i meſi, ſenz'avvederſi, o almen ſenza
cruciarſi della funeſtiſſima loro ſciagura ? Ah ſe
mai aveſs io queſta ſera preſente talun di coſtoro:
imparate, gli vorrei dire, dall'odierno miſterio,
che triſto, che deforme ſtato ſia il voſtro. Il
divin Figlio non può nè pure per un momento
ſoffrire ſenza grazia la madre. Non rifiuta egli
di venire alla luce in una ſordida ſtalla: non ri
- C 3 fiuta
38 Diſcorſo II.
fiuta di paſſare i ſuoi giorni in poveriſſimo al
bergo : non rifiuta di laſciare la vita ſopra tron
- co infamiſſimo: Ma naſcere da una madre, che
per un iſtante ſolo ſia ſtata infetta da colpa, o
queſto no, o queſto no: tanto ha egli in orrore
un'anima ſenza grazia; e voi, o miſero, ve la
paſſate ridendo, ſordo ai rimproveri, che ve ne
fa la coſcienza, inſenſibile alle minacce d'un
Dio ſdegnato, ſenza pietà di voi medeſimo, che
già già ve ne ſtate con un piè nell'Inferno! O
ſe ſapeſte qual teſoro vi manca, or che vi man
ca la grazia : Si ſcires donum Dei, ſi ſci
res. Ma io non poſſo credere, che in un gior
no di sì diſtinta pietà, tra voi ſi trovi un'ani
ma sì diſgraziata; onde tutto lo zelo rivolgo
ad inculcar la cuſtodia del bel teſoro, che poſ
ſedete. Deh, miei dilettiſſimi, ſe per conſerva
re la roba, la ſanità, la riputazione, non vi
ha induſtria, che non ſi adoperi; perchè non mo
ſtreraſſi premura uguale di conſervare un bene
tanto più degno, qual è la grazia ? Lungi per
tanto dalla voſtra lingua quegli equivoci: lungi
dalle voſtre mani que viglietti: lungi dal voſtro
cuor quegli amori: lungi quegli odj. Prontezza
in iſcacciar que penſieri: vigilanza in ribattere
quelle tentazioni: coraggio in reprimere quella
paſſione, e ſopra tutto, fuga coſtantiſſima, fu
ga delle occaſioni pericoloſe. E non baſta, U
ditori, che il noſtro nimico tenti ogni arte per
involarci la grazia, ſenza che noi medeſimi lo
invitiamo a rapircela? Non baſta, che i pericoli
ſi preſentino non cercati, ſenza che noi medee
ſimi andiamo ſpontanei ad incontrarli ? O gra
zia, bella grazia, ſe foſſi tu conoſciuta, non è
già vero che ſareſimo nel cuſtodirti sì poco
attenti !
Per la Dom. ſeconda dell'Avvento. 39
O Gesù mio, quanto io mi confondo della
poca premura, con cui ho finora cuſtodita la
voſtra grazia ! Inorridiſco al penſier dei perico
li, ai quali l'ho eſpoſta. Sì, mio Gesù, ne inor
ridiſco qualor vi rifletto. Un teſoro sì bello,
un teſoro così prezioſo, oh Dio come l'ho tra
ſcurato! Conoſco il mio torto, Gesù mio ca
ro, e lo confeſſo, e lo deteſto; ma ſon riſolu
to vegliar d'or avanti più attento alla cuſtodia
di sì gran bene: Fuggirò i pericoli, frenerò i
miei ſenſi, mortificherò le mie paſſioni. Voi aſ
ſiſtetemi col voſtro ajuto; ve ne prego per
quelle Piaghe, che adoro nelle voſtre Mani
ſantiſſime. Voglio, sì, ad ogni coſto lo voglio,
che in me ſi conſervi queſto bel pregio di bea
ta eternità. Sicchè con queſto nel cuore viven
do, con queſto ancora nel cuore mi meriti di e
mOrll C. - PUN
Dobbiam eſſerne trafficanti induſtrioſi per ac-,i.
creſcerla. Queſta terza corriſpondenza, che la
grazia richiede, ſpiccò pur bene in Maria. Avea
ella ricevuta nel primo iſtante dell'eſſer ſuo
grazia così copioſa, che potea dirſi pienezza di
grazia: non perchè giunta già al ſommo, capa
ce più non foſſe di accreſcimento: ma perchè
l'abbondanza fu tale, che più ella ricevette di
grazia in quel primo momento, di quello, che
ne aveſſero mai conſeguito, o foſſero mai per
conſeguirne tutti inſieme i Cori degli Angioli,
e tutte inſieme le ſchiere de Santi: ond' ebbe a
ſcrivere S. Girolamo: Ceteris per partes, Marie
ſe infundit tota plenitudo gratiae. Eppure in tan
ta pienezza di grazia credete voi, che Maria
contenta di nulla ſminuire di capitale sì vaſto,
non ſi deſſe penſiero di assier Tante"
4 ll
4O Diſcorſo II.
fu paga di ſolo cuſtodire il già ricevuto, che al
tra mira non ebbe mai, che di creſcere ſempre
di merito in merito, e di ſantità in ſantità:
qual potè mai noverarſi momento di vita ſua,
che impiegato non foſſe o in ſanti penſieri, o
in affetti ferventi, o in operazioni virtuoſe ? Fi
no gli anni dell'infanzia più tenera, fino i me
ſi, che paſsò tra le ombre del ſen materno, fin
le ore, che diede al neceſſario riſtoro del ſon
no, non andarono ſenza frutto di meriti. Tan
to fu ella intenta a far della grazia continovo
traffico, bramoſa tanto più di arricchirſene, quan
to ſe ne ſcorgea più ricca. Nè dee recarci ſtu
pore, Dilettiſſimi, che a Maria ſteſſe sì a cuo
re un accreſcimento sì vantaggioſo. Sapea ben
ella, che la grazia ci ſi dà eſpreſſamente da
Dio, perchè ſe ne faccia commerzio: Sapea,
che la grazia è un fondo, da cui eſige Dio mol
tiplicato il frutto: Sapea in ſomma, che la
grazia è un capitale, a cui non può farſi torto
maggiore, che col laſciarlo in ozio. E però vol
le col ſuo eſempio inſegnarci il traffico, che
haſſene a fare, non meno in oſſequio di chi la
dà, che in vantaggio di chi la riceve.
E in verità, cari Uditori, avete voi mai ri
flettuto a quel negotiamini, dum venio, che il
Lue. 19
Redentore c'ingiunge? Con queſto traffico, a s
cui ci obbliga, che credete voi ch'egli pretenda?
Ch ogni induſtria noſtra ſi occupi in aggiugne
re comodi a comodi, ricchezze a ricchezze, o
nori ad onori? Penſate. Pretende, come tutti
ad una voce i Santi Padri ci accertano, preten
de, che mettaſi per dir così a banco, e quan
to ſi può ſi moltiplichi il talento prezioſiſſimo del
lagrazia, ch'ei ci ha rimeſſo. Queſto egli pretende,
queſto
Per la Dom. ſeconda dell'Avvento. 41
queſto egli vuole in maniera, che a chi lo traffica
bene promette premj, e quai premj! e a chi lo ſcia
lacqua, minaccia gattighi, e quai gaſtighi! Sic
chè ove a far della grazia un buon impiego
non ci veniſſe dagli eſempi di Maria la ſpinta,
ci vien queſta, e ci vien gagliardiſſima dal co
mando di Criſto. Or qual è, Dilettiſſimi, l'uſo,
che noi facciamo? Non parlo già di quella
grazia, che nel ſanto Batteſimo ci fu data: Ah
miſeri! Quanti di noi hanno a piangerne la
perdita lagrimevole, che ne hanno fatta pec
cando! Parlo di quella, che la Divina Miſe
ricordia nella Sagramental Penitenza ci ha ri
donata: di queſta sì, qual è l'uſo, che ne fac
ciamo? Si penſa, ſi ſtudia, ſi travaglia per ac
creſcerla? Se dò d' ogni intorno un'occhiata ,
veggo induſtrie, veggo fatiche, veggo ſolleci
tudini: ma, oimè ! Fatiche, induſtrie, ſollecitu
dini, che mirano a tutt'altri accreſcimenti, che
della grazia. Veggo chi ſi affaccenda per cre
ſcer di poſto, veggo chi ſi ſtrugge per creſcere
in facoltà, veggo chi ſi lambicca per creſcere
in dottrina, veggo chi ſi conſuma per creſcer
di ſtima, e veggo perfino chi ſi rovina per cre
ſcere in faſto. Ma per creſcere nella grazia, dove
ſono le induſtrie, dovele fatiche, dove le ſollecitudi
ni? Se ne farebbe pure un bel traffico con la pie
tà verſo Dio, con la carità verſo i poveri, con
la frequenza de Sagramenti, con le opere di
ſalutar penitenza. Ma queſte dove ſono, Dilet
tiſſimi, dove ſono ? Poſſibile dunque, che ſi
abbiano tutto giorno a vedere moltiplicate le
pompe, e non la grazia, moltiplicate le mode,
e non la grazia, moltiplicati fino nei giorni più
ſagroſanti dell'Avvento i giuochi, i
-
º" y NC .
1.
42 Diſcorſo II. -
D I S C O R S O I I I.
PER LA D o M E N I CA T E R ZA
D E L L' A V V E N T O.
Amore dovuto a Criſto,
-
D I S C O R S O I V.
N E L L' OTTAVA D E L SANTISSIMO
NATALE,
Correndo in tal giorno la Feſta de Santi Innocenti.
Scandalo.
i s
o(S&ESSESS&s=SS 3S S-SES)o
D I S C O R S O V.
PEL GIORNO DELL'OTTAVA DE SANTI
IN NO CE NT I.
94 Diſcorſo V. -
a FFFFFFFS
Siczieri ieri ieri: ieri 24
D I s C o Rs o v I.
NELL' O TTAVA DELL'EPIFANIA.
Riſpetti umani.
Q
1 to Diſcorſo Vi.
obblighi del Batteſimo in mezzo del battezzati:
O ſchiavitù troppo indegna di un cuor Criſtia
no! O diſonore troppo ſenſibile dell'Evangelio,
e della Fede! Deh non ſi laſciamo, cari udito
ri miei, addoſſare un giogo sì infame 5 non
permettiamo, che ci ſi tolga il più bel pregio,
che abbiamo, la libertà Criſtiana. Se il Mon
do ha le ſue leggi, ſe i ſuoi uſi, le ſue con
venienze, ei vuol, che ſi oſſervino; tanto ſi oſ
ſervino, quanto ſi accordano con la virtù , e
non più. Ove il maligno pretenda di ſtendere
il ſuo imperio fin dentro il Santuario, e di
preſcrivere limiti al Vangelo, ed alle ſue maſ
ſime, ſi deridano i ſuoi comandi , e facciaſi
fronte al ſuo ardire. Se ſchiavi abbiamo adeſ
ſere, non mai del Mondo, nò; ſchiavi voſtri, ºra
- quo
Per la Domen, prima dopo l'Epifania. 125
l
-
quod publicum eſt. Quindi con una dialetica ap
v preſa nella ſcuola dell'amor proprio ſi forma
è queſto diſcorſo: Gli altri fanno così, dunque
ſenza ſcrupolo, ſenza rimorſo così può farſi.
Se ciò ſia vero, Uditori, io me ne rapporto
alla ſperienza, che di continovo ci moſtra un
sì abbominevole accordo della coſcienza col reo
coſtume. Quelle liti sì prolungate rovinano con
iſpoſe gravoſiſſime le famiglie: E voi, o Curia
º,
le, con qual coſcienza per mezzo di ſofiſtiche
ſottigliezze le fomentate? Con qual coſcienza
le tirate in lungo con dilazioni affettate ? Con
qual coſcienza ? riſponde, io non ne ho un me
nomo ſcrupolo, ſi è ſempre fatto così. E voi,
o Giovane, non vi arroſſite di ſtarvene con un
ginocchio a terra, e l'altro nò, nelle Chieſe,
e nelle ſale: in queſte vile idolatra di un volto,
in quelle adoratore irriverente di un Dio! Riſ
ponde, che gliene toglie ogni rimorſo il farſi
così dagli altri ſuoi pari. E quel trattare, o
Donna, sì poco guardingo, pare a voi, che
convenga al voſtro ſeſſo, al voſtro grado, e all'
età voſtra ? riſponde, che la coſcienza è in ſi.
curo, perchè l'uſo così permette. Così ſcuſa il
Mercante con lo ſtil del commerzio quegli inte
reſſi così ecceſſivi: Così il Soldato col coſtume
della milizia le ſue licenze: Così il Nobile con
le leggi della Cavalleria i ſuoi puntigli; ed in
tanto paſſeggiano per le Città battezzate con
maſchera d'innocenza, paſſaporto d'oneſtà le
ingiuſtizie, le uſure; le immodeſtie, le alteri
gie, e gli ſcandali. Il coſtume ſi è fatto diret
tore della coſcienza, e la coſcienza ingannata
ne riceve con piacere le leggi, Capit licitum
eſſe, quod publicum eſt. Ch
C
Y26 Diſcorſo VII.
Che luttuoſo diſordine ſi è coteſto! Non vi ha
certamente tra voi chi non lo vegga, ma io a
dir il vero non ne ſtupiſco, perchè la voglia di
fare ciò, che fan gli altri, o eſtingue del tutto,
o offuſca di molto quel buon lume, che dee di
ſcernere il ben dal males e guida cieca, ch'ella è,
purchè ſi vada dove gli altri vanno, nè vede, nè
laſcia vedere i precipizj ai quali conduce. E quin
di è, Uditori, che ci laſciò il Redentore nel ſuo
Vangelo l'avviſo di vegliare attentamente ſopra
di noi, acciocchè quel lume interno, che dee
eſſere la regola pratica del noſtro operare, non
Lue, venga ingombrato da tenebre: Vide ne lumen,
quod in te eſt, tenebre ſint. Perchè infino a tanto
che queſto lume, che altro non è, che la noſtra
coſcienza, mantienſi puro ſenza offuſcamento di
errori, le azioni regolate da eſſo ben poſſono
chiamarſi con la fraſe dell'Appoſtolo: frutti di
Eph. s.luce, fructus lucis ; ma ove queſto dall' ingan
no ſi oſcuri, che altro aſpettar ſi può, ſe non
quelle, che lo ſteſſo Appoſtolo chiama opera
zioni di tenebre, opera tenebrarum. Ed o quali,
o quante di queſte opere tenebroſe produce una
Matth coſcienza, che abbia ſpoſato il coſtume! Si lu
º men quod in te eſt, dice Criſto, tenebre ſint,
ipſa tenebrae quante, quanta erunt. Cammina la
miſera, e ad ogni paſſo, che dà, eſce di ſtra
da, ma perchè cammina nel buio, nè ſi avvede
del ſuo traviare, nè ſe ne duole.
Quindi chi può ridire il numero immenſo di
colpe, che come da ſorgente avvelenata deri
va da una coſcienza si pervertita ? Il Santo Aba
te di Chiaravalle per darcene in qualche modo un
idea, preſo dalle parole del Salmiſta il confron
to, paragona una coſcienza ſchiava degli uſi ad
llll
Per la Domenica prima dopo l'Epifania 127
un gran mare, in cui guizzan tranquilli rettili ſen
za numero: Mare magnum & ſpatioſum, illic rep
tilia quorum non eſt numerus. O che vaſto, che ſter
minato mar di peccati! ma peccati,che come rettili
s'inſinuano inſenſibili, e vi dimoran pacifici: Ma
re magnum & ſpatioſum. Quanti equivochi giun
gono con applauſo all'orecchio, ed eſcono per
vivacità dalla lingua per non parere tra compa
gni un milenſo: quante corriſpondenze di occhia
te, e dimeſtichezze di tratto, perchè ſi dica, per
chè ſi vegga, che ſi ſa vivere al Mondo: quante
ſpeſe ſoverchie, ſmoderate, e ſuperiori fors'
anche al proprio ſtato per pareggiare con gli altrui
sfoggi: quanti giuochi, perchè dagli altri ſi giuo
ca, quante detrazioni, perchè dagli altri ſi parla,
quanti perdimenti di tempo, perchè dagli altri
ſi vive in ozio: Mare magnum & ſpatioſum, pec
cati ſenza numero : reptilia quorum non eſt nu
merus: peccati malizioſamente non conoſciuti,
perchè non voluti conoſcere, peccati, che vi
vono in pace nel cuore, perchè dall'uſo ſov
vertitore della coſcienza ricoperti col manto dell'
oneſtà. Ah, che purtroppo, cari Uditori, que
ſto è l'incanteſimo del coſtume; col lungo mi
rare i diſordini ſe ne perde l'orrore, poi comin
ciano ad iſcuſarſi, poi a piacere, poi ad ammet
terſi: e più non ſembrano biaſimevoli, ſolo per
chè ſono comuni; ed ecco, Uditori, come dal
uſo a poco a poco perverteſi la coſcienza, e ſen
za che punto ſe ne riſenta di mille colpe ſi ag
grava. - -
l
13o Diſcorſo VII. x
iS G 3 ESC 2G
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X,E XI,
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D I S C O R S O VI II.
PER LA DO M E NIC A SE CON DA
D O P O L' E P I F A N I A.
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16o
s gº º :
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3, 5
D I S C O R S O I X.
PER LA DOMENICA TERZA
D OP O L'EPIFANIA.
Pianto dell'Inferno.
% -: N S 1 ha da piangere in vita, o ſi ha da
è i º. piangere dopo morte. Perdonatemi,
i , i cari uditori, ſe in un tempo, che par
N SF2, tutto fatto per l'allegrezza mi fo ara
gionarvi di lagrime. Ma che ne poſ
s'io, ſe lagrime ſuggeriſce al mio diſcorſo il
Vangelo. Datevi pertanto pace, e laſciate, che
con franchezza ripeta: o ſi ha da piangere in vi
ta, o ſi ha da piangere dopo morte. Chiunque
naſce, naſce al pianto, perchè naſce erede di
peccato; onde voglia, o non voglia, egli ha da
piangere: nè vi ha in queſto altro arbitrio, che o
di piangere toſto, o di piangere tardi. Con que
ſta diferenza però tra un pianto, e l'altro, che
l'uno ci fa beati, l'altro ci fa miſeri: ci fa beati .
il piangere in vita: ci fa miſeri il piangere dopo
morte; perchè il primo porta dopo di ſe una eter
ma contentezza, il ſecondo porta ſeco una s"
- 1
Per la Dom. terza dopo l'Epifania. 151
diſperazione. In queſta neceſſità di pianto in cui
ſiam tutti, chi non vede, miei dilettiſsimi, che
tra i due ſciegliere ſi dovrebbe il piangere in vita,
perchè ſe ben ſi conſidera, egli è un pianto, che
giova, egli è un pianto, che conſola, o ſe non
altro, egli è un pianto, che finiſce: eppure chi
il crederebbe! Una parte certamente non piccola
de Criſtiani, meglio che accertarſi con un breve
lutto un gaudio eterno, ama di condannarſi per
un breve gaudio ad un eterno lutto. So, che di
coſtoro, come quelli, che di malgrado ſi fanno
ad udire il vero, che ſpiace, non ne ho preſente
veruno: ma non perciò voglio io tralaſciare di
mettere in chiaro la lor pazzia; e con eſporre l'or
ribile pianto, a cui ſi condannano, far conoſcere
il triſto cambio, che fanno. Se non riuſcirammi
di ritirare coſtoro dalla vana loro allegrezza, ot
terrò almeno di confermare voi in quel pianto,
che vi ha da render felici : Beati qui lugent: quo- Mass
miam ipſi conſolabuntur. V'invito pertanto ad en
trar queſta ſera col penſiero in quell'abiſſo di la
grime, in cui dovrà entrar dopo morte chi non
avrà pianto in vita: e tralaſciata ogn'altra più
efficace conſiderazione, voglio che appunto lo
ravviſiamo, quale dal Redentore nel ſuo Van
gelo ci ſi deſcrive, come caſa del pianto: Ibi erit
fletus. Ma qual pianto, uditori miei, qual pian
to? Io credo di non appormi male, ſe a darvene
una qualche idea ve lo propongo doloroſiſſimo
per tre motivi, ciaſcuno de quali ci fa ſcorgere
i nel ſolo pianto un grande Inferno. Pianto dolo
roſiſſimo, perchè pianto ſenza riparo: ſarà il
l
primo punto : pianto doloroſiſſimo, perchè
pianto ſenza ſollievo: ſarà il ſecondo punto:
l
pianto doloroſiſsimo, perchè pianto ſenza ter
Anno IV. Tom. IV. L mine:
162 Diſcorſo IX.
mine: ſarà il terzo punto. Pianto inutile, pian
to inconſolabile, e pianto eterno. Gran pianto,
se terribil pianto!
PUN
Pianto dell'Inferno doloroſiſſimo, perchè pian
to ſenza riparo. Non ſono tormentoſe le lagri
me, quando queſte poſſono riparare il mal, che
piangeſi. Pianſe la ravveduta Ninive alla inti
mazione dello ſterminio: pianſe l'afflitta Eſter
al decreto fatale contro il ſuo popolo: pianſe
il perſeguitato Davidde all' inaſpettata ribellione
del figlio: pianſe il pietoſo Ezechia all'annun
zio della morte vicina: ma niun di queſti rice
vè pena dal pianto, che anzi perchè nel pian
to fondavano le ſperanze della ſalvezza, che
poi ottennero, tutto s'infondea nel piangere il
dolce dello ſperare. Quello sì, ch'è un duro
piangere, il piangere ſenz' alcun prò, perchè
egli è un pianto, che ad altro non ſerve, che
a dare un peſo maggiore alla pena, per cui
ſi piange, e a rendere vieppiù inſopportabile il
mal, che ſoffreſi. E queſta per appunto è la
ſorte ſventuratiſſima di chi dopo una morte in
felice piomba ne guai eterni. Al primo entrare
in quelle tenebre piene di orrore, chi poc'anzi
sfoggiava in magnificenza d'albergo: al primo
vedere que moſtri, che avranno ad eſſere per
tutta l'eternità i ſuoi carnefici, chi poco pri
ma vedea turba di ſervi oſſequioſi a ſuoi cenni:
al primo provare quel fuoco, che ſarà per tut
ti i ſecoli il ſuo tormento, e poco avanti go
deaſi tra le delizie; in una parola: a quel pri
mo ſcorgerſi, che farà, privo d'ogni ſorta di
bene, e da ogni ſorta di male ſorpreſo un mi
ſero riprovato, chi può eſprimere quali ſienº
i ſoſpiri, quali le lagrime, quali le ſtrida, nel
le
Per la Dom. terza dopo l'Epifania. 163
le quali violentato dal ſuo dolore prorompe?
Ma qual prò del ſuo pianto; ſe quanto lo pro
va a viva forza ſpremuto dalla ſua orrenda diſ
detta, altrettanto lo ſcorge inutile a ripararla:
ſe col ſuo piangere ſperar poteſſe lo ſventura
to, o di lavare le macchie, che lo deformano,
o di mitigare gli ardori, che lo conſumano,
o di placare lo ſdegno di quel Dio, che lo fla
gella; per quanto ſia grande, per quanto acer
bo il ſuo pianto, ſarebbe ancor tollerabile: ma
nò: pianga quanto egli vuole, non occorre, che
ſperi, o di cancellare giammai nè pur la meno
ma delle ſue colpe, o di ſpegner giammai nè
pure una ſcintilla di quell'incendio, che lo di
vora, o di ricever giammai da quel Dio, che
lo puniſce una moſtra anche menoma di pietà.
Nò, non occorre, che lo ſperi. Verſi a rivi le
lagrime, le verſi a fiumi: non riparerà mai in
eterno il ſuo eſtremo infortunio: che orribile
crepacuore! Pianger moltiſſimo, e ſempre pian
gere in vano: che dolore crudele ! Piangere il
ſuo male quando il piangere non è più a tem
po! Di Eſaù, dice la Scrittura, che quando ſi
avvide della primogenitura ſenza riparo perdu
ta, diò più che in lagrime d'un affitto, in ur
li di un arrabbiato: Irrugiit clamore magno; ora essi
che pianto, che diſperato pianto ſarà quello di ar.
un riprovato, al vederſi non ſolo eſcluſo dalla
eredità, che gli era deſtinata del regno eterno;
ma confinato di più in un abiſſo d'orrore non
meno, che di tormento!
Poteſſe almeno un dannato, giacchè lo co
noſce infruttuoſo, contenere il ſuo pianto. Ma
no, che tanto non gli è permeſſo. Lagrime chie
de la prigion orribile, nella quale geme rac
L 2 chiuſo
i 64 Diſcorſo IX.
chiuſo: lagrime le catene indiſſolubili, tra le qua
li trovaſi avvinto: lagrime le fiamme atroci,
che lo divampano: lagrime il Paradiſo chiuſo
per ſempre a ſuoi occhi: lagrime un Dio per
ſua traſcuratezza perduto. Sicchè l'infelice ſma
niando, e diſperandoſi, vedeſi coſtretto a con
feſſare per una parte, che il piangere non gio
va, e per l'altra, che pianger biſogna. E quì
a dare un ſopraccarico al dolor del ſuo pianto,
ſi aggiungerà al rifleſſo, che un ſolo di que'tan
ti ſoſpiri, di quelle tante lagrime una ſola, ſe
ſparſa l'aveſſe in vita, potea ſalvarlo. Io per
me credo, uditori miei, che tra i tormenti d'un
anima condannata un de' maggiori ſia queſto
penſiero: Adeſſo non piangerei, ſe io aveſſi pian
to a tempo. Conoſce allora le occaſioni, che
ſe le offerirono, e negligentemente le traſcurò:
conoſceſi le grazie, che da Dio ricevette, e in
grata le rigettò, conoſce i giuſti e frequenti mo
tivi, ch'ella ebbe di piangere, e ſpenſierata non
vi volle riflettere; onde rendendoſi ſuo malgra
do giuſtizia, forza è, ch'ella eſclami: ſe io pian
go ben mi ſtà!
Ma queſta ſteſſa giuſtizia, ch'ella ſi rende
è un nuovo tormento del ſuo pianto: perchè
oltre il renderglielo ſempre più neceſſario, chia
ramente le moſtra, non ſolo, che il pianto è
giuſta pena di chi non pianſe; ma ancora, che
l'equità del gaſtigo vuole, che ſe piange, pian
ga indarno. E che vi ha di più giuſto, cari u
ditori miei, che chi ha per ſua colpa reſi inu
tili i mezzi di ſua ſalute, abbia per ſua pena
un pianto inutile della ſua perdita ? Tanti avvi
ſi di buoni amici, che tentarono di rimetterlo
ſul buon cammino, inutili; tante induti meſ.
C lIl
Per la Dom. terza dopo l'Epifania. 165
ſe in opera dall'Angiolo ſuo Cuſtode per illu
minarlo, e compungerlo, inutili; la vita di un
Dio impiegata per lui, il Sangue di un Dio
ſparſo per lui, la morte di un Dio tollerata per
lui, è tutto inutile; ſoſpiri dunque coſtui, di
ce Dio, ma ſieno inutili i ſuoi ſoſpiri, pian
ga, ma ſieno inutili le ſue lagrime, ſi diſperi,
ma ſieno inutili le ſue diſperazioni, e a ſuo mar
cio diſpetto conoſca eſſere pena giuſtiſſima, che
pianga inutilmente il ſuo male, chi non volle
utilmente applicarſi al ſuo bene. E non ſarà, udi
tori, un dolore acerbiſſimo, dover piangere, e
pianger molto, piangere per neceſſità, pianger
per caſtigo, ſenza ſperanza di trar dal pianto
vantaggio alcuno.
Ove ora ſiete ciechi mondani, che tra riſa
feſtoſe paſſate allegre le voſtre ore: Queſto pian -
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D I S C O R S O X.
PER LA DO M E N I CA Q U A R TA
D o P O L'EP I FA NI A.
Paſſione predominante.
mino
D I S C O R S O X I.
PER LA DOMENICA QUINTA
D OP O L'EPIFANIA.
Ozio.
a
204 Diſcorſo XI,
al non uſo, ch'eſſe vi hanno ; o all'uſo del
Mondo, che perſuade il contrario, o alle forze
ſue proprie, che ſono deboli, o alle altrui di
cerie, che ſarebbono molte: Ma in realtà la ra
gione ſi è, che troppo amiche dell'ozio ſpac
ciano per impoſſibile quanto può loro eſſer mo
leſto. Peggio ſe poi ad eſtirpare con larea pianta la
ſua radice, voglio dire col peccato anche l'ozio,
che lo cagiona, vi fate loro a proporre un regola
mento ſtabile di giornata; ſicchè prefiggaſi alle
divozioni il ſuo tempo, il ſuo agli affari, alla
famiglia il ſuo, e il ſuo a un moderato diver
timento; e ciò con tale coſtanza, che nè per
leggerezza ſe ne alteri l'ordine, nè ſe ne tra
ſcuri per noia la pratica: O quì sì, che per po º
co non danno in iſmanie, quaſi pretendaſi d'in
trodurre in caſe di ſecolo regolamenti da chio
ſtro: ond'è, che francamente ſcuſandoſi con un
non ſi può, piuttoſto che muover guerra con
tro dell'ozio, laſciano in pace il peccato.
Ed intanto che ne ſiegue, miei dilettiſſimi,
che ne ſiegue! Ne ſiegue, ( o paſſaggio troppo
funeſto) ne ſiegue, che da una impotenza im
maginaria ſi paſſa ad un'altra impotenza poco
meno che neceſſaria: imperocchè fomentando
l'ozio le colpe, vienſi a formare nelle colpe me
deſime l'abito reo, e con l'abito reo una quaſi
neceſſità dipeccare, e con la neceſſità di peccare
l'impoſſibiltà di riſorgere: Conſuetudo, così l'oſ
ſervò S. Bernardo, parit quaſi agendi neceſſita
tem, neceſſitas impoſſibilitatem. Ed ora intende
rete, perchè il Savio, continuando a parlar del
l'ozioſo, lo chiama tre volte ſtolto: Qui ſeifa
tur otium ſtultiſſimus eſt, perchè giuſta la rifleſſio
ne d'Ugone, la ſua prima pazzia ſi è o" il
CI!C 2
Per la Dom. quinta dopo l'Epifania. 2e5
bene, con cui teſſer dovrebbe la ſua corona; la
ſeconda arrenderſi al male, che mirar ſempre do
vrebbe con orror ſommo; la terza, che di tutte
è la più lagrimevole, gettar radice nel mal me
deſimo con farlo paſſar in coſtume, e renderſi
con ciò impoſſibile il migliorare di ſtato. Pri
musgradusſtultitia eſt bonum non facere, ſecun
dus malum facere, tertius malo aſſueſcere. A tan
to, miei uditori, e può, e ſuole condurre l'a-
more di quella vita, che a tanti, che a tante pia
ce la vita ozioſa. - - -
º ge
se 8 ºsse
O2 DI
2 I2
-
-
i
t24 Diſcorſo XII.
eterna ſciagura ſenza Cielo, e ſenza Dio. Così
Sant'Efrem fa parlare coteſte anime ſcioperate,
che ſolo in morte ſi avveggono d'eſſere povere.
Ah non voglia mai Dio, miei dilettiſſimi,
che alcuno di noi ſia per chiudere con sì lut
tuoſi ſentimenti la vita, e perchè una vana ſpe
ranza ci può facilmente tradire i deh, cari udi
tori, ſinchè luce opportuna ci aſſiſte, vediamo
fenz'adularci quale finora ſiaſi fatta provviſione
di fante opere; vediamo quali oſſequi ſi renda
no a Dio, quale miſericordia ſi uſi co' poveri,
qual amore ſi porti al Proſſimo, qual cuſtodia
ſi pratichi di noi medeſimi. Vediamo i doveri,
che ci corrono, come ſi adempiono: il Proſſi
mo, come ſi edifica: il Decalogo, come ſi oſi
ſerva: la divina parola, come e quanto ſi ode:
e ſe mai taluno, con una diligente occhiata ſo
pra il ſuo vivere paſſato e preſente , ſcorgeſſe
nulla, o quaſi nulla di virtù 3 deh provvegga
ſollecito ad una povertà, che non riparata, ſa
rà in morte la ſua diſperazione, e qual Prodi
go, che ſcorge ravveduto la ſua miſeria, dica
º ancor egli un riſoluto ſurgam. Voglio ſorgere
da queſt'ozio, da queſta pigrizia, da queſto
ſonno: Surgam. Non voglio aſpettare a preſen
tarmi povero avanti a Dio, finchè Dio è mio
padre: Surgam, & ibo ad Patrem. Ed oh ſape
ſte, miei cari, come il noſtro Celeſte Padre ſi
muove a pietà di un figlio povero, che confu
fo della ſua miſeria in vita ricorre a lui, ap
punto come il padre del Prodigo, che veduto
il figliuolo ſcarno, ſmunto, lacero, nudo, moſſo
da tenerezza paterna, gettoſegli al collo, compa
tendolo, e carrezzandolo: ah figlio, diſſe, povero
figlio, in quale ſtato ti veggo mai! Su " ſi
- IlliOII ,
Per la Dom, feſta dopo l'Epifania. 225
riſtori, e ſi veſta, e all'antico ſuo luſtro ſi reſti
tuiſca; così Dio qual Padre pietoſo con noi ſi
porta, quando noi quai prodighi ravveduti, con
la compunzione nel cuore a lui ci portiamo.
E ſe così, eccomi ai voſtri Piedi adorato mio
Redentore: ccco un figlio poveriſſimo, che pre
feritaſi ai piedi di ricchiſſimo Padre. Riconoſco
pur troppo la mia miſeria maggior d'ogni cre
dere: Ego vir videns paupertatem meam. Me ne
arroſſiſco avanti voi amabiliſſimo Gesù, e pie
no di confuſione vi chieggo umilmente perdo
no della mia paſſata incuria Deh per le Pia
ghe, che adoro nelle voſtre ſantiſſime Mani,
moſtratevi, vi ſupplico, verſo di me Padre pie
toſo, e concedetemi ajuti efficaci, coi quali co
minci dal giorno d'oggi a metter da parte ope
re ſante: Sicchè riparata in tempo la mia po
vertà, poſſa anche in morte provarvi Padre,
che mi accolga amoroſo, e non Giudice, che
ineſorabile mi condanni. -
P4 O che
23 e Diſcorſo XII.
O che tutt'altro concetto, cari uditori, allo
ra ſi forma di quelle colpe, che ora con tanta
facilità ſi commettono! E quanto mai ſono di
verſi i ſentimenti d'un peccator quando pecca,
e d'un peccator quando muore. Quando Eſaù
ſtimolato dalla gola vendè al fratello il mag
gioraſco, moſtrò di non prenderſi alcun faſti
º dio dell'inſana ſua vendita: Abiit parvipendens
quod primogenita vendidiſet s ma per verità,
quando ritrovò, che Giacobbe avea di fatto dal
vecchio Padre riportati le ſorti di primogenito,
diede in urli, in iſmanie, in ruggiti: Irrugiit
clamore magno. Or queſta appunto ſembrami la
figura d'un peccatore conſiderato prima nell'at
to del ſuo peccare, e poi nel momento del
ſuo morire. Quando pecca, perchè la paſſione,
che vuole il ſuo sfogo lo accieca: Abiit parvi
pendens, non fa gran caſo del ſuo peccato:
quando muore, perchè allora apre gli occhi,
e conoſce la gravezza de' ſuoi misfatti, dà in
fremiti da diſperato: Irrugiit clamore magno,
Eppure una verità sì indubitabile dal peccatore
non vuol intenderſi, e ſenza riflettere a quell'or
rida moſtra, che in punto di morte faranno di
ſe i ſuoi peccati ; anzi che averlo in orrore,
ne fa di continovo un argomento di vanto. Voi
o ſenſuale, quando vi rieſce di dare alla vo:
ſtra incontinenza un lauto paſcolo vi par d'eſº
ſere beato: & abiit parvipendens: Voi o pun
tiglioſo, quando con quella infame, ma che
voi chiamate onorata vendetta, dato avete al
voſtro ſdegno un pieno sfogo, vel recate a pro
dezza: & abiit parvipendens: E voi o giova
ne, quando con le voſtre luſinghe vi è riuſci
to di tirare nelle reti un cuore incauto, vi ap -
plaudite
Per la Dom.ſeſta dopo l'Epifania. 231
plaudite da voi medeſimo: ci abiit parvipen
dens. Ah ſventurati Eſaù, verrà un giorno, ver
rà, in cui diſſipata la nebbia delle paſſioni, ir
rugietis clamore magno, ravviſerete la malizia
di quelle colpe, che or tenete sì poco, e ne
anderete fuor di voi per orrore: Videntes, ec
co come de ſimili a voi parla lo Spirito San
to: turbabuntur timore horribili.
A queſto ſtato, Udienza mia, ha da ridur
ſi nel punto della ſua morte un peccatore: e
il peccato tuttavia ſi ama, e in grembo ai pec
cati ſi vive, ſi ride, ſi dorme, ſi ſcherza º E
il carnovale non par ſaporoſo, ſe col peccato
non ſi condiſce. O cecità ! o pazzia ! Deh, di
lettiſſimi, apriamo gli occhi, e non aſpettia
mo in morte a conoſcere le noſtre colpe, mi
riamole adeſſo, mentre un raggio di luce pro
pizia, che per miſericordia divina ci sfavilla
ſul capo, ſcuoprendone l'enorme loro mali
zia, ci può ſpignere a un ſalutevol dolore.
Non differiamo a mirarle, quando lampi di lu
ce funeſta , mettendone al chiaro l'orrenda lo
ro moſtruoſità, di diſperato ſpavento ci colme
ranno. Ah voglia Dio, che dir poſſa fin d'ora
ognun di noi col Santo Davidde : Iniquitatem Pſ. se,
meam ego cognoſco. Conoſco la gravezza delle
mie colpe, e per non vederle in morte a mio
ſpavento, le ho ſempre per dolore avanti
agli occhi: & peccatum meum, contra me eſt
ſemper. -
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º D I S C O R S O X I I I.
PER LA DOMENICA DI SET
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Caſa dell'Eternità.
D i S C o R 8 o XIV.
P E R LA D o M E N io A D I
S E SS A GE S IM A.
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S º?; alla
è
terra poca ſemente, ſe la vede
alla medeſima reſtituirsi copioſa, che
º ogni grano, che ſpargeſi, raccogli ſi
vcenti plicato; ſappiate, uditori, ch'ci.
la è, ſe pur la vogliamo, forte tutta di noi,
Noi ſiamo quei fortunati, alle cui mani è com
- gitella
Per la Domenica di Seſſageſima. 2S I
meſſa una ſemente così feconda, che il di lei
frutto a noſtro grande vantaggio può aſcendere
non ai centuplo ſolamente, ma all'infinito. Bra
mate ſapere qual ſia fuor di metafora ſemente
si prodigioſa è Ella è il tempo: Queſto, sì, que
fio , uditori, è un ſeme di tal virtù, che ove
buon terreno lo accolga, produce un frutto ſo
pra ogni credere immenſo: perchè con l'impie
i go di giorni e di anni breviſſimi, e queſti ſteſſi
pieni non d'altro, che di guai, e di lagrime,
portaci una ricolta di giorni infiniti, colmi tutti
di contentezza. Tutto ſtà, cari uditori, che un
feme così operoſo non abbia la deplorabile diſ
detta di cadere ſopra un terreno infelice, che
: i impediſca o di germogliare, o di creſcere: O
Dio, che perdita, che lagrimevole perdita ſa
rebbe mai queſta! Eppure pur troppo ſi avvera
del tempo la diſgrazia medeſima, che all'odier
no Evangelico ſeme leggiamo avvenuta di quat
tro parti, tre ne andranno a male: l'urva per
chè caduta lungo la via, l'altra ſopra le pietre,
la terza entro le ſpine : Aliud cecidit ſecum vi
am, aliud ſupra petram, aliud inter ſpinas. Una
ſola ha la ſorte di cadere ſul buon terreno, e di
produrre centuplicato il ſuo frutto : Aliud cect
ditterran bcman. Così pure avviene al tempo:
da altri ſcialacquato in diſſolutezza, figurato nel
ſeme caduto lungo la ſtrada ; da altri ſpeſo nell'
ozio, figurato nel ſeme caduto ſopra le pietre;
da altri conſumato unicamente in coſe di Mon
do, figurato nel ſeme caduto entro le ſpine; ſolo
da alcuni pochi impiegato a fruttificare una bea
ta eternità, figurato iel ſeme caduto ſu buori
terreno. Tempo ſventurato, che avendo in ſe
virtù sì operoſa, è coſtretto a perir ſenza i"
- ſvig,
252 Diſtorſo XIV.
Ma più ſventurati coloro, che potendo col buon
uſo del giorni loro, raccorre una meſſe di eter
ni feliciſſimi anni, ſono cagione, che periſca in
fecondo un ſeme sì prodigioſo. Una perdita si
luttuoſa ben merita, cari uditori, i noſtri rifleſ
ſi, affinchè o per diſgrazia da noi non s'incor
ra, o per indolenza non ſi traſcuri : E però mi
fo a moſtrarvi con quanta ſollecitudine debba da
noi impiegarſi; primo, perchè ella è una per
dita in ſe ſteſſa graviſſima, e tale la vedremo
nel primo punto; ſecondo, perchè ella è una
perdita a noi dannoſiſſima, e tale la vedremo
nel ſecondo punto; terzo, perchè ella è una per
dita a Dio ingiurioſiſſima, e tale la vedremo nel
- terzo punto. Cominciamo.
e º perdita in ſe ſteſſi graviſſima. Se non può
ri conoſcere quanto ſia grave una perdita, chi non
conoſce prima il valore di ciò che perdeſi, co
me farò io mai queſta ſera a mcttervi in chia
ro il valore del tempo, affinchè quindi s'in
tenda quanto ſia grave la perdita, che ſe ne fa.
Se ne interrogo i Morali, mi riſpondon con Se
neca, che il tempo è di tutte le coſe la più pre
zioſa : Res omnium pretioſiſſima, ſe ne interro
go i Santi Padri, mi riſpondono con S. Bernar
do, che non vi ha prezzo da metterſi al con
fronto con quel del tempo: Nihil pretioſius tem
pore; ſe ne interrogo la fede medeſima, mi ri
ſponde con l'Eccleſiaſtico, che dee averſi del
tempo, come di coſa al ſommo pregievole, u
Eccl. 4 ma ſollecita cura : Fili conſerva tempus. Tutto
benc ; ma da queſte riſpoſte s'intende bensì,
ch'egli è ineſtimabile il valore del tempo, ma
il perchè d'un valore sì grande ancor non s'in
tende, lo pertanto a trarmi d'impegno farò così:
Il
Per la Dom. di Seſſageſima. 253
in quella guiſa, che dallo sborſo, che per una
gemma ſi fa, ſe ne conoſce il valore; così
dall'immenſo acquiſto, che faſſi con l'impiego
del tempo, darò in qualche modo a conoſcere
l'immenſo ſuo prezzo. Ditemi però, dilettiſ
ſimi, ſe da ricco eſperto Mercante udiſte per
una gemma eſibirſi, quanto di merci ha ne'ſuoi
fondachi, quanto d'argento, cd oro ha ne'ſuoi
ſcrigni, e quanto ancora di entrata ha dal cam
po, e dal colle; voi certamente attoniti ad e
ſibizion sì ampie: che gemma, direſte, che pre
gioſa gemma ſi è mai coteſta ? Or udite, dilet
tiſſimi, ciò, che ſi acquiſta col tempo, da chi
ſa ſpenderlo, e poi, ſe potete, non ne ammi
rate l'ineffabil valore.
Voi ſapete, uditori, che la grazia divina è sì
prezioſa, che un grado ſolo di queſta ſupera
nel valore quanto ha di pregievole natura tut
ta: Bonum grati e unius majus eſt, quan bonam"
nature totius univerſi: è dottrina di S. Tom-,i,
maſo: eppur egli è certo, che di queſta grazia
col tempo, ſe ben s'impiega, ſe ne acquiſtan
teſori: voi ſapete, che la gloria celeſte è un
ben sì grande, che al dir dell'Appoſtolo non
può da noi concepirſi, non che deſcriverſi: Oe ºr
culus non vidit, nec auris audivit, nec in cor
hominis aſcendit, que preparavit Deus iis, qui
diligunt illum seppur egli è certo, che ſolo col
buon impiego del tempo queſta gloria ſi ac
quiſta, e tanto più ſe ne acquiſta, quanto più
di tempo s'impiega bene: Voi ſapete, che non
ha prezzo una felicità, che non ha fine; eppur
egli è certo, che queſta medeſima beatiſſima e
ternità ella è tutta di chi ſa fare del tempo un
uon traffico: Exiguumº perituri temporis, eter
mitatis
2 54 Diſcorſo XIV.
nitatis eſt pretium, lo ſcriſſe Girolamo. Che piu'
voi ſapete, che pio è il bene di tutti i beni,
bene infinito, bene incomprenſibile, ben eterno;
eppur egli è certo, che non altrimenti ſi ottie
ne, che con il tempo il poſſeſſo di Dio medee
ſimo. Argomentate ora , uditori, e dite, ſe in
un giuſto contratto, in cui debb eſſere propor
zione tra ciò, che ſi dà, e ciò, che riceveſi, e
il valore dell'uno, debb eſſere giuſta prova del
valore dell'altro, quanto convien dire, che va
glia il tempo, in cui contraccambio riceveſi
grazia divina, gloria celeſte , eternità beata ,
poſſedimento di Dio! Ah, che diſſe in breve,
ma diſſe tutto S. Bernardino, qualora diſſe, che
il tempo gareggia nel prezzo con Dio medeſi,
mo: Tantum valet tempies, quantum Deus.
Ma perchè un bene allora l'ordinario più ſi
conoſce, quando più non ſi ha i cerchiamo
qual ſia il prezzo dal tempo, e dai beati del
“Cielo, e dai dannati dell'Inferno, gli uni nella
ſua gloria, gli altri nelle ſue pene privi del tem
po. Sapete, uditori, che ne dicono gli uni, e gli
altri? icono i primi, che ſebbene avvampino
eſſi d'un amore puriſſimo, d un an or ferven
tiſſimo, di un amor perfettiſſimo verſo Dio,
coatuttociò nè più di grazia ſi acquiſtano, nè
più di gloria ſi accreſcono, perchè all'amor
loro manca il prezzo del tempo. Dicono i ſe
condi, che ſebbene ſi ſtruggano in amariſſime
lagrirne, e deteſtino con dolor ſommo le lo
ro colpe, contuttociò nè ſperano, nè ſperar
poſſono pietà e perdono, perchè al pianto lo
ro, al lor dolore marca il prezzo del tempo.
Ed oh quanto colmi anderebbono e gli uni, e
gli altri di gioia, e loro ancor ſi accordaſſe un
- ora
Per la Dom di Sei gallina, º 55
ora di tempo i Gioirebbono i primi, perchè col
traffico di quell'ora un Paradiſo ſi acquiſtereb
boro di gran lunga più bello di quel che go
dono: E più ancora le gioirebbono i ſecondi,
erchè con quell'ora ſola di tempo ſcootereo
bono gi immenſi loro debiti se riſcatta doſi dial
la ſchiavitù, in cui gemono, cambierebbogo le
loro catene in un diadema immºrtale. Tanto ſa
prebbono e gli uni, e gli altri far di quel era un
buon traffico, conſapevoli ch ſi ſono dell'im
smenſo ſuo prezzo, -
o( se&se&se&se&s ºs ºs )o
D I S C O R S O X V.
NELL'OTTAVA DI PASQUA.
Vita migliore, che ſperar debbeſi
dalla morte.
DI
288 - - -
-
-
º;3 3
D I S C O R S o XVII.
PER LA DOMENICA SECONDA
D O P O PASQUA.
Speranza di buona morte dall'amore, ch
Dio ci porta. -
i )
i
x 3 DI
344 Diſcorſo XIX.
nella Sindone un pegno certiſſimo, che l'aſſi
cura: la Carità ha nella Sindone un ritratto am
mirabile, che la infervora. Ma quindi ſapete,
che ne ſiegue, uditori miei cari; ne ſiegue, che
ſe mai in voi, o la Fede s'indeboliſce, o la
Speranza ſi ſcema, o intiepidiſce la Carità, a
vremo in punto di morte nella Sindone un gran
rimprovero. Imperocchè Evangelio viſibile, ch'el
la è, ci renderà ineſcuſabili, ſe ſi troverà men
viva la Fede, primo punto. Pegno certiſſimo,
ch'ella è, ci renderà ineſcuſabili, ſe ſi troverà
men ferma la Speranza, ſecondo punto. Ri
tratto ammirabile, ch'ella è, ci renderà ineſ
– cuſabili, ſe ſi troverà men acceſa la Carità,
i T terzo punto. Cominciamo. -
D IS
36 I
V FFSF zzzzzzzzzzzzz N
PUN
E' un timor, che aſſicura. Due ſpine al cuor di roIII.
chi crede furon mai ſempre le due incertezze, in
cui ſiamo, l'una di eſſere in grazia, l'altra di
conſeguire la gloria. La prima inquieta chi vi.
ve: la ſeconda inquieta chi muore; l'una col
dubbio di ciò ch'egli è, l'altra col dubbio di
Aa2 ciò
372 Diſcorſo XX. a
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i D I S C O R S O XXII.
P E R LA D o MENICA SE CON DA
0, D O PO LA PENT E CO STE.
Eppure
Per la Domen. ſeconda dopo la Pentecoſte. 4o9
Eppure chi'l crederebbe? di anime a queſto
ſegno inſenſate il Criſtianeſimo è pieno. Cono
ſcono, che l'affare, di cui ſi tratta è affare di
cternità, sì lo conoſcono; ma perſuader non ſi
vogliono, che ad accertarlo ſia poi neceſſario,
nè il prendere tante miſure, nè il darſi tante ſol
licitudini. Dicono, che il conſeguimento della
ſalute non è poi sì difficile come vuol farſi. In
ganno ! Non è poi sì difficile ? Ma ſe foſſe così,
deſcriverebbeſi dalle Scritture l' eterno Regno,
or qual mercede da conſeguirſi con la fatica,
or qual corona da riportaſi tra le battaglie, or
qual rocca da eſpugnarſi con le armi alla mano ?
Se foſſe così, perchè rinſelvati ſarebbonſi nelle
foreſte tanti uomini ? perchè macerati ſarebbon
ſi con auſterità penoſiſſime tanti penitenti ? per
chè avrebbono tanto temuto, e gli Agoſtini, e
gli Agatoni, e gli Bernardi; Santi di fervore sì
acceſo, e di sì eroica virtù, perchè avrebbono
tanto temuto º Falſo dunque, falſiſſimo, che il
conſeguimento della ſalute non ſia poi sì difficile.
Lo è, dilettiſſimi, e lo è tanto, che indarno ſpera)
ſalute, chi non frena paſſioni, chi non mortifica
ſenſi, chi non annega voleri, chi non vive in ſom
ma giuſta la norma ſevera dell'Evangelio. E ſe co
sì, perchè non ſi eſce d'inganno, perchè non ſi
prendono in negozio si rilevante miſure più giu
ſte? perchè almeno tanto d'induſtria non ſi adopera
per accertare l'eterna felicità, quanto ſe ne ado
pera per accertare la temporale ? Avraſſi dunque
a vedere, dove ſi tratta d'una comparſa efine
ra ſu queſta terra, una ſomma ſollecitudine; e
dove ſi tratta d'una gloria immortale nel Cielo
una ſomma indolenza ? Per quattro giorni di
vita tutto l'impegno, per una cternità interni
- - - - mabile
4 Io Diſcorſo XXII.
nabile niuna premura ? O lumi di ſanta fede,
quando prevalerete alle tenebre del noſtri ſenſi ;
ſenſi ingannatori, quando finirete di tradire la
noſtra fede ! Penſiero di eternità quando ſarà, che
a te cedano i penſieri del tempo!
Di ſtraniezza sì grande non ſa darſene pace il
zelo di Agoſtino, e rivolto a ciechi amatori
del tempo: ſu , dice loro, godetevi pure una
vita tutta in divertimenti, tutta negli agi, con
forme tutta a voſtri capricci: alla morte però
avrete un giorno a ridurvi, e allora, che ſarà
mai di voi, quando perduta vedrete in un con
la vita preſente la beata eternità ! Cum perierit
quod factum eſt, ubi erit amator temporis qui per
didit eternitatem. Certo è, uditori, che ognun
di coſtoro giunto al fin de ſuoi giorni, dovrà
ancor egli con le parole regiſtrare ne' Proverbi º
confeſſare la ſua ſtoltezza: Stultiſſimus ſum viro
Prov. rum, non novi ſcientiam Sanctorum. Miſero me,
3o dovrà dire, ho ſaputo far tutto fuor che ſal
varmi: ſollecito per la famiglia, l'ho ſtabilita:
famelico de piaceri, me ne ſon ſatollato: ingor
do di ricchezze, l' ho rautiate: ma qual prò,
ſe ho ignorata la ſcienza della ſalute, e pazzo
ch'io ſono ſtato, non ho penſato all'eternità:
ho brillato, ho goduto, ho sfoggiato, ma tutto
è finito; io muoro, e quel ch'è peggio, muo
ro in eterno. Si miſerabile, lo ripiglia Agoſtino,
tu muori, e muori in eterno: Non enim mali
quomodo florent ſic pereunt: florent ad tempus, pe
reunt in eternum. E' finito il tempo, che fu tut
to il tuo affare, prova ora l'eternità, cui mai
non penſaſti. Ah, cari uditori, guardici il Cie
lo da una morte sì ſventurata, ma per iſ hivar
la con ſicurezza perſuadiamoci, che ti gli af,
alla
l
Per la Dom. ſeconda dopo la Pentec. 41r
i fari, che finiſcono con la morte, non ſono af
fari ; quel ſolo è affare, ch'è affare di eternità. E
quindi intendiamo con quanta ragione Sant'Eu
i cherio ci laſciò ſcritto, che di tutti gli errori il
più maſſimo ſi è il traſcurare il negozio della
ſalute: Supra omnem errorem eſt negligere nego
tium ſalutis. Penſiamo adunque, miei dilettiſſi
mi, alla noſtra ſalute, e per penſarvi come ſi
i dee appigliamci al conſiglio di S. Girolamo, di
non riſparmiarci in nulla, dove ſi tratta di aſſi
curare all'anima noſtra ſalvezza eterna: Nulli
i parcas, ut ſoli anima parcas. Sonvi amicizie da
troncare? ſi tronchino: ſonvi occaſioni da fug
gire ? ſi fuggano: ſonvi mali abiti da ſterpare?
); ſterpino: ſonvi ripugnanze da vincere? ſi vin
cano: e ſe anche fa duopo di dare al Mondo
le ſpalle, ſi diano. Non vi ha ſicurezza, che ba
ſti, dove pericola l'eternità. Facciamo tutto per
a ſalvarci, perchè a ſalvarci vi vuole tutto. Quan
ti già ſi ſono perduti: quanti tuttavia ſi perdo
no: e di quanti quì ſiamo perderaſſi niſſuno ?
Io non ſo, ſe non vi ſia tra noi chi non tema,
ma io certamente più che vi penſo più di ti
more mi riempio.
E pien di ſpavento a voi ricorro, Crocifiſſo
a mio bene, ricorro alle voſtre piaghe, ricorro
al voſtro Sangue. Conoſco, che perdo tutto, ſe per
a do l'anima: eppure a perdermi vi vuol poco, e vi
Vuol tutto a ſalvarmi. Che ſarà mai di me, fiacco
; per tante colpe già commeſſe, aſſediato da conti
i novi pericoli, aſſalito da ſempre nuove tentazio
i ni, che ſarà mai di me! Ah mio Gesù, l'unica mia
a ſperanza è in voi: Domine ſalvum me fac. Son
i riſoluto è vero dal canto mio quanto potrò per
i salvare queſt'anima, ma ſenza l'aiuto voſtro è
inutile
º
i -e-i-g- -se= .
D I S C O R S O XXIII.
PER LA DO M EN I CA TERZA
D O P O LA PEN TE CO STE,
Correndo la Feſta di S. Luigi Gonzaga della Compagnia
- di Gesù , 21 Giugno. -
- -
Per
-
4 I4 Diſcorſo XXIII.
PUN -
Per eſſer ſanti anche in mezzo al Mondo, ſi
i ami ad imitazion di Luigi la ritiratezza. Vive
re nel cuor del ſecolo, e vivere con l'innocen
za nel cuore, pare ad alcuni nulla meno im
poſſibile di quel che ſia o il gelare in mezzo
alle fiamme, o l'ardere in mezzo al gelo. E co
me fia mai, dicono eſſi, che in ſullo ſdruccio
lo di tante occaſioni un giorno, o l'altro non
cadaſi ? come fia, che fra tanti nimici, che ci
combattono, una volta o l'altra, o per ſorpre
“ſa, o per violenza non cadaſi. Come fia, che
in tante ſcoſſe, che ad ogni lato ci vengono,
mai non ſi crolli, mai non ſoccombaſi? Io non
voglio negare, uditori, che nel ſecolo non ſie
no molti gli inciampi, e grandi i pericoli: sì,
lo dico ancor io, che chi vive in mezzo al
Mondo, egli è attorniato da riſchj, e non dà
paſſo, che ſeco non porti qualche timore. Sog
giungo nulladimeno, che ove ſiavi, ove procu
riſi ritiratezza, non è poi sì difficile, e molto
meno impoſſibile come ſi ſpaccia, il ſerbarea'
coſtumi illibato il candore. Se ne volete irrefra
gabile prova eccola dal mio Luigi.
Viſſe pur egli non ſol nel Mondo, ma nel
più gran Mondo; in quel gran Mondo, che
per grandezza più ſignoreggia, per ſplendore più
brilla, e viſſevi nel fior de' ſuoi anni, quando il
ſangue più bolle, più tradiſcono le inchinazio
ni, quando il vizio più facilmente s'inſinua,
quando i pericoli ſono maggiori, pcrchè o men
conoſciuti, o men remuti ; eppure con qual
innocenza egli viſſe! Mai non fu, che colpa gra
ve toglieſſe alla ſua bell' anima quel candore,
di cui non affrettato batteſimo la grazia in
vcſtillo non ancora del tutto nato. Ma queſto è
poco
Per la Dom, terza dopo la Pentecoſte. 415
poco, mai non fu, che di ſuo pieno conſenſo
entraſſe a lordarne il cuore cognoſciuta, e voluta
colpa veniale: baſti dire, che volendo egli con
una confeſſione generale dar conteſa di ſe al Di
rettor del ſuo ſpirito, tutto il proceſſo, che
pote formar de' ſuoi falli a queſto ſolo ſi riduſſe,
di avere in età di quattro o cinque anni proferi
ta qualche parola indecente ſenza intenderne il
ſignificato, di eſſerſi ſervito di polvere altrui per
dar fuoco ad un piccolo pezzo di artiglieria;
colpe nel ſuo concetto sì abbominevoli, che
nell'atto del confeſſarle, per veemenza di con
trizione ne ſvenne; colpe, che finchè viſſe,
mai non ceſſò di lavarne con pianto amaro; col
pe , che ſino all' eſtremo del giorni ſuoi ſcontò
mai ſempre con penitenze auſteriſſime. Che in
nocenza dunque fu mai quella di Luigi, men
tre altri peccati non ebbe a piangere ſe non quel
li, ai quali l'infanzia toglieva ogni ragione di
reato ! Ma ſe ſeppe Luigi ſchivar sì bene ogni
macchia, ſe sì puro, ſe si candido ſerbar ſeppe
il bel giglio di ſua innocenza, a chi dovete pre
gio sì raro, ſe non a quella ritiratezza, di cui ſi
moſtro ſempre sì vago ? Alieno da ogni curio
:
ſità, che diſſipar poteſſe il ſuo ſpirito e nimico
di quelle comparſe, che dal Mondo più ſi ſtima
no, perchè più ſplendide, e più ſtrepitoſe, tan.
to ſi moſtrava contento, quando vivea naſcoſto,
nè mai più dolci ſperimentava le ore, che quan
do gli paſſavano ſolitarie. Qual maraviglia per
tanto, ſe per mezzo d'una vita quanto potè ri
tirata fugendo i pericoli, e cuſtodendo il ſuo
cuore, viſſe in mezzo al gran Mondo, e viſſe
innocente ? -
D I S C O R S O XXIII.
PER LA DO M EN I CA TERZA
D OPO LA PEN TE CO STE,
Correndo la Feſta di S. Luigi Gonzaga della Compagnia
- di Gesù , 21 Giugno.
Imitazione di S. Luigi per eſſere ſanti anche
in mezzo al Mondo.
-
DI
429
3EEE: EEE:::::::
D I S C O R S O XXIV.
PER LA D o MENICA QUARTA
D O P O LA PEN TE COSTE.
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D I S C O R S O XXV.
PER LA DO M EN I CA QUINTA
D OPO LA PEN TE CO STE,
Correndo in tal giorno la Feſta de Santi Appoſtoli
Pietro, e Paolo.
D I S C O R S O XXVI.
P E R LA DO M EN I C A SESTA
D O P O LA PENT E C O STE.
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DI S C O R S O XXVII.
PER LA DO M EN I CA SE T TIM A
DOPO LA PENTECO STE.
PUN
Non far del male non baſta, ſe ſi ha riguar
ro III. do al premio, che la legge propone. Quanto è cer
to, che il premio propoſtoci è nulla meno,
che un rcgno eterno, altrettanto ancora è fuor
d'ogni dubbio, che ad ottenere di queſto re
gno il poſſeſſo, non baſta il non eſſere reo di
traſgredito divieto: diffi fuor d' ogni dubbio;
e ſe a me nol credere, credetelo a Davidde,
che il fe ſapere a tutti gli uomini; anzi crede
telo a Dio, che il fe ſapere a Davidde. Udite:
voglioſo il buon Profeta d'intendere dalla boc
ca medeſima della verità a chi toccata ſarebbe
la ſorte beata di fiſſare nella Sioune Celeſte un'
CUCIIla
º
Per la Dom.ſettima dopo la Pentecoſte. 49;
eterna dimora, prevalendoſi della confidenza,
che Dio gli dava, un dì ſi fe cuore a fargliene
l la domanda: Domine qui habitaait in taberna-º “
culo tuo, aut quis requieſcet in monte ſantto tuo?
ſi Potea ſembrare non poco ardita l'inchieſta, qua
ſi il ſanto Re pretendeſſe di aver contezza di
que ſegreti, che l'Altiſſimo con più di geloſia
ſi ſerba in petto. Compiacquelo non pertanto
il Signore, e ſenza far nome ad alcuno, gli di
contraſſegni, onde accertar poteſſe chi sì, chi
mo, doveſſe un giorno godere delle delizie de'
Colli eterni: Qui ingreditur (ecco la divina ri-Pſ. 33.
ſpoſta ) ſine macula, 6 operatur juſtitiam. Da
vidde, quelli ſaranno i poſſeſſori felici del re
gno mio, quelli ſaranno i traſcelti ad abitare
nella celeſte mia Corre, quelli, che dal male
ſi appartano, e ſi abbracciano al bene, quelli,
che non van lordi per macchia, e di virtù van- Ibid.
no adorni: Qui ingreditur ſine macula, 6 ope
ratur juſtitiam Avuta ch'ebbe dal Cielo queſta
notizia non potè già contenerſi il reale Profe
ta dal darne conto alla terra, ed alzata la vo
ce: Quis eſt homo, ſclamò, qui vult vitam, di
ligit dies videre bonos ? Chi vi ha tra gli uo
mini, che brami vita immortale ? Chi vi ha,
che goda di paſſare in eterne felicità giorni che
non han ſera? eccovene per teſtimonianza divi
na la via ſicura: Diverte a malo, ci fac bo
num. Fuga del vizio, e pratica di virtù. Or a
queſte voci, che riſpondoo coloro, che ſtabi
liſcon le mete della bontà nel non eſſere per
verſi? Ha detto Dio ſolamente qui ingreditur
ſine macula? non vi ha aggiunto, o operaturju
ſtitiam ? ha detto Davidde ſolamente, diverte a
malo? non vi ha aggiunto, ci fac bonum ? Do
vrebbono
496 Diſcorſo XXVII.
vrebbono pur dunque avvederſi, che ſe l'acqui
ſto del Cielo è una compera, eſſi del prezzo
nou nè sborzano, che la metà ; dovrebbono pur
avvederſi, che ſe il Paradiſo è noſtro termine,
cſſi non fanno, che la metà della ſtrada. Io non
niego, dice Baſilio, che non abbia il ſuo me
rito tra tanti oggetti, che luſingano il ſenſo,
non imbrattarſi con compiacenze: in tanti in
contri, che accendon lo ſdegno non ammette
re nel cuore avverſioni: fra tanti frutti vietati,
che ſolleticano il noſtro palato, non iſtenderla
mano a toccarne pur uno: Magnum eſt his aº
ſtinere: Sì, magnum eſt; ma non baſta: queſto
è ſolo cominciare il viaggio, che al Ciel ci gui
da: non è compirlo: Capta in his via eſt, non
peraffa; ſi eſeguiſce fin qui il diverte a malo;
non ſi eſeguiſce il fac bonum : eppur ſenza que
ſto quel non ha premio.
E vaglia il vero. uditori, non è egli un tor
to graviſſimo, che faſſi allo ſteſſo regno de'Cie
li, il crederlo sì facile acquiſto, che per eſſer
ne un dì al poſſeſſo baſti ora non eſſer empio ?
Non ſi acquiſta dal ſervo ſe non a coſto di lun
ghe fatiche una tenue mercede? non ſi acquiſta
dal guerriero ſe non a coſto di copioſi ſudori
una tranſitoria corona: non ſi acquiſta dal cor
teggiano ſo non a coſto di ſperimentati ſervigi
una colanna di onor fuggiaſco; e un regno e
terno, una felicità interminabile, una vita di
contentezze immortali potrà conſeguirſi con nul
la più, che aſtcnerſi dal male? E chi mai ſi ar
direbbe chiedere, e quel che ſarebbe ancor peg.
gio, pretendere da un Sovrano un carico nella
Corte, un comando nella milizia, tin gover
noncllo ſtato, un ſeggio nel magiſtrato ſenz'al
- tIO
Per la Dom. ſettima dopo la Pentec. 497
i merito, che di non avere giammai ſprezzati i
i ſuoi ordini, di non eſſerſela mai inteſa co ſuoi
i nimici, di non aver macchinato giammai con
e tro la ſua perſona ? E non ſarà poi intollerabil
i baldanza, preſunzion moſtruoſa, ſol perchè nul
: la mai ſi è attentato contro l'onor divino, pre
tender da Dio in ricompenſa l'eterna ineffabile
beatitudine? Ma ſe perfino la beatitudine natu
rale, al dir del Filoſofo, è guiderdone della
virtù: Beatitudo eſt pramium virtuoſarum ope- .Ethic
rationum, come potrà non eſſerlo la ſoprannatu- º
ral beatitudine, aggregato di tutti i beni, cu
mulo d'ogni delizia, poſſeſſo dolciſſimo del me
deſimo Dio ? Eh, via deponete una volta, dice
Agoſtino, coteſte mal fondate ſperanze, apprez
zatori fallaci del regno eterno. A che più
luſingarvi con dire, che in grazia del mal, che
non fate, ſiete ſicuri, e che più non vi vuole
perchè il Cielo vi ſi ſpalanchi, e vi entriate al
poſſeſſo? Cum declinaveris a malo, dicis, ſecu-º, º
i rus ſum, perfeci omnia, hahebo vitam, videbo ”
i dies bonos. O ingannati! no, che colaſsù non
i ſi giunge, ſe non da chi all'abborrimento del
le operazioni malvage aggiunge la pratica del
le virtuoſe: Parum eſt, ut nulli noceas, nullum
occidas, non fraudem facias: Infino a tanto,
che vi fermate nel ſolo non far del male, tut
to è poco, e in ordine al premio eterno non
baſta: Parum eſt, ut veſtitum non expolies, ve
i ſti nudum. Che non togliate altrui ciò, ch'è ſuo,
i va bene, ma è poco ; dovete ancora dare del
voſtro a chi n'abbiſogna: che non odiate chi
i vi ha offeſo, va bene, ma è poco, dovete di
più amarlo, e amarlo di vero cuore: che non
i mormoriate, va bene, ma è poco; dovete an
Anno IV. Tomo IV. I i COIa
498 Diſcorſo XXVII.
cora correggere chi mormora: che non diate ſcan
dali al voſtro proſſimo, va bene, ma è poco:
dovete di più edificarli con buoni eſempi - In
ſomma ſe al guardarvi dal male non accoppiate
atti virtuoſi, opere ſante, eſercizi di pietà, tutto
il far voſtro è un far sì poco, che quando in punto
di morte batterete alle porte del Cielo per eſſervi
ammeſſi in premio del male fuggito, vi udirete ri
ſpondere un bruſchiſſimo neſcio vos. Ah, che il
Cielo, miei dilettiſſimi, non vale sì poco, che per
meritarſelo baſti non averne poſitivo demerito:
egli è mercede, ſuppone fatiche: egli è corona, e
la corona ſuppone battaglie: egli e premio, e il
premio ſuppone meriti. Non ci inganniamo: ſen
za pratiche di virtù, e pratiche ſtabili, e prati
che fervoroſe il Ciel non ſi acquiſta. Intendetela
pure ſpiriti accidioſi, che vi annoiate cotanto
dell'operare virtuoſo: Anime molli, le cui gior
nate quanto ſono piene di ozioſi trattenimenti,
altrettanto ſon vuote di ſante opere: Cuoriinte
reſſati, cha agli affari di queſto ſecolo penſate
ſempre, all'affare dell'eternità non penſate giam
mai: Criſtiani pigri, che per ogni leggier pre
teſto dagli eſercizi di pietà vi eſimete, intende
tela pure, e intendetela bene. Colaſsù ne Colli
eterni non ſi trapiantano ſe non quegli alberi,
che quaggiù dan frutti di ſantità: quelli che
non ne danno, ah miſeri, ſi aſpettino pure una
ſcure, che li recida, una fornace, che li di
vampi.
Ah, Gesù caro, fate di grazia, che niun di
noi ſia nell'infelice numero di coſtoro, concedete
ci,che ſiamo tutti qual voi ci bramate, piante fe
conde, feconde di frutti condegni di penitenza,
feconde di opere meritorie di eterna vita. Voglia
illO
Per la Dom. ſettima dopo la Pentecoſte. 499
mo ad ogni coſto meritarci quel regno, che
propoſto ci avete per premio: e perchè a tal fine
il contentarci di non fare del male non baſta,
vi promettiamo di attendere con tutta la ſolleci
tudine a far del bene. Voi aſſiſteteci co voſtri
ajuti, ve ne preghiamo per quella piaga ſan
tiſſima, che nel voſtro coſtato adoriamo ; ſicchè
in tutta la noſtra vita fuggendo il male , ed ope
rando il bene, ci aſſicuriamo dopo la morte il caro,
il promeſſo, il ſoſpirato premio del Regno eterno.
D I S C O R S O XXVIII.
PER LA DOMENICA OTTAVA
D OP O LA PEN TE CO STE,
Correndo la Feſta di Sant'Anna.
li º i; ii
ºffrir EEEsis e FEEEE
-
è
D I S C O R S O XXIX.
PER LA DOMENICA N O NA
DOPO LA PENT E COST E.
e
VllQ1Q
- -
526 Diſtorſo XXIX.
vuole che ſi corriſponda a quel che dà. A chi dà
cinque talenti, a chi ne dà uno: dà i cinque a
chi gli piace, a chi gli piace dà uno: e vuole,
che ugualmente ſi traffichin e l'uno, e i cinque.
Ma perchè ſcorgiate ancor più chiaro l'inſuſſi
ſtenza di voſtra ſcuſa, vediamo quali ſiano quel
le iſpirazioni, con le quali hanno tanti altri bat
tuta ſenza intoppo la carriera del comandamenti
divini. Ecco Pelagia, che ſcioglieſi in pianto di
contrizione a piedi del Santo Veſcovo Nonno,
chi ve l'ha ſpinta ? queſto penſiero venutole in
mente all'udir d' una predica: che ne avrai de'
tuoi piaceri, ſe poi ti perdi ? Ecco Eliſabetta
d'Ungheria, che rinunzia per ſempre alle pom
pe, chi ve l'ha indotta è queſto affetto natole in
cuore alla viſta di un Crocifiſſo: brilla tra i dia:
manti il tuo capo, e ſpaſima fra le ſpine quel
del tuo Dio. E quell'Ignazio, alla cui feſta
con la preſente Novena ci diſponiamo, come
ſi è avviato ad una ſantità per penitenza sì
auſtera, per eſtaſi ſi ammirabile, per miraco
li ſi ſtrepitoſa, per meriti sì ſublime º d'on
de n ha tratto il principio: chi ha data la ſpin
ta a moſſe così glorioſe? chi ? Queſto ſentimento
conceputo nel leggere le vite de Santi: Perchè
non potrai ancor tu ciò che tanti han potuto?
Or ditemi, uditori, ſentimenti sì fatti quanti ne
avete avuti anche voi in tante occaſioni che
vi ſi ſon preſentate? e quanti ancora ne avreſte
avuti di più, ſe per mera traſcuratezza non
aveſte tante volte abbandonata e la parola di
Dio, e la lettura de libri ſanti, e la frequenza
de Sagramenti? E ancor vi ſarà chi abbia fronte
di dire, farei ancor io, ſe ancor io aveſſi le gra
zie, che gli altri hanno ? ah dite, e direte
giuſto
Per la Domen. nona dopo la Pentecoſte. 527
giuſto: Potrei ancor io farmi Santo al par d'ogni
altro , ma non voglio. Datene il torto non a
Dio, quaſi non vi compatta le ſue grazie, ma
a voi che le abuſate: e quindi aſpettatevi pure
ancor voi, che Dio, voltevi ſdegnoſamente le
ſpalle, ſtermini ancora voi, come gia ſterminò
l'oſtinata Metropoli.
Vedete in fatti ſe non hanno coſtoro tutto il
merito d'eſſer trattati con quella ſteſſa ſeverità
con cui fu trattata Geruſalemme. Non è egli
vero, che potrebbe Criſto far ad eſſi quel me
deſimo rimprovero, che già fece a quell'ingrata
Città ? Quoties volui, potrebbe dir ad ognun di
loro, quante volte ti ho invitato a ricovrarti ſot
to il manto della miſericordia ? e tu ſconoſcente
non hai voluto, di noluiſti. In quella diſgra
zia che ti ſorpreſe, non ti diſs'io al cuore: di
ſtaccati dal Mondo ch'è sì infedele è di noluiſti.
In quella Predica che aſcoltaſti, non ti ſuggerj di
aggiuſtare con una buona Confeſſione que conti
così imbrogliati? 6 noluiſti. Puoi tu negare ch' io
non ti abbia offerto per un ſoſpiro per una lagrima il
mio Paradiſo? Ti diſſi pure più d'una voltà: ritorna
anima diletta al mio ſeno, ti prometto il perdono,
ti accoglierò con cuor di padre; e tu hai ſem
pre chiuſo alle mie voci l'orecchio, e nolaiſti, º
moluiſti. E a rimbrotti sì amari, dite, dilettiſ
ſimi, può egli aver che ribattere? qual mara
viglia però, che dove pari è la colpa, pari an
cor ſi provi la pena ; e incontri con Geroſoli
ma la ſchiavitù chi ama con Geroſolima l'o-
ſtinazione? Nè occorre che ſperino gl'inſelici
di ſcuotere iu punto di morte le lor catene,
che anzi Dio ſi è proteſtato, che a queſti eſtre
mi gli attende per beffarſi di loro, per i"
gli i
528 Diſcorſo XXIX.
Prov. I gli, e per dargli in eterno poſſeſſo de lor nimi,
ci: Vocavi, ci renuiſtis, ſon pur ſue parole,
deſpexiſtis omne conſilium meum, ci increpatio
mes meas neglexiſtis: ego quoque, o che tuono,
o che fulmine! in interitu veſtro ridebo, 6 ſubſan
nabo. Anima indegna, le dira Dio, è pur giunta
quell'ora in cui tuo malgrado hai ad udirmi:
hai ſprezzati finora i miei inviti ; ed io ſprezzo
in queſt' ultimo le tue ſuppliche. Quell'io, che
ti ho tante volte offerta la mia miſericordia, ora
te la niego: quell'io che tante volte mi moſtrai
pronto al aprirti il Cielo, or te lo chiudo. Va
ingrata a ſcontar tra gli abiſſi la tua infedeltà. Io
ti conſegno per ſempre al ludibrio, al furore,
alla rabbia de' tuoi nimici, e ſia il tuo Inferno
maggiore queſto penſiero: ch'io ti porſi gli
ajuti, e tu gli abuſaſti. Sarà, sì ſarà una furia,
che per ſempre ti ſtrazierà, il penſiero, che io ti
volli ſalvare , e tu non voleſti.
Ah mio Gesù , ſe così ha da finire i ſuoi
giorni chi mal corriſponde alle voſtre grazie,
che ſarà mai di me ! A quanti di voſtri lumi ho
chiuſi gli occhi! a quante delle voſtre iſpirazio
ni ho chiuſo il cuore ! Deh mio Salvatore, non
intres in judicium cum ſervo tuo: Confeſſo an
ch'io, che non merita la voſtra gloria chi non
ha curata la voſtra grazia. Ma pure avrà ella per
ciò a perderſi queſt'anima da voi redenta ? Ah
Gesù mio caro, per la piaga ſantiſſima del vo
ſtro coſtato, che adoro con tutto il cuore, vi ſup
plico ad accogliere non col rigore di Giudice
ſdegnato, ma con viſcere di padre miſericordio
ſo queſto figlio, prodigo sì delle voſtre grazie,
ma riſoluto di vivere per ſempre ubbidiente ad
ogni voſtra chiamata, -
-
529
: -sa-sg-= r-gae-sge== ==i
HD I S C O R S O X XX.
PER LA DO M E N I CA D E CIM A
DOPO LA PEN TE COSTE.
D I S C O R S O XXXI.
PER LA DO M E N I CA XXII.
D O P O LA PEN TE CO STE,
Umiltà.
D I S C O R S O XXXII.
PER LA D O ME N I CA XXIII.
D O P O LA PENT E C O ST E.
Morti tre.
Princeps unus acceſit, o adorabat eum dicens:
Dominefilia mea modo defuncta eſt. Matth. 9.
I l Erra, Terra, Terra, odi la voce del Si
i; gnore. Così, uditori miei dilettiſſimi,
lzassi con una ripetizione tutta miſtero parla
irr. 22, ad ogni uomo Geremia Profeta: Terra, terra,
º - - terra
Per la Dom. venteſimater. dopo la Pentec. 56;
terra audi verbum Domini. Che poſſa l' uomo
chiamarſi due volte terra ; terra, ſe ſi riflette al
campo Damaſceno, onde traſſe l'origine; terra
ſe ſi riflette alla tomba, ove trova il ſuo termine,
io l'intendo: Ma terra tre volte, perchè miei cari
uditori, perchè ? S' io ne interrogo i Sagri Inter
preti, altri mi riſpondono con Ugon Cardinale,
eſſere l'uomo tre volte terra, perchè terra nelle
ſue opere, terra ne ſuoi coſtumi, terra ne ſuoi
penſieri: Altri ſoggiungono con Paulino, eſſe
re l'Uomo terra nel ſuo naſcere, terra nel vive
re, terra nel ſuo morire: Altri finalmente po
rtan parere, dirſi l' uomo tre volte terra, per
chè come terra vile nella ſua materia, perchè
come terra fragile nel ſuo eſſere, perchè co
me terra breve nel ſuo durare. Io però ſe ho
a dire con iſchiettezza ciò che ne ſento, ſicco
me nella terra per avviſo di Dio medeſimo rico
noſco la noſtra mortalità: Pulvis es & in pulve-Gen. -
rem reverteris: così nel chiamarſi l'uomo tre
volte terra, ravviſo tre morti alle quali ſiamo
tutti ſoggetti: l'una che già è paſſata, l'altra
ch'è preſente, la terza ch'è futura. Se miriamo
al paſſato, una parte della noſtra vita già è morta:
ed eccoci terra già una volta. Se miriamo al pre
ſente, una parte della noſtra vita ſtà morendo:
ed eccoci terra un'altra volta. Se miriamo al fu
turo, quella parte di vita, che ancor ci reſta, ella
morrà : ed eccoci terra la terza volta. E ſe così
è, a noi queſta ſera parla il Profeta, e c'intima
di porgere orecchio alle voci di Dio: Terra,
terra, terra audi verbum Domini, e Dio che ci
dice ? ci dice appunto che ſiamo terra, e ce lo dice
nell'odierno Vangelo con metterci ſotto all'oc
chio una fanciulla nel più verde delle ſperanze,
Nn 2 C
564 Diſcorſo XXXII.
e nel più bel fiore degli anni fatta preda di acer
ba morte. Fermiamci, cari uditori miei, a eon
templarne il freddo cadavero, prima che Criſto
moſſo dalle lagrime ſupplichevoli del Genitore
afflitto, lo richiami a nuova vita ; e in quel pal
lido ſpecchio di morte riconoſciamoci ancora
noi tre volte terra. Terra che fummo, terra che
ſiamo, terra che ſaremo. Terra che fummo per
quella parte di noſtra vita, che già è morta, pri
mo punto: Terra che ſiamo per quella parte di
noſtra vita che ſtà preſentemente morendo, ſe
condo punto: Terra che ſaremo per quella par
te di noſtta vita che ancor ci reſta, e certamente
morrà, terzo punto. Felici noi ſe della prima
morte, e della ſeconda ſaprem ſervircene per
ſantificare la terza da cui dipende il glorioſo ri
- ſorgimento ad una vita immortale! Incomin
-
ciamo.
UIN
roI. Per quella parte di vita, che già è paſſata, e
a cui ſiam morti. Si diſinganni pure chi crede,
che ſia una ſola la noſtra morte, e che queſta
allora ſolamente ſi accoſti, quando ſi accoſta il
fin della vita. No, dilettiſſimi, tante ſotto le no
ſtre morti, quante ſono le parti di noſtra vita,
e col ſuccedere che queſte i" le une alle al
tre, fanno altreſi, che le une alle altre ſuc
cedano le noſtre morti. E per intendere ſenza
altro il vero di cui vi parlo, richiamate, udi
tori, alla mente ciò che avvenne al noſtro
primo padre. Pare a prima viſta non poco ſtra
no, che Adamo dopo la traſgreſſion temeraria
del divino divieto, ſtendeſſe ancora oltre no
ve ſecoli la ſua vita. Aveagli pur Dio chiara
mente minacciato, che in quel giorno medeſi
smo in cui appreſſate avrebbe al vietato " le
al il G
Per la Dom, venteſimater. dopo la Pent. 565
ardite labbra, ne avrebbe riportata in pena la eB, 2,
morte; In quacumque die comederts ex eo, morte
morieris; onde parea che all'introdurſi nel Mon
do il peccato, doveſſe la morte al tempo ſteſſo
ſorprendere il peccatore. E come dunque ſenza
diſcapito della divina infallibil parola , potè
Adamo contare giorni sì lunghi, e non ſoggiace
re dopo l'iniquo attentato all' intimato gaſtigo?
Forſe Dio moſſo a pietà dell' ingrato prevari
catore, rivocò la fulminata ſentenza ? o ſe non
rivocolla del tutto, forſe ſi contentò di differire
l' eſecuzione? No, uditori: nè Dio rivocò la
ſentenza, nè punto differi. Quando Adamo pec
cò, Adamo morì , anzi tante furono dopo il
peccato le ſue morti, quanti furono dopo il
peccato i ſuoi giorni. Imperocchè ſe il morire
altro non è che perder la vita, chiaro è che al
lora appunto ſi comincia la morte, quanto la
vita comincia a perderſi, ed allora cominciò
Adamo a perder la vita, quando di è il conſenſo
alla colpa. Perchè ſiccome ad Adamo innocente
non ſi ſarebbe col più vivere ſcemata la vita,
perchè non ſarebbe mai morto; così condan
nato dopo la diſubbidienza a morire, ogni an
no che vivea, era anno di morte, perchè anno
che gli togliea una parte di vita. Così avveroſ
fi contro di lui nel giorno iſteſſo, in cui peccò,
la fatale minaccia, e ſi può dire con verità, che
ſi eſeguì contro lui la ſentenza di morte nove
ſecoli prima che finiſſe di vivere. Or ciò che
avvenne al noſtro primo Padre, avvienne pur
troppo, dice S. Baſilio, agl' infelici ſuoi diſ,
cendenti : ed a noi ancora; più che ci ſem-Ineom.
bra di vivere, più moriamo: Priuſquam animarſi º
a corpore ſeparetur ſape morimur: vita hominum
Nn 3 tlfla
566 Diſcorſo XXXII.
per plures mortes expleri ſolet. Viviamo una vita
compoſta di più morti; e come i giorni e le
ore, così le morti noſtre l'una l'altra s'incalza
no, ed è appena giunta la prima, che già ſot
tentra la ſeconda.
E forſe non è così, uditori miei, non è forſe
così? Rivolgete di grazia, rivolgete l'occhio
agli anni addietro, e in uno ſguardo ſolo quan
te ſcorgerete di quelle morti ? Dove ſono l'età
voſtre traſcorſe? Dove è i infanzia ? ella è mor
ta: dove l' adoleſcenza è per la maggior parte
ella è morta: è morta per molti la gioventù,
e per molti ancora è morta l'età virile. Così va ,
dice Agoſtino, al venire di un età, muore l'al
Jº
127.
Pſtra: Cum una accedit, altera moritur; ed allor
quando o vaghezza di divertirvi vi fa bramare
l'età più verde, o deſiderio di autorità vi fa ſoſ
pirare la più matura, ſappiate, che altrettante
Jbid.
morti deſiderate, quanti bramate gradi di età :
Quot optas gradus etatis, tot ſimul optas & mor
tes. Ma inſieme a quelli dell' età già traſcorſe
quanti altri funerali ſi aggiungono, chi può eſ.
primere, quanti! quanti! Ricordavi, o Donna,
di quel brio che vi facea un tempo l'anima delle
partite più allegre è di quella grazia, con cui a
gran coſto della voſtra, ed altrui coſcienza affa
ſcinaſte e l'occhio, ed il cuore di tantº incauti ?
di quella diſinvoltura, che rendeavi un dì Idolo
inſieme, e idolatra del Mondo ? e ora che ve ne
reſta! nulla: diſinvoltura, e grazia, e brio tutto
è morto. E voi Uomo tutto del Mondo, ditemi
per corteſia, non ſiete voi quello, che eravate
una volta sì pronto alla mano per bollore di
ſangue ? sì applaudito nelle converſazioni per
leggiadria di piede, ne cavallereſchi eſesciz; si
- - Il Il C
Per la Dom vigeſimater dopo la Pentec. 367
rinomato per vigore di forze? e che vuol dire
che adeſſo fate una figura coſi diverſa è il vigor
è mancato, ſi è ſmarrita la leggiadria, la bizza
ria è paſſata, il bollore ſi è ſpento, tutto è morto.
Ah ch'egli è così, dilettiſſimi, e ſe vogliamo ſe
riamente riflettere a sì gran vero, troveremo,
che in riguardo alle coſe paſſate tanto ſiam morti
noi, quanto quei morti medeſimi, dei quali
facciam oggi memoria. Dei paſſatempi che han
goduto eſſi, non han più nulla, e noi che ne ab
biamo ? delle comparſe ch'eſſi hanno fatte, non
han più nulla, e noi che ne abbiamo ? delle pom
pe tra le quali han brillato, non han più nulla,
e noi che ne abbiamo ? In ordine al paſſa o ſiam
tutti uguali: nulla eſſi, e nulla noi: morti eſſi
e morti noi, E che altro in fatti ſignifican, miei
dilettiſſimi, certe formole, che noſtro malgrado
ci eſcon più d'una volta di bocca: non è più il
mio tempo, certi divertimenti non fan per me,
certe viſite, certe comparſe, certe mode, certi
feſtini non mi convengono più ; e che parlare,
uditori, ſi è queſto ? non è queſta una confeſſio
ne ſincera che a molte coſe già ſiamo morti? e ſe
è così, cari uditori, quando vogliamo aſpettare a
diſingannarci di queſto Mondo, a cui già in gran
parte ſiam morti? quando vegliamo aſpettare a
rivolgere unicamente a Dio gli affetti noſtri?
O grande Griſoſtomo! un poco della voſtra
facondia vorrei io queſta ſera per imprimere in
chi mi aſcolta quei ſentimenti, che voi incul
caſte con tanto zelo ai voſtri uditori. Bramoſo il
Santo Dottore di diſtaccare il lor cuore dai beni
di queſta terra, e tutto rivolgerlo a quei del Cie
lo, fi fe loro ad eſporre quel nulla, a cui eran
; ridotti i trapaſſati loro predeceſſori, e con la ſua
Nn 4 sì
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