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DOTTRINA CRISTIANA
sPIEGATA IN QUATTRO LIBRI
D aI PAD R e
D. GABRIELLO SAVONAROLA
C H I E R I C O R E G O L A R E
DOTTRINA CRISTIANA
SPI E GATA IN QUATTRO LIBRI
D A L P A D R E
D. GABRIELLO SAVONAROLA
C H I E R I C O R E G O L A R E
L IBRO T E R ZO.
IN P A D o v A MD cc Lxv III. ,
N E L L A S T A M P E R 1 A C o N z A T T I.
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p. A R NA L D o S P E R O N I
BENEDETTINO CASSINENSE
l
Iſidoro Can. Campanari Dott. Cancell. Veſc.
I N D I C E
D E C A P I T O L I.
P A R T E P R I M A,
Delle Virtù. Pag. 2. l
Cap. I. Delle Virtù Teologali. 4°
º Art. I. Della Fede. 7.
Art. II. Della Speranza. 2 I
Art. III. Della Carità. 3 I-
S I. Della Carità verſo Dio. 33
S II. Della Carità verſo il Proſſimo. 41 -
Cap. II. Delle Virtù Cardinali. . I 35
Art. I. Della Prudenza. I 36.
Art. II. Della Giuſtizia. I46.
Art. III. Della Fortezza . I 57.
Art. IV. Della Temperanza. I 64.
P A R T E S E C O N D A.
De Peccati. - 18 I.
Cap. I. De Peccati Attuali. 186,
Art. I. Della Superbia. 2 I 5.
Art. II. Dell'Avarizia. 2 24
Art. III. Della Luſſuria. 233
Art. IV. Dell'Invidia. - 234
Art. V. Della Gola. 239.
Art. VI. Dell'Ira. 244
Art. VII. Dell'Accidia. 248.
Cap. II. Delle Regole per diſcernere i peccati gravi
e leggieri. 252
P A R T E T E R Z A.
Della Grazia, e della Predeſtinazione. 267.
Cap. I. Della Grazia. 269,
Cap. II. Della Predeſtinazione. 294.
-
IL I B R O T E R Z O,
Delle Virtù Teologali e delle Cardinali, de Vizj,
della Grazia e della Predeſtinazione .
SOn può giammai eſſervi vera Virtù, ſe non
A ſia dalla Fede accompagnata, e non può in
alcuno conſervarſi la vera Fede, ſe non ſia
con le Virtù collegata. Fra queſte però la
Obbedienza che ſi deve rendere a Dio, è in Act. 5. 29.
certa maniera nelle ragionevoli creature la
madre e la cuſtode di tutte le altre ( 1 ):
poichè chi obbediſce ai Precetti, dei qua
li abbiamo già ragionato nel Libro precedente, si eſercita
ſempre nella pratica delle Virtù, e in cotal modo oſſervandos. Aug.ser.
la Divina ſantiſſima Legge cammina ſul retto ſentiero, ed ad Frat. in
acquiſta la vera Sapienza, per cui viene a riconoſcere il ſu- Erem.
premo Autore dell'univerſo. Chi non ſa infatti ch'ogni Di
vino comandamento è una luce ch'illumina le noſtre menti, Pſal.18.8.8.
e ci ſtimola a fedelmente obbedire ai Divini Precetti, ſe con- ſeqq.
ſeguire vogliamo quella Vita eterna, che nell'ultimo Articolo V. Lib. pri.
del Simbolo, dalla Chieſa Romana coſtantemente ſempre cu- pag. 158.
ſtodito, s'è inſegnato doverſi credere con fermezza ( 2 ) ?
Tale inſomma è la Legge che Dio preſcriſſe al primo noſtro
Padre Adamo fin da quando lo formò, che s'egli aſſoggettan
doſi al ſuo Creatore come a ſuo vero Sovrano aveſſe con pia
raſſegnazione e obbidienza oſſervato il ſuo comando, ſarebbe
felicemente paſſato ſenza morire al conſorzio degli Angeli, e
al
(1) Obedientia virtus in creatura per cuſtodit, & ſervat, diximus eſ.
rationali mater quodammodo eſt ſe credendum. S. Ambr. epiſt. ad
omnium, cuſtoſque virtutum. S.Aug. Sir. Pap.
lib. 14. de Civ. Dei cap. 12. Ita Adamum primum homi
( 2 ) Ex obſervantia mandatorum nem condidit Deus, ut ſi Creatori
ſperare poſſumus Vitam aternam, ſuo, tanquam vero Domino ſubdi
ºn ultimo Symboli articulo, quod tus, preceptum eius pia obedientia
Bccheſia Romana intemeratum ſem cuſtodiret , in conſortium tranſire
Lib. Ter. A An
2, ID E L L E V I R T U .
P A R T E P R I MI A.
Delle Virtù.
S. Aug. lib. “ La virtù un abito dell'animo non diſ orde dalla natura e
83.qq. d.31. dalla ragione. Anzi dagli Antichi la Virtù fu definita
Id. lib. 4 de la ſteſſa vera arte di bene e rettamente vivere. Ond'è ch'a ra
Civ. Dei gione una buona qualità della mente ſi denomina, per cui retta
º ss. mente ſi vie, e di cui innº Iſiniſtramente fa uſo, come con
art. 4 Santo Agoſtino inſegna l'Angelico.
Ma non ſarà mai che vera Virtù ſi ritrovi in uomo che
non ſia giuſto; nè uomo mai ſarà veramente giuſto, ſe non
abbia egli nel ſuo cuore la Fede; dappoichè il giuſto vive
Rom - 17 della Fede (2). Quindi è che la giuſtizia veramente non
ſog
( 1 ).Angelicum ſine morte media natus. S. Aug. lib. 12. de Civ. Dei
beatam immortalitatem ſine ullo ter cap. 2 I.
mino conſecutus. Sin autem Domi (2) Abſit, ut ſit in aliquo vera Vir
num Deum fuum libera volunta tus, niſi fuerit juſtus - Abſit au
te ſuperbe, atque inobedienter uſus tem, ut ſit juſtus vere, niſi vivat
offenderet, morti addictus beſtiali ex Fide; juſtus enim ex Fid e vi
ter viveret, C libidinis ſervus, eter vit. S. Aug. lib. 2. de Civ. Dei
moque poſt mortem ſupplicio deſti cap. 2 I
D E L L E V I R T Uº. 3
ſoggiorna che in quella felice Reppubblica che ha per fonda
core e governatore Gesù Criſto; e quegli opera la vera giu- S. Aug. ep.
ſtizia che colle buone operazioni ſi merita la Vita eterna. In 107.
altro poi non conſiſte la Vita eterna, ſe non nel conoſcere il Joan. 17.3-
vero Dio, e Gesù Criſto da Dio medeſimo mandato in terra.
La Fede adunque è la prima a cattivare l'anima a Dio;
appreſſo vengono i Precetti ſpettanti al regolamento del no
fro vivere, colla oſſervanza de'quali la noſtra Speranza ſi
rafferma, la Carità s'alimenta, e in cotal modo comincia a
trapelare, e riſplendere ciò che per l'innanzi ſoltanto ſi crede
Va ( 1 -
Ricavaſi quindi che altre delle Virtù hanno come loro pro
prio ed immediato oggetto Iddio, ed altre ſoltanto riſguar
dano
(1) Fides eſt prima, que ſubfugat mors vincitur, cujus vulneribus na
animam Deo, deinde Precepta vi tura noſtra ſanatur, ideoque juſtus
vendi , quibus cuſtoditis Spes no ex Fide Chriſti vivit. Ex hac enime
ſtra firmatur, C nutritur Chari Fide prudenter, fortiter, tempe
tas, & lucere incipit, quod antea ranter, C juſle, ac per hoc his
tantammodo credebatur. S. Aug. de omnibus veris Virtutibus rette ſa
Agon-Chr- cap. 13. pienterque vivit, qui fideliter vi
(2) Neque omnes homines naturali vit. SAug. lib. 4. cont. Jul. cap. 3
inſtinctu immortales & beati eſſe (3) Virtutes ipſe, quibus pruden
vellemus, niſi eſſe poſſemus . Sed ter, fortiter, temperanter, juſteque
hoc ſummum bonum preſtari homi vivitur, omnes ad eamdem referun
nibus non poteſt niſi per Chriſtum, tur Fidem. S. Aug. lib. 14 de Trin
hune, crucifixum, cujus morte cap. 2o.
Lib. Ter. A 2.
4 DELLE VIRTU' TEo Lo G.ALI.
. dano le coſe naturali. Quelle Teologali s'addimandano, e ſo
no tre, Fede, Speranza, e Carità. Queſte Cardinali s'appella
no, perchè ſono quaſi cardini delle altre Virtù; e ſono quat
tro, Giuſtizia, Prudenza, Temperanza, e Fortezza. Di tutte
anderemo diſtintamente ragionando, -
C A P I T O L O P R I M O.
ti ſubditos homines ad eum colen (2) Homo nullo unguam vite ſue
dum exemplo tua religioſe vite, tempore tenetur elicere actum Fidei,
& pº ſtudio conſulendi, ſeu fo Spei, & Charitatis ex vi Prace
vendo, ſeu terrendo erigas, 69 ad ptorum Divinorum ad eas Virtutesi
ducas .... & vera ille: Virtutes. pertinentium. Prop. damn. ab Al
erunt, C illius opitulatione, cuius. lex. VII.
B E LL E VIRTU TEO LO G.A LI. 7
me empietà per inſegnare che ſenza gli atti replicati di Fede,
Speranza, e Carità, ſulle quali ſi fonda unicamente la noſtra
Religione, la pietà e la ſommiſſione a Dio dovuta, neſsuno
può ſalvarſi. Quindi è, che la Santa Chieſa nelle ſue pre
ghiere va ripetendo: Deb per pietà o Signore benignamente do- Dom.13 poi
anaci l'aumento della Fede, della Speranza, e della Carità - Pent.
A R T I C O L O I.
iDella Fede.
[1) Ego Evangelio non rrederem, vel eam Fiduciam Jolam eſe, qua
niſi me Catholice Eccleſie commo .juſtificamur, anathema ſit . Trid.
teret autoritas. S. Aug. cont. ep. Seſſ. 6. Can. XII.
fund. cap. 5. (3) Si quis dixerit hominem re
(2) Si quis dixerit Fidem juſtifi “matum, cº juſtificatum teneri ee
eantem nihil aliud eſſe quam Fi Fide ad credendum ſe certo eſſe in
duciam Divina Miſericordie pec numero Pradeſtinatorum, anatheme
cata remittentis propter Chriſtums ſit. Id. ibi. Can. XV
l
8 D E L L A F E D E.
derſi la Fede colla oppinione, o colla Scienza, come di ſua na
tura ſi rende manifeſto. -
(1) Non niſi Fides unius Dei ne- gligentiam culpabilem neſciat My
ceſſaria videtur neceſſitate medii, ſterium Sanctiſſime Trinitatis, Cº'
non autem explicita Remunerato- Incarnationis Domini noſtri Jeſu
ris. - Chriſti.
Abſolutionis capax eſt homo , Sufficit Myſteria Trinitatis, 65'
uantumvis laboret ignorantia My- Incarnationis ſemel credidiſſe. Prop
teriorum Fidei, C etiamſi per me- damn. ab Innoc. XI. º
D E L L A F E D E, 9
te: un laico non è obbligato a credere eſpreſſamente alcun Arti
colo di Fede, ma baſta queſta concluſione in generale, ch' egli
crede tutto ciò, che crede la Santa Madre Chieſa di Dio (1).
ILe altre due da Innocenzio XI furono proſcritte, delle quali
una diceva: non ha da giudicarſi che cada la Fede ſotto un
'Precetto ſpeciale e diſtinto dagli altri in ſe ſteſſo, diceva l'altra:
baſta ch' una volta in tempo di ſua vita formi l'uomo un atto
di Fede (2).
Da queſte, e da altre ancora che s'addurranno appreſſo,
quando tratteremo della Carità, quaſi ad evidenza ſi deduce
che ſono tenuti ſotto pena di peccato mortale i Fedeli a for Nat. Alex.
mare l'atto di Fede almeno una volta all'anno, e ſpecial Theol. mor.
mente quando loro ſovraſta il pericolo della morte, o qual- lib, 4. cap.3-
che grave tentazione li moleſta. Pare altresì che ſieno obbli- art. 7.
gati almeno implicitamente a rinnovarlo, "
aſcoltano la
Santa Meſſa, col credere fermamente che in eſſa ſi conſacri in
virtù delle parole del Sacerdote, e ſi offeriſca all'eterno Padre
l'Unigenito ſuo Figliuolo Gesù Criſto; così quando ſi preſenta
no al Tribunale della Penitenza col perſuaderſi che il Signo
re per via dell' Aſſoluzione perdona interamente le colpe ai
peccatori contriti, e li rimette in ſua grazia ; e quando s'
accoſtano a ricevere il Pane Eucariſtico col tenere per fermo
che Gesù Criſto, Dio e uomo, realmente ivi ſi naſconda ſot
to l'apparenza delle ſpecie Sacramentali per cibare ſpiritual
mente coloro, che ſi preſentano a riceverlo colle dovute diſpo
ſizioni. Stantechè niuno può bene operare ſe la Fede non
precede alle opere (3). Ed è fuori di dubbio che il primo
Precetto, e il fondamentale principio di noſtra ſanta Religione
ſi è l'avere il cuore radicato e fermo nella Fede (4). La
sCle
Lib. Te, . B
Io D E L L a F E D E.
Eph. 3. 17. che volle ſignificare l'Appoſtolo dicendo: fate ch'abiti Criſto
ne' voſtri cuori per mezzo della Fede. Perciò ſoggiunge Santo
Agoſtino che ſe la Fede ſarà in noi, Criſto parimente ſarà in
noi ( 1 ). Quindi chiedevano fervoroſi gli Appoſtoli al Signo
Luc. 17. 5. re ch'ei accreſceſſe la loro Fede. -
Rom, 1o. 17. E poi la Fede per via dell'udito a noi tramandata; giac
S. Aug. de chè quanto da noi ſi crede, lo dobbiamo all'autorità di Dio
º º che del rivela, e della Chieſa che cel propone, ſicchè coloro
º “ che ſi uniformano nella loro ſcienza a Dio, hanno un fortiſ.
ſimo argomento della incontraſtabile ſua Onnipotenza in tut
te quelle coſe, che ſembrano incredibili agli uomini; dappoi
chè ſanno ch'egli non può, nè ha potuto giammai mentire, e
che può ben fare ciò ch'all'Infedele pare impoſſibile ( 2 ) .
Rom. 3. 4. Lo che non ammette contraddizione alcuna, perchè Dio è la
ibi. 1o. 17- ſteſſa verità, ed ogni uomo all'incontro alla bugia ed all'er
S.Iren:lº 3 rore è ſoggetto. E quì è da notarſi che l'udito, per cui s'
º º nella
cap. 4°
acquiſta la Fede, della parola di Criſto ſi riempie,
Scrittura, e nelle Tradizioni ſta ripoſta.
la quale
( 1 ) pus, five per animum Divini- privatimque hortatura non eſt deſpe
tus adjuti vel videre, vel etiam randum ab eodem ipſo Deo auctori
previdere potuerunt. S. Aug. En tatem aliquam conſtitutam, qua
chir.cap. 4 veluti gradu certo innitentes attol
(2) Si Dei Providentia non preſi lamur in Deum . S. Aug. lib. de
det rebus humanis, nihil eſt de Re util. cred. cap. 16
ligione ſatagendum . Sin vere & (3) Si fam Fidelis rationem poſ
ſ" rerum omnium, quan profe cat, ut quod credit, intelligat, ca
o ex aliquo pulchritudinis fonte pacitas ejus intuenda eſt, ut ſe
manare credendum eſt ; & interio cundum eam ratione reddita ſumat
rineſcio qua conſcientia Deum que Fidei ſue intelligentiam. S. Aug,
rendum a Deoque ſerviendum, melio Ep. 122.
º quaſgue animos quaſi publice,
Lib. Ter 2, )
I2 D E L L A F E D Ea
(1) ratur, ſperet quod Deus pol aut nullo alio, quantumvis gravi
licetur.Comes eſt ergo Fidei Spes,6 & enormi, preterquam Infidelita
Charitas. S.Aug. Ser. in Feſt. o tis peccato, ſemel acceptam gra
mn. San&t. tiam amitti, anathema ſit. Trid.
( 2 ) Sine Dilectione Fides inanis Seſſ 6. Can. XXVI. .
eſt. Multi enim dicunt : credo ; Si quis dixerit amiſa per pec
ſed Fides ſine operibus non ſalvat. satum gratia ſimul & Fidem ſem
S. Aug tract. 1o. in Joan. per amitti, aut Fidem , qua per
( 3 ) Si quis dixerit nullum eſſe manet, non eſſe veram Fidem, li
mortale peccatum niſi Infidelitatis, cet non ſit viva , aut eam:i"
f
;
D E L L A F E D E, 15
finalmente non ſia Criſtiano colui ch'ha la Fede ſenza la Cas
rità (1). Dalle quali ſaviſſime determinazioni del Concilio
Tridentino vengono implicitamente condannate molte Propo
ſizioni di ei Queſnellio. Del reſto non perderà la Fedes. Aus. lib.
ſe non chi l'avrà diſprezzata, benchè ogni peccato oppoſto 1o. de Civ.
alla Carità dovuta a Dio ſepari l'uomo da Dio, e lo faccia Dei cap. 22.
ſuddito del Demonio.
Ma ſiccome chi crede e non ama, non fa opera che ſia ri
goroſamente meritoria, perchè, come ſi è di già notato,
ſenza la Dilezione è inutile la Fede; così a nulla giovano Ia. ser. 14.
ad un empio infedele per conſeguire la eterna ſalute tutte le
buone opere, ſenza le quali è difficile ch'uomo tanto malva
gio ſi ritrovi (2); perch'è impoſſibile di piacere a Dio ſen
za la Fede. Per queſto diſſe l'Appoſtolo: noi giudichiamo che Hebr. 11. 6.
l'uomo per mezzo della Fede, e non delle opere della Legge, ri
manga giuſtificato. Imperciocchè la Fede è la prima grazia, Rom. 3. 26.
per via della quale tutte le altre coſe che propriamente ſi
chiamano opere ſalutari, e da cui dipende il vivere rettamen
te, ſi poſſono da Dio ottenere (3); eſſendo la Fede della u
mana ſalute il principio, il fondamento, e la radice ( 4 ) ;
nè vi può eſſere più giuſto e vero principio per un Criſtiano
che il credere in Criſto (5). Stantechè il Tempio di Dio
col credere ſi fonda, collo ſperare s'innalza, e coll'amare ſi
perfeziona (6). Conſulti chi vuole ſu tale ſoggetto Santo Ago- a
opere non in Domino gloriari ſolus re, quod corde conceptum eſt ? In
impius negat eſſe peccatum. S. Aug. tus Fidem Deus videt, ſed pa
lib. 4. cont, Julian, sap. 3. rum eſt. S. Aug. Ser. 24.
(2) Si quis dixerit opera omnia, (4) Fides " a nobis exigit
que ante juſtificationem funt , & cordis, & linguae. S. Aug. de
7uaeumque ratione fatta ſint, ve- Fid. & Symb. cap. 1.
re eſſe peccata, vel odium Deime
Lib. Ter. C
I3 D E I, IL A , E D E.
Colpa grave pure commetterebbe chi non ben fermo nella S.Thom.2.2.
Fede ſi metteſſe a ragionarne cogl'Infedeli ; e ſe foſſe queſti 7 to art-7-
(1) Siſint ſimplices, & infirmi in abſque lethali peccato, cum ipſos
Fide , de quorum ſubverſione pro prohibere, 69 extirpare poſſunt ſine
babiliter timeri poſit , prohibendi periculo gravioris cujuſpiam mali -
ſunt ab Infidelium communione, Id. ibi. q. 1 1. art. 1 1. -
A R T I C O L O S E C ON D O
Della Speranza.
la Speranza una virtù infuſa in noi dall'alto, onde con S. Aug. de.
ſtabile fiducia aſpettiamo da Dio la Vita eterna e come una verb. Dom.
grazia a chi divenne figliuolo di Dio per mezzo di Gesù Criſto Ser. 29. c. 4.
benignamente promeſſa, e come una mercede quaſi dovuta in vi. -
gore della promeſſa di Dio alle buone opere e meriti d'ogni cri. Trid. Seſſ.6.
ſtiano. Ciaſcuno però che ha la Fede procuri di concepire cap. 16.
quella ferma Speranza che alle coſe inviſibili indirizza gli ani
mi noſtri, e i penſieri noſtri traſporta alle celeſti ed eterne,
e
(1) Quemadmodum de navi, qua Spes quandoque eſt firma & ſine
in anchoris eſt, recte dicimus, quod timore, C tunc proprie dicitur Fi
fam in terra ſit, adhuc tamen flu ducia. S. Tho. in Epiſt. ad Heb.
ctuat, ſed in terra quodammodo le&t. 2.
educta eſt contra ventos, & contra Spes noſtra non deiſto tempore,
tempeſtates, ſic contra tentationes neque de hoc mundo eſt, negue in
hufus peregrinationis noſtra Spes no ea felicitate , qua exca cantur ho
ſtra fundata in illa Civitate Hie mines, qui obliviſeuntur Deum .
ruſalem facit nos abripi in ſaxa. S. Hoc moſſe primitus, & Chriſtiano
Aug. in Pſal. 64. corde tenere debemus, non ad pre
(2) Spes differt a Fiducia, quia ſentis temporis bona nos fattos eſſe
etſi Spes non ſit de impoſſibili, taChriſtianos, ſed ad neſcio quid
men habet timorem conjunctum quan aliud, quod Deus jam promittit, 6
doque, 6 tune proprie dicitur Spes. bomo nondum capit . De hoc enim
bene
24 b. E L L A S P E R A N Z A.
così circonſcritto : nè occhio mai vide, nè orecchio inteſe, nè
º
( 1 ) bono dictum eſt: quod ocu autem, quae retro oblitus, in ea,
lus non vidit , nec auris audivit , uae ante ſunt, extentus , ſecun
nec in cor hominis aſcendit, quae um intentionem ſequor ad pal
praparavit Deus diligentibusſe. Er mam ſuperna vocationis Dei in
go quia hoc bonum tam magnum, tam Chriſto Jeſu. Nihil ergo tam ini
ineffabile non invenit hominem per micum Spei, quam retro reſpicere;
ceptorem , tenebit Deum promiſſo ideſt, in eis rebus, que preterla
rem . Quia amant homines vivere buntur, 69 tranſeunt, ſpem ponere;
in hac terra, promiſſa eſt illis vi ſed in his, que nondum date ſunt,
ta; & quia multum timent mori, fed dand e quandoque , qua nun
promiſſa eſt illis eterna . S. Aug. quam tranſibunt. Que enim viden
Ser. 64. de verb. Dom. tur, temporalia ſunt, que autem non
( 2 ) Spes ad hoc nos hortatur, ut videntur, eterna . In illa ergo ,
preſentia contemnamus, futura ex que non videntur, extende ſpem ,
pettemus ; ea, que retro ſunt, obli expecta, ſuſtine. S. Aug Ser. 29
viſcentes cum Apoſtolo in anteriora de verb. Dom. -
extendamur. Sic enim dicit: unum
D E L L A S P E R A N Z A. 25
che non ſi vede abbiamo a ſperare, ſiamo aſtretti ad aſpettar
lo pazientemente, e perciò il Salmiſta ci avverte ad eſſere co-Pſal. 26. 14.
Atanti in attendere il Signore, ad operare virilmente per eſſere un
di conſolati, e ad aſpettarlo con alacrità. Stantechè le promeſſe
del mondo falliſcono ſempre, non mai quelle di Dio (1). .
E poi la ſteſſa Speranza in un lungo pellegrinaggio neceſ
ſaria, poichè eſſa è che conforta nel cammino il viandante ,
il quale non per altro ſoffre la fatica del viaggio, ſe non
perchè ſpera di pervenire al termine. Se gli ſi tolga la ſpe
ranza di giungere al fine, toſto gli ſi abbattono le forze , e
gli rincreſce il cammino. Quindi è che la Speranza, di cui
parliamo, a reggere e ad alleviare il noſtro pellegrinaggio in
terra è indirizzata; e però il Santo Appoſtolo proteſtava di ſe Rom.16.23.
medeſimo, che ſentivaſi internamente travagliato ſull'aſpettativa
della eterna adozione. E perchè? Perchè la Speranza è quella
che ci fa ſalvi, e quella Speranza che ſi vede, non è Speranza.
Dappoichè qual coſa ſpera chi vede ? Se adunque ciò, che non ve
diamo, ſperiamo, colla tolleranza l'aſpettiamo, e con queſta tol-ibi. 24- 25,
leranza appunto i Santi Martiri ottennero la palma deſidera
ta ( 2 ) ,
i. però qual deve eſſere la Speranza noſtra. Dobbiamo
ſperare in Dio; perocchè ſe taluno ſpera nelle ricchezze, ſe
negli onori, o in qualche ſublime Dignità, ha di mira ſem
pre la vanità. Chiunque inſomma nelle baſſe terrene coſe col
loca
(1) Quia, quod non videmus, ſpe eſt, ad iuſtitiam pertinet peregri
ramus, per patientiam expectamus, nationis noſtra , Ipſum Apoſtolum
merito nobis in Pſalmo dicitur: audi: adoptionem, inquit, expe
fuſtine Dominum, viriliter age , &tantes in nobiſmetipſis i
& confortetur cor tuum , & ſu mus adhuc. Quare? Spe enim ſal
ſtine Dominum. Mundi enim pro vi facti ſumus. Spes enim , quae
miſ)a ſemper fallunt, Dei autem videtur, non eſt Spes . Si enfai
promiſſa nunquam fallunt. S. Aug. videt quis, quid ſperati? Si autem,
Ser. 23. de verb. Apoſt. quae non videmus, ſperamus, per
(2) Spes peregrinationis neceſſaria patientiam expeºtamus. In hac er
eſt, ipſaºf, qua conſolatur in via. gopatientia Martyres coronabantur.
iator enim , quando laborat am Id. Ser. 16. de verb. Apoſt.
bulando, ideo laborem tolerat, quia Si ſperas in pecunia, obſervas vani
Jperat pervenire. Tolle illi ſpemper tatem, ſperas in honore, C ſubli
ºentendi, continuo franguntur vires mitate aliqua Poteſtatis humanae,
ambulandi. Ergo & Spes, que hic obſervas vanitatem. In his omnibus,
Lib. Ter. D ct4103
26 D E L L A S P E R A N Z A.
1oca la ſua ſperanza, o venendo a morire è coſtretto a la
ſciarle in queſta terra, o forſe ancora vivendo gli falliſcono i
ſuoi diſegni, e reſta deluſo della ſua ſperanza. Quegli all'in
contro ſarà felice che non ad imitazione di coſtoro ſpera nel
le vanità, ed alle vanità ſi affeziona, ma ſpera unicamente
nel Signore in cui non è vanità (1). Perchè quando gli uo
mini ſi diſtaccano dallo ſperare nelle ricchezze, e nelle altre
vane luſinghe di queſto mondo, toſto reſtande l'anima libera
da ogni profano penſiero in cui riporre la ſua ſperanza, alla
cognizione dell'adorabile Nome di Dio ſi rivolge (2 ).
Ripongaſi adunque tutta la Speranza moſtra in Dio, e di
noi ſteſſi e delle noſtre forze nulla preſumiamo, acciocchè
non aveſſimo anche a perdere quel poco ch'abbiamo col vo
lere attribuire a noi ciò, che da lui ci viene (3). In Dio ſi
collochi tutta la noſtra ſperanza; in Dio che ci da ancora le
forze; perchè, ſe noi talora vinciamo, col di lui aiuto vin
ciamo, e non con la ſtolta preſunzione noſtra (4).
A Dio rivolganfi tutti i deſideri noſtri, ed a Gesù Criſto
di lui Figliuolo. Il Capo della Chieſa è Criſto, e le membra
di lui tutta la Chieſa. Ove preceſſe il Capo, anderà pure il
corpo. E queſta è la noſtra Speranza. Queſto noi crediamo;
per queſto ſiamo perſeveranti e forti fra le anguſtie e le ca
lamità di queſto Secolo, confortandoci la Speranza finº che
d
(1) tequam Spes fiat res. Res cedis intuitu Deo famulatur, Cha
enim erit, cum& nos reſurrexerimus, ritate ſi caruerit, vitio non caret,
& in caleſtem habitum commuta quoties intuitu licet Beetitudinis
ti equales Angelis facti erimus . operatur. Prop. damn. ab Alex.
2uis hoc ſperare auderet, niſi Veri VIII.
tas promitteretº Ego ſum, inquit, Quidquid mihi dederis , vile
Via, Veritas, & Vita; tanguam eſt . Tu eſto hareditas mea ;
diceret: quo vis ire, ego ſum Via; amo te; totus amo te; toto cor
quo vis ire, ego ſum Veritas; ubi de, tota anima, totamente amo te -
ºts permanere , ego ſum Vita . S. Quid erit mihi, quidquid dederis
Ang Ser. 143. de verb. Dom. praeter te ? Hoc eſt Deum gratis
(2) Quiſquis etiam eterna mer amare, de Deo Deum ſperare, de
Lib. Ter 2, Deo
28 D E L L A S P E R A N Z A.
un agognare di riempirſi e ſaziarſi di Dio; poichè egli ſolo
ſenza ogni altra coſa ci baſta; e neſſun'altra ci baſta ſenza
di lui ( 1 ).
Proponiamoci adunque ad imitazione di Davide per unico
fine delle noſtre mire la Vita eterna; per queſta dobbiamo
adoperarci, e non anderanno per alcun modo fallite le noſtre
fperanze (2). Che fealcuno pertanto affermaſſe che non han
no i giuſti per le buone opere loro ſecondo Dio fatte da aſ
pettarſi e da feerare la eterna retribuzione dalla Miſericordia
e da meriti di Gesù Criſto, quandochè abbiano nel ben ope
rare, e nella ofſervanza de'Divini Precetti fino al termine di
Ior vita perſeverato, ſi tenga per iſcomunicato (3); non al
tramente che chiunque afferiſſe ch uno ornato della grazia
fantificante pecca, ſe ad oggetto della eterna mercede ei vi
ve oneſtamente (4).
Biſogna tuttavia riflettere che ugualmente è pericoloſa, ed
è da temerſi nel peccati la Speranza, e la Diſperazione. Ci
occorrerà di ſentire talora uno che diſpera, e colla ſua Dif
perazione prende argomento d' accreſcere le proprie colpe;
come altro il quale ſpera, e dalla ſua Speranza trae motivo
d' aumentare i ſuoi peccati; nel che entrambi offendono la
Provvidenza e la Miſericordia di Dio. Colui che diſpera, di
rà: io già ſono dannato, e perchè dunque non foguel che vo
glio ? Colui che ſpera, dirà: la Miſericordia Divina è grande:
ogna
(1) mittet mihi omnia ; quare lius, & in tempore vindictae diſ
non facio quidquid volo? Deſperat ut perdet te. Deus converſioni tua in
peccet, ſperat ut peccet. Utrumque dulgentiam promiſit , ſed dilationi
metuendum eſt, utrumque periculo tua diem craſtinum non promiſit .
ſum. Ve a Deſperatione; ve a per S. Aug. in Pſal. 144.
verſa Spe. Utrique huie periculo , (2) Propter illos, qui Deſpera
& utrique malo quomodo occurrit tione periclitantur, propoſuit in
Miſericordia Dei? Andi tu, qui deſi dulgentie portum ; propter illos, N
peras, Scripturam: nolo mortem qui Spe periclitantur, 69 dilatis
impii, ſed ut convertatur, & vi nibus illuduntur , fecit diem mor
vat. Audi tu, qui ſge magispec tis incertum. S. Aug. Tract. 33. in
cas: ne tardes converti ad Domi Joan.
num , neque differas de die in Sumus mortales, projecti, abje
diem, ſubito enim veniet ira il ci, terra, C crimis; ſed qui pro
- mat
3o ID E L L A S P E R A N Z A.
- - - --
(1) miſit, Omnipotens eſt. Non propter quem mori voluit º .... De .
eſt facturus.Angelum ex homine, qui navit impiis mortem ſuam , quid
fecit hominem ex nihilo º Aut ve ſervat juſtis niſi vitam ſuam º S
ro, pro nihilo, habet Deus hominem, Aug. in Pſal. 148.
D E L L A S P E R A N z A. 31
ed oppreſſi da qualche gagliarda tentazione. Aggiungerò di DD. com
più che in mezzo a queſte coſe temporali e caduche dobbia
mo ſempre a Dio ſoltanto tenere rivolte le noſtre ſperanze
per non incorrere nella Divina indignazione, che per bocca
d' un ſuo Profeta eſclamò : maledetto chiunque ripone le ſue Jer. 17.5.
ſperanze negli uomini. Siaci a cuore pertanto di ricorrere in
ogni occaſione a Dio co' più vivi ſenſi dell'animo noſtro.
Quindi non ſarà fuori di propoſito di qui ſoggiugnere alcuni
ſentimenti tratti dalla Sacra Scrittura, de quali ciaſcuno a
ſuo talento potrà ſervirſi per formare un atto di Speranza.
In te ſempre ho ſperato o mio Signore, e mio Dio. Tu ſei che Pſal. 7. 2.
ſalvi chiunque in te ſpera. Tu ſei il Protettore di tutti coloro Pſal. 16. 7.
ch'in te confidano. In te ſperarono i noſtri Maggiori, e perchè ſpe
rarono in te li liberaſti. Ho dunque giuſto motivo anch'io di Pſal. 17.31.
credere che ſperando in te non verranno meno le mie ſperanze. Pſal. 25. 1.
Stantechè niuno di coloro ch'in te ripoſarono, reſtò giammai de
luſo. Io per me certo non voglio in altri ſperare che nel mio Pſal.36.33.
Dio; nè temo coſa che mi poſſa venir fatta contro dagli uomini. Pſal. 55. 5.
Ob quanto è meglio ſperare nel Signore del mondo che ne Princi
pi della terra ! Sperino pur dunque tutti ſempre con me nel ſolo Pſal. 1 I7. 9.
Dio, giacchè la ſola Celeſte Provvidenza è quella che tutti ci Ofee. 12.4.
governa e ci ricompenſa. Sap. Io, 14
A RT 1 C o L o T E R Z O,
Della Carità -
Matt. 22. certo Scriba il noſtro Signor Gesù Criſto qual foſſe della ſua
37 Legge il principale Precetto, riſpoſe: amerai il Signore tuo Dio
con tutto il cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la tua mente,
Eppoi ſoggiunſe: il ſecondo è ſimile al primo. Amerai il tuo
Ibi. 49. Proſſimo come te ſteſſo. Da queſti due Gomandamenti dipendono
tutta la Legge e i Profeti . E per quello che ſpetta alle pa
role: con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente,
volle ſignificare che con tutta la forza ed intenſione dell'in
telletto, della volontà, e della memoria ſi deve amare
Dio ( 1 ).
Da Gesù Criſto adunque ci viene preſcritto d' amare Dio
1.Joan.4.21.º inſieme il Proſſimo , del quale ſe alcuno a ſorte chiedeſſe
ebi egli ſia, ha da ſapere ch'in primo luogo ogni Criſtiano
è veramente Proſſimo, perchè noi tutti per via del ſanto
Batteſimo divenghiamo figliuoli di Dio, acciocchè indi foſſi
mo ancor tutti in una perfetta Carità con iſpirituale fratel
lanza inſieme uniti (2). Ma qualſiſia uomo ancora ad ogni
uomo è Proſſimo, nè ſi ha a mettere diverſità di genere, ove
la natura è comune (3). Quegli pertanto ch'ama il Proſſimo,
preſo in queſto ſenſo, avrà ſenza dubbio la Carità in ſe.
ſteſſo (4). -
-
D E L L A C A R I T A". 33
Dio, per eui Dio per ſe ſteſſo, e ſopra ogni altra coſa è amate
da noi, e il Proſſimo è amato per riſpetto a Dio. Quanto però DD. com.
a queſto argomento s'aſpetta, lo ſuddivideremo in due Para
grafi, in uno dei quali della Carità verſo Dio, nell'altro
della Carità verſo il Proſſimo ragioneremo.
S. I. -
queſto Precetto del Signore: amerai il Signore Dio tuo con Matt.22.37,
tutto il tuo cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente (1).
Un così eſpreſſo e preciſo comando non eſclude parte alcuna
della noſtra vita che poſſa per dir così ſtar ozioſa, e dar luo
go ad altri affetti; ma qualunque oggetto d'amore ci ſorga
in mente, là ſi debba unicamente rivolgere, donde la ſorgen
te dell'amore deriva (2).
Che però deve ogni Criſtiano cominciar a praticare gli atti
d' amore Divino fin da quando incomincia a far uſo della
ragione ad oggetto d'offerire al Divin Creatore le primizie
della ſua vita ragionevole con rivolgerſi cordialmente a lui
COa
tur. S.Aug. de Grat. Chriſt. cap.26. (3 ) Ille tenet & quod patet, CS”
( 2 ) Sub Precepto Charitatis con quod latet in Divinis Sermonibus,
tinetur, ut diligatur Deus ex toto qui Charitatem tenet in moribus ;
corde, ad quod pertinet, ut omnia quia Scriptura non precipit niſi
referantur ad Deum. Ei ideo Pre Charitatem, non damnat niſi cupi
ceptum Charitatis implere homo non ditatem, C9 ita informat mores ho
poteſi, niſi etiam omnia referantur minum. S. Aug. Ser. 39. de Temp.
ad Deum . Sic ergo, qui honorat (4) Mores moſtri non ex eo, quod
Parentes verbi gratia , tenetur ex quiſque novit, ſed ex eo , quod
Charitate honorare, non ex vi hujus diligit , 'dijudicari ſolent. Nec fa
Precepti, quod eſt : honora paren ciunt bonos vel malos mores niſi bo
tes; ſed ex vi hujus Precepti: di ni vel mali amores. S. Aug.Ep. 52.
38 D E L L a c a R 1 T a
di traggono parimente origine le due diverſiſſime Città Bab
Id. Tragi. 6. bilonia e Geruſalemme. Di queſta ſono Cittadini i figliuoli
in Ep. Joan. di Dio, di quella i figliuoli del Demonio. -
l
Ora ſe tal'è la neceſſità d'un operante amore, non v'ha
dubbio ch'un errore grandiſſimo, anzi una Ereſia, ed una peſ
ſima illuſione del Demonio ſarebbe il perſuaderſi non avere bi
ſogno chi puramente ama Dio, e mena una vita, come la
chiamano i Miſtici, unitiva, d' eſattamente oſſervare i Co
mandamenti di Dio e della Chieſa, di frequentare i Sacra
menti, di combattere le tentazioni, di fare le orazioni o
vocali o mentali, di praticare i digiuni e le altre mortifica
zioni della carne, e che in conſeguenza poſſa aſtenerſi dall'
eſercizio delle altre Virtù chiunque ama Iddio ( 1 ). Qual
follìa ſarebbe mai queſta? Quale ſarebbe mai queſto amore,
Joan. 14.6. ſe Criſto medeſimo ch'è la Verità e la Vita, ebbe a dichia
Ibi. 15. rarci: chiunque m'ama, i miei Precetti oſſervi? E poco appreſ
Ibi. 21, ſo ſoggiunſe ancora: chi la mia Legge appreſe, e la cuſtodiſce,
può dirſi che veramente m'ami. Poichè ſiccome l'amor di Dio
non è mai ozioſo, così opera ſempre gran coſe dovunque egli è:
e dove ceſſa la operazione è ſegno evidente che non v'è amore
(2). Attivo, dicea pure il grande Agoſtino, di ſua natura è l'
amore, nè può mai ſtar ſenz'agire nel cuor d'un amante: è forza
che continuamente lo ſproni ; e dov'altro ha da ſpronarlo
che ad amar Dio? ( 3 ). Diffuſamente ſi ritrovano eſpoſti preſe
ſo Santo Agoſtino in vari luoghi i motivi d'amare Iddio, la ec
cellenza della Carità, e i di lei effetti, con tutto quello che riſ
guarda queſto argomento, e ſpecialmente nel Salmo 118. ſi po
tranno da ognuno rinvenire molti fervoroſi atti d'un filiale e
ſin
(1) Erroreſi, imo Hereſs, & il bus ceſſare debeat, qui Deum amat -
luſio peſſima Demonis perſuaſum Bull. Innoc.XI. cont. Molin.
habere, quod amor Dei puriſſimus, (2) Nunquam eſt amor Dei otie
c Vite, quan Teologi Myſtici us; operatur enim magna, ſi eſi;
unitivam vocant, proprius curare ſi vero operari renuit , amor non
non debeat obſervantiam Mandato eſt. S. Greg. Pap. Hom. 3o. in
rum Dei & Eccleſie, Sacramento Evang.
rum frequentationem, pugnam con (3) Haber amor vim ſuam, nes
tra tentationes, orationem ſeu vo poteſt vacare amor in anima aman
calem, ſeu mentalem, jejunia, ce ris. Neceſſe eſt, ut ducat, ſed quo
teraſque carnis mortificationes, C ducet ? Ad Deum . S. Aug in
quod a ceterarum Virtutum operi Pfal. 12 r.
V E R 3 O D IO. 39
fincero amore. E a chi piaceſſe conſultare ancora S. Bernardo
nella Cantica avrebbe molto di che appagarſi. Io di tutto queſto
non altro rapportar voglio al mio propoſito che un belliſſimo ſen
timento dello ſteſſo San Bernardo, il quale così s'eſprime il prin
cipale motivo, per cui volle l'inviſibile Iddio ſorto umana
ſpoglia comparire, e qual uomo fra gli uomini converſare,
io mi figuro che foſſe di tirare all'amore della ſua ſantiſſima
carne tutti gli affetti delle carnali creature, le quali non po
tevano ſe non carnalmente amare, per indi quaſi gradatamen
te condurle ad un amore affatto ſpirituale (1 ).
Per quanto però ciaſcun di noi s'induſtri, non potremo
giammai compiere perfettamente queſto Precetto di giuſtizia
che ad amare Iddio ci coſtringe, ſe non in quella fortunata
vita, ove vedraſſi Iddio di faccia a faccia; ma per queſto ap
punto ci viene ora impoſto così rigoroſo giuſtiſſimo Precet
to, acciocchè ſapeſſimo coſa s'abbia da noi colla Fede a di
mandare, dove eſtendere la noſtra Speranza, e a quali coſe
avvenire tenere fiſſo lo ſguardo, ponendo affatto in obblio quel
le ch'addietro reſtano (2 ).
Giacchè dunque non poſſiamo ora vedere Iddio, dobbiamo
tutti occuparci nel deſiderarlo, non eſſendo veramente la vita
d'un buon Criſtiano che un continuato ſanto deſiderio ( 3 );
e queſto ſteſſo deſiderio non s'accende che con l'aſſidua ora- S. Aug. in
zione. Per queſto noi dobbiamo dalle altre cure terrene, che Pſal. 37. -
(1) negotium orandi mentem revo tis, fac nos amare , quod praeci
camus, verbis orationis nos ipſos ad pis. Orat. Eccl.
monentes in'id, quod deſideramus, (4) O Domine Deus meus, o Do
intendere, ne, quod tepeſcere cape mine Deus noſter, ut veniamus ad
rat, omnino frigeſcat , & penitus te, fac nos beatos de te. Nolumus
extinguatur, niſi crebrius inflam de auro, negue de argento, nec
metur. S. Aug. Epiſt. 122. de fundis, nolumus de terrenis iftis,
(2) Sancti Nominis tui, Domine, & vaniſſimis, & caduca vite tran
timorem pariter, 69 amorem fac nos ſitoriis. Non loquatur os noſtrum
habere perpetuum , quia nunquam vanitatem ; fac nos beatos de te ,
tua gubernatione iſti, quos in quia non perdemus te, cum tenue
ſoliditate tua dilectionis inſtituis . rimus te: mec te perdemus, nec mos
Qrat. Eccl. peribimus. Fac nos beatos de te ,
(3) Da nobis Domine Fidei,Spei, quia beatus populus, cujus eſt Do
& Charitatis augmentum , & ut minus Deus ipſius. S. Aug. Ser. 35.
mereamur aſſequi , quod promit de verb. Dom.
4i
S I I.
Della Carità verſo il Proſſimo,
(1) pter illum, ubi dilettionis tue rulam, ideſt ut ex eo aliquid tem
- -
V E R S O I L P R O S S I M o. 45
i
P E R S O I L P R O S S I M o. 49
(1) mus, imo e contrario que mala Sepi, é ſpinis ſepi, ut ille, qui
non facimus ?.... Nolite diligere vitia importune intrare auſus fuerit, non
in filiis, in amicis, in ſervis, in ſolum repellatur, ſed etiam com
omnibus notis .... Exhibeamus ti pungatur. Repelle illum a te. Dic:
morem, C amorem Deo. S. Aug. Chriſtianus es, Chriſtianus ſum -
de temp. Barb. cap. 3. Non hoc accepimus in domo Di
(2) Quid illi in aure inſuſſurrabis ſciplina ; non hoc didicimus in
homo avare, niſi fili, aut frater, aut illa Schola, quam gratis intravi
bonum eſt nobis, ut, cum mus; non hoc didicimus ſub il
i"ater,
vivimus, bene ſit nobis. Quan lo Magiſtro, cuius Cathedra in
tum habebis, tantum eris. Fran Coelo eſt. Noli mihi iſta dicere,
ge lunam, fac fortunam.... O qui aut noli ad me accedere. Hoc eſt
accipis verbum ſanum in domo di enim i aures tuas ſpinis . S.
ſcipline, ſepi aures tuas ſpinis . Aug. de Diſcip. Chriſt. cap. 9.
Corrumpunt bonos mores colloquia Plane ſi conſentias, jam tua pec
prava -. Sepi aures tuas ſpinis. cata te premunt, non alterius.Quiſ
Lib. Ter. quis
5o D E L L A C A R I T A”
(1) nitione, vel induétione, aut cum aliquis publice facit peccatum,
exemplo alterum trahit ad peccan vel quod habet ſimilitudinem pec
dum , C hoc proprie dicitur Scanda cati; & tunc ille, qui hujuſmodi
lum... Et ideo convenienter dicitur, actum facit, proprie dat occaſionem
quod dictum, vel factum minus re ruina , unde vocatur Scandalum
ctum prebens occaſionem ruina ſit activum. Per accidens autem ali
Scandalum. S. Tho. 2. 2.q.43.art.1. quod verbum, vel factum unius eſt
DiStum , vel factum alterius alteri cauſa peccandi, quando etiam
poteſt eſſe dupliciter alteri cauſa preter intentionen operantis, C'
peccandi; uno modo per ſe , alio preter conditionem operis aliquis
modo per accidens. Per ſe quidem, male diſpoſitus ex hujuſmodi opere
quando aliquis ſuo malo verbo, vel inducitur ad peccandum, puta cum
fatto intendit alium ad peccandum aliquis invidet bonis aliorum ; C9'
inducere, vel etiam , ſi ipſe hoc non tunc ille, qui facit hujuſmcdi actum
intendat , ipſum factum eſt tale , rectum, non dat occaſionenº, quan
quod de ſui ratione habet, quod ſit tum eſt in ſe, ſed alius ſumit oc
indugiiuum ad peccandum ; puta caſionem ſecundum illud , occaſio
Lib. Ter. G 2 ne
52 D E L L A C A R I T A"
ciò queſto ſi chiama Scandalo paſſivo ſenza l'attivo, perchè
quegli che, per quanto è in lui, opera rettarmente, non è
cauſa della rovina ch'altri ſoffre. Talvolta però lo Scandalo
è attivo, e paſſivo inſieme; come ſe uno ad inſinuazione d'al
tri pecchi; e tal'altra è attivo, e non paſſivo, come ſe uno
perſuade un altro a peccare, e queſti non v'acconſente. Lo
Scandalo all'oppoſte paſſivo, e non attivo è quello che di ſopra
s'è ſpiegato (1).
Può ben eſſere che talora ſia ſoltanto peccato veniale lo
Scandalo paſſivo, come ſe alcuno da un ſemplice detto, o fatto
d'altri venialmente pecchi; e ſarà all'incontro peccato morta
le, ſe per un ſemplice detto, o fatto d'altri ſimilmente s'avan
zerà alcuno fino a peccato mortale. Lo Scandalo accidentalmente
attivo ancora può eſſere talvolta peccato veniale; come ſe al
cuno con leggiera indiſcretezza commette un atto che di ſua
natura non è peccato mortale, ma porta tuttavia qualche ap
parenza di male. Sarà poi peccato mortale, quando tal atto
ſi commetta che non è ſcuſabile da grave colpa, o quando
la ſalute del Proſſimo non ſi prezzi; come ſe alcuno non vo
glia un ſuo capriccio poſporre alla conſervazione dello ſteſſo
Proſſimo. Ma lo Scandalo per ſe ſteſſo attivo, come quando
uno intende indurre un altro a peccare mortalmente, è pec
CatO
(1) ne autem accepta; & ideo inordinato dicto, vel faéto alterius
hoc eſt Scandalum paſſivum ſine a procedit uſque ad peccatum morta
&tivo; quia ille, qui rette agit, quan le . Scandalum autem activum, ſi
tum eſt de ſe, non dat ", ſit per accidens, poteſt eſſe quan
ruina, quam alter patitur. Quan doque quidem peccatum veniale ;
doque activum ſimul eſt cum paſſivo; ut cum aliauis vel attum venialis
ut cum ad inductionem unius alter peccati, " actum, qui non eſt ſe
peccat . Quandoque activum ſine cundum ſe f" , ſed aliquam
paſſivo; ut cum aliquois ſuadet al ſpeciem mali cum aliqua levi in
teri peccatum , nec ille conſentit . diſcretione committit . Quandoque
Quandoque paſſivum ſine activo , vero eſt peccatum mortale , ſive
ut dictum eſt. Id. ibi. quia committit aftum peccati mor
Scandalum paſſivum poteſt eſ talis, ſive quia contemnit ſalutem
ſe peccatum veniale ; ut cum ali Proximi ; ut ſi pro ea conſervan
quis ex inordinato disto, uel facto da non pretermittat aliquis face
alterius commovetur motu venialis re, quod ſibi libuerit. Si vero Scan
peccati . Quandoque vero eſt pec dalum activum ſit per ſe ; puta ,
catum mortale, ut cum aliquis ex cum intendit inducere alium ad pec
da V2
-
V E R s o I L P R o S S I M o. 53
cato mortale; e fimilmente ſe aveſſe in animo d'indurre ſol
tanto a peccato veniale con atto mortale. Ma ſe intendeſſe
indurre il Proſsimo a peccare venialmente col mezzo d'un
atto veniale, ſarebbe ſolamente veniale il peccato dello Scan
dalo (1), il quale può eſſere ancora mortale, quando cioè
per qualche probabile circoſtanza giudicare ſi poteſſe che al
cuno de'circoſtanti foſſe per debolezza in iſtato di peccare
mortalmente (2).
F quì ha luogo più che mai il rimprovero: guai a colui
ch'è cauſa che ne naſca lo Scandalo. Stantechè la forte eſpreſ Matt. 18. 7.
ſione di guai la eterna dannazione importa; ed appoſtatamen
te ſi ſoggiunge: che ne naſca lo Scandalo, perchè con ciò ma
nifeſtamente ſi dichiara che quantunque non aveſſe in idea S. Anton.
di ſcandalizzare, nulla dimeno la di lui opera è tale che ne par. 2. tº 2.
naſce lo Scandalo. Infatti lo Scandalo atteſe le peſſime con cap. 4
ſeguenze, a cui porge occaſione, è un delitto in ſe ſteſſo che
Iddio ſempre puniſce più ſeveramente di tanti altri anche
maggiori, quando ſi commettono di naſcoſto (3).
E pure oh quanto mai è frequente nel mondo queſto miº
ſerabile peccato! E non oſtante ſembra che niun caſo ne fac
ciano gli uomini. Quanto danno arreca il troppo vano orna
mento delle donne? Il ballo, il canto coſa ſono mai ſe non
un grande Scandalo, e un laccio inſidioſo per le anime? Ecco,
eſclamava il Saggio, come di meretricia veſte cammina ornata Prov. 7. 1o.
quella donna per fare preda delle anime, come ſe voleſſe ſigni
fica.
ºs
N.
i
54 D E L L A C A R I T A”
- , (1) Peccant in hanc partem blan caput meum. Quamquam enim iſti
di homines, 69 aſſentatores, qui minime maledicant Proximo, tamen
blanditiis, C ſimulatis lauaibus in ei maxime nocent , qui laudando
fluunt in aures, C in animos eo ejus peccata adferunt cauſam in
rum, quorum gratiam, pecuniam , iis perſeverandi. Catech. Rom. in
& honores aucupantur, dicentes 8. Praec. Decal. -
guando pecchi gravemente una donna col vano ornato del ſuo
corpo, lo che pur troppo ſuccede , chiaramente il dimoſtra San
Carlo nelle ſue prudenti Iſtruzioni, ed io qualche coſa ne accen
nerò, ove più ſotto mi farò a ragionare della Superbia. Non v'
ha però coſa forſe più bella, nè che più ſia degna d'eſſere letta
a queſto propoſito de Libri che Tertulliano ſcriſſe degli ornamenti
delle donne. Ma
(1) Gravius homo peccat, C peri quot ibi fiunt. Dans tabulam, 69'
bit, qui in famineo languore mol preſtans taxillos, toties peccat mor
litus comam nutrit, vellit pilos, taliter, quoties preſtat - Nullus
cutem polit , & ad ſpeculum co Confeſſor poterit eum abſolvere ,
mitur, que proprie paſſio, C in donec removerit domum a tali peſ
ſania faeminarum f. S. Hier. in ſimo uſu ludendi. Impoſſibile eſt
cap. 1. Sophon. illum ſalvari , niſi relinquat illas
(2) Dans domum , ut intus lu ſuas artes maledicias. S. Bern. Sen.
datur, fit particeps tot peccatorum, Ser. 33. -
v E R s o I L PR o s S I M o. 59
mai di quei malavveduti Criſtiani ch'ad uomini perduti nel
vizio, a donne ſenza vergogna, ed a certi mezzani d'ini
quità affittano e concedono le caſe loro? Chi li potrà ſcuſare
di graviſſima colpa? E chi non condannerà nella ſteſſa manie
ra i Pittori d'oſcene figure, e gli Autori di libri diſoneſti e
di turpi canzonette? Ricavi quindi ognuno come ſi deve giu- DD. com.
dicare di tutti coloro che in qualunque maniera cooperano
all'altrui rovina. E quì pure ſi può rapportare la Propoſizio
ne da Innocenzio XI condannata toccante il ſervo ch'agevola
al padrone la eſecuzione di coſa cattiva; del che s'è ragio
nato nel libro antecedente al quarto Precetto del Decalogo. V. pag. 63.
Amiſi adunque di cuore Iddio, e la di lui ſantiſſima Legge,
giacchè coloro che l'amano daddovero godono in ſe ſteſſi d'
una profonda pace, e non inciampano così facilmente negli Pſal. I 18.
Scandali. Imperciocchè mentre ſono occupati in amar Dio ed 16;.
eſeguire la di lui Legge, ſono diſtolti dall'oſſervare ch'altri S. Aug. ibi.
traſcurano di praticarla, e perciò può veramente dirſi che non
ſono in alcun modo ſoggetti a patire Scandalo que timorati
Criſtiani ch'amano Dio, e ſi trattengono in adempire i di S. Tho. 2.2.
lui Comandamenti. q. 43. art. 5
Oltre ciò opportuno rimedio ſi è contro gli Scandali l'a- S. Aug. in
ver ſempre buona oppinione del Proſſimo; non in maniera Pſal. 3o.
però che, ſe è evidente il peccato, non s'abbia a dolerſene;
perchè, ſe allora non ſene doleſſimo, daremmo a conoſcere
chiaramente ch'in noi non ſi trova la Carità di Criſto. Id. Ep. 137.
Quivi poi ſarà bene d'avvertire che gli Scandali ſono l'
inciampo conſueto de più traſcurati ad oſſervare la Divina
Legge. Ma noi appunto ſiamo in obbligo di guardarci di non
recare Scandalo ai deboli nella Fede, perchè non tutti poſſo
no eſſere perfetti. Anzi per eſſi, e non per altri, noi ſiamo
tenuti ad aſtenerci non ſolo dall'atto in ſe ſteſſo cattivo, ma
ancora dal riputato indifferente, quando eſſo poſſa recare Scan
dalo, ed i più fiacchi lo ſoffrano ( 1 ).
Per tale motivo perſuadeva caldamente San Paolo ad aſte. 1.Cor. S. 13.
1nel'-
Novit, inquis, Deus cor meum; ſed frater tuus non novit cor tuum.
Si
- -- - - - - -
-
-
- - - - - - --- e re -
- - -
- -
V E R S O I L P R O SI S I M O. 61
infermi, abbiamo da guardarci dal sontrarre una infermità
maggiore; e ſe noi ſiamo ſani e robuſti, ha da eſſerci a cuo
re la infermità del Proſſimo. Non vogliamo eſſer in ciò traſ
curati per quanto ci preme di non eſſere dal libro della eter
ma Vita cancellati . Sapia chi non cura come coſa di poco
conto queſto geloſo contegno che pecca contro Criſto; e però
prima di diſprezzare il noſtro Proſsimo conſideriamo attenta
mente il di lui pregio, e mettiamo in confronto tutto il
mondo coll'ineſtimabile valore della morte di Criſto ( 1 ) .
Gli ſteſſi nobiliſſimi ſentimenti di Santo Agoſtino ſi ritrovano con
energia ripetuti anche nel ſecondo libro de Mor. Manich. cap.
14, e nel libro cont. Adim. cap. 14. -
-
-
v
(2) Non attendendi ſunt, qui Tho. in 4. diſt. 38. qu. 1 1. art. 4. -
docent licere cuiquam agere, quod Si poſt redditam rationem hu
Pºtanº non eſſe peccatum , quam fuſmodi Scandalum duret, jam vi:
, detur
62 D E L L A C A R I T A'
duta ragione lo Scandalo non ceſsi, pare allora che ciò pro
venga dall'altrui malizia; e per conſeguenza non farà egli
più tenuto ad uſare alcun riguardo per quella ſorta di bene
ſpirituale ch'ha intenzione di praticare, nè più dovrà omer
terlo, differirlo, ed occultarlo ( I ).
Solo è da ponderarſi, ſe lo Scandalo oltrepaſsi la quantità
del bene, o il bene la quantità dello Scandalo, e giuſta tal
proporzione od ometterà egli il ſuo giudizio per evitare lo
Scandalo del ſemplici, o non curerà lo Scandalo per mettere
in pratica il ſuo conſiglio (2).
Ma avendo di già baſtantemente additato come abbiano a re
golarſi i Criſtiani nel convivere per non eſſere d'inciampo
all' altrui ſalute, accenneremo ora come debbano contenerſi
nell'uſo dei beni temporali, che può eſſer talora ſcandaloſo.
Imperciocchè o eſſi ſono noſtri, oppure a noi ſono ſtati dati
ſoltanto per conſervarli, come i beni della Chieſa a Prelati,
ed i beni pubblici a Governatori del pubblico ſi conſegnano.
In queſto ſecondo caſo corre di neceſſità l'obbligo a coſtoro
di cuſtodirli non meno che gli altrui depoſiti; ed in conſe
guenza non devono alienarli da loro, onde altri ne prenda
motivo di Scandalo (3).
Lo ſteſſo è da ſtabilirſi di chi non poteſſe dare quello, che
tiene in ſua mano, ſenza peccato, o perchè conoſceſſe ch'
in mal uſo altri lo convertirebbe, o perchè non poteſſe dare
una coſa temporale ad uno ſenza detrimento d'un altro; co
me
(1) detur ex malitia eſſe. Etſie ſtra, aat ſunt nobis ad conſervan
opter ipſum non ſunt hujuſmodi dum pro aliis commiſſa ; ſicut bo
f" bona dimittenda, diffe na Eccleſiae committumtur Prelatis,
renda, vel occultanda - Id. 2- 2 & bona communia quibuſcumque
qu. 47. art. 7. - Reipublice Rettoribus; & talium
(2)Attendenda eſt quantitas Scan conſervatio, ſicut & depoſitorum ,
dali, Cº boni , quod contingit ex imminet his, quibus ſunt commiſ -
conſilio ſervato ; C9 ſecundum hoc ſa ex neceſſitate; C9 ideo non ſunt
aliquando conſilia ſunt pretermit propter Scandalum dimittenda. Id.
tenda propter Scandalum puſillo 2. 7, c. 47. art. 7.
rum, vel Scandalum contemnendum ai i poteſi dare ſi
propter conſilia - Id. 38. qu. I 1 ne peccato, vel quia ſeit illum ,
art- 4 cui dat, uſurum re data in malos
(3) Circa temporalia bona diſtin uſus, vel quia non poteſt dare ren
guendum eſt . Aut enim ſunt no temporalem uniſine prajudicio al
te
v E r s o r L PR o ss 1 M o. 63
me ſe quelli che d'una Comunità hanno il governo, deſſero
coſa, dalla cui mancanza deterioraſſe la condizione della Co
munità medeſima. Negli allegati caſi non ſi deve curare lo
Scandalo, perchè si opererebbe contro la verità della giuſti
zia, o della vita ( 1 ).
Ma diſcorrendo dei particolari ſiamo talora obbligati, e tal'
altra nò a diſpogliarci dei beni temporali, di cui noi ſiamo
i padroni, col darli altrui ſe ſono in noſtro potere, o col ri
peterli ſe ſono in mano d'altri, ovecchè poſſa naſcere lo Scan
dalo. Perchè ſe diaſi luogo allo Scandalo per ignoranza, o de
bolezza d'alcuno, quale ſarebbe lo Scandalo del pupilli, o ſi
dovranno allora da ſe rimuovere i beni temporali, o in altra
maniera dovraſi togliere lo Scandalo, cioè per via dell'am
monizione (2).
Quindi oſſerviſi avere detto Gesù Criſto che non ad ognuno
che chiede, ſi deve dare tutto, ma ciò ch'oneſtamente e giuſta
mente può darſi. Infatti dovrebbeſi forſe condiſcendere alle
altrui richieſte, ſe taluno dimandaſſe danaro per opprimere un
innocente? O ſe tal altro s'avanzaſſe a pretendere diſoneſta
azione da una vergine? Ma per non iſtare qui ad annoverare
ad una ad una tutte quelle coſe che non ſono da concederſi, e
ſono innumerabili, ſtabilirò in generale che ciò s'ha da dare
che nè a noi, nè ad altri reca nocumento, per quanto poſſia
mo noi giudicare, e ſapere; e ben potremo manifeſtare la cau
- ſa
(1) Nihil ſic probat amicum terminanda eſt; omnes enim , qui
quam oneris, amici portatio. Hoc bus amor & dilectio debetur, am
eſt dilectionis officium invicem one- plettitur, quamvis in alios propen
ra portare. S. Aug.lib. 33. qq. q. 71. ſius, in alios ſuſpenſius inclinetur -
(2) Amicitia non anguſtisfinibus S. Aug. Ep. 121.
v
v E R s o I L PR o ss 1 M o. 69
caritatevoli preghiere. Hafſi ancora a pregare Dio pei noſtri
Sovrani, e per tutti quelli ch'in alta Dignità ſono collocati,
acciocchè una vita placida e tranquilla peſano condurre a gio
1.Tim. 2.2.
vamento del Pubblico. Pregheremo altresì per gl'increduli,
affinchè degniſi Iddio d'illuminarli e ridurli ad abbracciare la
ſanta Fede. Pregheremo pei Catecumeni ad oggetto ch'Iddio
loro inſpiri un vivo deſiderio d'eſpiare l'originale peccato .
Pregheremo infine per tutti i Fedeli, acciocchè perſeverino
coſtantemente in quell'uffizio che laudevolmente hanno in- is Er.
trapreſo.
È giuſta e doveroſa coſa ancora il pregare Iddio che ci li
beri dalle mani dei noſtri nemici. Ma ſono da diſtinguerſi i
nemici, per cui s'ha da pregare, e quelli contra i quali s'
ha pure da pregare. Quali ch'eglino ſiano gli uomini noſtri
nemiei, non s'hanno mai da odiare, perchè ſe noi portiamo
odio ad un malvagio che ci rieſce moleſto, due ſaremo in tal
caſo i malvagi. Un uomo da bene ha da portare amore anco
ra a chi gli è faſtidioſo, acciocchè almeno uno ſolo, e non
due ſieno i perverſi. I nemici poi, contro i quali ſi deve
pregare, ſono il Demonio e i di lui ribelli compagni ( 1 ).
Conchiudeſi adunque ch ancora chi ci perſeguita, dobbiamo
tenerlo a Dio raccomandato. Matt. 5.44.
Molto più ci corre l'obbligo d'intereſſarci pei puſillanimi
e groſſolani; per quelli che più la carne che la ragione aſcol
tano, perchè ſono tuttavia fratelli noſtri, e degli ſteſſi Sacra
menti pattecipi, e ſe non concordano in tutto con noi, la
iſteſſa volontà però con noi dimoſtrano l'iſteſſo amen riſpon
dendo ; e quando ancora l'amen iſteſſo con noi non riſpon
deſſero, noi dovremmo non pertanto col più vivo fervore
- dell'
(1) Deum preces pro eis. Id.ibi. amici, ab una eis exhibeantur Ma
(2) Non ſunt pretermittende ſup tre communi. S. Aug de cur. pro
plicationes pro ſpiritibus mortuo mort. ger. cap. 4.
rum, quas faciendas pro omnibus (3) Conſilio indiget quis, tu ple
in Chriſtiana & Catholica Societa nus es conſilio? In conſilio ille pau
te defuntis, etiam tacitis nomini per, tu dives es? Ecce nee laboras,
bus quorumcumque ſub generali com nec aliquid perdis ; das conſilium,
memoratione ſuſcepit Eccleſia, ut, e 9- i; eleemoſynam. S. Aug
quibus ad iſta deſunt parentes, aut in Pſal. 125.
filii, aut quicumque cognati, vel
V E R S O I L P R O S S I M 0. 71
Il terzo ajuto che s'arreca al Proſſimo col portare parte del
di lui peſo, è il conſolarlo quando è afflitto, perch'è veramen
te ingiuſta coſa che noi vogliamo godere con chi gode, e di
piangere ci rincreſca con chi piange. Non ricuſiamo adunque Rom 14.15.
di preſtare pazientemente orecchio a chi cerca uno sfogo fra
le molte amarezze ed anguſtie che lo tormentano. Mercechè
io non ſo donde avvenga che ſi rende più mite il dolore che
'ſofire un membro, quando ne divengono gli altri membri 1. Cor. 12.
partecipi. Eppure non ſi mitiga il male, perchè tu ne cu- 26.
munichi parte, ma perché v'apporti un caritatevole ſollievo;
se queſto fa che, mentre alcuno ſoffre e tu il compatiſci, di
viene ad entrambi comune quell'afflizione, ſendochè una e
comune in noi tutti è la condizione, la ſperanza, l'amore,
e lo ſpirito (1). Tengaſi quindi per certo che non andrà im
punito chiunque godeſſe dell'altrui rovina. Veda chi vuole Prov. 17.5.
l'Omilia 15. delle 5o. di Santo Agoſtino, a cui però ſembra,
che malamente venga attribuita.
Un'altra maniera di giovare al Proſſimo sì è quella di tol
lerare il di lui ſdegno ſenza che celo rechiamo ad offeſa, e
concepiamo odio contra di eſſo, acciocchè poi quando noi re
ciprocamente ſaremo da rabbia agitati, con placidezza e tran
quillità d'animo ei ci ſopporti. Su ciò è fondata quell'opera
di miſericordia ſpirituale che ci raccomanda di pazientemente
tollerare le ingiurie. In queſti caſi biſogna addoſſarci alquan
to dell'altrui infermità, ſe veramente deſideriamo liberarne il
noſtto Proſſimo . Ma talmente abbiamo da addoſſarcela che
noi gli preſtiamo ſoltanto valevole aiuto ſenza ſoccombere
ad
(1) ſua familia debere. Pro Chri & qualiter ſe debeat habere in ſu
ſto, 9 pro Vita aterna ſuos omnes ad ſceptione Sacramentorum ; & hoc
moneat, doceat, bortetur, corripiat,pertinet ſecundario quidem ad Mi
impendat benevolentiam , exerceat niſtros, principaliter autem ad Sa
diſciplinam; ita in domo ſua Ec cerdotes. Tertia eſt inſtructio de con
cleſiaſticum, 9 quodammodo Epiſ ſervatione Chriſtiane vita ; 69 hac
copale implebit officium miniſtrans pertinet ad Patrinos . Quarta eſt
Chriſto, ut in eternum ſit cum ipſo. inſtructio de profundis myſteriis Fi
S. Aug. Tra&t. 5 t. in Joan. dei, 69 perfectione Chriſtiane vi
( 2 ) Multiplex diſtingui poteſt in te; & hec ex officio pertinet ad
ſtructio: una converſiva ad Fiden, Epiſcopos. S. Tho. 3. par. qu. 71.
quam Sanctus Dionyſius tribuit E art. 4.
piſcopo, C poteſt competere cuilibet Privatim ad unum , vel pau
Pradicatori, vel etiam cuilibet Fi ces familiariter colloquendo gratia
deli. Secunda eſt inſtructio, qua ſermonis poteſt competere etiam mu
quis eruditur de Fidei rudimentis, lieribus. Publice alloquendo totam
Ec
V E R 3 O I L P R O S S I M o. 75
Religione comporta. Ma non ſi permette ad eſſe di diſcorrer
ne in obbligazione
Della pubblico, e ch'hanno
a tutta una interad'erudire
i padri radunanza di Fedeli
i propri (1). ci
figliuoli "iag
V.li
altrove s'è parlato. Qual debba eſſere la cura de Padrini lo di- i ip.
remo più ſotto. Si rechino intanto a memoria tutti gli altri 2.
quello dell'Eccleſiaſtico: a tutti impoſe Dio d'avere premura Cap. 17.12.
del ſuo Proſſimo. Sopra che ſaggiamente fu oſſervato che chiun
l que ſi ritira dal giovare al Proſſimo colla predicazione, quan
do verrà ſeveramente giudicato, ſarà ſenz'altro per tanti ri
putato reo quanti ſaranno coloro ch'avrebbono dal ſuo ragio
nare potuto ricavare qualche giovamento (2).
E pur anche un'opera di ſpirituale miſericordia l'inſegnare
agl'ignoranti. Ma uno non è all'altrui erudimento per debi
to officio tenuto ſe non in quello che riſguarda neceſſariamen
te la eterna ſalute, e quando altri non vi foſſe ch'inſtruiſſe
il ſuo Proſſimo, o quando noi vedeſſimo ch'ei deviaſſe dal
diritto ſentiero, ed altri, cui ne correſſe l'obbligazione, di
rimetterſi in cammino non l'ammoniſſe (3).
Non rade volte però interviene che ſiamo di neceſſità aſſo
luta obbligati ad oſſervare i conſigli, e ad eſercitare le opere
di miſericordia. Lo che non ſi può negare riſguardo a coloro
ch'hanno fatto voto d'obbligarſi a ciò che ſia di conſiglio, e
riſguardo a quegli altri che hanno ingiunto il carico di ſov
venire agli altrui difetti sì nel temporale come con l'alimen
rare i mendici, e sì nello ſpirituale come con l'inſtruire gl'
ignoranti , da qualunque parte e ragione naſcano queſti offi
z)
º" si 1 cui mani ſiamo noi, e i noſtri diſegni ( b). Egli è che ci
16. mette in iſtato di volere e di perfezionare le coſe con buona
Philip.2.13. volontà. Del reſto per quanto l'uomo all'altrui giovamento
cooperi, non altro farà mai che dare un ſalutare conſiglio,
Lib. 4. de perchè quegli ch'inſegna è Gesù Criſto, come apertamente il
Dott. Chriſt. dimoſtra Santo Agoſtino. Nè quegli che pianta, ovvero inaf
cap. 15. fia, può aſſerirſi che ſia qualche coſa, ma Dio che da forma
1. Cor 3-7 e incremento all'arbore, è il tutto. Le umane iſtruzioni ſo
s Aue no certi eſterni aiuti, certi opportuni avviſi; ma quegli, che
ragi in veramente informa i cuori ed erudiſce, ha la ſua Cattedra
Ep. Joan. piantata nel Cielo. Sicchè il Confeſſore non è che un puro
iſtrumento, e non è capace di giudicare; anzi farebbe molto
male a credere ch'il fuo penitente foſſe per abuſarſi dei di
lui avviſi, poichè lo verrebbe quaſi a dichiarare come ſe egli
foſſe abbandonato da Dio, (lo che non voglia la Divina Cle
menza) oppure moſtrerebbe di preſumere ch'il buon uſo de'ſuoi
conſigli dipendeſſe dalla forza delle ſue parole; lo che è fal
ſiſſimo . -
- - - I de
-
V e R s o I L P R o s s I M o. 91
noſtro Proſſimo, quando non ſi poſſa altronde procacciare la
di lui ſalute, e vi ſia fondata ſperanza che ſarà per giovargli
la noſtra morte ( 1 ). Queſto è un obbligo che più d'ogni
altro a Prelati, e a Veſcovi incombe. Sendochè buon paſtore
ſi chiama quegli che pone la propria vita per la ſalute delle
ſue pecorelle, ed all'oppoſto il mercenario che non è proprio
paſtore, ſe vedrà venire il Lupo, laſcierà le pecore, e daraſſi
alla fuga. Può chi voglia leggere ſu queſto particolare Santo A- Id. 1o. 11.
goſtino alla piſtola 18o , e Sant' Atanaſio nell'Apologia della 12.
ſua fuga.
Ora ſe niuno del ſuddetti modi ſarà baſtante a ſalvare il no
ſtro Proſsimo, non ci rimane che darci a dividere uno ſpec
chio dell'oneſto operare, e dimoſtrarci irreprenſibili nel diſ-Tit. 2.7.
corſo, nella converſazione, nella Carità, nella Fede, nella il. 1. Tim. 4.
libatezza del coſtume. Perciò ci fu ordinato che tale luce ha 12.
da partirſi da noi che riſplenda in faccia a tutte le perſone, accioc
chè veggendo eſſe le buone noſtre operazioni glorifichino il Padre Matt. 5.16.
noſtro che ſta ne' Cieli. Difatti ſe niuno vedrà le noſtre buone
azioni, niuno ſi ſentirà eccitato ad imitarle. Per la parte no
ſtra reſteranno nella lor ignoranza e pervicacia i malvagi; pe
rocchè potranno credere che niuno eſeguiſca quanto comandò
Iddio, ſe mai gli altri uomini non laſciaſſero altrui vedere le
buone loro operazioni, quandochè atto di maggiore commiſe
razione s'eſercita con quello, a cui un buon eſempio da imi
tare ſi propone, che quando ſi porge ad uno biſognoſo l'op
portuno alimento (2).
Chi teme adunque d'eſſere veduto non ſarà imitato. Ognu
no ha da procurare d'eſſere veduto; ma non deve già operare
bene per eſſere veduto (3). Queſto ſarebbe un atto di Vana
- glo
A
92 D E L L A C A R I T A”
gloria, come più ſotto diremo, ove della Superbia ci occor
rerà di ragionare. Le noſtre opere non hanno da eſſer buone
perchè gli altri le veggiano; cioè perchè chi le oſſerva, a
noi, e in noi ſi rivolga, non eſſendo noi per noi ſteſſi altro
che un nulla; ma bensì acciocchè dia laude e gloria al Cele
ſte Padre, e a lui, e in lui per mezzo noſtro rivolto diventi
quello che noi ſiamo ( 1 ). E allora ſaranno veramente rette
le opere noſtre quando a queſto unico fine s' indirizzeranno ;
giacchè il fine d'ogni Precetto è la Carità che parte da un
Prov.21.32. cuore puro, da una buona coſcienza, da una fede non finta
( 2 ), e così altri apprenderanno dal noſtro eſempio la vera
diſciplina. -
-
In primo luogo adunque non faremo danno al Proſſimo.
Guardiſi quindi ognuno dal commettere adulteri , omicidi,
furti, e dal giurare il falſo; guardiſi dal ſecondare i malnati
appetiti; guardifi inſomma da tutto ciò che può recare offe
ſa; perchè ſe altro comandamento oltre i detti ſi ritrova, ſi
comprende in queſte parole: amerai il tuo Proſſimo al pari di
te ſteſſo. Egl'è certo che l'amore del Proſſimo non induce a
far
(1) Non ut videamini ab eis; ideſt enim precepti Charitas eſt de cor
hac intentione, ut eos ad vos con de puro, é conſcientia bona , º
verti velitis, quia non per vos ali fide non fitta. S. Aug. in Pſal. 89
quid eſtis; ſed ut glorificent Pa Non adulterabis, non occides,
trem veſtrum , qui in Calis eſt , non furaberis, non falſun teſtimo
ad quem i ſi fiant, quod eſtis. nium dices, non concupiſces, C ſi
S. Aug. lib. 5. de Civ. Dei cap. 14. quod eſt aliud mandatum, in hoc
(2) Tunc recta ſunt opera, cum ad verbo inſtauratur : diliges Proxi
hunc unum finem diriguntur; finis mum tuum ſicut teipſum - Dile
ctio
N
v E R s o I L P R o s S I M o. 93
far male; dunque l'amore è la pienezza della Legge, perchè Rom. 13.16.
preſi eſſendo da tale amore non uſeremo alcuna frode, alcun
inganno contro perſona veruna. (1). Molto bene ſopra ciò ra
giona Santo Agoſtino nel Libro de Diſcip. Chriſt. cap. 5 , e 6,
che potrà ciaſcuno a ſuo talento riſcontrare.
Io voglio quì intanto avviſare che da Innocenzio XI
quella Propoſizione fu condannata, la quale diceva che la de
bita moderazione uſando può taluno dell'altrui vita attriſtarſi, e
della di lui morte godere, e ancora con un tal quale affetto do
mandarla e deſiderarla, non per odio che porti alla perſona, ma
per qualche temporale vantaggio che gliene venga ( 2 ). Altre
Propoſizioni oltre a queſta vi ſono dallo ſteſſo Pontefice In
nocenzio XI proſcritte, come ancora da Aleſſandro VII, al
trove da me rapportate in ragionando del Quarto, Quinto, e
Settimo Precetto del Decalogo.
Oſſerviſi intanto che ſiccome la Carità non ſolo non indu
ce ad operare del male, ma neppure lo penſa, così biſogna
ch'ognuno ſi rammenti il Divino Precetto: non vogliate giudi- i Cor 13-5-
care ſecondo l'apparenza, ma bensì giuſtamente giudicate. Un ma- Joan 7-24
le aperto e manifeſto ſenz'alcun riſpetto ha da giudicarſi e
riprenderſi. Ma ciò che non ſapiamo, ſe ſia fatto con buon
animo, o cattivo, non dobbiamo toſto ſiniſtramente, anzi in
niuna maniera giudicare. Se per eſempio tu vedi uno che
ſpeſſo digiuna, godine tra te ſteſſo, ma non ne lo loderai
troppo, perchè potrebbe ben eſſere ch'ei ciò per vanagloria
praticaſſe. Ma dall'altro canto non gliene darai biaſimo, per
N.
chè
a
-
Deo, & pro anima remedio jejuna te aliquis vicinus, aut amicus tuns,
re . Vidiſti alium indicio publico dum animum ſuum habet in rebus
fejunio velle prandere, cum dile ſatisſibi neceſſariis occupatum, tar
ciione admone . Si dixerit pro ſio dius te ſalutaverit, aut tardius oc
machi la ſitudine ſe jejunare non currerit, quam debuit , noli eum
poſſe, erede, 9 noli judicare, quia ſuperbum judicare, noli malignum
utrumque poteſt fieri, ut per gu credere, ſed magis hoc aut per
lam, vel luxuriam prandere velit , oblivionem, aut per negligentiam ,
& pre infirmitate jejunare non poſ quam per deſpectum, vel ſuperbiam
ſit . Vidiſti alterum ſubditis ſuis factum erede.... In iſtis ergo, 3 in
cum ſeveritate diſciplinam impone his ſimilibus, qua utrum bono, 'n
re, & indulgentiam tardius dare , malo animo fant, ſcire non poſſu
noli judicare crudelem, quia forſi mus, melius eſt, ut ad partem der
tan non hoc facit morbo iracundie, teram noſtrum animum declinemus,
ſed zelo diſcipline, 69 amore juſti quia tolerabilius eſt nos in hoc pre
tie propter illud, quod ſcriptum eſt: finiri, ut eos, qui mali ſunt, bo
zelus domus tua comedit me. For nos eſſe credamus, quam ex conſue
tº
V E R S O I L P R O S S I M 0. 95
96 D E L L A C A R I T A'
In due maniere ſi può cadere nel Giudizio temerario, dal
formare il quale ciaſcuno è tenuto a guardarſi. Primieramen
te quando è incerto con qual animo una coſa ſia ſtata fatta,
come poco innanzi s'è ſpiegato; e poi quando è incerto qual
abbia da eſſere quegli ch'ora compariſce buono, o cattivo .
Se però dolendoſi alcuno per eſempio del ſuo ſtomaco aveſſe
omeſſo di digiunare, e tu ciò non credendo imputaſſi a vizio
di gola quello ch'egli attribuiſce a debolezza, temerario ſare
ſti nel tuo giudizio. E ſe tu aveſſi in lui ſcoperto evidente
mente il vizio della gola e della ubbriachezza, e così ne lo
riprendeſſi, come ſe egli non poſſa nè correggerſi, nè mutarſi,
temerariamente anche allora giudichereſti. Non vogliamo ri
prendere quello che noi non ſapiamo con qual animo ſi faccia,
nè quello che manifeſtamente è cattivo, ſi riprenda in maniera
come ſe non vi foſſe ſperanza di ammenda; e in cotal modo
eviteremo il ſopraccitato ſevero giudizio: non vogliate giudicare
per non eſſere ancor voi giudicati. E ciò maſſimamente dobbiamo
fare, perchè per ordinario il temerario Giudizio nulla offende
colui, di cui temerariamente ſi giudica, dovechè la iſteſſa te
merità del giudicare certamente è nociva a chi per tal manie
ra è uſo a giudicare (1).
Non è quindi da metterſi in dubbio che ſe il tuo Giudi
zio verſerà ſopra coſe importanti , e quantunque appoggiato
ſopra leggiere congetture, tuttavia ſarà pienamente esito
CO11 -
( 1 ) Duo ſunt, in quibus teme damus ea, que neſcimus quo ani
rarium Judicium cavere debemus . mo fiant ; neque ita reprehenda
Cum incertum eſt, quo animo quid mus, quae manifeſta ſunt, ut deſ
que factum ſit ; vel cum incertum peremus ſanitatem ; & vitabimus
eſt, qualis futurus ſit , qui nunc fudicium, de quo dicitur : nolite
vel bonus, vel malus apparet. Si judicare, ne judicetur de vobis....
ergo quiſpiam v. g. conqueſtus de Temerarium judicium , de quo di
ſtomaco jejunare noluit , & tu id
non credens edacitatis id vitio tri
citur, plerumque nihil nocet ei, de
quo temere fudicatur ; ei autem , l
bueris, temere judicabis. Item ſi qui temere judicat, ipſa temeritas
manifeſtam edacitatem, ebrioſitatem neceſſe eſt, ut noceat. S. Aug. lib. 2.
que cognoveris, & ita reprehende de Ser. Dom. in Mont. cap. 18.
ris, quaſi nunquam ille poſſit cor Quamquam & in his rerum
rigi, atque mutari, nihilominuste tenebris humanarum ſuſpiciones in
mere judicabis. Non ergo reprehen telligere non poſſamus, quia homines
- a
V E R S O I L ' P R O S S I M O. 97
appunto perchè temeva ciò ch'ancor l'Appoſtolo diſſe: s'in- 2. Cor. 1o.
12.
gannano coloro che ſe con ſe, e tutti miſurano. Stantechè ognuno
- è molto proclive a ſoſpettare d'altri quel che ſente in ſe
ſteſſo; e quindi ricercava che da lui ſi rimoveſſe l'obbrobrio,
che prima in ſe ſteſſo avea ſentito, e poſcia avea ſoſpettato
d'altri , per non renderſi ſomiglievole al Demonio che degli
occulti ſentimenti del Santo Giobbe ſoſpettò fra ſe ch'eſſo Job. 1.
non veneraſſe con ſincerità d'animo Dio; e perciò richieſe
che gli foſſe la facoltà conceduta di tentarlo, perſuadendoſi
ch' ei trovato l'avrebbe reo di quel delitto di cui lo riputa
va colpevole ( 1 ).
Naſce altresì la prava Soſpizione del Proſſimo dal cattivo
animo ch'uno ha talora verſo un altro; perchè quando alcuno
diſprezza, ovvero odia un altro, ha rabbia, oppure invidia contra
di eſſo, facilmente s'induce a formare di lui un ſiniſtro concet
to. Quindi deriva che ſovente di ciò ch'è incerto, giudica
no e ſi dolgono coloro ch'amano piuttoſto di vituperare e
condannare che d'emendare e correggere; lo che o da Super
bia, o da Invidia certamente proviene (2). Concioſiachè chi
è moſſo da invidia contro un altro, ſoltanto va ſoſpettando
malamente di lui, e come non può riprendere le opere buone
di per ſe ſteſſe manifeſte, cerca trovare che dire nelle occul
- te;
( 1 ) quod ſuſpicatus ſum; &ideo quis male afficitur ad alterum ;
ſuum dixit opprobrium,quod de aliis cum enim aliquis contemnit , vel
eſt ſuſpicatus, quia & hoc quod A odit aliquem , aut iraſcitur, vel
poſtolus ait: comparantes ſemetip invidet ei, ex levibus ſignis opina
ſos ſibimetipſis, non intelligunt . tur mala de ipſo . Hinc maxime
Hoc enim proclivius homo ſuſpica fudicant de certis, & facile repre
tur in alio, quod ſentit in ſe ipſo. hendunt, qui magis amant vitupe
Hoc itaque opprobrium ſuum pe rare & damnare, quam emenda
tebat auferri, qued in ſe ſenſerat, re atque corrigere ; quod vitium
& in aliis fuerat ſuſpicatus, ut Superbia eſt , vel Invidentie . Id.
non eſſet Diabolo ſimilis, qui de ibi.
occultis Sancti Job ſuſpicatus eſt , Libenter alterius opprobrium non
quod non eratis Deum coleret, quemniſi emulatio ſuſpicatur, dum ho
popoſcit tentandum , ut crimen , num opus reprehendi non poteſi,
quod objecerat, inveniret. Id. 2. 2.
quia ſe exerit, quod apertum eſt ;
qu. 6o. art. 3. quo fine fiat, reprehenditur, quia
(2) Alio modo ex hoc, quod ali non ſe exerit, quod occultum eſt -
Lib. Ter. N 2, Con
I CO D E L L A c A R IT A
te; perchè non appare con quale fine eſſe ſi facciano. Il pron
1.Cor. 13.4 to rimedio per queſto vizio è quella Carità, che non emula
e che va eſente da invidia, quale ci raccomandò che foſſe
Gesù Criſto ( 1 ), come di ſopra s'è notato.
Proviene il Soſpetto finalmente dalla lunga ſperienza che
dovremmo fare, e non facciamo delle coſe. Se muoveſi alcuno
pertanto a dubitare della bontà d' un altro tratto da leggieri
indizj, commetterà peccato veniale; giacchè è inſeparabile
dalla umana noſtra natura l'andare quaſi tentone, ed è raro
che non ſi prenda abbaglio. Ma ſe da deboli indizi moſſo
alcuno malamente giudichi in coſa grave d'un altro, commet
terà peccato mortale; come ſe un Miniſtro condanni un reo
da fiacche ragioni indotto, perchè gravemente diſprezza e ag
grava il Proſſimo. Molto peggio poi farebbe chi non conten
to di malamente ſuſpicare e tenerariamente giudicare, altrui
di ſcopriſſe i ſuoi ſiniſtri, penſamenti; perchè egli ſarebbe di
più tenuto alla reſtituzione della fama tolta (2).
Ora qual coſa c'inſinua la pace, o ſia la Carità nella oſcu
rità di queſto terreno ſoggiorno, nelle tenebre di queſto no
ſtro mortale pellegrinaggio, ove niuno è all'altro paleſe, ove
niuno s'interna a vedere nel cuore dell'altro? Ella c'inſegna
a non giudicare dell'incerto, a non affermare ciò che ci è
naſcoſto. Ella è più proclive riſguardo agli uomini a creder
ne bene che a fuſpicarne male. Poco ſi duole d'aver errato,
ſe ancor del male pensò bene. Aſſai ſi lagna ſe mai del bene
- glu
P E R S O I L P R O S S I M O. IO I
(1) ſe multum dolet errare, cum eſt deterius ; quia remedium quod
bene credit etiam de malo. Pernicioſe eſt efficaz contra majus malum ,
autem, cum male ſenſerit forte de multo magis eſt efficax contra mi
bono, neſciens qualis ſit. Quid per mus. Definiendo & determinando,
do, ſi credo, quia bonus eſt ? Si fi judicium ſit de rebus, debet ali
incertum eſt, licet, ut caveas, ne quis niti, ut interpretetur quodli
forte verum ſit ; non tamen damnes, let, ſecundum quod eſt ; in judi
tanquam verum ſit . Hoc pax ju cio perſonarum, ut interpretetur in
bet . Quare pacem , C ſequere melius. S. Tho. 2. 2. qu. 6o. art. 3.
eam. S. Aug. in Pſal. 147. (3) Charitas requirit , ut ho
(2) Interpretari aliquid in dete mo, etiamſì non actu aliquibus be
riorem partem per quamdam ſup nefaciat, habeat tamen hoc in ani
poſitionem, veluti cum debemus i mi ſui preparatione, ut benefaciat
quibus malis adhibere remedium , cuicumque, ſi tempus adeſſet. Id.
ſive noſtris, ſive alienis, expedit ibi. qu. 31. art. 2.
ad hoc , ut ſecurius remedium ap on ſic amare debemus homines,
ponatur, quod ſupponatur id, quod quomodo audivimus guloſos diceres
a 1000
1 O2 D E L L A C A R I T A'
Atteſochè queſti è tratto ad amarli per ucciderli e diſtrug
gerli; e qualunque coſa ſia da noi amata per cibarſene, s'
ama ſoltanto per conſumarla, e convertirla in noſtro alimento.
Ora dovremo noi talmente amare gli uomini, come ſe li do
veſſimo conſumare per noſtro profitto? Non già. Anzi all'
oppoſto deve eſſere il noſtro amore animato dallo ſpirito d'
una efficace amicizia, la quale ci ſtimola a far bene a ſuo
tempo a coloro ch'amiamo. Sicchè ſe noi non potremo pre
ſtare così doveroſo uffizio al Proſſimo, baſta ch'in noi ſi ri
trovi la buona volontà a di lui riguardo. Concioſiachè noi
non dobbiamo deſiderare che vi ſieno de' biſognoſi e de'miſe
rabili per avere occaſione d'eſercitare le opere di miſericordia.
E' vero che ſe non vi foſſero de' biſognoſi, non più vi ſareb
bono le opere di miſericordia. Ma forſe perchè ceſſeranno le
opere della miſericordia, s'eſtinguerà ne noſtri cuori il fuoco
della Carità? Nò certamente. Anzichè più ſincero ſarà l'a-
more ch'ad un uomo felice porteremo, a cui non abbiamo
coſa dare, nè coſa poter fare. Sarà coteſto un amore tutto pu
ro, e veramente fraterno ( 1 ). Ma dove può mai ſuccedere
ciò ſe non nel Cielo, in cui non ſi rinviene veruna miſeria?
º, ſºs º In queſta terra, in cui la miſeria ha la ſua ſtanza, pur trop
º 5° po è ſempre aperto l'adito alla miſericordia. Nè altronde
Id- de Mor, trae il ſuo nome la miſericordia medeſima, che dall'afflizio
feel- Cath ne, e dal difeiacere che uno ſperimenta in ſe ſteſſo alla conſi
º */ derazione delle altrui ſciagure. Sendochè però in queſto mon
Id.Ser. R4.d do è comune la miſeria, poichè chi più, chi meno, è certa
i" i mente mi fero, guardiſ, ognuno per la ſua parte che non ſia
- ancor comune la malizia; perocchè allora farebbe quaſi da'
noſtri petti sbandita la miſericordia. E pure non abbiamo
mag
(1) amo turdos. Quaris quare? Non enim optare debemus eſſe mi -
Ut occidat, º conſumet.... Et feros , ut poſimus exercere opus
quidquid ad cibandum amamus , miſericordie..... Tolle miſeros, ceſ
ad hoc amamus”, ut illud conſu- ſabunt opera miſericordie . Opera
matur, C nos reficiamur. Nun- miſericordi e ceſſabunt, nunquid ar
quid ſie amandi ſunt homines tan- dor Charitatis extinguetur ? Ger
quam conſumendi ? Sed amicitia manius amabis felicem hominem ,
quadam beneficenti e, ut aliquan- cui non habes, quod praffes ; pu
do preſtemus eis, quos amamus - riorille amor erit, multoque ſince
Quid ſi non ſit, quod praſfemus ? rior - S. Aug Tract. 8. in Epiſt.
Sola benevolentia ſufficit amanti. Joan.
v E Rso I L PR o ss 1 M o. 1o3
maggiore obbligazione di quella d'eſſere miſericordioſi, ove ſi
poſſa, col Proſſimo, e d'ajutarlo fin dove s'eſtendono le no-Id. ser. 1o3.
ſtre forze. - de Temp.
Delle opere della Miſericordia altre ſi chiamano Spirituali,
ed altre Corporali. Le Spirituali ſono: inſegnare agli ignoranti;
conſigliare i dubbioſi, conſolare gli afflitti, ammonire i peccato
ri, perdonare a nemici, ſopportare le perſone moleſte, e pregare S.Thom.2.2
Iddio per i vivi e per i morti. Di tutte queſte abbiamo fin au.32.art.
quì ragionato dimoſtrando ch'in eſſe la finezza della Carità
ſi contiene. Le Corporali poi ſono le ſeguenti: dar da mangia
re agli affamati, dar da bere agli aſſetati, veſtire gl'ignudi,
alloggiare i pellegrini, viſitare gl'infermi e i carcerati, riſcatta
re gli ſchiavi, e ſeppellire i morti. Molti ſono i luoghi della Id. ibi.
Scrittura che queſti commendevoli eſercizi di pietà ci racco
mandano. Vaglia per tutti l'amaro rimprovero che nell'uni
verſale Giudizio farà il Signore rivolto a coloro che ſaranno
a ſiniſtra: partite da me o maladetti, e andatevene nel fuoco
eterno, che fu per il Diavolo e pe ſuoi ſeguaci preparato, giac
chè io ebbi fame, e non mi deſte da mangiare, io ebbi ſete, e non -
gere pecuniam. Filiis, inquis, meis nes. Mala eſt, inquiunt , avari
ſervo. Sed excuſatio filiis meis ſer- tia. Palliare ſe volunt nomine pie
vo. Videamus . Servat tibi pater tatis, & dealbare, ut quaſi videan
tuus, ſervas tu filiis tuis, filii tui tur ſervare homines , quod propter
filiis ſuis, & ſie per omnes , 69 avaritiam ſervant . Nam ut nove
mºllus facturus eſt. Precepta Dei º ritis, quia ſic plerumque contin
2uare non illipotius impendis om- git, dicitur de quodam è quare non
nia , qui te fecit ex nihilo ? Qui facit eleemoſynam? Quia ſervat fi
te feet, ipſe te paſcit . Ex his, liis ſuis . Contingit , ut amittat
que fecit, ipſe paſcit & filios tuos. unum. Si propter filies ſervabat ,
eque enim melius committis filiis mittat poſt illum partem ſuam....
Pºrtºnium tuum quam Creatori Redde illi, quod ſuum eſt, redde,
º E 'nentiuntur quidem homi- quod illi ſervabas.... pars ipſius
Lib. Ter. O 2, de
I c8 D E L L A C A R I T A'
di quello deve traſportarſi, a cui pervenne lo ſteſſo figliuolo.
Matt.25.4o. Dunque a Criſto s'appartiene, il quale ci laſciò detto che
uanto ad uno de più meſchini faremo, lo riputerà come fatto a
ſe ſteſſo. Nè per queſto daraſſi vinto l'avaro, ſtantechè egli
toſto riſponderà che pei fratelli del defonto conſerva quello
ch'era deſtinato al defonto. Ma come? Se queſti ancor viveſ
ſe, non participerebbe egualmente che gli altri fratelli delle
ſoſtanze paterne? Checchè però ſia coſtui per replicare, è ſem
pre vero ch'al deſonto figliuolo s'aſpetta ciò ch'il Padre gli
ſerbava quando era vivo. E con qual fronte anderà quindi a
ritrovare il figliuolo che lo precorſe ſenza avergli preventiva
mente mandata in Cielo la di lui porzione ? Forſe che non
ſi può tenere commercio col Cielo? Si può beniſſimo; e lo
ibi. 6. 2o. ſteſſo Signore Iddio ce lo inſinua colle parole: accumulate il
voſtro teſoro nel Cielo. Quale ſciocchezza adunque ſarebbe quel
la di chi voleſſe quaggiù trattenerſi il ſuo teſoro, ov'è ſem
pre ſoggetto a mancare, anzi che trasferirlo nel Cielo, ove
n'è il cuſtode Gesù Criſto ( I )?
Qualunque però ſieno le vane oppinioni degli uomini, e
gli è ſempre certo che ſiccome ci è comandata la Carità del
Proſſimo, così non poſſiamo diſpenſarci dall'eſeguire tutte quel
le coſe, ſenza le quali la Carità del Proſſimo non ſi conſerva.
1.Joa.3. 18. Per queſto appunto ci viene preſcritto di non amare ſolo colle
parole e colla lingua, ma colle opere e colla realtà de'fatti. Lo
che ſi eſeguiſce col ſovvenire alle altrui neceſſità per via del
le
( 1 ) Quid non miſeri intelligunt, ſua jubere donari ; & ille, qui
quod apud Aggaum loquens Domi aliquid porrigit pauperi, non ſe ar
nus propterea dixerit : meum eſt bitretur de ſuo f" , ne forte non
aurum, 8 meum eſt argentum , tam confirmetur miſericordiae nomi
ut & ille, qui non vuli cum in ne, quam infletur ſuperbia vani
digentibus communicare, quod ha tate. Meum eſt argentum . Quid
bet, cum audit precepta facienda ergo dubitatis pauperi dare de meo,
miſericordiae, intelligat Deum non aut quid extollimini, cum datis de
de re illius, cui jubet, ſed de re meo? S. Aug Ser. 15. de Div.
Lib. Ter. Cum
1 I4 D E L L A c A R IT A
que faſi, ſe hai che dargli, glielo ſomminiſtrerai; ſe conoſci
che ſei in iſtato di poter ſovvenirlo , non baderai ad altro.
Non ti ritirerai dal fare miſericordia, perchè conoſci che chi ti
chiede limoſina è un uomo peccatore. Imperocche quando io
m'avanzo a dire è un uomo peccatore, due coſe io dico che me
ritano d'eſſere diſtintamente conſiderate; dico uomo, e dico pec
catore. Come uomo è opera di Dio, come peccatore è opera
dell'uomo. Or tu ſei in debito di riguardare l'opera di Dio,
e devi abborrire l'opera dell'uomo. E come, tu mi riſponde
rai, mi ſi vieta adunque di porgere aiuto all'opera dell'uomo ?
Sai coſa ſignifica preſtare aiuto all'opera dell'uomo? Non al
tro che concorrere al di lui peccato, e agevolarlo a ricader
vi ( I ) .
Ma non così facilmente devono ancora darſi limoſine a cer
tuni ben compleſſi e gagliardi; a certi ozioſi e vagabondi, i
quali per mera pigrizia vanno intorno mendicando. La giuſta
mercede d'un ſervo infedele e maligno ſono la tortura e i
Eccli. 33. ceppi, e il farlo continuamente faticare, acciocchè nen abban
28. 29. doniſi all'ozio ch'induce gli uomini a commettere ogni gene
re di peccati. Ed ecco come bene a queſto propoſito ſcriſſe l'
2. Theſſ. 3. Appoſtolo a que” di Salonichi: io più fiate trovandomi coſtì v'
l Ce ho avvertiti che ſe alcuno ricuſa di lavorare, è giuſto ancora che
non mangi. Imperocchè opera più giovevolmente ehi condanna
alcuno a patire la fame, perchè eſſendo queſti ſicuro d'avere
come ſaziarſi non cammina ſulla ſtrada della giuſtizia, di quel
lo farebbe un altro che porgeſſe il pane ad un affamato, per
chè dalla carità mitigato ſofferentemente tolleraſſe la ingiu
ſtizia ( 2 ) .
Ac
(1) Cum eſurierit neſcio quis, ſi nis eſt. Da operi Dei , noli operi
habes unde des, da 5 ſi vides dan hominis . Et quomodo, inquis,
dum eſſe ad ſubveniendum , da . me prohibes dare operi hominis ?
Ne pigreſcant in hoc viſcera mi Quid eſt dare operi hominis ? Pec
ſericordiae, quia tibi peccator occur catori dare propter peccatum, pla
rit. Tibi enim homo peccator oc centi tibi propter peccatum. S. Aug.
currit. Cum dico: occurrettibi ho in Pſal. Io2.
mo peccator, duo nomina dixi . (2) Utilius eſurienti panis tolli
Hec duo nomina, non ſuperflua tur, ſi de cibo ſecurus juſtitiam ne
ſunt . Aliud quod homo , aliud gligat, quam eſurienti panis fran
quod peccator. Quod homo, opus gitur, ut injuſtitiae ſeductus acquieſ
eſt Dei; quod peccator opus homi cat. S. Aug Epiſt. 48.
v E Rs o 1 L PR o ss 1 M o. 115
Accaderà poi talvolta ch'avendo accordato in tua caſa il
ricetto ad un povero dubiterai lungo tratto, ſe egli ſia ve
ramente un uomo dabbene, oppure ſia un finto, un bugiardo,
un ipocrita, e perciò anderai a rilento ad eſercitare verſo lo
ſteſſo gli atti di miſericordia, perchè non ſei ancora giunto a
diſcoprirgli l'interno. Ma tu devi eſſere pietoſo anche col mal
vagio per aſſicurarti d'eſſerlo ſempre col buono. Quegli che
teme che non venga a cadere la ſua ſemenza in mezzo alla
ſtrada, o tra le ſpine, o ſopra le pietre, differirà a ſeminare
laſciando ſcorrere l'inverno, quando giungerà la ſtate, e allo
ra non ne avrà più il comodo (1).
Beato adunque quegli ch'apre le orecchie alle querele del
povero e del mendico, e previene ancora le di lui richieſte,
perchè abbiamo inoltre ad eſſere curioſi di ſpiare le altrui in
digenze, non che di ſollevarle. Alcuno ti ſi preſenta per di
mandare; tal altro deve da te eſſere prevenuto, acciocchè non
abbia occaſione di dimandare . Concioſiachè ſiccome di quel
lo che viene a chiederti fu detto: dà ad ognuno che chiede, Luc. 6. 3o.
così dell'altro, di cui devi ricercare tu ſteſſo, ſta ſcritto: ab
bi ſempre la limoſina alla mano, finchè ritrovi il giuſto a cui
darla. Così è. Devi eſſere curioſo di ſapere chi ſia dalla pe.
nuria anguſtiato; nè queſta tua curioſità ſarà giammai condan
mabile. Anzi io raccomanderei a ciaſcheduno di moſtrarſi in
queſto genere curioſo, perchè gli ſarà facile di ſcoprire molti
uomini dabbene oppreſſi dalla calamità, quando veramente ab
bia premura di ricercarli (2). Qui
-
diat cum pauperibus, quibus tolli (3) Tollere noli, 6 dediſti, Cni
tis. S. Aug Ser. 35. cap.2. de verb. dederis, gaudet ; sui abſtuleris ,
Dom.
plorat. Quem duorum ſtorum exau
(2) Non eſt putanda eleemoſyna, diturus eſt Dominus ? .... Dicetti
ſi pauperibus diſpenſetur, quod ex bi Deus : ſtulte, juſſi, ut dares, i
illicitis rebus accipitur.... Hoſtie ſed non de alieno. Si habes, da
impiorum abominabiles, que effe de tuo. Si non habes, quod des
runtur ex ſcelere. Quidquid enim in de tuo, melius nulli dabis, quan
Dei ſacrificio offertur ex ſcelere , alteros ſpoliabis. S. Aug Ser. 19
omnipotentis Dei non placat ira de verb. Apoſt.
V E R S O I L P R O S S I M o. i 17.
Ma coſa diremo noi di coloro che menano una vita ſcoſtu
mata, e non curanti d'emendare il loro malvagio coſtume
non laſciano tuttavia fra le loro iniquità e ſcelleraggini di pra
ticare la limoſina? Indarno s'ingegnano di renderſi in tal ma
niera amico Iddio, quantunque abbia egli dichiarato: date la Luc. 11.41.
limoſina, e tutte le coſe voſtre ſaranno monde, perchè danno a
divedere di non comprendere il giuſto ſignificato dell'accenna
ta ſentenza. Chiunque vuole regolatamente fare la limoſina,
a preferenza d' ogn'altro da ſe medeſimo deve incominciare.
Sendochè la limoſina è un'opera della miſericordia, e però
con ragione ſta ſcritto: abbi miſericordia dell'anima tua, ſe Eccli.3o.24.
vuoi piacere a Dio. E noi appunto per piacere a Dio tornia
mo per mezzo del ſanto lavacro del Batteſimo a rinaſcere,
perchè troppo gli diſpiace quella reità che con eſſo noi por
tiamo fin dalla culla; e queſta è la prima limoſina ch'ognu
no di noi ha fatto a ſe ſteſſo. Se dunque la prima e vera li
moſina nel correggere le proprie colpe conſiſte, ſi guardino di
non maggiormente irritare Dio coloro, che per mezzo di li
moſine quantunque liberali, tratte dalle loro ſoſtanze e da'
loro averi, ſperano d'acquiſtare la impunità di francamente
perſiſtere nel peccato e nella infamia de'lor delitti; da che
eglino non ſolo commettono tali iniquità, ma di più vi s'
attaccano in guiſa che vorrebbono, ſe foſſe in loro potere,
mai ſempre impunemente praticarle, nè mai ſpogliarſene . E
chi è che non ſapia che chiunque ama la iniquità odia l'ani
ma
(1 "i & qui odit animam bent petendi in aerumna , & ipſi
ſuam, non eſt in eam miſericors, ſed habent, quod preſtent invicem .
crudelis. S. Aug Enchir. cap. 75. Non illos deſervit Deus, unde pro
& ſeqq. bentur, quia faciunt eleemoſynas -
(2) Propter hoc eleemoſyna facien Iſtei ſi ambulare, pedes ſuos
da ſunt, ut, cum de preteritispec accommodat claudo. Qui videt, ocu
catis deprecamur, exandiamur, non los ſuos accommodat caco; & qui
nt in eis perſeverantes licentiamo juvenis eſt, 69 ſanns, vires ſuas
malefaciendinos per eleemoſynas com accommodat vel ſeni , vel agroto ,
parare credamus. S. Aug. lib. 21. & portat illum. Ille indiget, ille
de Civ. Dei cap. 27. dives eſt. Aliquando & dives in
Mendici, qui profeſſionem ha venitur pauper, C a paupere pra
al
p E R s o I L P R o s S I M o. 119
arreca queſti a quello . Ed ecco che non biſogna giudicare
povero ſoltanto quello che non ha danaro. La povertà è riſ
pettiva, e in ciò di che uno è povero, s ha da conſiderare;
e così vedremo che forſe noi ſaremo ricchi in ciò di che al
tri è povero, e noi avremo di che ſovvenirlo. Forſe altro
non potrà che offerire il ſervigio delle ſue mani e del ſuo cor
po, e queſti farà più che ſe deſſe in tale circoſtanza del da
naro (1), Chi aveſſe ora piacere d'eſaminare vari Caſi di co
ſcienza a tal materia appartenenti, potrà ricorrere alla Teologia
Morale di San Tommaſo preſſo il Bancello.
Or ſarà egli baſtante il praticare quanto fin quì s'è divi
ſato per adempiere perfettamente il Precetto della Carità ver
ſo il Proſſimo? Nò certamente; giacchè la perfezione conſiſte
principalmente nel rimettere e perdonare di cuore le offeſe
che ci ſono ſtate fatte, perchè è molto più facile coſa l'eſ
ſere benevoli e compaſſionevoli con chi nulla ci ha recato di
male; ed è molto più malagevole coſa e piena d'una eroica
generoſità l'amare il nemico, e chi ci vuole male, e quando
può ci danneggia. Ma noi abbiamo ſempre da volergli e
fargli bene, quando ſia in noſtro potere, memori dell'illuſtre
eſempio che ci laſciò Gesù Criſto, allorchè pendendo dalla Cro
ce pregò pei ſuoi perſecutori. Ond'è ch'a ſuoi laſciò per ave
viſo d'amare i loro nemici, fare bene a chi gli odia, e pregare
pe loro oltraggiatori (2). Matt. 5. 44
E qual ſarà mai la mercede che da ciò riporteremo ? Rica
vaſi
(1) ſtatur illi aliquid.... Ergo fecerit . Illud molto grandius &
molite tantum eos putare pauperes, magnificentiſſima bonitatis eſt, ut
qui non habent pecuniam. In quo quiſ tuum quoque inimicum diligas, &
que pauper f, ibi illum vide, ei , qui tibi malum vult , C9 ſi
quia forte tu in eo dives es , in poteſt, facit. Tu bonum ſemper ve
quo ille pauper eſt, C habes, un lis, faciaſque, cum poſſis, illius n e
e accommodes. Forte membra tua mor exempli, qui in Cruce pendens
accommodas, & plus eſt, quam pro ſuis exorat perſecutoribus, ſuoſ
ſi pecuniam accommodares. S. Aug. que admonuit dicens: diligite ini
in Pſal. 125. micos veſtros; benefacite eis, qui
( 2 ) Ea nihil eſt majus, qua ex vos oderunt ; & orate pro eis ,
corde dimittimus, quod in nosquiſi qui vos perſequuntur. S. Aug En
a e peccavit. Minus enim magnum chir. cap. 23.
eſi ersa eum eſſe benevolum , ſive Si quaras quam mercedem ac
stiamº beneficum, qui tibi mali nihil cipies, audi, quod ſequitur: ut ſi
t1S
-
12,O D E L L A C A R I T Mº
-- -- -
v E R s o I L PR o ss 1 M o. 123
Intorno a che tornerà bene d'avvertire che qui per fratello
"deve intenderſi qualſiſia uomo ; cioè il Proſſimo. Lo ſteſſo
ſentimento fu dal ſuddetto San Giovanni confermato nelle ſe- 1. Joan. 4.
guente maniera: ſe alcuno dirà: io amo Iddio, e intanto ha in 2o.
odio il ſuo fratello, è un bugiardo, poſciachè quegli che non ama
il ſuo fratello ch'ei vede, come potrà amare Dio ch'ei non vede?
Baſtano omai le autorità fin qui apportate, quantunque in
numerabili ſarebbono le teſtimonianze del vecchio non meno
che del nuovo Teſtamento valevoli a confermare la ſteſſa im
portantiſſima verità. Tenendo adunque per fermo che tutta
la Legge in un ſolo Precetto contienſi, cioè ama il tuo Proſe
ſimo come te medeſimo, ci corre il debito rigoroſo d'amare non
ſolo gli amici, ma pur anche i nemici; perchè chi ciò non
adempie perde le altre ſue buone operazioni. Perdoniamo a
dunque di buon animo a tutti i noſtri nemici per potere
quindi con franchezza di coſcienza dire nella Orazione: per- -
V E R s o I L PR o s s I M o. 129
gior obbligazione d'amare, oppure della Comunità, o della
Chieſa. Parimente non ſarà illecito il compiacerſi del danno
d'uno che ſoffre un male temporale, quandochè il male di pe.
ma ſi riconoſca potere indurre impedimento al male di colpa .
Ma per quello che concerne i beni di grazia, non v'è alcun
caſo, in cui ſi poſſa ſalva la Carità deſiderarne a chi ſi ſia il
detrimento, o prenderne piacere, ſe non in quanto nel male di
colpa, o della dannazione d'alcuno ſpicca ſempre il bene della
Divina Giuſtizia, il qual bene è da amarſi più di qualunque
uomo. Queſto tuttavia non è propriamente avere compiaci
mento del male, ma piuttoſto del bene che va conneſſo col
male ( 1 ). - -
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13o p E L L A c A R I T Ar
male non eſtrinſeco e alieno, ma intimo e ſuo proprio, da cui
egli è al di dentro più che da qualunque eſterna forza di ne
mico barbaramente ſtraziato. E in cotal modo viene l'ingiu
riante da quello ſteſſo, a cui recò ingiuria, a ricavare qual
conto abbia a farſi di quelle coſe ch' ad eſſere ingiurioſo lo
ſtimolarono; ſicchè ravveduto ſi ſtringe in appreſſo con eſſo
lui in amicizia e concordia, del che non v' ha cofa piu van
taggioſa ad una Città, non perchè ſia rimaſto oppreſſo dalla
potenza del ſuo avverſario, ma perchè ſi ſenta dalla di lui
benevola ſofferenza allettato ( I ). - -
A R T IcoL o P R 1 M o.
Della Prudenza. -
Id. lib. 83. 'La Prudenza una cognizione delle coſe o da ricercarſi, o da
fuggirſi, è una interna mozione d'animo, per cui ſagace
Ies de Mor mente l'uomo diſtingue ciò, che gli giova, da ciò che gli reca no
ºl-Cathol cumento, è una Virtù, per cui il bene dal male ſi conoſce, è
Id. in Pſal. finalmente una retta ragione d'operare. Biſogna adunque che
quello ſia il principale atto di Prudenza, ch' è il principale
atto di ragione nell'operare. Ora è da oſſervarſi che tre poſ
fono eſſere gli atti di ſimile natura. Il primo è il conſigliarſi
che riſguarda la invenzione; perchè ove ſi tratta di conſiglio,
ſi cerca coſa che ſembri buona a farci riſolvere ad operare.
Il ſecondo atto è il giudicare di ciò che è ritrovato, e queſto
è il proprio officio della ragione ſpeculativa. Ma la ragio
ne pratica , da che ha per iſcopo la operazione, va più
oltre, e queſto è il terzo atto, cioè il comandare, il quale
conſiſte nell'applicare all'opera ciò che fu l'oggetto de noſtri
configli e del noſtri giudizi. E perchè queſto atto è il più
propinquo al fine della ragione pratica, quindi il medeſimo è
ancora l'atto principale della ragione pratica, e per giuſto con
ſeguente della Prudenza ( 1 ). -
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D E L L A P R U D E N z A. 137
ce. La Prudenza carnale è praticata da chi con ſoverchio appetito DD. com.
i beni temporali deſidera; e tale Prudenza è a Dio nemica.
Perciocchè ſtando l'anima a così diſordinato appetito ſogget
ta non può alla Legge di Dio moſtrarſi obbediente, cioè non
può adempire quanto comanda la Legge. Ma ſe a ſorte ſi ri
volgerà l'anima a bramare i beni ſpirituali, e ſarà da terreni
diſtaccata, terminerà d'eſſere Prudenza carnale, e non farà pun
to allo ſpirito reſiſtenza. Concioſiachè ſiccome quando l'ani
ma le coſe di quaggiù va cercando , ſi dice tirata dalla Pru
denza della carne, così quando aſpira alle Celeſti, dalla Pru
denza dello ſpirito ſi chiama condotta; non perchè la Prudenza
della carne ſia una ſoſtanza, di cui l'anima ſi veſta, o ſi ſpo
gli; ma perchè piuttoſto è un'affezione dell'anima medeſima
che affatto ceſſa d'eſſere, quando tutta s'abbandona nella con- -
138 D E L L A P R U D E N 2 Ar.
ne; e queſta Prudenza ancora ſolo ne'rei può ritrovarſi (1).
Le parti della vera e ſana Prudenza ſono la Memoria, l'
Intelletto, la Previdenza, l'Accortezza, la Docilità, la Ragione,
la Circoſpezione, la Cautela, e la Sollecitudine.
s.Aug.l. 83. Per mezzo della Memoria ſi rammenta l'anima di quel ch'
qq. g. 31, è ſtato; e ciò molto giova, perchè la Prudenza le coſe con
tingenti riſguarda , e l'uomo non può regolarviſi altramente
che colla ponderazione di ciò, ch'è ſolito ad avvenire, di
maniera che ne faccia eſperimento. Ma l' eſperimento non
può farſi ſenza che molte coſe s'abbiano a memoria; e in
conſeguenza la Memoria di molte coſe ſarà per la Prudenza
neceſſaria (2).
Coll'Intelletto ſi diſcuopre quali in ſe ſteſſe ſono le coſe;
Id. ibi, ſi diſtingue beniſſimo ciò ch'a Dio piace, e ciò che può diſ
piacergli, onde queſto ſi sfugga, e quello s' abbracci; nell'
altrui mente e penſiero ſi penetra affine di trarne una giuſta
regola per la propria condotta. Quantunque i conſigli degli
uomini ſono nell'animo loro come coſa che giaccia nel fondo
- di quantità prodigioſa di acque, ciò non oſtante il Saggio gli
Prov. 2o. 5. attinge e li trae fuori all'aperto.
s.Ausl.ss. Colla Previdenza ciò ch ha da eſſere avanti che ſucceda s'
17- 7. 3 I. º eſplora. L'imprudente infatti è quegli che non prevede quel
lo che gli poſſa avvenire; all'incontro è prudente chi prende
le ſue miſure. Ma queſta Previdenza del futuro ha da eſſere
relativa alle coſe celeſti . In queſto l'uomo ſi deve moſtrare
Prov. 6. 6. prudente coll'imitare la formica che, come dice la Scrittura,
naſconde nella ſtate per non patire fame nell'inverno (3). Oh
quanti vi ſono uomini affatto privi d'accorgimento e di pre
videnza ! Voleſſe Iddio che tutti aveſſero ſenno e conoſcenza,
Deut.32.29. e prevedeſſero ciò ch'alla fine ha da eſſere di loro. Quegli può
chiamarſi prudente che meditando d'ergere una torre, prima
fra
(1)precipit,69 hec etiam non eſt niſi requiritur plurium memoriam ha
- ia malis. S. Tho. 2. 2.q. 47.art. 13. bere. Id. ibi. art. 1.
(2) Prudentia eſt circa contingen- (3) Eſto prudens, 69 proſpice ti
tia operabilia ; in his autem diri- bi in poſterum in Calo. Eſto ergo
situr homo per ea, qua ſolent ac- prudens, 69 imitare formicam, ſi
sidere, unde oportet experimentum cut dicit Scriptura: reconde a ſta
conſiderare. Experimentum autem te, ne eſurias in hyeme. S. Aug.
eſi ex pluribus memoriis; unde con- in Pſal. 48.
ſequens eſt, quod ad Prudentiam
D E L L A P R U D E N z A. I 39
fra ſe ſteſſo ſedendo fa il conto della ſpeſa neceſſaria a farſi,
e va conſiderando ſe può tirare a fine la ſua impreſa; per
chè ſe a ſorte gettaſſe i fondamenti, e poi non aveſſe come
perfezionare la fabbrica, non aveſſero tutti quelli che paſſano
a beffeggiarlo dicendo: ob queſti incominciò ad edificare, e non Luc. 1 4- 28.
potè proſeguire. Non deve all'incontro addimandarſi prudente & ſeqq.
colui che piantò la ſua caſa ſull'arena, perchè venne in ap
preſſo la pioggia, ſtraboccarono i fiumi, ſoffiarono i venti, A
- Della Giuſtzia.
S. Ang. lib. 'falſo ciò che ſoſtengono alcuni di poco ſenno dotati,
19. de Civ. quello eſſere giuſto, che a chi può più, utile rieſce. Se foſſe
Peifap. 21. così, coſa ſarebbono i Regni, ſe non grandi ladronecci; giac
ºi liba chè gli ſteſſi ladronecci non ſono che piccioli Regni? La Giu
"i lib ſtizia
io. i. " è un
è una Virtà, la quale ad ognuno dona ciò che gli ſpetta,
abito dell'animo che ſalva la comune utilità ad ognuno
Id. ibi. cap. accorda quel che al ſuo ſtato conviene. La origine della Giuſtizia
22, nella natura è ſituata; poſcia la conſuetudine per l'utile co
mune alcune coſe ha introdotte: e ciò che la natura e la con
ſuetudine approvarono, fu dal timore delle Leggi e dalla Reli
gione ſtabilmente decretato . La natura poi è un diritto che
non
A R T I C O L O T E R Z O.
Della Fortezza.
Lº Fortezza è un amore che n'induce a facilmente tollerare tutto S. Aug. lib.
per ciò che s'ama, è una tale Virtù, per cui tutto ciò che 1. de Mor.
rieſce a noi moleſto, ſi ſopporta, ovvero è un incontrare con av. Manº 15
vedutezza i pericoli, e un ſoffrire con pazienza i travagli. La Id.in Pſ.83.
-
For
. (1) men in his, qua ad ipſum per eſſe volueris magnificus, ante ca
timent , magnitudinem habeat, hoc dis , quam ſurgas. S. Aug in
etiam magnifice magnificus proſe Pſal. 95.
quatur ,i" ea, que ſemel fiunt; guamvis Patientia Virtus ſit
un nuptiae, vel aliquid aliud hujuſanimi, partim tamen ea utitur ani
modi, vel etiam ea , que perma mus in ſe ipſo, partim vero in cor
nentia ſunt ; ſicut ad magnificum pore ſuo. In ſe ipſo utitur Patien
pertinet preparare convenientem ha tia, quando illeſo & intatto cor
bitationem. Id. ibi. art. 1. pore aliquid, quod non expediat ,
(2) Tu jam querebas Magnifi vel non deceat facere, aut dicere,
centiam, prius dilige Sanctitatem. quibuslibet adverſitatibus, aut fa
Cum ſanctificatus fueris, eris & ditatibus rerum, ſeu verborum ſti
magnificus. Nam ſi prepsire prius mulis incitatur, 6 patienter mala
v Lib. Ter. omnia
162 D E L L A F O R T E Z Z A.
e conveniente non ſia, e non commetta alcun peccato nè col
le opere, nè colle parole. Queſta è quella Pazienza ch'a tol
lerare la dilazione della noſtra Beatitudine, ancorchè ci ritro
Rom 8.25 viamo ſani di corpo, ci conforta; onde l'Appoſtolo diſſe : ſe
ciò che non veggiamo, ſperiamo, con ſanta Pazienza il dobbiamo
aſpettare. Un'altra ſorta di Pazienza v'è ſpettante al corpo ,
cioè quando l'animo placidamente tollera e comporta le coſe
al corpo moleſte e gravi, non come gli ſtolti e maligni per l'
acquiſto di qualche terrena inutile coſa, o per l'attentato di
Matth.5.1o. qualche delitto, ma com'è ſtato da Criſto definito, per il ſolo
conſeguimento della Giuſtizia. Nell'una e nell'altra maniera
pazienti ſi dimoſtrarono ne' glorioſi loro combattimenti i San
ti Martiri, i quali a noi laſciarono ſegnalati eſempi della lo
to coſtanza. Se tanti vi ſono che per un vano piacere, per
qualche malvagità, per la conſervazione di queſta vita tem.
porale mirabilmente ſoffrono i più ſtrani patimenti, noi dob
biamo molto più animarci a tollerare qualunque incommodo
per l'acquiſto delle Virtù Criſtiane, acciocchè poi queſta
noſtra terrena vita divenga eterna, e ſenz' alcun termine di
tempo, e ſenza verun detrimento ſia per ſempre felice e ſi
cura. Se tanto ſoffre l'anima noſtra per giungere a conſegui
re ciò che le cagiona rovina, quanto dovrà ſoffrire perchè
tale rovina non le avvenga (1)? Tolga il Cielo che noi aveſ
ſimo un giorno a dire : noi errammo lungi dalla via della
verità, noi ci ſiamo ſtancati a battere la ſtrada della malizia e
della perdizione, ed abbiamo ſempre camminato per vie diſaſtroſe
- d
D E L L A F o R T E z z A. 163
ºse difficili. Ma a che ci è mai queſto giovato ? Dove ci ha con
dotto la ſuperbia noſtra ? o che prò ci fece la noſtra opulenza, e
da vanagloria delle noſtre ricchezze ? Tutto paſsò come un'ombra, Sap. 5. 6. &
come un fumo. Somiglievole linguaggio appunto tengono colo- ſeqq.
ro che pei loro peccati ſi ritrovano nell'Inferno. Giova adun
que molto l'eſſere nelle avverſità ſofferenti; perchè coloro ch'
a buon uſo rivolgono i patimenti, riportano non ſolo lode
della lora Pazienza, ma ne vengono ancora premiati (1). E
tali ſono pur anche quelli che venendo pei loro delitti ca
iſtigati, tutte le ſciagure che ſovra loro ſi roveſciano, tollera
no con interno dolore, e con umiltà di cuore le diſſimulano S. Aug. de
dicendo fra ſe ſteſſi: ben ci ſtà, e queſti mali giuſtamente por- Pat.cap. 14.
tiano, perchè arrogantemente peccammo contro il noſtro Dio, e
coſe facemmo da provocare lo ſdegno del Cielo. Si può vedere Gen.42. 21.
San Tommaſo 2. 2. q. 134 , e Santo Agoſtino ne' luoghi ſo
praccitati. Asciocchè intanto la Pazienza ſia perfetta, è neceſſario S.Tom.2. 2.
| che ſia accompagnata dall'Animoſità, e dalla Coſtanza. q. I 34.art.2.
- La Perſeveranza è una ſtabile e perpetua volontà in un ſen-S.Aug.l.33.
timento, che giuſtamente ſiaſi conſiderato. Noi però diciamo qa. q. 31.
che la Perſeveranza è un Dono di Dio, non altramente che
delle ſuddette Virtù s' è ragionato. E queſta è quella tale
Virtù, che ci rende coſtanti ſino al fine nella Fede di Gesù
“Criſto; fino al fine cioè, dove termina la noſtra vita, e do
ve ſoltanto vi ſarebbe da temere che non ſi cadeſſe in ingan
no. Egli è frattanto incerto, ſe mentre viviamo, queſto Do
mo, abbiamo ricevuto. Certo è tuttavia che ſe alcuno prima
di morire cada, non può foſtenerſi ch'abbia egli perſeverato.
“Quindi per la neceſsità che noi abbiamo di queſta Perſeveran
za, avviene che nella Orazione Domenicale niun'altra coſa da
noi quaſi s'addimanda che la ſteſſa Perſeveranza (2 ). Difatti
la
( 1 ) Qui paſſione rette utuntur, hoc munus acceperit, quandiu hane
ſhi Patientiae veritate laudantur ; vitam ducit, incertum eſt. Si enim,
ſhi Patientiae munere coronantur . priuſquam moriatur , cadat , non
Id. ibi. cap. 6. perſeveraſſe utique dicitur, C ve
(2) ins Donum Dei eſſe riſſime dicitur ... Ipſa Oratione,
Perſeverantiam , qua uſque in fi qua Dominica nancupatur , nihil
nem perſeveratur in Chriſto; finem pene aliud quam Perſeverantia poſei
autem dico, quo vita ſta finitur, intelligitur. S. Aug de Don. Per
in qua tantummodo periculum eſt, ſev. cap. 1.
ne cadatur. Itaque utrum quiſque
Lib. Ter. 2,
I 64 D E L L A F O R T E Z Z A.
la ſola Perſeveranza agli uomini forti fa conſeguire la gloria,
e corona le Virtù; ſenza d'eſſa nè chi combatte giunge ad
ottenere la vittoria, nè il vincitore riporta la palma. Ella è
ſorella della Pazienza, figlia della Coſtanza, e della Santità
fermiſsimo propugnacolo. Se togli dall'uomo la Perſeveranza,
nè l'Oſſequio ha la ſua mercede, nè il Beneficio la ſua gra
Matt. 1o. zia, nè la Fortezza la ſua lode (1 ). Egli è già deciſo che
I 2» quegli ſarà ſalvo, ch'avrà lodevolmente fino al fine perſeverato.
La Magnanimità collo ſteſſo nome dichiara d'eſſere una
propenſione d'animo a coſe grandi; e queſta fpecialmente nel
le Cariche ſi fa conoſcere e negli Onori; allora quando cioè
uno s'ingegna d'operare ciò, che degno giuſtamente ei ſtima
di fare; nè per queſto delle Dignità ſi gonfia, perchè non le
giudica maggiori di ſe ſteſſo, ma piuttoſto le diſprezza, parti
colarmente ſe ſono di poco momento. Un'altra ſorta di Ma
gnanimità ſi è, uando ſi diſprezzano gli altri, perche non
corriſpondono a Doni ch'ad eſsi Dio ha compartiti (2). A
queſta Virtù s'oppongono il Faſto e la Preſunzione. Chi vo
leſſe trovare diffuſamente eſpoſta queſta materia , ricorra a San
Tommaſo al 3. Sent. diſi. 33. q. 3, e al Bancello.
A R T I C O L O Q U A R T O.
Della Temperanza .
S. Aug l. r. A Temperanza è un affezione dell'animo che raffrena e trat
de lib. Arb. tiene l'appetito di quelle coſe, che poco onorevolmente s'ap
pe
-
- ---
D E L L A T E M P E R A N 2 A. 165
tiſcono, ovvero è un ſodo e moderato dominio della ragione cap. 13.
ſopra la libidine e gli altri traſporti non regolati dell'animo no Id. lib. 83.
ſtro . E' queſta una Virtù che la integrità e la perfezione qq. 7- 31 -
di quell'amore, ch'a Dio ci lega, ne promette, perchè, come
atteſta l'Appoſtolo, la radice di tutti i mali è la cupidigia, 1. Tim. 6.
dalla quale chi ſi laſciò ſedurre venne a naufragare dalla Fede, e IO,
in una infinità di dolori e d'affanni s'immerſe. Nè per altro fi
ne lo ſteſſo Appoſtolo ci ammoniſce che dell'uomo vecchio ci Coloſſ.
I C,
3. 9.
diſpogliamo, e ci riveſtiamo del nuovo, volendo pel vecchio in
tendere Adamo, il quale peccò; e pel nuovo Gesù Criſto, che
venne a liberarci dal peccato . Così è , tutti gli offici della
Temperanza fi riducono a queſto di ſpogliarſi dell'uomo vec
chio, e di rinnovarſi in Dio; vale a dire nel vilipendere tutti
i terreni piaceri e la lode popolare, e nel rivolgere tutto l'
amore alle coſe inviſibili e Divine. I piaceri terreni e cor
porali ſono in quelle coſe locati, ch'al ſenſo del corpo ſono
ſottopoſte, e da taluno ſenſibili vengono chiamati. Ed ec
co come nel nuovo Teſtamento ci viene dato avviſo d' aſte 2.Cor.4 18.
nercene: non ponete le voſtre mire ſulle coſe che ſi veggono,
ma ſu quelle che non ſi veggono, perchè le prime ſono tempora
li, e le ſeconde eterne. Non altro adunque dobbiamo amare che
Dio , e tutte le coſe ſenſibili hanno da vilipenderſi, e ce ne
dobbiamo ſoltanto ſervire per gli uſi neceſſari di noſtra vita.
Mi
(1) ſibi irrogantur: ibant Apoſto la.... Contingit etiam per accidens,
li gaudentes a conſpestu Concilii, quod aliquis de his verecundetur,
quoniam digni habiti ſunt pro No vel in quantum habentur ut vitioſe
mine Jeſu contumeliam pati. Ex ſecundum hominum opinionem, vel
imperfectione autem Virtutis contin in quantum homo refugit in ope
git, quod aliquis verecundetur de ribus Virtutis notam de preſumptio
opprobriis, que fibi inferuntur pro ne, aut etiam de ſimulatione. Id.
pter Virtutem; quia quanto eſt ali ibi. E iº
quis magis virtuoſus, tanto magis Ad Inverecundiam pertinet ſen
contemnit exteriera bona , vel ma ſim ambulando imitari hiſtrionicos
gra
D E L L A T E M P E R A N z A. 169
imitando gl'iſtrioni ſembra che muovano i loro paſſi con giuſta
e regolata cadenza. Inverecondi ſono pur anche coloro che
quaſi correndo camminano, ſe non quando ciò facciano per
evitare qualche pericolo, o per altra giuſta neceſſità. V' ha
un certo portamento verecondo con una ſpecie di ſuperiorità,
di contegno, e di gravità; quando però non dimoſtri affetta
zione, ma ſia ſemplice e diſinvolta; poichè niuna coſa che ab
bia dell' affettato, può piacere. Ma ſe il camminare può eſſe
re ſoggetto a vituperio , molto più uno deve ſtare cautelato
nel diſcorſo. Quale inverecondia ed immodeſtia non è mai quel
la di laſciarſi uſcire di bocca delle parole laide e diſoneſte ?
Queſto è veramente ciò che l'uomo contamina; perchè la pro
Pria contaminazione non viene dal cibo che ſi mangia , ma
dalle ingiuſte detrazioni che ſi fanno , e dalla oſcenità delle
parole che ſi profferiſcono, le quali comunemente ſono di ver
gogna a tutti; e ſpecialmente per gli Eccleſiaſtici ſono oltre
ogni termine diſdicenti e vituperevoli. Ogni parola che ſapia
d'inoneſto deve eccitare in loro la Verecondia , e però non ſo
lo non deggiono profferir parola che non ſia affatto oneſta, ma
neppure hanno a ſtarſene ad aſcoltarla; a ſomiglianza appun
to dell' innocente Giuſeppe , il quale per non ſentire ciò ch'
offendere poteva la ſua verecondia, laſciando in altrui potere
la veſte ſe ne fuggì. La ragione ſi è, perchè colui che moſtra Gen.39. 12.
piacere nell'aſcoltare gl'immodeſti diſcorſi, provoca gli altri
a tenerli ed a continuarli (1). Molte altre ſono le circoſtan
26
(1) ſola integritate carnis conſiſtit, quod eſt ſecundum rationem rettam,
ſed etiam in cultu & ornatu, vi ſed in reſpectu ad id, quod eſtſe
ta pariter & moribus. S. Aug. Ser. cundum Legem communem, quan
248. de Temp. reſpicit Juſtitia legalis. Sed propter
(2) Multi facilius ſe abſtinent, ut aliqua particularia conſiderata Cle
non utantur, quam temperent , ut mentia diminuit panas, quaſi de
bene utantur. Nemo tamen eis po cernens hominem non eſſe magis pu
teſt ſapienter uti, miſi qui poteſt niendum. S. Thom. 2. 2. q. 157.
art. I,
& continenter non uti. S. Aug. de -
178 D E L L A T E M P E R A N Z A,
noi, nè anderemo le coſe ſuperiori alla noſtra intelligenza inveſti
ando, e nelle molte e diverſe opere Divine non ſaremo troppo
Eccli. 3. 22. curioſi. E dunque molto nociva la Curioſità, ch' allora ſoltan
S. Aug. Ser. to può eſſere lodevole, quando ne guidi alla cognizione della
46. de verb. Divina Legge, coſicchè operiamo bene con tutti, e ſpecialmen
Dom.
te co fedeli domeſtici; ſiamo ſempre pronti a dar conto ad
Gal. 6. 1o.
ognuno, che ce ne faccia inchieſta, di quella lodevole Speran
1.Petr.3.15. za ch'abbiamo : ed eſortiamo ognuno a credere e tenere fer
ma la ſoda e ſana Dottrina, e riprendiamo coloro che oſano
Tit. 1. 9. o corromperla, o contraddirla. La giuſta regola adunque da
S. Aug. de praticarſi ſi è ch' ognuno ripudiando, e dando perpetuo bando
ver. Relig. alle inezie, e vanità de'Teatri, e de'Poeti ſi dia tutto a paſce
cap. 5 I. re la mente colla lettura e ponderazione delle Divine Scritture.
Non voglio ora omettere d'oſſervare ch oltre la Curioſità
dell' intelletto ve n'ha un'altra che riſguarda i corporei ſenti
1. Joan. 2. menti, che dalla Scrittura deſiderio degli occhi viene denomi
16. nata. Ed oh quanto mai s'eſtende queſta pernicioſa Curioſità!
Eſſa ha luogo nè teatri, negli ſpettacoli, ne giochi (1), e
non può eſſere che vizioſa e nemica di Dio. E chi non ſa
2. Reg. 11. qual triſto effetto abbia prodotto la curioſità a Davide, men
tre paſſeggiava ſulla ſua loggia; e quale nocumento arrecaſſe
Gen. 34. a Dina, la quale era uſcita a vedere le foggie delle donne
ſtraniere? Molto ci potremmo diffondere ſu queſto particolare, ma
laſciamo che chi è moſſo da giuſta curioſità di ſaperne di vantag
gio, ricorra a Santo Agoſtino al lib. io. delle Confeſſioni cap. 35.
L'Eutrapelia è quella Virrù ch'induce nell'uomo una tale
moderazione, onde dalla ſoverchia ſregolatezza ne giochi e di
vertimenti ſi temperi e ſi raffreni. L'Uomo è vero ha biſo
gno di refocillare il corpo colla quiete; poichè egli non può
continuamente faticare, perchè la ſua virtù è limitata, e a
certe determinate fatiche ſi può ſoltanto eſtendere; e ciò ſi
verifica ancora riſguardo all'anima ch'è d'una virtù finita (2).
Egli
( 1 ).Alia eſt Curioſitas ſenſuum, moderantia ludorum, Homo indiget
quam deſiderium oculorum vocat corporali quiete ad corporis refocil
Scriptura . Jam quam late patet lationem , quia non poteſt continue
Curioſitas iſta? In ludis, in ſpe laborare propter hoc, quod habet fi
Staculis, in theatris. S. Aug tract. nitam virtutem , que determinatis
2. in Epiſt. Joan. laboribus proportionatur; ita etiam
( 2 ) Eutrapelia eſt Virtus circa ex parte anima, cujus etiam eſt vir
ludos, qua homo refrenatur ab im tus finita. S.Thom. 2.2.q. 168.art.2.
l
D E L L A T E M P E R A N z A. 179
Egli è adunque neceſſario che tu abbi qualche riſpetto a te S. Aug. lib.
ſteſſo; poſciachè ſta bene che talora ſi ſollevi dalle ſue occu-2. de Muſic.
pazioni il Saggio. Ma devono intanto tre coſe guardarſi. La cºp ºli.
prima e principale, che non ſi cerchi il divertimento e il riſto
ro dalle applicazioni in opere, o in parole oſcene e cattive;
al qual propoſito inſegnava Tullio che v'ha una ſorta di gio- Lib. 1. de
co e di ſcherzo affatto improprio, petulante, vizioſo, ed impuro. Oific.
La Seconda, che non venga totalmente a divertirſi e diva
garſi la gravità dello ſpirito; onde ci ammoniſce Santo Am- ...
brogio di guardarci che, mentre s'attende ad alleviare co'geniali ibi cap. 2o.
divertimenti l'animo, non ſi diſſipi, e ſi guaſti quell'armonia
cb ha da formare la grata conſonanza delle opere buone. La ter
za, che nel gioco e ne paſſatempi s'abbia riguardo come in
tutte le altre operazioni umane alle perſone, al luogo, al a
P A R T E s E C o N D A. -
De' Peccati,
giamo (2).
E quì cade in acconcio quella Queſtione ſolita farſi da al
-
cuni,
diſſe, non autem & peccatum, quod (3) Peccatum, quod hominem in
eſt mors anima, anathemaſit. Trid. Paradiſo in pejus mutavit , quia
Seſs. 5. Can. II. multo eſt grandius, quam nos ju
( 2 ) Si quis parvulos recentes ab dicare i , ab omni naſcente
uteris matrum baptizandos negat , trahitur, nec niſi in renaſcente dimit
etiamſ fuerint a baptizatis paren titur. S. Aug. lib. 2. de Nup.& Con
tibus orti; aut dicit in remiſſionem cup. cap.34.
quidem peccatorum eos baptizari, (4) Sumus natura filii ira, quia
ſed nihil ex Adam trahere Origi eo ipſo momento, quo communem na
nalis peccati , quod Regenerationis turam generatione accepimus , pec
lavacro neceſſe ſit expiare ad Vitam catum illud incipit eſſe in nobis .
aternam conſequendam ... anathema S. Aug. de pecc. mer. cap. 1o.
Lib. Ter. A a
186
C A P I T O L O P R I M O.
que per eos locuta eſt, Veritati, o- (3) Licet in hac mortali vita, quan:
mnia paria eſſe peccata. S. Aug. tumvis ſancti C juſti in levia ſal
- 29. tem, 69 quotidiana, que etiam ve
(2) Nullum eſt peccatum ex natu- nialia dicuntur, peccata quando
ra ſua veniale, ſed omne pecca- que cadant, non propterea deſin unº -
Joſ 22. 17. ſpecialmente ove dicono : ſembra forſe a voi poco ch avete pec
cato in Beelfegore, e che di tale ſcelleraggine ſerbate in voi ſteſſi
Ier. 2. 22. ſino al dì a oggi la macchia ? Ti ſei macchiata nella tua iniqui
Tit. 1. 15. tà dinanzi a me, diſſe il Signore. Lordate ſono la loro mente e
Oſ 9. 1o. la coſcienza, e fatti ſono abbominevoli come le coſe che amarono.
Queſte ed altre teſtimonianze, che ſi potrebbono addurre, di
moſtrano ad evidenza con quanta ragione fu condannata fra le
altre molte da Pio V, e Gregorio XIII in Michel Bajo la ſe
guente Propoſizione: nel peccato vi ſono due coſe, l' atto ed il
reato, quando è paſſato l'atto , nulla rimane ſe non il reato, o
ſia la obbligazione alla pena ( 1 ).
In ſecondo luogo uccide l'anima, la rende a Dio nemica,
e la fa ſchiava del Demonio. Ciò appunto volle ſignificare I
Cap. 59. 2. ſaia, allorchè diſſe ; le voſtre iniquità poſero diviſione tra voi e
il voſtro Dio, e i peccati voſtri furono quelli ch'a voi naſcoſero la
di lui faccia. Per queſto ancora ſta ſcritto, che l'anima che
Ezech.18.4- commetterà il peccato, ſoggiacerà alla morte; e che veramente lo
Job. 5. 2. ſdegno leva allo ſtolto la vita, e la invidia uccide l'uom da poco.
Eph. 5. 2. Difatti in Gesù Criſto ridonò Iddio a noi la vita, allorchè
eravamo già morti al peccato; mercechè il peccato, quando è
Jac. 1- 15- conſumato, arreca la morte; e pur troppo è vero che muoio
no tutti coloro, i quali acconſentono ad eſſo. Tutti però temo
no la morte del corpo, mentre che pochi all'incontro paventano
la morte dell'anima (2), poichè non ſi curano di riflettere, che
Pſal. 72.26. chiunque o Signore da voi si allontana, corre alla perdizione.
è In terzo luogo mette a facco le ricchezze ſpirituali dell'ani
ma in quanto che i di lei meriti, e le di lei opere buone ſo
Jer- 17. 3- no da Dio riputate quaſi fe foſſero nulla, e reſtano per parla
reco Teologi mortificate, e non le tornano a profitto, ſe non
allora che veniſſe a lei fatto di rimetterſi in grazia . Spiegò
Geremia ne' ſuoi Treni così lagrimevol effetto raffigurando nel
la deſolazione di Geruſalemme il miſerabile ſtato d' un anima
peccatrice: fu ſpogliata, egli diceva, la figlivola di Sionne di tut
ti i ſuoi ormamenti. Geruſalemme è caduta in peccato, ed ecco ſuc
ceduta in lei cotal mutazione. Rimaſero lordate le di lei piante ,
e s' è ella dimenticata del ſuo fine. Tutte ha depredate l' inimico
le ſoſtanze a lei più care. In
( 1 ) Dogma Fidei eſt illorum ani uidam parvulis non baptizatis tri
mas, qui in attuali mortali pecca ſ" , ut quaſi merito innocenti e
to , vel ſolo Originali decedunt , ſint in Vita eterna , ſed quia non
mox in Infernum deſcendere, panis ſunt baptizati, non ſint cum Chri
tamen diſparibus puniendas. Flor. ſto in Regno eius, definitivam pro
Seſs. ult. tulit ad hec ora obſtruenda Sen
(2) Non eſi ulli ullus medius locus, tentiam, ubi ait: qui non eſt me
nt poſit eſſe niſi cum Diabolo, qui cum, contra me eſt. S. Aug. lib. 1.
non eſt cum Chriſto. Hinc & ipſe de Pecc. mer. & remiſ. cap. 28.
Dominus volens auferre de cordi Nullus relićtus eſt medius lo
bus male credentium iſtam neſcio cus, ubi pomere queas infantes. De
quam medietatem, quam conantur vivis & mortuis judicabitur ; alii
arrant
«A T T U v4 L I. 193
vivi e dei morti che ſaranno giudicati, altri paſſeranno alla
deſtra, ed altri alla ſiniſtra . Quelli che paſſeranno alla de
ſtra, conſeguiranno il Regno del Cieli, e ad eſſi ſarà detto :
poſſedete il Regno. Gli altri tutti che da colà ſaranno eſcluſi,
paſſeranno alla ſiniſtra. Ma coſa ivi udiranno? Andate nel fuoco
eterno ( 1 ). Giacchè pertanto chi non ſarà nella deſtra , ſen
za dubbio ſarà nella ſiniſtra, chi ancora non goderà l'eterno
Regno, ſenza dubbio arderà nel fuoco eterno. O altezza de' Rom. 11.33.
Divini arcani ! Il fanciullo non battezzato va in dannazione.
Chiunque è ſoltanto generato, è dannato; e niuno è libera
to, quando non ſia rigenerato (2).
Vero è tuttavia che meno grave aſſai delle altre tutte ſa
rà la pena di coloro che all'Originale non aggiunſero altro
peccato; e così riguardo a quelli che ne commiſero di mano
in mano, ſaranno tanto meno gravi i tormenti, quanto ſaran
no meno gravi le loro colpe (3) ſecondo quel detto - quanto Apoc. 18.7.
fu quegli immerſo nella vanagloria e ne piaceri, tanto dategli di
tormento e di pianto.
Suppoſta una tal gradazione, non dico già che i fanciulli
morti ſenza Batteſimo ſaranno puniti con tal rigore che tor
nerebbe meglio per eſſi, ſe mai non foſſero nati, perchè fu di
chiarato queſto dal Signore non di tutti i peccatori, ma dei
più ſcellerati ed empi. Imperciocchè ſe quanto pronunziò e
gli
(1) erunt ad deteram, alii ad ſini Originale traxerunt , nullum inſu
ſtram..... Ecce in dextera Regnum per addiderunt ; & in cateris, qui
Caelorum eſt, percipite Regnum . addiderunt , tanto quiſque tollera
9ui ibi non i , in ſiniſtra erit : biliorem ibi habebit damnationom,
Quid erit in ſiniſtra? Ite in ignem quanto hic minorem habuit iniqui
aeternum. S. Aug Ser. 14. de verb. tatem juxta illud : quantum glo
Apoſt. rificat ſe, & in deliciis ſuit, tan
(2)Qui non in dextera, procul dubio tum date illi tormentum & lu
in ſiniſtra, ergo qui non in Regno, ctum - S. Aug cont. Jul. cap. 11o.
procul dubio in ignem eternum.... Ego autem non dico parvulos
O altitudo Divitiarum ! Parvulus fine Chriſti Baptiſmate morientes
non baptizatus pergit in damnatio tanta paema eſſe plettendos , ut eis
nem.... Omnis generatus, damna non naſci potius expediret, cum hoe
tus, nemo liberatus, niſi regenera Dominus non de quibuslibet pecca
tus; Id. ibi. toribus, ſed de ſceleſtiſſimis & im
(3) Mitiſſima omnium pana erit piiſſimis dixerit. Si enim quod de
eorum, qui prater peccatum, quod Sodomis ait, & utique non de ſo
Lib. Ter. B b lis
I 94 D E' P P e C A T I
At
(1) ceſſerit, videtur ſatiari, 69 ex quaſi extra portam, cum in fattum
" cupiditas.Sed poſtea cum Sug
e
procedit aſſenſio ; tertia cum vi con
io repetitur,major accenditur De ſuetudinis male tanquan mole ter
ectatio, que tamen adhuc multe rena premitur animus quaſi in ſe
minor eſt quam illa, qua aſſiduis pulcro jam putens . Qua tria ge
fattis in conſuetudinem vertit. Hanc nera mortuorum Dominum reſuſci
enim vincere difficillimum eſt.... taſſe quiſque Evangelium legit ,
Si ergo tribus gradibus ad pecca aſpicit, C fortaſſe conſiderat, quas
tum pervenitur Suggeſtione, Dele differentias habeat ipſa vox reſuſci
&tatione , Conſenſione , ita ipſius tantis, cum alibi dicit : puella ,
peccati tres ſunt differenti e, in cor ſurge; alibi: juvenis, tibi dico ,
de, in facto , in conſuetudine , ſurge ; alibi : infremuit ſpiritu ,
tanquam tres mortes; una quaſi in & flevit, & voce magna clama
slomo, ideſt, cum in corde conſen vit : Lazare veni foraſ. S. Aug.
titur libidini ; altera jam prolata lib. 1. de Ser.Dom. in Mont.cap. 12.
198 D E' P E C C A T I
(i) Cum aliquis directe vult igno- libere peccato inhareat. S. Tho. q. 3.
rare , ut a peccato per ſcientiam de Mal. art. 8.
non retrahatur, talis ignorantia non Peccatum Philoſophicum, ſeu mo
excuſat peccatum nec in toto , nec rale, eſt actus humanus diſcon
in parte , ſed magis auget - Ex veniens natura rationali & retta
magno enim amore f" videtur rationi; Theologicum vero, 6 mor
contingere , quod aliquis detrimen- tale eſt tranſgreſſio libera Divine
tum ſcientiepati velit ad hoc , quod Legis. Philoſophicum, quantumvis
gra
D E' P E C C A T I. 2e3.
nulla di Dio, o a Dio attualmente non penſa, è peccato grave,
ma non è offeſa di Dio, nè peccato mortale che diſciolga la di
lui amicizia, e meriti la eterna pena (I). Queſta Propoſizione
è chiaramente contraria alla Cattolica Fede che profeſſiamo ;
e però io eſorto ogni Fedele, e lo ſcongiuro nel Signore di
non calcare le pedate di coloro, i quali ſono traſportati dal
la vanità de loro penſieri, ed hanno l'intelletto nelle tenebre
immerſo, e ſono privi della grazia Divina per la ignoranza Philip.4; 17.
in cui ſi trovano a cagione della cecità dei loro cuori. 18.
La ignoranza che ſi chiama di fatto, cioè quando mancaſ
ſimo al dover noſtro per non ſapere invincibilmente un
qualche fatto, ci ſcuſa; e ci ſcuſa pur anche la ignoranza del
la Legge, quando ch'eſſa non foſſe ſtata promulgata nella do
vuta maniera, o la di lei promulgazione non poteſſe eſſere a
noi pervenuta; giacchè in detti caſi la ignoranza ſi dee giudi
care invincibile, e per conſeguenza involontaria. Nella ſteſſa ma- DD. com.
niera, quando taluno ſuccede nell'altrui diritto, la cauſa della Reg. Fur.
di lui ignoranza è giuſta. Ma ſe la di lui coſcienza non potè 14 in 6.
eſſere macchiata, quando egli nulla ne ſapeva, allora comincia
a macchiarſi, quando comincia a ſaperlo; e però s'egli per
eſempio adoperaſſe una veſte, che foſſe ſtata rubata, allora ſol
tanto comincia ad eſſere colpevole, quando dopo eſſere ſtato S. Aug. l. 2.
informato del furto ſeguitaſſe a portarla, e traſcuraſſe di re- contr. Creſc.
ſtituirla al ſuo padrone. E tanto già baſti per una ſuccinta co. cap. 26
gnizione dei peccati d'Ignoranza. -
(1) grave in illo, qui Deum vel tale diſſolvens amicitiam Dei, negue
ignorat, vel de Deo actu non cogi- eterna pana dignum. Pop. Damn
tat, eſt grave peccatum, ſed non eſt ab Alex.VIII.
enſa Dei, negue peccatum nor
Lib. Ter. C c 2.
204 .A T T U A L I.
(1)doque vero paſſio non eſi tan fugienda, non poſſet totaliter a pec
ta, quod totaliter intercipiat uſum ra cato excuſari, quia timor talis inor
tionis, 69 tunc ratio poteſt paſſio dinatus eſſet. Sunt autem magisti
nem excludere, divertendo ad alias menda mala anima, quam ma la cor
cogitationes, vel impedire, ne ſuum poris, corporis autem magis, quam
conſequatur effectum ; quia membra mala exteriorum rerum. Et ideo ſi
non applicantur operi niſi per con quis incurrat mala anima, ideſi pec
ſenſum rationis ; unde talis paſſio, cata, fugiens ma la corporis , l"
non totaliter excuſat a peccato. S. flagella, vel mortem, aut mala ex
Thom. 1.2: q. 77. art. 4. teriorum rerum, puta damnum pe
(2) Si aliquis per timorem fugiens: cunia; aut ſi 'hi mala corpo
mala, qua ſecundum rationem ſunt ris, ut vitet damnum pecunia, non
minus fugienda , incurrat mala , excuſatur totalitera peccato. Id.2.z.
que ſecundum rationem ſunt magis q: I 25. art. 4.
D E' P E C C A T I 1 o7
detto totalmente, perchè in qualche maniera ſi diminuiſce il
di lui peccato, eſſendo meno volontario ciò che s'opera per l'
imminente timore, il quale mette l'uomo in una ſpecie di
neceſſità d'intraprendere alcuna coſa ( 1 ).
Ma giacchè quello che si opera in detto modo per timore,
come ben dimoſtra San Tommaſo, aſſolutamente è volontario, AI.2.7.6.a. 6.
e non toglie per conſeguenza la libertà d'operare, concordano
tutti i Teologi collo ſteſſo Santo Dottore, che ſe alcuno trat
to dal timore di ſchivare il pericolo della morte, o di qual
ſiſia altro male temporale, foſſe pronto o ad intraprendere alcu
na coſa proibita dalle Legge Divina, o ad intralaſciarne alcu
ma dalla medeſima comandata, peccherebbe mortalmente ( 2 ).
Difatti ancora ai timidi ſono minacciate nelle Sacre Carte le
pene infernali, come ſi può leggere nell'Apocaliſſe, dove ſta Cap. ai s.
ſcritto : i timidi, gl'increduli & c. ſaranno ſepolti dentro uno
ſtagno di fuoco ardente, e di zolfo. -
( 1 ). Cum voluntas mala eſt ſine pulcro ipſa eſt vis dura conſuetu
aliquo ſpiritu vel ſeducente, vel dimis, qua premitur anima, nec ſur
incitante, peccatum malitiae com gere, nec reſpirare permittitur....
mittere dicitur. S. Aug. lib. de Pat. Venit ergo Dominus, cui utique fa
CaP. 24. - cilia erant omnia, Cy difficultatem
quamdam oſtendit ibi. Infremuit ſpi
Conſuetudine maligna preſſi tan
quam ſepulti ſunt ; & ita ſepul ritu, oſtendit multo clamore objur
ti, ut de Lazaro dictum eſt : gationis opus eſſe ad ecs, qui con
jam putet. Moles illa impoſita ſe ſuetudine duruerunt. Tamen advo
Lib. Ter. d grado
2 Io D E' P E C C A T I
Della Superbia.
dir meglio, il capo e la ſorgente di tutti i peccati, da che ſta ſai 18.
ſcritto: il principio di tutti i peccati è la Superbia. Quindi af Eccli io.
fine di togliere ogni preteſto di diſpreggiarla, quaſi ſe foſſe º
una coſa leggiera, ſi legge nel medeſimo luogo: il principio ibi 14
della Superbia dell' uomo è apoſtatare da Dio. Da ciò ancora
naſce che ricuſano i ſuperbi, tenendoli oppreſſi il grave gio
go del peccato, di ſottomettere il collo al ſoave giogo di Ge- , Aus, in
sù Criſto; ed è in oltre la Superbia un male così tenace che Pſal. 18.
laddove è il primo ad occupar l'anima quando eſſa da Dio s'
allontana, è l'ultimo a laſciarla quando a lui ſe ne ritorna. Id. ibi.
Quattro ſono le ſpecie di queſto vizio, che gonfia gli ani
mi degli arroganti . La prima è di coloro che attribuiſcono
a ſe medeſimi il bene ch'hanno. La ſeconda di coloro che
quan
vi debiti, che poi non potrà allo ſtabilito tempo pagare (il
che giammai non ſuccede ſenza notabile detrimento del Proſ
ſimo ); ſe con ciò venga ad impedire che le figliuole già nu
bili poſſano maritarſi, il che ſuole ſpeſſe fiate recare delle
peſſime conſeguenze; finalmente ſe abbia il marito giuſto mo
tivo di temere che tali pompe poſſano ſervire di fomento a
nuovi peccati. In tutti gli addotti caſi l'uſo delle pompe e
- de ſuperflui ornamenti è peccato mortale. E giacchè è aſſai
difficile, che quegli che così va ſpendendo ſopra le proprie
forze o non ſapia, o non poſſa, o non debba ſapere che le
ſpeſe ecceſſive ſono cauſa degli accennati peccati, ſi può quin
di generalmente giudicare che ral ſorta di perſone ſia in iſta
to di peccato mortale, quandochè dopo aver eſaminato con
diligenza il Penitente del contrario per certe particolari ra
gioni non conſtaſſe al Confeſſore ( 1 ).
La maniera ancora dell'ormarſi può eſſere peccato mortale ,
quantunque la medeſima non eccedeſſe lo ſtato e la facoltà di
chi s'orna; e ciò quando o per ſe ſteſſa, o ſecondo la comu
ne oppinione degli uomini foſſe laſciva ; o quando anche ſi co
noſceſſe, o ſi aveſſe ragionevole fondamento di dubitare che
qualche moda per non eſſere in uſo preſſo gli uomini, o le
donne d'un'egual condizione, poteſſe cagionare, o nodrire ne
gli altrui cuori qualche amore impudico; e con tutto ciò ſen
Za
D E L L A s UP E R B 1 Ar. 223
Dignità e Offici Civili, o Eccleſiaſtici per qualche mal fine,
o con detrimento del Proſſimo, o col violare la Carità dovu
ta a Dio, o ſenz'avere le qualità neceſſarie.
Gioverà molto per raffrenare la ſtolta loro ambizione il
conſiderare ch'il Demonio moſtrò a Gesù Criſto tutti i Regni
del mondo in un ſolo momento di tempo; e ſicuramente in Matt. 4. 8. -
A R T I c o L o s E e o N D o.
Dell' Avarizia.
L" è un appetito di raccogliere danari. Nulla v'ha
Eccli. 1o. 9. di così ſcellerato quanto l'avaro; da che la Cupidigia è
la radice di tutti i mali; e molti ſeguendola apoſtatarono dal
1. Tim. 6. la Fede e s'immerſero in grandiſſimi guai. Chi però ſi pre
io º gia d'eſſere uomo di Dio dee fuggirla, e pregare inceſſante
- mente il Signore di tenergli il cuore lontano dall' Avarizia,
la quale è ſempre mortale peccato ſe offende la Giuſtizia; ſe
deriva da qualche altro grave peccato; ſe con troppa avidità
accumula danaro; ſe giunge ad accieccare per tal modo la
mente che voglia più toſto offendere Dio che perdere il da
DD. com. naro già congregato. Intorno le dette coſe legganſi i Santi Pa
dri lodati da Natale Aleſſandro nella ſua Teologia Morale lib. 3.
de Pecc. cap. 6. - Naſ
D E L L' A V A R I Z I A. 225
Naſcono dall'Avarizia il Tradimento, la Frode, l' Inganno, lo
Spergiuro, la Inquietudine, la Violenza, e l' Induramento contro
la Miſericordia. Sene comprenderà la diverſità dalle definizioni
che ora n'arrecheremo. -
(1) Sunt nonnulli, qui cultum ſub ſicut Sacramenta, qua gratiam ,
rilium pretioſarumque veſtium non vel ſpiritualem Poteſtatem conferunt;
putant eſſe peccatum. Quod ſi cul tertio ratione cauſe, ut adminiſtra
pa non eſſet, neguaquam ſermo Dei tio Sacramentorum , quie a ſpiri
tam vigilanter exprimeret, quod Di tuali Poteſtate, Conſecrationes per
ves, qui torquebatur apud Inferos, ſonarum, locorum, vaſorum, aut
3. o, & purpura indutus fuiſſet ; aliarum quarumeumque rerum, Ec
quod epulahatur quotidie ſplen cleſiaſtica Juriſdićtionis uſus, aut
dide, nec panituiſſet filium Prodi f" gratis datarum , v. gr.
gum, quod diſſipaſſet bona ſua vi ivini verbi Praedicatio , laudes
vendo luxurioſe. S. Greg Pap. Hom. Divinae, Profeſſio Religioſa & c.
4o. in Evang. Spiritualibus annexa dicuntur, que
Dicitur aliquid ſpirituale ſim ad uſum Sacramentorum, aut fi
piciter, primo per eſſentiam, ut Gra niſtrorum Eccleſi e deputata ſunt .
tia , Virtutes , Jurifdi&tio Eccle Ea vero vel antecedenter, vel con
ſiaſtica; ſecundo ratione effettus, fequenter. Annexum antecedenter
eſt,
D E L L' A V A R I 2 I A. 229
quella, ch'eſſendo per ſua natura materiale precede una coſa
ſpirituale, alla quale ha relazione; tali ſono i Calici, gli Al
tari, le Sacre Veſti & c., e ancora il Giuſpatronato, che prece
de la nominazione, o ſia la preſentazione ai Benefici . Conſe
guentemente anneſſa ſi è quella che ſuccede a qualche coſa ſpi
rituale da cui dipende, di queſta ſorta ſono i Benefici Eccle
ſiaſtici, che non ſi poſſono conferire ſe non a chi è già ag
gregato allo ſtato Chericale (1).
La Simonia è di tre ſpecie, cioè Mentale, di Convenzione ,
e Reale. La Mentale è quella, che ſi fa col ſolo interno con
ſentimento dell'animo ſenza veruna convenzione eſpreſſa , o
racita. Di Convenzione è quella colla quale eſpreſſamente, o
tacitamente ſi ſtringe un contratto di coſa ſpirituale da ven
derſi, o da comprarſi; ma il contratto non è eſeguito da am
bedue le parti. La Reale infine è quella in cui attualmente
intervengono le rammemorate tre coſe, vale a dire il patto
tacito, o eſpreſſo, il pagamenro del prezzo, e il ricevimento del
la coſa ſpirituale, quantunque non s aveſſe il tutto pagato ,
nè il tutto conferito.
Dividono altri la Simonia in Simonia di Diritto Divino, e
di Diritto Eccleſiaſtico. A parlar propriamente non v'è altra
Simonia ſe non quella, ch'è proibita per Diritto Divino, cioè
dove interviene il contratto di coſe ſpirituali per altre coſe,
che ſi poſſono valutare con danaro: ti do ſe mi dai, oppure
ti do acciocchè tu mi dia. Con tutto ciò a qualche contratto,
che non è rigoroſamente Simoniaco s'infligge la pena della
Simonia, dunque biſogna affermare, che qualche contratto ſi
poſſa chiamare Simoniaco, perchè proibito dalla Legge umana,
1n
nia, baſta che rifletta alla ſevera punizione di Gezi; alle pa. 4 Reg.5.27.
ir Oe
(1) Non eſt contra juſtitiam Bene ſed dumtaxat tanquam motivum con
ficia Eccleſiaſtica non conferre gra ferendi , vel efficiendi ſpirituale ,
ris, quia Collator conferens illa Be vel etiam quando temporale ſit ſo
neficia Eccleſiaſtica pecunia interve lum gratuita compenſatio pro ſpiri
niente non exigit illam pro colla tuali, aut e contra.
rione Beneficii, ſed veluti pro emo ( 2 ) Et id quoque locum habet,
umento temporali, quod tibi confer p"
etiamſi temporale ſit 3000
º, non tenebatur. Prop. damn. ab tivum dandi ſpirituale; imo etiam ſi
Alex. VII. ſit finis ipſius rei ſpiritualis , ſic
Dare temporale pro ſpirituali ut illud pluris eſtimetur , quam
non eſt Simonia , quando tempo res ſpiritualis . Prop. damn. ab
rale non datur tanquam pretium , Innoc. XI.
232 D E L L' A V A i? I Z I A .
A&t. 8. 2o. role che l'Appoſtolo San Pietro diſſe a Simon Mago, dal
quale queſto abbominevole peccato traſſe il nome, a ciò che
2. 2. q. 1oo. ne ſcriſſe San Tommaſo; e al chiamarſi frequentemente ne'
Art. I.
Sacri Canoni queſto delitto Ereſia. Imperciocchè ſiccome la
Religione conſiſte in una certa proteſtazione di Fede, che tut
tavia talvolta alcuno può non avere nel cuore; così ancora i
vizi oppoſti alla Religione hanno la loro proteſtazione d'In
fedeltà, quantunque alcuna volta tale Infedeltà non ſia nella
mente. In queſto ſenſo la Simonia prende il nome d'Ereſia
ſecondo l'eſteriore proteſtazione; atteſochè chiunque vende
nell'accennata maniera i Doni dello Spirito Santo, pare che
ſi proteſti d'eſſere il Padrone dei detti Doni ſpirituali; il
che è da Eretico (1). Noi dunque dobbiamo porci nella ſti
ma degli uomini come miniſtri di Criſto, e diſpenſatori de'
1. Cor. 4 1. Miſteri di Dio; e ciò che gratuitamente abbiamo ricevuto,
Matt. 1o. 8. gratuitamente dobbiamo parteciparlo agli altri; ſopra di che
ſe mai mancaſſimo, non ſi può mai dare parvità di materia
DD. com. ch'alleggeriſca il peccato.
Ad oggetto poi di ſradicare totalmente del cuore il dete
ſtabile vizio dell'Avarizia, e tenerne lontani gli altri che de
rivano dalla medeſima, gioverà molto primieramente il riflet
Heb. 1o.37. tere ch'in punto di morte, la quale non tarderà troppo a ve
nire, ſono aſtretti gli uomini tutti ad abbandonare quanto
hanno raccolto, e laſciarlo talvolta ad eredi ingrati, e diſſipa
tori, che ne faranno un uſo malvagio. Secondariamente che
gli avari non ſono giammai contenti, e ſempre ſono anſioſi di
cumulare nuove ricchezze; laonde meritamente ſogliono raſ
ſomigliarſi ad un idropico, che per quanto beve, non mai
giunge a ſoddisfare l'ardente ſua ſete. Terzo che gli avari
fono odiati ed abborriti da tutti; da poveri dei quali ſuc
chiano ingordamente il ſangue, e rapiſcono le ſoſtanze; dai
figliuoli ai quali manca ſpeſſe fiate il neceſſario; dagli opera
rj che ſono defraudati delle loro mercedi; dai domeſtici ai
qua
- -
v
Della Luſſuria.
Lib. Ter. - G 8 A R
234
A R T I C O L O Q U A R T O.
Della Invidia.
chi profferiſce menzogne, falſo teſtimonio, e colui il quale ſparge Prov. 6. 16.
diſcordie tra i fratelli. Noi dobbiamo dunque guardarci di 8 ſeqq.
non acquiſtare il nome di Suſurroni, poichè queſti tali ſi de
vono aſpettare d'avere a ſoffrire una confuſione peggiore di
quella dei ladri, e d'eſſere il berſaglio dell'odio, delle inimi
cizie, e degli affronti univerſali. Qualora pertanto c'incontria- Eccli. 5. 17.
mo ad aſcoltare qualche parola offenſiva del noſtro Proſſimo,
ſoffochiamola dentro di noi medeſimi anche per non offendere
gravemente noi ſteſſi col paleſarla, come appunto era ſolita a ibi. 19. 1o.
praticare la Santa Madre del grande Agoſtino; maſſimamente S.Aug.lib.9.
che ſovente tale vizio è un peccato graviſſimo, e i Suſurroni Conf. cap. 9.
ſono tenuti a riſarcire quel male che colle malvagie lor arti
hanno in altri cauſato. DD. com.
Deteſtabile è non meno la Detrazione , eſſendo incredibile
quanti, e quanto gravi incomodi e danni ella produca. Queſto
vizio di mormorare è deteſtato in mille luoghi della Sacra Scrit
tura, da cui ſiamo avviſati ch'i detrattori ſono in odio a Dio, e
degni di morte; che nè i maledici, nè i rapaci giungeranno al Rom. 1. 3o.
poſſeſſo del Regno di Dio, che i denti loro ſono armi e ſaette, e la 1. Cor.6.1o.
loro lingua è una ſpada acutiſſima. Anzi minor è il male che ſi Pſal. 56. 5.
commette con una ſpada tagliente, di quello che con una lingua S.Aug.trati.
inſidioſa . E la occulta Detrazione non è diſſimile dal veleno- 5. in Joan.
ſo morſo d'un naſcoſto ſerpente. Quindi è ch'il Detrattore di Eccle. 1o.
viene l'abbominazione degli uomini; e però dee ciaſcuno uſa- i 1.
re ogni ſtudio di non framiſchiarſi coi detrattori, i quali in Prov. 24.9.
contreranno repentinamente la loro perdizione. ibi. 22.
Ma per meglio conoſcere la forza di queſto vizio della De
trazione biſogna oſſervare che non s'offende ſolamente colla
calunnia la eſtimazione degli uomini, ma ancora coll'accreſ
cere ed amplificare gli altrui delitti. E ſe alcuno commetteſ
ſe
e --- -
---
- -
- - -
- - - - --
D E L L A I N V I D I A. z39
Affine però che non entri giammai a contaminare il noſtro
cuore la Invidia, dobbiamo primieramente mettere ogni ſtu
dio d'allontanare da noi la concupiſcenza della carne, la con- r. Joan. 2.
cupiſcenza degli occhi, e la ſuperbia della vita; dappoichè, 16.
come riflette ſaggiamente San Baſilio, chi non è ſuperbo, e Hom. 11. de
non ſi prende ſollecita cura delle coſe caduche, degli onori, Invid.
delle Dignità, di ciò inſomma ch'eſalta preſſo gli uomini il
proprio nome, non può eſſere predominato dalla Invidia.
Conſideriamo in ſeconde luogo ſerioſamente che non v'ha vi
zio, che ci renda coranto ſimili al Demonio, la ſola Invidia
del quale introduſſe infelicemente nel mondo la morte, e che Sap. 1 r. 24
pertanto coloro che vengono ad imitarlo, ſi dichiarano di lui
ſeguaci. Fiſſiamoci in terzo luogo nella mente che la Invi
dia non arreca detrimento ch'al ſolo invidioſo, il quale ſenza
riceverne alcun vantaggio s'affligge inutilmente dell'altrui be
ne. Per ultimo riduciamoci alla memoria che noi ſiamo tut
ti fratelli per natura e per grazia; e che ci biſogna avere
per conſeguenza un ſolo cuore, e un'anima ſola, la quale ci
muova a compaſſione delle altrui diſgrazie, e ci ricolmi di
gioia delle altrui felicità.
A R T I C O L O Q U I N T O.
Della Gola.
vande non acquiſta mai copia di ricchezze. Ceffi ciaſcuno per- Prov.21.17.
2 Ea M3
24G, D E L L A G O L A.
tanto d'eſſere avido di ſontuoſi conviti, e s'aſtenga dal gita
tarſi ingordamente ſopra ogni cibo anche a riguardo di non
cadere infermo; e già è noto che molti per la crapola s'affret
Eccli. sz. tarono la morte, quando altri all'incontro colla temperan
32. 34. za ſi ſono prolungata la vita.
Sarà ora bene d'avvertire che fu condannata da Innocenzio
XI la ſeguente Propoſizione: il mangiare e il bere ſino alla ſa
zietà per ſolo piacere non è peccato, purchè non rechi detrimento
alla ſalute, perchè l'appetito naturale può lecitamente godere de'
ſuoi atti (1). A queſto propoſito tornerà a vantaggio il ſa
pere che quando la natura in certa maniera richiede il ſup
plemento di ciò che va ad eſſa mancando, tal' eſigenza non
ſi chiama una sfrenata cupidigia, ma fame, o ſete. Allorchè
poi dopo avere ſoddisfatto alla neceſſità ſi conſerva il deſide
rio di proſeguire a mangiare, tal deſiderio è già una sfrenata
cupidia, ed un male a cui non biſogna mai cedere, ma con
viene ſempre reſiſtere (2 ). Quindi per aſſicurarſi di non of
fendere Iddio la più bella coſa, che può eleggere un Criſtia
no ſi è ch'egli cerchi di ſtabilire nel ſuo cuore la grazia Di
vina ſenza prenderſi una ſollecita cura dei cibi corporali che
Heb. 13. 9. nulla giovano a chi in eſſi ſi perde ; e che perciò tutte le
1. Cor. 1o. volte in cui è preſſato dalla neceſſità a mangiare o bere, or
3 I. dini ambedue le dette operazioni alla gloria di Dio.
In cinque maniere ci può tentare il vizio della Gola . La
prima col prevenire il tempo del mangiare ; la ſeconda con
andare ſolleciti in traccia dei cibi più delicati ; la terza con
mettere una troppo accurata attenzione nel preparare le vi
vande; la quarta con eccedere nella quantità che oltrepaſſi
la miſura d'una moderata refezione; la quinta ed ultima con
ap
( 1 ) Comedere & bibere uſ pue ad do eſt, jam malum eſt, cui ceden
ſatietatem ob ſolam voluptatem non dum non eſt , ſed reſiſtendum - S
eſt peccatum, modo non obſit vale Aug. lib. 4. cont. Julian. cap. 14.
tudini, quia licite poteſt appetitus Quinque nos modis Gula vi
naturalis ſuis attibus frui . Prop. tium tentat. Aliquando namque in
damn. ab Innoc. XI. digenti e tempora prevenit ; aliquan
(2) Cum natura quodammodo po do vero cibos lautiores quaerit ; ali
ſeit ſupplementa, que deſunt, non quando quelibet, qua ſumenda ſunt,
vocatur libido, ſed fames, aut ſitis. preparari accuratius expetit ; ali
Cum vero ſuppleta neceſſitate amor quando in ipſa quantitate ſumendi
edendi animum ſollicitat, jam libi menſuram moderate refectionis ex
. - cedit
D E L L A G O L Aſ. 24 i
appetire i cibi anche più vili, ma in maniera che l'appetito
fia così ardente ch'induca a commettere un più grave pecca
to. Infatti Gionata fu condannato alla morte per decreto del
Padre, perchè guſtò il mele prima che foſſe giunta l'ora de- Reg. 14.
ſtinata al mangiare, e il popolo uſcito dall'Egitto finì miſe- 44
ramente i ſuoi giorni entro il deſerto, perchè diſprezzando la
manna deſiderò la carne ch'a lui ſembrava una vivanda più
ſaporoſa. E la prima colpa di cui ſi coſtituirono rei i figliuoli Nº 9.
d'Eli, ella ſi fu che comandarono al miniſtro del gran Sa
cerdote di non prendere dal Sacrificio, com'era l' antica pra
tica, le carni già cotte, ma di procurarle crude, e cuocerle -
redit ; nonnunquam vero & abje ruſalem dicitur: hac fuit iniquitas
ctius eſt, quod deſiderat; & ta Sodomae ſoreris tua Superbia ,
men ipſo eſtu immenſi deſiderii ſaturitas panis, & abundantia ,
deterius peccat. Mortis quippe ſen aperte oſtenditur, quod ideirco ſa
tentiam Patris ore Jonathas me lutem perdidit, quia cum Superbie
ruit, quia in guſtu mellis conſtitu vitro menſuram moderate refectio
tum edendi tempus anteceſſit. Et nis exceſſit. Et Primogenitorum glo
ex Egypto populus eductus in ere riam Eſau amiſit, quia magno eſtu
mo occubuit, quia deſpecto manna deſiderii vilem cibum, ſcilicet len
ribos carnium petiit, quos lautiores ticulam, concupivit, quam, dum ven
putavit . Et prima filiorum Heli dendis etiam Primogenitis pretulit,
culpa ſuborta eſt, quod ex eorum uo in illam appetitu anhelaret ,
ºto Sacerdotis puer non antiquo mo indicavit. Neque enim cibus, ſed
rº coetas vellet de Sacrificio carnes appetitus in vitio ſt. Unde & lau
ºpere, ſed crudas querere, quas tiores cibos plerumque ſine culpa
accuratius exhiberet. Et cum ad Je ſumimus , abjectiore, non ſine rea
Lib. Ter. H h giº
242, D E L L A G O L A -
Lib. Ter. H h 2 A Re
A R T I G O L O S E S T O.
Della Ira .
(1) Iram nihilaliud eſſe quan ul tia excitat, alia, quam - i juſti
ti,
eiſcendi libidinem tie format. Illa ex vitio , hac ex
quamvis nonnunquam homo, ubivin virtute generantur . Si enim nulla
dićta nullus eſt ſenſus, etiam rebus ira ex virtute ſurgeret, Divine ani
inanimis iraſcatur, ut male ſcribentem madverſionis impetum Phinees per
ſtylum collidat, vel calamum fran gladium non placaſſet. Hanc iram,
gattiratus. Verum & iſta, licet ir quia Heli non habuit, motum con
rationabilior, tamen quedam ulciſ tra ſe implacabiliter ſuperne ultia
di libido eſt, 3 neſeio qua, utita nis excitavit. Nam quo contra ſubdi
dixerim, quaſi umbra retributionis, torum vitia tenuit, eo contra illum.
aut qui male faciunt, mala patian diſtrictio eterni Rectoris exarſit. De
tur. S. Aug. lib. 14. de Civ. Dei hac ira per Pſalmiſtam dicitur: ira
cap. 15. - -
ſcimini, & nolite peccare. Quod nimi
Alia eſt ira , quam impatien rum non rette intelligunt, qui iraſci
PloS -,
D E L L A I R A. 245
(1) nis ſonus ederetur? Itaque in fit, ſed inter ſe , qui judicant ,
primo unum eſt; "3. ira ſola ; conferunt , quo ſupplicio damnari
in ſecundo duo; ira, 69 vox, que oporteat, quem conſtat eſſe dam
iram ſignificat, in tertio tria; & ira, mandum ; Gehenna vero ignis nec
& vox, qua iram ſignificat, C in vo damnationem habet dubiam, ſicut
ce ipſa certa vituperationis expreſſio. Judicium, nec damnati panam ſi
Vide nunc etiam tres textus, Judicii, cut Concilium ; in Gehenna quip
Concilii, 6 Gehenne ignis. Ego pe ignis certa eſt & damnatio, 69'
autem dico vobis, quia omnis, qui pana damnati... Si iraſci fas non
iraſcitur fratri ſuo, reus erit Judi eſt fratri ſuo, aut dicere racha,
cio, qui autem dixerit fratri ſuo, aut dicere fatue, multo minus fas
Racha, reus erit Concilio ; qui eſt animo tenere aliquid, ut in odium
autem dixerit , fatue, reus erit indignatio convertatur. Ad quod
Gehenna ignis. Nam in Judicio pertinet etiam, quod alio loco dici
adhuc defenſioni, datur locus; ad. tur: non occidat Sol ſuper ira
Concilium " ſenten cundiam veſtram. S. Aug. lib. 2.
tie prolatio, quando non fam cum de Ser. Dom. in Mont. cap. 9.
ipſo reo agitur, utrum damnandus
JD E L L v4 I R AI. 247
dubbio ſono peccati mortali. I moti però improvviſi d'ira, S.Tho. 2.2.
e anche i deliberati, quando naſcono dall'appetito d'una leg- 4.158.art-3-
giera vendetta, ſono ſoltanto peccati veniali. La ira invec
chiara ſi chiama odio, ed è un omicida chi odia il Proſſimo. 1. Joan. 3.
Perciò molto meglio ſi è di non andare in collera, anche po- 15.
tendovi andar giuſtamente. ch'andarvi giuſtamente, e cangiar S. Aug. ep.
poſcia a poco e poco lo ſdegno in odio. Dal che ſi devono 149.
ſpecialmente guardare i Sacerdoti e i Prelati, come dimoſtra part.2. Paſt.
diffuſamente il Pontefice San Gregorio. cap. 6.
Naſcono dalla Ira le Riſſe, la Tracotanza, la Contumelia,
lo Schiamazzo, lo Sdegno, e la Beſtemmia. -
248 D E L L A I R A.
ib.5. Moral. detrimento, è ſenza dubbio peccato mortale; altramente ſarà
ºp. 39, ſolo veniale,
Lo Sdegno è un'agitazione dell'animo che rende alcuno
rattenuto a trattare ſamigliarmente, e diſcorrere con colui,
dal quale o realmente, o ſecondo la ſua apprenſione è ſtato
offeſo. E peccato mortale tutte le volte ch'include un nota
bile diſprezzo del Proſſimo, o arreca grave ſcandalo ai pupil
li, o eſclude dalla famigliarità, e priva d'ogni ſorta di ragio
namento come indegna qualche perſona in quelle occaſioni,
nelle quali porta il dovere di trattare famigliarmente, e di
ragionare. Similmente allorchè pone alcuno in così biaſime
vole diſpoſizione che non vuole in verun modo giovare al
ſuo Proſſimo, ſebbene ſi trovaſſe egli in alcuna grave neceſſi
Id. ibi. tà, o ſpirituale, o temporale.
La Beſtemmia è una violazione del Divino onore fatta col
mezzo di parole contumelioſe, ch'adopera colui ch'è traſpor
tato dalla collera, in oltraggio di Dio, o dei di lui Santi.
Intorno queſto peccato veggaſi ciò, che s'è detto nella ſpoſi
V.lib. 2 pag. zione del ſecondo Precetto del Decalogo.
42- Il rimedio efficace contro la ira è l'eſercizio della Pazien
za, della quale ſcriſſero a lungo molti Santi Padri, partico
larmente Tertulliano, San Cipriano, e Santo Agoſtino. Gio
verà molto per impegnarci a praticarla oltre il rifleſſo della
Paſſione di Gesù Criſto il farci a conſiderare che laddove la
Jac. 1- 2o ira ſerve d'impedimento per eſeguire i Divini Comandamen
Luc. 21. 19. ti, colla Pazienza all'incontro poſſederemo le anime noſtre,
ed erediteremo quanto s'è degnato prometterci il miſericor
Heb. 6. 12. dioſo Signore.
A RTI COL O VII ED ULTIMO,
Dell' Accidia. -
Acedia eſt quadam triſtitia ag- agere libeat. Hujuſmodi autem tri
- -- gravans, que ſcilicet ita depri- ſtitia ſemper eſt mala, quandoque
- mit animum hominis , ut nihil ei ſecundum ſe ipſam, quandoqueſe
fita
D E L 1. A C C I D I A. 249
( 1 ) Que ſint ipſa peccata, que (2) Sunt quedam, que leviſſima
ita impediunt perventionem ad Re- putarentur, niſi in Scripturis de
gnum Dei, ut tamen Sanctorum monſtrarentur opinione graviora .
amicorum meritis impetrent indul- Quis enim dicentem fratri ſuo
gentiam, difficillimum eſt definire. fatue reum Gehenna putaret, ni
Ego certe uſque ad hoc, tempus , ſi, Veritas diceret? Cui tamen vul
cum inde ſatagerem, ad eorum in- neri ſubjecit continuo medicinam
daginem pervenire non potui , 69 Preceptum fraterna reconciliationis
fortaſſis propterea latent , ne ſtu- adjungens. S. Aug Enchir. cap.
dium proficiendi ad omnia peccata 79.
cavenda pigreſcat. S.Aug. lib. 2o.
de Civ. Dei cap. ult. .
PER DIscERNERE I PECCATI. 253,
Accade ancora alle volte che certi peccati, quantunque ſie
no gravi ed enormi in ſe ſteſſi, a cagione del mal abito che
s'è acquiſtato in commetterli, o non ſembrano peccati, o al
più ſi ſtimano in guiſa leggieri che s'arriva per fino all'ec
ceſſo non ſolo di non tenerli occulti, ma di pubblicarli av
vertentemente, e di farſene pompa (1), Guardiamoci però at
tentamente da certe bilancie falſe, ſopra le quali ci facciamo
lecito di peſare ciò che vogliamo, e come vogliamo, e giudi
carlo in appreſſo, ſecondo che ci torna a grado, grave o lega -
giero (2). -
Laonde per non prendere abbaglio in materia di tanta im
rtanza, dalla quale può dipendere la eterna noſtra ſalute ,
deſiderabile ſarebbe che da Parrochi, da Confeſſori, dagli ſpirituali
Direttori ſi leggeſſero ſoltanto que libri di Criſtiana morale ch'
appoggiati ſpecialmente all'autorità delle Sacre Carte, e de'
Santi Padri eſpongono chiaramente il vero metodo per diſtin
guere con ſicurezza i peccati gravi dai leggieri; come v. g. le
Opere inſigni ch'ad iſtruzione de'Criſtiani, e a vantaggio della
Chieſa diedero in luce con tanto applauſo il P. Natale Aleſ
ſandro e il celeberrimo P. Daniel Concina. Ceſſerebbono for
ſe allora tanti vani contraſti di ridicole metafiſiche diſtinzio
ni, per cui altri dichiarano la tal' azione peccato mortale,
altri veniale, ed altri non ſolo eſente affatto da colpa , ma
ſe a Dio piace, anche meritoria: il che come poſſa in un
medeſimo ſoggetto, e nelle iſteſſe circoſtanze avverarſi, indo
vinalo tu. E intanto ſi vive in una craſſa ignoranza, ſi chiu
de gli occhi alla vera luce, e per impegno o di partito, o
di profunzione, s'inſinuano nelle anime de' Fedeli dottrine e
maſſime aliene affatto dai ſanti inſegnamenti del noſtro Di
vino Maeſtro. Noi frattanto per non isbagliare ſeguiremo le
regole più ſicure ch additate. ci vengono dai più ſani e accre--
ditati Maeſtri. -
(1)lo manere. Non ergo de neceſſi cant, aut faciant ; & ſi rei cerº
tate oportet tutiorem eligere, quando titudo non poſſit ad liquidum ap
etiam alia via poteſt eligi tuta. Sicut parere, debet omnino tutiorem par
enim diverſe vie tendunt ad unam tem fequi... . agitar enim deſum
Civitatem, licet una tutior alia ma re, cum de ſalute aterna tra
ſit ; ſic ad Civitatem iſtam alius &tatur; & facillinum eſt conſcien
ſie, alius ſic vadit, 6 tute, licet tiam erroneam exemplo aliorum in
aliquis tutiori modo. S. Anton. p. ducere, & eo modo, conſcientia non
i tit-3. de Conſc. cap. 1o. S. ro. remordente, ad eum locum deſcen
( 2 ) Si quis velit in tuto ſalutem dere, nbi vermis non moritur, Cº
fuam collocare, is omnino debet cer ignis non extinguitur. Card. Bel
tam veritatem inquirere, & non reſi lar. admon, ad Ep. Theat
picere quid multi hoc tempore di
262 R E G o L E
lorchè s'attengono a qualche depravata Oppinione? ch'abbrac
ciano per ſe medeſimi le più benigne Oppinioni, e le ſugge
riſcono agli altri? che finalmente mettono ogni lor cura affi
Pſal. 118. ne di ſottrarſi dall'oſſervanza de'Divini Comandamenti? Ah !
2. I . che tutti coſtoro già ſono maledetti da Dio, il quale li pu
nirà ſeveramente. Guai pertanto a quel pazzi Profeti che van
no dietro al loro ſpirito, e a ciò che non hanno veduto, fa
cendoſi lecito d'affermare ch Iddio ha perdonato, quando Id
dio è più adirato che mai. Guai a coloro, che cuciono de'
piumacci ſotto le aſcelle di tutte le braccia, e aecomodano de
Ezech.13.3. guanciali ſotto le teſte d'ogni perſona per ritrarne profitto -
18. Guai parimente a quegli altri, che dicono capriccioſamente ch'
il male è bene, e il bene è male, fanno delle tenebre luce, e
della luce tenebre; e miſchiano l'amaro col dolce, e il dolce
coll'amaro. Guai a chi ſcioccamente ſi luſinga d'eſſere ſavio,
Iſa.5.2o.2 i- e pieno di vana alterigia ſi da in preda al piacere. Ecco pe
rò che l'Inferno s'è ſmiſuratamente dilatato, e tanto s'è al
ibi. 14 largata la di lui bocca che non vi ſi ravviſa alcun termine -
E ben meritamente; atteſochè il Figliuolo di Dio, Gesù Cri
1.Cor.1.19. ſto predicato tra Criſtiani, non fu sì e nò, ma sì ſolamente ,
Si dee tuttavia confeſſare che nelle Queſtioni in cui ſi ri
cerca, ſe alcuna coſa ſia peccato mortale, quando non abbiaſi
eſpreſſa la verità, è molto pericoloſo il poter dare un accer
rata definizione. Imperciocchè l'errore ch induce alcuno a
non credere eſſere peccato mortale ciò ch'è peccato mortale,
quantunque poſſa forſe ſgravare in parte la di lui coſcienza,
non la ſcarica totalmente. L'errore poi, per il quale ſi cre
de eſſere alcuna coſa peccato mortale, quando non è morrale,
rende rea la coſcienza di chi l'intraprende, di peccato mor
tale. Sopra tutto però è pericoloſo il giudicare, allorchè la
verità onninamente non appariſce (1). Per la qual coſa oh
quanto è bearo quell'uomo che ſi trattiene giorno e notte a
Pal- 1. 2. meditare la Legge del Signore!
- Non laſcierò intanto di quì accennare che un peccato di
ſua
(1) Omnis Quaſtio, in qua de per non excuſat a toto, licet ſ" a
cato mortali queritur, niſi e preſe tanto. Error vero, quo creditur eſ
veritas habeatur, periculoſe deter- ſe mortale, ex conſcientia ligat ad
minatur, quia error, quo non cre- peccatum mortale. Precipue autent
ditur eſſe peccatum mortale, quod periculoſum eſt, ubi veritas ambi
eſº peccatum mortale, conſcientiamº guaeſi. S. Thom quodi. q 7. art. 2
PER DISCERNERE I PECCATI. 253
ſua natura veniale atteſo il pravo affetto e la malvagia diſ
poſizione del peccatore può talvolta divenire mortale, e ſi
milmente un peccato che riguardato in ſe ſteſſo è mortale,
tal'altra è ſoltanto veniale º ). Imperciocchè la gravità e
leggierezza de' peccati ſuole ſovente variare in virtù delle
circoſtanze, della perſona, del luogo, del tempo, della qua
lità, della lunghezza &c. come inſegnano concordemente tut
ti gli accreditati Teologi Moraliſti.
La quarta Regola è la propria Coſcienza. Noi ſiamo quin
di appoſtatamente avviſati nell'Eccleſiaſtico di preſtare pura cap. 32. 27.
credenza in tutte le noſtre operazioni ai ſuggerimenti dell'anima
noſtra affine di ben cuſtodire i Divini Precetti. Imperciocchè
tutto ciò che non ſi conforma alla fede, ch'è quanto a dire Rom. 14.23.
dri, noſtra
alla coſcienza,
è peccato. Per lacome
qualſpiegano
coſa noicomunemente i Santirego-
dobbiamo ſempre Pa a
264 R E G O L E
– --
PER DISCERNERE I PECCATI. 265
delle vere Regole delle umane operazioni, e che la medeſima
ſerve di direzione per ben diſcernere e giudicare quali fieno
peccati gravi, e quali leggieri. Noi dobbiamo pertanto met
tere una ſollecita cura affine d'avere ſempre preſenti alla me
moria i Divini Precetti e cuſtodirli eſattamente nel cuore.
ibi. 3. 1.
Quindi è ch'il Profeta caldamente ſi raccomandava al Signo Pſal. 7. 7.
re a concedergli forza d'eſeguire a dovere i ſupremi di lui
Comandamenti. Imperciocchè quando un uomo è peccatore
non può giammai divenire giuſto, ſe prima non ſi rivolge a
quella tal Legge, dalla quale onninamente dipende ch'alcuno
ſia giuſto, o peccatore (1). -
4
G A P I T O L O P R I M O,
Della Grazia.
Initium boni operis a Deo eſt. mini, ut qui ſibi potuit inſtituere,
Cur enim non totum tribuatur ho-. quod non habebat, ipſe quod inſti
2 tutt ,
D E L L A G R A Z I A'. 271
bene ch'egli aveſſe cominciato. Eppure ciò è manifeſtamente
contrario alle interrogazioni dell'Appoſtolo: coſa avete voi che 1. cor.47.
non abbiate da Dio ricevuta ? Se poi quanto avete voi, da Dio
l'avete ricevuto, perchè vene vantate, come ſe da lui non l'ave
ſte ricevuto ? La qual teſtimonianza è così efficace ch'eſſa prin
cipalmente traſſe d'inganno Santo Agoſtino, allorchè errava
nella Fede, malamente penſando che la Fede che c'induce a
credere in Dio, non foſſe un dono del medeſimo Dio, ma
foſſe in noi, e da noi derivaſſe, e ch'eſſa ci ſerviſſe di mezzo
per impetrare i doni di Dio, che ci muovono a vivere tem
peratamente, e giuſtamente, e piamente in queſto mondo (1).
Si deve credere in ſecondo luogo che la grazia di Dio non
ei vien conferita ſecondo i meriti noſtri , come empiamente
ſoſteneva Pelagio, e dopo di lui molti altri Ereſiarchi. Imper-S. Aus. Ep
ciocchè una volta ch'è grazia, neceſſariamente ne ſegue che º
non poſſiamo noi meritarla colle opere noſtre. Altramente la
grazia non ſarebbe più grazia, e ſe noi ci ſalviamo per la Rom. 11. 6.
grazia mediante la Fede, ciò non è da noi, ma è un dono
di Dio; non è in virtù delle opere noſtre, acciocchè niuno
prenda argomento di gloriarſene. -
Eph. 2. 8.9.
Si deve credere in terzo luogo ch' Iddio ci aſſiſte colla ſua
ſanta grazia in ciaſcheduna delle noſtre operazioni . Quindi è S. Aug Ep.
che l'Appoſtolo eſalta grandemente la detta grazia, la quale io7.
non ci viene già data per alcun noſtro merito, ma eſſa è che
concorre a rendere meritorie le noſtre operazioni. Non perchè,
dice egli, noi ſiamo da noi ſteſſi capaci di formare un buon pen 2. Cor. 3. 5.
fiero, ma tutta la noſtra ſufficienza a noi da Dio è comunicata
(2); eſſendochè nulla noi abbiamo del noſtro fuori della men
zogna e del peccato (3). A
(1) tuit, augeat, omnino non vi mus in hoc Seculo. S. Aug. lib. de
deo, niſi quia reſiſti non poteſt Di Prxd. SS. cap. 2.
vinis manifeſtiſſimis teſtimoniis.... (2).Apoſtolus commendat iſtam
Quid autem habes, quod non ac gratiam, que non datur ſecundum
cepiſti? Si autem accepiſti,quid glo aliqua merita, ſed efficit omnia bo
riaris , quaſi non acceperis? Quo na merita. Non quia idonei ſu
precipue teſtimonio etiam ipſe con mus, inquit, cogitare aliquid qua
victus ſum, cum ſimilitererrarem, ſi ex nobiſmetipſis, ſed ſufficien
putans Fidem, qua in Deum credi tia noſtra ex Deo eſt. Id. ibi.
mus, non eſſe li Dei, ſed a (3) Nemo habet de ſuo niſi menda
nobis eſſe in nobis, & per illam nos cium & peccatum . Conc. Arauſ.
impetrare Dei dona, quibus tem II. cap. 4.
peranter, Cy juſte, 69 pie viva
272 D E L L A G R A Z I v4.
A ciò potrebbe forſe taluno replicare: e che ? dunque le ope
razioni degli uomini giuſti non ſaranno elleno meritorie ? Sì
certamente una volta ch' eſſe ſono già fatte dagli ſteſſi uomi
ni giuſti. Ma ne medeſimi uomini giuſti non fu precedente
mente alcun merito, acciocchè eglino diveniſſero giuſti. Mer
cechè eglino diventarono giuſti quando furono giuſtificati, ma
giuſtificati, come ragiona l'Appoſtolo, gratuitamente per la gra
Rom. 3. 24 gia di Dio. Perfino lo ſteſſo Pelagio nel Concilio di Paleſtina
(giacchè in altra maniera non avrebbe egli potuto evitare la
pena dovuta alla ſua temerità) ſcomunicò coloro, che ſoſtene
vano che la grazia di Dio ſi conferiſce ſecondo i meriti; ben
chè in appreſſo null'altro ſi ritrovi di più frequente ne' di lui
Scritti, e in quelli de'di lui Seguaci, ſe non che ſi da anche
la grazia ſecondo i meriti (1).
Del reſto tanto è vero che ſempre concorre la grazia a ren
dere meritoria ciaſcheduna delle noſtre operazioni ch anche la
ſteſſa Orazione biſogna calcolarla tra i doni della grazia .
ibi. 3. 26. Noi non ſapiamo, diceva il Dottor delle Genti, ciò che dobbia
mo pregare, nè come ci conviene pregare , ma è lo Spirito Santo
che s' intramette per noi con indicibili ſoſpiri. E coſa mai inte
ſe di ſignificare l'Appoſtolo colle parole lo Spirito Santo s'in
tramette, ſe non che lo Spirito Santo ci porge aiuto nelle no
ſtre preghiere? Con che eſprimeſi così chiaramente l'aſſiſtenza
che noi riceviamo nelle noſtre Orazioni dallo Spirito Santo,
ch'a lui ſteſſo s'attribuiſce quello ch'egli ad operarci conduce
(2). Per queſta ragione ci dichiara apertamente Gesù Criſto
Joan. 15.5- che noi ſenza di lui nulla poſſiamo operare. Sia adunque poco ,
OV -
276 D E L L A G R A Z I A'.
iſo coſa poſſano riſpondere a un tal queſito coloro, che volendo
-difendere con umane congetture la giuſtizia di Dio, e igne
- rando l'altezza della di lui grazia, hanno ſoltanto teſſute del
le favole inſuſſiſtenti (1). - -
N
273 P E L L A G R A Z I A..
Pſal. 22. 6. la di lui miſericordia m'accompagnerà tutti i giorni della mia
s. Aug. in vita (1). Noi adunque ſiamo incapaci di rivolgerci a Dio col
Pſal. 58. la noſtra volontà, ſe egli amoroſamente non ci previene, e ci
Pſal. i 18. ajuta. Deh però o Signere porgeteci benignamente il voſtro
I 17. ajuto, e noi ſaremo ſalvi. -
(1) Dicit mihi º" ergo agi- perator..::: Non enim adjutor eſt
mur, non agimus. Reſpondeo, imo ille, ſi nihil agatis, non enim coo
& agis, & ageris. Et tunc, bene perator eſt ille, ſi nihil operamini.
agis , fi a bono agaris . Spiritus S. Aug.Ser. 13. de verb. Apoſt.
enim Dei, qui te agit, agentibus (2) Voluntas libera tanto eſt libe
adjutor eſt. Ipſum nomen adju- rior, quanto ſanior ; tanto autem
toris preſcribit tibi , quia & tu ſanior, quanto, Divina Miſericor
ipſe aliquid agis. Adjutorem uti- dia , gratieque ſubjectior. Liber
que invocas Deum . Nemo adjuva - tas enim ſine gratia non eſt liber
tur i ab illo nihil agatur.... Si tas, ſed contumacia. S. Aug. ep.89.
non eſſes operator, ille non eſſet coo
D E L L A G R A Z I v4. 281
come inſegna Santo Agoſtino. Quegli pertanto, a cui è con- Ep. 1o7.
ceduta la grazia d' una tal Miſericordia, non ha verun mo
tivo di gloriarſi del propri ſuoi meriti; ſtantechè eſſa non è
conferita in premio delle operazioni, acciocchè niuno s' inſu
perbiſca. Quegli all'incontro, contro cui Iddio eſercita il ri
gore di ſue vendette, non ha giuſta occaſione di lamentarſe
ne, da che è egli caſtigato a tenore de' ſuoi demeriti, giac
chè Adamo, in cui tutti hanno peccato, ſenza dubbio è anco
ra punito in ciaſcuno de' ſuoi diſcendenti. Donde però naſca
ch' Iddio uſi miſericordia più toſto ad uno che ad altro, non
ceſſerò mai di ripetere : o uomo chi ſei tu che hai la temerità
di diſputarla con Dio ? Non v'è accettazione di perſone in Rom. 9. 2o.
due debitori egualmente rei, ſe ad uno ſi rilaſcia ciò che s'
eſige rigoroſamente dall'altro. Chi è liberato ha baſtante ar
gomento di rendere le più umili grazie; e chi è punito non
ha ragione di dolerſene; perchè ambedue le Divine diſpoſi
zioni ſono rettiſſime, ravviſandoſi in eſſa la miſericordia e la
giuſtizia (I).
Quante alla grazia ſufficiente, che ſi dia tal ajuto il quale
mette l'uomo in iſtato di potere ſempre a ſuo piacimento ben
operare, arditi furono di negarlo Lutero e Calvino, ai quali V. L' Her
molti aggiungono Gianſenio Veſcovo d'Ipri, benchè non man-min.tract.de
chino altri che l'eſentano da tal errore. Ma noi Cattolici con- Grat.
venghiamo nell'affermare che Dio è fedele, il quale non per
mette giammai che noi ſiamo tentati ſopra le noſtre forze; e
ci dà tutte le volte nelle tentazioni in tale abbondanza la 1. Cor. Io.
grazia che poſſiamo ad eſſe reſiſtere. Su queſta ragione ap I 3.
pog
S. Aug. lib. E per verità ogni qualvolta noi crediamo coſtantemente ch'
de Nat. & Iddio ſia giuſto e buono, non ha luogo il ſoſpetto, ch'ei ab
ºp- 43- bia potuto obbligarci a coſe impoſſibili. Per queſto non ci
ſarà giammai imputato a delitto ciò ch'involontariamente igno
riamo, ma ciò ſoltanto che deriva da volontaria noſtra man
Cana
(1) Tollitur Dei auxilium abiis, ne ati noluit, cum ſine ulla poſſet
qui indigni ſunt, ut quia non ſen- difficultate, ſi vellet . Id ſi alta -
ſerunt Deum per beneficia, ſentiant tem, ſi quis ſciens rette non facit,
per ſupplicia. S. Hier. in cap. 5. amittat ſcire, quid rectum ſit ;
Iſa. C qui rette facere , cum poſſet,
(2) Illa eſt pena peccati juſtiſſi- noluit, amittat poſſe, cum velit .
ºma, ut emittat quiſque , quo be- S. Aug. lib. 3. delib. arb. cap. 18.
D E L L A G R A Z I A. 287
ſenza che foſſero da lui eſaudite le ſue orazioni; e lo ſven
turato Eſaù del quale atteſta l'Appoſtolo che non trovò luogo Hebr. 12.
di penitenza, avvegnachè ricercato l'aveſſe colle ſue lacrime. I 17.
Non fia però mai ch'alcuno di noi col darſi in preda del
vizio s'eſponga a pericolo di ſperimentare in ſe ſteſſo in mo
do così terribile la Divina indignazione. Per la qual coſa u
ſiamo pure ogni ſtudio affine di renderci degni ch Iddio ſegua
a profondere ſopra di noi la ſanta ſua grazia, la quale chiun
que ama veramente di meritare, di ritenere, di riacquiſtare,
non può al certo valerſi di mezzo più efficace che di non
preſumere mai, ma di temer ſempre di ſe medeſimo avanti
al Divino coſpetto. Imperciocchè beato è quell'uomo, che tut
tora è timoroſo (1). Così noi verremo ad aſſicurare la noſtra Prov.28.14.
eterna ſalute, da che il miſericordioſo Signore ſecondo il ſuo
beneplacito ſi compiacerà d'operare in noi il volere e il per
fezionare. - Philip.2.13.
Non mi reſta ora ch'a foggiungere alcuna coſa intorno la
Giuſtificazione, la quale è il principale e il più nobile effetto
della ſteſſa grazia; e però ſarà bene d'avvertire che ſotto ta
le nome vari eſſendo i ſignificati di eſſo nelle Sacre Carte, noi
non intendiamo preſentemente ch' un interno rinnovamento, V. L' Her
per via del quale l'uomo ch'era privo della grazia ſantificante, min. trattae
paſſa ad eſſerne poſſeſſore. Dopo la promulgazione del Vangelo Jºſt.
niuno può ricevere detto rinnovamento ſe non ſia battezzato, Trid.Seſſ. 6.
o abbia almeno il deſiderio d'eſſerlo, da che ſta ſcritto che cap. 4.
colui il quale non è rinato d'acqua e di Spirito Santo, non può ſoan 3. 5.
entrare giammai nel Regno di Dio. -
( 1 ) In veritate didici nihil eſſe ram Deo non altum ſapere, ſed ti
aque effieax ad gratiam promeren- mere. Beatus homo, qui ſemper
dam, retinendam , recuperandam, eſt pavidus . S. Bern. Sas 53. in
quam ſi omni tempore inveniaris co- Cant.
2,88 D E L L A G R A Z I vA'.
vertirſi, con acconſentire liberamente e cooperare alla medeſima gra
zia ſi diſpongano alla loro giuſtificazione. Quindi è che ſtabili
ſce il medeſimo Concilio nei Canoni III e IV della ſteſſa
Seſſione, che l'uomo moſſo e aiutato dalla grazia Divina opera
alcuna coſa, la quale gli ſerve di diſpoſizione e preparamento per
conſeguire la grazia della giuſtificazione. La ragione è chiariſſi
ma. Concioſiachè ſe nella giuſtificazione degli adulti non ſi
richiedeſſe qualche atto previo della volontà loro, e non a
veſſero eglino alcuna parte nella medeſima , invano ci ſenti
remmo intimare nelle Scritture che ſe amiamo di convertirci ſin
ceramente a Dio, ci è forza di togliere dai noſtri petti gli Dei
1. Reg.7.3. ſtranieri, e d'apparecchiare i noſtri cuori al Signore, che ſpetta
Prov. 16. 1. all'uomo di preparare la ſua anima, che ſe alcuno aprirà la por
APoc 3 2o ta al Signore, egli entrerà ſubito a lui, e inutilmente ancora
ſarebbono ſpeſſe fiate nelle medeſime rimproverati i peccatori,
perchè meſſe in non cale le Divine ammonizioni, e inſenſi
bili alle Divine chiamate traſcurano di convertirſi.
Ella è poi coſa certa ch'allora ſi diſpongono gli adulti al
la grazia della giuſtificazione, quando eglino eccitati e aſſiſti
ti dalla Divina grazia concependo la Fede ch'hanno ricevu
ta per via dell'udito, ſi portano liberamente a Dio con cre
dere non ſolamente che ſono vere quelle coſe che da Dio fu
rono rivelate e promeſſe, ma ancora che da Dio ſi giuſtifica
. l'empio colla di lui grazia, e in virtù della Redenzione ope
rata da Gesù Criſto; e quando conoſcendo d' eſſere peccatori
paſſano dal timore della Divina giuſtizia, dal quale ſono util
mente agitati, a conſiderare la Divina Miſericordia, e ſi met
tono in iſperanza che Dio atteſi i meriti di Gesù Criſto ſarà
loro favorevole; e cominciano ad amarlo come fonte vero di
Giuſtizia; e da ciò prendono motivo d' abborrire e deteſtare
- il
D E L E A G R A Z I Af. 289
il peccato per via della penitenza, che ſono tenuti a praticare
avanti il Batteſimo, quando finalmente propongono di riceve
re il Batteſimo, di menare una nuova vita, e d'oſſervare i Di
vini Comandamenti ( 1 ). Le diſpoſizioni adunque che ſi ri
chiedono negli adulti per ricevere la grazia della giuſtificazio
ne nelle acque Batteſimali (affermeremo lo ſteſſo anche della
grazia ſantificante, che ſi viene a conſeguire col mezzo del Sa
cramento della Penitenza) ſono inſieme colla Fede il timore ,
la ſperanza, la dilezione almeno incoata di Dio, l' odio e la
deteſtazione dei peccati, il deſiderio di ricevere il Sacramento
del Batteſimo, il proponimento infine d'oſſervare con eſattez
za i Divini Precetri. -
DD. com.
E qui non voglio omettere di notare ch'i moderni No
vatori iono in un manifeſto errore, mentre difendono teme
rari che per la Giuſtificazione del peccatori baſta la ſola Fede .
Imperciocchè nella ſteſſa mariera parlano le Sacre Carte del
le altre opere buone che della Fede, e ſiccome in alcuni paſ
ſi pare ch'eſſe attribuiſcano la Giuſtificazione degli empi ſoltan
to alla Fede, in vari altri luoghi pare altresì che le medeſi
me la rifondano unicamente in alcuna delle altre opere buo
ne. Laonde ficcome ſi egge della Fede che col cuore ſi crede
per far acquiſto della Giuſtizia, parimente ſi legge per eſempio Rom. 1o. 1o.
ch'il timore diſcaccia i peccati, e che alla Maddalena furono Eccli. 1. 27
perdonate molte colpe, perch' ella avea molto amato. Del reſto Luc. 7. 47.
intanto s' aſcrive più frequentemente nelle Scritture alla Fe
de che alle altre opere buone la Giuſtificazione, perchè la Fe
de è propriamente il principio della umana ſalute, la radice,
º il fondamento della grazia ſantificante, giacchè ſenza d'eſº Hebr. 11. 6.
ſa è impoſſibile di piacere a Dio, e d'entrare nel numero dei
di lui figliuoli. (2). Se alcuno pertanto audacemente affer
maſſe che la giuſtificazione dell'empio dipende dalla ſola Fe
de, intendendo con ciò che non ſi ricerca veruna altra ",
3
(1) nem, hoc eſt, per eam poeniten tium, 6 omnis juſtitia radix, º
tiam, quam ante Baptiſmum agi fundamentum, ſine qua impoſſibi
oportet ; denique dum proponunt le eſt placere Deo, C ad fi orº
ſuſcipere Baptiſmum, inchoare no ejus conſortium pervenire. Id.ibi.
vam vitam , & ſervare Divina cap. 8. -
(2) Fides eſt humane ſalutis ini pium juſtificari , ita ut intelligat
Lib. Ter. O o
29o D E L I A G R A z I A.
la quale concorra a far conſeguire la grazia della giuſtificazio
ne, e che in niun modo è neceſſario che l'empio medeſimo
vi ſi prepari e ſi diſponga cogli atti della ſua volontà, abbia
ſi per iſcomunicato ( 1); come pur anche è ſcomunicato co
lui, il quale diceſſe che la Fede giuſtificante non è in ſe ſteſ.
ſa ch'una Fiducia nella Divina Miſericordia, la quale atteſi i
meriti di Gesù Criſto rimette i peccati, oppure che detta Fi
ducia è la ſola cauſa della noſtra giuſtificazione (2),
Allorchè però in forza degli atti delle allegate virtù ſucce
de nel peccatore la Giuſtificazione, la di lui anima rimane af
fatto libera e purgata da ogni peccato, che per innanzi enor
memente la deturpava. Quindi è ch' empiamente propugnano
con audacia i Proteſtanti che nella Giuſtificazione i peccati de
gli uomini non ſieno realmente rimeſſi e ſcancellati, volendo
eglino che reſtino ſoltanto raſi, e coperti. Ma chi ſarà quell'
ardito, ſe non è un Infedele, che ſi ſottoſcriva alla loro per
verſa opinione? Dobbiamo adunque noi ſoſtenere all'incontro
ch'il Batteſimo diſcaccia onninamente tutti i peccati, e li
toglie in maniera che non ne rimane alcun veſtigio (3); e
nella guiſa appunto ch'in Gesù Criſto è ſeguita una vera mor
te, in noi ſiegue altresì una vera remiſſione dei peccati; e
ſiccome crediamo in quello una vera Riſurrezione, così credia
mo ancora in noi una vera giuſtificazione (4),
Non per altro infatti è venuto il Figliuolo di Dio che per
1. Joan.3, 8, disfare le opere del Demonio; e già a lui rendono teſtimo
nianza tutti i Profeti che chiunque crede in lui, in virtù del
Act 1o, 43, ſuo nome riceve la remiſſione del peccati. Per queſto prote
Pſal 5o 9, ſtava il Re Davide che ſe il ſuo Signore l'aveſſe aſperſa
ralla
zy2 D E L L A G R A Z I A.
Ne vi ſia chi ardiſca aſſerire cogli ſteſſi Ereſiarchi eſſere
neceſſario che coloro i quali veramente ricevono la grazia
della Giuſtificazione, ſenza punto eſitare ſi fiſſino nella mente
d' avere già ricevuta una tal grazia, e che quegli ſoltanto re
ſti aſſolto da ſuoi peccati che crede immobilmente d'eſſere
ſtato aſſolto e giuſtificato, in maniera che dipènda così mi
rabile effetto unicamente dalla Fede, come ſe chi omette di
credere ciò, ſi moſtri dubbioſo delle Divine promeſſe e della
efficacia della morte e della Riſurrezione di Gesù Criſto. Im
perciocchè ſiccome niuno deve giammai dubitare della Divi
na Miſericordia, dei meriti di Gesù Criſto, e del valore e
della forza dei Sacramenti; così chiunque rivolge l'occhio ſo
pra ſe ſteſſo, e ſi mette a conſiderare la ſua propria infermità
e debolezza, può ragionevolmente avere paura e timore di
non eſſere in grazia, ſul riguardo che niuno può ſapere colla
certezza infattibile della Fede d'avere acquiſtata la Divina ri.
Luc. 7. 47, conciliazione ( 1 ). -
Niuno adunque può dire entro ſe ſteſſo con ſicurezza, ſup
(*) Matt 9 poſto che non ne aveſſe avuta una particolare rivelazione,
2
(i) Luc. 7. come accadette al Paralitico (a) e alla Maddalena (b) ram
47. memorati nel Vangelo: il mio cuore è mondo, io ſono affatto
i rov. 2o. 9. eſente da ogni peccato, perchè pur troppo è vero che vive
ſempre l'uomo nella incertezza, ſe ei ſia degno d'amore, ov
Eccl. 9. 2. vero d'odio. Concioſiachè per quanto uno s'eſerciti in opere
buone, deve riflettere che può avere macchiata la ſua anima
di qualche occulto delitto, del quale ſarà aſtretto a rendere
conto, allorchè comparirà al Tribunale del Divin Giudice, a
- Cul
Della Predeſtinazione,
( ! )nis, gratia eſt. Quod autem de diftum eſt : tradidit illos Deus,
ſequitur: qua praparavit Deus, ut in reprobam mentem, ut faciant,
in illis ambulemus, Praedeſtinatio. qua non conveniunt, non il i pec
eſt, que ſine Praeſcientia non po catum Dei eſt, ſed fudicium. Quo
i ſi eſſe, poteſlautem eſſe ſine Prae circa Pradeſtinatio Dei, que in bo
deſtinatione Pra ſcientia . Prede no eſt, gratia eſt, ut dixi, pre
ſtinatione quippe Deus ea preſci paratio. Gratia vero eſt ipſius ſ"
vit, qua fuerat ipſe fatturus, un deſtinationis effectus. S.Aug. lib.
de dictum eſt, fecit , qua futura de Praed. SS. cap. 1o. -
Lib. Ter. P p
-- ---
Intelligamus vocationem , qua ego elegi vos, miſt quia non ele
fiunt eletti, non qui eliguntur, gerunt eum , ut eligeret eos, ſed
quia crediderunt, ſed qui eligun ut eligerent eum ; elegit eos, quia
tur, ut credant . Hanc enim & Miſericordia eius prevenit eos ſe
I Pominus ipſe ſatis aperit, ubi di cundum gratiam , non ſecundum
cit: non vosme elegiſtis, ſed ego debitum. Elegit ergo eos de mundo,
elegi vos. Nam ſi propterea elecii cum hic ageret in carne , ſed jam
erant, quoniam crediderant , ipſi electos in ſe ipſo ante mundi con
eum prius utique elegerant creden ſtitutionem. Hac eſt immobilis ve
do in eum, ut eligi mereremtur . ritas predeſtinationis & gratiae....
Auſert autem hoc omnino, qui di Electi ſunt itaque ante mundi con
cit : non vos me elegiſtis, ſi ego ſtitutionem ea predeſtinatione, in
elegi vos. Et ipſi quidem procul qua Deus ſua futura fatta preſci
dubio elegerunt eum , quando cre vit, eletti ſunt autem de mundo
diderunt in eum. Unde non ob a 'iud ea vocatione, qua Deus id, quod
dicit: non vos me elegiſtis , ſed predeſtinavit, implevit. Quos enim
pre
DE LL.A PREDESTIN. a z1oN E. 299
deſtinò, coloro ſteſſi ancora chiamò con una vocazione, che
foſſe corriſpondente alle ſue determinazioni. Non chiamò a
dunque altri, ma coloro ch'avea prima predeſtinati; ſiccome
non altri giuſtificò, ma coloro ch'avea prima così chiamati ;
nè finalmente ad altri diede la corona e la gloria, ſe non a
quei medeſimi ch'avea antecedentemente predeſtinati, chiama
ti, e giuſtificati ( 1 ). Ond'è che parlando coerentemente l'
Appoſtolo ſcriveva ai Romani: eſſere la Predeſtinazione un'º- Cap. 9. 16.
pera non di chi vuole, nè di chi corre, ma della Miſericordia
di Dio.
Acciocchè però non tragga quindi alcuno motivo di ricer
care d'onde derivi che queſti ſia eletto, quegli abbandonato,
queſti ſia chiamato in maniera che ſiegue la chiamata, quegli
o non ſia aſſolutamente chiamato, o non lo ſia nello ſteſſo
modo, rifletta che ſono imperſcrutabili alla mente umana i
Divini giudici. Ciò ch'hanno a tenere tutti i Fedeli, egli ſi
è ch'uno è predeſtinato, e l'altro nò. Imperciocchè ſe foſſero
Iſtati de'noſtri, proteſtava un predeſtinato che ſtando appoggia 1.Joan.2.19.
to al petto del Signore era giunto a penetrare il gran ſegre
to, ſarebbono certamente rimaſti con eſſo noi. E coſa viene a ſi
gnificare mai queſto? D'onde naſce cotal differenza? Sono a
perti i Libri Divini, non li perdiamo di viſta. Parla la San
ta Scrittura, e noi aſcoltiamola. Tali uomini non furono
del numero di coloro, perchè non furono chiamati ſecondo il
Divino beneplacito; non furono eletti in Criſto prima della
creazione del mondo; non ottennero la ſorte d'eſſere in lui;
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i Libro. a .
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Carità verſo Dio. comandata; co
me, e quando dobbiamo noi pra
Ccettazione delle perſone. con ticarla 33. V. tutto il S.
traria alla giuſtizia 15o. Carità verſo il proſſimo. come de
Accidia. in che conſiſta 248. ſuoi veſi praticate 43. V. tutto il S.
effetti 25o. conſiderazioni per Cautela. neceſſaria per operar con
evitarla 251. prudenza 14o. -
P
| Beni altrui. come abbianſi a cu
ſtodire 62.
Continenza. in che conſiſta, e co
me ſi divida 17o.
Contumelia. quando peccato mor
Beſtemmia. coſa ſia 248. tale 247. -
- - - ri .
i I L.
ndo.
nella ſue ſpecie ivi. s oppone Uomo . fempre incerto del fuo
Dio alla umiltà 216. vizi che ne pro ſtato 3o2
a
º
.
-
* ± •
•
º i
! 4
- -
oi i , roº , a
-
****…!!!!!!…
~ ~ ~ ~!) = - • ••► ► ►►
- - - - - -
— — — —)|- :)
:— • • • •)
*** --★ → → → →
·---- *** -ae).
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-ae !-----
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