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La clientela dei banchi pubblici napoletani al tempo di Carlo di Borbone

(1734-1759) 1
di
Vittoria Ferrandino

1. Banchi e societaÁ nella Napoli di metaÁ Settecento

Controllati dal governo e sostenuti dal popolo, i banchi pubblici napoletani si


svilupparono in un ambiente in evoluzione 2. In Carlo di Borbone, giunto a Napoli

1
Desidero ringraziare i dirigenti e il personale dell'Archivio Storico del Banco di Napoli
che, diversi anni fa, mi consentirono di raccogliere la mole di dati da cui ho estratto la parte
relativa alla clientela dei banchi, in particolare il vicedirettore Eduardo Nappi, il dott. Umberto
Mendia e la dott.ssa Cornelia Del Mercato, per i preziosi consigli sulla raccolta e sull'interpre-
tazione dei dati. Mi sia consentito di ricordare il prof. Domenico Demarco, la cui vita di
studioso si eÁ confusa in buona parte con quella dell'Archivio (D. Demarco, Il Banco di Napoli.
L'archivio storico:le opere e i giorni, Napoli, 1997), che ha sempre sottolineato l'importanza di
conoscere «l'abbicci della contabilitaÁ» da parte di «chi si accinge a compiere ricerche sostanziose
in quella documentazione» (D. Demarco, Il Banco di Napoli. L'Archivio storico: la grammatica
delle scritture, Napoli, 2000). Un grazie va, infine, al prof. Ennio De Simone, la cui pubblica-
zione sul Banco della PietaÁ di Napoli costituisce, ancor oggi, un fondamentale punto di riferi-
mento nell'approccio alla contabilitaÁ dei banchi pubblici napoletani (E. De Simone, Il Banco
della PietaÁ di Napoli, 1734-1806, Napoli, 1974).
2
Tra la fine del Cinquecento e la prima metaÁ del Seicento, a Napoli, si assistette alla
nascita di ben otto banchi pubblici, tutti appartenenti ad opere pie: il Monte e Banco della PietaÁ
(1584), il Monte e Banco dei Poveri (1606), il Banco della SS. Annunziata o Ave Gratia Plena
(1587), il Banco di Santa Maria del Popolo (1589), il Banco dello Spirito Santo (1590), il Banco di
Sant'Eligio (1592), il Banco di San Giacomo e Vittoria (1597); l'ultimo, in ordine di tempo, il
Banco del Santissimo Salvatore (1661), sorse per iniziativa degli appaltatori (o arrendatori, come
allora si dicevano con voce di derivazione spagnola) della gabella della farina (sulle origini dei
banchi pubblici napoletani, v. R. Filangieri, I banchi di Napoli dalle origini alla costituzione del
Banco delle Due Sicilie (1539-1808), Napoli, 1940, pp. 31-64; D. Demarco - E. Nappi, Nuovi
documenti sulle origini e sui titoli di credito del Banco di Napoli, in «Revue Internazionale d'Hi-
stoire de la Banque», n. 30-31, 1985; D. Demarco, Il Banco di Napoli dalle casse di deposito alla
fioritura settecentesca, Napoli, 1996, pp. 12 e ss.; idem, Il Banco di Napoli. L'Archivio storico: la
grammatica delle scritture, cit., pp. 1-7). Di questi banchi, soltanto il Banco della SS. Annunziata
fallõÁ nel 1702; gli altri sopravvissero fino alla fusione nel Banco delle Due Sicilie (1809), divenuto,
nel 1863, Banco di Napoli (D. Demarco, Storia del Banco di Napoli, vol. II, Il Banco delle Due
Sicilie (1808-1863), Napoli, 1958).

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nel 1734, si vedeva l'iniziatore di un'etaÁ di riforme. Con lui si rafforzava il senso
dello Stato contrapposto alla nobiltaÁ ed al clero e si concretizzava il desiderio di un
Regno indipendente 3. Intorno al 1740, con la ripresa del ciclo economico, seguita
alla depressione dei decenni precedenti, la cittaÁ di Napoli fece registrare un note-
vole sviluppo demografico 4. Mentre nelle province del Regno, il popolo, in mag-
gioranza agricoltori e pastori, viveva in condizioni quanto mai precarie 5, la miseria
nella capitale si sopportava piuÁ facilmente grazie ai privilegi concessi alla cittaÁ.
L'amministrazione locale esentava i cittadini napoletani dal pagamento di parecchi
tributi (in particolare, le imposte dirette) 6 e garantiva loro provviste di pane e di

3
E. Pontieri, Aspetti e tendenze dell'assolutismo napoletano, in «Il riformismo borbonico
nella Sicilia del Sette e dell'Ottocento», Roma, 1945, pp. 8-9, 14-15; R. Moscati, I Borboni in
Italia, Napoli, 1970, pp. 39-43; A. D'Ambrosio, Storia di Napoli dalle origini ad oggi, Napoli,
1976, p. 152; I. Zilli, Carlo di Borbone e la rinascita del Regno di Napoli: le finanze pubbliche,
1734-1742, Napoli, 1990; M. Santillo, La stagione dell'assolutismo riformatore nel Regno di
Napoli, in «Il pensiero economico moderno», anno XIII, n. 4, ottobre-dicembre 1993, pp.
73-100.
4
Nel 1734, il Regno contava 3.004.562 abitanti, di cui 270.000 a Napoli, passati a
442.000 nel 1798 rispetto ai complessivi 3.953.098 (C. Petraccone, Napoli dal Cinquecento
all'Ottocento. Problemi di storia demografica e sociale, Napoli, 1974, pp. 130-135). La concen-
trazione della popolazione nella cittaÁ di Napoli era tale che «il troppo gran numero di popolo che
vi regnava...cagionava miseria al popolo stesso» (A. Lepre - C. Petraccone, Il Settecento, in
«Storia, arte e cultura della Campania», a cura di M. Donzelli, Milano, 1976, p. 100).
5
Colpiti da imposte di ogni tipo, sottoposti ai soprusi dei baroni, del clero e dei tribunali, i
contadini erano oppressi dalle condizioni del contratto detto «alla voce», in base al quale
ricevevano denaro in anticipo ad ottobre sul raccolto futuro ed incerto e si obbligavano a
consegnare il prodotto al prezzo fissato a luglio in una riunione di negozianti, prestatori ed
agricoltori. Si trattava della vendita di un frutto immaturo ed incerto, dietro anticipazione: si
acquistava il prodotto (grano, olio, vino ecc.) prima che venisse a maturazione, in base ad un
prezzo o «voce» fissato al momento del raccolto, quando cioeÁ l'aumento dell'offerta causava un
ribasso del loro valore. Il vantaggio per i negozianti, invece, era notevole, in quanto anticipavano
il denaro ai contadini al momento di dare inizio alla semina o ad altre attivitaÁ agricole, quando
l'assoluto bisogno di denaro obbligava questi ultimi ad accettare qualsiasi condizione, limitando i
benefici che essi avrebbero potuto trarre da un'attivitaÁ produttiva diretta a soddisfare un ampio
mercato di consumo (G. M. Galanti, Della descrizione geografica e politica delle Sicilie, a cura di F.
Assante e D. Demarco, Napoli, 1969, II, pp. 161-162; 442; G. Aliberti, Economia e societaÁ da
Carlo III ai Napoleonidi (1734-1806), in «Storia di Napoli», vol. VIII, pp. 117-118).
6
Il sistema tributario nel Regno si presentava fortemente vessatorio. Vi erano due tipi di
imposizioni: diretta e indiretta. Le principali imposte dirette erano i «fiscali», detti anche
testatico o focatico, che colpivano le famiglie del Regno (escluse quelle della capitale), oltre
l'«adoa», un tributo in denaro dovuto dai feudatari in sostituzione del servizio militare; il
«relevio» e lo «jus tappeti», pagati dai feudatari quando succedevano nel feudo; il «valimento»,
dovuto dagli stranieri e dai sudditi assenti sui beni che possedevano nel Regno; la «bonate-
nenza», pagata alle amministrazioni cittadine, o «universitaÁ», per i fondi posseduti nel loro
territorio da forestieri. Le «decime», invece, erano pagate dai contadini al clero, in misura
diversa da un luogo ad un altro, e potevano colpire tutti i beni di loro proprietaÁ. Le imposte
indirette, che garantivano un gettito maggiore, erano costituite da dazi e gabelle che colpivano i
consumi vitali, scoraggiando la produzione ed ostacolando i traffici. Tra queste si distinguevano
quelle diffuse in tutto il Regno, che avevano ad oggetto la seta, il ferro, l'olio e il sapone, l'oro e

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olio per prevenire tumulti popolari 7. Ma al di laÁ dello squilibrio esistente tra la
capitale e le province, il problema piuÁ difficile da risolvere era l'enorme «baratro»
che si era creato tra il popolo ed i vertici della piramide sociale (nobiltaÁ, clero, ceto
civile). Il governo dei Borbone, infatti, oscilloÁ sempre tra il desiderio di giovare ai
cittadini e quello piuÁ intenso «di non alienarsi l'animo dei nobili e del clero». PercioÁ
«tutte le leggi emanate e tutte le riforme non sortirono l'effetto desiderato» 8.
D'altra parte, il Regno presentava strutture economico-sociali che avevano resistito
per secoli a ogni tentativo di ammodernamento, sicche non si poteva pretendere che
in venticinque anni si completasse lo svecchiamento del paese. Sotto il profilo
istituzionale, per esempio, coesistevano nella capitale due distinti meccanismi di
direzione economica. Da un lato, quello volto a governare l'economia del Regno,
posto alle dipendenze della Regia Camera della Sommaria, una sorta di organismo
che accentrava in se le funzioni che oggi vengono svolte dal Ministero delle Finanze
e da quello del Tesoro. Dall'altro lato, l'amministrazione cittadina faceva capo al
Tribunale di San Lorenzo, o come pure si diceva, la CittaÁ, gestito dagli eletti (i
rappresentanti dei vari seggi nobili, piuÁ il rappresentante popolare) 9, ed alle nume-

l'argento ed altre merci, e quelle proprie della cittaÁ di Napoli, come la gabella delle carni, che si
riscuoteva alla macellazione degli animali; quella sul vino a minuto, pari alla terza parte del
prezzo di vendita; quella del pane «a rotolo», che consisteva nella privativa di vendere il pane al
minuto (L. Bianchini, Storia delle finanze, cit., pp. 138, 204-205, 311-312; G.M. Galanti, Della
descrizione geografica e politica, cit., I, pp. 378-379, 419-420, 422-423; M. Schipa, Il Regno di
Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Milano-Roma-Napoli, 1923, II edizione, pp. 107-108). La
quasi totalitaÁ di questi tributi era stata appaltata, dietro pagamento di una somma annua, ai
privati. L'«arrendatore» riscuoteva i tributi per proprio conto, traendone un certo margine di
guadagno, oltre a rifarsi della spesa del fitto. I tributi potevano anche essere alienati a privati sia
con il patto di ricompra, per cui il governo poteva riscattare in ogni momento le imposte cedute,
sia «in solutum», sistema con il quale il governo perdeva il diritto alle imposte (L. De Rosa, Studi
sugli arredamenti nel Regno di Napoli, Napoli, 1958, pp. 3 e ss). Vi erano, infine, i donativi,
imposte straordinarie corrisposte dall'amministrazione cittadina in determinate occasioni (il
matrimonio del re o la nascita di un figlio) e coperte in genere con aumento delle imposte
indirette (L. Bianchini, Storia delle finanze, cit., p. 371; G.M. Galanti, Della descrizione geografica
e politica, cit., I, pp. 342-344, 395-396).
7
La cittaÁ provvedeva all'annona granaria mediante una deputazione, che curava l'acquisto
dei grani, la loro molitura, la vendita delle farine e la panificazione, appaltata ai panettieri. Per
l'olio, invece, l'approvvigionamento e la distribuzione furono affidati dal 1776 agli appaltatori
«dell'oglio e sapone» e dal 1787 ad una deputazione. Nel 1799, l'annona granaria e quella olearia
furono affidate ad un'unica deputazione. Soltanto nel 1804, fu permesso il libero commercio (L.
Bianchini, Storia delle finanze, cit., pp.369-372, R. Bouvier - A. Laffargue, Vita napoletana nel
XVIII secolo, Bologna, 1960, pp.p. 26).
8
R. Trifone, Feudi e demani. Eversione della feudalitaÁ nelle province meridionali, Milano,
1909, p. 32.
9
A Napoli, nel secolo XVIII, si contavano cinque «piazze», ossia cinque gruppi nobiliari:
Capuana, Nido, Montagna, Porta e Portauova. Le piazze nominavano un eletto, tranne quella
del Nido che ne nominava due. Vi era anche una «piazza del popolo», la sesta, che proponeva al
sovrano i candidati fra i quali egli sceglieva i capitani e i procuratori delle «ottine», che costi-
tuivano i 29 distretti in cui era divisa la cittaÁ (M. Schipa, Il Regno di Napoli, cit., II, p. 30).

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rose deputazioni ordinarie e straordinarie, una sorta, potremmo dire oggi, di asses-
sorati, incaricati dell'amministrazione di singoli settori 10.
Con la preziosa collaborazione del marchese Montealegre, Ministro degli af-
fari esteri, militari ed ecclesiastici, e del toscano Bernardo Tanucci, cui fu affidata,
inizialmente, l'amministrazione della giustizia ma che, in seguito, diventeraÁ il
perno intorno al quale ruoteraÁ tutta la vita politica del Regno, il sovrano diede
avvio ad un periodo di riforme, sicuramente ardite per quei tempi e percioÁ difficili
da attuare 11. Lo spirito del secolo era, ormai, ostile al persistere di quei privilegi
che si erano trasformati sempre piuÁ in abusi.
La lotta anticlericale inizioÁ con gli uomini della prima generazione, con «l'ar-
dente falange antivaticana» e soprattutto con Gaetano Argento, che mirava alla
restrizione del diritto d'asilo e di altri eccessi della giurisdizione ecclesiastica,
nonche alla riduzione della durata dell'enfiteusi, contratto al quale, in genere,
ricorreva il clero per la bonifica ed il dissodamento delle sue immense proprietaÁ.
Nello stesso ambito si mosse Pietro Giannone, che propugnoÁ, tra l'altro, la ridu-
zione del foro ecclesiastico, l'abolizione di ogni forma di inquisizione, l'invaliditaÁ
giuridica delle scomuniche non riconosciute dall'autoritaÁ regia, l'estensione delle
imposte a tutti i beni del clero, il divieto a questo di compiere nuovi acquisti, la
prestazione volontaria delle decime 12. Con il Concordato con la Santa Sede, sti-
pulato nel 1741, fu fatto un grande passo in avanti nella questione delle esenzioni
tributarie, sceverandosi i beni ecclesiastici da quelli laicali dei chierici, che vi erano
stati confusi, e sottomettendo i vecchi possessi ecclesiastici alla metaÁ dei tributi
comuni ed i nuovi acquisti all'intero 13. Il foro ecclesiastico vide limitate le sue
competenze, il numero dei sacerdoti ammessi nel Regno fu stabilito a non oltre
dieci per ogni mille abitanti; il diritto di asilo venne ristretto alle sole Chiese ed
ammesso solo per i colpevoli di reati non gravi; il re pretese che la pubblicazione

10
G.M. Galanti, Della descrizione geografica e politica, cit., I, pp. 130-131; R. Bouvier-A.
Laffargue, Vita napoletana, cit., pp. 26-28.
11
R. Ajello, La civiltaÁ napoletana del Settecento, in «CiviltaÁ del `700 a Napoli», (1734-
1799), IV, Firenze, 1979, pp. 17-18; R. Bouvier-A. Laffargue, Vita napoletana, cit., p. 119.
12
B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari, 1965, pp. 170-171.
13
Questo principio fu acquisito con il nuovo Catasto generale del Regno, avviato nel 1740.
Il nuovo catasto («onciario», perche la valutazione dei beni veniva fatta in once, antica unitaÁ di
peso e moneta di conto), basato sulla descrizione dei beni (immobili, censi, capitali investiti in
commercio, animali) e la tassazione della loro rendita, mirava a realizzare una perequazione
fiscale. Esso, peroÁ, era redatto sulla base delle dichiarazioni dei proprietari (rivele) e non sui dati
della stima peritale dei fondi, come avveniva con il catasto lombardo. Le esenzioni ed i privilegi
della proprietaÁ feudale, la sperequazione tra i ricchi ed i poveri (per cui piuÁ si era ricchi, meno si
pagava), la conferma del tributo personale sulla testa e sulle braccia del lavoratore, il complesso
meccanismo per la ripartizione dei tributi, gli apprezzi sommari ed approssimativi dei beni
stabili, erano tutti elementi che praticamente vanificavano quello che era stato l'obiettivo della
riforma catastale (L. Bianchini, Storia delle finanze, cit., p. 309; M. Schipa, Il Regno di Napoli,
cit., II, p. 117; A.M. Rao, Il Regno di Napoli, cit., p. 76; D. Demarco, Momenti della politica
economica, cit., p. 25).

60
degli atti pontifici e le censure dei vescovi fossero subordinati alla sua approva-
zione 14.
Non mancarono i tentativi per cercare di ridurre la potenza politico-giurisdi-
zionale ed economica del baronaggio. Con un dispaccio del 1737 si limitarono
molte potestaÁ e le facoltaÁ dei baroni di graziare nei reati di omicidio, furto, falsitaÁ;
si limitoÁ il numero degli armati alle loro dipendenze; fu abolito l'uso secondo il
quale i contadini non potevano vendere i loro prodotti se non dopo che il signore
locale avesse venduto quelli delle proprie terre; furono aboliti la riscossione dei
pedaggi e il divieto di fabbricare mulini nelle terre feudali 15. Sembrava, peroÁ, «che
tra colui che emanava le leggi e coloro che dovevano rispettarle corresse un tacito
accordo, quello cioeÁ di non tenerne conto e di fare come se giammai gli ordini
fossero stati emanati» 16, in quanto mancavano la vigilanza del governo, la sempli-
citaÁ delle norme procedurali, l'autonomia dell'alta e della bassa magistratura. An-
che per questi motivi, in genere, soltanto i grandi feudatari, laici o ecclesiastici,
investivano nell'acquisto di feudi per accrescere il loro potere; i soggetti economici
piuÁ deboli si vedevano maggiormente protetti dall'acquisto di arredamenti e par-
tite di fiscali 17, essendo dotati di garanzia reale e massima liquiditaÁ e per questo
tutelati dalla magistratura e dal sovrano 18.
Il cosiddetto «ceto civile» era costituito da negozianti, benestanti, arrenda-
tori, appaltatori di opere pubbliche, mediatori, cambiatori, uomini di legge e
medici. Era un ceto ± come scrive Schipa ± «superiore a' piuÁ bassi strati sociali,
fornito anch'esso di privilegi, con spesso nobili a compagni, superbo o disdegnoso
verso il punto di origine, anelante ad un titolo nobiliare come a una meta suprema,
conflitto in gran parte nei congegni amministrativi» 19. La categoria piuÁ fiorente ed
attiva era quella dei «capitalisti», rappresentati principalmente dagli arrendatori e
dai commercianti. Non bisogna, infatti, considerare gli arrendatori come pigri
rentiers, categoria in cui si potevano comprendere tutt'al piuÁ gli «assegnatari» di
rendite, ma non i «consegnatari» la cui rendita era in diretto rapporto con la

14
Ibidem, p. 1881-182. Il negato omaggio della «chinea», cioeÁ l'aperto disconoscimento
della relazione di vassallaggio del Regno di Napoli verso la Santa Sede, combattuta giaÁ con
argomenti storici e giuridici sin dal principio del secolo, sembroÁ suggellare l'opera fin allora
eseguita. Essa consisteva nell'omaggio di una mula bianca, che il 28 giugno di ogni anno, il re di
Napoli offriva con solenne cerimonia, con il relativo censo (A.M. Rao, Il Regno di Napoli nel
Settecento, Napoli, 1984, p. 63).
15
L. Bianchini, Storia delle finanze, cit., p. 344; R. Ajello, La vita politica napoletana, cit.,
p. 539; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825, Milano, 1861, p. 166.
16
R. Trifone, Feudi e demani, cit., p. 33.
17
Gli arrendamenti e le partite di fiscali costituivano i titoli del debito pubblico di allora,
in quanto attribuivano al possessore una rendita prelevata dall'esazione delle imposte. Coloro
che acquistavano una partita di arrendamento ceduta in solutum si dicevano «consegnatari»,
mentre quelli che l'avevano in garanzia di un credito verso lo Stato o la CittaÁ si dicevano
«assegnatari» (B. Capasso, Catalogo ragionato dei libri, registri e scritture esistenti nella sezione
dell'Archivio municipale di Napoli (1387-1806), Napoli, 1876, p. 65).
18
R. Ajello, La vita politica napoletana, cit., pp. 549-551.
19
M. Schipa, Il Regno di Napoli, cit., II, p. 195.

61
riscuotibilitaÁ e l'entitaÁ dell'affitto di tali arredamenti ed al netto delle relative
spese di amministrazione, il che comportava un diretto interesse dei consegnatari
a che l'arrendamento fosse il piuÁ fruttuoso possibile. Particolarmente favorito era
il ceto mercantile della capitale, per il commercio del grano e dell'olio, che costi-
tuivano la parte rilevante dell'intera produzione agricola del Regno 20. L'accesso al
credito era agevolato da un tasso di interesse del 3 per cento circa, rispetto all'8-9
per cento che in genere si praticava su altre piazze del Regno, come Gallipoli, Bari
ed Otranto; si poteva usufruire, inoltre, della franchigia dal pagamento dei dazi e
delle gabelle, sia regie che baronali e comunali, nonche dal pedaggio per il transito
su ponti, passi ecc 21. I grandi commercianti di grano napoletani speculavano es-
senzialmente sulla differenza di prezzo tra campagna e cittaÁ: essi tenevano in
pugno le sorti dell'azienda contadina, con quel particolare sistema di finanzia-
mento che era il contratto «alla voce». Infatti, l'agricoltore, non solo poteva rovi-
narsi a causa di una produzione scarsa e quindi dell'impossibilitaÁ di consegnare la
merce, quanto poi, specie quello piuÁ povero, cominciava a vendere a prezzi bassi
anche prima del raccolto, contribuendo a riempire i magazzini dei negozianti, che a
fine raccolto diventavano essi stessi venditori, facendo concorrenza ai coltivatori.
Eliminati in tal modo i produttori dal mercato, i commercianti restavano gli unici
proprietari delle derrate alimentari. SiccheÂ, nonostante l'«assisa», cioeÁ la preven-
tiva fissazione dei prezzi da parte delle autoritaÁ annonarie, allo scopo di impedire
qualsiasi arbitrio, i commercianti erano praticamente liberi, salvo in particolari
occasioni di gravi carestie o epidemie, di vendere le derrate in condizioni di miglior
favore, oppure di farne incetta per venderle al momento opportuno 22.
Per cercare di migliorare le condizioni del commercio fu istituita, nel 1735, la
Giunta per il Commercio, i cui componenti furono scelti tra legali e negozianti 23,
con il compito di individuare una serie di provvedimenti, che solo in parte il nuovo
governo riuscõÁ ad attuare. Quattro anni dopo, essa fu trasformata nel Supremo

20
Si trattava di quel ceto che la pubblicistica contemporanea definisce con il termine di
«monopolisti napoletani», definizione che rende bene i due caratteri distintivi del commercio
soprattutto cerealicolo: il fatto che esso costituisca una cerchia di interessi ristretti e che,
attraverso l'uso di diverse funzioni ed istituzioni pubbliche, agisca in regime di monopolio; in
secondo luogo, la caratteristica politica «napoletana» di questo gruppo di potere, del quale erano
ben noti i legami con quell'insieme di rendita parassitaria, di finanza speculativa e di poteri
pubblici che costituiva il nucleo dirigente della cittaÁ di Napoli (P. Macry, Economia e societaÁ,
cit., p. 325). L'ideale di questo nuovo ceto non era quello di nobilitarsi, di acquistare il titolo
come spesso accadeva per i forensi, ma si trattava di un'ambizione piuÁ realistica e piuÁ concreta:
non il titolo, non il feudo, ma la terra o meglio «la proprietaÁ» (P. Villani, Mezzogiorno tra riforme e
rivoluzione, Bari, 1976, p. 162).
21
G. Aliberti, Economia e societaÁ, cit., p. 116.
22
M. Schipa, Il Regno di Napoli, cit., II, p. 204; G. Aliberti, Economia e societaÁ, cit., p.
118.
23
La Giunta per il Commercio fu costituita da Orazio Rocca, presidente, dall'avvocato
fiscale della Sommaria, Matteo de Ferrante, dal consigliere capo-ruota Francesco Ventura, dal
presidente Domenico Carovita e dai negozianti Francesco Mele, Gennaro Antonio Brancaccio,
Bartolomeo Rota (M. Schipa, Il Regno di Napoli, cit., II, pp. 93-94).

62
Magistrato del commercio, un vero e proprio organismo di governo, in cui dove-
vano essere fusi tutti gli altri tribunali minori che avevano competenza in materia
commerciale 24. Contemporaneamente all'istituzione del Supremo Magistrato del
Commercio vennero ristrutturati ed incrementati i consolati di mare che, con il
nome di «Consolati di terra e di mare», divennero il primo grado di giurisdizione
del nuovo tribunale, competente a giudicare tutte le cause che per qualunque
ragione riguardassero il commercio 25. Ma l'eccessivo potere del nuovo tribunale
andava a ledere le competenze delle corti feudali, sicche si giunse all'abolizione dei
consolati di mare di recente creazione, conservando soltanto quelli preesistenti alla
riforma e riducendo le competenze di questi ultimi e del Supremo Magistrato al
solo commercio estero 26.
Paolo Mattia Doria forniva, nel 1740, con la memoria «Del commercio del
Regno di Napoli», una delle analisi piuÁ chiare e realistiche di questi problemi.
«Napoli ± scriveva ± abbonda di denaro, ma di denaro morto ed inutile alla
societaÁ» 27. Infatti, la maggior parte del numerario del Regno che, verso la metaÁ
del secolo XVIII, ascendeva ad oltre 19 milioni di ducati 28, si era «funestamente»
arrestato nella capitale 29, dove veniva impiegato in arrendamenti, «gente di li-
vrea», cuochi e «mode straniere» oppure depositato presso i banchi pubblici 30.
Strumento principale dell'attivitaÁ dei banchi pubblici napoletani fu il cosid-
detto «servizio apodissario», che ne fece dei veri e propri istituti di circolazione.
Essi ricevevano in deposito qualunque somma di denaro e rilasciavano fedi di
credito, ossia titoli nominativi girabili, che spesso contenevano, nella girata, il
motivo del trasferimento (causale) o una condizione (fede condizionata). Queste
annotazioni rendevano la fede di credito un vero e proprio contratto ed il banco un
ufficio di notaio: infatti, tale documento costituiva una prova legale, dato che, per

24
Ibidem, II, pp. 93-104; R. Bouvier - A. Laffargue, Vita napoletana, cit., pp. 125-130.
25
D. Demarco, Momenti della politica economica di Carlo e Ferdinando di Borbone, in
«CiviltaÁ del `700 a Napoli, 1734-1799», vol. I, Firenze, 1979, p. 24.
26
A.M. Rao, Il Regno di Napoli nel Settecento, cit., p. 75.
27
Cit. in R. Ajello, La vita politica napoletana, cit., p. p. 564. Eppure non poche risorse
furono investite nella realizzazione di importanti opere pubbliche, come i lavori di ampliamento
del porto, la sistemazione delle strade della Marinella e di Mergellina, l'avvio dell'edificazione
dell'Albergo dei Poveri, la costruzione del teatro San Carlo, della reggia di Portici, di una villa
reale a Capodimonte e della reggia di Caserta (P. Colletta, Storia del Reame di Napoli dal 1734 al
1825, Milano, 1861, p. 60; M. Schipa, Il Regno di Napoli, cit., II, pp. 277-278; R. Ajello, La vita
politica napoletana, cit., p. 583; G. Doria, Storia di una capitale. Napoli dalle origini al 1860,
Napoli, 1963, pp. 200-201).
28
F. Galiani, Della moneta, Napoli, 1780, pp. 275-403. La moneta corrente nel Regno di
Napoli era il ducato, che si divideva in tarõÁ, carlini, grana (o grani), tornesi e cavalli. Un ducato
equivaleva a 5 tarõÁ, un tarõÁ a 2 carlini, un carlino a 10 grana, un grano a 2 tornesi ed un tornese a
6 cavalli. Quindi un ducato era pari a 5 tarõÁ, a 10 carlini, a 100 grana, a 200 tornesi ed a 1.200
cavalli. Nel luglio del 1861, il ducato fu ragguagliato a lire italiane d'argento 4 e 25 centesimi (A.
Martini, Manuale di metrologia, ossia pesi, misure e monete, Torino, 1883).
29
G. Filangieri, La scienza della legislazione, a cura di P. Villani, Firenze, 1864, pp. 247-
248.
30
G. M. Galanti, Della descrizione geografica e politica, cit., II, p. 211.

63
suo tramite, era possibile verificare la data, la somma ed i motivi del pagamento
effettuato. Se la fede non veniva girata, poteva essere trasformata in «madrefede»:
il cliente, infatti, poteva emettere una o piuÁ polizze, il cui importo e nome del
creditore venivano annotate nella madrefede e che, quindi, prendevano il nome di
«polizze notate in fede». Fra depositante e banco si instaurava, cosõÁ, un vero e
proprio rapporto di conto corrente e le polizze «notate in fede» non erano altro che
degli assegni bancari. Le fedi di credito venivano emesse per somme non inferiori
ai 10 ducati, mentre per somme non maggiori di ducati 9 e grana 66 si emetteva un
altro titolo detto «polizzino sciolto» 31.
Con l'istituzione della madrefede e col generale riconoscimento della diligenza
ed esattezza con le quali le relative scritture erano tenute 32, il ricorso ai depositi
presso i banchi si era andato moltiplicando. I banchieri privati, le pubbliche am-
ministrazioni, i monasteri, le chiese, le grandi case della nobiltaÁ e del commercio,
gli avvocati ed anche i piuÁ modesti cittadini aprirono conti presso di essi. I banchi
non corrispondevano alcun interesse al depositante, ma cioÁ nonostante l'opera-
zione di deposito era particolarmente diffusa per la duplice funzione di costituire
un utile mezzo di custodia del denaro per i depositanti e di facilitare i pagamenti
mediante le fedi e le polizze di banco 33.
Ben presto i banchi ampliarono la loro attivitaÁ a diverse operazioni di credito.
Non solo parte del patrimonio mobiliare proprio ma anche parte dei depositi venne
impiegata in operazioni attive: si trattava di mutui gratuiti allo Stato, alla muni-
cipalitaÁ napoletana o ad opere pie; investimenti nell'acquisto di immobili urbani o
fondi rustici o di rendite costituite, sia pubbliche (partite di arredamenti, di fiscali
e di adoe) che private (indicate con la generica dizione di «annue entrate») 34, oltre
che prestiti su pegno con interesse e senza interesse 35. Nel 1734 risultavano de-
positati presso i banchi napoletani quasi 4,8 milioni di ducati, aumentati a ben

31
A. Somma, Trattato de' banchi nazionali del Regno delle Due Sicilie, Napoli, 1884, p. 73;
N. Palmieri, La fede di credito del Banco di Napoli, Spoleto, 1915, pp. 41 e ss.; E. De Simone, Il
Banco della PietaÁ, cit., p. 111.
32
Non eÁ qui il caso di soffermarci sulla contabilitaÁ dei banchi pubblici napoletani. Basta
ricordare che con il termine «contabilitaÁ patrimoniale» s'intende far riferimento a investimenti,
rendite e spese dell'istituzione, mentre con il termine «contabilitaÁ apodissaria» si indica quella
riguardante i rapporti con i depositanti (per tutto questo v. E. De Simone, Il Banco della PietaÁ,
cit., pp. 49-66; D. Demarco, Il Banco di Napoli, L'Archivio storico: la grammatica delle scritture,
cit., passim).
33
M. Rocco, De' banchi di Napoli e della lor ragione, Napoli, 1785, parte I, pp. 56-64, parte
II, pp. 50-56, 90-102; R. Filangieri, I banchi di Napoli dalle origini alla costituzione del Banco delle
Due Sicilie, 1539-1808, Napoli, 1940, p. 2;
34
Ai contratti di mutuo ipotecario si dava la forma di vendita con patto di ricompra e
l'interesse era costituito dalla cessione temporanea delle rendite. Si parlava cosõÁ di «compra di
annue entrate» per i mutui attivi e di «vendita di annue entrate» per quelli passivi (E. Tortora,
Raccolta di documenti storici e delle leggi e regole concernenti il Banco di Napoli, Napoli, 1882, p.
LXXVII).
35
C. Maiello, La crisi dei banchi pubblici napoletani (1794-1806), GeneÁve, 1980, pp. 24-25;
D. Demarco, Il Banco di Napoli. L'Archivio storico: la grammatica e le scritture, cit., pp. 71-184.

64
11,2 milioni nel 1759, ma nonostante la fiducia ispirata dalle opere pie che eserci-
tavano l'attivitaÁ bancaria, i governatori 36 dei banchi reputavano piuÁ opportuno
avere una liquiditaÁ tale da metterli al sicuro da eventuali «correrie» dei depositanti.
Nel 1734, per esempio, il contante in cassa era pari all'83,13 per cento dei depositi
e nel 1759 al 74,03 per cento 37. Tra questi, quello di Sant'Eligio faceva registrare,
nel 1734, una riserva del 97,98 per cento, ridottasi a poco piuÁ del 91 per cento
venticinque anni dopo; nello stesso periodo, gli altri banchi detenevano contante
in cassa comunque superiore al 50 per cento 38. In valori assoluti, i depositi piuÁ
consistenti si registravano, nel 1734, presso il Banco dello Spirito Santo, con ben
1.254.408 ducati, e presso i banchi di San Giacomo e del Santissimo Salvatore,
con oltre 700.000 ducati ciascuno. Alla fine del Regno di Carlo di Borbone, era il
Banco del Popolo ad avere ben 2.754.314 ducati, seguito dai banchi di San Gia-
como e dello Spirito Santo, che facevano registrare depositi superiori a 1.800.000
ducati, e dai banchi di Sant'Eligio e del Santissimo Salvatore, dove i depositi
oscillavano tra 1,5 e 1,6 milioni di ducati 39. Se si prendono in considerazione il
numero e la consistenza dei depositi, escludendo soltanto i pochi conti «interni»,
ossia intestati all'amministrazione stessa dell'istituto, nel 1734, se ne potevano
contare ben 48.164, per un importo complessivo di quasi 4,8 milioni di ducati,
aumentato, nel 1759, a ben 11,2 milioni di ducati per un totale di 82.830 conti 40.
Le preferenze della clientela erano distribuite in modo piuÁ o meno uniforme tra i
sette banchi, anche se si puoÁ evidenziare una maggiore affluenza presso il Banco
dei Poveri, per la sua collocazione in uno dei quartieri piuÁ affollati della cittaÁ;
presso il Banco di San Giacomo, per il ruolo da esso rivestito di «banco di corte» e
presso il Banco dello Spirito Santo, per l'ubicazione dell'istituto nella elegante e
sontuosa via Toledo, che accoglieva tra i suoi abitanti gran parte del ceto nobile e
della cosiddetta «nobiltaÁ secondaria».
Se si considera che a metaÁ Settecento la cittaÁ di Napoli contava intorno a

36
L'amministrazione dei banchi, nonche delle opere pie annesse, era affidata a dei «go-
vernatori» (o «protettori» come venivano definiti presso il Banco della PietaÁ). Essi erano sette e
venivano nominati dal re: soltanto nel Monte dei Poveri, i governatori erano nominati con libera
elezione e voto segreto, dai membri della fratellanza (E. Tortora, Nuovi documenti per la storia
del Banco di Napoli, Napoli, 1890, p. 300). Per quanto riguarda il rinnovamento istituzionale del
Sacro Monte e Banco dei Poveri, v. P. Avallone, Stato e banchi pubblici a Napoli a metaÁ del `700.
Il Banco dei Poveri: una svolta, Napoli, 1995.
37
L'ammontare dei depositi dei clienti non comprende i depositi registrati nei conti
intestati al Monte o al Banco, ossia le somme a disposizione dell'amministrazione dell'istituto
(E. De Simone, I banchi pubblici napoletani al tempo di Carlo di Borbone: qualche aspetto della loro
attivitaÁ, in Banchi pubblici, banchi privati e monti di pietaÁ nell'Europa preindustriale. Amministra-
zione, tecniche operative e ruoli economici, Atti del Convegno, Genova, 1-6 ottobre 1990, Ge-
nova, MCMXCI, pp. 522-523, 537; cfr. F. Balletta, La circolazione della moneta fiduciaria a
Napoli nel Seicento e nel Settecento (1587-1805), Napoli, 2008, pp. 137-144, 170-176).
38
E. De Simone, I banchi pubblici napoletani al tempo di Carlo di Borbone: qualche aspetto
della loro attivitaÁ, cit., p. 537.
39
Ibidem, p. 523.
40
Ibidem, p. 538.

65
300.000 abitanti 41, il consistente numero di conti acceso presso i banchi, anche
tenendo presente che nei fogli iniziali dei libri contabili vi erano spesso centinaia di
conti di modesto importo, relativi a depositi non piuÁ reclamati, fornisce un'idea
della loro importanza nella vita economica e sociale del Regno. Essi, grazie alla
diffusione della fede di credito, andarono acquistando una sempre piuÁ spiccata
caratteristica di servizio di cassa pubblica e privata, poiche registravano, oltre ai
movimenti finanziari delle grandi amministrazioni del Regno, anche i piccoli paga-
menti riguardanti i piuÁ elementari bisogni domestici. Se si prende in considerazione
la distribuzione dei conti per classe di ampiezza, si nota la prevalenza di quelli con
saldo finale inferiore a 100 ducati, che si riducevano nel numero man mano che si
saliva a classi di importo piuÁ elevato. Al 31 dicembre del 1734, se ne contavano ben
41.061, ossia piuÁ dell'85 per cento del totale, per un ammontare complessivo di
appena 565.833 ducati, pari a meno del 12 per cento dei depositi, con una media di
14 ducati. I conti il cui importo superava i 5.000 ducati erano appena 73, pari allo
0,15 per cento del totale, per un importo totale di oltre un milione di ducati, ossia il
21 per cento dei depositi, con una media di 13.753 ducati. Le classi intermedie, con
saldi tra 100 e 1.000 e tra 1.000 e 5.000 ducati, comprendevano un numero
piuttosto consistente di conti (6.327 e 703, pari al 13,14 e all'1,46 per cento),
con un ammontare complessivo di oltre 3,2 milione di ducati, pari a piuÁ dei due
terzi dei depositi. Alla fine del Regno di Carlo di Borbone la situazione era rimasta
quasi immutata per cioÁ che riguarda il numero dei conti appartenenti a ciascuna
classe, mentre gli importi di quelli inferiori a 100 ducati erano aumentati a quasi il
15 per cento del totale e quelli dei conti da 5.000 ducati e oltre a quasi il 32 per
cento dei depositi. Per conseguenza, l'incidenza degli importi registrati nelle classi
intermedie si era ridotta dal 67,14 al 53,34 per cento del totale dei depositi, anche
se il numero complessivo dei conti aveva superato le 11.000 unitaÁ 42.
Questa circostanza non deve indurre a pensare che la maggioranza della
clientela fosse costituita da persone che si servivano dei banchi per effettuare
depositi di pochi ducati, poiche il saldo finale del conto spesso era il risultato di
una movimentazione notevole, a differenza di saldi piuÁ consistenti che spesso si
riscontravano in capo a persone sõÁ facoltose, ma che si servivano dei banchi sol-
tanto per operazioni sporadiche. L'esame socio-professionale della clientela, con-
dotto sulla base dei conti dei libri maggiori dei creditori 43, fornisce parecchie

41
C. Petraccone, Napoli dal Cinquecento all'Ottocento. Problemi di storia demografica e
sociale, cit., pp. 130-135.
42
E. De Simone, I banchi pubblici napoletani al tempo di Carlo di Borbone: qualche aspetto
della loro attivitaÁ, cit., p. 539.
43
Esso costituiva il principale libro della contabilitaÁ apodissaria, in cui venivano accesi o,
come si diceva, «intavolati» i conti intestati ai depositanti; ogni pagina aveva un numero che
fungeva da numero del conto. In pratica, erano libri mastri, con i conti divisi in due sezioni:
nell'avere venivano registrati i versamenti (introiti) e nel dare i prelevamenti (esiti). Nell'avere si
annotava anche il tipo di deposito, la data dell'operazione, il modo di versamento, se in contante
o con fede, la somma versata ed il numero del conto del girante. In dare veniva segnata la data, il
nome del giratario al quale si effettuava il pagamento, il numero del conto del giratario e la

66
notizie sul tipo di depositanti e sulle operazioni effettuate. La ricerca ha compor-
tato l'esame di migliaia di conti per raggiungere una soddisfacente approssima-
zione 44. Ciascun cliente, in genere, non teneva conti presso un solo banco, ma
spesso intratteneva rapporti con piuÁ di un istituto, alimentando cosõÁ le operazioni
di riscontro tra i banchi stessi 45.

2. I nobili ed i «monopolisti napoletani»

Tra i clienti dei banchi pubblici napoletani, in particolare tra quelli del Banco
dello Spirito Santo, si ritrovano i piuÁ illustri nomi della nobiltaÁ napoletana. Molti
di essi non esercitavano alcuna attivitaÁ direttamente produttiva, per cui tali conti
accolgono le riscossioni delle loro rendite ed il pagamento delle spese per il loro
decoro e mantenimento. Molti, infatti, vivevano di arredamenti, fiscali, decime e
censi e «disdegnavano l'economia e il commercio» 46.
Ma vi erano anche nobili che, nella qualitaÁ di protettori, si avvicinavano al

somma prelevata; il conto a fine pagina presentava un saldo che poteva essere creditore o
debitore a seconda che ci fosse una eccedenza di avere o di dare; quest'ultimo caso, peroÁ, si
verificava raramente. Del libro maggiore si faceva lo «spoglio», ossia il bilancio, due volte
all'anno, a fine luglio ed a fine dicembre. I due periodi erano, dunque, impropriamente chiamati
semestri, essendo costituiti da sette e da cinque mesi ciascuno. L'operazione di spoglio si
divideva in due fasi: nella prima, il razionale ed i suoi aiutanti procedevano alla chiusura del
vecchio libro, determinando, per ogni conto, il saldo e tralasciando i conti spenti; nella seconda,
gli impiegati o «ufficiali» procedevano alla riapertura dei conti nel libro nuovo sulla base del
«bilancio dei creditori o bilancione», un elenco dei saldi dei conti creditori. Al libro maggiore dei
creditori era annessa la «pandetta», che conteneva, in ordine alfabetico, l'indice dei nomi dei
clienti seguiti dai cognomi con il numero di affogliamento del corrispondente libro maggiore,
dove era registrato il credito del cliente (M. Rocco, De' banchi di Napoli, cit., pp. 15-16; E. De
Simone, Il Banco della PietaÁ, cit., pp. 50-53; D. Demarco, Il Banco di Napoli. L'Archivio storico:
la grammatica delle scritture, cit., pp. 206-210).
44
La ricerca eÁ stata svolta presso l'Archivio Storico del Banco di Napoli, accompagnata da
qualche indagine presso l'Archivio di Stato di Napoli, procedendo per quinquenni, dal 1734 al
1759. Naturalmente non sono state seguite le vicende di tutti i clienti e d'altronde cioÁ sarebbe
stato difficile per il numero considerevole di conti e per l'imponente mole di documenti dispo-
nibili. I conti seguiti sono stati scelti sulla base di alcune considerazioni, quali la maggiore
movimentazione o la consistenza dei fondi depositati. Spesso, peroÁ, questi due elementi coinci-
devano, in quanto i conti piuÁ movimentati appartenevano a persone ed enti che avevano depo-
sitato le somme piuÁ consistenti. Sono stati rilevati i saldi finali del primo semestre (quindi, saldi
iniziali del secondo semestre), cui sono stati sommati algebricamente gli accreditamenti e gli
addebitamenti del secondo semestre, giungendo cosõÁ al saldo finale al 31 dicembre di ciascun
anno preso in considerazione.
45
Con periodicitaÁ settimanale, i banchi operavano la compensazione dei reciproci rapporti
di credito e di debito (G. Petroni, De' banchi di Napoli, Napoli, 1871, p. 57). Nel periodo
intercorrente tra una riscontrata e la successiva, le fedi di riscontro venivano tenute in cassa
come denaro contante, siccheÂ, come oggi si direbbe, erano considerate valori numerari assimilati
e non giaÁ presunti, come sarebbe stato necessario essendo quelle fedi dei titoli di credito.
46
G.M. Galanti, Della descrizione geografica e politica, cit., IV, p. 159.

67
governo dei banchi pubblici napoletani o erano presenti negli organismi di stato
(componenti di tribunali, rappresentanti di governo). In tal modo, costoro riusci-
vano a controllare la vita politica, economica e finanziaria della cittaÁ.
Tra essi ricordiamo D. Matteo de Ferrante, avvocato fiscale del Real Patri-
monio e Consigliere della Regia Camera della Sommaria, che aveva fatto parte di
quella «Giunta di commercio», la quale, durante la sua breve vita, nei primi anni
del nuovo Regno, aveva avanzato numerose e non sempre ascoltate proposte, come
la ricompra dei dazi venduti a privati 47. Tra l'altro, egli aveva rivestito anche la
carica di delegato presso il Banco della PietaÁ 48. Ritroviamo diversi conti a lui
intestati proprio presso il Banco della PietaÁ e presso il Banco dello Spirito Santo.
In quest'ultimo, egli si colloca tra i clienti con saldo piuÁ elevato: nel 1749 aveva un
deposito di ben 10.334,14 ducati 49. Ancora maggiore era il suo credito verso il
Banco della PietaÁ: 32.403,64 ducati nel 1754 e 14.046,69 nel 1759 50.
Altri conti con saldi elevati sono quelli del duca D. Vespasiano Giovine presso
il Banco di Sant'Eligio (duc. 9.991,64 nel 1749) 51; del marchese Ettore Marulli
presso il Banco dello Spirito Santo (duc. 10.192,68 nel 1744, duc. 15.127,63 nel
1749 e duc. 11.007,31 dieci anni piuÁ tardi) 52; del marchese Matteo De Sarno,
avvocato fiscale della Camera della Sommaria e possessore, tra l'altro, di dieci
azioni della Compagnia Reale della Assicurazioni 53, con un credito di 4.346,03
ducati nel 1734, presso il Banco dei Poveri 54; del marchese Andrea De Sarno
presso il Banco di Sant'Eligio (duc. 6.931,18 nel 1744) 55; del duca di Calabritto,

47
M. Schipa, Il Regno di Napoli, cit., II, pp. 93 e ss.
48
Il delegato era scelto dal sovrano fra i magistrati del Regno. La sua carica era a vita, ma,
a differenza di quanto avveniva negli altri banchi, il delegato del Monte della PietaÁ non era
anche protettore, per cui non partecipava alle riunioni del governo e non aveva alcuna ingerenza
nell'amministrazione. Le sue funzioni erano soltanto giurisdizionali ed egli giudicava le contro-
versie, specialmente quelle relative al personale, che altrimenti si sarebbero dovuto rimettere alla
Gran Corte della Vicaria ( E. De Simone, Il Banco della PietaÁ, cit., pp. 21,69).
49
Archivio Storico del Banco di Napoli (d'ora in poi ASBN), Banco dello Spirito Santo,
Archivio Apodissario (d'ora in poi AA), Libro maggiore dei creditori, 1749, II, matr. 335, f. 2611.
50
Idem, Banco della PietaÁ, AA, Libro maggiore dei creditori, 1754, II, matr. 260, f. 595;
1759, II, matr. 270, f. 728.
51
Idem, Banco di Sant'Eligio, AA, Libro maggiore dei creditori, 1749, II, matr. 277,
f. 1054.
52
Idem, Banco dello Spirito Santo, AA, Libri maggiori dei creditori, 1744, II, matr. 322, f.
2568; 1749, II, matr. 335, f. 2493; 1759, II, matr. 375, f. 2280.
53
F. Assante, Il mercato delle assicurazioni marittime a Napoli nel Settecento. Storia della
Real Compagnia (1751-1802), Napoli, 1979, appendice, Tab. V, pp. 297 e ss. La «Compagnia
Reale delle Assicurazioni marittime» fu costituita nel 1751 con un capitale di 100.000 ducati,
ripartito in 500 azioni di 200 ducati, e godeva di una condizione di monopolio, concessa
inizialmente per dieci anni e poi rinnovata. L'elenco degli azionisti della Compagnia rispecchia
la composizione sociale dei ceti dirigenti del Regno (ibidem, appendice, Tab. V, pp. 297 e ss.).
Tra di essi ritroviamo i maggiori clienti dei banchi qui esaminati, a riprova di come tali classi
sociali si servissero dei servizi offerti dai banchi per far fronte alle loro esigenze.
54
ASBN, Banco dei Poveri, AA, Libro maggiore dei creditori, 1734, II, matr. 293, f. 2585.
55
Idem, Banco di Sant'Eligio, AA, Libro maggiore dei creditori, 1744, II, matr. 289, f. 1582.

68
Francesco Tuttavilla, presso il Banco dei Poveri (duc. 13.401,45 nel 1749 e duc.
22.504,22 nel 1754) 56 e presso il Banco di Santa Maria del Popolo (duc. 21.232,96
nel 1759) 57. Si tratta di conti che, in genere, si aprono e si chiudono con saldi
piuttosto consistenti, ma mostrano una scarsa movimentazione 58.
Ancora presso il Banco dei Poveri, nel 1759, tra i conti con saldi piuÁ elevati si
annovera quello di Antonio Spinelli di Fuscaldo con duc. 6.566,73 59 il quale, nello
stesso anno, eÁ titolare di un conto anche presso il Banco del Salvatore, con un saldo
finale di 25.370,09 ducati 60. Dalle scritture non risulta alcun titolo nobiliare, ma
quasi certamente apparteneva ad una famiglia nobile, dato che i Fuscaldo erano in
gran parte marchesi 61.
Altro conto con saldi consistenti, anche se con scarsa movimentazione 62, eÁ
quello del conte di Policastro, D. Girardo Carafa 63, presente presso il Banco della
PietaÁ, nel 1744, con duc. 20.130,13, e nel 1754, con duc. 16.700 64.
Di notevole importanza, sia come movimentazione che come saldo finale,
sono i conti del marchese di Vallesantoro 65 e di Pietro Laviano, marchese di Tito 66.
Il primo eÁ titolare, nel 1754, di un conto presso il Banco di Santa Maria del
Popolo, che presenta un saldo finale di 22.789,39 ducati 67; di un conto presso il
Banco di San Giacomo, che si apre con un saldo del primo semestre di 290.822,66
ducati, presenta accreditamenti per ben 333.768,29 ducati e addebitamenti per
503.435,73 ducati, chiudendosi con un saldo di 121.155.22 ducati 68; di un conto
presso il Banco dello Spirito Santo, con una movimentazione poco consistente 69 ed

56
Idem, Banco dei Poveri, AA, Libri maggiori dei creditori, 1749, II, matr. 381, f. 4335;
1754, II, matr. 411, f. 4076.
57
Idem, Banco del Popolo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1759, II, matr. 387, f. 2560.
58
V. Tab. 1.
59
ASBN, Banco dei Poveri, AA, Libro maggiore dei creditori, 1759 II, matr. 441, f. 4079.
60
Idem, Banco del SS. Salvatore, AA, Libro maggiore dei creditori, 1759 II matr. 318, f.
4372.
61
F. Bonazzi, Famiglie nobili e titolate del napoletano, Napoli, 1902, p. 225.
62
V. Tab. 1.
63
La famiglia Carafa era una delle piuÁ importanti famiglie nobiliari dõÁ quei tempi (E.
Ricca, La nobiltaÁ del Regno delle Due Sicilie, volumi 5, Napoli, 1859, vol. I, pp. 158 e ss.).
64
ASBN, Banco della PietaÁ, AA, Libro maggiore dei creditori, 1754, II, matr. 260, f. 417.
65
Per comprendere meglio l'attivitaÁ del Marchese di Vallesantoro, si riporta la seguente
ricevuta del 3 agosto 1754: «Dal Marchese di Vallesantoro, amministratore Generale di questa
Regia Dogana, ducati mille duecento ventinove dimesse in conto del pervenuto delle grana 82 1/
2 a tomolo di sale delle due Province d'Otranto e Basilicata per l'annata principiata a primo
febbraio 1754 in avanti. Quelli pagoÁ il Banco dello Spirito Santo con polizza de' 30 luglio 1754»
(Archivio di Stato di Napoli, d'ora in poi ASN, Fondo Cedole di Tesoreria, vol. 600, p. 24).
66
Il castello di Tito era un feudo che si trovava nella provincia di Basilicata, donato nel
1382 dal sovrano Carlo II a Giacomo Filangieri (E. Ricca, La nobiltaÁ del Regno delle Due Sicilie,
cit., vol. II, p. 298).
67
ASBN, Banco del Popolo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1754, II, matr. 354, f. 4516.
68
Idem, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1754, II, matr. 317, f.
4377.
69
V. Tab. 1.

69
un saldo finale di 11.770,73I ducati 70. Cinque anni piuÁ tardi, peroÁ, eÁ solo presso il
Banco di San Giacomo che egli ha ancora un conto con un saldo di 7.159,34
ducati 71.
II Marchese di Tito, nel 1744, risulta cliente del Banco dello Spirito Santo. Il
suo conto si apre con un saldo semestrale di 9.558,77 ducati, presenta accredita-
menti e addebitamenti, rispettivamente, di 21.820,97 e 26.692,52 ducati e si
chiude con un saldo di 4.687,22 ducati 72. Nel 1749, invece, eÁ presso il Banco di
San Giacomo che al marchese sono accreditati 27.767,61 ducati ed addebitati
23.768,84 ducati, con un saldo finale di 3.998,77 ducati 73. Nel 1754 e nel 1759
i suoi conti appaiono nei libri maggiori del Banco dello Spirito Santo, con saldi
piuttosto elevati: 43.943,68 e 18.042,08 ducati 74.
Molti erano i nobili impegnati nell'attivitaÁ mercantile, tra i quali si eviden-
ziano il marchese Bartolomeo Rota di Collotorto e il duca Ignazio Barretta, che
svolgevano l'attivitaÁ di mercante-cambiatore 75. Come tante altre contrattazioni,
anche quelle relative alle operazioni di cambio, avvenivano mediante l'uso delle
fedi di credito o polizze. Infatti, i mercanti-cambiatori avevano grosse somme
depositate presso i banchi e se ne servivano per le operazioni collegate alla loro
attivitaÁ 76.
I conti intestati al marchese Bartolomeo Rota sono presenti tra i saldi di
importo piuÁ elevato in molti dei banchi napoletani, per tutti gli anni esaminati e

70
ASBN, Banco dello Spirito Santo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1754, II, matr. 317,
f. 4377.
71
Idem, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1759, II, matr. 348, f.
5431.
72
Idem, Banco dello Spirito Santo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1744, II, matr. 322, f.
2167.
73
Idem, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1749, II, matr. 279, f.
2959.
74
Idem, Banco dello Spirito Santo, AA, Libri maggiori dei creditori, 1754, II, matr. 355, f.
2776; 1759, II, matr. 375, f. 2268.
75
L'arte del cambio si era diffusa rapidamente nel napoletano, per i vantaggi che la lettera
di cambio offriva, primo tra tutti la sicurezza e la facilitaÁ che ne derivava al commercio. Le
quattro parti contraenti erano: il cedente dei fondi; il traente, che emetteva la lettera di cambio e
ordinava al suo corrispondente, su una diversa piazza, di pagare; il trattario, che sulla diversa
piazza, aveva l'obbligo del pagamento; il beneficiario, al quale la lettera era pagabile. La lettera
di cambio, in quel periodo, era giaÁ diventata un titolo scontabile e girabile, cioeÁ trasferibile
mediante la semplice apposizione di una firma (R. De Roover, Appunti sulla storia della cambiale
e del contratto di cambio, in «Studi in onore di Gino Luzzatto», Milano, 1949, pp. 193-194). Le
principali piazze corrispondenti di Napoli coincidevano con i maggiori centri mercantili del
Regno, come Salerno, Lanciano, Aversa e Foggia (L. De Rosa, Le origini della Borsa di Napoli,
estratto dalla rivista «Orizzonti Economici», n. 43, novembre-dicembre 1962, pp. 3-4).
76
In generale, le contrattazioni relative ai cambi si svolgevano tra mercanti, cambiatori
ecc., ossia tra uomini d'affari che erano abituati alle fedi di credito e ai depositi presso i banchi
pubblici e quindi a farsi accreditare subito il corrispettivo dell'affare concluso, tanto piuÁ che
dalla polizza o dalla fede risultavano gli estremi del contratto stipulato (L. De Rosa, I cambi esteri
del Regno di Napoli dal 1591 al 1707, Napoli, 1955, p. 4).

70
con una consistente movimentazione 77. CosõÁ, presso il Banco di Sant'Eligio, un suo
conto si apre con soli 2.532,40 ducati, ma presenta accreditamenti per ben
35.627,42 ducati e addebitamenti pari a 32.021,12 ducati, con un saldo finale
di 6.138,70 ducati 78. Meno consistente eÁ la movimentazione presso il Banco di San
Giacomo, dove il conto a lui intestato presenta un saldo finale di 4.400,27 du-
cati 79. Nello stesso anno, inoltre, egli risulta cliente del Banco della PietaÁ, presso il
quale ha un deposito di 5.283,92 ducati 80. Nel 1739 lo ritroviamo presso gli stessi
banchi, con una movimentazione piuÁ consistente (specialmente presso il Banco di
Sant'Eligio) e saldi piuÁ elevati (soprattutto presso il Banco della PietaÁ, con
31.561,27 ducati). Quindici anni dopo, la sua presenza tra i clienti dei banchi
napoletani diventa piuÁ rilevante. Nel 1754, infatti, eÁ tra i depositanti del Banco di
San Giacomo, di Sant'Eligio (in questi due banchi sia gli importi finali che la
movimentazione del suo conto sono notevoli), dello Spirito Santo e della PietaÁ:
in questi ultimi due banchi, il conto si chiude, rispettivamente, con un saldo di
22.962,69 e di 3.288,30 ducati. Nell'ultimo anno del Regno di Carlo di Borbone, il
Rota sembra subire una notevole flessione nel giro dei propri affari, dato che,
almeno per quanto risulta dalla movimentazione e dai saldi dei suoi conti, si rileva
una scarsa consistenza degli importi registrati 81.
D. Ignazio Barretta, a lungo consigliere del Magistrato di Commercio negli
anni Quaranta, risulta cliente soltanto del Banco dello Spirito Santo verso il quale
ha un credito, a fine 1734, di 12.274, 05 ducati, che sale, dieci anni dopo, a
47.147,77 ducati, per poi scendere, nel 1754, a 32.024,98 ducati 82. Solo per il
1734, risulta tra i depositanti del Banco di Sant'Eligio, collocandosi tra quelli con
saldo piuÁ elevato, con 4.385,28 ducati 83.
Tra i clienti dei banchi napoletani spiccano altre due famiglie nobili salda-
mente inserite, nella prima metaÁ del Settecento, nel novero delle maggiori famiglie
mercantili della capitale. I Berio passarono alle cronache del Regno non tanto per
la consistenza dei loro affari, quanto per l'attitudine ad entrare nel mondo della
cultura e ad intrattenere rapporti con intellettuali napoletani ed europei 84. Dopo
aver acquisito presunte benevolenze alla venuta di Carlo di Borbone, i Berio
svolsero presto una funzione di prim'ordine negli istituti mercantili e finanziari

77
V. Tab. 1.
78
ASBN, Banco di Sant'Eligio, AA, Libro maggiore dei creditori, 1734, II, matr. 268, f.
1246.
79
Idem, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1734, II, matr. 240, f.
3498.
80
Idem, Banco della PietaÁ, AA, Libro maggiore dei creditori, 1734, II, matr. 220, f. 835.
81
V. Tab. 1.
82
ASBN, Banco dello Spirito Santo, AA, Libri maggiori dei creditori, 1734, II, matr. 287, f.
1371; 1739, II, matr. 304, f. 2499; 1749, II, matr. 335, f. 2161; 1754, II, matr. 355, f. 2699.
83
Idem, Banco di Sant'Eligio, AA, Libro maggiore dei creditori, 1734, II, cit., f. 776.
84
Il Canova saraÁ chiamato a scolpire, per il palazzo cittadino della famiglia, un gruppo
marmoreo; la biblioteca e la pinacoteca di casa Berio saranno famose ed il salotto di via Toledo
verraÁ frequentato dalla buona societaÁ del tempo (cfr. la voce Berio, Francesco Maria di P.
Giannantonio, in Dizionario biografico degli italiani, vol. IX, Roma, 1969, pp. 106-107).

71
del nuovo Regno. Passarono, durante gli anni Quaranta, per il Consolato di terra e
di mare, controllarono fin dalle origini la Reale Compagnia di Assicurazioni ma-
rittime, di cui detenevano un notevole pacchetto azionario 85, furono tra i maggiori
mercanti di grano, con oltre 110.000 ducati investiti nel 1753 86 e riuscirono a
mantenere per vari anni una posizione preminente nel campo dei traffici marittimi.
Questa loro intensa attivitaÁ trova conferma nella consistenza dei conti ad essi
intestati presso vari banchi napoletani. Francesco Maria Berio era cliente del
Banco dello Spirito Santo nei primi anni del Regno di Carlo di Borbone: nel
1734 il suo conto presenta un saldo semestrale di 25.224,91 ducati, accredita-
menti per 48.459,38 ducati e addebitamenti per 38.502,44 ducati, con un saldo
finale di 35.181,85 ducati; nel 1739 si trova ancora tra i clienti con saldo piuÁ
elevato, con una consistenza finale di 11.989,46 ducati 87, anche se con una mo-
vimentazione poco rilevante 88. Negli ultimi anni del Regno, invece, eÁ tra i clienti
del Banco di San Giacomo: nel 1749, con un credito iniziale di 53.705,34 ducati e
uno finale di 27.167,11 ducati e nel 1754 con uno iniziale di duc. 80.790,34 e uno
finale di 45.529,10 ducati e una movimentazione veramente notevole, costituita
da accreditamenti per 32.709,64 ducati e addebitamenti per 67.970,88 ducati.
Nel 1759, infine, il suo credito finale si riduce a 25.399,64 ducati, a fronte di
una consistenza degli accrediti e degli addebiti ancora rilevante (27.747,40 e
35.502,02 ducati) 89.
Altro personaggio di primo piano nel campo dei traffici cerealicoli era Filippo
Donnarumma. Come i Berio, anch'egli sembra concludere i propri affari piuÁ vistosi
alla metaÁ del secolo: nel 1752 ottenne una delle mastrodattie delle Camere Reali 90,
acquistandola dal marchese Fogliani per una somma superiore ai 20.000 ducati; nel
1759 riuscõÁ ad entrare in possesso di un complesso feudale, lo stato di Celenza e

85
F. Assante, Il mercato delle assicurazioni, cit., Tab. V, pp. 297 e ss.
86
P. Macry, Economia e societaÁ, cit., p. 343.
87
ASBN, Banco dello Spirito Santo, AA, Libri maggiori dei creditori, 1734, II, cit., f. 1294;
1739, II, cit., f. 2492.
88
V. Tab. 1.
89
ASBN, Banco di San Giacomo, AA, Libri maggiori dei creditori, 1749, II, cit., f. 5251;
1754, II, cit., f. 6319; 1759, II, cit., f. 6787. I Berio, originari di Genova, organizzarono, tra il
1751 ed il 1753, il trasporto di diverse migliaia di tomoli di frumento provenienti dal Regno,
nella stessa Genova, a Marsiglia, a Barcellona, ad Alicante, a Cadice e a Lisbona. Per i loro
traffici non si servivano soltanto di «legni napoletani», ma anche di imbarcazioni genovesi e
talvolta inglesi, olandesi, austriache, catalane e pontificie. La provenienza dei loro frumenti
dimostra che essi controllavano tutte le zone granarie del Regno: le loro navi partivano da
Termoli e da Campomarino, da Manfredonia e da Trani, da Taranto e da Crotone (P. Macry,
Economia e societaÁ, cit., pp. 343-346). CosõÁ si legge in un mandato del 29 dicembre 1749: «Da
D. Francesco Maria Berio duc. 260 disse per il diritto della tratta di balle 13 di seta grezza di
Calabria di libre 275 la balla alla ragione di ducati 20 per ciascheduna permessili estraere dalla
marina di questa cittaÁ per estraRegno pagati per il Banco di San Giacomo con polizza de 17 del
corrente» (ASN, Fondo cedole di tesoreria, vol. 595).
90
Le mastrodattie erano delle cariche pubbliche riguardanti il settore giurisdizionale ed
erano attribuite, in genere, ai notai (G.M. Galanti, Della descrizione geografca e politica, cit., p.
276).

72
Carlantino in provincia di Capitanata 91. Anche i conti intestati al Donnarumma si
trovano tra quelli con saldo piuÁ elevato: duc. 5.000 presso il Banco della PietaÁ nel
1749 e nel 1754, con scarsa movimentazione; duc. 22.123,23 e duc. 13.400,56
presso il Banco di San Giacomo nel 1754 e nel 1759, con una movimentazione che
per gli accreditamenti supera, in entrambi gli anni, i 10 mila ducati e per gli
addebitamenti oscilla da quasi 15 mila a piuÁ di 23 mila ducati 92.

3. I mercanti «granisti»

Il periodo di governo di Carlo di Borbone costituisce una fase ben caratte-


rizzata, sia dal punto di vista del ciclo produttivo e della curva dei prezzi granari,
sia a livello di politica economica. Due elementi emergono chiaramente in questa
fase: da un lato, una certa stabilitaÁ produttiva e, dall'altra, le crisi periodiche che si
ripetevano con notevole regolaritaÁ, per quanto moderate dalla tendenza positiva
del periodo 93. Tali crisi producevano contraccolpi non irrilevanti a livello sociale e
politico e spesso mettevano in discussione le antiche e gelosamente custodite
prerogative degli Eletti di Napoli 94. I prezzi non subirono un rialzo deciso di
«trend», ma seguirono un andamento a «sega», capace di consentire un accumulo
di redditi nelle annate «alte», ma che erodeva immediatamente tale surplus nella
fase successiva di prezzi bassi 95. I due momenti, combinati tra di loro, sembravano

91
P. Macry, Economia e societaÁ, cit., p. 346.
92
ASBN, Banco della PietaÁ, AA, Libri maggiori dei creditori, 1749, II, cit., f. 1088; 1754,
II, cit., f. 423; idem, Banco di San Giacomo, AA, Libri maggiori dei creditori, 1754, II, matr. 317,
f. 6281; 1759, II, matr. 348, f. 6736; v. Tab. 1.
93
Nel periodo 1734-1755, la curva dei prezzi alla «voce», fissati annualmente presso la
dogana di Foggia, presi in considerazione dal Macry, in quanto tra i piuÁ indicativi dell'anda-
mento produttivo della cerealicoltura meridionale, fu piuttosto costante per un'agricoltura d'an-
cien reÂgime, caratterizzata da un assetto tecnico molto limitato e percioÁ dipendente in modo
stretto dai fattori meteorologici (P. Macry, Economia e societaÁ, cit., p. 299, grafico n. 1, p. 290 e
appendice n. 1, Tab. 1, p. 487).
94
Ibidem, p. 298. L'approvvigionamento della cittaÁ era ritenuto di importanza prioritaria
ad ogni livello di governo e poteva diventare strumento di maggior pressione sulle campagne.
Infatti con varie prammatiche del 1743 e del 1759 si stabilõÁ che in tutte le cittaÁ del Regno
dovessero essere fatte le «rivele» del frumento raccolto, poiche i proprietari dei grani, in periodi
di scarso raccolto, cercavano di nascondere le loro derrate per venderle come e quando potevano
al miglior prezzo. Queste disposizioni furono emanate allo scopo di conoscere la quantitaÁ di
frumento che poteva essere esportata, quella necessaria per l'annona e quella per la futura
semina. Seguirono altre prammatiche che stabilivano pene contro coloro che celavano il fru-
mento e fissavano il prezzo. Il timore che il grano potesse mancare da un momento all'altro
impediva l'esportazione di questa derrata da Napoli senza licenza degli Eletti e fu addirittura
vietato di incettare derrate per trenta miglia intorno alla cittaÁ (N. F. Faraglia, Storia dei prezzi in
Napoli dal 1131 al 1860, Napoli, 1878, cit., pp. 231-232; L. Bianchini, Storia delle finanze, cit., p.
439).
95
Se il periodo carolino registrava un andamento tendenziale lievemente oscillatorio, il
movimento di breve periodo era caratterizzato, al contrario, da un'intensitaÁ molto accentuata.

73
svantaggiare nettamente i gestori agricoli, tanto piuÁ che sui prezzi agivano anche
gli interessi economici e politici legati alla distribuzione del frumento 96.
Queste variazioni nell'andamento della produzione cerealicola e dei relativi
prezzi si riflettono negli importi dei conti accesi ai vari mercanti presso i banchi
napoletani, soprattutto se si tiene presente l'attivitaÁ di esportazione dei cereali.
Numerosi erano i mercanti che intrattenevano rapporti con l'amministrazione
annonaria della capitale e che, nello stesso tempo, gestivano la panizzazione,
garantendosi cosõÁ la possibilitaÁ di incette private ma sempre condotte in condizioni
di privilegio legale. I forni, infatti, dipendevano, in parte, dagli Eletti, e da questi
dovevano acquistare certe quantitaÁ di derrate; in parte, peroÁ, erano liberi di usare
propri canali per il resto della farina necessaria 97. Molti mercanti risultavano
percioÁ gestori della maggior parte dei forni della capitale, chiudendo, in tal
modo, il cerchio del vettovagliamento napoletano 98.
Tra i maggiori fornitori della cittaÁ di Napoli ricordiamo Carlo Maresca; Do-

Dalla fase «alta» alla fase «bassa» del breve periodo, le quotazioni foggiane registravano cali
percentuali molto forti. E ancora piuÁ nette furono le variazioni di prezzo dalle annate di buon
raccolto (min) alle successive crisi cicliche (max): la voce del frumento nel 1743 fu superiore del
57 per cento rispetto al 1740; del 59 per cento nel 1748, rispetto al 1745; del 60 per cento nel
1755, rispetto al 1751 (P. Macry, Economia e societaÁ, cit., p. 300).
96
Scrive, nel 1790, il Longano, reduce da un Viaggio per la Capitanata: «In un decennio,
generalmente avviene che delle raccolte tre sono copiose, altrettante scarse, e quattro mediocri.
Nelle mediocri il massaro tira avanti la sua industria. Egli introita quanto spende. La difficoltaÁ
adunque ha luogo nelle sei, cioeÁ nelle tre di disdetta e nelle tre copiose». Deficit di bilancio nelle
annate di basse rese e difficoltaÁ di mercato, dato il livello molto ridotto del consumo interno,
nelle annate di raccolto abbondante, costituiscono per il Longano, una specie di circolo vizioso
(cit. in Illuminismo Italiano, tomo V, Riformatori napoletani, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli,
1962, p. 388).
97
Compito delle CittaÁ era anche quello di vendere grano e farina ai panettieri ed ai pastai,
i quali dovevano essere ``immatricolati`` presso il Tribunale di San Lorenzo, che concedeva la
licenza d'esercizio a tutti i rivenditori di generi alimentari. I soli «vetturali» o «vaticali» della
provincia di Terra di Lavoro erano esenti e quindi potevano vendere farina nel mercato o altrove
senza necessitaÁ di essere «allietati», notati cioeÁ nel Tribunale, purche rispettassero i prezzi di
calmiere. Nei tempi di abbondanza, lo stesso comune vendeva farina al pubblico per suo conto in
una «casa della farina» o in altri posti situati in vari luoghi della cittaÁ (G. Coniglio, L'annona,
Napoli, 1972, p. 697; B. Capasso, Catalogo ragionato, cit., pp. 122-123). Con la riforma anno-
naria di inizio Settecento, i panettieri napoletani ± che in precedenza avevano l'obbligo di
comprare la farina dal «partito» della capitale ± ricevettero il permesso di rifornirsi autonoma-
mente nelle province, ad eccezione della zona circostante alla capitale per trenta miglia, protetta,
con leggi antiche, da ogni tipo di incetta mercantile. Contemporaneamente, funzionavano due
forni gestiti direttamente dall'Amministrazione Regia ± quello di Castemuovo e quello di Piz-
zofalcone ± che furono aboliti solo nel periodo carolino (P. Macy, Economia e societaÁ, cit., p. 82).
98
I provvedimenti di Carlo di Borbone concessero maggiore libertaÁ, rispetto agli anni
precedenti, a panizzatori e fornai, riducendo la parte sostenuta direttamente dall'amministra-
zione della cittaÁ. Gli affittatori dei posti avrebbero dovuto tenere come riserva 60 mila tomoli di
grano a proprie spese, sicche questo sistema comincioÁ ad essere non piuÁ conveniente per i ricchi
mercanti, che preferivano fare il «partito» con la cittaÁ, anziche impegnarsi a tenere immobiliz-
zato un capitale; successivamente, i posti della farina furono dati in appalto a «persone non

74
menico D'Amico, appartenente ad una delle piuÁ celebri e ricche famiglie mercantili
del tempo; Giacomo del Vecchio, influente mercante di grano legato ai riforni-
menti cerealicoli della Puglia; Giuseppe De Lieto, mercante-cambiatore, che occu-
pava un posto di rilievo nel ceto mercantile napoletano dell'epoca, ed altri mer-
canti cambiatori, quali Tommaso Invitti, Domenico e Costantino Schiano, Andrea
Acerbo, Adamo Romito, il conte Francesco Piatti e Carmine Ventapane.
Carlo Maresca era presente, nel 1739, tra i clienti con saldi piuÁ elevati presso
il Banco di San Giacomo (duc. 3.015,32) e nel 1754 presso il Banco della PietaÁ
(duc. 5.278,79) 99, con scarsa movimentazione di capitali 100. Domenico D'Amico
era titolare di alcuni conti, nel 1744, presso il Banco dello Spirito Santo, con un
saldo finale di 6.609,35 e, nel 1759, presso il Banco di San Giacomo, con un saldo
semestrale di 34.603,51 ducati, accreditamenti per 13.700,02 ducati e addebita-
menti per 16.884,15 ducati, con un conseguente saldo finale di 31.419,38 du-
cati 101.
Giacomo del Vecchio lo ritroviamo, invece, fra i clienti del Banco del Salva-
tore, con un credito che passa da 7.703,99 ducati, nel 1734, a 7.474,24 ducati, nel
1749, per crescere, nel 1759, a 9.468,62 ducati, con una movimentazione, in
quest'ultimo anno, molto piuÁ consistente rispetto agli altri anni, con accredita-
menti e addebitamenti che oscillano attorno a 10-11.000 ducati 102. Lo stesso
andamento si riscontra nei conti di Giuseppe De Lieto, Tommaso Invitti ed An-
drea Acerbo, che presentano tutti saldi e movimentazione piuÁ elevati nel 1734, per
poi ridursi lievemente nel 1739 e nel 1744, anni in cui, come si eÁ visto, si verifi-
carono annate di buoni raccolti e quindi si registrarono prezzi piuÁ bassi, che non
permettevano elevati accumuli di reddito 103. Negli anni 1749, 1754 e 1759, invece,
gli importi dei conti aumentarono. Il saldo del conto del De Lieto, presso il Banco
dello Spirito Santo, ammontava, nel 1754, a 7.730,19 ducati 104; quello di Tom-
maso Invitti, presso il Banco della PietaÁ, era di 14.304.49 ducati nel 1749 105 e
quello di Andrea Acerbo presso il Banco dello Spirito Santo arrivava a 17.879,03
ducati nel 1754 106.
PiuÁ articolata eÁ la movimentazione dei conti degli altri mercanti.
Domenico e Costantino Schiano erano titolari di conti presso diversi banchi.

ricche che nulla potevano garantire negli anni di scarso raccolto» (B. Capasso, Catalogo ragionato,
cit., p. 121).
99
ASBN, Banco di San Giacomo, AA., Libro maggiore dei creditori, 1739, II, cit., f. 3579;
Idem, Banco della PietaÁ, AA., Libro maggiore dei creditori, 1754, II, cit., f. 1562.
100
V. Tab. 1.
101
ASBN, Banco dello Spirito Santo, AA., Libro maggiore dei creditori, 1744, II, cit., f.
2099; idem, Banco di San Giacomo, AA., Libro maggiore dei creditori, 1759, II, cit., f. 6733.
102
Idem, Banco del Salvatore, AA., Libro maggiore dei creditori, 1734, II, f. 4080; 1749, II,
f. 4259; v. Tab. 1.
103
V. Tab. 1.
104
ASBN, Banco dello Spirito Santo, AA., Libro maggiore dei creditori, 1754, II, cit., f.
2760.
105
Idem, Banco della PietaÁ, AA., Libro maggiore dei creditori, 1749, II, cit., f. 392.
106
Idem, Banco dello Spirito Santo, AA., Libro maggiore dei creditori, 1754,II, f. 2721.

75
Nel 1734 avevano un conto presso il Banco di San Giacomo, che presentava un
saldo finale di 5.853,34 ducati; nel 1739 erano fra i clienti del Banco dello Spirito
Santo, dove il loro credito era di 14.045,78 ducati 107; nel 1749, si ritrovano conti
anche presso il Banco della PietaÁ e presso il Banco di San Giacomo, con un credito,
rispettivamente, di 5.482,61 e 7.495,15 ducati 108, mentre piuÁ consistente eÁ il saldo
finale registrato presso il Banco dello Spirito Santo, di 10.351,85 ducati 109. Negli
ultimi anni del Regno, gli Schiano erano fra i clienti del Banco del Salvatore, con
un credito che da 12.871,98 ducati, nel 1749, passoÁ a 7.494,02 nel 1754, per poi
diminuire a 5.359,38 ducati nel 1759, con una movimentazione piuttosto consi-
stente 110.
Anche il conte Francesco Piatti aveva conti accesi presso il Banco di San
Giacomo, dello Spirito Santo e del Salvatore, per crediti via via crescenti 111.
Nel 1749, il suo credito presso il Banco dello Spirito Santo ammontava a ben
51.578,43 ducati, anche se la movimentazione era limitata. Nel 1754 e nel 1759
esso era di 38.505,99 e 32.432,13 ducati, ma con una movimentazione molto piuÁ
accentuata 112. Adamo Romito, presente, nel 1754, fra i clienti del Banco di San
Giacomo, aveva, invece, un debito di 7.173,31 ducati. II conto, difatti, si apriva
con un saldo creditore di 32.556,88 ducati e presentava accreditamenti per
2.278,02 e addebitamenti per 42.008,21 ducati 113.
In effetti, nel 1755 iniziava un ciclo granario anomalo rispetto ai precedenti.
Il raccolto, in tutta la Puglia, risultava di «scarsezza notabile» e le scorte sembra-
vano molto limitate. La situazione critica dõÁ quest'anno non costituiva di per seÂ
una novitaÁ, dato che, come si eÁ detto, le annate di raccolto sfavorevole erano
periodiche e la curva dei prezzi, col suo andamento «a sega», le registrava abba-
stanza fedelmente. La novitaÁ era un'altra: il 1755 non rappresentava, come di
consueto, il punto massimo (ciclico) di rialzo delle quotazioni e non apriva una
fase discendente del prezzi. L'anno successivo, per quanto il raccolto fosse consi-
derato «buono», le quotazioni dei cereali pugliesi permasero «alterate», specie a
causa della «mancanza di vettovaglie» 114. L'aumento delle rese registrate nelle
campagne non aveva potuto riassorbire gli effetti del 1755 e negli anni successivi
intervenne inaspettatamente un raccolto «scarso» 115.

107
Idem, Banco di San Giacomo, AA., Libro maggiore dei creditori, 1734, II cit., f. 3091;
idem, Banco dello Spirito Santo, AA., Libro maggiore dei creditori, 1739, II, cit., f. 2984.
108
V. Tab. 1.
109
ASBN, Banco dello Spirito Santo, AA., Libro maggiore dei creditori, 1749, II, cit., f.
2632.
110
Idem, Banco del Salvatore, AA., Libro maggiore dei creditori, 1749, II, cit., f. 2278;
1754, II, cit., f. 3500; 1759, II, cit., f. 4410.
111
V. Tab. 1.
112
ASBN, Banco dello Spirito Santo, AA., Libro maggiore dei creditori, 1749, II, f. 2321;
idem, Banco dello Spirito Santo, AA., Libri maggiori dei creditori, 1754. II, cit., f. 2791 e 1759,
II, cit., f. 1708.
113
Idem, Banco di San Giacomo, AA., Libro maggiore dei creditori, 1754, II, cit., f. 6169.
114
P. Macry, Economia e societaÁ, cit, p. 307.
115
Invece di una fase crescente delle rese e di un ribasso dei prezzi, si assistette a fenomeni

76
L'atteso raccolto «ubertoso» non arrivoÁ neppure nel 1758: in Terra d'Otranto
la situazione si era venuta deteriorando al punto che, dopo quest'ultimo raccolto
molto scarso, anche il governo centrale, poco propenso in genere a recepire la
situazione della periferia, doveva parlare di «gran penuria». Preparata da una serie
di annate «anomale» e scarsamente avvertita dalle autoritaÁ politiche, la crisi
esplose nel 1759, investendo soprattutto le fasce cerealicole pugliesi, direttamente
legate al vettovagliamento della capitale e al ceto dei grandi mercanti ed incettatori
granisti 116.
Se alcuni mercanti vennero danneggiati da tale congiuntura sfavorevole o
furono indotti a rivolgere altrove il proprio giro d'affari, non fu raro il caso di
una prosecuzione dell'attivitaÁ mercantile ad un livello piuÁ alto o di una conversione
di essa in un'attivitaÁ piuÁ propriamente politica. I Colombo, i Celentano, gli Spi-
nelli trovarono spazio nell'ambito del governo della CittaÁ, come Eletti, o nella
Camera della Sommaria, oppure passarono da una partecipazione diretta al com-
mercio frumentario, al campo delle assicurazioni finanziarie (su cambio di capitali)
e armatoriali (assicurazioni su «legni» o «corpi di nave») 117.
Al tempo stesso emersero, oltre al Ventapane, nomi nuovi, non destinati ad
una scomparsa rapida dalle attivitaÁ della mercatura. In effetti, erano le fortune
individuali che mutavano, anche con una certa rapiditaÁ, ed era l'avvicendamento
dei nuovi mercanti ai vecchi che ingrossava temporaneamente le fila del grande
commercio. Significative furono le vicende di Carmine Ventapane. Mercante-cam-
biatore di secondo piano fino agli inizi degli anni Cinquanta, egli acquistoÁ un ruolo
del tutto nuovo alla fine del Regno di Carlo e negli anni Sessanta, quando ottenne
il controllo dell'approvvigionamento dei viveri e dei foraggi per le truppe in veste
di «assentista» 118. I carichi di frumento che trattava erano notevolissimi e questo

opposti. I rendimenti di Orta peggiorarono, le quantitaÁ di grano presso le «fosse» risultarono


nettamente inferiori rispetto all'anno precedente. A differenza di quanto era avvenuto nel 1739-
1740, nel 1745-1746, nel 1751-1752, periodi di minimo ciclico dei prezzi, seguiti ad un'annata
«intermedia», le quotazioni cerealicole non ribassarono, dopo il 1756. La voce stabilita nel 1757
dal governatore della dogana di Foggia era superiore del 26 per cento circa rispetto alle corri-
spondenti fasi cicliche degli anni precedenti (ibidem, p. 308).
116
Ibidem, pp. 309-310.
117
Ibidem, p. 333.
118
Un ramo dove era possibile trovare condizioni vantaggiose per i propri affari era quello
degli «assienti». Talvolta amministratori regi, ma piuÁ spesso privati appaltatori, gli assentisti
curavano il vettovagliamento dell'esercito e della marina reali ed il rifornimento delle razioni di
pane destinate ai carcerati. Il sistema di reperimento del grano, avena, orzo, paglia e fieno
avveniva secondo condizioni privilegiate, col favore di esenzioni fiscali e di particolari facilita-
zioni d'incetta. L'assentista godeva di una liquiditaÁ vastissima. La consuetudine dei contratti
d'assiento (dal termine spagnolo asiento) permetteva al mercante di pagare con «quel credito
liquido, che risultasse dal presente Assento» ogni pendenza privata. Nello stesso tempo gli
assentisti avevano la possibilitaÁ di disporre di un fondo, messo a disposizione dalle casse statali,
di circa 100.000 ducati. Ciascuno di essi riceveva mensilmente dall'erario, come copertura delle
spese vive, una somma che variava da 17.000 a 20.000 ducati. Il capitale di cui disponeva,
nell'arco di quattro-sei anni, era enorme. La sua capacitaÁ di impiegarlo in speculazioni private
risultava praticamente illimitata (ibidem, p. 353).

77
fece del Ventapane un personaggio chiave della cattiva congiuntura degli anni
Sessanta 119.
Lo ritroviamo tra i migliori clienti del Banco dei Poveri, nel 1749 con un saldo
finale di duc. 15.486,62 e nel 1754 con uno di duc. 17.501,19. Inoltre, nel 1759,
risultava acceso un conto presso il Banco del Popolo, con un saldo finale di
76.996,49 ducati, ma con una movimentazione meno consistente rispetto a quella
risultante presso il Banco dei Poveri 120.
Tra gli «assentisti» che si successero nel corso del secolo, vi erano i soliti
personaggi del «monopolio napoletano», tra cui, oltre al giaÁ citato Carmine Ven-
tapane, Cristoforo Spinelli, che, mercante di frumento in proprio, arrivoÁ ad acca-
parrarsi l'appalto del vettovagliamento delle truppe per oltre dieci anni consecu-
tivi, tra il 1735 ed il 1745 121. Lo ritroviamo tra i clienti dei banchi con conti di
maggior importo, nel 1754, presso il Banco di San Giacomo, con 14.916,87 ducati,
nonche presso il Banco del Salvatore, con 14.961,55 ducati, e il Banco del Popolo,
con 13.264,29 ducati 122, con movimentazioni di conto sempre superiori ai 20.000
ducati 123. Presso il Banco del Salvatore troviamo, per il 1759, anche il conto
intestato al figlio di Cristoforo, Antonio Spinelli 124, con un saldo di duc.
41.031,76 ma con una movimentazione meno rilevante 125.
La consistenza del ceto dei «negozianti» sconfinava spesso nella partecipazione
ai livelli piuÁ strettamente politici dello Stato meridionale. I vari Berio, Brancaccio,
Celentano, Lembo, Palomba dominarono la scena, durante gli anni Cinquanta,
passando dal commercio alle commissioni per conto dell'Annona di Napoli. Occu-
parono, per periodi talvolta prolungati, lo strategico posto di Eletto del Popolo e
furono presenti contemporaneamente presso il Consolato Napoletano di Mare e
Terra, in qualitaÁ di azionisti, poi di deputati ed infine di direttori della Compagnia
Reale di Assicurazioni. Si legarono, cosõÁ, direttamente al settore finanziario, attra-
verso la conquista di cariche di governatori presso i banchi pubblici 126.
I Brancaccio, anch'essi, tra l'altro, noti commercianti di grano 127, erano tra i

119
Carmine Ventapane, benche «espertissimo medico, profondo filosofo e grande lettera-
to...senza lasciare la filosofia e meno la medicina, si die a mercantare, in cui riuscõÁ assaissimo e
divenne ricco» (S. De Renzi, Napoli nell'anno 1764, Napoli, 1868, cit. in F. Assante, Il mercato
delle assicurazioni, cit., p. 254).
120
ASBN, Banco dei Poveri, AA., Libri maggiori dei creditori, 1749, cit., f. 4106; 1754,
cit., f. 4070; idem, Banco del Popolo, AA., Libro maggiore dei creditori, 1759, II, f. 5986.
121
ASN, Supremo Magistrato di Commercio, maggio 1745, f. 1735.
122
ASBN, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1754, II, cit., f. 5761;
idem, Banco del Salvatore, AA, Libro maggiore dei creditori, 1754, II, cit., f. 4361; idem, Banco
del Popolo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1754, II, cit., f. 2001.
123
V. Tab. 1.
124
Legato ai «baroni granisti» come il duca di Barretta, Cristoforo Spinelli, in due suc-
cessivi momenti, portoÁ il figlio Antonio alla carica di Eletto del Popolo, durante il drammatico
1764 e per gli anni dal 1772 al 1775 (P. Macry, Economia e societaÁ, cit., p. 354).
125
ASBN, Banco del Salvatore, AA, Libro maggiore dei creditori, 1759, f. 4232.
126
P. Macry, Economia e societaÁ, cit., p. 355.
127
Ibidem, p. 344.

78
maggiori clienti del Banco di San Giacomo e del Banco dello Spirito Santo. In
particolare, il conto intestato nel 1739 a Gennaro Antonio Brancaccio risulta tra
quelli con saldo piuÁ elevato presso il Banco di San Giacomo: esso si apre con un
saldo semestrale di 6.829,40 ducati, presenta accreditamenti per 8.968,83 e adde-
bitamenti per 12.252,90 ducati e un saldo finale di 3.545,33 ducati 128. PiuÁ consi-
stenti sono, invece, gli importi registrati, nel 1744, sia presso il Banco di San
Giacomo che presso quello dello Spirito Santo. In quest'ultimo, il conto si chiude
con un credito di 18.444,71 ducati, in quello di San Giacomo con uno di 11.500,19
ducati. 129A Domenico Maria Brancaccio era intestato, nel 1759, un conto presso il
Banco di San Giacomo, con un saldo iniziale di 40.203,21 e uno finale di
29.882,14 ducati 130.
Presso il Banco dello Spirito Santo figura il conto intestato a Giovanni Ce-
lentano: anche per quest'ultimo, come per molti altri mercanti dell'epoca, si no-
tano importi piuÁ ridotti nel 1749 (duc. 6.439,16), che aumentano nel 1754 (duc.
10.390,28), per ridursi ancora nel 1759 (duc. 5.676,24) 131. Nello stesso Banco,
troviamo, nel 1734, il conto intestato a Domenico Palomba e figli (duc.
14.782,44) 132; nello stesso anno, risultano accesi altri conti presso il Banco del
Salvatore (duc. 8.927,23) e presso il Banco di Sant'Eligio (duc. 3.774,08) 133, con
movimentazioni non eccessivamente rilevanti 134. EÁ ancora quest'ultimo banco che
annovera tra i suoi clienti il Palomba, nel 1739, con un saldo finale di 4.465,81
ducati. Nel 1749, un conto di importo piuÁ elevato eÁ acceso al Palomba presso il
Banco di San Giacomo: esso si apre con un saldo di 13.379,19 e si chiude con uno
di 12.701,78 ducati 135.
Non figurano piuÁ conti ad essi intestati tra quelli di importo piuÁ elevato negli
ultimi anni di Regno.
Rilevante era, invece, la presenza in questi anni di Giovanni Lembo, cui erano
accesi conti con importi finali elevati ed una notevole movimentazione, presso il
Banco del Salvatore e presso il Banco di Sant'Eligio. Verso il primo, il Lembo
vantava un credito di 8.381,49 ducati nel 1744, che aumentoÁ a 12.658,79 ducati
nel 1754 e a 15.624,58 ducati nel 1759. Nello stesso anno, egli era titolare di un
conto anche presso il Banco di Sant'Eligio, come dimostra un suo credito di 18.000

128
ASBN, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1739, II, cit., f. 3727.
129
Idem, Banco dello Spirito Santo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1744, II, cit., f.
2154; idem, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1744, II, cit., f. 3779.
130
Idem, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1759, II, cit., f. 6701.
131
Idem, Banco dello Spirito Santo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1749, II, f. 2611;
1754, II, f. 595; 1759, II, f. 728.
132
Idem, Banco dello Spirito Santo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1734, II, cit., f.
2135.
133
Idem, Banco del Salvatore, AA, Libro maggiore dei creditori, 1734, II, cit., f. 4077;
idem, Banco di Sant'Eligio, AA, Libro maggiore dei creditori, 1734, II. cit., f. 776.
134
V. Tab. 1.
135
Idem, Banco di Sant'Eligio, AA, Libro maggiore dei creditori, 1739, II, cit., f. 1110;
idem, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1749, II, cit., f. 4975

79
ducati 136, anche se senza alcuna movimentazione durante il semestre 137. II Lembo
sembra, dunque, non risentire eccessivamente della congiuntura sfavorevole.
Gli esempi sarebbero ancora molti, ma, comunque, le carriere dei mercanti si
assomigliano.Tutti sembrano, infatti, mostrare una notevole capacitaÁ di adatta-
mento agli eventi del loro tempo: la loro attivitaÁ risulta, in genere, molto movi-
mentata, almeno per quanto si desume dai conti ad essi intestati presso i banchi
napoletani, pur considerando che molte somme potrebbero essere il risultato di
trasferimenti dal conto acceso presso un banco a quello di un altro. Pur volendo
considerare questa ipotesi, la consistenza e la movimentazione dei loro conti resta,
comunque, notevole.

4. Altri depositanti

Una categoria di clienti con depositi cospicui era quella degli esattori pubblici e
privati che, numerosi, si servivano dei banchi pr lo svolgimento della loro attivitaÁ.
Essi offrivano i propri servizi a privati ed enti, possessori di rendite pubbliche, o
agivano per conto dello Stato in province piuÁ o meno lontane della capitale, verso la
quale affluivano, di conseguenza, ingenti disponibilitaÁ, la cui circolazione era favo-
rita ed agevolata dall'utilizzazione della lettera di cambio 138. Generalmente i bene-
ficiari delle somme versate presso i banchi da tali operatori erano la Regia Corte,
enti ecclesiastici, nobili ed affittatori di arrendamenti, questi ultimi per le entrate
derivanti dalle imposizioni realizzate nelle varie province del Regno 139.
Tra i principali esattori che si servivano dei banchi ricordiamo Giuseppe
Landi e Biase Lamberti, legati ai bei nomi della nobiltaÁ napoletana ed a numerose
istituzioni, tra cui anche il Monte e Banco della PietaÁ.
Gli esattori, in base ad un appalto, si impegnavano a «partito sciolto» o a
«partito forzoso» ad eseguire i pagamenti. Nel primo caso, essi corrispondevano le
somme che riuscivano a riscuotere; nel secondo, garantivano il puntuale pagamento
indipendentemente dalla riscossione effettiva, per cui rispondevano in proprio del

136
Idem, Banco del Salvatore, AA, Libro maggiore dei creditori, 1744, II, cit., f. 2351;
1754, II, f. 4174; 1759, II, f. 4084; Banco di Sant'Eligio, AA, Libro maggiore dei creditori, 1759,
II, f. 2143.
137
V. Tab. 1.
138
Gli esattori si servivano dei banchi per effettuare i versamenti dovuti ai destinatari
delle rendite fiscali o per depositare le somme riscosse in attesa di corrisponderle definitiva-
mente agli aventi diritto, che spesso si trovavano lontano dai luoghi di produzione delle rendite
tributarie.
139
Oggetto delle riscossioni erano prevalentemente le principali imposte dirette, ossia le
fiscali funzioni e l'adoa. Tali imposte, durante il viceRegno, erano state vendute per i due terzi ai
privati, che ne curavano le riscossioni mediante gli esattori. I nobili ed i luoghi pii trovavano tali
investimenti piuÁ convenienti, sia perche si trattava di impieghi di tutto riposo e facilmente
liquidabili, sia perche in un paese agricolo, con l'industria non sviluppata ed un commercio
interno difficile, le possibilitaÁ di altri investimenti erano ridotte al minimo (M. Schipa, Il Regno
di Napoli, cit., I, p. 34).

80
pagamento delle somme inesigibili. Gli esattori percepivano, per tale attivitaÁ, una
provvigione, che era maggiore nel partito forzoso ed era dovuta per diritti di
esazione, cambio, trasporto di denaro, alaggio e per ogni altra spesa necessaria;
le rendite erano pagate tre volte all'anno e percioÁ si dicevano «terze» 140.
Nel 1741, per esempio, fu stipulato un contratto tra il Monte della PietaÁ e gli
esattori Giuseppe Guglielmi e Giuseppe Landi, col quale si concesse a costoro
l'appalto generale per l'esazione di quasi tutti i fiscali e le adoe, per un totale di
16.386,36 ducati all'anno, a partito forzoso (tranne una piccola quota a partito
sciolto), con la provvigione del 13 per cento 141. L'esclusiva accordata a Guglielmi e
a Landi, peroÁ, non fu rispettata e, nel 1742 e nel 1745, la riscossione di alcune
rendite su nuove partite di fiscali per 4.420,52 e 7.955,81 ducati, con la provvi-
gione del 3-5 e dell'8 per cento, fu concessa a Biase Lamberti, a partito forzoso 142.
Successivamente, nel marzo del 1754, nell'ambito dell'azione volta ad elimi-
nare le «mancanze» riscontrate nell'amministrazione, il governo del Monte chiese
al sovrano l'abolizione degli strumenti di appalto «per essere il diritto dell'esazione
molto scandaloso» e perche gli esattori degli altri banchi e luoghi pii riscuotevano il
2-3 per cento per i fiscali di Terra di Lavoro, il 5 per cento per quelli della
provincia d'Otranto ed il 6 per cento per quelli delle altre province. II Lamberti
si accordoÁ subito col Monte, accontentandosi del 2 per cento per i fiscali di Terra
di Lavoro e del 5 o 8 per cento per gli altri; mentre Guglielmi e Landi rinunciarono
all'appalto, che passoÁ al Lamberti 143.
Tra i conti di importo piuÁ elevato figura, nel 1744, il conto intestato a Giu-
seppe Landi presso il Banco dei Poveri, con un importo iniziale di 21.808,28
ducati e un movimento di circa 7.500 ducati di accreditamenti e altrettanti di
addebitamenti; nel 1749, presso lo stesso Banco, il credito aumenta a 26.336,61
ducati, con una movimentazione di poco inferiore a quella precedente; cinque anni
piuÁ tardi il credito giungeva a ben 41.499,52 ducati, ma la movimentazione era
ulteriormente diminuita. Nel 1759, eÁ il Banco del Popolo a tenere un conto inte-
stato al Landi, con un saldo piuttosto elevato di 18.585,08 ducati 144, mentre, nello
stesso anno, a Biase Lamberti eÁ intestato un conto di 8.379,24 ducati presso il
Banco del Salvatore 145.

140
E. De Simone, Il Banco della PietaÁ, cit., p. 46.
141
Per «cautela» del Monte, Guglielmi e Landi dovettero impegnarsi a versare la terza
parte dei 16.386,86 ducati in partite di arredamenti e fiscali o dare «biglietto di pubblico
negoziante» (ASBN, Banco della PietaÁ, Archivio Patrimoniale, d'ora in poi AP, Conclusioni,
matr. 256, 15 luglio 1741, pp. 321,325).
142
Ibidem, 20 luglio 1742, pp. 394-395; 24 luglio 1742 pp. 401-403; Conclusioni, matr.
257, 24 marzo 1745, p. 198.
143
Idem, Conclusioni, matr. 258, 17 maggio 1754, f. 345; 30 agosto 1754, f. 410; 24
settembre 1754, f. 432.
144
Idem, Banco dei Poveri, AA, Libri maggiori dei creditori, 1744, II, cit., f. 4314; 1749,
II, cit., f. 4136; 1754, II, cit., f. 4060; idem, Banco del Popolo, AA, Libro maggiore dei creditori,
1759, II, cit., f. 2954.
145
Idem, Banco del Salvatore, AA, Libro maggiore dei creditori, 1759, II, cit., f. 4242.

81
Tra i depositanti del banchi vi erano importanti istituzioni pubbliche, come la
Regia Tesoreria Generale e la Cassa militare. Per evitare disordini nelle scritture,
nel 1614 fu distinta dalla Cassa di Tesoreria Generale una Cassa militare che ebbe
in dotazione un fondo fisso ed inalienabile per la difesa del Regno 146. Le sue
entrate dovevano servire a coprire anche spese civili, dato che questa suddivisione
delle casse non determinoÁ una partizione netta della materia 147.
Conti intestati alla «Cassa militare» erano accesi, nel 1734, presso il Banco
della PietaÁ ed il Banco di San Giacomo: nel primo, sia il saldo finale (duc. 104,37)
che il movimento, erano poco consistenti; nel secondo, il conto si apriva con un
saldo semestrale di 2.665,49 ducati, accreditamenti per 254.874,46 ducati, adde-
bitamenti per 140.201,73 ducati e credito finale di 117.338,22 ducati. Nel 1744,
invece, presso entrambi i banchi sopra menzionati, sia il saldo finale che il movi-
mento, erano irrilevanti, cosõÁ come nel 1749. Nel 1754, il conto risultava acceso
solo presso il Banco della PietaÁ, con nessuna movimentazione e con un credito di
appena 98,75 ducati 148. In realtaÁ, siccome dal 1740 in poi, presso il Banco della
PietaÁ, era il conto intestato alla Tesoreria Generale ad accogliere la quasi totalitaÁ
del movimento riguardante la Corte 149, si comprende come il conto intestato alla
Cassa militare avesse assunto una funzione del tutto marginale e lo stesso poteva
dirsi per il conto acceso presso il Banco di San Giacomo.
Il conto intestato alla Cassa militare accoglieva, comunque, in avere, le entrate
per i versamenti eseguiti dai governatori dei singoli arrendamenti per la dotazione
destinata alla Cassa militare, dato che ciascuno partecipava per una quota prefis-
sata 150. Vi erano anche altre entrate, sia pure di minore entitaÁ, come diritti e
proventi vari. Questi fondi venivano utilizzati per provvedere alle numerose spese
dello Stato 151. In genere, nel dare del conto venivano registrate le uscite per spese

146
F. Trinchera, Degli archivi napoletani, Napoli, 1872, p. 497. La Cassa militare, organi-
smo tipico dell'amministrazione finanziaria del Regno, la quale, unitamente alla Cassa Ordinaria
aveva il «carico di eseguire una parte delle spese dello Stato», era stata ordinata nel 1612 dal
Vicere Conte di Lemos (L. Bianchini, Storia delle Finanze, cit., p. 229; L. Giustiniani, Nuova
collezione delle prammatiche del Regno di Napoli, cit., pp. 300-333; R. Romano, La situazione
finanziaria del Regno di Napoli attraverso il bilancio generale dell'anno 1734, in «Archivio storico
per le province napoletane», Napoli, 1974, cit., p. 161).
147
ASN, Inventario dell'Archivio di Stato di Napoli, Estratto del volume III della Guida
Generale degli Archivi di Stato Italiani, Roma, 1986, p. 31.
148
V. Tab. 2; ASBN, Banco della PietaÁ, AA, Libro maggiore dei creditori, 1734, II, cit., f.
984; idem, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1734, II, cit., 3502; idem,
Banco della PietaÁ, AA, Libro maggiore dei creditori, 1754, II, cit., f. 301.
149
E. De Simone, II Banco della PietaÁ, cit.,p. 75.
150
Sia nel periodo del Vicereame spagnolo che di quello austriaco, la Cassa militare «aveva
piuÁ o meno lodevolmente svolto i suoi compiti, facendo fronte alle spese di suo carico con il
ricavato di alcune rendite a tal uopo destinatele; ricavato che, al momento dell'arrivo delle armi
borboniche, ascendeva ad annui duc. 714.695.0.17» (ASN, Camera Reale, Consultationum,
fascio 170, cit., pp. 88-89, in R. Romano, La situazione finanziaria del Regno di Napoli, cit.,
p. 160).
151
Dato l'enorme aggravio di spese all'arrivo di Carlo a Napoli, l'amministrazione borbo-
nica riorganizzoÁ la Cassa militare, ordinando che «tutti i fondi che nel tempo del passato

82
correnti aventi natura militare, come stipendi dovuti agli ufficiali maggiori dei
reggimenti reali e somme ad essi rimesse per le necessitaÁ dei corpi che rappresen-
tavano (Reggimento della Regina, Regia Compagnia degli Alabardieri, Scudo Mag-
giore, Reggimento della Guardia italiana ed altro) 152.
La Cassa Militare, dunque, accentrava in se una parte delle rendite prove-
nienti dai vari arrendamenti per il sostenimento delle spese sopradette. Questo si
evince chiaramente da uno stato preventivo dell'anno 1759, serbato presso l'Ar-
chivio di Stato di Napoli, da cui risultano «le rendite certe, incerte et pro' una
vice 153 del Real Patrimonio di questo Regno di Napoli, che possono entrare in
Cassa militare nel presente anno 1759, dedotti li pesi intrinseci e forzosi su le
medesime, regolato in quanto alle Province del Regno, secondo le note d'esigibile
rimesse da Tesorieri e Percettori Provinciali e rispetto all'altri Corpi: per quelli
affidati, secondo li rispettivi annui estagli e per quei in amministrazione ed in
demanio col ragguaglio del frutto dato nei precedenti anni, con prevenzione peroÁ,
che in questo vengano comprese soltanto le rendite, che sono ad Ispezione della
Regia Camera e Sovraintendenza Generale della Real Azienda» (firmato dal razio-
nale D. Gennaro Gerace, Commissario). Dal documento risultano rendite certe per
oltre 1,8 milioni di ducati e rendite complessive per quasi 3 milioni 154.
La Regia Tesoreria Generale aveva un conto presso ogni banco con notevoli
fondi. Essi derivavano in gran parte dalle numerose rimesse dei regi percettori e
loro rappresentanti per le esazioni nelle varie province del Regno 155, dalle ritenute

Governo stavano applicati per la dotazione della Cassa militare» dovessero essere tenuti, dal 24
giugno 1734, unitamente ai fondi destinati per la Marina, separati dagli altri ed «in deposito a
disposizione» personale di Carlo (ibidem).
152
ASN, Inventario dell'Archivio di Stato di Napoli, cit., p. 31.
153
Le rendite «pro' una vice» erano quelle provenienti da tutti quei corpi al di fuori di
Tesorieri e Percettori provinciali come «vendita d'offici» e «vendita di corpi devoti» (ASN,
Fondo cedole di Tesoreria, vol. 606).
154
Tale stato preventivo era accompagnato da una lettera al sovrano e da una lettera al
Marchese Baldassarre Cito, Luogotenente della Regia Camera. Nella prima lettera si legge:
«Propostosi in questo Tribunale lo Stato preventivo delle rendite certe, incerte, contingenti
et pro' una vice del Vostro Real Patrimonio di questo Regno di Napoli... veggendosi che
l'esigibile di detto anno sia di duc. 3.668.743 e grana 28, da quali dedotti duc. 725.905,59 di
pesi intrinseci e forzosi, restano probabilmente netti da potersi introitare in Cassa Militare duc.
2.942.837,69 ne' divisati tempi. Prevenendosi in esso di comprendersi soltanto le rendite certe,
che sono ad Ispezione di questa Regia Camera e Sovrintendenza Generale della Reale Azienda,
si eÁ stimato percioÁ umiliarlo alla M.V., accioÁ il tutto sia dalla sua Sovrana intelligenza, la di cui
Real Persona il Sig.re Iddio guardi e conservi, come noi suoi fedelissimi vassalli desiderano.
Dalla Regia Camera della Summaria, li Giugno 1759». L'altra lettera, indirizzata al Luogote-
nente della Regia Camera, riguarda la richiesta di un compenso straordinario per la formazione
dello stato preventivo, da parte dei prorazionali Prospero D'Auria e Gennaro Silvati che otten-
gono 100 ducati con lettera del 23 Giugno 1759, «in conformitaÁ del solito pratticato negli anni
antecedenti per consimili fatiche» (ibidem).
155
In una cedola del 29 dicembre 1749 si legge: «Da D. Cristofaro Spinelli affittuario
generale dell'Arrendamento del jus proibendi del tabacco duc. 17.724,63 disse per la rata del
corrente mese di Decembre 1749, spettante alla Regia Corte sopra gli annui duc. 300.000 che

83
operate dagli esattori privati sulle riscossioni di fiscali e adoe effettuate per conto
di terzi e dai versamenti eseguiti dai governatori dei singoli arrendamenti 156. Nel
dare del conto venivano registrate le uscite per spese correnti, come gli stipendi ai
dipendenti statali, soprattutto ufficiali e portieri impiegati nelle varie segreterie, e
quando non c'era un funzionamento distinto della Cassa Militare, anche le spese
per il mantenimento dell'esercito 157. La movimentazione ed il saldo finale del
conto intestato alla Tesoreria erano quasi sempre notevoli, presso tutti i banchi
e per tutti gli anni considerati 158, tranne che nel 1734 presso il Banco della PietaÁ,
quando il saldo fu di appena 0,22 ducati 159. Difatti, giaÁ nel 1739, gli importi
registrati in questo conto cominciarono ad essere piuÁ consistenti: presso il Banco
dello Spirito Santo il conto si apre con un credito di 25.931,15 ducati, presenta
accrediti per 14.754,73 ducati e addebiti per 3.893,51 ducati e si chiude con un
credito finale di 36.792.37; presso il Banco di San Giacomo, il saldo semestrale eÁ
di 14.754,73 ducati, cui si aggiungono accreditamenti per 49.259,05 ducati e si
sottraggono addebitamenti per 72.672,20 ducati, con un saldo finale di 15.972,11
ducati; meno elevati sono i crediti registrati presso il Banco del Salvatore (duc.
5.340,57) e presso il Banco dei Poveri (duc. 3.699,91) 160. Nel 1744 diminuisce il

importa l'estaglio di detto affitto principiato dalli 20 Maggio 1749 in avanti, come dagli atti
dell'Affittuario Pagano, pagati per il Banco di S. Eligio con polizza di Pietro Lignola de 19 del
corrente» (ASN, Fondo cedole di Tesoreria, vol. 595).
156
Da una cedola del primo luglio 1749: «Dalli Gov.ri dell'Arrendamento della seti di
Calabria duc. 3333.1.15 dissero per la mesate di Luglio e Agosto del corrente anno 1749
dell'annui duc. 20.000 per rata dell'annui 20.000, per rata dell'annui ducati 300 mila dote di
questa Regia Cassa pagati per il Banco di S. Giacomo con polizza de 26 Giugno detto» (ibidem).
157
«A. D. Tommaso Trabucco, Tesoriere della Marina, duc. 1324.4.11 per soddisfare li
soldi di luglio 1749 all'Ufficiali generali e Ministri di Marina» (ibidem, 8 agosto 1749); «A D.
Tommaso Trabucco duc. 3.058.1.4 a compimento di duc. 7.558.1.4 per le giornate e spese
occorse nella formazione e costruzione delle Casse aÁ mare nuova Strada e Scogliere dal primo
aprile e per tutto luglio 1749`` (ibidem, 7 novembre 1749). Tutte le erogazioni di denaro, sia sotto
forma di stipendi e salari, che di mandati a favore di particolari, per essere liberati dalla Tesoreria
Generale, che aveva funzioni di cassa centrale, dovevano passare per la «scrivania di razione».
Qui, un ufficiale addetto rilasciava ai pagatori le «liberanze» per il Tesoriere Generale ed anno-
tava in una rubrica i mandati, in virtuÁ dei quali si facevano i pagamenti ed il giorno della
spedizione delle liberanze. Un altro ufficiale della scrivania di razione assisteva in Tesoreria
Generale alla rimessa degli introiti ed agli esiti. Il pagatore, al momento della consegna delle
liberanze al Tesoriere Generale riceveva una controcedola, da presentare alla Sommaria al mo-
mento della verifica dei conti. I pagamenti effettuati venivano trascritti dal Tesoriere Generale o
da un ufficiale da lui delegato in una cedola. Le cedole dovevano passare poi al controllo dei
razionali della Camera della Sommaria. Dopo che il Tesoriere Generale aveva formato il «leva-
mento» della cedola, in cui venivano segnati, in maniera ordinata, le entrate e le uscite della Regia
Corte e dopo l'avvenuta verifica da parte dei razionali della Camera della Sommaria, veniva steso
il bilancio da parte di un razionale. I razionali attendevano, poi, alla liquidazione della cedola
stessa (N. Barone, Le cedole di Tesoreria dell'Archivio di Stato di Napoli dall'anno 1460 al 1504, in
«Archivio Storico per le province napoletane», anno IX, fase. 1, Napoli, 1884, p. 6).
158
V. Tab. 2.
159
ASBN, Banco della PietaÁ, AA, Libro maggiore dei creditori, 1734, II, cit., f. 351
160
Idem, Banco dello Spirito Santo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1739, II, cit., f. 3037;

84
credito presso il Banco di San Giacomo e presso il Banco dello Spirito Santo,
mentre aumenta presso il Banco del Salvatore (duc. 11.279,71), presso il Banco
dei Poveri (duc. 10.462,75) e presso il Banco della PietaÁ (duc. 9.485,07) 161. Cinque
anni dopo, si registra un conto intestato alla Tesoreria Generale anche presso il
Banco di Sant'Eligio, con scarsa movimentazione, ma con un credito finale piut-
tosto consistente (duc. 27.372.18), nonche presso il Banco del Popolo (duc.
9.322) 162; sale il credito anche presso il Banco dello Spirito Santo (duc.
43.292,68), presso quello di San Giacomo (duc. 7.378,35) e presso il Banco dei
Poveri (duc. 12.304,27), con una leggera diminuzione di quello presso il Banco
della PietaÁ (duc. 5.611,79) 163. EÁ verso il Banco di San Giacomo, invece, che, nel
1754, la Tesoreria Generale vantava il credito piuÁ elevato: 137.447,75 ducati, che
si riducono a 68.486,31 ducati a fine anno a causa degli addebitamenti (duc.
73.006,07) che superano abbondantemente gli accreditamenti (duc. 4.044,63).
Presso il Banco di Sant'Eligio, il credito sale a 28.883,79 ducati e presso il Banco
dello Spirito Santo a 24.538.06 ducati 164; lievi diminuzioni negli importi finali si
registrano presso gli altri banchi 165. Nell'ultimo anno del Regno di Carlo di Bor-
bone, eÁ ancora il Banco di San Giacomo a presentare un conto intestato alla
Tesoreria Generale con il saldo piuÁ elevato (duc. 64.231,09), seguito dal Banco
del Popolo (duc. 52.008,39). Anche presso i banchi dello Spirito Santo e di San-
t'Eligio, i conti ad essa intestati sono di importo piuttosto elevato: rispettivamente
21.979,36 e 20.199,91 ducati 166; aumenti consistenti si riscontrano anche presso il
Banco dei Poveri e presso il Banco della PietaÁ 167.
Come si vede, il Banco di San Giacomo presenta il conto intestato alla Teso-
reria Generale con importi piuÁ elevati, per quasi tutti gli anni esaminati 168, il che
puoÁ essere facilmente spiegato dal ruolo di quest'ultimo come «banco di corte», per

idem, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1739, II, cit., f. 3879; idem,
Banco del Salvatore, AA, Libro maggiore dei creditori, 1739, II, cit., f. 4023; idem, Banco dei
Poveri, Libro maggiore dei creditori, 1739, II, cit., f. 3006.
161
Idem, Banco del Salvatore, AA, Libro maggiore dei creditori, 1744, II, cit, f. 4023; idem,
Banco dei Poveri, AA, Libro maggiore dei creditori, 1744, II, cit., f. 3549; idem, Banco della
PietaÁ, AA, Libro maggiore dei creditori, 1744, II, cit., f. 1189.
162
Idem, Banco di Sant'Eligio, AA, Libro maggiore dei creditori, 1749, II, cit., f. 904;
idem, Banco del Popolo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1749, II, cit., f. 3532.
163
V. Tab. 2.
164
ASBN, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1754, II, cit., f. 6315;
idem, Banco di Sant'Eligio, AA, Libro maggiore dei creditori, 1754, II, cit., f. 1088; idem, Banco
dello Spirito Santo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1754, II, cit., f. 2690.
165
V. Tab. 2.
166
ASBN, Banco di San Giacomo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1759, II, cit., f. 6827;
idem, Banco del Popolo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1759, II, cit., f. 5861; idem, Banco
dello Spirito Santo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1759, II, cit., f. 2158; idem, Banco di
Sant'Eligio, AA, Libro maggiore dei creditori, 1759, II, cit., f. 931.
167
V. Tab. 2.
168
Pur presentando sempre saldi creditori (di importo quasi sempre consistente), i suddetti
conti accesi alla Corte avevano, comunque, un'incidenza irrilevante (ad eccezione di qualche
anno) sulle somme investite dai banchi con la Corte stessa.

85
la sua prossimitaÁ al palazzo reale (dove allora risiedevano le amministrazioni fi-
nanziarie) e soprattutto per la sua qualitaÁ di istituzione spagnola (che gli guada-
gnava le simpatie del sovrano e dei suoi ministri) 169.
Altro conto importante era quello intestato presso lo stesso Banco di San
Giacomo all'«Officio di Corriere Maggiore del Regno» 170 che, nel 1734, presen-
tava un saldo semestrale di 15.416,32 ducati, accreditamenti ed addebitamenti di
10.227,73 e 17.454,80 ducati ed un saldo finale di 8.189,25 ducati. Nel 1739 e nel
1744, il credito si ridusse, rispettivamente, a 1.691,79 e a 933,68 ducati, ma esso
risalõÁ prima a 6.471,16 ducati e poi a 8.945,75 ducati nel 1749 e nel 1759 171.
Tra i numerosissimi conti presenti nella contabilitaÁ dei banchi pubblici napo-
letani, si notano, infine, i conti che ogni banco intestava agli altri banchi. Si badi

169
L'Archivio Storico del Banco di Napoli. Una fonte preziosa per la storia economica, sociale
ed artistica del Mezzogiorno d'Italia, Napoli, 1972, p. 58. Il «Banco di San Giacomo e Vittoria»
derivoÁ dalla Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli e dall'annesso ospedale. Era inevitabile che
un'amministrazione destinata completamente a vantaggio della nazione dominante non tardasse
a seguire l'esempio degli altri istituti pii, ottenendo, nel 1597, dal vicere Conte d'Olivares,
l'assenso per l'apertura di un banco pubblico (R. Filangieri, I banchi di Napoli, cit., p. 54; R.
Borrelli, Memorie storiche della Chiesa di San Giacomo dei nobili spagnuoli e sue dipendenze,
Napoli, 1903, p. 165).
170
L'istituzione delle poste,.risale al Regno di Carlo V d'Asburgo. Ad una prima pram-
matica del 18 settembre 1559 ne seguirono altre, il 28 settembre 1564 e il 15 gennaio 1572. Nel
1742 vi fu un riordinamento generale del servizio con l'istituzione di due classi di corrieri, una
detta di Gabinetto, l'altra di Calabria, alle quale presiedeva l'Ufficio del corriere maggiore. A
tale proposito, in un documento dell'Archivio di Stato di Napoli del 1734, si legge: «La Regia
Corte ricava questa rendita (dell'Ufficio di Corriere Maggiore) dal commodo che daÁ alli parti-
colari per lo scrivere che fanno delle lettere, tanto per il Regno che fuori Regno, e riceverne le
risposte, che dal mandare e ricevere robbe per li Procacci, con cheÁ staÁ fondata sul semplice
trasporto delle lettere e delle robbe, che li particolari, o mandano o ricevono, cosõÁ dal Regno che
da altro Regno ancora e percioÁ pagano all'Officio il dritto stabilito, cosõÁ per le lettere che robbe
ne' luoghi di loro destino». Si calcolava, poi, la rendita attribuita a tale ufficio nel 1734:
«Quest'Officio presentemente si trova in demanio e regolandosi la sua rendita secondo il frutto
dell'anno precedente, si stima prudenzialmente possa rendere annui 83.816 ducati» (ASN,
Fondo Dipendenze della Sommaria, I serie, f. 32 VI, inc. 1, p. 89). La rendita di quest'ufficio
confluiva nelle casse della Tesoreria Generale, come si evince da una cedola del dicembre 1739:
«Dal Regio Officio di Corriere maggiore del Regno ventottomilasettecentonovanta 3.8 cioeÁ
14.1.12 dei 91284.1.13 ch'importa il fruttato di detto officio dal primo Gennaio a tutto Dec.
1738 e duc. 28776.1.16 a conto del fruttato ut supra dal primo Gennaio per tutto Dec. 1739
introitati in cassa, cioeÁ 28790.3.8» (idem, Fondo cedole di Tesoreria, vol. 587 A, p. 18). Anche i
banchi napoletani spesso contribuivano alle rendite di quest'ufficio. Un esempio significativo si
ritrova a proposito delle monete straniere. Difatti, nel 1755, la segreteria d'azienda chiese al
banchi di tenere a disposizione, a turni di due mesi ciascuno, la somma di 1.560 ducati al mese in
moneta straniera (dobloni spagnoli e zecchini veneziani o fiorentini) per pagarli al «corriere
maggiore» che ne aveva bisogno per i corrieri che si recavano all'estero. Giunto il suo turno,
il Banco della PietaÁ fece presente di non disporre di monete straniere, se non le poche ricevute in
pegno, ma si disse disposto ad utilizzarle per il servizio reale. La segreteria d'azienda rifiutoÁ
l'offerta, adducendo che non dovevano toccarsi le monete straniere impegnate da privati (E. De
Simone, Il Banco della PietaÁ, cit., p. 100).
171
V. Tab. 2.

86
bene, peroÁ, che non si tratta di «conti di riscontro», come si potrebbe pensare,
poiche tali conti accoglievano solo partite relative ad accreditamenti di arrenda-
menti, dato che spesso poteva accadere che un banco ricevesse l'ordine di paga-
mento di una certa somma per gli altri banchi. Esso, allora, accreditava la somma
nel conto del banco interessato, che poi ritirava la somma stessa quando voleva.
Gli addebitamenti riguardavano, invece, eventuali anticipi fatti al banco titolare
del conto, sulla base dei mandati giaÁ ricevuti ma non ancora materialmente ri-
scossi. Nel caso di riscontri, invece, essendo questa una pratica mai ufficialmente
riconosciuta, si provvedeva ad operare in capo ai cassieri di ciascun banco o,
addirittura, in capo agli aiutanti dei cassieri, rendendo cosõÁ veramente difficile
l'individuazione esatta della movimentazione dei riscontri tra i sette banchi pub-
blici napoletani. CioÁ trova conferma nella movimentazione e nei saldi finali dei
conti in esame, mai eccessivamente elevati, che vanno da pochi ducati fino a circa
1.000 ducati. Solo in pochi casi gli importi superavano i 4.000 ducati, come presso
il Banco del Popolo, dove i conti intestati al Banco della PietaÁ si chiudevano, nel
1739, con un saldo di 5.937,17 ducati; nel 1744 con 4.448,36 ducati; nel 1754 e
nel 1759, rispettivamente, con 6.436,63 e 10.523,97 ducati. In quest'ultimo anno,
il conto si era aperto con un credito di 5.950,10 ducati, aveva presentato accre-
ditamenti per 4.586,53 e addebitamenti per soli 12,66 ducati 172.
Un caso particolare eÁ quello del Banco dell'Annunziata che, pur essendo
fallito nel 1702 173, era ancora presente nella contabilitaÁ degli altri banchi, per
la registrazione dei creditori del banco «dismesso» 174. Gli amministratori del

172
ASBN, Banco del Popolo, AA, Libri maggiori dei creditori, 1739, II cit., f. 2744; 1744,
II, cit., f. 1955; 1754, II, f. 4512; 1759, II, cit., f. 5755.
173
Nel 1701, in seguito alla morte di Carlo II, non avendo egli eredi, i suoi domini
passarono a Filippo, nipote di Luigi XIV. Tuttavia era facile immaginare che tale situazione
avrebbe provocato una reazione da parte dell'Austria e si prevedeva una guerra tra quest'ultima
e la Francia. Pertanto, non appena si diffuse la notizia della grave malattia di Carlo, i depositanti
si precipitarono a cambiare le loro bancali in moneta d'oro e d'argento. Alla morte di Carlo II, i
banchi cambiarono le bancali solo per un quinto del loro valore. Successivamente i banchi
riuscirono a risollevarsi, tranne il Banco dell'Annunziata che, nel 1702, fallõÁ (E. Tortora, Rac-
colta di documenti, cit., pp. 219-228).
174
Quando il Banco dell'Annunziata stava per fallire, gli altri banchi intervennero in suo
soccorso. Il Banco dei Poveri prestoÁ 50.000 ducati, quello della PietaÁ prese parte all'operazione
di salvataggio con 100.000 ducati, di cui 44.000 costituiti da riscontri, ed il Banco di San
Giacomo con 112.000 ducati, di cui 60.000 di riscontri. Le somme prestate sarebbero state
garantite da quote di arrendamenti, posseduti dal Banco dell'Annunziata (D. Demarco - E.
Nappi, Nuovi documenti sulle origini del Banco di Napoli, in «Revue internationale d'histoire
de la banque», GeÁneÁve, 1975, p. 19). La seconda metaÁ del dicembre 1701 fu decisiva per la vita
del Banco dell'Annunziata. Un ignoto diarista scrive, infatti, che nella Regia Zecca si batteÁ
nuova moneta, ricavata dalla fusione degli argenti della Casa Santa dell'Annunziata, poicheÂ, il
Banco, nato a lato dell'istituzione pia, era fallito ed aveva oltre 4 milioni di ducati di sofferenze,
frutto della cattiva gestione dei governatori nobili che si erano alternati al suo governo per oltre
cento anni. La Gran Corte della Vicaria aveva deciso il sequestro e la fusione degli argenti della
Casa Santa, per permettere il pagamento delle fedi di credito ai clienti che si affollavano agli
sportelli del Banco (Diario Napoletano dal 1700 al 1709, a cura di G. De Blasis, in «Archivio

87
Banco dei Poveri erano spinti ad accollarsi l'attivitaÁ del Banco fallito, soprattutto
per via del denaro contante che affluiva nelle casse del Banco dei Poveri e di cui
essi potevano disporre. Le rendite riscosse dagli esattori della Casa Santa dell'An-
nunziata ed il pagamento degli stipendi ai suoi dipendenti passarono per le casse
del Banco dei Poveri. Lo stesso valeva per le rendite da pagare ai censali dell'An-
nunziata 175 e ai creditori istrumentari del Banco fallito. Si trattava di somme
considerevoli, a disposizione del Banco dei Poveri, finche l'avente diritto non
si presentava ai suoi sportelli per riscuoterle. Anche le «confidenze», cioeÁ i legati a
favore della Casa Santa dell'Annunziata, che rendevano migliaia di ducati al-
l'anno e che un tempo erano amministrati dal Banco dell'Annunziata, furono
amministrate dal Banco dei Poveri e gli fornirono la disponibilitaÁ di cospicui
fondi 176.
Per conseguenza, oltre ai conti intestati alla Casa Santa dell'Annunziata 177,
che si presenta come istituzione, indipendentemente dal Banco giaÁ fallito 178, tro-
viamo altri conti intestati a «Creditori istrumentari dell'A.G.P.» 179 ed alla «Casa
dell'Annunziata per censali». I primi sono accesi presso il Banco dei Poveri, nel
1739, con un saldo finale di 11.311,24 ducati, a fronte di un saldo iniziale di 1,25
ducati; nel 1749, con duc. 12.092,38 e nel 1759 con 5.839,45 ducati 180, ma con
scarsa movimentazione in entrambi gli anni 181. I secondi si trovano presso il Banco
del Popolo, nel 1749, con un credito iniziale di 21.414,32 ducati e uno finale di

storico delle province napoletane», 1885, fasc. II, pp. 114 e ss.). La maggior parte delle attivitaÁ
dell'istituto fallito rifluõÁ nel Banco dei Poveri. Infatti, in un memoriale ai governatori del 18
dicembre 1704, il cassiere del Banco dei Poveri, Nicola Toma, lamentava che il suo lavoro fosse
quasi raddoppiato per il trasferimento ai Poveri del negoziato, «in particolare» del Banco del-
l'Annunziata (ASBN, Banco dei Poveri, AP, Conclusioni, matr. 676, p. 536).
175
Nel 1498, Federico d'Aragona, in pagamento dei debiti cedette, «sub nomina censu»,
una parte del gettito del quartatico, un dazio che si esigeva alle «sbarre» della capitale e che
colpiva i grani, le biade, i legumi, il pesce, la frutta. L'amministrazione di questo dazio fu data
alla Casa Santa dell'Annunziata ed i cespiti furono detti censali dell'Annunziata (A. Allocati,
Tipiche operazione del Banco della PietaÁ in alcuni atti notarili dei secoli XVI-XIX, Napoli, 1966, pp.
172-173).
176
D. Demarco - E. Nappi, Nuovi documenti, cit., p. 22.
177
Numerosi, anche se di scarso importo, sono i conti intestati alla Casa dell'Annunziata,
ritrovati nei libri maggiori dei creditori di tutti i banchi esaminati. Si tratta, infatti, di importi
che oscillano intorno ai 100-200 ducati, superando solo in pochissimi casi i 1.000 ducati, come
presso il Banco del Salvatore, nel 1744 con 1.419,33 e nel 1754 con 1.079,58 ducati (ASBN,
Banco del Salvatore, AA, Libri maggiori dei creditori, 1744, II, cit., f. 2434; 1754, II, f. 4129).
178
Per il Banco fallito, il conto eÁ denominato «Banco dismesso A.G.P.»; in genere, pre-
senta scarsa movimentazione e saldi finali, che nelle ipotesi massime, sono inferiori ai 1.000
ducati (v. Tab. 3).
179
I creditori istrumentari erano coloro ai quali si vendevano annue entrate e prendevano
tale nome in quanto erano in possesso dell'istrumento, cioeÁ dell'atto redatto dal notaio, atte-
stante la vendita (E. De Simone, II Banco della PietaÁ, cit., p. 59).
180
ASBN, Banco dei Poveri, AA, Libri maggiori dei creditori, 1739, II, cit., f. 4081; 1749,
II, f. 4627; 1759, II, f. 4268.
181
V. Tab. 3.

88
13.706,97 ducati; nel 1754, il credito si riduce lievemente, a fronte, peroÁ, di una
movimentazione piuttosto consistente: il conto si apre con 14.214,16 ducati, pre-
senta accreditamenti per 26.568,81 ducati, addebitamenti per 29.564,81 ducati e
un saldo finale di 11.218,16 ducati 182. Tra le uscite, numerosi erano i pagamenti
per censi relativi a case, mulini, masserie e territori posseduti un tempo dalla Casa
e Banco dell'Annunziata. Nella sezione del dare venivano altresõÁ registrati i paga-
menti per stipendi ai dipendenti, agli ufficiali e per compensi spettanti a coloro che
prestavano i loro servizi a favore dell'«Azienda Generale», come il libro maggiore
ed i suoi aiutanti per la tenuta delle scritture contabili, l'archiviario, il notaio, i
fattori che avevano cura delle masserie, il guardiano e numerosi altri.
Quel che emerge, in definitiva, dall'esame sulla natura e sulla movimentazione
dei conti presso i banchi pubblici napoletani al tempo di Carlo di Borbone eÁ
l'esistenza di un «sistema» bancario efficiente e ben coordinato, in cui ciascun
banco non operava in concorrenza con gli altri, aspirando ad una qualche supre-
mazia, ma, al contrario, sembra che si mirasse ad una unitarietaÁ e complementaritaÁ
nello svolgimento dell'attivitaÁ bancaria, sicche «di tanta utilitaÁ tornavano alle
particolari intraprese, alla circolazione della moneta, e tante persone alimentavano
e soccorrevano» 183.

182
Idem, Banco del Popolo, AA, Libro maggiore dei creditori, 1749, II, cit., f. 3732; 1754,
II, cit., f. 3705.
183
L. Bianchini, Storia delle finanze, cit., p. 365. Le ricerche sulla clientela sono partico-
larmente complesse e laboriose e possono compiutamente essere svolte soltanto da un gruppo di
lavoro. Vale la pena, tuttavia, al di laÁ dei dati elaborati e delle poche considerazioni svolte,
approfondire tali ricerche, perche possono fornire non poche indicazioni sulla trasformazione
della societaÁ napoletana per un lungo arco di tempo.

89
Appendice
Tab. 1. Banchi pubblici napoletani. Movimento e saldo dei principali conti, dal 1734 al 1759 (secondo
semestre), per quinquenni, in ducati

Saldo Saldo
Cliente Anno Banco Accrediti Addebiti
iniziale finale
Andrea Acerbo 1744 Spirito Santo f. 2073 3.698,83 13.308,27 8.041,71 8.965,39
1749 Salvatore f. 4160 7.746,44 1.747,67 1.759,07 7.735,04
1754 Spirito Santo f. 2721 10.007,15 11.289,46 3.417,58 17.879,03
Ignazio Barretta 1734 S. Eligio f. 776 7.860,77 7.158,01 10.633,50 4.385,28
1734 Spirito Santo f. 1371 13.112,37 2.279,48 3.117,80 12.274,05
1739 Spirito Santo f. 2499 35.366,80 33.672,58 23.550,23 45.489,15
1749 Spirito Santo f. 2161 43.944,56 24.988,53 21.785,32 47.147,77
1754 Spirito Santo f. 2699 27.071,96 6.609,52 1.656,50 32.024,98
Domenico Maria Brancaccio 1759 S. Giacomo f. 6701 40.203,21 12.363,60 22.684,67 29.882,14
Francesco Maria Berio 1734 Spirito Santo f. 1330 25.224,91 48.459,38 38.502,44 35.181,85
1739 Spirito Santo f. 2492 8.082,28 8.870,32 4.963,14 11.989,46
1749 S. Giacomo f. 5251 53.705,34 976,96 27.515,19 27.167,11
1754 S. Giacomo f. 6319 80.790,34 32.709,64 67.970,88 45.529,10
1759 S. Giacomo f. 6787 33.154,26 27.747,40 35.502,02 25.399,64
Gennaro Antonio Brancaccio 1739 S. Giacomo f. 3727 6.829,40 8.968,83 12.252,90 3.545,33
1744 Spirito Santo f. 2154 17.825,99 18.533,63 17.914,91 18.444,71
» S. Giacomo f. 3779 11.659,92 15.891,36 16.051,09 11.500,19
Girado Carafa, conte
di Policastro 1744 PietaÁ f. 974 16.373,33 4.000,00 243,20 20.130,13
1754 PietaÁ f. 658 12.700,00 4.500,00 500,00 16.700,00
Giovanni Celentano 1749 Spirito Santo f. 2287 7.856,29 15.525,50 16.942,63 6.439,16
1754 Spirito Santo f. 2752 10.078,75 1.483,53 1.172,00 10.390,28
1759 Spirito Santo f. 2314 9.473,37 2.445,53 6.242,66 5.676,24
D.co D'Amico 1744 Spirito Santo f. 2099 10.052,88 1.233,04 4.676,57 6.609,35
1759 S. Giacomo f. 6733 34.603,51 13.700,02 16.884,15 31.419,38
Matteo De Ferrante 1749 Spirito Santo f. 2611 2.437,03 8.954,99 1.057,88 10.334,14
1754 PietaÁ f. 595 34.174,25 ± 1.770,61 32.403,64
1759 PietaÁ f. 728 19.386,69 ± 5.340,00 14.046,69
Marchese Matteo De Sarno 1734 Poveri f. 2585 4.135,85 576,64 366,46 4.346,03
1759 S. Giacomo f. 6733 34.603,51 13.700,02 16.884,15 31.419,38
Marchese Andrea De Sarno 1744 S. Eligio f. 1582 8.625,88 1.469,33 3.704,03 6.391,18
Giuseppe De Lieto 1734 Spirito Santo f. 1735 8.430,57 10.806,47 8.023,15 11.213,89
1739 S. Eligio f. 1639 87,73 25.016,59 16.379,32 8.725,00
1744 Spirito Santo f. 2160 7.036,25 9.825,85 10.413,36 6.448,74
1754 Spirito Santo f. 2760 6.779,32 5.668,07 4.717,20 7.730,19
Giacomo Del Vecchio 1734 Salvatore f. 4080 7.167,14 4.074,36 3.537,51 7.703,99
1749 Salvatore f. 4134 5.843,96 1.706,28 76,00 7.474,24
1759 Salvatore f. 4259 11.334,59 8.235,53 10.101,50 9.468,62
Filippo Donnarumma 1749 PietaÁ f. 1088 14.500 ± 9.500,00 5.000,00
1754 PietaÁ f. 423 5.000,00 ± ± 5.000,00
1754 S. Giacomo f. 6281 31.370,00 14.173,57 23.420,34 22.123,23

90
Saldo Saldo
Cliente Anno Banco Accrediti Addebiti
iniziale finale
1759 S. Giacomo f. 6736 17.725,46 10.566,83 14.891,73 13.400.56
D. Vespasiano Giovine 1749 S. Eligio f. 1054 7.516,32 7.182,50 4.707,18 9.991,64
D. Tommaso Invitti 1734 PietaÁ f. 654 10.527,87 9.383,86 4.900,00 15.011,73
1739 PietaÁ f. 695 9.677,22 10.883,70 8.438,34 12.122,58
1739 S. Giacomo f. 2557 3.013,78 19.965,93 15.223,16 7.756,55
1749 PietaÁ f. 392 7.272,18 7.032,31 ± 14.304,49
Biase Lamberti 1759 Salvatore f. 4242 6.106,15 5.363,34 3.090,25 8.379,24
Giuseppe Landi 1744 Poveri f. 4314 21.808,28 7.518,80 7.492,02 21.835,06
1749 Poveri f. 4136 29.171,50 2.677,35 5.512,24 26.336,61
1754 Poveri f. 4060 43.502,60 75,00 2.078,08 41.499,52
1759 Popolo f. 2954 16.170,78 5.347,26 2.932,96 18.585,08
Giovanni Lembo 1744 Salvatore f. 2351 4.420,11 6.858,85 2.897,47 8.381,49
1754 Salvatore f. 4174 10.251,41 11.807,69 9.400,31 12.658,79
1759 S. Eligio f. 2143 18.000,00 ± ± 18.000,00
1759 Salvatore f. 4084 17.305,62 15.292,74 16.973,78 15.624,58
Carlo Maresca 1739 S. Giacomo f. 3579 5.736,53 6.395,92 9.117,13 3.015,32
1754 PietaÁ f. 1562 7.178,79 ± 1.900,00 5.278,79
Marchese Ettore Marulli 1744 Spirito Santo f. 2568 10.246,48 ± 53,80 10.192,68
1749 Spirito Santo f. 2493 14.768,29 522,04 162,70 15.127,63
1759 Spirito Santo f. 2280 10.594,46 17.574,96 17.162,11 11.007,31
Domenico Palomba e figli 1734 Spirito Santo f. 2135 11.893,00 7.430,40 4.540,96 14.782,44
1734 Salvatore f. 4077 6.922,21 3.850,00 1.844,98 8.927,23
1734 S. Eligio f. 776 1.655,00 6.391,63 4.272,55 3.774,08
1739 S. Eligio f. 1110 4.024,73 4.121,43 3.680,35 4.465,81
1749 S. Giacomo f. 4975 13.379,19 17.280,00 17.957,41 12.701,78
Conte Francesco Piatti 1739 S. Giacomo f. 3618 694,22 22.563,71 19.690,06 3.567,87
1739 Spirito Santo f. 1958 5.363,48 50.882,52 36.549,44 19.696,56
1744 Salvatore f. 2317 17.637,65 3.732,34 4.965,40 16.404,59
1744 Spirito Santo f. 2174 14.503,14 40.357,17 37.728,24 17.132,07
1749 Salvatore f. 4133 16.554,00 11.561,90 1.001,87 27.114,03
1749 Spirito Santo f. 2321 42.957,93 8.620,50 ± 51.578,43
1754 Spirito Santo f. 2791 39.302,84 31.344,68 32.141,53 38.505,99
1759 Spirito Santo f. 1708 20.917,34 34.022,68 22.507,89 32.432,13
Adamo Romito 1734 S. Giacomo f. 3484 5.114,21 1.535,69 2.672,35 3.977,55
1739 S. Giacomo f. 3795 2.598,72 31.504,37 26.335,99 7.767,10
1754 S. Giacomo f. 6169 32.556,88 2.278,02 42.008,21 -7.173,31
Bartolomeo Rota di
Colletorto 1734 S. Giacomo f. 3498 5.707,42 6,82 1.313,97 4.400,27
1734 S. Eligio f. 1246 2.532,40 35.627,42 32.021,12 6.138,70
1734 PietaÁ f. 835 4.098,96 8.297,00 7.112,04 5.283,92
1739 S. Giacomo f. 3793 11.062,87 17.607,43 18.102,05 10.568,25
1739 S. Eligio f. 1116 6.413,70 7.900 5.961,21 8.352,49
1739 PietaÁ f. 765 11.374,50 26.050,00 5.863,23 31.561,27
1744 S. Giacomo f. 3797 14.991,01 23.592,40 30.585,20 7.998,21
1744 S. Eligio f. 1416 6.909,09 29.250,00 22.159,32 13.999,77

91
Saldo Saldo
Cliente Anno Banco Accrediti Addebiti
iniziale finale
1744 Spirito Santo f. 2138 5.723,15 15.881,06 15.639,51 5.964,70
1744 PietaÁ f. 1118 17.450,59 16.880,00 15.617,18 18.713,41
1749 S. Giacomo f. 4982 31.773,64 29.023,86 36.696,36 24.101,14
1749 PietaÁ f. 1197 4.006,61 3.680,00 3.150,35 4.536,26
1754 S. Giacomo f. 6273 30.690,00 21.563,15 32.651,25 19.601,90
1754 S. Eligio f. 1074 8.706,46 45.574,25 38.676,54 15.604,17
1754 Spirito Santo f. 2895 24.104,82 3.261,40 4.403,53 22.962,69
1754 PietaÁ f. 882 6.370,90 ± 3.082,60 3.288,30
1759 S. Eligio f. 1228 10.413,41 12.670,00 13.155,57 9.927,84
1759 PietaÁ f. 453 589,95 ± ± 589,95
Dom.co e Cost.no Schiano 1734 S. Giacomo f. 3091 3.114,58 11.753,20 9.014,44 5.853,34
1739 Spirito Santo f. 2984 12.243,13 12.734,08 10.931,43 14.045,78
1744 Spirito Santo f. 2366 4.153,64 10.412,11 7.404,68 7.161,07
1749 Spirito Santo f. 2632 13.897,04 8.892,03 12.437,22 10.351,85
1749 S. Giacomo f. 5223 11.012,27 5.982,19 9.499,31 7.495,15
1749 PietaÁ f. 1168 5.992,68 2.223,68 2.733,75 5.482,61
1749 Salvatore f. 2278 15.249,82 7.812,91 10.190,75 12.871,98
1754 Salvatore f. 3500 5.630,73 3.495,95 1.632,66 7.494,02
1759 Salvatore f. 4410 4.101,46 19.764,52 18.506,60 5.359,38
D. Antonio Spinelli
di Fuscaldo 1759 Poveri f. 4079 5.873,09 1.268,00 574,36 6.566,73
1759 Salvatore f. 4372 34.044,09 1.776,06 10.450,06 25.370,09
Antonio Spinelli 1759 Salvatore f. 4232 42.636,26 4.117,54 5.722,04 41.031,76
Cristoforo Spinelli 1754 S. Giacomo f. 5761 9.828,62 30.891,32 17.861,79 22.858,15
1754 Popolo f. 2001 10.144,51 27.428,79 24.309,01 13.264,29
1754 Salvatore f. 4361 1.542,31 48.949,37 35.530,13 14.961,55
Marchese del Tito 1744 Spirito Santo f. 2167 9.558,77 21.820,97 26.692,52 4.687,22
1749 S. Giacomo f. 2959 ± 27.767,61 23.768,84 3.998,77
1754 Spirito Santo f. 2776 31.430,94 19.289,20 6.776,46 43.943,68
1759 Spirito Santo f. 2268 15.431,88 5.409,20 2.799,00 18.042,08
D. Francesco Tuttavilla,
duca di Calabritto 1749 Poveri f. 4335 11.711,55 3.807,33 2.117,43 13.401,45
1754 Poveri f. 4076 21.077,79 2.173,76 747,33 22.504,22
1759 Popolo f. 2560 17.412,23 5.907,00 2.086,27 21.232,96
Marchese di Vallesantoro 1754 Popolo f. 4516 39.346,06 6.955,12 23.511,79 22.789,39
1754 S. Giacomo f. 4355 290.822,66 333.768,29 503.435,73 121.155,22
1754 Spirito Santo f. 3151 8.679,06 4.297,19 1.205,52 11.770,73
1759 S. Giacomo f. 5431 14.719,66 2.032,96 9.593,28 7.159,34
Carmine Ventapane 1749 Poveri f. 4106 19.032,60 12.047,60 15.593,58 15.486,62
1754 Poveri f. 4070 26.302,33 9.188,26 17.989,40 17.501,19
1759 Popolo f. 5986 78.789,92 166,57 1.960,00 76.996,49

Fonte: Nostra elaborazione dei dati tratti o ricostruiti dai libri maggiori dei creditori.
Nota: La contabilitaÁ dei banchi era tenuta in ducati, tarõÁ e grana che, nelle tabelle, sono dati in decimali ed
espressi in ducati e grana. I numeri indicati accanto ai banchi, per ciascun anno, indicano il numero del foglio
del libro maggiore dei creditori in cui eÁ registrato il conto.

92
Tab. 2. Banchi pubblici napoletani. Movimento e saldo dei principali conti intestati all'amministrazione
statale, dal 1734 al 1759 (secondo semestre), per quinquenni, in ducati.

Saldo Saldo
Cliente Anno Banco Accrediti Addebiti
iniziale finale
Tesoreria generale 1734 PietaÁ f. 351 0,22 ± ± 0,22

1739 Poveri f. 3006 7.115,50 5.482,50 8.898,09 3.699,91


1739 Salvatore f. 3950 1.200,84 16.061,79 11.922,06 5.340,57
1739 S. Giacomo f. 3807 39.385,26 49.259,05 72.672,20 15.972,11
1739 Spirito Santo f. 3037 25.931,15 14.754,73 3.893,51 36.792,37
Totale 73.632,75 85.558,07 97.385,86 61.804,96
1744 PietaÁ f. 1189 3.318,95 80.187,55 74.021,43 9.485,07
1744 Poveri f. 3549 13.346,90 3.614,33 6.498,48 10.462,75
1744 Salvatore f. 4023 3.505,41 20.837,10 13.062,80 11.279,71
1744 S. Giacomo f. 3879 11.277,23 5.136,80 12.218,74 4.195,29
1744 Spirito Santo f. 2013 17.678,81 12.027,77 3.640,49 26.066,09
Totale 49.127,30 121.803,55 109.441,94 61.488,91
1749 PietaÁ f. 1212 6.742,40 22.450,95 23.581,56 5.611,79
1749 Poveri f. 4093 19.384,15 7.740,88 14.820,76 12.304,27
1749 S. Giacomo f. 4827 10.771,58 29.348,23 32.741,46 7.378,35
1749 Popolo f. 3532 6.556,01 15.630,69 12.864,70 9.322,00
1749 S. Eligio f. 904 31.144,97 ± 3.772,79 27.372,18
1749 Spirito Santo f. 2138 54.941,22 1.428,89 13.077,43 43.292,68
Totale 129.540,33 76.599,64 100.858,70 105.281,27
1754 PietaÁ f. 823 877,55 3.193,97 3.036,37 1.035,15
1754 Poveri f. 4011 6.929,64 42,66 1.012,00 5.960,30
1754 S. Giacomo f. 6315 137.447,75 4.044,63 73.006,07 68.486,31
1754 Popolo f. 4144 11.728,67 12.842,39 15.490,34 9.080,72
1754 S. Eligio f. 1088 22.489,83 14.642,27 8.248,31 28.883,79
1754 Spirito Santo f. 2690 32.024,02 11.311,01 18.796,97 24.538,06
Totale 211.497,46 46.076,93 119.590,06 137.984,33
1759 PietaÁ f. 1528 626,16 5.296,95 ± 5.923,11
1759 Poveri f. 4702 7.195,72 2.949,22 1.921,15 8.223,79
1759 S. Giacomo f. 6827 53.792,71 14.813,91 4.375,53 64.231,09
1759 Popolo f. 5861 41.839,79 46.018,19 35.849,59 52.008,39
1759 S. Eligio f. 931 16.313,00 11.457,78 7.570,87 20.199,91
1759 Spirito Santo f. 2158 14.864,51 10.089,13 2.974,28 21.979,36
Totale 134.631,89 90.625,18 52.691,42 172.565,65
Cassa militare 1734 PietaÁ f. 984 382,05 759,79 1.037,47 104,37
1734 S. Giacomo f. 3502 2.665,49 254.874,46 140.201,73 117.338,22
1744 PietaÁ f. 393 98,75 ± ± 98,75
1744 S. Giacomo f. 3285 53,32 53,32 ± 106,64
1749 PietaÁ f. 322 98,75 ± ± 98,75
1749 S. Giacomo f. 3285 55,88 ± ± 55,88
1754 PietaÁ f. 301 98,75 ± ± 98,75
Corriere maggiore 1734 S. Giacomo f. 3306 15.416,32 10.227,73 17.454,80 8.189,25
1739 S. Giacomo f. 3831 1.931,37 5.191,47 5.431,05 1.691,79

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Saldo Saldo
Cliente Anno Banco Accrediti Addebiti
iniziale finale
1744 S. Giacomo f. 3847 -885,43 3.182,88 1.363,77 933,68
1749 S. Giacomo f. 5213 1.782,99 5.789,31 1.101,24 6.471,06
1759 S. Giacomo f. 6823 9.434,25 ± 488,50 8.945,75
Fonte: Nostra elaborazione dei dati tratti o ricostruiti dai libri maggiori dei creditori.

Tab. 3. Banchi pubblici napoletani. Movimento e saldo dei principali conti intestati agli altri banchi, dal 1734
al 1759 (secondo semestre), per quinquenni, in ducati.

Saldo Saldo
Cliente Anno Banco Accrediti Addebiti
iniziale finale
Banco dismesso AGP 1734 S. Giacomo f. 73 6,20 ± ± 6,20
1739 S. Giacomo f. 139 6,20 ± ± 6,20
1739 Poveri f. 1714 881,68 49,00 0,92 929,76
1744 S. Giacomo f. 118 6,20 ± ± 6,20
1744 Poveri f. 2168 653,02 ± ± 653,02
1749 S. Giacomo f. 73 6,20 ± ± 6,20
1749 Poveri f. 2902 673,88 ± ± 673,88
1754 S. Giacomo f. 4601 6,20 ± ± 6,20
1754 Poveri f. 2865 795,85 ± ± 795,85
1759 Poveri f. 3646 6,27 ± ± 6,27
Deputazione creditori
istrumentari AGP 1739 Poveri f. 4081 1,25 11.326,56 16,57 11.311,24
1749 Poveri f. 4627 12.594,74 6,66 509,02 12.092,38
1759 Poveri f. 4268 5.914,22 76,66 151,43 5.839,45
Casa Santa AGP
per censali 1749 Popolo f. 3732 21.414,32 3.667,50 11.374,85 13.706,97
1754 Popolo f. 3705 14.214,16 26.568,81 29.564,81 11.218,16
Fonte: Nostra elaborazione dei dati tratti o ricostruiti dai libri maggiori dei creditori.

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