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STORIA DELLA FILOSOFIA

di Nicola Abbagnano
VOLUME TERZO CAPITOLO QUARTO: Fichtel. La vita. Johann Gottlieb Fichte nacque a
Rammenau il 19 maggio 1762 da famigliapoverissima. Compì i suoi studi di teologia
a Jena e a Lipsia lottandocon la miseria. Fece poi il precettore in case private
in Germania e aZurigo, dove conobbe Johanna Rahn che in seguito divenne sua mog
lie (1793). Nel 1790, Fichte ritornò a Lipsia; e qui venne per la primavolta in co
ntatto con la filosofia di Kant che decise della suaformazione filosofica. La "s
coperta" di Kant." Io vivo in un mondo nuovo, scriveva entusiasticamente in una
lettera,dacché ho letto la Critica della ragion pratica. Principi che credevoincon
futabili mi sono stati smentiti; cose che io non credevo potesseromai essere dim
ostrate, per esempio il concetto dell'assoluta libertà,del dovere eccetera, mi son
o state dimostrate ed io mi sento perciò assai più contento. è inconcepibile quale ris
petto per l'umanità, qualeforza, ci dà questo sistema". L'anno dopo, il 1791, Fichte
si reca a Königsberg per far leggere a Kantil manoscritto della sua prima opera,
Ricerca di una critica di ognirivelazione. Lo scritto è composto interamente nello
spirito delkantismo, sicché quando comparve anonimo nel 1792 fu scambiato per uno
scritto di Kant; e Kant intervenne a rivelare il vero nome dell'autore. Ma nello
stesso 1791, mentre a Danzica Fichte attendeva a stendere unadifesa degli editt
i del governo prussiano che limitavano la libertà distampa e istituivano la censur
a, gli fu rifiutato il nullaosta per lastampa della sua Ricerca; e mesi dopo fu
rifiutata anche la pubblicazionedella seconda parte della Religione entro i limi
ti della ragione di Kant. Indignato, Fichte passò immediatamente dalla difesa delr
egime paternalistico alla difesa della libertà; e pubblicava anonimauna Rivendicaz
ione della libertà di pensiero (1793). Nel 1794 Fichte divenne professore a Jena e
vi rimase fino al 1799. Appartengono a questo periodo le opere cui è dovuta limpo
rtanza storicadella sua speculazione (Dottrina della scienza, Dottrina morale,Do
ttrina del diritto) . La polemica sull'ateismo. Nel 1799 scoppiò la cosiddetta "po
lemica sull'ateismo" che doveva condurreall'allontanamento di Fichte dalla catte
dra. In seguito ad un articolo pubblicato nel "Giornale filosofico" di JenaSul f
ondamento della nostra credenza nel governo divino del mondo (1798),il quale ide
ntificava Dio con l'ordine morale nel mondo,Fichte fu accusato di ateismo in un
libello anonimo. Il governoprussiano proibì il giornale e chiese al governo di Wei
mar di punireFichte e il direttore del giornale, Forberg, con la minaccia che in
mancanza avrebbe proibito ai suoi sudditi la frequenza dell'Università diJena. Il
governo di Weimar avrebbe voluto che il Senato accademicoformulasse un rimprover
o almeno formale contro il direttore delgiornale. Ma Fichte venuto a conoscenza
di questo progetto scriveva il22 marzo 1799 una lettera altezzosa a un membro de
l governo, avvertendo chese il rimprovero fosse stato formulato si sarebbe conge
dato dall'Universitae aggiungendo la minaccia che in questo caso anche altri pro
fessoriavrebbero lasciato con lui l'Università. In seguito a questa lettera ilgove
rno di Jena col parere favorevole di Goethe (che si dice abbia dettoin questa oc
casione: "Un astro tramonta, un altro ne nasce"), invitò Fichtea dare le dimission
i nonostante che nel frattempo egli avesse lanciato unAppello al pubblico e nono
stante una petizione degli studenti in suo favore. Gli professori rimasero al lo
ro posto. Il periodo berlinese. Allontanatosi da Jena, Fichte si recò a Berlino do
ve strinse rapporti con iromantici Friedrich Schiegel, Schieiermacher, Tieck. No
minato professorea Erlangen nel 1805, si recò a Königsberg al momento dell'invasione
napoleonica e di lì ritornò a Berlino dove pronunciò, mentre la città eraancora occupata
dalle truppe francesi, i Discorsi alla nazionetedesca (1807-1808): nei quali ad
ditava, come mezzo di risollevamentodella nazione germanica dalla servitù politica
, una nuova forma dieducazione e affermava il primato del popolo tedesco. In seg
uito fuprofessore a Berlino e rettore di quella Università. Morì il29 gennaio 1814 p
er una febbre infettiva contagiatagli dalla moglie, chel'aveva contratta curando
i soldati feriti. La caratteristica della personalità di Fichte è costituita dalla
forzacon cui egli sentì l'esigenza dell'azione morale. Fichte stesso dicedi sé: " Io
ho una sola passione, un solo bisogno, un solo sentimento pienodi me stesso: ag
ire fuori di me. Più agisco, più mi sento felice". Nella seconda fase, all'esigenza
dell'azione morale si sostituisce quelladella fede religiosa; e la dottrina dell
a scienza vien fatta servire agiustificare la fede. Ma da un capo all'altro dell
a sua speculazione enella stessa frattura dottrinale che questa speculazione pre
senta nellesue fasi principali, Fichte appare come una personalità etico-religiosa
. L'interesse etico-religioso."Io sono chiamato, egli scrive, a rendere testimon
ianza alla verità... Iosono un prete della verità; sono al suo soldo, mi sono obblig
ato a faretutto, ad arrischiare tutto, a soffrire tutto per essa".2. Gli scritti
. La vocazione filosofica di Fichte è stata, come si è detto, occasionatadagli scrit
ti di Kant. Ma Fichte si è fermato assai poco agli insegnamentidel maestro. Kant a
veva voluto costruire una filosofia del finito; Fichtevuol costruire una filosof
ia dell'infinito: dell'infinito che è nell'uomo,che è, anzi, l'uomo stesso. I primi
scritti. L'influenza kantiana si può scorgere solo nel primo periodo della suaatti
vità letteraria: periodo al quale appartengono la Ricerca di unacritica di ogni ri
velazione (1793), la Rivendicazione della libertà dipensiero dai Principi di Europ
a che l'hanno finora oppressa (1792), ilContributo alla rettifica del giudizio p
ubblico sulla rivoluzionefrancese (1793), e pochi scritti minori. La Critica di
ogni rivelazioneè scritta interamente nello spirito del kantismo. La rivelazione e
possibile, ma non è dimostrabile, e può quindi solo essere oggetto diuna fede, che t
uttavia non deve mancare a nessuno. Il distacco dal kantismo è già chiaro nella Rece
nsione all'Enesidemo diSchulze, che Fichte pubblicò nel 1794. In essa, egli dichia
ra che la cosain sé è "un ghiribizzo, un sogno, un non pensiero" e stabilisce i prin
cipidella sua dottrina della scienza. Le opere della maturità. A questa recensione
seguì un lungo saggio Sul concetto della dottrinadella scienza o della cosiddetta
filosofia (1794) e l'opera fondamentaledi questo periodo Fondamenti di tutta la
dottrina della scienza, che Fichtepubblicò come "manoscritto per i suoi uditori"
nello stesso anno 1794. Seguirono: Schizzo delle proprietà della dottrina della sc
ienza rispettoalle facoltà teoretiche (1795); Prima introduzione alla dottrina del
lascienza (1797); Seconda introduzione alla dottrina della scienza (1797);Ricerc
a di una nuova rappresentazione della dottrina della scienza (1797);che sono esp
osizioni e rielaborazioni più brevi. Nello stesso tempo Fichteestendeva i suoi pri
ncipi al dominio dell'etica, del diritto e dellapolitica; e pubblicava nel 1796
i Fondamenti del diritto naturalesecondo i principi della dottrina della scienza
; nel 1798 il Sistemadella dottrina morale secondo i principi della dottrina del
la scienza;nel 1800 Lo Stato commerciale chiuso; e alcuni scritti morali minori:
Sulla dignità degli uomini (1794); Lezioni sulla missione del dotto (1794). L'ulti
mo Fichte. Nel frattempo Fichte veniva lentamente modificando i capisaldi della
suafilosofia e di qui nascevano le nuove esposizioni delladottrina della scienza
che egli dava nei corsi universitari del 1801,1804, 1806, 1810, 1812, 1813; non
ché nei corsi su I fatti della coscienza(1810, 1811, 1813) e nelle sue rielaborazi
oni del Sistema della dottrinadel diritto (1812) e Sistema della dottrina morale
(1812). Questicorsi e lezioni rimasero inediti e furono pubblicati dal figlio(I
. H. Fichte) dopo la sua morte. Tuttavia l'indirizzo che essirappresentano trova
riscontro nelle esposizioni popolari della suafilosofia che Fichte pubblicava c
ontemporaneamente alla lorocomposizione: La missione degli uomini (1800); Introd
uzione alla vitabeata (1806); Tratti fondamentali dell'epoca presente (1806).3.
L'infinità dell'Io. Da Kant a Fichte. Kant aveva riconosciuto nell'io penso il pri
ncipio supremo di tutta laconoscenza. Ma l'io penso è un atto di autodeterminazion
e esistenziale,che suppone già data l'esistenza; è quindi attività ("spontaneità" diceKa
nt), ma attività limitata e il suo limite è costituito dall'intuizionesensibile. Nel
l'interpretazione data al kantismo da Reinhold nasce ilproblema dell'origine del
materiale sensibile. Schulze, Maimon e Beckhanno dimostrato impossibile la deri
vazione di esso dalla cosa in sé edhanno anzi dichiarata chimerica la stessa cosa
in sé in quanto esternaalla coscienza e indipendente da essa. Maimon e Beck avevan
o quindi giatentato di attribuire all'attività soggettiva la produzione del materi
alesensibile e di risolvere nell'io l'intero mondo della conoscenza. Fichte trae
per la prima volta le conseguenze di queste premesse. Se l'ioè l'unico principio,
non solo formale ma anche materiale del conoscere,se alla sua attività è dovuto non
solo il pensiero della realtaoggettiva, ma questa realtà stessa nel suo contenuto
materiale, èevidente che l'io è non solo finito, ma infinito. L'infinitizzazione de
ll'io. Tale è il punto di partenza di Fichte. Il quale è il filosofodell'infinità dell
'Io, della sua assoluta attività e spontaneità, quindidella sua assoluta libertà. La d
eduzione assoluta. La deduzione di Kant è una deduzione trascendentale, cioè diretta
agiustificare la validità delle condizioni soggettive della conoscenza. La deduzi
one di Fichte è una deduzione "assoluta" o metafisica, perchédeve far derivare dall'
Io sia il soggetto sia l'oggetto del conoscere. La deduzione di Kant mette capo
ad una possibilità trascendentale(tale è appunto l'io penso) che implica sempre un r
apporto tra l'ioe l'oggetto fenomenico. La deduzione di Fichte mette capo ad unp
rincipio assoluto, che pone o crea il soggetto e l'oggettofenomenici in virtù di u
n'attività creatrice, cioè di un'intuizioneintellettuale (cfr. il Glossario). La Dot
trina della scienza ha lo scopodi dedurre da questo principio l'intero mondo del
sapere; e di dedurlonecessariamente, in modo da dare il sistema unico e compiut
o di esso. Non deduce tuttavia il principio stesso della deduzione, che è l'Io. E
il problema in cui urta è appunto quello che verte sulla natura dell'Io. Le succes
sive elaborazioni della Dottrina della scienza si differenzianosostanzialmente n
el rapporto che stabiliscono tra l'infinito e l'uomo.4. La "Dottrina della scien
za " e i suoi tre principi. L'ambizione di Fichte è di costruire un sistema grazie
al quale lafilosofia, cessando di essere semplice ricerca del sapere (secondol'
etimologia greca del termine), divenga finalmente un sapere assoluto eperfetto.
Infatti il concetto della Dottrina della scienza è quello di unascienza della scie
nza, cioè di un sapere che metta in luce il principio sucui si fonda la validità di
ogni scienza e che a sua volta si fondi, quantoalla sua validità, sullo stesso pri
ncipio. L'Io e l'Autocoscienza. Il principio della dottrina della scienza è l'Io o
l'Autocoscienza. NellaSeconda introduzione alla dottrina della scienza (1797) F
ichte introducenel modo più chiaro questo principio. Noi possiamo dire che qualcos
aesiste, afferma il filosofo, solo rapportandolo alla nostra coscienza,ossia fac
endone un essere-per-noi. A sua volta la coscienza è tale solo inquanto è coscienza
di se medesima, ovvero autocoscienza. In sintesi:l'essere per noi (l'oggetto) è po
ssibile soltanto sotto la condizionedella coscienza (del soggetto) e questa solt
anto sotto la condizionedell'autocoscienza. La coscienza è il fondamento dell'esse
re,l'autocoscienza è il fondamento della coscienza. La prima Dottrina della scienz
a è il tentativo sistematico di dedurredal principio dell'autocoscienza la vita te
oretica e pratica dell'uomo. Fichte comincia in essa con lo stabilire i tre prin
cipi o momentifondamentali di questa deduzione. Il primo principio è ricavato da u
nariflessione sulla legge d'identità (per cui A = A), che la filosofiatradizionale
aveva considerato come base universale del sapere. Il primo principio del saper
e non è la legge d'identità, ma l'Io. In realtà, osserva Fichte, tale legge non rappre
senta il primo principiodella scienza, poiché essa implica un principio ulteriore
che è l'Io. Infatti, tale legge presuppone che se A è dato, deve essere formalmenteu
guale a se stesso (A = A; esempio " il triangolo è triangolo"). In tal modoessa as
sume ipoteticamente la presenza di A. Ora l'esistenza iniziale di Adipende dall'
Io che la pone, poiché senza l'identità dell'Io (Io = Io)l'identità logica (A = A) non
si giustifica. In altri termini, il rapportod'identità è posto dall'Io, perché è l'Io c
he giudica di esso. Ma l'Io nonpuò porre quel rapporto, se non pone se stesso, cioè
se non si poneesistente. L'esistenza dell'Io ha dunque la stessa necessità del rap
portopuramente logico A = A, in quanto l'Io non può affermare nulla senzaaffermare
in primo luogo la propria esistenza. L'Io è auto-posizione e auto-creazione, ovve
ro intuizione intellettuale(Cfr. il Glossario)Di conseguenza, il principio supre
mo del sapere non è quello d'identità,che è posto dall'Io, ma l'Io stesso. Questi, a s
ua volta, non è posto daaltri, ma si pone da sé. Infatti la caratteristica dell'Io c
onsistenell'auto-creazione. Mentre le cose sono quelle che sono, in quanto la lo
ronatura è fissa e predeterminata, l'Io è ciò che egli stesso si fa. Rivolgendosi all'
esperienza diretta di ogni persona, Fichte scrive:"Pensaci, costruisci il concet
to di te stesso, e nota come fai. Ognuno chefa così troverà che l'attività dell'intell
igenza costruisce se stessa"(Seconda introduzione alla Dottrina della Scienza).
Tale auto-creazionecoincide con l'intuizione intellettuale che l'Io ha di se ste
sso. Per cui, se la metafisica classica sosteneva che operari sequitur esse,inte
ndendo dire che gli individui agiscono in conformità della loro naturao del loro e
ssere, la nuova metafisica idealistica, capovolgendo l'anticoassioma, afferma ch
e esse sequitur operari, in quanto l'essere dell'Ioappare il frutto della sua az
ione e il risultato della sua libertà. La nozione di Tathandlung. Questa prerogati
va dell'Io viene denominata da Fichte Tathandlung. Con questo termine, che assie
me a quello di Streben (sforzo) è forse ilpiù caratteristico della Dottrina della sc
ienza, il filosofo intendeappunto dire che l'Io è, nello stesso tempo, attività agen
te (Tat) eprodotto dell'azione stessa (Handlung). Si noti come Fichte, con quest
o basilare principio, non faccia cheportare alla sua massima espressione metafis
ica la visione rinascimentalee moderna dell'uomo come "libero e sovrano artefice
di se stesso", ovverocome essere che costruisce o inventa se medesimo tramite l
a propria libertà. Come vedremo, questo concetto tende a ritornare, anche indipend
entementedall'idealismo, in gran parte delle filosofie posteriori, sino ai giorn
inostri. Goethe lo ha reso con i versi del Faust (Libro 1, 5. 1237):"In principi
o era l'azione"."L'Io pone se stesso". Il primo principio della Dottrina della s
cienza stabilisce quindi che"l'Io pone se stesso", chiarendo come il concetto di
Io in generale siidentfichi con quello di un'attività auto-creatrice ed infinita.
"L'Io pone il non-io". Il secondo stabilisce che "l'Io pone il non-io", ovvero c
he l'Io non solopone se stesso, ma oppone anche a se stesso qualcosa che, in qua
nto gli eopposto, è un non-io (oggetto, mondo, natura). Tale non-io è tuttaviaposto
dall'Io ed è quindi nell'Io. Questo secondo principio, osservaFichte, non è, a rigor
e, deducibile dal primo "poiché la formadell'opporre è così poco compresa nella forma
del porre, che le è anzipiuttosto opposta". Ciò non toglie, come appare chiaro dall'
ultima partedella Dottrina della scienza, che "questo fatto deve accadere, affin
chéuna coscienza reale sia possibile". Infatti, che senso avrebbe un Iosenza un no
n-io, cioè un soggetto senza oggetto, un'attività senza unostacolo, un positivo senz
a un negativo? (per i testi di Fichte cfr. ilGlossario)."L'Io oppone nell'Io all
'Io divisibile un non-io divisibile". Il terzo principio mostra come l'Io, avend
o posto il non-io, si trovi adessere limitato da esso, esattamente come quest'ul
timo risulta limitatodall'Io. In altri termini, con il terzo principio perveniam
o allasituazione concreta del mondo, nella quale abbiamo una molteplicità diio fin
iti che hanno di fronte a sé una molteplicità di oggetti a lorovolta finiti. E poiché
Fichte usa l'aggettivo "divisibile" per denominareil molteplice e il finito egli
esprime il principio in questione con laseguente formula: "L'Io oppone nell'Io
all'io divisibile un non-iodivisibile ".4.1. Chiarificazioni. Questi tre princip
i delineano i capisaldi dell'intera dottrina di Fichte,perché stabiliscono:a) l'es
istenza di un Io infinito, attività assolutamente libera e creatrice;b) l'esistenz
a di un io finito (perché limitato dal non-io), cioè di unsoggetto empirico (l'uomo
come intelligenza o ragione);c) la realtà di un non-io, cioè dell'oggetto (mondo o n
atura), che sioppone all'io finito, ma è ricompreso nell'Io infinito, dal quale è po
sto. Nello stesso tempo essi costituiscono il nerbo della deduzione idealisticad
el mondo, ossia di quella spiegazione della realtà alla luce dell'Io, checontrappo
nendosi all'antica metafisica dell'essere o dell'oggetto mettecapo ad una nuova
metafisica dello spirito e del soggetto. Realtà logica e non cronologica. Per faci
litare la comprensione del processo descritto è bene aggiungeretalune note:1) I tr
e principi non vanno interpretati in modo cronologico, bensì logico,in quanto Fich
te, con essi, non intende dire che prima esista l'Io infinito,poi l'io che pone
il non-io ed infine l'io finito, ma semplicemente cheesiste un Io che, per poter
essere tale, deve presupporre di fronte a seil non-io, trovandosi in tal modo a
d esistere concretamente sotto formadi io finito. Allora Fichte avrebbe delineat
o tutto questo processoteorico, che si serve di un armamentario linguistico astr
uso, unicamenteper arrivare a dire ciò che anche l'uomo comune e la filosofia trad
izionalesanno da sempre, ossia che la scena del mondo è composta da unamolteplicità
di io o di individui finiti che hanno dinanzi a sé unamolteplicità di oggetti, che n
el loro insieme costituiscono la Natura? Inverità, con la sua deduzione, Fichte ha
voluto mettere bene in luce comela natura non sia una realtà autonoma, che preced
e lo spirito, maqualcosa che esiste soltanto come momento dialettico della vita
dell'Io, equindi per l'Io e nell'Io. L'Io è finito e infinito al tempo stesso.2) I
n virtù di questa dottrina, l'Io, per Fichte, risulta finito einfinito al tempo st
esso: finito perché limitato dal non-io, infinitoperché quest'ultimo, cioè la natura,
esiste solo in relazione all'Io edentro l'Io, costituendo il polo dialettico o i
l " materiale"indispensabile della sua attività.3) L'Io "infinito" o "puro" di cui
parla Fichte non è qualcosa di diversodall'insieme degli io finiti nei quali esso
si realizza, esattamente comel'umanità non è qualcosa di diverso dai vari individui
che la compongono,anche se l'Io infinito perdura nel tempo, mentre i singoli io
finitinascono e muoiono. Rapporti fra l'Io infinito e gli io finiti.4) L'Io inf
inito, più che la sostanza o la radice metafisica degli iofiniti, è la loro meta ide
ale. In altri termini, gli io "finiti" sonol'Io infinito e gli io empirici sono
l'Io "puro", solo in quanto tendono adesserlo. Detto altrimenti, l'infinito, per
luomo, anziché consistere in una"essenza" già data, è, in fondo, un dover-essere e un
a missione. Questeformule "tecniche" (che già ai tempi di Fichte rendevano "ostica
" la suafilosofia) si comprendono meglio se si pone mente al fatto che per Io"in
finito" o "puro" Fichte intende un Io libero, ossia uno spiritovittorioso sui pr
opri ostacoli e quindi privo o scevro ("puro") dilimiti. Situazione che per l'uo
mo rappresenta un semplice ideale. Diconseguenza, dire che l'Io infinito è la " na
tura" e la " missione dell'iofinito" significa dire che l'uomo è uno sforzo infini
to verso la libertà,ovvero una lotta inesauribile contro il limite, e quindi contr
o la naturaesterna (le "cose") ed interna (gli " istinti" irrazionali e " l'egoi
smo"). In altri termini, sotto le rigide formule della Dottrina della scienzasi
cela un "messaggio" tipico della modernità: il compito propriodell'uomo è l'umanizza
zione del mondo, ossia il tentativo incessante, daparte nostra, di "spiritualizz
are" le cose e noi stessi, dando origine,da un lato, ad una natura plasmata seco
ndo i nostri scopi e dall'altro aduna società di esseri liberi e razionali. La mis
sione inesauribile dell'Io.5) Ovviamente questo compito si staglia sull'orizzont
e di una missionemai conclusa, poiché se l'Io, la cui essenza è lo sforzo (lo Strebe
n deiromantici) riuscisse davvero a fagocitare tutti i suoi ostacoli,cesserebbe
di esistere, e invece del movimento della vita, che è lottaed opposizione, subentr
erebbe la stasi della morte. Al posto delconcetto statico di perfezione, tipico
della filosofia classica, conFichte subentra quindi un concetto dinamico, che po
ne la perfezionenello sforzo indefinito di auto-perfezionamento: "Frei sein, sos
tieneFichte, ist nichts, frei werden ist der Himmel" ("essere libero è niente,dive
nirlo è cosa celeste"). La deduzione delle categorie.6) I tre principi sovraespost
i rappresentano anche la piattaforma delladeduzione fichtiana delle categorie. I
nfatti il porsi dell'Io (tesi),l'opposizione del non-io all'Io (antitesi) e il l
imitarsi reciproco dell'ioe del non-io (sintesi), corrispondono alle tre categor
ie kantiane diqualità: affermazione, negazione e limitazione. Dal concetto di un i
odivisibile e di un non-io divisibile, ossia molteplice (terzaproposizione), der
ivano le categorie di quantità: unità, pluralità etotalità. Dalla terza proposizione, do
ve abbiamo un io che è il soggettoauto-determinantesi dell'intero processo (sostan
za), un non-io che determina(causa) e un io empirico che è determinato (effetto) e
d un reciprococondizionarsi fra io e non-io (azione reciproca), scaturiscono anc
he letre categorie di relazione: sostanza, causa-effetto e azione reciproca.5. L
a struttura dialettica dell'Io. Dire che la storia "filosofica" del mondo si art
icola nei tre momentidell'autoposizione dell'Io (tesi), della opposizione del no
n-io (antitesi)e della determinazione reciproca fra Io e non-io (sintesi), signi
ficadire che l'Io, per usare una terminologia che avrà grande fortuna conHegel, pr
esenta una struttura triadica e "dialettica" articolata nei tremomenti di tesi-a
ntitesi-sintesi e incentrata sul concetto di una "sintesidegli opposti". Per ese
mplificare didatticamente questo punto, riteniamoutile riportare un passo dello
storico idealista Guido de Ruggiero:(L'attività ritmica e dialettica dell'io.)"Vis
ta nel suo principio ispiratore, questa dialettica esprime il temadominante dell
'idealismo postkantiano... Ridotta in formule, essarassomiglia spesso a un vano
gioco di concetti, ma rifusa nell'esperienzaviva di ciascuno di noi, essa coglie
l'intima essenza della nostra vitaspirituale. Non basta la mera idea dell'attiv
ità a caratterizzarequest'ultima; bisogna specificarla con l'idea di un'attività rit
mica, chesi svolge in virtù dell'opposizione che le è immanente e che la propriaforz
a espansiva spinge a sorpassare. Provatevi a pensare qualunque attomentale, senz
a opposizione, senza critica, senza riflessione su sestesso: esso è destinato a es
aurirsi e a disperdersi. La natura delnostro spirito è tale, che ogni dire esige u
n contraddire, ogni tesisuscita un'antitesi, non come punto di arresto o come un
disfare quel ches'è fatto, ma come un limite fecondo che fa fermentare gli elemen
ti vividella tesi, permeandoli di sé. Di modo che la sintesi, che si realizzaattra
verso questo lavoro di negazione e di critica, non è la pura esemplice ripetizione
della tesi iniziale, ma è la riaffermazione diessa, arricchita e rafforzata dal s
uperamento dell'antitesi; è unpossesso fatto più sicuro e consapevole, in cui lo spi
rito ritrovaun'equazione più alta della propria natura. Ciò che s'è detto perl'attività
teoretica vale egualmente per l'attività morale, estetica,religiosa eccetera.(Lo s
pirito vive di opposizioni.)Dovunque lo spirito si attua, esso vive di opposizio
ne edi lotta, e le sue affermazioni, per essere veramente tali, debbonoessere vi
ttorie. Lo schema triadico non fa che simboleggiare questovitale processo, ma no
n riesce ad esprimerlo compiutamente nella suaintensità psicologica; bisogna saper
lo reinterpretare nel più complessolinguaggio dello spirito, leggendo nella tesi l
'esordio spontaneo, maancora malcerto e circonfuso di mistero, della ricerca teo
retica odell'intuizione artistica o dell'atto volontario; nelle antitesi ildubbi
o, l'obiezione, la negazione sconfortante, insomma tutto l'intimotravaglio della
riflessione e della critica; nella sintesi finalmente lariconquista, la sicurez
za del possesso, la catarsi teoretica o morale.(Ogni traguardo è il punto di parte
nza di una nuova lotta.)Si potrebbe ancora falsamente immaginare che, raggiunta
la sintesi, ilfecondo travaglio dello spirito subisca un arresto e il moto inter
nosfoci in una stagnante immobilità. E senza dubbio, ogni sintesi segnauna pausa e
un riposo, di cui lo spirito gode e ha diritto di godere; mapausa e riposo sono
momenti di tregua e di raccoglimento che preludono aun nuovo slancio, sono stat
i di equilibrio instabile, in vista di unnuovo squilibrio. In effetti la sintesi
è, come si è visto, un atto dilimitazione che non può pareggiare l'attività infinita da
cui il moto sialimenta. Di qui nasce nello spirito un vitale scontento delle so
luzionivolta a volta conseguite, dei risultati del lavoro già compiuto, che espron
e a nuove ricerche e a nuovi cimenti. Se non si dà questainsoddisfazione, se l'ope
ra compiuta pareggia in tutto l'energiadell'autore, allora è la morte. Ma la morte
stessa non sta che perl'individuo, che è una sintesi sempre in qualche modo limit
atadell'attività totale dello spirito; ma l'umanità sorpassa le sueincarnazioni part
icolari ed esprime nell'infinità dellasua vita l'infinità dell'energia spirituale ch
e la suscita. La visionedialettica del reale è perciò una visione dinamica e progres
siva, che,contro il sostanzialismo inerte delle filosofie dogmatiche, afferma in
tutta la sua pienezza il concetto del divenire "(Storia della Filosofia, "L'età de
l romanticismo", Laterza, Bari 1968,Volume 1, pagine 175-176).6. La "scelta" fra
idealismo e dogmatismo. In uno scritto successivo alla Dottrina della scienza d
el 1794, che vasotto il nome di Prima introduzione alla dottrina della scienza (
1797),Fichte, dopo aver affermato che idealismo e dogmatismo sono gli unici dues
istemi filosofici possibili, cerca di illustrare i motivi che spingonoalla "scel
ta" dell'uno o dell'altro. Idealismo e dogmatismo. Fichte sostiene che la filoso
fia non è una costruzione astratta, ma unariflessione sull'esperienza che ha come
scopo la messa in luce delfondamento dell'esperieza stessa. Ora, poiché nell'esper
ienza sono ingioco "la cosa" (l'oggetto) e "lintelligenza" (l'io o il soggetto),
lafilosofia può assumere la forma dell'idealismo (che consiste nel puntaresull'in
telligenza, facendo una preliminare astrazione dalla cosa) o deldogmatismo (che
consiste nel puntare sulla cosa in sé facendo unapreliminare astrazione dall'intel
ligenza). In altri termini, l'idealismoconsiste nel partire dall'Io o dal sogget
to, per poi spiegare, su questabase, la cosa o l'oggetto. Viceversa, il dogmatis
mo consiste nel partiredalla cosa in sé o dall'oggetto, per poi spiegare, su quest
a base, l'io oil soggetto: "Il contrasto tra l'idealista e il dogmatico consiste
propriamente in ciò: se l'autonomia dell'io debba essere sacrificata aquella della
cosa o viceversa". La scelta fra le due filosofie deriva da una differenza di "
inclinazione"e di "interesse". Secondo Fichte, nessuno di questi due sistemi rie
sce a confutaredirettamente quello opposto, in quanto non può fare a meno di presu
pporre,sin dall'inizio, il valore del proprio principio (l'Io o la cosa in sé). Ch
e cos'è mai, allora, ciò che induce "un uomo ragionevole" a dichiararsi afavore dell
'uno piuttosto che dell'altro? A questo interrogativo Fichterisponde che la scel
ta fra i due massimi sistemi del mondo deriva da unadifferenza di "inclinazione"
e di "interesse", ovvero da una presa diposizione in campo etico. Vediamo in ch
e senso. Secondo Fichte, ildogmatismo, che si configura come una forma di realis
mo in gnoseologia edi naturalismo o di materialismo in metafisica, finisce sempr
e per renderenulla o problematica la libertà: "Ogni dogmatico conseguente è perneces
sità fatalista. Non che contesti, come dato di coscienza, il fattoche noi ci reput
iamo liberi... Egli non fa che dedurre dal suo principiola falsità di questa attes
tazione... Egli nega del tutto quell'autonomiadell'Io, su cui l'idealista costru
isce, e fa dell'Io nient'altro che unprodotto delle cose, un accidente del mondo
: il dogmatico conseguente eper necessità anche materialista". Al contrario, l'ide
alismo, facendodell'Io un'attività auto-creatrice in funzione di cui esistono gli
oggetti,finisce sempre per strutturarsi come una rigorosa dottrina della libertà.
Queste due filosofie hanno, come corrispettivo esistenziale, due tipi diumanità. I
nfatti, da un lato, vi sono individui che non si sono ancoraelevati al sentiment
o della propria libertà assoluta, e che, trovando sestessi soltanto nelle cose, so
no istintivamente attratti dal dogmatismo edal naturalismo, che insegna loro che
tutto è deterministicamente dato efatalisticamente predisposto. L'individuo "atti
vo" sceglie l'idealismo. Dall'altro, vi sono individui che avendo il senso profo
ndo della proprialibertà e indipendenza dalle cose, risultano spontaneamente porta
ti asimpatizzare con l'idealismo, che insegna loro come esser-uomini sia sforzoe
conquista, e come il mondo ci sia non per essere passivamente contemplato,ma so
lo per essere attivamente forgiato dallo spirito. In sintesi: "Lascelta di una f
ilosofia dipende da quel che si è come uomo, perché unsistema filosofico non è un'iner
te suppellettile, che si possa prendereo lasciare a piacere, ma è animato dallo sp
irito dell'uomo che l'ha. Un carattere fiacco di natura o infiacchito e piegato
dalle frivolezze,dal lusso raffinato e dalla schiavitù spirituale, non potrà mai ele
varsiall'idealismo". Superiorità etica e teoretica dell'idealismo. Tuttavia, benché
Fichte, nello scritto citato, parli in termini di"scelta di fondo ", dal contest
o del suo sistema si deduce che l'opzionetra le due filosofie, pur rimandando ad
una presa di posizioneesistenziale e morale, non sia affatto, secondo il filoso
fo,teoreticamente immotivata. Anzi, come si è visto, tutta la Dottrinadella scienz
a di Fichte è volta a dimostrare che solo muovendo dall'iosi riesce a spiegare, in
termini di "scienza", sia l'Io sia le cose.ln sintesi, l'Io ela realtà originaria
e assoluta che può spiegaresia se stesso, sia le cose, sia il rapporto tra se ste
sso e lecose. Per cui, è proprio questa doppia superiorità etica e teoreticadell'ide
alismo sul dogmatismo che spinge Fichte ad intraprenderequella via originale del
pensiero umano che è l'idealismo.7. La dottrina della conoscenza. Dall'azione rec
iproca dell'io e del non-io nasce sia la conoscenza (larappresentazione) sia l'a
zione morale. Il realismo dogmatico ritiene chela rappresentazione sia prodotta
dall'azione di una cosa esterna sull'io;ed ammette con ciò che la cosa sia indipen
dente dall'io ed anteriore adesso. Fichte ammette anch'egli che la rappresentazi
one sia il prodotto diun'attività del non-io sull'io; ma poiché il non-io è a sua volt
a posto oprodotto dall'Io, l'attività che esso esercita deriva in ultima analisipr
oprio dall'Io, ed è un'attività riflessa che dal non-io rimbalza all'io. Realismo e
idealismo di Fichte. Di conseguenza, Fichte si proclama realista e idealista al
tempo stesso:realista perché alla base della conoscenza ammette un'azione del non-
iosull'io, idealista perché ritiene che il non-io sia, a propria volta, unprodotto
dell'Io. Tuttavia questa dottrina genera un problema non certoirrilevante nell'
economia del sistema: perché il non-io, pur essendo uneffetto dell'io, appare alla
coscienza comune qualcosa di sussistente diper sé, anteriormente ed indipendentem
ente dall'io stesso? Come si spiegache l'io è causa di una realtà di cui non ha espl
icita coscienza, e chesolo la riflessione filosofica, dopo uno sviluppo plurisec
olare, è riuscita,con Fichte, a portare alla luce? Ed inoltre, eliminata la consis
tenzaautonoma del non-io, questo non rischia di ridursi a sogno o parvenza?La te
oria della immaginazione produttiva. Al primo tipo di problemi Fichte risponde c
on la teoriadell'immaginazione produttiva, che Kant aveva concepito come la faco
ltàattraverso cui l'intelletto schematizza il tempo secondo le categorie, eche egl
i intende come l'atto attraverso cui l'Io pone, crea, il non-io. Percui, mentre
in Kant l'immaginazione produttiva fornisce solo lecondizioni formali dell'esper
ienza, in Fichte essa produce i materialistessi del conoscere. Per quanto riguar
da il carattere inconsapevoledell'immaginazione produttiva, essa deriva dal fatt
o che la coscienzapresuppone sempre una situazione polarizzata in cui c'è un sogge
tto cheha già dinanzi a sé l'oggetto. Ora, poiché l'immaginazione produttiva el'atto s
tesso con cui il soggetto (l'Io infinito) si dispone a crearel'oggetto, risulta
evidente che essa non potrà che essere inconscia. Per quanto riguarda il secondo p
roblema, Fichte ha già rispostoasserendo che il non-io, pur essendo un prodotto de
ll'Io, non è una parvenzaingannatrice, ma una realtà di fronte a cui si trova ogni i
o empirico. I gradi di conoscenza. Sul piano teoretico, la riappropriazione uman
a del non-io avviene attraversouna serie di gradi della conoscenza, che vanno da
lla semplice sensazionealle più alte speculazioni del filosofo, mediante una progr
essivainteriorizzazione dell'oggetto, che alla fine si rivela opera del soggetto
. Fichte denomina questo processo di graduale riconquista conoscitivadell'oggett
o "storia prammatica dello spirito umano", e lo articola insensazione (in cui l'
io empirico avverte fuori di sé l'oggetto, come undato che gli si oppone), in intu
izione (in cui si ha la distinzione frasoggetto-oggetto ed il coordinamento del
materiale sensibile tramitelo spazio e il tempo), in intelletto (che fissa la mo
lteplicità fluttuantedelle percezioni spazio-temporali mediante rapporti categoria
li stabili),in giudizio (che fissa e articola a propria volta la sintesi intelle
ttiva:"se nell'intelletto non c'è nulla non c'è giudizio; se non c'è giudizio,nell'int
elletto non c'è nulla per l'intelletto, non c'è pensiero delpensato come tale"), in
ragione (che essendo la facoltà di "astrarre daogni oggetto in generale", rapprese
nta il massimo livello conoscitivoraggiungibile dal soggetto).8. La dottrina mor
ale.8.1. Il "primato" della ragion pratica. La conoscenza presuppone l'esistenza
di un io (finito) che ha dinanzi a séun non-io (finito), ma non spiega il "perché"
di tale situazione. In altritermini, perché l'Io pone il non-io, realizzandosi com
e io conoscentefinito?L'io pratico costituisce la ragion d'essere dell'io teoret
ico. Il motivo, risponde Fichte in coerenza con le premesse del sistema, è dinatur
a pratica. L'Io pone il non-io ed esiste come attività conoscente soloper poter ag
ire: "Noi agiamo, scrive il filosofo, perché conosciamo, maconosciamo perché siamo d
estinati ad agire". Detto altrimenti: l'io praticocostituisce la ragione stessa
dell'io teoretico. In tal modo, Fichte ritienedi avere posto su solide basi il p
rimato della ragion pratica sulla ragionteoretica enunciato da Kant. Da ciò la den
ominazione di idealismo eticodato al pensiero di Fichte, che si può sintetizzare n
ella doppia tesisecondo cui noi esistiamo per agire e il mondo esiste solo come
teatrodella nostra azione: " Il mio mondo è oggetto e sfera dei miei doveri eassol
utamente niente altro". Caratteri dell'agire morale. Ma che cosa significa "agir
e"? E in che senso l'agire assume un aspetto"morale"? La risposta a queste due d
omande discende da quanto si è dettosinora. Agire significa imporre al non-io la l
egge dell'Io, ossia foggiarenoi stessi e il mondo alla luce di liberi progetti r
azionali. Il caratteremorale dell'agire consiste nel fatto che esso assume la fo
rma del "dovere",ovvero di un imperativo volto a far trionfare lo spirito sulla
materia, siamediante la sottomissione dei nostri impulsi alla ragione, sia trami
te laplasmazione della realtà esterna secondo il nostro volere. Tutto ciò fornisce l
a spiegazione definitiva del perché l'Io abbia "bisogno"del non-io. Spiegazione ch
e possiamo globalmente sintetizzare inquesto modo. Per realizzare se stesso, l'I
o, che è costituzionalmentelibertà, deve agire ed agire moralmente. Ma, come Kant av
eva insegnato, nonc'è attività morale là dove non c'è sforzo; e non c'è sforzo là dove nonc'è
un ostacolo da vincere. Il non-io come condizione della moralità dell'Io. Tale ost
acolo è la materla, l'impulso sensibile, il non-io. La posizionedel non-io è quindi
la condizione indispensabile affinché l'Io sirealizzi come attività morale. Ma reali
zzarsi come attività moralesignifica trionfare sul limite costituito dal non-io, t
ramite un processodi autoliberazione dell'Io dai propri ostacoli. Processo grazi
e al qualel'Io mira a farsi "infinito", cioè libero da impedimenti esterni. Ovviam
ente, l'infinità dell'Io, come già sappiamo, non è mai una realtaconclusa, ma un compi
to incessante: " L'io non può mai diventareindipendente fino a che dev'essere Io;
lo scopo finale dell'essererazionale si trova necessariamente nell'infinito ed è t
ale che non losi può raggiungere mai sebbene ci si debba incessantemente avvicinar
ead esso...". In tal modo, Fichte ha riconosciuto nell'ideale etico il vero sign
ificatodell'infinità dell'Io. L'Io è infinito (sia pure tramite un processo essostes
so infinito) poiché si rende tale, svincolandosi dagli oggetti cheesso stesso pone
. E pone questi oggetti perché senza di essi non potrebberealizzarsi come attività e
libertà.8.2. La "missione" sociale dell'uomo e del dotto. Secondo Fichte, il dove
re morale può essere realizzato dall'io finitosolo insieme agli altri io finiti. A
nzi, nell'ultima parte del Sistemadella dottrina morale (1798), egli arriva a "d
edurre" filosoficamentel'esistenza degli altri io in base al principio per cui l
a sollecitazionee l'invito al dovere possono venire soltanto da esseri fuori di
me, chesiano, come me, nature intelligenti. Ora, ammessa l'esistenza di altriess
eri intelligenti, io sono obbligato a riconoscere ad essi lo stessoscopo della m
ia esistenza, cioè la libertà. In tal modo, ogni io finitorisulta costretto non solo
a porre dei limiti alla sua libertà(sanzionati dal contratto statale) ma anche ad
agire in modo tale chel'umanità nel suo complesso risulti sempre più libera. Il fin
e ultimo dell'uomo e della società. Farsi liberi e rendere liberi gli altri in vis
ta della completaunificazione del genere umano: ecco il senso dello " Streben "
(sforzo)sociale dell'Io: " L'uomo ha la missione di vivere in società; egli devevi
vere in società; se viene isolato, non è un uomo intero e completo, anzicontraddice
a se stesso". "Il fine supremo ed ultimo della società è lacompleta unità e l'intimo c
onsentimento di tutti i suoi membri...". Il dotto come "maestro" del genere uman
o. Ora, per realizzare adeguatamente questo scopo, si richiede, secondoFichte, u
na mobilitazione di coloro che ne possiedono la maggiorconsapevolezza teorica, c
ioè dei "dotti". Infatti, sostiene Fichte nelleLezioni sulla missione del dotto (1
794), gli intellettuali non devonoessere degli individui isolati e chiusi nella
torre della loro scienza,ma devono essere delle persone pubbliche e con precise
responsabilitasociali: " Il dotto è in modo specialissimo destinato alla società; in
quanto tale egli esiste propriamente mediante e per la società", egli"deve condurr
e gli uomini alla coscienza dei loro veri bisogni eistruirli sui mezzi adatti pe
r soddisfarli... ". Tanto più che c'è intutti gli uomini un sentimento del vero, che
certo da solo non basta, madev'essere sviluppato, saggiato, raffinato. In altri
termini, il dotto,che per Fichte deve essere luomo moralmente migliore del suo
tempo, devefarsi maestro ed educatore del genere umano. In conclusione, e questa
è la proposta di fondo dell'idealismo eticofichtiano, "Il fine supremo di ogni si
ngolo uomo, come della societatutta intera, e per conseguenza di tutta l'operosi
tà sociale del dotto eil perfezionamento morale di tutto l'uomo".9. La filosofia p
olitica di Fichte.9.1. Rivoluzione francese, Stato liberale e società autarchica.
Le varie "fasi" della filosofia politica di Fichte. Il pensiero politico fichtia
no si svolge attraverso fasi evolutivediverse, sulle quali esercitano il loro in
flusso le vicende storichecontemporanee, dalla Rivoluzione francese, che Fichte,
agli inizi,difende dagli attacchi del pensiero reazionario alle guerre napoleon
iche eall'invasione della Germania, che stimolano lo sviluppo della sua filosofi
ain senso nazionalistico, parallelamente alla sempre maggior importanzaattribuit
a allo Stato e alla vita comunitaria. In due scritti del 1793, comparsi anonimi
e intitolati, l'uno,Rivendicazione della libertà di pensiero dai principi d'Europa
che l'hannofinora repressa, l'altro, Contributo per rettificare il giudizio del
pubblico sulla Rivoluzione francese, Fichte mostra di condividere una visionecon
trattualistica ed antidispotica dello Stato, particolarmente sensibileal tema de
lla libertà di pensiero ("No, o popoli, a tutto voi poteterinunciare, tranne alla
libertà di pensiero... "). Libertà e Rivoluzione. In particolare, simpatizzando con
gli eventi francesi e civettando conposizioni giacobine e rousseauiane (filtrate
in modo kantiano), Fichte, nelsecondo saggio, afferma che lo scopo del contratt
o sociale è l'educazione allalibertà, di cui è corollario il diritto alla rivoluzione.
Infatti, se lo statonon permette l'educazione alla libertà, ciascuno ha il diritt
o di rompere ilcontratto sociale e di formarne un altro, che possa fornire migli
origaranzie e che sia in grado di garantire un sistema politico giusto. Unsistem
a, tra l'altro, dove la proprietà risulta essere il frutto del lavoroproduttivo ("
chi non lavora non deve mangiare"). Lo Stato come semplice "mezzo". Nell'abbozzo
di discorso politico contenuto nelle Lezioni sulla missionedel dotto (1794), Fi
chte scorge il fine ultimo della vita comunitaria nella"società perfetta", intesa
come insieme di esseri liberi e ragionevoli, econsidera lo Stato come un semplic
e mezzo in vista di essa, finalizzato al"proprio annientamento, in quanto lo sco
po di ogni governo è di renderesuperfluo il governo" (lezione seconda). In altri t
ermini, come il compitodei genitori è di rendere superflui loro stessi, formando i
ndividui adultie autonomi, così il fine dello Stato è di rendere inutile se medesimo
, afavore di una società di persone libere e responsabili. E sebbene Fichtericonos
ca che ciò rappresenta più un auspicabile ideale-limite che unarealizzabile situazio
ne di fatto, egli ritiene che lo Stato non possafare a meno di proporselo come o
bbiettivo. Nei Fondamenti del diritto naturale secondo i principi della dottrina
della scienza (1796), in cui Fichte si sofferma più organicamente sulproblema giur
idico-politico, egli fa dello Stato il garante del diritto. Adifferenza della mo
ralità, che è fondata soltanto sulla buona volontà, ildiritto vale anche senza la buon
a volontà: esso concerne esclusivamente lemanifestazioni esterne della libertà nel m
ondo sensibile, cioè le azioni,ed implica perciò una costrizione esterna, che la mor
alità esclude. Invirtù dei rapporti di diritto, l'io pone a se stesso una sfera di l
ibertà,che è la sfera delle sue possibili azioni esterne, e si distingue da tuttigli
altri io, che hanno ognuna la propria sfera. In questo atto esso si ponecome pe
rsona o individuo. Ora la persona individuale non può agire nelmondo se il suo cor
po non è libero da ogni costrizione, se non può disporreper i suoi scopi di un certo
numero di cose e se non è garantita laconservazione della sua esistenza corporea.
I diritti originari enaturali dell'individuo sono perciò tre: la libertà, la propri
età e laconservazione. Ma questi diritti non possono essergli garantiti se non dau
na forza superiore, che non può essere esercitata da un individuo, masoltanto dall
a collettività degli individui, cioè dallo Stato. Lo Stato,dunque, non elimina il di
ritto naturale, ma lo realizza e garantisce. Le idee dello Stato commerciale chi
uso. Questa prospettiva individualistica, che avvicina Fichte allo schemapolitic
o liberale, trova una sua integrazione, e al tempo stessoparziale correzione, ne
llo Stato commerciale chiuso (1800), opera nellaquale il filosofo afferma che lo
Stato non deve limitarsi soltanto allatutela dei diritti originari, ma deve anc
he rendere impossibile la povertà,garantendo a tutti i cittadini lavoro e benesser
e. Polemizzando contro illiberismo e il mercantilismo e difendendo il principio
secondo cui nelloStato secondo ragione tutti devono essere subordinati al tutto
sociale epartecipare con giustizia ai suoi beni, Fichte perviene ad una forma di
statalismo socialistico (perché basato su di una regolamentazione stataledella vit
a pubblica) ed autarchico (perché autosufficiente sulpiano economico). Il socialis
mo statalistico di Fichte non implica, propriamente,comunismo, ossia eliminazion
e della proprietà privata dei mezzi diproduzione. Egli ritiene infatti che gli str
umenti di lavoro (che dallasua ottica ancora prevalentemente agricolo-artigianal
e si identificanocon forze produttive quali zappe o forconi, martelli, fucine ec
cetera)debbono appartenere a chi li usa. Per cui, mentre in Loche il diritto all
avoro è derivato dal diritto di proprietà, in Fichte il diritto allaproprietà è fatto sc
aturire dal dovere etico al lavoro.(Cfr. K. SChilling,Geschichte der sozialen Id
een, Stuttgart, 1965 (traduzione italiana pressoGarzanti, MIlano, 1965)LO statal
ismo socialistico ed autarchico. Dopo aver "dedotto" le varie classi sociali deg
li agricoltori e deilavoratori dell'industria mineraria (i produttori di base de
llaricchezza), degli artigiani, degli operai e degli imprenditori(i trasformator
i della ricchezza) e dei commercianti, degli insegnanti,dei soldati e dei funzio
nari (i diffusori della ricchezza materiale espirituale, i loro difensori e gli
amministratori della vita socio-politica),Fichte dichiara che lo Stato ha il com
pito di sorvegliare l'interaproduzione e distribuzione dei beni, fissando ad ese
mpio il numero degliartigiani e dei commercianti, in modo tale che il loro numer
o siamatematicamente proporzionato alla quantità dei beni prodotti, eprogrammando
gli orari e i salari di lavoro, i prezzi delle merci eccetera. Per svolgere il s
uo compito in tutta libertà ed efficienza, regolandosecondo giustizia la distribuz
ione dei redditi e dei prodotti, lo Statodeve organizzarsi come un tutto chiuso,
senza contatti con l'estero,sostituendo in tal modo l'economia liberale di merc
ato ed il commerciomondiale con un'economia pianificata e con l'isolamento degli
stati. Tale "chiusura commerciale" risulta possibile quando lo Stato ha, neisuo
i confini, tutto ciò che occorre per la fabbricazione dei prodottinecessari; là ove
questo manchi, lo Stato può avocare a sé il commercioestero e farne un monopolio. Qu
esta autarchia, che abolisce ognicontatto dei cittadini con l'estero (fatta ecce
zione per gli intellettualie per gli artisti, per motivi culturali) ha pure il v
antaggio, secondoFichte, di evitare gli scontri fra gli stati, che nascono sempr
e dacontrapposti interessi commerciali. In questo scritto si rispecchia, sia pur
e in forma filosofico-utopistica,un'esigenza storica reale, consistente nella ne
cessità, da parte delloStato moderno, di un intervento attivo nella vita sociale,
volto adevitare povertà, disoccupazione ed ingiustizie. In questo senso l'operafic
htiana, che risulta un'ibrida mescolanza di individualismo e distatalismo, espri
me un'inconsapevole ed irrisolta sovrapposizione di dueconcezioni dello Stato: q
uella liberale classica e quella socialista. Ese questa ultima, date le condizio
ni storiche, rischia senz'altro diassumere una fisionomia utopistica, senza pres
a sulla realtà e suicontemporanei (che accolsero con freddezza e disinteresse le p
ropostefichtiane), la prima rischia di essere oggettivamente sacrificata sull'al
taredel "superiore interesse" della comunità.9.2. Lo Stato-Nazione e la celebrazio
ne della miissione civilizzatrice dellaGermania. La fase "nazionalistica". La ba
ttaglia di Jena e l'occupazione napoleonica della Prussia contribuisconoa far sì c
he la filosofia politica di Fichte si evolva in sensonazionalistico, concretizza
ndosi (nell'inverno 1807-1808) nei celebriDiscorsi alla nazione tedesca, " una d
elle opere più singolari che sianoapparse sulla scena filosofica... in cui variame
nte si intrecciano elementidi scienza politica, filosofia della storia, pensiero
religioso, teoriadell'educazione, dottrina morale, filosofia del diritto e dell
asocietà... uno dei capolavori della letteratura tedesca per la limpidezzadell'esp
ressione, l'impeto oratorio, il vigore del ragionamento, lo slancioprorompente d
el pensiero, l'efficacia della convinzione e della persuasione"(L. Pareyson, Int
roduzione a Fichte, in Grande antologia filosofica,Volume 17, pagina 875.)In bre
ve: uno dei documenti intellettuali più rilevanti della storia dellaGermania moder
na. Il tema fondamentale dei Discorsi, che ne velò la pericolosità aglioccupanti, è l'
educazione. Fichte ritiene infatti che il mondo modernorichieda una nuova azione
pedagogica, capace di mettersi al servizio nongià di una élite, ma della maggioranz
a del popolo e della nazione, e ditrasformare alle radici la struttura psichica,
e anche fisica, delle persone. La missione del popolo tedesco. Tuttavia i Disco
rsi passano ben presto dal piano pedagogico aquello nazionalistico, in quanto Fi
chte argomenta che soltanto il popolotedesco risulta adatto a promuovere la "nuo
va educazione", in virtù di cioche egli chiama "il carattere fondamentale" e che i
dentifica nella lingua. Infatti i tedeschi sono gli unici ad aver mantenuto la l
oro lingua, che sindall'inizio si è posta come espressione della vita concreta e d
ella culturadel popolo, a differenza, ad esempio, della Francia e dell'Italia, n
ellequali i mutamenti linguistici e la formazione dei dialetti neolatini hannopr
ovocato una scissione fra popolo, lingua e cultura. Per questo, itedeschi, il cu
i sangue non è commisto a quello di altre stirpi, sonol'incarnazione dell'Urvolk,
cioè di un popolo "primitivo" rimasto integro epuro, e sono gli unici a potersi co
nsiderare un popolo, anzi come il popoloper eccellenza (tant'è vero che egli fa no
tare come deutsch, preso nel suosenso letterale, significhi originariamente "vol
gare" o "popolare"). Di conseguenza, i tedeschi sono anche gli unici ad avere un
a patria, nelsenso più alto del termine, e a costituire un'unità organica, che, al d
i ladei vari stati e di tutte le barriere politiche, si identifica con larealtà pr
ofonda della nazione. A questo punto il discorso di Fichte si fadecisamente patr
iottico, auspicando, almeno esplicitamente, non già lalotta contro lo straniero (n
on si dimentichi la censura prussiana,preoccupata di una ritorsione dei francesi
!), bensì l'avvento di una nuovagenerazione di tedeschi, educati e rinnovati secon
do principi trattidal grande pedagogista G. Enrico Pestalozzi (1746-1827). Tutta
via,incanalando nuovamente il discorso patriottico in senso nazionalistico,Ficht
e proclama che solo la Germania, sede della Riforma protestante diLutero ("il te
desco per eccellenza") e patria di Leibniz e di Kant, nonchéepicentro della nuova
arte romantica e della nuova filosofia idealistica,risulta la nazione spiritualm
ente "eletta" a realizzare"l'umanità fra gli uomini", divenendo, per gli altri pop
oli, ciò che ilvero filosofo è per il prossimo: "sale della terra" e forza trainante
:"Il genio straniero sparpaglierà fiori nei sentieri battutidall'antichità... lo spi
rito tedesco, al contrario, aprirà nuove miniere,farà penetrare la luce del giorno n
egli abissi e farà saltare enormimassi di pensiero, di cui le età future si serviran
no per costruire leloro dimore. Il genio straniero sarà... l'ape che, accorta e in
dustriosa,bottina il miele... Ma lo spirito tedesco sarà l'aquila che, con alaposs
ente, eleva il suo corpo pesante e, con un volo vigoroso elungamente esercitato,
sale sempre più in alto per avvicinarsi al sole,la cui contemplazione la incanta"
. (J. G. Fichte, Renden an die deutscheNation, Berlino 1807-1808, discorso 5 (tr
aduzione italiana, Discorsi allanazione tedesca, a cura di Barbara Allason, Utet
, Torino, 1942,pagine 104-105). E tale "missione" di guida e di esempio, da part
e della Germania,risulta così importante, sostiene il filosofo nella Conclusione,
che seessa fallisse l'umanità intera perirebbe: "Non vi sono vie di uscita: sevoi
cadete, l'umanità intera cade con voi, senza speranza di riscattofuturo". (J. G. F
ichte, Discorsi alla nazione tedesca, opera citata, 14,pagina 269)Si osservi, pe
r controbilanciare quanto si è detto:1) come il "primato" che Fichte assegna al po
polo germanico non sia ditipo politico-militare, ma piuttosto di tipo "spiritual
e" e culturale;2) come Fichte ritenga che il popolo tedesco debba avere come int
eresseultimo l'umanità intera;3) come il fine di quest'ultima siano i valori etici
della ragione edella libertà. Tutto ciò, se da un lato scagiona i Discorsi daun'afr
ettata - e testualmente scorretta - interpretazione di essi in sensopangermanist
a o razzista, dall'altro lato non toglie che la loro influenzastorica maggiore s
i sia esercitata proprio in questo senso. Fortuna dei "Discorsi". Infatti i Disc
orsi (che all'inizio ebbero poco seguito, ma nei quali giail romanziere e filoso
fo Jean Paul Richter sentiva "battere il cuorestesso della nazione tedesca"), pa
rlando di "primato", di "missione", di"popolo integro", in seguito hanno potuto
costituire un testo-chiave nonsolo del patriottismo, ma anche dello sciovinismo
tedesco, portato benpresto a trasformare la fichtiana "supremazia spirituale" in
unasupremazia di razza e di potenza, lungo un processo che ha trovato ilsuo epi
logo oggettivo nel nazismo del Terzo Reich. Il diritto come condizione preparato
ria alla moralità. Nel 1812, nell'ambito di lezioni e conferenze accademiche tenut
eall'Università di Berlino, Fichte scrive il Sistema della dottrina deldiritto, in
cui tenta di ricondurre il diritto alla moralità. Infatti,mentre nella Dottrina d
el diritto del 1796 la sfera del diritto venivacaratterizzata indipendentemente
dalla vita morale, nell'opera del 1812risulta caratterizzata come il tratto d'un
ione che collega la natura allamoralità. Il diritto è la condizione preparatoria del
la moralità. Sequesta fosse universalmente realizzata, il diritto sarebbe superflu
o; mapoiché non è universalmente realizzata e affinché possa esserlo, bisognaassicurar
e a ciascuna persona le condizioni della sua realizzazione conuna disciplina obb
ligatoria; questa disciplina è il diritto. Inquest'ultima fase del suo pensiero po
litico, Fichte tende inoltre adaccentuare la missione "educatrice" dello Stato e
a risolvere l'ioempirico nel "Noi spirituale" della Nazione.10. La seconda fase
della filosofia di Fichte (1800-1814)10.1. La "crisi" del sistema. La prima Dot
trina della scienza (e le opere che le si collegano e laestendono al campo del d
iritto e della morale) intende mantenersi fedeleallo spirito del criticismo. Ess
a pone bensì un io infinito, comeautocoscienza assoluta; ma riconosce pure che l'i
nfinità dell'io non puorealizzarsi che attraverso la finitudine, cioè attraverso la
posizione diun non-io. L'io infinito è dunque pur sempre l'uomo: la sua vera sosta
nzaspirituale e pensante. Il concetto di una "divinità, nella quale tuttofosse pos
to per il solo fatto che l'io fosse posto" è dichiarato"impensabile". Come si è vist
o, Fichte ripete più volte questedichiarazioni nella prima Dottrina della scienza:
e le opere che sono adessa seguite si mantengono fedeli a questo principio. Ma
gradualmente, a partire dalla polemica sull'ateismo (1798), Fichte sievolve vers
o una sempre maggiore considerazione della vita religiosa. L'interesse morale ch
e domina nel suo primo periodo si complica di motiviteosofici, che finiscono per
prevalere. La "seconda" filosofia di Fichte. Fichte ritorna incessantemente a r
ielaborare la dottrina della scienza apartire dal 1801; e mentre esplicitamente
dichiara (per esempio, nellaprefazione all'Introduzione alla vita beata) di non
aver nulla da mutarenelle sue primitive affermazioni, le sue conclusioni dottrin
ali siallontanano in realtà sempre più da esse. Evidentemente il senso diqueste dich
iarazioni è che il principio stesso della dottrina della scienza(al quale sono ded
icate quasi esclusivamente le successive rielaborazioni)presentava di fronte ai
suoi occhi un problema, che egli cercò dirisolvere successivamente. Qual è questo pr
oblema? Esso si può facilmentericonoscere nel rapporto tra l'infinito e il finito.
La prima Dottrina dellascienza ha identificato i due termini in quanto ha posto
e riconosciutol'infinito nell'uomo. Essa quindi esclude ogni considerazione teo
logica edichiara impensabile lo stesso concetto di Dio. Ma quella stessa identit
afa nascere il problema della sua propria estensione. Se il finito siidentifica
con l'infinito, ciò ancora non dice che l'infinito siidentifichi col finito. Se l'
uomo è in qualche misura partecipe delladivinità ed è (in certi limiti) la stessa divi
nità, ciò non significa che ladivinità si esaurisca nell'uomo e viva in lui solamente.
Ci può esserenell'infinito e nel divino un margine (a sua volta infinito) che è al
di ladi ciò che di esso si realizza o si rivela nell'uomo. Frattura e continuità fra
la prima e la seconda fase. Questa possibilità Fichte cerca di afferrare e defini
re filosoficamentenelle diverse elaborazioni che dà alla dottrina della scienza a
partire dal1801. Non si può quindi far a meno di riconoscere una frattura nellafil
osofia di Fichte tra la prima e la seconda sua fase. Nella prima fase,questa fil
osofia è una dottrina dell'infinito nell'uomo. Nella seconda faseè una dottrina dell
'infinito fuori dell'uomo. Nella prima fase l'infinito(o Assoluto, che è lo stesso
) viene identificato con l'uomo. Nella secondafase l'infinito o assoluto viene i
dentificato con Dio. La fratturadottrinale è dunque innegabile. Ma questa frattura
è indubbiamente dovutaallo stesso interesse etico-religioso che domina da un capo
all'altrol'opera di Fichte.10.2. L'io come immagine di Dio e il filosofare reli
gioso. Il tentativo di avvalersi del sapere per raggiungere un Assoluto che eal
di fuori e al di là del sapere è compiuto per la prima volta da Fichtenella Dottrina
della scienza del 1801. Qui egli parte dal principio che ilsapere umano non è l'A
ssoluto poiché quest'ultimo "riposa su e in semedesimo assolutamente senza mutamen
to né oscillazione, saldo, completo echiuso in se stesso" (Werke, 2, pagine 12-13)
. Mentre l'Assoluto e il sapere vengono così contrapposti, il mondo vieneinvece co
llegato con il sapere e ridotto da Fichte ad una sua manifestazioneo copia. Come
tale, appare a Fichte privo di realtà propria. "Se si parla,egli dice, del miglio
r mondo e delle tracce della divinità buona che sitrovano in questo mondo, la risp
osta è questa: il mondo è il peggiore ditutti quelli possibili perché esso, in se stes
so, è addirittura nulla". Diconseguenza, sembra che l'ultimo esito della metafisic
a fichtiana sia ditipo schiettamente mistico e religioso: "Nel sollevarsi al di
sopra diogni sapere, egli dice, sino al puro pensiero dell'Essere assoluto edell
'accidentalità del sapere di fronte ad esso, è il punto più altodella Dottrina della s
cienza ". L'orientamento religiosoLorientamento mistico, che tende a negare ogni
valore al mondo e allostesso sapere umano, si accentua ancora nella Dottrina de
lla scienzaesposta nel 1804. Se nello scritto del 1801 l'Assoluto è il limite iniz
ialeo superiore del sapere, sicché questo lo raggiunge intuendo la sua propriaorig
ine o il non essere da cui emerge, nello scritto del 1804 l'Assoluto eaddirittur
a il principio di distruzione di ogni sapere possibile e perciosi coglie solo ne
ll'annullamento del sapere, quindi della coscienza edell'io, nella luce divina.
Fichte ripete qui il movimento dialettico di cui s'era valso nella primaDottrina
della scienza a proposito del non-io. Come il non-io dev'essereposto affinché l'i
o possa toglierlo di mezzo e trionfare su di esso conl'azione morale, così ora il
sapere concettuale dev'essere posto affinchél'evidenza della luce divina possa dis
truggerlo e realizzarsi in questadistruzione. La quale coinvolge l'io, che è il pr
incipio del sapere, manon è opera dell'io, ma della stessa luce divina. Le varie r
ielaborazioni della Dottrina della scienza. Delle successive elaborazioni della
dottrina della scienza la piùnotevole è quella del 1810 intitolata: La dottrina dell
a scienza nelsuo disegno generale, dalla quale non si allontanano sostanzialment
ele rielaborazioni del 1812-1813. In essa l'essere è identificato con Dio,in quant
o è uno, immutabile, indivisibile. Il sapere, che sostituisceall'unità divina la sep
arazione di soggetto e oggetto, non è Dio ed efuori di Dio. Ma poiché l'essere divin
o è tutto in tutto, il sapere el'essere di Dio fuori di Dio, cioè l'esteriorizzazion
e di Dio. Esso nonè l'effetto di Dio, perché ciò introdurrebbe un mutamento nell'esser
edivino, ma l'immediata conseguenza dell'essere assoluto, cioè l'immagineo schema
di lui. A sua volta l'autocoscienza è l'immagine o l'ombra delsapere sicché, rispett
o a Dio, viene ad essere l'ombra di un'ombra. Siamo molto lontani, come si vede,
dalla tesi della prima Dottrina dellascienza secondo la quale l'autocoscienza è i
l principio di ogni realtà. Tranne lo scritto del 1810 (La Dottrina della scienza
nei suoi trattigenerali), tutte le altre esposizioni e rielaborazioni del sistem
a diFichte rimasero inedite. Bisogna anche dire che sono di lettura assaiingrata
e che in esse il procedimento di Fichte appare lento e tortuoso. Questi difetti
dovettero apparire evidenti allo stesso Fichte che,mentre trascurava di pubblic
are quegli scritti, ne pubblicava altri,destinati a esporre in forma popolare il
nuovo orientamento del suopensiero. Questi scritti popolari sono: La missione d
egli uomini (1800);L'introduzione alla vita beata o dottrina della religione (18
06);Sull'essenza del dotto e le sue manifestazioni nel campo dellalibertà (1805);
Cinque lezioni sulla missione del dotto (1811). In questi scritti, l'orientament
o religioso e misticheggiante dell'ultimaspeculazione di Fichte trova una libera
manifestazione e viene espressocon le parole appropriate. Così lo scritto sulla M
issione dell'uomo ediviso in tre parti: il dubbio, la scienza e la fede, e Ficht
e descrivela liberazione dell'uomo dalla costrizione del mondo naturale mediante
lascienza, e il passaggio dalla scienza alla fede. Ancora più spiccatamente relig
ioso è il tono dell'altro scritto (il piùimportante fra quelli ora nominati), Introd
uzione alla vita beata. Fichte pone qui la beatitudine nell'unione con Dio, inqu
anto uno e assoluto, ma avverte contemporaneamente che anche inquest'unione Dio
non diventa il nostro essere, ma rimane fuori di noi chene abbracciamo solo l'im
magine. Alla religione si arriva negando ilvalore della realtà sensibile, vedendo
nel mondo la semplice immagine diDio e sentendo agire e vivere Dio in noi stessi
. All'unione con Dio,Fichte si preoccupa di togliere il significato contemplativ
o che essasembra implicare. La religione non è un sogno devoto: è l'intimo spiritoch
e purifica il pensiero e lazione, ed è quindi moralità operante. Ilpensiero raggiung
e l'esistenza,di Dio, cioè la sua rivelazione o la suaimmagine: l'essere di lui ri
mane al di là. L'esistenza di Dio s'identificacol sapere o autocoscienza delluomo;
ma il modo in cui essa derivadall'essere di Dio rimane inconcepibile. "L'esiste
nza deve comprendersi dasé come pura esistenza, riconoscersi e formarsi come tale,
e, di frontea se stessa, deve porre e formare un Essere assoluto, di cui essa s
iasemplice esistenza: attraverso il proprio essere deve annientarsi difronte ad
un'altra esistenza assoluta: ed appunto ciò forma il caratteredella pura immagine,
dell'idea o della coscienza dell'essere". Idealismo e cristianesimo. Fichte ved
e nell'evangelo di S. Giovanni esposta una dottrina analoga e nededuce l'accordo
del suo idealismo col cristianesimo. Là infatti è detto chein principio era la Paro
la o Logos: e nella Parola o Logos Fichte riconosceciò che egli ha chiamato esiste
nza o rivelazione di Dio: il sapere, l'io,l'immagine, di cui la vita divina è a fo
ndamento. In tal modo, il ciclodi sviluppo della dottrina di Fichte era concluso
. Partito dalriconoscimento dell'Io infinito come principio di deduzione della n
aturafinita dell'uomo, Fichte è giunto da ultimo a riconoscere il principioinfinit
o al di là dell'io, nell'Essere o Dio.11. La filosofia della storia. L'opera pubbl
icata da Fichte nel 1806, Tratti fondamentali dell'epocapresente, espone una fil
osofia della storia che riproduce a suo modo enon senza spunti polemici (come tr
oppo spesso Fichte ha fatto nelleultime opere) le idee esposte da Schelling nel
Sistema dell'idealismotrascendentale (1800) e nelle Lezioni sull'insegnamento ac
cademico (1802). Fichte comincia col dichiarare che "lo scopo della vita dell'um
anità sullaterra è quello di conformarsi liberamente alla ragione in tutte le suerel
azioni" (Opere, 7, pagina 7). I due stadi fondamentali della storia. Rispetto a
questo fine si distinguono nella storia dell'umanitadue stadi fondamentali: uno è
quello in cui la ragione è ancoraincosciente, istintiva, ed è l'età dell'innocenza; l'
altro è quello incui la ragione si possiede interamente e domina liberamente, ed è l
'etadella giustificazione e della santificazione, il kantiano regno dei fini. Le
varie "epoche". L'intero sviluppo della storia si muove tra queste due epoche e
d è ilprodotto dello sforzo della ragione di passare dalla determinazionedell'isti
nto alla piena libertà. Le epoche della storia sono determinate,in modo puramente
a priori e indipendentemente dall'accadimento dei fattistorici, proprio da quest
o sforzo. La prima epoca è quella dell'istinto,in cui la ragione governa la vita u
mana senza la partecipazione dellavolontà. La seconda epoca è quella dell'autorità in
cui l'istinto dellaragione si esprime in personalità potenti, in uomini superiori,
cheimpongono con la costrizione la ragione ad un'umanità incapace diseguirla per
conto suo. La terza epoca è quella della rivolta control'autorità ed è la liberazione
dall'istinto, di cui l'autorità stessa eun'espressione. Sotto l'impulso della rifl
essione si sveglia nell'uomo illibero arbitrio; ma la sua prima manifestazione è u
na critica negativadi ogni verità e di ogni regola, un'esaltazione dell'individuo
al di sopradi ogni legge e di ogni costrizione. La quarta epoca è quella in cui la
riflessione riconosce la propria legge e il libero arbitrio accetta unadisciplin
a universale; è l'epoca della moralità. La quinta epoca equella in cui la legge dell
a ragione cessa di essere un semplice idealeper divenire interamente reale in un
mondo giustificato e santificato,nell'autentico regno di Dio. Le prime due epoc
he sono quelle deldominio cieco della ragione, le due ultime quello del dominiov
eggente della ragione. In mezzo, è l'epoca della liberazione, nellaquale la ragion
e non è più cieca ma non è ancora cosciente. A quest'epoca appunto appartiene l'età pres
ente, secondo Fichte;la quale ha dietro di sé il dominio cieco della ragione ma no
nha ancora raggiunto il dominio veggente della ragione stessa. Ilparadiso è perdut
o, l'autorità è infranta, ma la conoscenza della ragionenon ancora domina. E questa
l'età dell'Illuminismo che Fichte chiamaquella del volgare intelletto umano; è l'età i
n cui prevalgono gliinteressi individuali e personali e in cui perciò si fa contin
uamenteappello all'esperienza, perché l'esperienza soltanto manifesta quali sonoqu
esti interessi e quali sono gli scopi ai quali essi tendono. La storia come svil
uppo della coscienza e del sapere. Come progressivo realizzarsi della ragione ne
lla sua libertà, la storia elo sviluppo della coscienza o del sapere. Ora il saper
e è l'esistenza,l'espressione, l'immagine compiuta della potenza divina. Considera
to nellatotalità e nell'eternità del suo sviluppo, il sapere non ha altro oggettoche
Dio. Ma per i singoli gradi di questo sviluppo Dio è inconcepibile eil sapere qui
ndi si rompe nella molteplicità degli oggetti empirici checostituisce la natura o
nella molteplicità degli eventi temporali checostituisce la storia. L'esistenza di
fatto nel tempo appare tale dapoter essere diversa e perciò accidentale; ma quest
a apparenza derivasoltanto dall'inconcepibilità dell'Essere che è a suo fondamento:i
nconcepibilità che condiziona l'infinito progresso della storia. Inrealtà né nella sto
ria né altrove c'è nulla di accidentale ma tutto enecessario e la libertà dell'uomo co
nsiste nel riconoscere questanecessità. Dice Fichte: " Nulla è com'è perché Dio vuole ar
bitrariamentecosì, ma perché Dio non può manifestarsi altrimenti che così. Riconoscere q
uesto, sottomettersi umilmente ed essere beati nellacoscienza di questa nostra i
dentità con la forza divina, è compito diogni uomo".12. Fichte nella filosofia moder
na. Fichte e i contemporanei. L'influenza di Fichte nella filosofia moderna è stat
a vasta e multiforme. Ripercorrendo alcuni dei momenti più significativi della sua
"presenza"culturale, ricordiamo innanzitutto come Fichte venga additato daF. Sc
hiegel come lo scopritore del concetto romantico di infinito e comel'ispiratore
ideale del nuovo movimento. Tant'è che lo stesso Schiegel nontarda a sostenere che
la Dottrina della scienza si configura, insiemecon la Rivoluzione francese e co
n il Wilhelm Meister di Goethe, come unadelle tre grandi "tendenze" del secolo.
Analogamente, Jacobi non esita adire che se Kant è il Giovambattista della nuova e
tà della cultura,Fichte ne è indiscutibilmente il Messia. E Hölderlin scrive con tonop
rofetico all'amico Hegel: "Fichte è un titano che lotta per l'umanità eil suo raggio
di azione non resterà limitato alle pareti della sua aula". Tutte "voci" che docu
mentano dal vivo l'immediato successo dell'autore deiFondamenti di tutta la dott
rina della scienza (1794), la cui fama varcaben presto i confini dell'Università d
i Jena, suscitando l'interesse e ilplauso di molti personaggi del mondo politico
e culturale: fra gli altridi Schiller e di Goethe. I suoi più fervidi ammiratori
sono comunque iromantici, che traggono da lui alcune delle loro più importanticonv
inzioni: il principio dell'infinito e della creatività dello spirito,la dottrina d
ella libertà dell'io e della sua potenza sul mondo, la tesidell'oggetto come "posi
zione" del soggetto, il titanismo, la concezionedella vita come Streben o sforzo
infinito di superamento del finito, ecosì via. Tuttavia il successo di Fichte pre
sso i membri del circolodura abbastanza poco, poiché "il Romanticismo era qualcosa
di troppocomplesso per poter essere imprigionato nelle formule del soggettivism
ofichtiano; esso includeva, almeno potenzialmente, altri interessimentali estran
ei a Fichte: l'amore goethiano del classico, e poi delmedievale, il sentimento d
ella natura, il fervore dell'esperienzareligiosa, il senso della storia. La dire
zione degli spiriti passò benpresto ad altre mani: Goethe, Schelling, Schieiermach
er, Hegel,detronizzarono Fichte dal suo effimero trono; e invano egli cercò dimett
ersi alla pari col movimento degli altri e di esprimere, nel suolinguaggio, le a
ltrui esigenze". (G. De Ruggiero, Storia della filosofia,L'età del Romanticismo, v
olume 1, capitolo 4, pagina 153.)Fichte e l'idealismo. La parabola involutiva de
lle fortune di Fichte presso i contemporaneinon toglie che egli, fondatore indis
cusso dell'idealismo, abbiaspalancato le porte alla nuova "filosofia dello spiri
to" germanica,influendo radicalmente su Schelling (vedi capitolo 5) e su Hegel (
vedicapitolo 6), dai quali è stato considerato come l'antesignano delmovimento, e
nello stesso tempo bollato come il pensatore della"soggettività", incapace di atti
ngere l'oggetto e la natura (Schelling),ùoppure la storia e l'Assoluto (Hegel). In
particolare, Hegel, nella suacostruzione storiografica, interpreta l'idealismo
"soggettivo" di Fichtecome il momento della tesi, l'idealismo "oggettivo" di Sch
elling come ilmomento dell'antitesi e il proprio idealismo "assoluto" come il mo
mentodella sintesi, considerando il fichtismo come una filosofia ancoraprigionie
ra dell'ottica del finito, e per la quale l'infinito è soloaspirazione impotente o
meta irraggiungibile. Il punto di vista hegeliano, e degli storici tedeschi od
europei che alui si sono richiamati, ha fatto sì che Fichte abbia finito per esser
econsiderato soltanto in funzione di Hegel, e che di lui si sia preso inconsider
azione quasi esclusivamente la prima filosofia, riducendone ilsistema religioso
a tendenziale ripresa di schemi metafisici di naturarealistica e dogmatica. Tutt
avia a cominciare dalla pubblicazione, acura del figlio Immanuel Hermann Fichte,
degli inediti (1834-1835) edelle opere complete (1845-1846), anche la sua filos
ofia religiosa hacominciato ad attirare l'attenzione degli studiosi: dapprima de
irappresentanti dello stesso "teismo speculativo tedesco" di Fichtejunior (1797-
1871) e di Christian Hermann Weisse (1801-1866), che si sonorichiamati a Fichte
in funzione anti-hegeliana (Cfr. M. Ravera, Studi sulteismo speculativo tedesco,
Mursia, Milano 1974, nel quale si afferma cheuna delle caratteristiche del disc
orso del cosiddetto Fichte junior è"il richiamo, in funzione anti-hegeliana, dei t
emi dominanti l'ultima fasedell'opera paterna, da lui profondamente studiata ed
assimilata"capitolo 1, pagina 22), e in seguito degli interpreti novecenteschi,s
oprattutto di quelli che hanno scorto in essa il travagliato ma coerenteesito de
l filosofare fichtiano (Fra i contributi in questo sensoricordiamo soprattutto q
uello del già citato L. Pareyson, il maggiorstudioso italiano di Fichte, che nella
sua monografia del 1950 (e rieditarecentemente, vedi le Indicazioni bibliografi
che) si è battuto contro latesi tradizionale di un Fichte continuatore di Kant e a
nticipatore diHegel, e contro la tesi della presenza, in Fichte, di due filosofi
etotalmente contrapposte e prive di motivi comuni. Uno dei nuclei dellapresentaz
ione pareysoniana consiste nell'immagine di Fichte come pensatoreche, pur all'in
terno di una "filosofia del finito", avrebbe tenuto fermo,sin dall'inizio, la pr
esenza dell'Assoluto, dapprima prospettato comeidealità etica e in seguito come re
altà ontologica. Di conseguenza,secondo Pareyson, la nuova filosofia religiosa non
si configurerebbe comeuna "negazione" o una "smentita" della prima, ma come un
"approfondimento"e "arricchimento" della medesima: "tutto lo sforzo di Fichte co
nsisteranel trovare il modo di affermare l'assoluto evitando a un tempol'assolut
izzazione del finito" (Fichte, Edizioni di Filosofia, Torino 1950,volume 1, pagi
na 135). Fichte e il neoidealismo. Alcuni fra i temi più caratteristici del primo
Fichte, soprattutto laconcezione dello spirito come attività autocreatrice ed etic
itaintrinseca, tornano invece, in tutta la loro pregnanza, nel neoidealismodi Gi
ovanni Gentile (e seguaci), il quale, a torto o a ragione, eapparso talora come
una sorta di "Fichte redivivus", per la sua capacitadi recuperare in modo origin
ale, al di là della stessa dialettica diHegel, la dialettica fichtiana di io e non
-io, di atto e di fatto. Icritici hanno scorto tracce fichtiane anche ne L'Esser
e e il nulla diJean Paul Sartre, il cui esistenzialismo coscienzialistico, sebbe
neorientato in senso anti-idealistico, appare dualisticamente strutturatosecondo
la coppia del per sé (= la coscienza come libertà e poteresignificante) e dell'in sé
(= il dato opaco che riceve senso e valore invirtù della coscienza). Fichte come r
appresentante tipico della concezione moderna dell'uomo. In realtà, come dimostra
il caso di Sartre (e di altri che potrebberoessere citati), la presenza di Ficht
e nella filosofia successiva, al dilà dell'influsso diretto su questo o quel pensa
tore idealista,spiritualista o coscienzialista, va ricercata soprattutto nella s
uavisione attivistica ed etica dell'esistenza, che fa di lui ilrappresentante ti
pico della concezione moderna dell'uomo, ossia di quellainterpretazione del vive
re come impegno, sforzo, missione, dover-essere,libertà e movimento, che è tipica, a
ncor oggi, dell'Occidente. Indicazioni bibliograficheE. Severino, Per un rinnova
mento nell'interpretazione della filosofiafichtiana, La Scuola, Brescia 1960. P.
Salvucci, Dialettica e immaginazione in Fichte, Argalia, Urbino 1963. G. Duso,
Contraddizione e dialettica nella formazione del primo Fichte,Argalia, Urbino 19
74. C. Cesa, Fichte e il primo idealismo, Sansoni, Firenze 1975. L. Pareyson, Fi
chte, Ed. di Filosofia, Torino 1950; nuova edizione Mursia,Milano 1976. F. Moiso
, Natura e cultura nel giovane Fichte, Mursia, Milano 1979. C. Luporini, Fichte
e la destinazione del dotto, in Filosofi vecchi enuovi, Editori Riuniti, Roma 19
81. M. Ivaldo, Fichte. L'assoluto e l'immagine, Studium, Roma 1983. G. Di Tommas
o, Dottrina della scienza e genesi della filosofia dellastoria nel primo Fichte,
Japarade, L'Aquila 1986. R. Lauth, La filosofia trascendentale di J. G. Fichte,
traduzione italiana,Guida, Napoli 1986. N. Ivaldo, I principi del sapere. La vi
sione trascendentale di Fichte,Bibliopolis, Napoli 1987. Glossario e riepilogo:-
La dottrina della scienza è quel sapere "assolutamente certo einfallibile" che si
identifica con l'esposizione del "sistema dellospirito umano" (Sul concetto del
la dottrina della scienza o della cosidetta filosofia, sezione 2, paragrafo 7).
Tale sapere prende la forma diuna scienza della scienza, ossia di una teoria vol
ta a mettere in luce ilprincipio primo (vedi) su cui si fonda ogni scienza, per
poi dedurre (vedi)da esso tutto lo scibile.- Il principio primo del sapere è, per
Fichte, l'Io (vedi) stesso. Infatti,ogni altro preteso principio (ad esempio la
legge di identità: A = A)presuppone l'Io ed è posto dall'Io: "Noi siamo partiti dall
a proposizione:A = A, non come se da essa si potesse dedurre la proposizione: Io
sono,ma perché dovevamo partire da una qualunque proposizione certa, datanella co
scienza empirica. Ma anche nella nostra spiegazione si è vistoche non la proposizi
one: A = A è il fondamento della proposizione: Iosono, ma che piuttosto quest'ulti
ma è il fondamento della prima"(Fondamenti dell'intera dottrina della scienza, par
te prima, paragrafo 1). A sua volta, l'Io non è posto da altri, ma si configura co
me un'attivitàauto-creatrice (vedi) che si pone da sé.- La deduzione fichtiana è la di
mostrazione e la giustificazionesistematica di tutte le proposizioni della filos
ofia per mezzo dell'Io. A differenza di quella kantiana, che è una deduzione trasc
endentale ognoseologica, cioè diretta a giustificare le condizioni soggettive dell
aconoscenza (le categorie), la deduzione fichtiana è una deduzioneassoluta o metaf
isica, poiché intende servirsi dell'Io, che a sua volta eindeducibile, essendo dat
o a se stesso tramite un atto di intuizioneintellettuale (vedi), per spiegare l'
intero sistema della realtà: "Tutto ildimostrabile deve essere dimostrato - tutte
le proposizioni debbono esserededotte tranne quel primo e supremo principio" (Co
ncetto Della Dottrinadella Scienza, sezione 2, parte 7). Hegel vedrà in questo pro
cedimento unpunto d'onore della filosofia di Fichte: "Alla filosofia fichtiana s
pettail profondo merito di aver fatto avvertire che le determinazioni delpensier
o son da dimostrare nella loro necessità; che sono essenzialmenteda dedurre, (Enc.
, paragrafo 42).- L'Autocoscienza di cui parla Fichte si identifica con l'Io (ve
di), ovverocon la consapevolezza che il soggetto ha di se medesimo. Consapevolez
zache sta alla base di ogni conoscenza. Infatti, io posso avere coscienzadi un o
ggetto qualsiasi solo in quanto ho nello stesso tempo coscienzadi me stesso: "No
n si può pensare assolutamente nulla senza pensare inpari tempo il proprio Io come
cosciente di se stesso; non si può maiastrarre dalla propria autocoscienza" (Fond
amenti della Dottrina dellaScienza, parte prima, paragrafo 1,7). In quanto Autoc
oscienza, l'Iorisulta quindi, per definizione, un'attività che ritorna sopra di sé:"
io e agire ritornante in sé sono concetti affatto identici, (Secondaintroduzione a
lla Dottrina della Scienza). Il concetto diAutocoscienza è strettamente collegato
a quello di intuizioneintellettuale (vedi).- Per intuizione intellettuale Fichte
intende l'auto-intuizione immediatache l'Io ha di se stesso in quanto attività au
to-creatrice. Attività perla quale conoscere qualcosa (se medesimi o gli oggetti)
significa fare oprodurre tale qualcosa ed esserne, implicitamente o esplicitamen
teconsapevoli. Ecco, a tale proposito, uno dei testi più significativi edaccessibi
li di Fichte: "chiamo intuizione intellettuale quest'intuizionedi se stesso di c
ui è ritenuto capace il filosofo, nell'effettuazionedell'atto con cui insorge per
lui l'io. Essa è la coscienza immediata cheio agisco, e di ciò che agisco: essa è ciò pe
r cui so qualcosa perché lafaccio. Che una tale facoltà dellintuizione intellettuale
esista, non sipuò dimostrare per concetti, né si può sviluppare da concetti quello ch
eessa è. Ognuno deve trovarla immediatamente in se stesso, altrimentinon imparerà ma
i a conoscerla. La richiesta di dimostrargliela perragionamenti è ancor più sorprend
ente di quella, ipotetica, di un cieconato di spiegargli, senza ch'egli debba ve
dere, che cosa sono i colori. E però possibile dimostrare a ciascuno nella sua esp
erienza personale dalui stesso ammessa che quest'intuizione intellettuale è presen
te in tuttii momenti della sua coscienza. Io non posso fare un passo, muovere un
amano o un piede, senza l'intuizione intellettuale della mia autocoscienzain que
ste azioni; solo mercé quest'intuizione so di essere io a compierli,solo in forza
di essa distinguo il mio agire, e me in esso, dall'oggetto,in cui m'imbatto, del
l'azione. Chiunque si attribuisce un'attività faappello a qust'intuizione. In essa
è la fonte della vita, e senza di essaè la morte" (Seconda introduzione alla Dottri
na della Scienza). N. B.1) L'intuizione intellettuale, come risulta dal passo ci
tato, è presentea ciascuno, sebbene raggiunga la piena coscienza di sé solo nel filo
sofo.2) Con il concetto di intuizione intellettuale Fichte attribuisce all'uomoq
uell'intuito creatore che Kant attribuiva solo a Dio.- Per Io Fichte intende il
principio assolutamente primo, assolutamenteincondizionato, di tutto l'umano sap
ere (F. D. S., sezione 1, paragrafo 1),ovvero un'attività autocreatrice (vedi), li
bera (vedi), assoluta (vedi)ed infinita (vedi). In Fichte assistiamo quindi ad u
na sorta dienfatizzazione metafisica dell'Io, che da semplice condizione del con
oscere(com'era l'Io penso di Kant) diviene la fonte del reale, cioè Dio.- L'Io è un'
attività autocreatrice poiché esso, a differenza delle cose,che sono quello che sono
, pone o crea se stesso: "Ciò il cui essere (o lacui essenza) consiste puramente n
el porsi come esistente, è l'Io comesoggetto assoluto" (F. D. S.,sezione 1, paragr
afo 1), "L'Io è quel che essosi pone" (ivi, 1, 9). Questa prerogativa dell'Io vien
e illustrata daFichte con il concetto di Tathandlung (vedi).- Tathandlung è un ter
mine caratteristico che usa Fichte per alludere alfatto che l'Io è, nello stesso t
empo, attività agente (Tat) e il prodottodell'azione stessa (Handlung), ovvero che
l'Io è ciò che egli stesso sicrea o produce (esse sequitur agere: noi siamo quel ch
e ci facciamo)."L'Io pone se stesso ed è in forza di questo puro porsi per se stes
so (...)Esso è, in pari tempo, l'agente e il prodotto dell'azione; ciò che eattivo e
ciò che è prodotto dell'attività, (F. D. S, 1, 6).- In quanto attività auto-creatrice,
l'Io risulta strutturalmente libertà."L'assoluta attività, scrive Fichte, la si chia
ma anche libertà. Lalibertà è la rappresentazione sensibile dell'auto-attività".- In qua
nto attività creatrice ed auto-creatrice, l'io è, per definizione,un essere assoluto
, ovvero un ente in-condizionato ed in-finito che nondipende da altro, ma da cui
tutto il resto dipende.- In quanto assoluto, l'Io è infinito. Infatti, tutto ciò ch
e esiste esistesoltanto nell'Io e per l'Io, il quale, di conseguenza, ha tutto d
entro disé e nulla fuori di sé: "In quanto è assoluto l'Io è infinito eillimitato. Esso
pone tutto ciò che è; e ciò che esso non pone, non è(per esso; e fuori di esso non cè null
a)... Quindi, in questo riguardo,l'Io abbraccia in sé tutta la realtà... (F. D. S.,
3, 5; 2).- L'Io è detto anche, con linguaggio kantiano, Io puro, poiché esso siident
ifica con un'attività scevra (= pura) da condizionamenti empirici.- I principi del
la Dottrina della scienza, ossia le cosiddette"proposizioni fondamentali (Grundsät
ze) della deduzione fichtiana, sonotre. La prima afferma che "l'Io pone se stess
o" (das Ich setzt sich selbsf). La seconda che "l'Io pone un non-io" (das Ich se
tzt ein Nicht-Ich). Laterza che "l'Io oppone nell'Io ad un io divisibile un non-
io divisibile"(das Ich setzt im Ich dem teilbaren Ich ein teilbares Nicht-Ich en
tgegen). In altri termini, la prima proposizione stabilisce come il concetto di
Ioin generale si identifichi con quello di un'attività auto-creatrice (vedi)ed inf
inita (vedi). La seconda stabilisce che l'Io non solo pone se stesso,ma oppone a
nche a se stesso qualcosa che, in quanto gli è opposto enon-io (vedi). Tale non-io
è tuttavia posto dall'Io ed è quindi nell'Io. Il terzo principio mostra come l'Io,
avendo posto il non-io, si trovi adessere limitato da esso, ovvero ad esistere s
otto forma di un io"divisibile" (= molteplice e finito) avente di fronte a sé altr
ettantioggetti divisibili. N. B. Il secondo principio, osserva Fichte, non risul
ta, a rigore,deducibile dal primo "poiché la forma dell'opporre è così poco compresane
lla forma del porre, che le è anzi piuttosto opposta" (Fondamentidell'intera D. S.
,1,2). Il che è un modo per dire che il finito non risultadeducibile dall'infinito
, ossia che "fra l'assoluto e il finito v'è unintervallo, uno iato, una soluzione
di continuità" (L. Pareyson). Tuttociò non toglie, come risulta chiaro soprattutto d
alla terza ed ultima partedella Dottrina della scienza che il non-io funzioni da
"urto"indispensabile per mettere in moto l'attività dell'Io e si configuriquindi
come condizione necessaria affinché vi sia un soggetto reale:"l'attività dell'Io pro
cedente all'infinito deve essere urtata in un puntoqualunque e respinta in se st
essa (...). Che questo accada, come fatto,non si può assolutamente dedurre dall'Io
, come più volte è statoricordato; ma si può certamente dimostrare che questo fatto de
veaccadere, affinché una coscienza reale sia possibile" (Fondamentidell'intera D.
S., 3, 5,2). In altri termini, pur essendo indeducibile,in assoluto, dall'equazi
one Io = Io, il non-io risulta indispensabile perspiegare l'esistenza di una cos
cienza concreta, la quale postulanecessariamente la struttura bipolare soggetto-
oggetto, attività-ostacolo,posizione-opposizione: "quell'opposto non fa se non met
tere in movimentol'Io per l'azione, e senza tale primo motore al di fuori di ess
o, l'Io nonavrebbe mai agito; e poiché la sua esistenza non consiste se nonnell'at
tività, non sarebbe neppure esistito" (ivi).- Non-io. Con questo termine Fichte in
tende il mondo oggettivo in quanto eposto dall'Io ma opposto all'Io: "Nulla è post
o originariamente trannel'Io; questo soltanto è posto assolutamente. Perciò soltanto
all'Io si puòopporre assolutamente. Ma ciò che è opposto all'Io è = Non-io"(Fondamenti
dell'intera D. S., 1, 2, 9). N. B. "Non-io", "oggetto", "ostacolo", "natura", "m
ateria", eccetera inFichte sono tutti termini equivalenti. In concreto, il non-i
o si identificacon la natura interna (il nostro corpo e i nostri impulsi) ed est
erna(le cose prive di ragione).- L'io finito o "divisibile" o "empirico" è l'Io, i
l quale, avendo postoil non-io, si trova ad essere limitato da esso, cioè ad esist
ereconcretamente sotto forma di un individuo condizionato dalla natura(interna e
d esterna) e per il quale la purezza (vedi) dell'Io assolutorappresenta solo un
ideale o una missione (vedi la voce seguente).- Il rapporto fra l'Io infinito e
gli io finiti può essere descrittodicendo che l'Io non è tanto la sostanza o la radi
ce metafisica degli iofiniti, quanto la loro meta ideale. Anzi, l'infinito, per
l'uomo, più checonsistere in un'essenza già data, si configura come dover-essere emi
ssione. Tanto più che l'Io infinito coincide con un Io assolutamentelibero, ossia
con uno spirito scevro di ostacoli e di limiti. Situazioneche per l'uomo rappres
enta una semplice aspirazione. Di conseguenza, direche l'Io infinito è la missione
o il dover-essere dell'io finito significadire che l'uomo è uno sforzo infinito (
vedi) verso la libertà, ovvero unalotta inesauribile contro il limite. Infatti, se
l'uomo riuscisse davveroa vincere tutti i suoi ostacoli, si annullerebbe come I
o, cioè comeattività.- Dialettica. Con questo termine, tipico di Hegel, si intende i
lprincipio - già presente in Fichte sin dalla Dottrina della scienza del1794 - del
la struttura triadica della vita spirituale (tesi - antitesi -sintesi) e il conc
etto di una "sintesi degli opposti per mezzo delladeterminazione reciproca" (F.
D. S., 2, 4). Gli opposti o i contrari di cuiparlava Fichte erano l'Io (la tesi)
ed il non-io (l'antitesi) e lasintesi loro reciproca determinazione.- Il dogmat
ismo, secondo Fichte, è quella posizione filosofica che consistenel partire dalla
cosa in sé e dall'oggetto per poi spiegare, su questabase, l'Io o il soggetto. In
virtù delle sue premesse, l'idealismo, che euna forma di realismo in gnoseologia e
di naturalismo in metafisica,finisce sempre per sfociare nel determinismo e nel
fatalismo: "ognidogmatico conseguente è per necessità fatalista (...) nega del tutt
oquell'autonomia dell'Io, su cui l'idealista costruisce, e fa dell'Ionient'altro
che un prodotto delle cose, un accidente del mondo: ildogmatico conseguente è per
necessità anche materialista (Primaintroduzione alla D. S.).- L'idealismo, second
o Fichte, è quella posizione filosofica che consistenel partire dall'Io e dal sogg
etto per poi spiegare, su questa base, lacosa o l'oggetto: "Il contrasto tra l'i
dealista e il dogmatico consistepropriamente in ciò: se l'autonomia dell'io debba
essere sacrificata aquella della cosa o viceversa" (Prima introduzione alla D. S
.); "l'essenzadella filosofia critica consiste in ciò, che un Io assoluto viene po
stocome assolutamente incondizionato e non determinabile da nulla di piùalto" (Fon
damenti dell'intera D. S., 1, 3, D,7); " Nel sistema critico lacosa è ciò che è posto
nell'Io; nel dogmatico, ciò in cui l'Io stesso eposto" (ivi). N. B. La difesa dell
a autonomia e incondizionatezza dell'Io fa sì chel'idealismo si configuri, per def
inizione, come una dottrina della libertà.- La scelta fra idealismo e dogmatismo s
econdo Fichte dipende da come si ecome uomini, ossia da un'opzione etica di fond
o, in quanto l'individuofiacco e inerte sarà spontaneamente portato al dogmatismo
e alnaturalismo, mentre l'individuo solerte e attivo sarà spontaneamenteportato al
l'idealismo: "La ragione ultima della differenza fra idealista edogmatico è (...)
la differenza del loro interesse. L'interesse supremo,principio di ogni altro in
teresse, è quello che abbiamo per noi stessi. Il che vale anche per il filosofo (.
..). La scelta di una filosofiadipende da quel che si è come uomo, perché un sistema
filosofico non eun'inerte suppellettile, che si può lasciare o prendere a piacere
, ma eanimato dallo spirito dell'uomo che l'ha. Un carattere fiacco di natura oi
nfiacchito e piegato dalle frivolezze, dal lusso raffinato e dallaservitù spiritua
le, non potrà mai elevarsi all'idealismo".(Primaintroduzione alla D. S.).- Per con
oscenza Fichte intende l'azione del non-io sull'io. Egli siproclama realista e i
dealista al tempo stesso: realista perché ammetteun'influenza del non-io sull'io;
idealista perché ritiene che il non-io siaun prodotto dell'Io. Prendendo le distan
ze sia dall'idealismo dogmatico(che vanifica l'oggetto), sia dal realismo dogmat
ico (che vanifica ilsoggetto), Fichte scrive: "La dottrina della scienza è dunque
realistica. Essa mostra che è assolutamente impossibile spiegare la coscienza dell
enature finite se non si ammette l'esistenza di una forza indipendente daesse, a
ffatto opposta a loro, e dalla quale quelle nature dipendono perciò che riguarda l
a loro esistenza empirica (...). Tuttavia, malgrado ilsuo realismo, questa scien
za non è trascendente, ma resta trascendentalenelle sue più intime profondità. Essa sp
iega certo ogni coscienza conqualcosa, presente indipendentemente da ogni coscie
nza; ma anche inquesta spiegazione non dimentica di conformarsi alle sue proprie
leggi;ed appena essa vi riflette su, quel termine indipendente diventa dinuovo
un prodotto della sua propria facoltà di pensare, quindi qualcosadi dipendente dal
l'Io, in quanto deve esistere per l'Io (nel concettodell'Io)"; "Questo fatto, ch
e lo spirito finito deve necessariamente porreal di fuori di sé qualcosa di assolu
to (una cosa in sé), e tuttavia,dall'altro canto, riconoscere che questo qualcosa
esiste solo per esso(è un noumeno necessario), è quel circolo che lo spirito puoinfi
nitamente ingrandire, ma dal quale non può mai uscire. Un sistemache non bada punt
o a questo circolo è un idealismo dogmatico, poichépropriamente solo il circolo indi
cato ci limita e ci rende esserifiniti; un sistema che immagini di esserne uscit
o è un dogmatismotrascendentale realistico. La dottrina della scienza tiene precis
amenteil mezzo tra i due sistemi ed è un idealismo critico che si potrebbechiamare
un real-idealismo, o un ideal-realismo... "(Fondamentidell'intera D. S., 3, 5,
2).- Per immaginazione produttiva Fichte intende l'atto inconscio attraversocui
l'Io pone, o crea, il non-io, ovvero il mondo oggettivo di cui l'iofinito ha cos
cienza: "ogni realtà - ogni realtà per noi, si capisce, comedel resto non può intender
si altrimenti in un sistema di filosofiatrascendentale non è prodotta se non dall'
immaginazione" (Fondamentidell'intera D. S., 2, 4, E, 3, 13), "nella riflessione
naturale, oppostaa quella artificiale della filosofia trascendentale (...) non
si puoindietreggiare se non fino all'intelletto, e in questo si trova poi,certam
ente, qualcosa di dato alla riflessione, come materia dellarappresentazione; ma
del modo come ciò sia venuto nell'intelletto, non siè coscienti. Da qui la nostra sa
lda convinzione della realtà delle cosefuori di noi e senza alcun intervento nostr
o, perché non siamo coscientidella facoltà che le produce. Se nella riflessione comu
ne noi fossimocoscienti, come certo possiamo esserlo nella riflessione filosofic
a, chele cose esterne vengono nell'intelletto solo per mezzo dell'immaginazione,
allora vorremmo di nuovo spiegare tutto come illusione, e per questaseconda opin
ione avremmo torto non meno che per la prima, (ivi, Deduzionedella rappresentazi
one, 3).- La morale, per Fichte, consiste nell'azione dell'Io sul non-io e assum
ela forma di un dovere volto a far trionfare, al di là di ogni ostacolo,lo spirito
sulla materia. Dovere che esprime il senso di quello sforzo(vedi) che è l'Io: "Il
mio mondo è oggetto e sfera dei miei doveri, eassolutamente niente altro..." (La
missione dell'uomo).- Lo sforzo (Streben), che Fichte definisce un concetto impo
rtantissimoper la parte pratica della dottrina della scienza, coincide con l'ess
enzastessa dell'uomo, inteso come compito infinito di auto-liberazione dell'Ioda
i propri ostacoli: "L'io è infinito, ma solo per il suo sforzo; esso sisforza di e
ssere infinito. Ma nel concetto stesso dello sforzo è giacompresa la finità..." (Fon
damenti, 3, 5, 2). N. B. In altri termini, Fichte riconosce nell'ideale etico il
verosignificato dell'infinità dell'Io. L'Io è infinito (sia pure tramite unprocesso
esso stesso infinito) poiché si rende tale, svincolandosi daglioggetti che esso s
tesso pone. E pone questi oggetti perché senza di essinon potrebbe realizzarsi com
e attività e libertà.- Primato della ragion pratica. Con questa espressione Kant ave
vadesignato il fatto che la morale ci dà, sotto forma di postulati, cioche la scie
nza ci nega (la libertà, l'immortalità e Dio). Fichte intendeinvece, con essa, il fa
tto che la conoscenza e l'oggetto della conoscenzaesistono solo in funzione dell
'agire: "La ragione non può essere neppureteoretica, se non è pratica" (Fondamenti),
"Tu non esisti per contemplaree osservare oziosamente te stesso o per meditare
malinconicamente le tuesacrosante sensazioni; no, tu esisti per agire; il tuo ag
ire e soltantoil tuo agire determina il tuo valore" (La missione dell'uomo), "No
i agiamoperché conosciamo, ma conosciamo perché siamo destinati ad agire; laragion p
ratica è la radice di ogni ragione" (ivi). N. B. Di conseguenza, il criticismo eti
co di Kant diviene, con Fichte, unaforma di moralismo metafisico che vede nell'a
zione la ragion d'essere e loscopo ultimo dell'universo.- Il pensiero del primo
Fichte è stato denominato idealismo soggettivo edetico in quanto fa dell'Io o del
soggetto il principio da cui tutto deveessere dedotto e concepisce l'azione mora
le come la chiave diinterpretazione della realtà (= moralismo).- Secondo Fichte il
fine dell'uomo in società è quello di farsi liberi edi rendere liberi gli altri, in
vista della completa unificazione econcordia di tutti gli individui: "è uno degli
impulsi fondamentalidell'uomo quello di poter riconoscere fuori di sé esseri razi
onali similia lui (...). Luomo è destinato a vivere in società, deve vivere insocietà;
se vivesse isolato non sarebbe uomo compiutamente..." (Lamissione del dotto), "è
la missione della nostra schiatta quella di unirsiin un corpo unico, completamen
te noto a se stesso in tutte le sue parti eprogredito ovunque allo stesso modo"
(La missione dell'uomo).- La missione del dotto, in quanto educatore e maestro d
ell'umanità, equella di additare i fini essenziali del vivere insieme e di segnala
re imezzi idonei per il loro conseguimento, in vista del perfezionamentoprogress
ivo della specie.- In conclusione, il compito supremo dell'uomo (come singolo, c
ome esseresociale e come dotto) è quello di avvicinarsi indefinitamente allaperfez
ione: "Il fine ultimo dell'uomo è quello di sottomettere ogni cosairrazionale e do
minare libero secondo la sola sua legge, fine che non eaffatto raggiungibile e t
ale deve eternamente rimanere se l'uomo non devecessare di essere uomo per diven
tare Dio. Dallo stesso concetto di uomoricaviamo che il suo fine è irraggiungibile
e la via che porta ad essoinfinita. Non è dunque il raggiungimento di questo fine
la missionedell'uomo. Ma egli può e deve perpetuamente avvicinarsi ad esso e ques
toinfinito avvicinarsi al fine è la sua missione di uomo, cioè di essererazionale ep
pur finito, sensibile eppur libero. Quel pieno accordo conse stesso si chiama pe
rfezione nel più alto significato della parola; laperfezione è dunque il più alto e ir
raggiungibile fine dell'uomo e ilperfezionamento all'infinito è la sua missione. E
gli esiste per diveniresempre migliore e per rendere tale tutto ciò che materialme
nte emoralmente lo circonda; di conseguenza per divenire sempre più felice"(La mis
sione del dotto).

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