Riva Claudio
1. Un pensiero metropolitano
Simmel e le sue opere risentono della Berlino in cui viveva: una città che conobbe
trasformazioni spaziali e demografiche tra fine 800 e inizio 900. La popolazione aumenta a
causa dellʼimmigrazione e dellʼinurbamento: tutti sono stranieri e senza radici, in altre
parole, tutti sono allo stesso tempo artefici e testimoni della crescita di una metropoli e
della conseguente trasformazione della propria condizione umana. Si tratta di un
mutamento strutturale ed antropologico, soggettivo ed oggettivo. Da qui la concezione di
Simmel e la convinzione che la modernità sia destabilizzante. Tutto entra in relazione con
tutto, si va via via perdendo lʼunitarietà dello spirito oggettivo e allo stesso tempo vi è una
crescente deprivazione di quello soggettivo. Lʼesperienza del mondo si riduce pian piano a
pura esperienza interiore ed il sé, per quanto frammentato, conosce uno sviluppo
spropositato.
Per Simmel nella metropoli ergo nella modernità la tensione individuo-società appare
chiara e si mostra innanzi tutto come conflitto interno allʼindividuo. La tensione individuo-
società avviene dapprima allʼinterno dellʼindividuo per opera del conflitto tra il suo essere
sociale e il suo tendere allʼautorealizzazione. La conflittualità prende strade interne perchè
nella modernità la società è ormai priva di un fine e di ogni coerenza. La cultura oggettiva
è cresciuta troppo, talmente tanto e in modo spropositato che la società non ha quasi
interesse allʼunitarietà e non vi è più tendenza alla compattezza. La metropoli diventa un
luogo in cui lʼindividuo è continuamente outsider, un non-cittadino, la condizione dello
straniero diventa condizione diffusa. Il mondo esterno non viene reinterpretato ma
inglobato in quello interiore. Allo sviluppo spropositato dello spirito oggettivo corrisponde
una diminuzione, riduzione della cultura soggettiva che arretra in posizione difensiva,
arroccandosi nellʼintellettualismo.
Lʼessenza del moderno, secondo Simmel, è lo psicologismo, ovvero il vivere e spiegare il
mondo sulla base dellʼinteriorità, del mondo interiore.
Lʼopera di Simmel si svolge attorno allo studio della società come RETE, alla base della
quale vi sono i rapporti di reciprocità fra individui: interazioni sociali.
Simmel sceglie come oggetto della propria riflessione ciò che nellʼinterazione si fa e disfa
di continuo, obiettivo comune dellʼimpressionismo (rappresentare il fugace, il “cogli
lʼattimo”). Sarà però il modernismo e in particolare lʼespressionismo a rispecchiare la
visione di Simmel, caratterizzata dalla convinzione della contraddizione tra vita e forma.
Con lʼespressionismo avviene infatti il rifiuto di ogni stile e forma, si da voce alla
contraddittorietà, agli ossimori, alle dissonanze. Eʼ con lʼespressionismo che il mondo
viene visto come contenitore di contrari caratterizzato da conflitto, tensione e
contraddizione. Vi è volontà di distruggere precondizioni, gabbie precostituite.
Lʼidea di fondo che lega Simmel al modernismo e allʼespressionismo è che il senso della
vita non possa essere espresso in forme ma che possa (e debba) esprimersi in una infinità
di possibilità. Lʼaccento è posto sulle possibilità, le chances non previste, marginali. La vita
è un gioco perchè il processo vitale si accelera in un punto privo si passato e futuro. La
vita stessa si concentra con una tale intensità che ogni contenuto diventa relativamente
indifferente. Il discorso sulla modernità dunque è il cuore del pensiero di Simmel. Egli pone
il focus sulla frammentarietà, sulla infinita rete di rapporti reciproci e fa di ciò lʼessenza
della modernità. Lʼazione reciproca e ogni forma di sociazione sono concetti chiave, senza
distinzioni in ordine gerarchico tra forme di fare società. Per questo motivo non deve
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2. La socievolezza
Eʼ la forma più pura della interindividualità e della superindividualità. Per poter parlare di
socievolezza vi sono tre condizioni necessarie:
a. esclusione di tutto ciò che per la personalità ha importanza oggettiva, come status,
successo, fama, ricchezza, ma che non è però in comune con gli altri partecipanti
b. lʼavere se stessa come unico scopo
c. elaborazione e trasformazione in forma ludica e leggera della vita.
La socievolezza può darsi solo nella neutralizzazione, sia pur momentanea, delle
differenze e contrasti individuali. Si parla di socievolezza quando questa avviene senza
uno scopo se non la stessa socievolezza. Inoltre (c) è condizione necessaria la
sublimazione della realtà.
La società viene vista come reciprocità tra individui, come frutto della autolimitazione degli
individui e prodotto dellʼinterazione. Società dunque come agire sociale.
La socievolezza è il luogo e il tempo in cui le qualità estetiche, che accomunano gli
individui, prevalgono sugli scopi utilitaristici (che dividono gli individui).
Con la socievolezza lʼassociarsi è scopo e valore in seʼ e si distacca dalla realtà dei singoli
cosicché ciò che si produce insieme associandosi risulti più importante dellʼaffermazione
individuale dei singoli. La socievolezza è lʼunico momento in cui individuo e società
sublimano, sia pur non eliminandola, la loro contraddittorietà.
Questo momento è unʼarte, una forma sofisticata partorita dalla acculturazione e non
presente di per seʼ in natura. Eʼ un prodotto della cultura, una elaborazione individuale e
sociale del comportamento. La socievolezza presuppone un rapporto con il proprio sé non
immediato e non facile, ma studiato e manipolato. E un prodotto elaborato culturalmente e
socialmente. Pur formata dagli individui, prescinde dagli scopi individuali e ha il suo fine in
sé stessa. Il motivo dominante della socievolezza è la reciprocità come atto puro e
semplice in cui ciascuno si inserisce in un insieme puramente formale. Ciascuno può
realizzare i propri valori sociali a patto che anche gli altri li realizzino. Ci si comporta come
se tutti fossero uguali a prescindere dalle diverse collocazioni sociali. Il reciproco
riconoscersi e concedersi spazio per la socievolezza permette di realizzare un continuo
scambio tra eguali, una democratica e paritaria forma di interazione. Eʼ un continuo
scambio: cioè che ci concede viene ricambiato e restituito. La socievolezza diviene un
dono che tutti gli interessati si scambiano reciprocamente, un dono che ciascuno fa
contemporaneamente a sé e allʼaltro.
Si va creando dunque una sorta di democrazia, di egualitarismo artificiale, costruito
eppure non falso, dato che comunque non modifica la realtà ma prescinde da questa.
Lʼegualitarismo artificiale e costruito della socievolezza diventa falso solo se è strumentale
alla realizzazione di obiettivi esterni (ma in questo caso si può ancora parlare di
socievolezza? vedere le 3 condizioni necessarie), e dunque si fa contaminare dalle
aspettative della realtà pratica. La socievolezza mostra la sua natura ludica, di gioco che
vive di sé e delle sue dinamiche e della sua casualità.
Come lʼerotismo si è creato una sua forma ludica (quindi giocosa) nella civetteria, che
trova nella socievolezza la sua forma più ampia, anche la socievolezza è unʼarte e non
semplice finzione, in quanto manca di contenuti stabili.
Civetteria da dizionario: atto o contegno, spesso artefatto e lezioso (ostentare sentimenti
che non si provano o qualità che non si possiedono), per attrarre lʼammirazione altrui.
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Nella civetteria desiderio e timore vengono esclusi in quanto non vi è posta in gioco se
non la continuazione del gioco stesso. Si instaura un rapporto di reciprocità che esclude
ogni legame utilitaristico tra le persone.
La socievolezza prescinde dalle individualità e nascendo dallʼinterazione, crea una
ulteriore interazione slegata dalla realtà, tra individui che si slegano dalla realtà, ma non
per questo finti. I soggetti che si incontrano nella socievolezza sono reali nella realtà
stessa del gioco, nella nuova dimensione che, da loro, si viene a creare. Gli individui nella
socievolezza sono reali così come reale è una rappresentazione teatrale: ciò che il
pubblico vede rappresentato non è la vita, ma non può prescindere da questa. Gli attori
dimenticano la loro collocazione e il loro coinvolgimento nella vita reale (nella realtà
pratica) per dar vita a “nuove persone”. Queste nuove persone però non potrebbero
esistere se dietro non ci fosse la ricchezza della realtà, della vita vissuta, della vita pratica.
La scuola di recitazione di Stanislawski si fonda sulla convinzione che lʼattore debba
rievocare e richiamare emozioni, sentimenti e situazioni realmente vissuti nel “vestirsi” di
un personaggio. Ergo dietro un bravo attore cʼè sempre un individuo dotato di una
complessa vita interiore. Nella socievolezza gli individui si presentano così come sono
prodotti dallʼinterazione e non sono meno reali in questo gioco, forma ludica del “far
società”, che nella vita pratica (e nella sua gravità).
Come il cittadino della metropoli resta sé stesso anche se nella molteplicità delle
manifestazioni della propria individualità, nelle diverse classi sociali, nei diversi cerchi della
società, così lʼattore della socievolezza non è individuo falso e inautentico, ma è lʼindividuo
che assume significato nel farsi della società, nellʼessere insieme allʼaltro. Lʼattore della
socievolezza è lʼinterprete consapevole di un gioco di cui rispetta le regole e i confini, al
quale partecipa non per dote naturale ma al contrario solo grazie ad un “sudato” e raffinato
processo di elaborazioni (culturali?). Questo presuppone individui acculturati e capaci di
cogliere il vivere lʼattimo, il qui e adesso, consapevoli della propria molteplicità, e dunque
in grado di vivere lʼintermittenza. Lʼattore della socievolezza è un attore per cui il senso ed
il piacere del proprio agire deriva dalla intermittenza, in un tempo discontinuo.
spiriti. Eʼ in queste situazioni che è più facile trovare quel sottile erotismo suscitato da
questi richiami sensuali che rendono lo stare insieme APPAGANTE E STIMOLANTE,
anche le distanze tra tutti restano impercorribili. In questa forma di fare società il singolo,
pur osservando con rigore le regole formali e dunque spersonalizzandosi, può allo stesso
tempo concedersi libertà che nei gruppi più piccoli sono proibite. Il perchè è proprio nel
rispettare con rigore le regole: proprio perchè spersonalizzato e distaccato dagli altri
singoli, può mostrare parti di sé a tutti e a nessuno contemporaneamente. La
comunicazione avviene tra il singolo e il gruppo piuttosto che tra i singoli, ergo ci sono
meno problemi interazionali e meno occasioni di imbarazzo. Lʼindividuo entra ed esce
leggero tra i gruppi che si vanno creando, in un succedersi di impegno e disimpegno che
può essere sentito ora come la più intollerabile superficialità ora come un gioco ritmico di
grande attrattiva estetica. Simmel a riguardo, nota come nel ballo vi sia forte relazione in
una coppia. Questa situazione però è momentanea. Viene a crearsi una intimità tra
estranei che può essere tale solo perchè garantita e legittimata dallʼessere ospitati da una
persona conosciuta e dal carattere impersonale che deriva dalla quantità del gruppo e dal
formalismo del gruppo. Il risultato è che una donna può volteggiare (magari a ritmo di un
sensuale tango?) fra le braccia di un uomo pressoché sconosciuto senza che questo
pregiudichi la sua reputazione futura e senza implicazioni future. In una cerchia ampia una
donna può mostrarsi scollata, concedersi più libertà di comportamento perchè pur
continuando ad essere se stessa è presente solo nel modo più impersonale. Non cʼè nulla
di personale della sua persona che viene messo in gioco e svelato dato che lo stesso
gioco si fonda sulla spersonalizzazione. Il suo messaggio di seduzione non è rivolto a
nessuno in particolare perchè è lei stessa a sentirsi meno partecipe come individuo, è lei a
non essere inserita come persona ma come semplice elemento in un insieme puramente
formale.
Dunque via via che il numero di partecipanti aumenta, aumenta anche la
disindividualizzazione. Per questo la differenza numerica diventa differenza qualitativa sia
per il gruppo sia per gli individui, e determina forma e contenuti dellʼincontro ed il
comportamento dei singoli. Simmel osserva come lʼarrivo di una sola persona sia capace
di trasformare una cerchia intima di poche persone in una società in cui cambiano le
relazioni tra gli individui: nuove relazioni tra i già presenti E nuove relazioni tra ognuno di
loro e il nuovo arrivato.
Presupposto della socievolezza per Simmel: dimenticarsi delle individualità, la discrezione
e la gratuità. E oggi come si da socievolezza in una epoca di narcisismi, invadenze e
strumentalità?
Oggi si nota ansia di tenere insieme tutti i propri sé, tutti gli attimi della propri vita, di
spezzare lʼintermittenza. Cʼè angoscia di un sé frantumato che cerca disperatamente una
continuità fra le proprie diverse identità. Sembra che la socievolezza non sia più possibile.
La socievolezza, come astrazione della realtà e come sospensione di sé è sempre più
impossibile data la crescente differenziazione sociale, i crescenti conflitti delle singole
individualità. Così, si otterrà non più la sospensione dalla realtà ma una sua
continuazione, la sua riproduzione. Ed ecco il mutare della socievolezza in momento con
spazio e tempo, in cui si vuole far disperatamente vivere i propri ruoli (ai quali si è
fortemente legati). Non è più fine a sé stessa: diventa strumento per conseguire altri scopi.
Con la socievolezza tramonta anche lʼidea del gioco e del giocatore. A divenire importante
al posto del gioco è la posta in gioco. Lʼintermittenza non è più tollerata e di ogni momento
si cerca cosa lo lega al resto dei momenti. Eʼ lʼansia del continuum a spazzare via gioco e
socievolezza. Ergo intermittenza, sospensione dalla realtà, discontinuità sono oggi solo
modi per chiamarsi fuori. La socievolezza oggi è strumento per ottenere scopi. Il gioco con
scopo il giocare è oggi cosa da bambini o da pazzi. Pazzi e bambini non sono “colpiti” da
ansia del continuum, non giocano per ambizione, o per fini utilitaristici. Essi giocano per
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Il realizzarsi della reciprocità comunicativa, nel rispetto delle regole della socievolezza,
diventa il dono che lʼindividuo fa alla comunità per poi disperdersi in essa. Ciò si realizza
tenendo fuori tutto ciò che ostacola la conversazione, dando libero sfogo alle proprie arti di
intrattenimento seducendo e rispettando lʼaltro che continuamente ascolta e intrattiene,
che seduce e che viene sedotto. La reciprocità comunicativa necessita di regia, di
consapevolezza e di una volontà di realizzazione. Questa reciprocità comunicativa può
avvenire solo se vi è attenzione comune alle regole. Eʼ essenziale per la socievolezza far
funzionare, alimentare, la macchina dei discorsi. Tale macchina però procede solo se non
è appesantita da elementi e riferimenti individuali e personalistici, solo se non è intralciata
da stati dʼanimo individuali, solo se alla base vi è il realizzare reciprocità.
Non vi è socievolezza e nemmeno società se i reciproci io non si autoimpongono limiti e
non si pongono in un reciproco ascolto empatico. Alla base della reciprocità comunicativa
vi è dunque quel conversare leggero senza essere vuoto, intelligente senza essere
saccente, in cui i partecipanti non fanno a gara per esibirsi ma per intrattenere gli altri.
Simmel era abituato a questo tipo di conversare. Testimonianze ricordano come il casa
Simmel, la conversazione prendesse sempre una forma che proibiva a tutti i partecipanti di
riferirsi alla propria persona, ai propri problemi e angosce. La conversazione assumeva
una propria vita, liberandosi dai fardelli umani, in una atmosfera di intellettualità, charme e
tatto.
Alla base della socievolezza vi è dunque una autolimitazione dellʼio, delimitazione
psichica. Questa delimitazione si traduce nellʼarte della discrezione rivolta non solo verso
gli altri ma anche verso sé stessi. Il limite imposto a sé stessi e agli altri rende possibile il
manifestarsi delle qualità e delle azioni comuni. La discrezione, limitando lʼimpulsività
individuale, salvaguarda i diritti degli altri come facenti parte di un insieme che per vivere
ha bisogno di mettere fra parentesi il sé privato, che sta fuori e che deve stare fuori
dallʼinterazione. Il mettere tra parentesi le individualità, ovvero ciò che separa e diversifica,
permette la comunicazione sociale senza il rischio dei conflitti che sorgono come
conseguenza dellʼaccentuare le diversità. In altre parole, quanto più si dimentica e si fa
dimenticare sé stessi, tanto più si è socievoli e si permette socievolezza.
La socievolezza basata sulla discrezione reciproca diviene il luogo della mediazione fra
individualità e società, fra espressione e identità.
Solamente in questo modo, con la socievolezza basata sulla discrezione reciproca, realtà
individuale e realtà sociale, identità collettiva e identità individuale procedono di pari passo
e annientano momentaneamente il loro naturale antagonismo.
La delimitazione psichica e dunque lʼarte della discrezione difendono la reciprocità
comunicativa da un eccesso di comunicazione che ponendo al centro dei sé troppo
ingombranti toglie leggerezza e blocca dunque la socievolezza. La comunicazione non
può essere intralciata da io eccessivamente pesanti.
Lʼarte della conversazione è quindi lʼarte dellʼallusione, il gioco del dire con riserbo, lʼarte
del comunicare esperienze sublimandole e depurandole dal proprio io al punto tale da
poter essere condivise e produrre momenti di incantamento reciproco.
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Simmel inizia la sua argomentazione definendo il perchè tratterà di sociologia PURA. Egli
spiega come in ogni società sia possibile distinguere tra forma e contenuto. Alla base della
società vi è come fondamento lʼinterazione tra individui. Interazione che nasce sempre da
determinate pulsioni o in vista di determinati obiettivi. Continuamente a muovere lʼindividuo
verso lʼinterazione cʼè lʼistinto erotico, interesse materiale, impulsi religiosi, finalità di difesa
come di attacco, di gioco come di guadagno, di aiuto come di apprendimento e
innumerevoli altre “leve”. Tutti questi possibili motivi fanno si che lʼuomo si trovi insieme
con gli altri, agisca per loro, con loro e contro di loro, in una condivisione di condizioni tale
per cui egli produca effetti sugli altri e contemporaneamente ne sia influenzato a sua volta.
Queste azioni reciproche mostrano come dai portatori individuali di quelle leve motivanti
risulti una unità, appunto una società.
Per Simmel tutto ciò che si trova negli individui, nei luoghi concreti di ogni realtà storica,
come pulsione, interesse, finalità, inclinazione, condizione psichica e movimento, tutto ciò
in cui o da cui avviene lʼazione su altri o lʼinflusso di altri, costituisce il contenuto, la
materia della sociazione. Queste motivazioni che muovono la vita non sono ancora in sé e
per sé di natura sociale. In altre parole, né la fame né lʼamore, né lavoro e né la religiosità,
né la tecnica né i risultati dellʼintelligenza significano di per sé sociazione. Si parla di
sociazione quando la semplice vicinanza tra individui viene da queste motivazioni
trasformata in convivenza o collaborazione che rientrano nel concetto generale di
interazione. La sociazione è dunque la forma, che si realizza in innumerevoli e differenti
modi sulla base di quegli interessi momentanei o durevoli - sensibili o ideali che spingono
gli individui, in cui questi (gli individui) crescono insieme in una unità nella quale tali
interessi si realizzano. La sociazione, mia semplificazione, è dunque una forma in cui gli
individui formano una unità nella quale essi stessi perseguono gli interessi che li muovono.
Ogni conoscenza, in origine, è un mezzo nella lotta per lʼesistenza, una esigenza.
Conoscere è utile per le esperienze che la vita riserva. Scienza però ha significato anche
in sé. Conoscere cioè si stacca dal suo destino pratico, assume altri significati, nuove vite,
diventando valore in sé, smettendo di interrogarsi sulla propria realizzazione.
Lʼattribuzione di una forma a realtà visibili o invisibili nasce da esigenze umane. Tali forme
diventano però scopi a sé stanti che si rendono autonomi, vedi la conoscenza citata poco
fa, dalla vita. Allo stesso modo, appena questo accade, lʼarte se ne sta completamente
separata dalla vita, e solo talvolta trae da essa il necessario, sebbene essa stessa sia
stata creata dalle dinamiche e dalla esigenza della vita. Stesso discorso è possibile farlo
per il diritto. Certi comportamenti vengono richiesti o legittimati dalle esigenze
dellʼesistenza della società. Ad un primo stadio, tali comportamenti sono validi e
avvengono solamente nel tendere e nel perseguire lo scopo, ovvero lʼesistenza della
società. Non appena nasce il diritto, non appena ci si trova in presenza del diritto, questo
non è più il senso della loro realizzazione. Questi comportamenti ora avvengono non
perchè richiesti e legittimati dalle esigenze dellʼesistenza della società (che ora cʼè), ma in
quanto (ora) parte del diritto. Eʼ avvenuta la separazione. I comportamenti si sono staccati
dalla vita che li ha generati, fino a giungere al fiat justitia, pereat mundus - (purché) sia
fatta giustizia, vada in rovina il mondo. Anche se il comportamento secondo diritto ha
dunque le sue radici nello scopo sociale della vita, il diritto nella sua purezza non possiede
uno scopo dato che non è un mezzo. Questa rotazione dʼasse, dalla determinatezza delle
forme di vita tramite la sua materia alla determinazione della sua materia mediante le
forme innalzate a valori definitivi, si compie in generale in tutto ciò che chiamiamo gioco.
In definitiva, le forze reali e gli impulsi, nonché le necessità della vita producono le forme
del nostro comportamento più adatte per raggiungere il fine (soddisfare lʼimpulso, il
bisogno, la necessità), forme che poi diventano stimoli e contenuti indipendenti e
assumono vita a sé nel gioco. Impulsi che portano a cacciare, a farsi concorrenza, a farsi
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pedine di potenze più grandi si staccano dalla semplice vita e si depurano dalla materia
(ovvero dalle motivazioni che, allʼepoca, ci hanno spinto ad agire cacciando, a farsi
concorrenza, ecc). Ecco cosa divide il gioco dal puro divertimento: nel gioco vive il
carattere simbolico. Comunque da ricordare è sempre la parte spensierata del gioco.
Nel gioco assumono nuova vita quelle forme prodotte da necessità reali. Ecco spiegata
lʼanalogia tra arte e gioco. In entrambi, le forme sviluppate dalla realtà della vita, hanno
fondato regni autonomi rispetto ad essa. La vita dona loro profondità e forza, poiché fin
dallʼorigine sono sempre piene di vita e se così non fosse si parlerebbe di artificio o
passatempo. Il senso e la forza di queste forme sta proprio nella svolta che le caratterizza:
da forme prodotte dalle finalità, dagli impulsi reali, dalle necessità della vita, diventano,
staccandosi proprio da tali finalità, esse stesse scopo e materia della loro autonoma
mobilità. Così come fa lʼarte staccandosi dalla vita, il diritto, ecc.
Lo stesso processo riguardo contenuto e forma della società.
In sé la società vera e propria è lʼinsieme di azioni reciproche, collaborazione e rivalità in
cui interesse e contenuti materiali o individuali assumono una forma o si rafforzano grazie
a impulsi o finalità, obiettivi, scopi. Queste forme acquistano una vita propria e libera da
qualsiasi legame così da compiersi come fini a se stesse in virtù del fascino che emana
dallʼessere distaccate. Questo è il fenomeno della socievolezza. Lʼimpulso alla
socievolezza estrae dalle realtà della vita sociale il puro processo di sociazione come
valore e bene. Non è un caso che ogni socievolezza dia importanza al valore della forma.
La forma è lʼinterazione degli elementi grazie a cui tali elementi costituiscono unità. Dato
che in vista della socievolezza vengono eliminate le motivazioni concrete legate alla vita,
allora la forma pura, la connessione fluttuante e reciproca degli individui, deve essere
accentuata in modo forte. Il rapporto puramente formale con la realtà risparmia alla
socievolezza gli attriti e i conflitti di questa. La socievolezza acquista dalla realtà pienezza
di vita e una significatività propria dei contenuti concreti. Società significa, nella maggior
parte delle lingue europee, “stare insieme socievole”. Dunque la società statale,
economica, unita da orientamenti di pensiero è senza dubbio una società. Ma solo la
società socievole è una società a tutti gli effetti, la forma pura al di sopra di ogni contenuto
specifico, nella quale ogni contenuto viene stemperato nel puro gioco della forma.
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chiaro di fronte al suo essere personale. La condotta personale, nella socievolezza, era un
tempo regolata in modo molto più rigido e rigorosamente sovraindividuale di oggi.
Se è vero che la sociazione è in generale lʼinterazione, allora la forma più pura di
sociazione si ha quando è tra eguali. E se la socievolezza è lʼastrazione della
sociazione che assume il carattere del gioco o dellʼarte, essa esige il tipo di
interazione più puro e semplice: lʼinterazione tra eguali.
La socievolezza deve fingere lʼesistenza di individui che abbandonino i propri contenuti
oggettivi e che mutino fino a diventare eguali in quanto socievoli e da consentire che
ciascuno realizzi per sé i valori socievoli, appagamento, solo a patto che anche tutti gli altri
siano / si sentano appagati, realizzati. La socievolezza è il gioco in cui “si fa”, ci si
comporta come se tutti fossero uguali e, contemporaneamente, come se tutti avessero
stima degli altri in modo particolare.
La socievolezza è una menzogna tanto quanto lo sono il gioco e lʼarte, nel loro allontanarsi
dalla realtà. Diventa menzogna quando si mescola alla realtà pratica (e inizia ad essere
orientata da fini diversi da quelli socievoli) unendosi a quellʼenergia, la vita concreta, da cui
è nata ma dalla quale, per essere tale, si è in origine staccata e resa indipendente. Ecco
cosa unisce socievolezza e gioco. Si fa socievolezza per fare socievolezza e si gioca per
giocare, il fine è la realizzazione stessa delle dinamiche di socievolezza e di gioco.
Nella sociologia dei sessi lʼerotismo si è costruito una sua forma ludica, la civetteria, che si
realizza in modo facile e giocoso nella socievolezza. Lʼerotismo tra i due sessi ruota
attorno al negare e al concedere. In particolare riguardo alla civetteria, prerogativa
femminile, la donna attira lʼuomo senza mai giungere ad una conclusione, senza mai
concedersi del tutto. La donna che compie civetteria - “civetta” - accresce al massimo il
suo fascino quando si mostra allʼuomo sul punto del concedersi senza però farlo sul serio.
Dunque un comportamento di allusioni, tra il si e il no, tra contrari, senza fine. Si parla di
arte della civetteria perchè non vi è mai fine al comportamento allusivo, è un inseguirsi di
contrari, senza mai avvicinarsi ad un polo piuttosto che ad un altro. Se così fosse non si
parlerebbe di civetteria. La civetteria non è però automaticamente una tipologia di
socievolezza. Per diventare tale deve esserci un determinato comportamento di risposta
da parte dellʼuomo. Se egli è vittima e si fa trascinare senza volontà tra mezzi si e mezzi
no non si realizza ancora socievolezza. Per parlare di socievolezza vi deve essere libera
interazione ed equivalenza degli elementi. Queste componenti si realizzano, e dunque
avviene la socievolezza, solo quando lʼuomo partecipa alla civetteria senza aspirare ad
altro che il gioco in equilibrio tra questi contrari, tra si e no. Sociologicamente parlando, la
civetteria è quel gioco malizioso e ironico con cui lʼerotismo ha staccato gli schemi puri
delle sue azioni reciproche dal suo contenuto materiale o individuale (forma dal
contenuto?). Ergo come la socievolezza mette in scena le forme della società, così
la civetteria mette in scena le forme dellʼerotismo.
Con la conversazione si determina in che misura la socievolezza sia in grado di astrarre
quelle forme sociologiche di interazione che altrimenti sarebbero significative per il loro
contenuto (e basta), conferendo loro nel ruotare su sé stesse, con sé stesse come fine, un
corpo colmo dʼombre. Dunque conversazione come indicatore dellʼastrazione delle
forme. Perchè è un importante indicatore? Nella serietà della vita reale lʼuomo discute
attorno a contenuti che intende comunicare allʼaltro, con lʼintento magari di trovare un
accordo o comunque tendendo ad un fine, obiettivo. Nella socievolezza si discute, si
comunica per comunicare, la comunicazione è fine a sé stessa. Si parla dunque non di
chiacchiera, come nella vita reale, ma di arte dellʼintrattenimento che segue le sue proprie
leggi artistiche. Nella conversazione socievole il contenuto/il tema, è solamente lo spunto
indispensabile per la discussione, necessario per la vitalità della situazione.
Nella socievolezza vi sono forme di interazione discorsiva che, pur favorendo contenuti e
obiettivi delle relazioni tra gli uomini, assumono significato autonomo e indipendente
grazie al fascino del gioco di relazioni che esse, unendo e separando, imponendosi e
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venendo meno, esercitano sugli individui. Appena una discussione prende vie concrete
smette immediatamente di essere socievolezza. Appena cioè nel discutere un contenuto si
trasforma in scopo la socievolezza cessa. Il contenuto della conversazione non deve
rappresentare il fine stesso dellʼintrattenimento dato che nella socievolezza non è previsto
il raggiungimento di un fine oggettivo da “portare fuori”, da far valere fuori
dallʼintrattenimento stesso. La conversazione socievole si ha quando i contenuti ottengono
giustizia, spazio e senso solo allʼinterno della stessa conversazione e dunque allʼinterno
dellʼarte dellʼintrattenimento. Fa parte della natura della socievolezza cambiare il
contenuto con velocità e facilità dato che tale contenuto è solo un mezzo (per cui è
giustificata la sua casualità e mutevolezza) per giungere ad un fine (fissato con
stabilità). La socievolezza è lʼunico momento in cui il discorrere è fine a sé stesso.
Raccontare storie ed aneddoti, così come barzellette per quanto spesso possa essere
visto come indice di povertà di spirito, può essere segno di un tatto raffinato e indicatore di
individuo socievole. Il “cantastorie socievole” infatti mantiene la conversazione ad un livello
“generale”, oltre le singole individualità e oltre le intimità di ciascuno. Tali racconti non
vengono narrati per il loro contenuto, ma nellʼinteresse della socievolezza stessa. Il dire
questo o quello non è fine a sé stesso ma è un mezzo (ecco il contenuto che è mezzo e
non fine, ergo socievolezza) per giungere al fine ovvero la vitalità, lʼautocomprensione e la
coscienza comune del gruppo. Dunque potremo vedere il comunicare come un dono che il
singolo fa alla comunità, un dono che non porta il nome del portatore/donatore. Il donatore
si rende invisibile e si dispone dietro il dono comunicato. Il racconto più raffinato e
socievole è quello in cui il narratore pone in secondo piano la sua persona. Si giunge al
racconto perfetto quando si realizza lʼetica socievole, ovvero lʼelemento individuale
soggettivo e il contenuto oggettivo si dissolvono in nome della socievolezza stessa.
Il compito etico della sociazione è far si che lʼincontro e la separazione dei suoi elementi
esprimano in modo chiaro e preciso le sue intime relazioni.
La socievolezza definisce un ideale di società, una forma di società in miniatura che punta
alla libertà di stabilire legami: in rapporto di socievolezza si formano e separano gruppi, il
dialogo segue impulso e lʼoccasione, si approfondisce, e viene meno.
La socievolezza ha come fonte la vitalità degli individui REALI, con le loro convinzioni e i
loro impulsi. Dunque un concetto così lontano ma così vicino dalla realtà. Ogni
socievolezza è simbolo della vita e si comporta come lʼarte più fantasiosa e libera, ovvero
allontanandosi dalla realtà ma nutrendosi allo stesso tempo di un rapporto profondo e
fedele con essa se per evitare di produrre risultati vacui e ingannatori. Anche lʼarte si pone
OLTRE la vita, ma è più della vita. Eccoci arrivare dunque al punto: se la socievolezza
scollega totalmente i fili che la legano alla realtà vitale, essa si trasforma da gioco a
trastullo con forme vuote, schematismo senza vita e fiero della propria mancanza di
vitalità.
Risulta evidente capire che gli uomini si lamentano a torno e a ragione della superficialità
delle relazioni sociali. La socievolezza rischia dʼessere vista come un qualcosa di lontano
dalla realtà e inutile per questo, un qualcosa di vuoto e sospeso in aria.
Ma è proprio in questo suo essere distante da ogni realtà che emerge la sua profonda
natura.
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