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Altieri Gianmarco!

Filosoa politica - Prof. Fiaschi

Altieri Gianmarco
Anno Accademico 2010 - 2011 CdL SSE Scienze Politiche, Studi Internazionali ed Europei Curriculum PIE Politica e Integrazione Europea Universit degli Studi di Padova

Filoso a Politica 6 cfu


Prof. Giovanni Fiaschi
g. aschi@unipd.it

IL MATERIALE PER I FREQUENTANTI DEL CORSO

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Filosoa politica - Prof. Fiaschi - Materiale per frequentanti delle lezioni

Cos?
Un kit che raccoglie il materiale arontato a lezione *.

Cosa non ?
Un ansiolitico.

Contiene tutte le citazioni utilizzate nella spiegazione in classe, e precisamente:


Weber, Protagora, Aristotele, San Giovanni, San Marco, San Paolo, Agostino, Machiavelli, Hobbes, Kant.

* Con lesclusione delle risorse contenute nelle dispense, disponibili presso il Centro Copie di Facolt (Biblioteca Ettore Anchieri), che non sostituisce.
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MAX WEBER
Per "potere" deve quindi intendersi il fenomeno per cui una volont manifestata ('comando') del detentore o dei detentori del potere vuole inuire sull'agire di altre persone (del 'dominato' o dei 'dominati'), ed inuisce effettivamente in modo tale che il loro agire procede, in un grado socialmente rilevante, come se i dominati avessero, per loro stesso volere, assunto il contenuto del comando per massima del loro agire ('obbedienza').

Max Weber, Economia e societ, IV, 48-49.

P R O TA G O R A
Luomo la misura di tutte le cose: di quelle che sono, in quanto sono, di quelle che non sono, in quanto non sono (DK 80, A14).

Protagora.

ARISTOTELE
Poich vediamo che ogni stato una comunit e ogni comunit si costituisce in vista di un bene (perch proprio in grazia di quel che pare bene a tutti compiono tutto) evidente che tutte tendano a un bene, e particolarmente e al bene pi importante tra tutti quella che di tutte la pi importante e tutte le altre comprende: questa il cosiddetto stato e cio la comunit statale. Ora quanti credono che luomo di stato, il re, lamministratore, il padrone siano lo stesso, non dicono giusto (infatti pensano che la differenza tra luomo e laltro di costoro presi singolarmente sia dun pi e dun meno e non di specie, cos ad es. se sono poche persone sottoposte, si ha il padrone, se di pi, lamministratore, se ancora di pi, luomo di stato o il re, quasi che non ci sia nessuna differenza tra grande casa e piccolo stato).

Aristotele, Politica.
necessario in primo luogo che si uniscano gli esseri che non sono in grado di esistere separati luno dallaltro, per esempio la femmina e il maschio in vista della riproduzione (e questo non per proponimento, ma come negli altri animali e nelle piante impulso naturale desiderar di lasciare dopo di s un altro simile a s) e chi per natura comanda e chi comandato al ne della conservazione. In realt, l'essere che pu prevedere con l'intelligenza capo per natura, padrone per natura, mentre quello che pu col corpo faticare, soggetto e quindi per natura schiavo: perci padrone e schiavo hanno gli stessi interessi. Per natura, dunque, femmina e schiavo sono distinti. Tra i barbari la donna e lo schiavo sono sullo stesso piano e il motivo che ci che per natura comanda essi non l'hanno, e quindi la loro comunit formata di schiava e di schiavo. Di conseguenza i poeti dicono Dominare sopra i Barbari agli Elleni ben s'addice [Euripide] come se per natura barbaro e schiavo fossero la stessa cosa.

Aristotele, Politica.
La comunit che risulta di pi villaggi lo stato (polis), perfetto, che raggiunge ormai, per cos dire, il limite dellautosufcienza completa: formato bens per rendere possibile la vita, in realt esiste per rendere possibile una vita felice. Quindi ogni stato esiste per natura, se per natura esistono anche le prime comunit: infatti esso il loro ne e la natura il ne: per esempio quel che ogni cosa quando ha compiuto il suo sviluppo, noi lo diciamo la sua natura, sia dun uomo, dun cavallo, duna casa. Inoltre, ci per cui una cosa esiste, il ne, il meglio e lautosufcienza il ne e il meglio.

Aristotele, Politica.
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[...] evidente che lo stato un prodotto naturale e che luomo per natura un essere socievole: quindi chi vive fuori dalla comunit statale per natura e non per qualche caso o un abietto o superiore alluomo.

Aristotele, Politica.
chiaro quindi per quale ragione luomo un essere socievole politico molto pi di ogni ape e di ogni capo darmento.

Aristotele, Politica.
[...] perch la natura non fa niente senza scopo (tendenza della physis a realizzare un ne, tipicit del pensiero di Aristotele) luomo solo tra gli altri animali ha la parola.

Aristotele, Politica.
evidente dunque e che lo stato esiste per natura e che anteriore a ciascun individuo [antropos, ovvero uomo] difatti se non autosufciente [se non tale da darsi da solo i riferimenti di contenuto, il sistema di signicati che esprime], ogni individuo [uomo] separato [singolo] sar nella stessa condizione delle altre parti rispetto al tutto, e quindi chi non in grado di entrare nella communit o per la sua autosufcienza non ne sente il bisogno, non parte dello stato [comunit politica], e di conseguenza o bestia o dio.

Aristotele, Politica.
Ora la giustizia elemento dello stato [comunit politica]; infatti il diritto il principio ordinatore della comunit statale e la giustizia determinazione di ci che giusto.

Aristotele, Politica.
Poich chiaro di quali parti risulta lo stato, necessario in primo luogo parlare dellamministrazione familiare: infatti ogni stato composto di famiglie. Elementi dellamministrazione familiare sono quelli da cui, a sua volta, risulta la famiglia e la famiglia perfetta [sarebbe giusto dire: e la famiglia, secondo il ne che le proprio] si compone di schiavi e di liberi.

Aristotele, Politica.
Comandare ed essere comandato non solo sono tra le cose necessarie, ma anzi tra le giovevoli e certi esseri, subito dopo la nascita, sono distinti [destinati] parte a essere comandati parte a comandare.

Aristotele, Politica.
In realt, in tutte le cose che risultano di una pluralit di parti e formano ununica entit comune, siano tali parti continue o separate, si vede comandante e comandato: questo viene nelle creature animate dalla natura nella sua totalit.

Aristotele, Politica.
In effetti schiavo per natura chi pu appartenere a un altro (per cui di un altro) e chi in tanto partecipa di ragione in quanto pu apprenderla, ma non averla [...] Dunque, evidente che taluni sono per natura liberi, altri schiavi, e che per costoro giusto essere schiavi.

Aristotele, Politica.

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chiaro anche da queste considerazioni che lautorit del padrone e quella delluomo di stato non sono la stessa cosa, e neppure tutte le altre forme di dominio sono uguali tra loro, come pretendono taluni: luna si esercita su uomini per natura liberi [autorit delluomo di stato], laltra si esercita su schiavi [autorit del padrone]. Inoltre lamministrazione della casa comando di uno solo (e infatti tutta la famiglia retta da uno solo) [despotes/padrone di casa], mentre lautorit delluomo di stato si esercita su liberi ed uguali [questo signica anche che lautorit delluomo di stato in quanto si esercita su liberi ed uguali non autorit esercitata sempre dalla stessa persona. Gli uomini di stato, in quanto esercitano una autorit su liberi ed uguali, cambiano e non sono sempre gli stessi, in quanto i liberi e uguali, in quanto tali, possono tutti ambire ad avere lautorit delluomo di stato].

Aristotele, Politica.
C unaltra forma di acquisizione che in modo particolare chiamano, ed giusto chiamare, crematistica a causa della quale sembra che non esista limite alcuno di ricchezza e di propriet. Molti ritengono che sia una sola e identica con quella predetta [allude alleconomia - oikonomia] per la sua afnit, mentre non identica a quella citata e neppure molto diversa. Il vero che delle due una per natura, laltra non per natura e deriva piuttosto da una forma di abilit e tecnica. Per trattarne prendiamo inizio di qui. Ogni oggetto di propriet ha due usi: tutte due appartengono alloggetto per s, ma non allo stesso modo per s, luno proprio, laltro non proprio delloggetto: ad esempio, la scarpa pu usarsi come calzatura e come mezzo di scambio. Ma della crematistica che rientra nellamministrazione della casa si da un limite, giacch non compito dellamministrazione della casa quel genere di ricchezze.

Aristotele, Politica.
E invero il libero comando allo schiavo in modo diverso che il maschio alla femmina, luomo al ragazzo, e tutti possiedono le parti dellanima, ma le possiedono in maniera diversa: perch lo schiavo non possiede in tutta la sua pienezza la parte deliberativa, la donna la possiede ma senza autorit, il ragazzo inne la possiede, ma non sviluppata.

Aristotele, Politica.
[Nella realt] [i]n primo luogo dobbiamo esaminare quali caratteri attribuiscono alloligarchia e alla democratia e qual lidea di giusto secondo loligarchia e la democratia, perch tutti si rapportano ad una certa idea di giusto, ma procedono no a un certo punto e non affermano tutto il giusto in senso proprio. Per esempio si pensa che il giusto sia luguaglianza, e lo ma non per tutti bens per gli uguali. Anche lineguaglianza si pensa che sia giusta, e lo in realt ma non per tutti, bens per i disuguali. Taluni per sopprimono questo elemento, la qualit delle persone, e danno giudizi erronei. Il motivo che nel giudizio sono coinvolti essi stessi e tutti pi o meno sono cattivi giudici delle proprie cose.

Aristotele, Politica.
Bisogna in primo luogo stabilire come punto di partenza che si sono formate molte costituzioni.

Aristotele, Politica.
[prosegue: Si sono formate molte costituzioni] perch tutti sono daccordo sul giusto, nel senso che una uguaglianza proporzionale, ma errano nellapplicare tale nozione, come s detto anche prima. Cos la democratia nacque dallidea che quanti sono uguali per un certo rispetto siano assolutamente uguali (e in realt per il fatto che sono tutti ugualmente liberi pensano di essere assolutamente uguali), loligarchia nacque dalla supposizione che quanti sono disuguali sotto un certo rispetto siano del tutto disuguali (e in realt essendo disuguali nel possesso della propriet suppongono di essere assolutamente disuguali. Perci gli uni, essendo uguali, ritengono giusto partecipare in egual misura di ogni cosa, mentre gli altri, essendo disuguali, cercano di avere sempre di pi, e di pi disuguale. Quindi, tutte queste forme di costituzione hanno un qualche elemento di giusto ma parlando assolutamente [ovvero, considerate nella loro affermazione assoluta di s] sono false, e per tale motivo Tutti gli appunti di tutte le lezioni? SosticaMente. facile e veloce!!
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quando gli uni e gli altri si trovano a partecipare alla costituzione non secondo lidea che si sono formati, scoppiano le ribellioni [azzuffarsi, che non farsi la guerra].

Aristotele, Politica.
[prosegue] Potrebbero ribellarsi con pienissimo diritto quelli che eccellono per virt anche se non mi pensano affatto, perch sarebbe del tutto ragionevole che solo coloro fossero assolutamente disuguali, ovvero avessero il comando. Ci sono poi alcuni i quali essendo superiori per nascita non si ritengono degni di uguali diritti, proprio per questa differenza: credono infatti che sono nobili quanti hanno eccellenza di antenati e ricchezza.

Aristotele, Politica.

S A N G I O VA N N I
Ges allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verit e la verit vi far liberi. Gli risposero: Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: Diventerete liberi?. Ges rispose loro: In verit, in verit io vi dico: chiunque commette il peccato schiavo del peccato.

Giovanni 8, 31-34.
[33] Pilato allora rientr nel pretorio, fece chiamare Ges e gli disse: Tu sei il re dei Giudei?. [34] Ges rispose: Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?. [35] Pilato rispose: Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?. [36] Rispose Ges: Il mio regno non di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perch non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non di quaggi.[37] Allora Pilato gli disse: Dunque tu sei re?. Rispose Ges: Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verit. Chiunque dalla verit, ascolta la mia voce. [38] Gli dice Pilato: Che cos' la verit?. E, detto questo, usc di nuovo verso i Giudei e disse loro: Io non trovo in lui colpa alcuna. [39] Vi tra voi l'usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libert per voi: volete dunque che io rimetta in libert per voi il re dei Giudei?. [40] Allora essi gridarono di nuovo: Non costui, ma Barabba!. Barabba era un brigante.

Ges davanti a Pilato, Giovanni, 18.


E vidi salire dalla terra un'altra bestia che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, ma parlava come un drago. Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. Opera grandi prodigi, no a far scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. Per mezzo di questi prodigi, che le fu concesso di compiere in presenza della bestia, seduce gli abitanti della terra, dicendo loro di erigere una statua alla bestia [la statua dellimperatore al centro del tempo Pantheon], che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. E le fu anche concesso di animare la statua della bestia, in modo che quella statua perno parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non avessero adorato la statua della bestia. Essa fa s che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un marchio sulla mano destra o sulla fronte, e che nessuno possa comprare o vendere senza avere tale marchio, cio il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: infatti un numero di uomo, e il suo numero seicentosessantasei.

Apocalisse di Giovanni, 13, 11-18.

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SAN MARCO
[I farisei] [14] Vennero e gli dissero: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perch non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verit. lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?". [15] Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: "Perch volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo". [16] Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: "Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?". Gli risposero: "Di Cesare". [17] Ges disse loro: "Quello che di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che di Dio, a Dio". E rimasero ammirati di lui.

Marco, 12.

S A N PA O L O
Ciascuno sia sottomesso alle autorit costituite. Infatti non c' autorit se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorit, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono attireranno su di s la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver paura dell'autorit? Fa' il bene e ne avrai lode, poich essa al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi temere, perch non invano essa porta la spada; infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi fa il male. Perci necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo infatti voi pagate anche le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio di Dio. Rendete a ciascuno ci che gli dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l'imposta, l'imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto.

San Paolo, Lettera ai Romani, 13, 1-7.


Non c' Giudeo n Greco; non c' schiavo n libero; non c' maschio e femmina, perch tutti voi siete uno in Cristo Ges. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.

San Paolo, Lettera ai Galati, 3, 28-29.

AGOSTINO
Riconosci quindi in cosa consista la suprema armonia: non uscire fuori di te, ritorna in te stesso: la verit abita nell'uomo interiore e, se troverai che la tua natura mutevole, trascendi anche te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che trascendi l'anima razionale: tendi, pertanto, l dove si accende il lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti chi sa ben usare la ragione, se non alla verit? Non la verit che perviene a se stessa con il ragionamento, ma essa che cercano quanti usano la ragione. Vedi in ci un'armonia insuperabile e fa' in modo di essere in accordo con essa. Confessa di non essere tu ci che la verit, poich essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non gi passando da un luogo all'altro, ma cercandola con la disposizione della mente, in modo che l'uomo interiore potesse congiungersi con ci che abita in lui non nel basso piacere della carne, ma in quello supremo dello spirito.

Agostino, La vera religione.


Due amori dunque diedero origine a due citt, alla terrena l'amor di s no all'indifferenza per Iddio, alla celeste l'amore a Dio no all'indifferenza per s. Inoltre quella [la citt terrena] si gloria [trova la sua gloria] in s, questa [la citt celeste] nel Signore. Quella [terrena] infatti esige la gloria dagli uomini, per questa [celeste] la pi grande gloria Dio testimone della coscienza. Quella leva in alto la testa nella sua gloria, questa dice a Dio: Tu sei la mia gloria anche perch levi in alto la mia testa. In quella domina Tutti gli appunti di tutte le lezioni? SosticaMente. facile e veloce!! 7 di 22

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la passione del dominio nei suoi capi e nei popoli che assoggetta, in questa si scambiano servizi nella carit i capi col deliberare e i sudditi con l'obbedire. Quella ama la propria forza nei propri eroi, questa dice al suo Dio: Ti amer, Signore, mia forza. Quindi nella citt terrena i suoi loso, che vivevano secondo l'uomo, hanno dato rilievo al bene o del corpo o dell'anima o di tutti e due. Coloro poi che poterono conoscere Dio, non lo adorarono e ringraziarono come Dio, si smarrirono nei propri pensieri e fu lasciato nell'ombra il loro cuore stolto perch credevano di esser sapienti, cio perch dominava in loro la superbia in quanto si esaltavano nella propria sapienza. Perci divennero sciocchi e sostituirono alla gloria di Dio non soggetto a morire l'immagine dell'uomo soggetto a morire e di uccelli e di quadrupedi e di serpenti e in tali forme di idolatria furono guide o partigiani della massa. Cos si asservirono nel culto alla creatura anzich al Creatore che benedetto per sempre. Nella citt celeste invece l'unica losoa dell'uomo la religione con cui Dio si adora convenientemente, perch essa attende il premio nella societ degli eletti, non solo uomini ma anche angeli, afnch Dio sia tutto in tutti.

Agostino, De Civitate Dei, Libro 14.


Se dunque non sicura la casa, un rifugio comune tra questi mali propri del genere umano, come pu esserlo la citt, che tanto pi grande e tanto pi affollata nel foro di processi civili e criminali, anche se non sconvolta da sommosse non solo turbolente, ma addirittura sanguinose, e da guerre civili? Talora le citt sono libere da questi eventi, mai per dai pericoli.

Agostino, De Civitate Dei XIX 5.


Risulta perci che la pace il ne che si desidera dalla guerra: ogni uomo infatti ricerca la pace anche attraverso la guerra, mentre nessuno ricerca la guerra attraverso la pace. Anche coloro che vogliono turbare lo stato di pace in cui si trovano, non odiano la pace, ma desiderano cambiarla a loro arbitrio. Non vogliono quindi che la pace non vi sia pi, ma che sia come essi vogliono. Da ultimo, anche qualora si separino dagli altri con una ribellione, non riescono a portare a compimento i loro disegni e mantengono una qualche apparenza di pace con gli stessi congiurati e cospiratori.

Agostino, La citt di Dio, XIX 12 1.


La pace del corpo pertanto la costituzione ordinata delle parti [non il porsi delle parti autonomamente rispetto allintero bens il ricomporsi delle parti nellintero]; la pace dellanima irrazionale [anima irrazionale: ci che costituisce principio della vita soltanto biologica - tale anima ce lhanno tutti gli esseri animati] la quiete ordinata degli appetiti; la pace dellanima razionale laccordo ordinato della conoscenza e dellazione; la pace del corpo e dellanima la vita ordinata e la salute dellessere animato; la pace delluomo mortale e di Dio lobbedienza ordinata nella fede sotto la legge eterna; la pace degli uomini la concordia ordinata; la pace della casa la concordia ordinata dei suoi abitanti nel comandare e nellobbedire [torna il discorso sulla casa, sullordine della casa visto con Aristotele]; la pace della citt la concordia ordinata dei cittadini nel comandare e nellobbedire; la pace della citt celeste la societ che ha il massimo ordine e la massima concordia nel godere di Dio e nel godere reciprocamente in Dio [qui siamo completamente fuori dalla prospettiva antica, dato che lordine della citt celeste/di Dio un ordine che si realizza come concordia complessiva di tutti gli esseri in Dio. In questo contesto, lordine della citt un gradino subordinato, un momento particolare di un ordine complessivo che in tanto ordinato in quanto si adegua allordine universale dei diversi gradini della pace]; la pace di tutte le cose la tranquillit dellordine. Lordine la disposizione di realt uguali e disuguali, ciascuna al proprio posto.

Agostino, La citt di Dio XIX 13 1.

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Gli autentici patres familias per provvedono nella loro famiglia a tutti come gli, perch venerino Dio e siano degni di Lui, desiderando ardentemente di giungere alla casa celeste, in cui cesser il dovere di comandare ai mortali, poich cesser il dovere di provvedere a chi ormai felice in quella immortalit. Finch ci accada, per, devono sopportare pi i padri, in quanto comandano, che gli schiavi, in quanto servono.

Agostino, La citt di Dio XIX 16.


Anche la citt terrena che non vive secondo fede, desidera fortemente la pace terrena e ripone la concordia dei cittadini nel comandare e nellobbedire, nel far si che ci sia una certa armonia delle volont degli uomini riguardo ai problemi che toccano la vira mortale. La citt celeste invece, o piuttosto quella parte di essa che pellegrina in questa condizione mortale e vive secondo la fede, necessariamente si serve anche di questa pace, nch non passi la condizione mortale alla quale tale pace necessaria. Perci mentre conduce la sua vita itinerante come una schiava presso la citt terrena, avendo gi ricevuto per la promessa di redenzione e il dono spirituale come pegno, non esita a obbedire alle leggi della citt terrena, secondo cui si regge tutto ci che serve per mantenere questa vita mortale, cosicch, condividendo entrambe la stessa condizione mortale, si conservi fra le due citt la concordia per ci che riguarda quella condizione.

Agostino, La citt di Dio, XIX 17.


Una volta che si rinunciato alla giustizia, che cosa sono gli Stati/regni se non delle grandi bande di ladri? Anche le bande dei briganti del resto non formano dei piccoli Stati? Si tratta infatti di un gruppo di individui che retto dal comando di un capo, vincolato da un patto sociale e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se la banda malvagia aumenta con l'aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori, stabilisce residenze, occupa citt, sottomette popoli, assume pi apertamente il nome di Stato/regno che non gli viene dalla rinuncia alla cupidigia ma dal conseguimento dell'impunit. Questa la risposta vera e opportuna che un pirata catturato diede ad Alessandro il Grande [Alessandro Magno]. Il re aveva chiesto al pirata se gli sembrava giusto infestare il mare, e quello con franca spavalderia rispose: "Per lo stesso motivo per cui tu infesti il mondo intero; ma poich io lo faccio con un piccolo naviglio mi chiamano malfattore, tu poich lo fai con una grande otta sei chiamato imperatore".

Agostino, La citt di Dio, IV 4.


Certo, non si possono denire o ritenere giuridiche istituzioni umane inique, poich essi stessi [Cicerone e Scipione] affermano che il diritto sorge dalla giustizia, dichiarando falsa lopinione, che di solito viene espressa da chi non la pensa rettamente, secondo cui il diritto coincide con il vantaggio del pi forte [come diceva Trasimaco]. Dove quindi non c vera giustizia, non pu esservi un insieme di uomini associati da un accordo giuridico e perci non pu esservi neppure un popolo, secondo la denizione di Scipione, o piuttosto di Cicerone. E se non vi un popolo, non vi neppure la cosa del popolo, ma di una moltitudine qualunque che non merita il nome di popolo. Insomma, se lo Stato la cosa del popolo, se non popolo quello che non associato da un accordo giuridico, e se non vi diritto dove non alcuna giustizia, si conclude senza ombra di dubbio che dove non c giustizia non c Stato.

Agostino, Citt di Dio, XIX 21 1.

M A C H I AV E L L I
Ma, sendo lintento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi parso pi conveniente andare drieto alla verit effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa. E molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti n conosciuti essere in vero; perch elli tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare, impara pi tosto la ruina che la perservazione sua: perch uno uomo che voglia fare in tutte le parte Tutti gli appunti di tutte le lezioni? SosticaMente. facile e veloce!!
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professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni. Onde necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, et usarlo e non usare secondo la necessit.

Machiavelli, Principe XV.


Onde necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, et usarlo e non usare secondo la necessit.

Machiavelli, Principe, Capitolo XV.


Io dico che coloro che dannono i tumulti intra i Nobili e la Plebe, mi pare che biasimino quelle cose che furono prima causa del tenere libera Roma; e che considerino pi a' romori ed alle grida che di tali tumulti nascevano, che a' buoni effetti che quelli partorivano; e che e' non considerino come e' sono in ogni republica due umori diversi, quello del popolo, e quello de' grandi; e come tutte le leggi che si fanno in favore della libert, nascano dalla disunione loro, come facilmente si pu vedere essere seguito in Roma.

Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Libro Primo.


il vivere libero prepone onori e premii, mediante alcune oneste e determinate cagioni, e fuora di quelle non premia n onora alcuno, e quando uno ha quegli onori e quegli utili che gli pare meritare, non confessa avere obligo con coloro che lo rimunerano. Oltre a di questo, quella comune utilit che del vivere libero si trae, non da alcuno, mentre che ella si possiede conosciuta: la quale [libert del vivere libero] di potere godere liberamente le cose sue sanza alcuno sospetto, non dubitare dell'onore delle donne, di quel de' gliuoli, non temere di s; perch nessuno confesser mai avere obligo con uno che non l'offenda.

Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Libro I, Capitolo 16.
Ma quanto all'altro popolare desiderio, di riavere la sua libert, non potendo il principe sodisfargli, debbe esaminare quali cagioni sono quelle che gli fanno desiderare d'essere liberi; e troverr che una piccola parte di loro desidera di essere libera per comandare; ma tutti gli altri, che sono inniti, desiderano la libert per vivere sicuri. Perch in tutte le republiche, in qualunque modo ordinate, ai gradi del comandare non aggiungono mai quaranta o cinquanta cittadini: e perch questo piccolo numero, facil cosa assicurarsene, o con levargli via, o con fare loro parte di tanti onori, che, secondo le condizioni loro, e' si abbino in buona parte a contentare.

Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Libro I, Capitolo 16.
E di tutte le servit dure, quella durissima che ti sottomette a una republica: l'una, perch la pi durabile, e manco si pu sperare d'uscirne; l'altra, perch il ne della republica enervare ed indebolire, per accrescere il corpo suo, tutti gli altri corpi.

Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Libro II, Capitolo 2.
Dico adunque, che ne' principati tutti nuovi, dove sia uno nuovo principe, si trova a mantenerli pi o meno difcult, secondo che pi o meno virtuoso [capace di trovare i modi pi idonei a conseguire i propri scopi] colui che li acquista. E perch questo evento di diventare di privato principe [da privato cittadino diventare principe], presuppone o virt o fortuna, pare che l'una o l'altra di queste dua cose mitighi in parte di molte difcult [pare che o virt o fortuna sappiano diminuire il numero delle difcolt]: non di manco, colui che stato meno sulla fortuna, si mantenuto pi.

Machiavelli, Principe, VI.

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Dovete adunque sapere come sono dua generazione di combattere: luno con le leggi, laltro con la forza: quel primo proprio dello uomo, quel secondo delle bestie: ma, perch el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo. Per tanto a uno principe necessario sapere bene usare la bestia e lo uomo.

Machiavelli, Principe, XVIII.


Questa parte suta insegnata a principi copertamente dalli antichi scrittori; li quali scrivono come Achille, e molti altri di quelli principi antichi, furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li custodissi. Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia e mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare luna e laltra natura; e luna sanza laltra non durabile.

Machiavelli, Principe, XVIII.


Sendo adunque, uno principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione; perch il lione non si defende da lacci, la golpe non si difende da lupi. Bisogna, adunque, essere golpe a conoscere e lacci, e lione a sbigottire e lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano.

Machiavelli, Principe, XVIII.


Non pu per tanto uno signore prudente, n debbe, osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E, se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma perch sono tristi [cattivi], e non la osservarebbano a te [non terrebbero fede alla parola data nei tuoi confronti], tu etiam non lhai ad osservare a loro [neanche tu principe devi tenere la parola data].

Machiavelli, Principe, XVIII.


Non di manco, perch el nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della met delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare laltra met, o presso, a noi. Et assomiglio quella a uno di questi umi rovinosi, che, quando sadirano, allagano e piani, ruinano li arberi e li edizii, lievono da questa parte terreno, pongono da quellaltra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo impeto loro, sanza potervi in alcuna parte obstare. E, bench sieno cos fatti, non resta per che li uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare provvedimenti, e con ripari et argini, in modo che, crescendo poi, o andrebbono per uno canale, o limpeto loro non sarebbe n si licenzioso n si dannoso. Similmente interviene della fortuna: la quale dimonstra la sua potenzia dove non ordinata virt a resisterle, e quivi volta li sua impeti, dove la sa che non sono fatti li argini e li ripari a tenerla.

Machiavelli, Principe, XXV.


E pensando io come queste cose procedino, giudico il mondo sempre essere stato ad uno medesimo modo, ed in quello essere stato tanto di buono quanto di cattivo; ma variare questo cattivo e questo buono, di provincia in provincia: come si vede per quello si ha notizia di quegli regni antichi, che variavano dall'uno all'altro per la variazione de' costumi; ma il mondo restava quel medesimo.

Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, II, proemio, p. 211.
Gli uomini nel procedere loro, e tanto pi nelle azioni grandi, debbono considerare i tempi, e accommodarsi a quegli. E coloro che, per cattiva elezione o per naturale inclinazione, si discordono dai tempi, vivono, il pi delle volte, infelici, ed hanno cattivo esito le azioni loro, al contrario l'hanno quegli che si concordano [accordano] col tempo.

Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, III, 8, p. 406.


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HOBBES
Infatti ogni oggetto viene conosciuto nel modo migliore a partire dalle cose che lo costituiscono. Come in un orologio o in unaltra macchina un poco complessa non si pu sapere quale sia la funzione di ogni parte e di ogni ruota, se non lo si scompone, e si esaminano separatamente la materia, la gura, il moto delle parti, cos nellindagine sul diritto dello Stato e sui doveri dei cittadini si deve, se non certo scomporre lo Stato, considerarlo come scomposto per intendere correttamente quale sia la natura umana, in quali cose sia adatta o inadatta a costruire lo Stato, e come debbano accordarsi gli uomini che intendono riunirsi.

De Cive [1642], Prefazione ai lettori.


La natura ha fatto gli uomini cos uguali nelle facolt del corpo e della mente che, bench talvolta si trovi un uomo palesemente pi forte, nel sico, o di mente pi pronta di un altro, tuttavia, tutto sommato, la differenza tra uomo e uomo non cos considerevole al punto che un uomo possa da ci rivendicare per s un benecio cui un altro non possa pretendere tanto quanto lui. Infatti, quanto alla forza corporea, il pi debole ne ha a sufcienza per uccidere il pi forte, sia ricorrendo a una macchinazione segreta, sia alleandosi con altri che corrono il suo stesso pericolo.

Leviatano [1651], XIII, p. 99.


Quando gli uomini vivono senza potere comune che li tenga tutti in soggezione essi si trovano in quella condizione chiamata guerra: guerra che quella di ogni uomo contro ogni altro uomo. La guerra, infatti, non consiste solo nella battaglia o nellatto di combattere, ma in uno spazio di tempo in cui la volont di affrontarsi in battaglia sufcientemente dichiarata: la nozione di tempo va dunque considerata nella natura della guerra, come lo nella natura delle condizione atmosferiche. Infatti, come la natura del cattivo tempo non risiede in due acquazzoni, bens nella tendenza verso questo tipo di situazione, per molti giorni consecutivi, allo stesso modo della natura della guerra non consiste nel combattimento in s, ma nella disposizione dichiarata verso questo tipo di situazione, in cui per tutto il tempo in cui sussiste non vi assicurazione del contrario. Ogni altro tempo pace.

Leviatano, XIII, p. 101.


In tali condizioni [nella condizione in cui non ci sia un potere comune], non vi posto per l'operosit ingegnosa, essendone incerto il frutto; e di conseguenza, non vi n coltivazione della terra, n navigazione, n uso dei prodotti che si possono importare via mare, n costruzioni, n strumenti per spostare e rimuovere le cose che richiedono molta forza, n conoscenza della supercie terrestre, n misurazione del tempo, n arti, n lettere, n societ; e ci che peggio, v' il continuo timore e pericolo di una morte violenta; e la vita dell'uomo solitaria, misera, ostile, animalesca e breve.

Leviatano, XIII, p. 102.


Si pu forse pensare che non vi sia mai stato un tempo e uno stato di guerra come questo [questo= condizione delluomo nello stato di natura], ed io credo che nel mondo non sia mai stato cos in generale; ma vi sono molti luoghi ove attualmente si vive in tal modo. Infatti, in molti luoghi dAmerica [siamo nel 1651, lAmerica ancora qualcosa di nuovo e sconosciuto], i selvaggi, se si esclude il governo di piccole famiglie la cui concordia dipende dalla concupiscenza naturale, non hanno affatto un governo e vivono attualmente in quella maniera animalesca di cui ho prima parlato. Ad ogni modo, si pu intuire quale genere di vita ci sarebbe se non ci fosse un potere comune da temere, dal genere di vita in cui, durante una guerra civile precipitano abitualmente gli uomini che no a quel momento sono vissuti sotto un governo pacico. Ma qualora non fosse mai esistito un tempo in cui gli uomini isolati fossero in uno stato di guerra gli uni contro gli altri, tuttavia in tutti i tempi, i re e le persone dotate di autorit sovrana sono, a causa della loro Tutti gli appunti di tutte le lezioni? SosticaMente. facile e veloce!!
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indipendenza, in una situazione di continua rivalit e nella situazione e nella postura propria dei gladiatori, le armi puntate e gli occhi ssi gli uni sugli altri.

Leviatano, XIII, p. 103.


Da questa guerra di ogni uomo contro ogni altro uomo consegue anche che niente pu essere ingiusto. Le nozioni di diritto e torto, di giustizia e di ingiustizia non vi hanno luogo. Laddove non esiste un potere comune, non esiste legge; dove non vi legge non vi ingiustizia.

Leviatano, XIII, p. 103.


Il diritto di natura, che gli scrittori chiamano comunemente Jus Naturale, la libert che ciascuno ha di usare il proprio potere a suo arbitrio per la conservazione della sua natura, cio della sua vita e conseguentemente di fare qualsiasi cosa che, secondo il suo giudizio e la sua ragione, egli concepisca come il mezzo pi idoneo a questo ne.

Leviatano, XIV, p. 105.


Una legge di natura (Lex Naturalis) un precetto o una regola generale scoperta dalla ragione, che proibisce ad un uomo di fare ci che distruggerebbe la sua vita o che gli toglierebbe i mezzi per conservarla, e di non fare ci che egli considera meglio per conservarla.

Leviatano, XIV, p. 105.


Di conseguenza, un precetto, o una regola generale della ragione, che ciascuno debba cercare la pace per quanto ha speranza di ottenerla, e che, se non in grado di ottenerla, gli sia lecito cercare e utilizzare tutti gli aiuti e i vantaggi della guerra.

Leviatano, XIV, p. 106.


Da questa legge di natura fondamentale, con cui si comanda agli uomini di cercare la pace, deriva la seconda legge, che si sia disposti, quando anche altri lo siano, a rinunciare, nella misura in cui lo si ritenga necessario alla pace e alla propria difesa, al diritto su tutto e ci si accontenti di avere tanta libert nei confronti degli altri quanta se ne concede agli altri nei confronti di s stessi.

Leviatano, XIV, p. 106.


Perci chi compie ladempimento per primo non fa altro che consegnarsi al nemico, contrariamente al diritto, che non pu mai abbandonare, di difendere la propria vita e i mezzi necessari alla vita stessa. In una condizione civile, invece, dove esiste un potere stabilito per costringere coloro che altrimenti violerebbero la ducia, un simile timore non pi ragionevole e per questa ragione colui che per il patto deve compiere ladempimento per primo, obbligato a farlo.

Leviatano, XIV, p. 111.


Di conseguenza, prima dellavvento della societ civile, o durante la sua sospensione a causa di guerra, non esiste niente che sia in grado di garantire un patto di pace, sul quale ci si accordati, dalle tentazioni dellavarizia, dellambizione, della bramosia, o di qualche altro forte desiderio, se non il timore di quel potere invisibile che ciascuno venera come Dio e teme come vendicatore della propria perdia. Perci, tutto quel che si pu fare tra due persone non soggette al potere civile, che giurino ciascuno sul Dio che teme.

Leviatano, XIV, p. 115.

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Prima che i nomi di giusto e ingiusto possano trovar posto, deve esservi un qualche potere coercitivo, per costringere ugualmente gli uomini alladempimento dei loro patti col terrore di punizioni pi grandi del benecio che si ripromettono dalla rottura dei patti medesimi, e per render valida quella propriet che gli uomini acquistano per mutuo contratto in compenso della loro rinuncia al diritto universale. Un siffatto potere non esiste prima dellistituzione dello Stato.

Leviatano, XV, p. 116-117.


Lo stolto ha detto in cuor suo: non esiste una cosa come la giustizia [Non esiste quella cosa come la giustizia che sta nel rispetto dei patti]; e lha detto talvolta anche con la sua lingua adducendo seriamente come prova che, siccome alla cura di ciascun uomo che afdata la conservazione e la soddisfazione di se stesso, non ci pu essere alcuna ragione per la quale ognuno non possa fare quello che pensa conduca a quel risultato. [Lo stolto ha pensato la non razionalit del riferimento alla giustizia. Ha pensato che il ragionamento che porta al riconoscimento del vincolo dellubbidienza ai patti e quindi alla fondazione della giustizia politica non conforme a ragione.] Ne consegue che anche fare o non fare, mantenere o non mantenere i patti non contro ragione [ragione, non Dio - Hobbes parla di ragione] quando ci conduce al proprio benecio. Con ci egli non nega che ci siano patti, che siano talvolta infranti e talaltra mantenuti, che tale loro violazione si possa chiamare ingiustizia e la loro osservanza giustizia: ma la questione che egli pone se lingiustizia, togliendo il timore di Dio [togliendo nel senso di mettere tra parentesi: mettendo tra parentesi il timore di Dio] (sempre lo stolto, infatti, ha detto in cuor suo che Dio non esiste), non possa talvolta essere conforme a quella ragione che detta a ciascuno il proprio bene individuale, tanto pi quando lingiustizia procura tale vantaggio da porre un uomo in condizione di non tenere in alcun conto non solamente il biasimo ma anche il potere degli altri uomini.

Leviatano, XV, p. 117.


Il regno di Dio si acquista con la violenza, ma che dire se lo si potesse acquisire con una violenza ingiusta? sarebbe forse contro ragione acquistarlo in questo modo qualora fosse impossibile riceverne danno? e se non contro ragione non contro giustizia o, altrimenti, la giustizia non va approvata come un bene. Con ragionamenti come questo la scellerataggine premiata dal successo ha ottenuto il nome di virt e taluni che non ammettevano la violazione della promessa in tutte le altre circostanze, lammettevano tuttavia quando era compiuta al ne di ottenere un regno.

Leviatano, XV, p. 117-118.


Quindi pongo questa nona legge: ognuno deve riconoscere laltro come uguale a s per natura. Linfrazione di questo precetto la superbia.

Leviatano, XV, p. 125.


Questi dettami della ragione si chiamano col nome di leggi di natura. Tuttavia impropriamente, poich esse non sono che conclusioni o teoremi concernenti ci che conduce alla conservazione e alla difesa degli uomini, mentre la legge propriamente la parola di colui che detiene per diritto limpero sugli altri. [La legge in senso proprio la legge come comando di chi ha il potere politico.] Ciononostante, so consideriamo i medesimi teoremi in quanto comunicati dalla parola di Dio, che tutte le cose comanda per diritto, allora sono chiamate leggi propriamente [Se consideriamo le leggi di natura come comandi di Dio, il quale comanda ogni cosa per diritto, allora esse sono chiamate leggi propriamente].

Leviatano, XV, 130.


Una moltitudine diviene una sola persona, quando gli uomini che la costituiscono vengono rappresentati da un solo uomo o da una sola persona e ci avviene col consenso di ogni singolo appartenente alla moltitudine. Infatti lunit di colui che rappresenta, non quella di chi rappresentato, che rende una la Tutti gli appunti di tutte le lezioni? SosticaMente. facile e veloce!!
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persona; ed colui che rappresenta che d corpo alla persona e ad una persona soltanto. N lunit in una moltitudine si pu intendere in altro modo.

Leviatano, XVI, p. 134.


Si dice che uno Stato istituito, quando gli uomini di una moltitudine [pluralit di individui separati] concordano e stipulano - ciascuno singolarmente con ciascun altro - che qualunque [chiunque] sia luomo, o lassemblea di uomini, a cui verr dato dalla maggioranza il diritto di incarnare la persona di tutti loro (cio a dire di essere il loro rappresentante), ognuno - che abbia votato a favore o che abbia votato contro - autorizzer tutte le azioni e i giudizi di quelluomo o di quellassemblea di uomini alla stessa maniera che se fossero propri, afnch possano vivere in pace fra loro ed essere protetti contro gli altri uomini.

Leviatano, XVIII, p. 145.


Chi si lamenta di un torto del sovrano, si lamenta di ci di cui egli stesso autore [per il rapporto di autorizzazione di cui abbiamo parlato] e non deve perci accusare altri che s stesso - anzi neppure s stesso perch impossibile fare torto a s stessi [tutto ci che il sovrano fa non pu essere torto o ingiustizia nei confronti dei sudditi perch come se i sudditi lo facessero a s stessi]. [Per...] Vero che coloro che hanno il potere sovrano possono commettere iniquit; ma non ingiustizia o torto in senso proprio.

Leviatano, XVIII, p. 148.


Pertanto la giustizia, cio mantenere i patti, un precetto della stessa ragione che ci vieta di fare qualsiasi cosa sia lesiva della nostra vita e di conseguenza una legge di natura.

Leviatano, XV.
Lobiezione pi grave [contro la teoria del patto sociale] deriva dalla pratica, ed quella di coloro che chiedono dove e quando tale potere sia stato riconosciuto dai sudditi. [Il contratto sociale non un fatto storico, lo stato di natura non uno stato storico. Nessuno ha mai stipulato un contratto sociale.] Ma si pu di rimando chiedere loro quando o dove ancora in base alla loro esperienza un regno ha resistito a lungo libero da sedizione e guerra civile [Non c mai stato un patto. Ma non c mai stata nemmeno una condizione in cui un regno non sia stato sovvertito e quindi poi dopo la sovversione sia risorta la necessit di riconoscere un potere comune].

Leviatano, XX, p. 174.


Lobiezione pi grave deriva dalla pratica, ed quella di coloro che chiedono dove e quando tale potere sia stato riconosciuto dai sudditi. Ma si pu di rimando chiedere loro quando o dove ancora in base alla loro esperienza un regno ha resistito a lungo libero da sedizione e guerra civile.

Leviatano, XX, p. 174.


Uno stato per acquisizione quello nel quale il potere sovrano acquisito con la forza; ed acquisito con la forza quando gli uomini, ad uno [ad uno ad uno] o molti insieme a maggioranza, autorizzano, per paura della morte o di vincoli, tutte le azioni di quelluomo, o di quellassemblea, che ha in proprio potere le loro vite e la loro libert.

Leviatano, XX, p. 166.


Larte di costruire e conservare gli Stati consiste in certe regole, come laritmetica e la geometria, non (come il gioco del tennis) nella pratica soltanto. Regole per scoprire le quali, agli uomini, se poveri, Tutti gli appunti di tutte le lezioni? SosticaMente. facile e veloce!!
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manca il tempo necessario, e, se non privi di tempo a disposizione, mancata nora sia la curiosit sia il metodo.

Leviatano, XX, p. 174.


Un uomo libero colui che, nelle cose che capace di fare con la propria forza e il proprio ingegno, non impedito di fare ci che ha la volont di fare.

Leviatano, XXI, p. 175.


Pertanto chiaro che il diritto di punire che lo Stato (cio colui o coloro che lo rappresentano) detiene non fondato su alcuna concessione o donazione dei sudditi [non che i sudditi hanno autorizzato il potere di punire]. Tuttavia, sopra ho anche mostrato che, prima dellistituzione dello Stato, ognuno aveva diritto a ogni cosa e di fare qualsiasi cosa egli ritenesse necessario per la propria preservazione, compreso il soggiogare, il nuocere e luccidere chiunque per realizzare questo scopo. Ecco il fondamento del diritto di punire esercitato in ogni Stato. Non furono dunque i sudditi a dare quel diritto al sovrano; essi si limitarono a rinunciare ai propri diritti e con ci rafforzarono il sovrano nellesercitare i suoi nel modo che egli ritenesse pi adatto ad assicurare la conservazione di tutti. Cosicch il diritto di punire fu non gi dato ma lasciato a lui e a lui soltanto, e cos interamente (ad eccezione dei limiti impostigli dalla legge di natura) come era nella condizione di pura natura e di guerra di ognuno contro il suo simile.

Leviatano, XXVIII, p. 254-255.


Pu accadere, dunque, e accade spesso negli Stati, che un suddito venga messo a morte per comando del potere sovrano; ci nonostante nessuna delle due parti fa torto allaltra. [...] La stessa cosa vale anche nel caso di un principe sovrano che metta a morte un suddito innocente.

Leviatano, XXI, p. 178.


[...] chiaro che ogni suddito ha libert in tutte quelle cose il diritto alle quali non pu essere ceduto per patto.

Leviatano, XXI, p. 181


se il sovrano comanda a un uomo (ancorch giustamente condannato) di uccidersi, ferirsi o mutilarsi, o di non resistere a chi lo aggredisce, o di astenersi dalluso di cibo, aria, medicine o qualsiasi altra cosa senza la quale non possa vivere, questuomo ha nondimeno la libert di disubbidire; se un uomo viene interrogato dal sovrano - o in base allautorit da questultimo concessa - riguardo a un crimine da lui stesso compiuto, non vincolato (a meno che non gli sia stato assicurato il perdono) a confessare [e questo indipendentemente dal fatto che sia colpevole o no], poich nessuno (come ho mostrato nel medesimo capitolo) pu essere obbligato per patto ad accusare s stesso.

Leviatano, XXI, p. 181


Sulla base di tutto ci, un uomo, cui venga comandato di combattere come soldato contro il nemico fermo restando che il sovrano possiede un diritto sufciente a punire con la morte il suo riuto - pu nondimeno, in molti casi, riutarsi senza ingiustizia; come quando pone al proprio posto un soldato non meno idoneo, giacch in questo caso egli non diserta dal servizio dello Stato. [paga qualcuno che vada a combattere al posto suo].

Leviatano, XXI, p. 182.

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[...] lofferta di perdono toglie, a coloro ai quali proposta, la scusante dellautodifesa e rende illegittima la loro persistenza nellassistere o difendere gli altri.

Leviatano, XXI, p. 183

Lobbligazione dei sudditi verso il sovrano intesa durare ntantoch - e non pi di quanto - dura il potere con cui quegli [il sovrano] in grado di proteggerli. Per nessun patto, infatti, si pu abbandonare il diritto che gli uomini hanno, per natura, di proteggere se stessi quando nessun altro pu proteggerli.

Leviatano, XXI, p. 184.


E sebbene la sovranit, nelle intenzioni di coloro che la istituiscono, sia immortale, tuttavia, per sua natura non solo soggetta a morte violenta a causa di guerra contro nemici esterni, ma anche reca in s, n dalla stessa istituzione, a causa dellignoranza e delle passioni, i molti semi della mortalit naturale generati dalla discordia intestina.

Leviatano, XXI, p. 185.


E sebbene la sovranit, nelle intenzioni di coloro che la istituiscono, sia immortale, tuttavia, per sua natura non solo soggetta a morte violenta a causa di guerra contro nemici esterni, ma anche reca in s, n dalla stessa istituzione, a causa dellignoranza e delle passioni, i molti semi della mortalit naturale generati dalla discordia intestina.

Leviatano, XXI, p. 185.


La FUNZIONE del sovrano (monarca o assemblea che sia) consiste nel ne per il quale gli stato afdato il potere sovrano, cio il procurare la sicurezza del popolo; a ci obbligato dalla legge di natura, e di ci deve rendere conto a Dio, autore di quella legge, e a nessun altro fuorch lui. Inoltre, per sicurezza qui si intende non una mera sopravvivenza, ma anche tutte le altre soddisfazioni della vita che ognuno possa procacciarsi con lecita industria senza pericolo o danno per lo Stato.

Leviatano, XXX, p. 273.


Infatti, si dice propriamente che regna solo chi governa i suoi sudditi con la parola, nonch promettendo ricompense a quelli che obbediscono e minacciando punizioni a quelli che non gli obbediscono. Pertanto sudditi del regno di Dio non sono n i corpi inanimati, n le creature irrazionali [gli animali] - poich non intendono alcun precetto come proveniente da Dio -, n gli atei, n coloro che credono che Dio si disinteressi completamente delle azioni degli uomini, poich costoro non riconoscono come sua alcuna parola e non hanno n alcuna speranza di sue ricompense, n paura delle sue minacce. Cosicch sudditi di Dio sono coloro che credono nellesistenza di un Dio che governa il mondo, e che al genere umano ha dato precetti e promesso ricompense e punizioni. Tutti gli altri sono da considerare come nemici.

Leviatano, XXXI, p. 290.

KANT
Pratico tutto ci che possibile per mezzo della libert... E arbitrio semplicemente animale (arbitrium brutum) quello che non pu essere determinato se non da stimoli sensibili, ossia patologicamente. Ma quello che indipendente da stimoli sensibili, e quindi pu essere determinato da motivi che non sono rappresentati se non dalla ragione, dicesi libero arbitrio (arbitrium liberum), e tutto ci che vi si connette, o come principio o come conseguenza, detto pratico.

Critica della ragion pura, II Dottrina trascendentale del metodo, c.II, s.II.
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Lautonomia della volont quel carattere della volont per cui essa legge per se stessa (indipendentemente da ogni carattere degli oggetti del volere). Il principio dellautonomia dunque: scegliere sempre in modo che le massime della propria scelta rientrino come leggi universali in questo stesso atto di volere.

Fondazione della metasica dei costumi, parte seconda.


Agisci in modo da trattare lumanit, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come un ne e mai semplicemente come un mezzo.

Fondazione della metasica dei costumi, parte seconda.


Queste leggi della libert si chiamano morali per distinguerle dalle leggi della natura. In quanto esse riguardano soltanto le azioni esterne e la loro conformit alla legge si chiamano giuridiche; se per esigono inoltre di essere considerate esse stesse come principi determinanti delle azioni, allora queste leggi sono etiche; e quindi si d il nome di legalit alla conformit delle azioni con le prime, e di moralit alla loro conformit con le seconde. La libert, a cui si riferiscono le prime leggi, pu essere soltanto lesercizio esteriore della libert; mentre quella cui si riferiscono le ultime la libert nelluso tanto esterno che interno del libero arbitrio, in quanto questo determinato da leggi della ragione.

La metasica dei costumi, Introduzione I.


Si chiama teoria un complesso di regole anche pratiche, quando tali regole, come principi, sono pensate con una certa universalit e quindi si astrae da una serie di condizioni che pure hanno inusso sulla loro applicazione. Viceversa si chiama pratica non ogni affaccendarsi, bens solo quella attuazione di un ne che pensata come osservanza di certi principi dell'agire, rappresentati in generale.

Sul detto comune, p. 123.


Ora, il ne che in s dovere in tale rapporto esterno [il rapporto esterno quello con le leggi esterne che rendono possibile un accordo stabile tra gli uomini] [ci che doveroso/laspetto del doveroso nella relazione giuridica] nonch la stessa suprema condizione formale (conditio sine qua non) di ogni rimanente dovere esterno, il diritto degli esseri umani sotto leggi coercitive pubbliche, tramite le quali possa essere determinato a ciascuno il suo e possa essere assicurato contro ogni interferenza altrui. Ma il concetto di un diritto esterno in generale proviene interamente dal concetto di libert nelle relazioni esterne reciproche degli esseri umani, e non ha nulla a che fare con il ne che tutti gli esseri umani hanno per natura (l'intenzione alla felicit) n col precetto dei mezzi per riuscire ad ottenerlo: cos che anche perci quest'ultimo ne non deve assolutamente immischiarsi in quella legge come fondamento di determinazione del precetto stesso. Diritto la limitazione della libert di ciascuno alla condizione della sua armonia con la libert di ognuno, nella misura in cui essa possibile secondo una legge universale; e il diritto pubblico il complesso delle leggi esterne, le quali rendono possibile una tale armonia pervasiva.

Sul detto comune, p. 137.


Ora, poich la limitazione della libert tramite l'arbitrio di un altro si chiama coercizione, ne segue che la costituzione civile una relazione di uomini liberi i quali (senza pregiudizio per la loro libert nell'intero della loro unione con gli altri) stanno tuttavia sotto leggi coercitive: perch cos vuole la ragione stessa, e precisamente la ragion pura, legislatrice a priori, che non ha riguardo per nessuno scopo empirico (tutti i ni simili sono compresi sotto il nome generale di felicit).

Sul detto comune, p. 137.

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Quindi la situazione civile [condizione civile], considerata come condizione meramente giuridica, si fonda sui seguenti princpi a priori: 1. La libert di ogni membro della societ, come uomo 2. L'uguaglianza del medesimo con ogni altro, come suddito 3. L'indipendenza di ogni membro di una entit comune, come cittadino

Sul detto comune, p. 137.


La libert come essere umano, il cui principio per la costituzione di una entit comune esprimo nella formula: nessuno mi pu costringere ad essere felice a modo suo (come egli si immagina il benessere degli altri esseri umani), ma a ognuno permesso cercare la felicit per la via che a lui stesso pare buona, se solo non infrange la libert altrui (cio questo diritto dell'altro) di perseguire un ne simile, che possa consistere insieme con la libert di ognuno secondo una possibile legge universale.

Sul detto comune, p. 137-138.


Un governo, che fosse istituito sul principio della benevolenza nei confronti del popolo come di un padre nei confronti dei suoi gli, cio un governo paterno (imperium paternale), ove dunque i sudditi, come gli minorenni, che non sanno distinguere che cosa per loro sia veramente utile o dannoso, sono necessitati a comportarsi in modo meramente passivo, per attendere solo dal giudizio del capo dello stato come debbano essere felici, e solo dalla sua benevolenza, che egli anche lo voglia, il pi grande dispotismo pensabile (una costituzione che abolisce ogni libert dei sudditi, i quali dunque non hanno affatto diritti). Un governo non paterno ma patriottico (imperium non paternale, sed patrioticum) quello che pu venir pensato esclusivamente per esseri umani capaci di diritti, anche in rapporto alla benevolenza del dominatore. Patriottico cio il tipo di pensiero, dal momento che ciascuno nello Stato (non escluso lo stesso capo) considera l'entit comune come il grembo materno, e il paese come il suolo paterno, dal quale e sul quale egli stesso nacque, e che deve anch'egli tramandare con un caro pegno, solo per proteggere i diritti di questa entit per mezzo di leggi della volont collettiva, ma non si considera autorizzato a sottometterlo, per l'uso, al suo piacere incondizionato. - Questo diritto della libert spetta a lui, il membro dell'entit comune, come essere umano, nella misura in cui, cio, un essere che in generale capace di diritti.

Sul detto comune, p. 138.


L'uguaglianza come suddito, la cui formula pu suonare cos: ogni membro dell'entit comune ha verso ogni altro diritti coercitivi, da cui solo il suo capo escluso (perch non un suo membro, ma il suo creatore e il suo conservatore), il quale soltanto ha la facolt di costringere senza essere egli stesso soggetto a una legge coercitiva. Ma tutto ci che sta sotto leggi in uno Stato suddito, e quindi sottoposto al diritto coercitivo analogamente a tutti gli altri membri dell'entit comune; escluso uno solo (una persona sica o morale), il capo dello Stato, attraverso il quale soltanto ogni coercizione giuridica pu essere esercitata.

Sul detto comune, p. 138.


Questa uguaglianza pervasiva degli esseri umani in uno Stato, come suoi sudditi, tuttavia interamente consistente [ cio pienamente compatibile] con la massima disuguaglianza secondo la quantit e il grado della loro propriet, sia per superiorit sica o spirituale o per beni di fortuna fuori di loro, o per diritti in generale (e ce ne possono essere molti) rispetto ad altri, cos che il benessere dell'uno dipende molto dalla volont dell'altro (il benessere del povero dalla volont del ricco), che l'uno deve essere ubbidiente (come il bambino ai genitori o la donna all'uomo) e l'altro gli comanda, che l'uno serve (come il salariato a giornata) e l'altro remunera etc. Ma secondo il diritto (che come espressione della volont generale pu essere soltanto uno, e che riguarda la forma del giusticare, non la materia o l'oggetto su cui ho un diritto) essi sono nondimeno, come sudditi, tutti reciprocamente uguali [secondo il diritto che giustica la comune soggezione al potere del sovrano]: perch nessuno pu costringere qualcun altro, Tutti gli appunti di tutte le lezioni? SosticaMente. facile e veloce!!
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se non tramite la legge pubblica (e il suo esecutore, il capo dello Stato), ma tramite questa anche ogni altro gli si oppone in ugual misura.

Sul detto comune, p. 139.


L'indipendenza (sibisufcientia) [bastare a s stesso] di un membro dell'entit comune come cittadino, cio come colegislatore [partecipe alla attivit di legislazione]. Proprio in tema di legislazione tutti quelli che sono liberi e uguali sotto leggi pubbliche gi presenti, non sono per da considerare come tutti uguali per quanto riguarda il diritto di dare queste leggi. Coloro che non sono capaci di questo diritto [coloro che non hanno la capacit richiesta per partecipare alla produzione delle leggi, cio coloro che non bastano a s stessi e che sono dunque dipendenti da altri] sono ugualmente soggetti all'osservanza di queste leggi come membri dell'entit comune e per ci partecipi della protezione secondo le leggi medesime: solo, non come cittadini, ma come consociati protetti [i dipendenti non sono cittadini a pieno titolo ma consociati protetti che partecipano della protezione garantita dalla legge comune senza tuttavia avere il diritto di produrre le leggi comuni]. Infatti ogni diritto dipende da leggi. Ma una legge pubblica, che determina per tutti che cosa deve essere loro permesso o no, l'atto di una volont pubblica dalla quale deriva ogni diritto e che dunque non deve poter fare ingiustizia a nessuno. Ma ci non possibile a nessun'altra volont se non quella del popolo intero (in cui tutti decidono su tutti e quindi ciascuno su se stesso): infatti soltanto a se stessi non possibile fare ingiustizia. Ma se a decidere un altro, allora la mera volont di uno diverso dall'interessato non pu decidere su di lui qualcosa che non possa essere ingiusto; di conseguenza la sua legge richiederebbe ancora un'altra legge che limitasse la sua legislazione e quindi nessuna volont particolare pu essere legislatrice per una entit comune.

Sul detto comune, p. 141.


Ma anche tutti coloro che hanno questo diritto di voto devono esser concordi in questa legge della giustizia pubblica: infatti altrimenti fra chi non d'accordo e i primi ci sarebbe una contesa giuridica, la quale, per essere decisa, avrebbe bisogno a sua volta di un principio giuridico superiore [tra la maggioranza e la minoranza dobbiamo trovare il riferimento ad un criterio che giustichi la scelta della maggioranza]. Quindi, se non si pu attendere la prima cosa da un popolo intero [non si pu attendere che un intero popolo sia tutto daccordo su una decisione], allora quello che si pu prevedere come raggiungibile solo una maggioranza dei voti, e certo non immediatamente dei votanti (in un popolo grande) bens solo dei rappresentanti del popolo appositamente delegati. Cos per il principio stesso di accontentarsi di questa maggioranza, in quanto accettato con un accordo universale, cio con un contratto, deve essere il fondamento supremo dell'istituzione di una costituzione civile.

Sul detto comune, p. 143.


C' ora un contratto originario, sul quale soltanto pu essere fondata fra gli esseri umani una costituzione civile e quindi pervasivamente giuridica, e istituita unentit comune.

Sul detto comune, pp. 143-144.


Questo contratto soltanto (detto contractus originarius o pactum sociale), come coalizione di ogni volont particolare e privata in un popolo per una volont comunitaria e pubblica (al ne di una legislazione semplicemente giuridica) non per nulla necessario presupporlo come un fatto (anzi come tale non affatto possibile); quasi come se, per stimare noi stessi vincolati a una costituzione civile gi esistente, si dovesse innanzitutto provare prima dalla storia che un popolo, nei cui diritti e obbligazioni noi siamo entrati in quanto discendenti, debba avere, una volta, compiuto effettivamente un tale atto e avercene lasciato, oralmente o per iscritto. una notizia sicura o un documento.

Sul detto comune, pp. 143-144.

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invece una mera idea della ragione, che per ha la sua indubbia realt pratica [per serve veramente a realizzare uno scopo pratico]: cio obbligare ogni legislatore a fare le sue leggi come possono essere scaturite dalla volont unita di un intero popolo, e considerare ogni suddito, nella misura in cui vuole essere cittadino, come se egli si fosse accordato insieme per una tale volont. Infatti questa la pietra di paragone della legittimit [Rechtmigkeit] [commisurazione al diritto] di ogni legge pubblica.

Sul detto comune, pp. 143-144.


Cio se essa fatta cos che un popolo intero non potrebbe darle il suo assenso (come per esempio una legge la quale stabilisse che una certa classe di sudditi dovesse avere ereditariamente il privilegio di ceto signorile), allora non giusta; ma se solo possibile che un popolo vi si accordi, allora dovere considerare giusta la legge; anche posto che il popolo fosse ora in una posizione o in una tonalit [atteggiamento] del suo modo di pensare tale che, se fosse interpellato, riuterebbe verosimilmente il suo assenso.

Sul detto comune, pp. 143-144.


Ma questa limitazione vale evidentemente solo per il giudizio del legislatore, non del suddito [ il legislatore che deve assumere questo criterio per la giustizia delle leggi che egli fa, non il suddito che pu appellarsi a questo criterio e negare ubbidienza alle leggi del legislatore]. Se perci un popolo sotto una certa legislazione ora effettiva dovesse giudicare con la massima verosimiglianza di star perdendo la propria felicit: che si deve fare per questo? Non ci si deve opporre? La risposta pu essere solo: non c' niente da fare, se non ubbidire. Infatti qui non si parla della felicit che i sudditi si devono aspettare dall'istituzione o dall'amministrazione dell'entit comune; bens innanzitutto semplicemente del diritto che per suo tramite deve essere assicurato a ognuno: il quale il principio supremo, da cui devono derivare tutte le massime che riguardano una entit comune, e che non limitato da nessun altro.

Sul detto comune, p. 144.


Ne segue che ogni resistenza contro il supremo potere legislativo, ogni istigazione a far passare alle vie di fatto lo scontento dei sudditi, ogni sollevazione che esploda in ribellione, il delitto supremo e pi meritevole di pena nell'entit comune, perch ne distrugge le fondamenta. E questo divieto incondizionato: cos che quel potere o il suo agente, il capo dello Stato, pu anche aver infranto il contratto originario e perci essersi privato, secondo il concetto del suddito, del diritto di essere legislatore, dando al governo potest di procedere in modo assolutamente violento (tirannico), ma al suddito non rimane permessa una reazione [Gegengewalt]. Il motivo di ci : perch in una costituzione civile gi esistente il popolo non ha pi la facolt, stabilita secondo il diritto, di giudicare come quella debba essere amministrata.

Sul detto comune, p. 146.


Quando una rivoluzione riuscita e si fondata una nuova costituzione, lillegalit della sua origine e della sua attuazione non possono sciogliere i sudditi dallobbligo di adattarsi come buoni cittadini al nuovo ordine di cose ed essi non possono riutarsi di obbedire onestamente a quellautorit che attualmente detiene il potere.

La metasica dei costumi, p. 150-154.


Il suddito non ribelle [che rifugge dalla ribellione] deve poter assumere [presumere] che il suo principe non voglia fargli ingiustizia [il suddito non ribelle deve poter presumere che il suo principe non abbia lintenzione deliberata di fargli ingiustizia]. Quindi, poich ogni essere umano ha tuttavia i suoi diritti incancellabili cui non pu mai rinunciare neanche se lo volesse e su cui egli stesso autorizzato a giudicare, ma l'ingiustizia che gli capita, secondo la sua opinione, avviene, dal punto di vista di quel presupposto, solo per errore o per disinformazione del potere supremo su certe conseguenze delle leggi; cos deve spettare al cittadino dello Stato, e in verit con favore del principe stesso, la facolt di Tutti gli appunti di tutte le lezioni? SosticaMente. facile e veloce!!
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rendere pubblicamente nota la sua opinione su ci che, nelle disposizioni di quest'ultimo, gli sembra uningiustizia verso l'entit comune [cio lo stato]. Infatti assumere che il capo non possa mai sbagliare o essere disinformato su una cosa sarebbe immaginarselo dotato della grazia di ispirazioni celesti ed elevato al di sopra dell'umanit. Dunque la libert della penna - nei limiti del rispetto e dell'amore per la costituzione in cui si vive, mantenuta tramite il modo di pensare liberale dei sudditi, che ispira quella stessa ancora di pi (e qui anche le penne si limitano reciprocamente da s, cos da non perdere la loro libert) l'unico palladio dei diritti del popolo.

Sul detto comune, p. 150.

FINE

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