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Pensare Georg Simmel: eredità e prospettive

La vita di Simmel in quanto sociologo fu molto travagliata e difficile. Egli non ebbe eredi
spirituali e nel suo tempo fu molto sminuito il suo lavoro sulla società. Poi finalmente, in
particolare dagli anni Ottanta del Novecento, c’è stata una sua rinascita che stiamo ancora
vivendo e che non sembra affievolirsi. Simmel è definito un classico e soprattutto il più
contemporaneo dei classici della sociologia: certe intuizioni, certe analisi delle dissonanze
e delle patologie della modernità solo nella nostra contemporaneità appaiono nella loro
vera portata. Elementi delle sue opere tanto erano non comprese nella sua epoca, quanto
lo avvicinano alla nostra. La sua modalità di ricerca oggi viene definita relazionismo.
Molte critiche fatte in epoche passate oggi sono diventate apprezzamenti. Ciò è potuto
avvenire solo ai nostri tempi, solo ora che si è compreso quanto illusorio fosse cercare le
cause ultime dei fenomeni; ora, che le scienze della complessità hanno messo in luce i
limiti del settorialismo disciplinare; ora che si è riconosciuta la dignità sociologica agli
aspetti “micro” e allo studio della vita quotidiana.
Simmel ha saputo guardare alla contraddittorietà e all’ambivalenza del reale. Egli riesce a
concepire ed esprimere come gli opposti, invece che escludersi e ricomporsi in una sintesi
dialettica, si co-appartengono fino a costituire l’uno il cuore segreto dell’altro. Accettare
che uno stesso fenomeno possa presentare aspetti opposti e compresenti, che emergono se
lo si sa osservare da vari punti di vista, tutti a loro modo validi, non è comodo e può
risultare perfino inquietante. È forse stata questa disposizione mentale simmeliana a
consentirgli di elaborare una visione “relazionale” della società e della realtà. Per Simmel
individui e società non sono entità contrapposte, ma si implicano reciprocamente.
Simmel ha inoltre adottato la prospettiva estetica come modello conoscitivo. Si tratta di un
approccio alla conoscenza, che non proviene dal principio metodico cartesiano che fonda
la scienza moderna, quanto piuttosto dall’attività mimetica dell’opera d’arte. L’arte, come
forma di conoscenza intuitiva, ci aiuta a familiarizzare con il nuovo prima e meglio di ogni
forma di pensiero sistematico e razionale.
Proprio perché tutti i fenomeni sono interconnessi in una rete di relazioni di influenza
reciproca, è possibile partire da un singolo dettaglio per sondare i legami che esso
intrattiene con la totalità nel suo complesso e penetrare bei significati più nascosti e
profondi della realtà e dell’umano. Inoltre come applicazione del metodo che procede dai
dettagli in direzione della totalità, esso implica interessarsi degli aspetti “micro”, dei
piccoli particolari che costituiscono come un mosaico la realtà.
Simmel ci invita a non partire dal concetto, già rigidamente strutturato, perché vorrebbe
dire tentare di comprendere tutto ciò che è nuovo con i concetti vecchi; oppure che tutto il
nuovo si presenta come ciò che è conosciuto da lungo tempo. Sollecita invece a partire
dalle cose, dagli oggetti concreti che ci circondano e dalle piccole relazioni che mettiamo in
atto tutto il giorno e tutti i giorni.
Simmel riconosce, ed è il primo a farlo, dignità sociologica allo studio della vita
quotidiana, nelle sue multiformi manifestazioni e anche a quello dei sentimenti e delle
emozioni che del resto si intrecciano e danno colorazione alla vita di ogni giorno. Le
dinamiche “macro”, i condizionamenti che ci vengono dal mondo globale, li viviamo
quotidianamente sulla nostra pelle, e al tempo stesso, quotidianamente cerchiamo di
imprimere un tratto soggettivo alla nostra vita, di compiere scelte e comportarci
rispondendo ai nostri bisogni, desideri e aspirazioni. È da qui che dobbiamo partire, dal
cuore dell’esperienza quotidiana. La sociologia non può elaborare teorie astratte, grandi
sistemi e disinteressarsi di come vivono le persone, concretamente, giorno per giorno,
pena la sua sterilità e distanza dal reale.
Simmel è anche ritenuto il fondatore della sociologia dei sentimenti e delle emozioni e
colui che inaugura lo studio dell’interazione intima. In effetti è il primo ad approfondire
esplicitamente la valenza sul piano sociologico degli aspetti espressivi ed affettivi,
soffermandosi in particolare su amore, odio, gelosia, amicizia, fiducia, fedeltà, gratitudine,
invidia, pudore e vergogna, poiché comprende quanto profondamente questi sentimenti e
stati emozionali incidano nelle relazioni interpersonali e spesso ne siano il motore. I
sentimenti incidono anche nella formazione di istituzioni sociali (famiglia, matrimonio,
gruppo amicale) e persino il mercato si regge sulla fiducia condivisa nel valore di scambio
del denaro.
Un ulteriore prezioso contributo che Simmel consegna alla sociologia contemporanea sta
nell’aver svelato la rilevanza sociologica dello spazio. Simmel è l’unico che riserva
un’attenzione congiunta alla dimensione temporale e a quella spaziale, intuendo
l’importanza che lo spazio assume nel definire e strutturare i rapporti di interazione ed
evidenziando come esso sia costruttivo socialmente. Ad esempio nelle città le
disuguaglianze e la distanza sociale sono contrassegnate spazialmente, è lo spazio che le
rende concretamente visibili, nella distinzione, ad esempio tra quartieri residenziali e
periferie degradate. Simmel elabora le categorie generali attraverso le quali leggere lo
spazio e infine le applica ad un caso specifico con cui egli mostra le corrispondenze, i
sottili e profondi rapporti che intercorrono tra l’esperienza dello spazio metropolitano e
alcune caratteristiche peculiari del mondo moderno, come l’intellettualità e il
razionalismo, l’economia monetaria, l’oggettività, il distacco e l’indifferenza. Uno degli
esempi più moderni che Simmel fa è quello del denaro. La pervasività della forma del
denaro lo pone come generatore simbolico unico dell’azione nel mondo occidentale, puro
mezzo che diventa fine e fine ultimo, l’unica “religione” possibile.
Una delle intuizioni più acute di Simmel nella lettura dei tratti distintivi della modernità,
sta nell’aver colto che essa si caratterizza per una crescente divaricazione tra “spirito
oggettivo” (la somma di tutta la cultura e i saperi oggettivati e “incorporati” nei prodotti
dell’uomo) e “spirito soggettivo” (ciò che ogni singolo individuo sa per averlo imparato,
vissuto o elaborato personalmente). Ad un avanzamento della cultura delle cose
corrisponde un’arretratezza della cultura delle persone. Ciò significa che la società
moderna dispone di un sapere che sovrasta le capacità di elaborazione di ogni singolo
individuo. E purtroppo non solo le capacità di elaborazione mentale, intellettuale, ma
anche quelle di controllo e gestione di questa complessa mole di sapere. Gli uomini sono
sempre meno in grado di comprendere e gestire responsabilmente ciò che essi stessi hanno
prodotto e li sovrasta. Siamo circondati da oggetti tecnologici sempre più perfezionati, ma
in qualche modo le nuove invenzioni mentre risolvono dei problemi pratici, o accrescono
la possibilità di intervento sulla realtà, spesso eliminano o depotenziano una qualche
abilità umana, sostituendosi ad essa e migliorando l’oggetto in sé, non più l’uomo. La
dinamica descritta da Simmel è quella che egli chiama “tragedia della cultura”.
È importante recuperare il valore d’uso di Simmel, cioè studiare nuove intuizioni ed
orientamenti su una realtà che sì è in costante movimento, eppure conserva per molti
aspetti i tratti che già egli aveva messo in luce. Così il valore d’uso si fa valore aggiunto ed
è forse il modo più forte, più intenso perché un classico rimanga davvero vivo.
In questo volume si intende seguire un particolare taglio interpretativo: ripensare il
contributo di Simmel come risorsa teorica e metodologica per la compresione e l’analisi
della società contemporanea.

1. Relazionalità ed individualizzazione
Simmel propose una concezione relazionale della società. L’intuizione strategicamente
cruciale dell’intera filosofia e sociologia simmeliana è il principio di
reciprocità/relazionalità, espresso dal termine tedesco Wechselwirkung, che letteralmente
significa “effetto di reciprocità, effetto reciproco”. Indica una concezione della realtà come
rete di relazioni di influenza reciproca tra una pluralità di elementi, per cui nulla si dà
nella vita senza essere in relazione con il resto. Gli effetti reciproci in ambito umano si
verificano non solo nelle relazioni socievoli, ma anche in quelle che comportano tensione e
conflittualità tra le parti. Il concetto di Wechselwirkung, applicato alla sociologia, si
declina in Vergesellshaftung (termine traducibile con “sociazione” o “associazione”), che
costituisce il processo attraverso cui si instaurano e si consolidano nel tempo le forme di
azione reciproca tra gli uomini.
Per Simmel la sociologia è dunque sul piano della specificità una scienza formale: scienza
che si occupa di individuare e descrivere le forme delle relazioni sociali a prescindere dal
loro contenuto particolare. La sociologia come “geometria” della vita sociale, ricerca e
studia così le forme pure dell’interazione, mettendone in luce caratteristiche e proprietà
che rimangono valide nella varietà delle loro realizzazioni spazio-temporali.
Le acquisizioni, realizzate attraverso lo studio delle forme pure di relazione tra gli uomini,
si prestano ad essere applicate ed ad illuminare fenomeni anche diversi e lontani, rispetto
a quelli dell’epoca di Simmel e da cui egli aveva preso spunto per le sue elaborazioni
teoriche. La sua sociologia formale vale pertanto anche come una “cassetta degli attrezzi”.
Le forme per Simmel vanno intese come tutte quelle manifestazioni della cultura e del
pensiero umano (simboli, idee, raffigurazioni, istituzioni, prodotti della vita economica,
opere artistiche) che si oppongono, nella loro tendenza alla fissazione e all’oggettivazione,
al carattere fluido e al dinamismo incessante della vita, che pure è la fonte della loro
produzione.
Simmel mostra poi grande interesse e sensibilità per l’analisi dei processi che hanno
portato a quella costellazione storica e culturale determinata, che chiamiamo “modernità”.
In particolare Simmel dedica la sua attenzione allo svolgersi del processo di
individualizzazione, che così strettamente si connette all’avvento della modernità. Nella
modernità il processo di individualizzazione non va inteso come sviluppo autocratico
dell’interiorità, bensì come capacità del soggetto di partecipare a contesti sempre più ampi
di esperienza e di valersi delle chances di vita prodotte dalla crescente complessità,
divisione sociale del lavoro e libertà di movimento. Simmel distingue due forme di
individualismo: l'’individualismo dell’uguaglianza o della libertà, caratteristico del XVIII
secolo e permeato dalla visione illuminista e l’individualismo della differenza,
sviluppatosi nel XIX secolo sotto l’influsso della cultura romantica e della divisione del
lavoro.
Sia che viva in un gruppo ristretto, che ne comprime la possibilità di espressione e libertà
individuale, sia che viva in una cerchia ampia e differenziata, che invece questa libertà e
autonomia personale incentiva, l’uomo non è mai solo membro delle formazioni sociali
nelle quali vive, “non è soltanto parte di una società, ma è inoltre ancora qualcosa”, dove
con “inoltre” si esprime l’irriducibilità dell’individuo ai ruoli sociali, a quella socialità che
pure è l’elemento costitutivo dell’essere umano al pari dell’individualità.
Se il processo di individualizzazione va inteso all’interno della tensione dialettica tra
individuale e sociale, essa a sua volta è ricompresa nella più generale contrapposizione tra
la parte e il tutto. “L’esistenza pratica dell’umanità si consuma nella lotta tra
l’individualità e l’universalità”. La difficoltà universale della vita consiste nel fatto che
anche gli elementi della totalità pretendono di essere per sé totalità autonome, non
riconoscono il legame, che pure esiste, con l’insieme che le ricomprende e lo vivono in
modo esclusivamente oppositivo e conflittuale. Nello stesso tempo esiste il rischio
opposto: che la totalità e le tendenze generalizzanti diventino così pervasive da schiacciare
la possibilità che l’individuo conservi la sua soggettività differenziale. Questi due processi
possono essere definiti eccessiva individualizzazione ed eccessiva omologazione.

2. Pensare per interconnessione: libertà, denaro, fiducia


Libertà, denaro e fiducia sono colonne portanti dell’epoca moderna, che si presuppongono
e si intrecciano tra loro. Sono, però, nello stesso tempo, elementi considerati
imprescindibili della vita e della società contemporanea, seppur attraversati da molte
problematiche: la libertà può scivolare nella dipendenza, o nella licenza estrema e
autoreferenziale; la fiducia può mutarsi in diffidenza e paura; il denaro può vedere
restringersi il proprio ruolo da strette creditizie, crisi di liquidità e fenomeni recessivi, a
loro volta legati a cali di fiducia.
Simmel, oltre a sottolineare l’importanza del legame fiduciario, che opera da collante e
cemento sociale fondamentale, ha il merito di essere riuscito a rappresentare e a spiegare
come lo sviluppo della fiducia sia strettamente connesso al processo di modernizzazione.
La fiducia è dunque per Simmel un’ipotesi che riguarda un’azione futura che non può
essere prevista esattamente nel presente, data la limitatezza di conoscenze. C’è bisogno di
uno slancio, di un salto verso l’altro, perché ci si arricchisca di un terreno in cui non si può
escludere a priori la possibilità che le aspettative non siano quelle aspettate.
Le modificazioni del rapporto individuo-società, a loro volta collegate all’ampliamento e
alla diversificazione delle cerchie sociali, sono processi che hanno conseguenze anche sul
fronte della libertà: la moltiplicazione delle appartenenze a gruppi e sfere di vita differenti,
il pluralizzarsi dei centri attorno cui gravita la vita individuale, tipico della modernità,
riduce l’ingerenza della cerchia di origine sul singolo e consente all’individuo moderno un
genere e un grado di libertà personale impensabile nella società tradizionale. Va inoltre
sottolineato che in queste trasformazioni che portano alla società moderna, gioca un ruolo
importante il passaggio dall’economia naturale a quella monetaria. L’economia monetaria
fa sì che il denaro, in quanto mobile e facilmente trasportabile, si presta a raggiungere
distanze interminabili, favorisce l’ampliamento dei contatti e degli scambi e la sua
tendenza all’espansione è tale da trasformare l’intero mondo civile in un’unica cerchia
economica con interessi che si intrecciano gli uni con gli altri. Accanto all’ampliamento
delle cerchie sociali ed economiche, l’altra direzione di mutamento a cui contribuisce la
diffusione del denaro è l’individualizzazione dell’uomo, che si declina sia sul fronte della
specializzazione delle attività, alimentata dalla concorrenza e dall’estensione del gruppo
economico.
In società semplici e costituite da gruppi di ridotte dimensioni, i rapporti interpersonali
sono per lo più diretti e si basano su una conoscenza reciproca approfondita. La fiducia
che opera in contesti simili è la fiducia personale. Man mano che la società diventa più
ampia e complessa, i rapporti di conseguenza si fanno sempre più allargati, si moltiplicano
le situazioni in cui si sa poco o nulla degli altri con cui si viene in contatto, non basta più la
fiducia personale, ma ci si appoggia a quelle forme di garanzia che risultano dalle
istituzioni sociali, dalle leggi, dai simboli. Ciò che simboleggia al massimo rado questo
secondo tipo di fiducia, è il denaro: per Simmel esso è la forma più concentrata ed estrema
in cui si esprime la fiducia nell’ordinamento sociale e statale, al punto che il presupposto
stesso, che è alla base dell’uso del denaro, è la fiducia. Nessuno ricorrerebbe al denaro per
i propri scambi, o accetterebbe una retribuzione in denaro del proprio lavoro, se non
avesse fiducia che esso potrà essere utilizzato in un momento successivo e che tutti,
all’interno di una determinata comunità economica, ne riconosceranno il valore.
Inoltre la diffusione del denaro si intreccia con il cammino della libertà. Va evidenziata la
capacità di Simmel di distinguere gli aspetti morali e astratti della libertà, dal suo
problema pratico. L’analisi dell’intreccio tra denaro e libertà si concentra in particolare
sulle trasformazioni indotte dall’affermarsi dell’economia monetaria, nell’ambito dei
rapporti di lavoro e più in generale degli obblighi giuridici riguardanti la persona. Simmel
attribuisce importanza cruciale a quel cambiamento che porta le prestazioni lavorative ad
essere pagate in denaro. Il contratto formale di lavoro retribuito in denaro, che si diffonde
congiuntamente all’affermarsi del capitalismo industriale, comporta forme di dipendenza
meno pesanti e pervasive, almeno sul piano qualitativo e potenziale. L’obbligazione non è
più estesa all’intera persona, o la investe direttamente, come nella schiavitù e nella servitù,
ma è circoscritta ad una determinata prestazione e arriva infine a legarsi ai prodotti di
lavoro. Il rapporto datore di lavoro/lavoratore, mediato dal denaro, è quindi
qualitativamente molto diverso dal rapporto padrone/servitore. Per l’operaio della
fabbrica moderna, che riceve un salario in denaro, si schiude una sfera di libertà nei
confronti di tutto ciò che sta al di fuori della prestazione contrattuale. Le condizioni
materiali di questo nuovo tipo moderno di lavoro dipendente possono essere però anche
durissime e comporre un alto grado di sopportazione. Simmel ammette infatti che essi
possono apparire come degli schiavi travestiti. Il nuovo sistema però svincola dalle odiose
forme di dipendenza personale che incatenavano una vita intera e contempla la possibilità
di cambiare datore di lavoro, di licenziarsi, di passare da un lavoro all’altro, di spendere
come meglio si crede il denaro guadagnato, di risparmiarlo, di investirlo, di trasformarlo
nei beni e nei servizi desiderati. Nello stesso tempo questa libertà del tutto nuova libera
anche il datore di lavoro dal dover provvedere personalmente alla sussistenza dei propri
sottoposti. L’imprenditore è tenuto esclusivamente ad un mero pagamento in denaro, cosa
accada poi nella via del lavoratore non lo riguarda. Il prezzo di questa libertà è dunque
l’insicurezza, l’essere costretti a competere sul mercato del lavoro, il rischio di perderlo e
non riuscire a ritrovarlo, la costante preoccupazione per il futuro. Il denaro detiene tanto
un impareggiabile potere emancipativo, quanto un elevato potenziale di distruzione
dell’immediatezza dei rapporti interpersonali e di degradazione dell’individuo a sola
“funzione”.
Queste tendenze che incrementano il grado di libertà dell’uomo moderno convivono però
con altre che risultano degenerative di quelle stesse conquiste di libertà. Così lo stile di vita
dell’uomo moderno, che vive a continuo contatto col denaro, si frammenta, si orienta alla
rincorsa di soddisfazioni momentanee. L’aumentata libertà si svuota così di senso. Il
denaro esercita una pressione costrittiva sul singolo, schiacciandolo nel proprio ruolo
sociale e lavorativo, inglobandolo in un meccanismo dove ha rilievo solo per la funzione
svolta e non come “persona intera”. Simmel ritiene che la libertà si configuri come un
gioco di vincoli, come un passaggio da un vincolo all’altro. La libertà assoluta, cioè sciolta
da ogni vincolo, è un mito o un non-senso.
Simmel affronta inoltre il rapporto morale-libertà. Senza responsabilità la nostra esistenza
sarebbe in balia o della casualità fluttuante degli eventi, o di un meccanismo
deterministico di causa-effetto, che scavalca il soggetto. La responsabilità è pertanto
costitutiva della libertà e non un elemento accessorio e successivo al suo esercizio o una
sua riduzione. Il nesso libertà/responsabilità si fa però problematico nell’epoca moderna e
ancor più ai nostri tempi, caratterizzati da individualismo estremo, disorientamento etico
e crisi dell’agire responsabile. A mettere in crisi la responsabilità è anche, come già
evidenziato, l’esasperazione dell’individualismo, che spesso scivola nel cinismo, sgretola
le forme di solidarietà e conduce a perseguire a tutti i costi una libertà estrema, che non
tiene conto degli altri e vede nella responsabilità solo una limitazione ed un intralcio.

3. Figure sociali di confine e dinamiche di potere


Nella galleria di tipi sociali che Simmel delinea con grande sensibilità ritrattistica e
interpretativa (tra cui vagabondo, avventuriero, avaro, cinico, mediatore, uomo blasè)
assumono particolare rilievo euristico le figure del limite, del confine, della non-
appartenenza ed estraneità. Lo straniero ed il povero ne sono i principali rappresentanti.
Per Simmel è nell’interazione con gli altri che gli individui si attribuiscono posizioni sociali
e aspettative di comportamento. Ad esempio il povero non coincide con chi
semplicemente ha scarse risorse economiche ed è indigente sul piano personale: il povero
si fa tale agli occhi di se stesso e soprattutto degli altri, quando diventa oggetto di
interventi assistenziali da parte di chi povero non è. Sia il povero che lo straniero sono
dunque figure di confine: essi incarnano i confini del gruppo sociale in cui si trovavano a
vivere e come ogni confine sono contraddistinti da due facce, una che guarda verso
l’interno e l’inclusione, l’altra che guarda verso l’esterno e l’esclusione.
La dimensione del potere è sempre implicata in ogni rapporto sociale, negli effetti di
reciprocità che esso comporta. Il potere non è un attributo del soggetto, qualcosa che si
possiede, ma si esprime nelle modalità di influenza e contro influenza, che si giocano
sempre nei rapporti sociali, siano essi tra individui, gruppi o intere collettività. Questa
influenza e intenzionalità direttiva può anche essere organizzata istituzionalmente,
raggiungere una forza tale da estendersi all’intera popolazione di uno Stato, ma sempre
necessita di un riconoscimento, di una risposta, di una legittimazione da parte di coloro
verso i quali l’influenza e l’azione direttiva sono rivolte.
Simmel esegue inoltre un’analisi sociologica del segreto. Emerge come il segreto sia una
forma di azione reciproca che comporta effetti di potere, i quali si realizzano in prima
istanza tramite l’esclusione degli altri dal possesso di un sapere riservato. Il segreto
produce effetti di potere come pura forma sociologica. Il vantare il possesso di un segreto
pone l’altro in condizione di inferiorità. La forza del potere risiede proprio
nell’esposizione del suo possesso e nella duplice possibilità di poterlo mantenere o di
poterlo tradire; questa è una forza che può essere utilizzata strategicamente.

4. Forme e giochi di relazione


Simmel si sofferma soprattutto sugli aspetti “micro” della società e su ciò che
apparentemente può essere scontato. L’attenzione per le piccole forme di relazione che
costellano la vita di ogni giorno non è affatto “impressionismo sociologico”, è proprio
questione di metodo.
L’autore rimane esemplare per il suo metodo di lavoro e di ricerca che da un fenomeno
apparentemente banale e frivolo ricava una ricchezza e una profondità di argomentazione
di grande respiro filosofico e sociologico.
Partendo infatti dalla fenomenologia della moda, da aspetti riscontrabili e osservabili nella
quotidianità della vita, arriva a mettere a fuoco questioni altamente complesse: il grande
tema della soggettività e della ricerca della propria identità, le dinamiche del rapporto
individuo-società, gli antagonismi di classe, l’intreccio tra libertà e condizionamento
sociale, l’apparenza e la sostanza, l’essere e il divenire. Egli percepisce come la moda possa
comportare una violenza nei confronti dell’individualità delle cose; gli imperativi della
moda esercitano una pressione forte, una spinta ad omologarsi, pena la negatività del
giudizio sociale e la marginalizzazione nel gruppo di appartenenza. Ma Simmel scorge
nella moda anche una risorsa per i singoli nel loro rapporto con la collettività e nella
costruzione della propria identità, sia nel caso di personalità deboli, che in essa trovano un
sostegno, delle modalità già pronte da imitare per conseguire un certo grado di
riconoscimento sociale e individualizzazione che libera così l’individuo dal tormento di
scelte autonome.
Simmel si occupa in particolare di socievolezza, ovvero la forma ludica del fare società, è
reciprocità pura che non ha contenuti né scopi se non il piacere dello “stare insieme”. Le
intuizioni di Simmel possono essere estese a tutte quelle attività che nella società
contemporanea, che si caratterizza come società del tempo libero, si compiono per svago
senza scopi utilitaristici o materiali e riempiono la vita quotidiana della grande massa
delle persone. Simmel non dequalifica le forme ludiche di socializzazione come
semplicemente vuote o futili o superficiali momenti di fuga dalla realtà, ma si interroga sul
senso profondo che esse assumono rispetto alla complessità della vita. Proprio perché
consentono una sospensione dalla vita reale, con i suoi affanni, la sua pesantezza e la
gravità dei suoi scopi materiali, la socievolezza e le altre forme di relazione ludica riescono
ad attivare passioni e desideri che spezzano la schizofrenia individuale e si situano al di là
della costrizione o dell’utilità che ci aspettiamo dalla vita in comune. All’interno di esse si
leniscono le tensioni della frenesia quotidiana, si vive un momentaneo sgravio dalle
urgenze e necessità della vita e ciò permette di liberare energie socievoli pure, di
rigenerare il legame sociale senza scopi ulteriori, di consolidare lo stare insieme.

Nimia observantia in Simmel


La sociologia di Simmel ci aiuta a comprendere la complessità dei nostri sistemi sociali,
egli dimostra che la sociologia può darsi un livello di analisi molto generale, senza però
rinunciare all’analisi dell’azione sociale. Simmel è una figura piuttosto complessa, attenta
ai nodi critici della società europea e non si è occupato soltanto di sociologia classica, ma
anche di educazione e sociologia della cultura. Con Simmel si apre una nuova pista di
confronto sul ruolo della sociologia. La sociologia simmeliana coglie il fluire della vita, che
per essere capita deve fermarsi nelle forme, intuendo il dinamismo e la tragicità della
cultura moderna. Interesse, scopo e motivo sono gli elementi inseparabili di ogni
accadimento sociale. Simmel ci richiama ad un apertura al dialogo: per quanto molteplici
siano le relazioni umane, costituiscono forme di sociazione e azioni reciproche. Le
relazioni umane costituiscono l’oggetto della sociologia. Forma e contenuto costituiscono
la società umana che esiste dove gli individui e le persone entrano in relazione per un
determinato impulso o un determinato scopo. Costituiscono una realtà unitaria con
modalità di azione reciproca. La società umana si configura come un insieme di individui
associati; la sociologia infatti studia tutto ciò che accade NELLA e CON la società. La
società nasce soltanto quando queste relazioni reciproche diventano operanti. Le forme
sociali condizionano i gruppi umani, perché gli individui non vivono isolati, ma l’uno
accanto all’altro. In generale la società appare come una forma di aggregazione specifica al
di là della quale si pongono le idee dell’umanità e dell’individuo. Pur essendo immerso
nelle relazioni sociali, l’individuo non si risolve solo nell’essere membro, infatti le cerchie
degli interessi sociali sono disposti concentricamente a noi: più piccole sono le cerchie, più
ci sentiamo avvolti da esse. L’uomo non è mai mero essere collettivo, né mero essere
individuale. Il processo di costruzione dell’individualità vive in fasi alterne e si sviluppa
attraverso la BILDUNG, la formazione culturale ricca di possibilità sperimentali per
l’individuo, che consente di contrastare le pressioni crescenti della cultura dominante del
WECHSELWIRKUNG, cioè la capacità umana di mettere in atto azioni reciproche. Il
mondo che si offre alla conoscenza è una nostra rappresentazione, una serie di fenomeni
costituiti da parvenze sensoriali collegate in base alla struttura del soggetto, che sono
spazio, tempo e causalità. La coscienza si identifica come corpo e l’agire è la volontà di
vivere. Nietzsche, criticando la società moderna, vede il ripetersi di una necessità fatale di
un circolo eterno, l’eterno ritorno dell’identico.
Simmel aiuta a comprendere la divisione, la duplicità dell’esistenza umana: il bisogno di
individualizzazione, ma anche il suo contrario, cioè il bisogno di appartenenza e
condivisione.
Simmel aveva capito che “se la cultura è una corrente che va dal soggetto al Soggetto
attraverso l’oggetto”, questo circolo se troppo esposto di dimensione, rischiava di
interrompersi trasformando quello che un tempo veniva definito regno dello spirito in una
sfera oggettiva autonoma e dunque senza significato. Il mondo dell’espressione è l’esatto
opposto del mondo dell’informazione, non si sviluppa nel senso dell’ampiezza, ma in
quello della profondità. Gli individui formano la società, quanto più individuali sono i
desideri e le necessità, tanto più è improbabile che essi trovino il soddisfacimento in un
ambito strettamente limitato. La vita sociale empirica viene definita a priori, perché essa
non è del tutto sociale. Un individuo infatti vive nel medesimo tempo dentro e fuori la
società e non è del tutto società. L’uomo nella società per questo non è come un elemento
dentro ad un insieme, in quanto tale elemento o sta all’interno o all’esterno dell’insieme
stesso, mentre l’individuo è al contempo dentro e fuori la società: è modellato dalla stessa,
ma all’interno di essa si autorealizza. La società moderna è fonte di autonomia, ma allo
stesso tempo presenta degli ostacoli che si presentano tra l’individuo e la sua
realizzazione. In ogni tipo di relazione sociale a cui l’individuo fa fronte, si instaura un
rapporto ambivalente di armonia e conflitto, qualsiasi relazione infatti reca con sé
sentimenti positivi, ma anche negativi. L’idea di ambivalenza suggerisce che l’individuo
appartiene a quelle che Simmel chiama cerchie sociali: più è differenziata la società, più
crescono gli ambiti di appartenenza dell’individuo. Così egli stesso è allo stesso tempo
centro delle relazioni sociali e appartenente a più cerchie. Più le appartenenze si
moltiplicano, più l’individuo ha l’opportunità di rintracciare la propria identità.

I vicini lontani
Sociologia dello straniero attraverso Simmel, Bauman e Beck
Simmel ebbe difficoltà ad essere accettato in ambito accademico, dove, in parte a causa
delle sue origini ebraiche, fu sempre considerato un outsider e ostacolato nella carriera.
Forse anche per queste ragioni Simmel ha saputo tratteggiare nella Sociologia un’analisi
della figura sociale dello straniero.

1.1 Dimensione spaziale/relazionale e ambivalenza dello straniero


In apertura dell’excursus, Simmel precisa che intende occuparsi di un “tipo” peculiare di
straniero, non “il viandante che oggi viene e domani va, bensì colui che oggi viene e
domani rimane”. A Simmel non interessa il forestiere di passaggio, il turista, il nomade e
nemmeno lo straniero che vive in paesi lontani; gli interessa invece lo straniero con cui ci
imbattiamo concretamente nella realtà quotidiana della nostra vita, lo straniero “interno”,
che vive stabilmente in mezzo a noi.
Ciò che colpisce dell’approccio simmeliano è l’impostazione eminentemente sociologica
(l’essere straniero come forma di azione reciproca) e la configurazione spaziale dello
straniero (egli è tale poiché viene da lontano pur vivendo vicino a noi).
Quando ad esempio i nostri familiari e congiunti, vanno a vivere in un’altra città o in un
altro paese, intratteniamo con essi rapporti “a distanza” (il soggetto vicino è lontano); nel
caso dello straniero si stabilisce nella nostra stessa città, ci vive accanto, condivide gli stessi
spazi (il soggetto lontano è vicino). La distanza e la prossimità non sono mai solo fatti
fisici, ma funzioni sociologiche.
Il ricorso a categorie spaziali è la base per mettere a fuoco quella che nell’analisi
simmeliana emerge come caratteristica principale dello straniero: l’ambivalenza. Lo
straniero è vicino eppure è lontano, vive qui ma viene da altrove. Egli resta “il viandante
potenziale che, pur non avendo continuato a spostarsi, non ha superato del tutto l’assenza
di legami dell’andare e del venire”. “Nei rapporti più intimi da persona a persona lo
straniero può dispiegare tutte le attrazioni possibili”; non dice quali, ma possiamo intuire
siano il fascino del diverso nel senso di nuovo ed esotico, o di colui col quale ci si può
confidare, contando su un giudizio obiettivo e senza temere conseguenze perché è slegato
dalla nostra cerchia abituale; ma al tempo stesso verso lo straniero agiscono elementi
repellenti e distanzianti, il diverso è lo sconosciuto con cui non si sa come regolarsi, di cui
non si conoscono le intenzioni, potenzialmente ostili.
L’ambivalenza caratteristica dello straniero ha poi un risvolto cruciale sul piano delle
modalità di appartenenza al nuovo contesto di insediamento e a livello delle relazioni
sociali con il gruppo integrato. Egli appartiene al gruppo proprio in base ad uno statuto
che parzialmente lo esclude, e i modi della sua esclusione definiscono anche i modi della
sua inclusione. Essere membro significa essere dentro un gruppo sociale, esserne incluso;
lo straniero e il povero sono al tempo stesso dentro e fuori la società. Lo straniero è una
figura di confine, il quale è contraddistinto da due facce, una che guarda verso l’interno e
l’inclusione, l’altra che guarda verso l’esterno e l’esclusione. L’essere straniero è forse la
più apertamente paradossale espressione del “né con te, né senza di te”.

1.2 Le basi epistemologiche della tipologia simmeliana dello straniero


Per Simmel lo straniero, l’essere estraneo pur essendo membro, l’essere distante pur
essendo vicino, non è che un “caso speciale della problematica epistemologica
caratteristica dell’intero processo d’associazione. Ogni individuo è, infatti, almeno in parte
“esterno” al gruppo sociale, essendo tale esteriorità la conditio sine qua non del suo
personale processo di associazione”. In ogni rapporto intersoggettivo, anche il più stretto,
c’è “la necessità della distanza e l’esigenza di salvaguardare ciò che va oltre il rapporto
stabilito”.
In ognuno di noi è presente come presupposto, dunque come a priori, della nostra
coscienza di esseri sociali e del nostro agire socialmente, la consapevolezza che “ogni
elemento di un gruppo non è soltanto parte di una società, ma è inoltre ancora qualcosa”.
La chiave interpretativa da seguire è quella che rinvia al secondo a priori della conoscenza
sociale e della vita sociale. Esso si riferisce all’ambivalenza, costitutiva di ogni rapporto
sociale, tra bisogni di appartenenza, di condivisione, di identificazione ed esigenze di
differenziazione dall’altro e di affermazione della propria individualità. La compresenza
di queste due determinazioni logicamente contrapposte fa sì che nelle relazioni sociali si
oscilli tra accettazione, vicinanza, apertura nei confronti dell’altro, ed esclusione, distanza,
rifiuto dell’altro. I rapporti che gli uomini stringono tra di loro non sono totalizzanti,
tranne in qualche eccezione, ma conservano una zona d’indipendenza reciproca che deve
essere rispettata. Gli individui possono accettare di far parte della società secondo diversi
tipi di rapporto solo se sono garantiti di non farne parte per altri effetti.
Il caso dello straniero consente di far emergere con maggiore visibilità anche il primo a
priori, che si riferisce all’impossibilità di cogliere l’altro nella sua totalità e alla
conseguente inevitabilità di conoscerlo solo in termini generalizzati, attraverso
categorizzazioni e tipizzazioni. Noi vediamo l’altro non nella sua individualità, ma sempre
in relazione a qualche categoria sociale nella quale lo collochiamo, con tutti i pregiudizi e
gli stereotipi che ciò comporta. Se incontriamo per strada una donna con il chador, la
identifichiamo prima come musulmana, che come donna e meno che mai come donna
unica e diversa da tutte le altre. “Gli stranieri non vengono neppure sentiti propriamente
come individui, ma come stranieri di un determinato tipo”.
Infine, a trovare evidenza intensificata nel caso dello straniero, è anche il terzo a priori:
consiste nell’idea che l’individualità del singolo trova posto nella struttura
dell’universalità, in una correlazione che idealmente può essere pensata come armonica e
in cui esista un posto a misura di ognuno. Questa consapevolezza muove le interazioni e i
processi di sociazione e rende possibile la società.
Questo significa che anche lo straniero può trovare il suo posto nella società, seppure nella
sua specifica posizione di incluso/escluso. Simmel sottolinea che lo straniero penetra nella
cerchia come soprannumerario, dapprima svolgendo attività commerciali,
successivamente andando ad occupare quei posti di lavoro che gli autoctoni non vogliono
più fare, perché poco prestigiosi o troppo faticosi come il panettiere, il muratore, le badanti
e così via.

1.3 Fenomenologia e funzioni dello straniero all’interno della società


ospitante
“In tutta la storia dell’economia lo straniero appare ovunque come commerciante, oppure
il commerciante come straniero”. È lui ad assumersi l’incarico dei rapporti con l’esterno.
Egli si inserisce come soggetto economico “complementare” o “soprannumerario” al
mercato del lavoro locale ed è portatore di evoluzione e sviluppo. Lo straniero si pone
quindi come il simbolo del nuovo che irrompe.
La corrispondenza biunivoca tra il commerciante e lo straniero è dovuta anche al fatto che
commercio e finanza (commercio di denaro) sono spesso le uniche posizioni che il nuovo
arrivato può ritagliarsi in società, essendogli precluse le cariche pubbliche. Spesso gli
stranieri sono anche gruppi marginali per i quali l’attività commerciale e finanziaria
rappresenta l’unica possibilità di affermazione sociale.
Denaro e straniero hanno in comune il “carattere specifico della mobilità”, ma anche la
neutralità, l’indifferenza ai valori e l’assenza di legami. Riemerge qui con evidenza che se
negozi commerciali e monetari si addicono allo straniero è in virtù della sua particolare
posizione formale di “sintesi di vicinanza e di distanza”, di mobilità e di stabilità.
Un altro aspetto interessante che unisce vicinanza e lontananza è l’oggettività dello
straniero. Egli è in grado di avere uno sguardo più lucido e distaccato e al tempo stesso
più imparziale nella valutazione delle questioni interne al gruppo, rispetto ai membri che
in esso vivono da sempre. Questo peculiare atteggiamento predispone lo straniero a
svolgere il ruolo di arbitro nelle contese e di giudice meglio di qualsiasi altro membro
della comunità. Simmel cita una prassi in voga nelle città italiane che chiamavano i loro
giudici dal di fuori, perché nessun nativo era libero dai vincoli degli interessi familiari e di
partito. Egli è anche il confidente ideale e l’intermediario ideale per i problemi di ordine
emotivo e sentimentale. Simmel richiama in proposito il fenomeno della “conoscenza di
viaggio” (quando ci confidiamo con qualcuno che incontriamo viaggiando sapendo che
non lo rivedremo più); proprio alla persona slegata dalla nostra cerchia ci sentiamo di fare
le rivelazioni più intime perché può darci consigli disinteressati senza tradirci o alimentare
pettegolezzi.
La stessa mancanza di vincoli che lo rende libero, è anche mancanza di quei legami di
solidarietà e fratellanza che esistono invece tra i membri della comunità e che agiscono in
senso protettivo nei confronti degli “interni”. Lo straniero è più libero, ma è meno
protetto.
È in considerazione dei diversi gradi di estraneità e comunanza che entrano in gioco nelle
relazioni, che Simmel fa riferimento al caso limite dell’estraneità assoluta, cioè una specie
di estraneità in cui è esclusa proprio la comunanza sul terreno di un elemento più
generale, che comprende le parti. Ne sono esempi le due figure di stranieri nella cultura
greca: lo xenos è straniero rispetto alla città presa in riferimento, ma è comunque di stirpe
greca; il barbaros invece è “straniero due volte”, sia sul piano politico, sia su quello etnico-
culturale.
Il completamente estraneo diventa propriamente il “non-umano”. È così che si aprono le
strade del razzismo, della persecuzione e della guerra. Quando si arriva al “non-umano” e
al “nemico”, lo straniero non c’è più. Si perde quello che costituisce il cuore e il motore di
questa figura sociale: l’ambivalenza.
Ogni gruppo sociale pone le basi della sua esistenza, vive e si evolve attraverso due
operazioni opposte, ma profondamente complementari: l’affermazione della propria
identità cui corrisponde l’esclusione di chi è diverso e l’apertura verso l’esterno, il
cambiamento, cui corrisponde l’inclusione dello straniero. Il cambiamento suscita
desiderio e preoccupazione insieme, sensazioni contrastanti dettate da un lato dal bisogno
di innovare e dall’altro dalla necessità di marcare il proprio territorio e di preservare la
propria identità.
È lo straniero, con il suo essere in parte esterno al gruppo con cui si relaziona, a rendere la
comunità consapevole della sua identità: solo contrapponendosi ad un elemento estraneo
si diventa pienamente coscienti dei legami simbolico-relazionali che definiscono un
determinato gruppo in quanto tale e ci si riconosce all’interno dello statuto simbolico del
“noi”. È un rapporto aperto a molteplici sviluppi.
Lo straniero svolge due funzioni importanti per il gruppo: sul piano simbolico, quella di
mezzo comparativo per marcare l’identità del gruppo; sul piano politico, quella di mezzo
per rafforzare l’unità.

1.4 Il contributo di Simmel alla sociologia dello straniero: per un bilancio


critico
Simmel ha il merito di essere tra i pionieri della riflessione sociologica sullo straniero. Si
dedica all’argomento già nel 1900, in Filosofia del denaro. In particolare ha messo in
evidenza la rappresentazione sociale della figura dello straniero e il sistema di relazioni
che si instaura tra straniero e gruppo integrato.
Volendo riassumere i punti nodali dell’apporto simmeliano, essi consistono in primo
luogo nell’aver proposto un approccio eminentemente “sociologico” allo studio dello
straniero, anzi un approccio “relazionale”. Per Simmel è nella relazione con gli altri che gli
individui si attribuiscono posizioni sociali e aspettative di comportamento: è questa la
chiave con cui egli delinea quell’affascinante “galleria” di tipi sociali, oltre allo straniero, il
povero, il vagabondo, l’avaro, l’avventuriero e così via, di cui è intessuta la sua Sociologia.
In secondo luogo, Simmel mette a fuoco alcuni tratti formali “costanti” dell’essere
straniero che rimangono illuminanti per comprenderne la specificità in quanto “forma
sociologica”. La categoria dell’ambivalenza mostra ancora un alto potenziale euristico e
non a caso è diventata un topos negli studi del settore, un punto fermo da cui partire per
poi osservare altri tratti, altri aspetti o particolari declinazioni dell’ambivalenza stessa.
Che le coordinate teoriche principali in cui si sostanzia la determinazione sociologica dello
straniero siano comuni ad altre figure dell’esclusione è lo stesso Simmel a evidenziarlo,
soprattutto attraverso frequenti richiami e paralleli con la figura sociale del povero. Non
solo Simmel comprende che non sono tratti oggettivi, l’indigenza economica o la
differenza etnica in sé, a rendere il povero e lo straniero tali, quanto piuttosto delle
dinamiche relazionali, ma riesce a mettere in luce proprio la particolarità e l’essenza
formale del tipo di interazione che “crea” il povero e lo straniero.
Simmel è molto chiaro in proposito: il tipo di straniero che intende considerare è il
viandante che oggi viene e domani rimane, la cui posizione nella nuova società di
destinazione è determinata essenzialmente dal fatto che egli non vi appartiene fin
dall’inizio. Rispetto a questa definizione è possibile riscontrare delle eccezioni: gli ebrei
hanno continuato a sentirsi stranieri e/o essere considerati “stranieri” seppure il fatto
migratorio avesse origini remote, anche se nati e vissuti in Germania, anche se formati alla
cultura tedesca, anche se convertiti alla religione cristiana o laici. Proprio Simmel sembra
esserne un esempio, fu lo stesso in varie occasioni bollato come “ebreo”, dunque straniero,
diverso, “altro”. Fu giudicato da un professore come “E’ ebreo da cima a fondo, nel suo
aspetto esteriore, nel portamento e nella mentalità”. Rimane il fatto, anche Weber dà
testimonianza, di un antisemitismo diffuso nel mondo accademico.
Nell’impostazione dell’excursus sono riscontrabili una sensibilità e un modo di leggere il
fenomeno dell’essere straniero che derivano a Simmel dall’aver conosciuto, attraverso la
storia e l’esperienza di vita, sia le situazioni di emarginazione e parziale esclusione, sia i
casi di affermazione economica e intellettuale dei gruppi ebraici. Allo stesso tempo sembra
emergere in modo implicito una volontà di distanziamento sul piano personale dal caso
dello straniero e un’indiretta rivendicazione della propria piena appartenenza alla società
tedesca.
Anche se Simmel sceglie di analizzare un tipo particolare di straniero, “colui che oggi
viene e domani rimane”, va notato che egli accenna pure ad un altro tipo di straniero: il
completamente estraneo.
L’interpretazione simmeliana ha il grande merito di mettere a fuoco i processi di
“inclusione esclusiva”, per cui lo straniero viene a far parte di una nuova società di
destinazione assumendo, per lo più, specifiche posizioni di marginalità e di parziale
esclusione, ma non affronta in modo esplicito la questione di chi abbia il potere di
confinarlo ai margini della società e dei modi in cui ciò avvenga. Simmel sembra accennare
a una strumentalizzazione dello straniero in funzione di “capro espiatorio” e al suo
entrare in gioco nelle dinamiche sovra-ordinazione/subordinazione. È una figura fragile
contro la quale può rivolgersi un’ondata di xenofobia se si presentano condizioni che
scuotono la sicurezza identitaria del gruppo.
Simmel intuisce che la modernità, e segnatamente le condizioni esistenziali della
metropoli, non fanno che esasperare il paradosso della vita sociale, quell’essere in parte
inclusi nelle relazioni e in parte estranei rispetto ad esse, quell’essere insieme vicini e
lontani che si manifesta nel modo più eclatante nella figura sociale dello straniero, ma che
in fondo appartiene ad ogni essere umano. Siamo tutti un po’ “stranieri a noi stessi, altri
nella nostra identità, identici nella nostra alterità”.

2 Con e oltre Simmel. Lo straniero nella società contemporanea


La presenza di “stranieri” è diventata una caratteristica vistosamente emergente e
numericamente importante.
Il processo di globalizzazione, l’acuirsi delle disuguaglianze economiche tra nord e sud del
mondo, la maggiore facilità di spostamento e di diffusione di contatti e informazioni,
l’instabilità politica e il proliferare di guerre interne in molti paesi periferici o semi-
periferici del sistema mondo hanno innescato massicci movimenti migratori, aumentato in
generale la mobilità fisica e spaziale delle persone e trasformato le nostre società in senso
multietnico e multiculturale.

2.1 Zygmunt Bauman: le metamorfosi dello straniero dalla società moderna


alla “postmodernità”
Due concetti famosi di Bauman:
 Postmodernità è il periodo in cui viviamo, che viene dopo la modernità;
 Società liquida significa che nella nostra società non esistono punti fermi, ma tutto è
in continua trasformazione, appunto come un liquido, che non avendo una forma
solida, si diffonde da tutte le parti.
Bauman parte da Simmel, dedicando ampio spazio alla riproposizione e reinterpretazione
dei punti nodali dell’analisi simmeliana. In primo luogo un’influenza simmeliana è
riscontrabile nella concettualizzazione dello straniero come figura costitutivamente
“ambivalente”; è un punto di importanza cruciale, perché è proprio dall’ambivalenza che
hanno origine le paure, le attrazioni, le strategie di intervento. In secondo luogo cìò che
interessa Bauman, come Simmel, è fare una “sociologia” dello straniero, indagare le
modalità di azione e reazione sociale che la sua presenza innesca. In terzo luogo anche
Bauman considera rilevanti ai fini dell’indagine sociologica gli stranieri che sono e
rimangono tra noi (stranieri interni). In quarto luogo è simmeliano concepire la peculiarità
sociologica dello straniero con categorie spaziali come “distanza” verso chi ci è vicino in
senso fisico. Il distanziamento e l’estraneità si presentano con gradazioni diverse, a
seconda della zona urbana e del tipo di “straniero” con cui ci si imbatte: l’intera vita di
città è realizzata da stranieri tra stranieri e straniero è ciascuno di noi non appena esce di
casa. Ulteriore elemento tratto da Simmel è riscontrabile nella sottolineatura
dell’oggettività dello straniero. Anche Bauman come Simmel è ebreo ed entrambi hanno
vissuto difficoltà e discriminazioni, legate al loro essere in qualche modo “stranieri in
patria”.
Bauman ricostruisce le due principali strategie che la modernità ha proposto per
“risolvere” la questione stranieri. La prima viene definita come strategia antropofagica e
consiste nell’annullare gli stranieri divorandoli per poi metabolizzarli rendendoli una
copia perfetta di se stessi. Si tratta di cannibalismo culturale, che mira a soffocare le
distinzioni culturali, le tradizioni, i legami con l’ambiente di provenienza, fino a rendere
simile il dissimile. È altrimenti nota come strategia dell’assimilazione. La seconda strategia
è definita antropoemica: consiste nel rigettare gli stranieri, scacciandoli oltre le frontiere
del mondo ordinato, oppure escludendoli da ogni contatto con i suoi legittimi abitanti. È la
strategia dell’esclusione, che si declina sia sul piano fisico, sia sul piano simbolico e
relazionale. La strategia dell’assimilazione venne teorizzata e applicata prevalentemente
dal progetto moderno di stampo “liberale”, quella dell’esclusione dalla sua versione
nazionalista/razzista. Entrambe si sono rivelate incongrue, dannose e perfino
controproducenti.
Per Bauman, nel nostro mondo postmoderno è irrealistico pensare di poter “eliminare” gli
stranieri, bisogna accettare come inevitabile la coesistenza permanente con l’estraneo e il
diverso. Inoltre è un vantaggio diventare eterofili (amare il diverso), in quanto la
differenza è un dono e un privilegio ed amplia l’orizzonte culturale. Purtroppo per essere
eterofili bisogna godere di buone condizioni economiche e culturali e non tutti gli
autoctoni posseggono queste qualità. Oggigiorno anche a livello politico ormai sia destra
che sinistra concordano sul fatto che le differenze vadano riconosciute e tutelate.
Nell’epoca postmoderna le loro abilità e competenze sono ritenute utili e vantaggiose
proprio perché straniere.
A parole siamo tutti capaci di dire che abbiamo bisogno degli stranieri, che sono una
risorsa economica e culturale, che occorre predisporre percorsi di accoglienza e
integrazione, ma nei fatti per un’ampia categoria di persone cresce la diffidenza e la paura
nei loro confronti.
I sicuri e gli appagati sono favorevolmente disposti nei confronti degli stranieri; coloro che
sono svantaggiati, deboli, senza risorse, ne sono invece impauriti. Occorre pertanto
considerare la dualità dello status socialmente prodotto degli stranieri, che nella
postmodernità corre lungo una nuova ambivalenza, quella tra piacere e paura.
Piacere/paura, sicurezza/insicurezza diventano le parole-chiave per comprendere i
mutamenti che la postmodernità porta con sé, richiedendo un’attenzione privilegiata alla
categoria sociale dello straniero.

2.2 L’ambivalenza dello straniero nel contesto della vita urbana


Per il sociologo polacco l’ambivalenza della vita in città e l’ambivalenza dello straniero si
corrispondono e si riflettono l’una nell’altra. Lo straniero presenta due facce, che si
proiettano in due rappresentazioni sociali: straniero visto dal “flaneur” e lo straniero “ante
portas”. Entrambe riflettono opposte disposizioni interiori stimolate dalla vita urbana: la
mixofilia, l’attrazione e il desiderio di mescolarsi con le differenze e la mixofobia, che è il
sentimento contrario, cioè l’avversione e la paura del contatto e del mescolamento con chi
percepiamo come diverso, estraneo, alieno. Per il flaneur, il vagabondo in cerca di
sensazioni ed esperienze piacevoli, lo straniero è occasione di novità, piacere, eccitazione,
sorpresa. L’altra immagine dello straniero diffusa in città è impegnata nei sentimenti
xenofobi e mixofobi; l’ambivalenza che lo contraddistingue scivola verso il polo semantico
del “nemico”. Lo straniero ante portas è troppo vicino per permetterci di coltivarlo. In
particolare, chi non dispone di uno status sociale sicuro, chi fatica a trovare un lavoro, chi
vive nella precarietà, percepisce lo straniero come una minaccia a quel poco che ha, come
un concorrente sleale nel mercato del lavoro, come un potenziale criminale che attenta ai
nostri beni, come un pericolo contaminante per le proprie radici culturali e identitarie.
Occorre notare che nella fase attuale, definita da Bauman “postmodernità”, in cui si
moltiplicano le eterogeneità e le differenze, “l’estraneità” degli stranieri è diventata una
questione di gradi diversi: essa muta passando da un’area ad un’altra e l’intensità del
cambiamento differisce in base alle varie categorie di stranieri. L’immagine dello straniero
nella vita di città assume significati differenti per persone differenti: attraente o irrilevante
per alcuni, inquietante e minacciosa per altri, a seconda delle collocazioni di status, che si
riflettono su quelle spaziali e sulla libertà di movimento.

2.3 Stranieri, città e (in)sicurezza


Sempre di più nella città contemporanea le disuguaglianze sono contrassegnate
spazialmente e investono le possibilità di mobilità e di imposizione di confini. Gli
“stranieri” sono diventati i principali protagonisti di queste dinamiche
conflittuali/spaziali. L’ambivalenza inclusione/esclusione, l’essere “dentro” la città e al
tempo stesso esserne separati da confini più o meno marcati, simbolici o materiali, assume
nella disposizione spaziale urbana una delle sue espressioni più visibili e pregnanti. Ciò
che deve far riflettere è che la costruzione sociale dell’insicurezza e delle paure urbane
intreccia a doppio filo con la costruzione sociale e politica dello straniero. Le soluzioni
proposte soprattutto dal mercato al problema spesso congiunto della sicurezza e della
convivenza con stranieri minacciosi, creano disuguaglianze di accesso (chi ha più mezzi
economici può blindarsi la casa, scegliersi un quartiere sicuro, imporre e far presidiare
confini o rinchiudersi nelle gated communities, che sanciscono la separazione più vistosa dal
resto della società). Occorre porsi il problema di come rieducare allo spazio pubblico,
rivitalizzare i luoghi dell’incontro e della discussione, superare gli atteggiamenti difensivi
e di chiusura, dare nuovi contenuti alla categoria, sempre più svuotata e frammentata,
della cittadinanza.

2.4 Ulrich Beck: la costruzione sociale e politica dello straniero


Il problema iniziale da cui parte Beck è lo straniero da vicino, che ad un certo punto viene
trasformato in “straniero” per effetto di dinamiche di natura sociale e politica. È chiaro che
la sensibilità di Beck verso questo fronte della questione “stranieri” è acuita dal suo essere
tedesco e dal portare sulle spalle il peso storico dell’Olocausto nazista degli ebrei. Non è
un caso che il suo saggio sulla costruzione sociale e politica dello straniero inizi con
riflessioni sulla vicenda ebraica in Germania. L’essere straniero è frutto di una costruzione
sociale e politica, le presunte caratteristiche “oggettive” o sostanziali di alcune categorie di
persone c’entrano poco, è un fatto di percezione, di dinamiche relazionali e sociali, di
orientamenti e strategie politiche. È simmeliano considerare l’essere straniero come
modalità relazionale e ipotizzare un mondo in cui diventiamo un po’ tutti stranieri o
estranei gli uni agli altri. Lo straniero non può essere confuso con il forestiero o il turista di
passaggio, che conserva un’identità, sia autopercepita, sia riconosciuta dall’esterno. La
categoria di straniero significa: distanziamento dei vicini da parte dei vicini, un
distanziamento che non contempla alcun accordo reciproco. Gli stranieri possono sentirsi
autoctoni, anche se gli autoctoni li emarginano in quanto stranieri. Gli autoctoni possono
vedere come simili a sé persone che si sentono stranieri e vogliono mantenere le distanze.
Il primo punto fermo dell’essere straniero rimane di matrice simmeliana: gli stranieri sono
dei vicini di cui si dice che non sono come noi, o non si sentono come noi. Il secondo
elemento riguarda la natura di costruzione sociale delle stesse categorie di vicinanza e
lontananza, per le quali i processi di delimitazione e configurazione spaziale sono funzioni
psichiche e sociologiche. Da un punto di vista categoriale, non rientra in nessun modello
rigido, ma si trova in mezzo alle opposizioni, le attraversa e le mette in discussione. “Gli
stranieri sono l’ambivalenza come modo di esistere”. Un ulteriore aspetto che Beck mette
in evidenza è la relatività dell’essere straniero: “è sufficiente varcare qualche confine per
ritrovarsi nella condizione di straniero”.

2.5 Cambiamenti nel processo di costruzione sociale e politica degli


stranieri dalla modernità “semplice” alla modernità “riflessiva”
A Beck interessa occuparsi delle trasformazioni che il processo di costruzione sociale e
politica dello straniero ha attraversato e attraversa con l’aprirsi della fase di “modernità
riflessiva”. Il termine “riflessivo” indica che la modernizzazione ha consumato e perduto il
suo opposto e si ritrova confrontata con se stessa, con le premesse e i principi funzionali
della stessa società moderna-industriale. La globalizzazione mette in crisi la rilevanza
dello Stato nazionale rispetto a dinamiche che si collocano a livello mondiale. Sotto queste
spinte l’ordine “moderno”, fatto di appartenenze e confini pensati per lo più su base
nazionale, mostra segni di cedimento. Il confine netto tra “noi” e “loro” sfuma.
L’individualizzazione, che nella prima modernità, era un percorso emancipativo voluto e
desiderato, ora diventa una scelta obbligata. Individualizzazione significa frammentazione
e differenziazione della cultura del “noi” ed estrema mobilità dell’esistenza. La
generalizzazione dell’estraneità nella società contemporanea fa diventare un po’ tutti
stranieri (reciproca estraneità). Occorre considerare il terzo elemento della
modernizzazione riflessiva, oltre a globalizzazione e individualizzazione, cioè
l’insicurezza costruita e la sua incidenza nelle dinamiche sociali e politiche che riguardano
gli stranieri.
Beck si vuole riferire alle conseguenze dello sviluppo tecnico, industriale ed economico
che oggi non sono più fronteggiabili con strategie razionali, per cui si infrange il “patto
della sicurezza”, che aveva garantito alla società moderno-industriale un consenso diffuso
nei confronti del progresso. Uno degli effetti di tale situazione è che sempre più persone si
sentono minacciate. Per quanto possono, per reazione alla paura e almeno per difendere il
proprio spazio, la propria persona e i propri beni, si rinchiudono, mettono recinzioni,
installano sistemi di allarme, si equipaggiano con videosorveglianza, vetri blindati ecc.
Gli stranieri diventano il principale bersaglio di tali sentimenti di ostilità e paura.

2.6 La politicizzazione del problema della sicurezza e la trasformazione


simbolica dello straniero in nemico
In molti casi è la politica stessa, a fini di acquisizione del consenso, a far leva sulle paure
diffuse dei cittadini, che si sentono invasi e minacciati. Beck sottolinea che nelle società
contemporanee è in atto una politicizzazione generalizzata del problema della sicurezza.
Lo straniero si presta benissimo ad essere percepito e trasformato come “nemico interno” e
anche a svolgere funzioni di “capro espiatorio”, a causa di problemi storico-empirici, con
motivazioni contingenti. Per Beck occorre considerare e comprendere come la
trasformazione dello straniero in nemico avvenga nel contesto specifico di una nazione, di
uno Stato, di una regione, di un particolare periodo storico, per esigenze particolari di
legittimazione del potere o di gestione politicizzata delle paure sociali e della sicurezza.
Ben si comprende che alimentare e gonfiare le paure, siano esse rivolte alla criminalità,
agli stranieri, ai terroristi, diventa strategico per far accettare le misure politiche
impopolari o restrittive delle libertà democratiche. L’attenzione va rivolta a quanto
avviene su questo fronte nella sfera dell’opinione pubblica e delle decisioni politiche e
amministrative.

Appendice
Tra le varie questioni emerse lungo il percorso argomentativo, ce n’è una che compare con
intensità crescente in tutti e tre gli autori considerati: la possibile trasformazione dello
straniero in nemico. Simmel intuisce la facilità con cui si può scivolare dallo statuto
simbolico dell’uno a quello, ben più carico di “possibilità pericolose”, dell’altro; Bauman
mette in luce che uno dei poli della rappresentazione dello straniero in atto nella società
contemporanea consiste nella figura del nemico “ante portas”, pronto a invaderci; Beck
evidenzia una politicizzazione delle paure e della questione sicurezza che coinvolge
prioritariamente gli stranieri, trasformati in nemici da combattere proprio in nome di
aspirazioni sicuritarie.

Capitolo quarto
Quel che è gioco nella socievolezza
La riscoperta di Simmel assume i tratti di un indicatore sociale. Come molta parte della
riflessione contemporanea non smette di sottolineare la dimensione dell’incertezza è
costitutiva dell’esistente, ne è un versante ineliminabile, nonostante l’ossessione predittiva
della modernità. Di fatto, negando questa necessità essenziale e pretendendo dal sapere
una strumentalità economica, si stabilisce una gerarchia non troppo implicita dove il
lavoro è più importante del vivere e del comprendere. Senza le relazioni sociali, senza
l’amore, la famiglia e le amicizie, la maggior parte delle persone non sarebbe felice.
Nell’economismo corrente tra famiglia e lavoro non scorre buon sangue. È possibile per
l’ennesimo economista, che ritiene di sapere qualcosa in proposito, affermare che il
problema sta nel fatto che i redditi sono cresciuti, ma non in misura tale da compensare il
deterioramento delle relazioni familiari: da un lato si asserisce l’esistenza di una
connessione quantitativa insoddisfacente, ponendo quindi redditi e relazioni familiari
sullo stesso piano e implicando che esisterebbe un livello di reddito capace di sopperire
alla scomparsa del “paradiso familiare” di cui sopra; dall’altro lato si elencano una serie di
disagi tutti riconducibili al trionfo dell’insieme di rapporti che, attraverso opportuni livelli
di retribuzione, dovrebbe porvi rimedio.
Simmel, dal punto di vista delle categorie sociologiche, definì la socievolezza come una
forma ludica della sociazione e come qualcosa che si rapporta alla sua concretezza
determinata dal contenuto come l’opera d’arte alla realtà. L’analisi di Simmel fa emergere
l’ambiguità. Le figure della socievolezza, il tatto, la cortesia, civetteria, conversazione, sono
cornici ideali di giochi senza posta, in cui l’individuo trova residue possibilità di impegno.
La socievolezza è occasione di una partecipazione ritualistica. La socievolezza a cui si
riferisce Simmel mostra un suo aspetto intrinseco e non strumentale, etico e pedagogico, in
quanto produce una società intesa come insieme superindividuale e crescita individuale.
L’eticità della socievolezza è quella di ogni forma di sociazione che produce e riproduce il
proprio essere insieme. La “forma ludica” vuole riportare il centro della questione
all’interno della socievolezza. Come nel gioco, la prescrizione di altri scopi mantiene la
facciata, ma distrugge l’essenza del fenomeno.

Capitolo quinto
Socievolezza simmeliana e forme di socialità contemporanee
2. La socievolezza in Simmel
Secondo Simmel la vita sociale delle metropoli moderne si sviluppa in un progressivo
processo di intersecazione delle cerchie sociali: mentre all’inizio della loro vita le persone
vivono in un ambiente che impone loro una stretta coesistenza con altri, che non sono stati
scelti liberamente, in seguito esse scelgono altri ambienti, che si formano sulla base di
affinità tra i membri dei gruppi che li frequentano. Queste sociazioni danno origine alle
aggregazioni sociali, ovvero a forme di reciprocità. Affinchè si esplichi la reciprocità
nell’atteggiamento socievole, ogni individuo rinuncia al perseguimento dei fini egoistici e
all’affermazione unilaterale della propria individualità, accettando di autoregolare il
proprio comportamento in vista della creazione di uno spazio comune, dove l’interazione
reciproca sia fonte di piacere. Secondo Simmel le condizioni principali e necessarie che
caratterizzano la socievolezza sono: l’esclusione di tutto ciò che per la personalità ha
un’importanza oggettiva, ma non può essere condiviso dagli altri partecipanti. La
situazione socievole è una forma di interazione democratica, in cui le persone traggono
piacere reciproco dal fatto di stare insieme. L’altra condizione è caratterizzata dall’avere se
stessa come unico scopo e l’ultima consiste nell’elaborazione e trasformazione in forma
ludica della realtà. Infine una delle caratteristiche fondamentali della socievolezza
simmeliana è la determinatezza quantitativa, in quanto la numerosità di gruppo influisce
sui comportamenti e sulle relazioni tra individui.

3. Le nuove forme di socialità contemporanee


Attualmente i cittadini sembrano essersi abituati all’effetto di spaesamento provocato
dall’eccesso di offerte da parte del mercato: paradossalmente le persone non rimangono
più indifferenti. È accaduto che alla lunga le persone abbiano creato un’abitudine a
prendere decisioni in situazioni di incertezza. L’interesse prioritario di questo nuovo tipo
di cittadino sembra essere quello di trovare il proprio posto in un mondo complesso che
viene assunto come dato, piuttosto che quello di creare condizioni di vita, ambienti e
regole favorevoli e confacenti a una collettività che si riconosca intorno a qualche sistema
di valori condiviso.
Un’ulteriore differenza rispetto alla caratteristica egualitaria descritta per la socievolezza
di Simmel, sta nel fatto che nelle forme di socialità contemporanee le persone, pur
frequentandosi e assomigliandosi per molti aspetti, restano profondamente diverse le une
dalle altre. A differenza di Simmel, le forme di socialità contemporanee mirano a
consentire agli individui di essere ciò che essi desiderano essere, senza però perdere ogni
aggancio con una realtà altra da sé.

4. Elementi critici di trasformazione della sfera pubblica


Secondo Richard Sennett “l’inciviltà è il gravare sul prossimo con il proprio io. È la
diminuita socievolezza che questo fardello crea. La civiltà esiste quando una persona non
costituisce un peso per gli altri”. Con queste parole Sennett evidenzia la rottura
dell’equilibrio che lega due essenziali dimensioni d’ogni persona: la dimensione pubblica
e la dimensione privata. Ed è in questo contesto che, negli ultimi anni, abbiamo assistito ad
un fenomeno di invasione dell’io nella sfera pubblica. I luoghi pubblici rappresentano un
posto ideale per la valorizzazione della socialità. Questi luoghi sono caratterizzati dal fatto
che l’individuo può raccogliere ed elaborare gli stimoli derivanti dal gruppo e
dall’interazione, prendendo parte ad un processo che segue un suo ordine dato
dall’insieme di regole condivise dai soggetti per le quali essi stessi hanno rinunciato ad
alcune possibilità di autorealizzazione per godere dei vantaggi del saper stare in società.

5. Conclusione
Dal momento che la socievolezza rappresenta un’occasione per migliorare la propria
capacità di vivere in comune con gli altri ed essendo cruciale per l’interazione e per la
costituzione dei legami sociali, è importante soffermarsi sull’analisi di Simmel,
adattandola al contesto odierno. L’aspetto principale è quanto questa forma di socialità
costituisca una categoria utile per l’analisi sociologica, dal momento che permette di
coniugare la leggerezza con la profondità, la ricerca della verità con la tolleranza e il
rispetto dell’opinione altrui.

Capitolo sesto
Quando le vite sono connesse: luoghi e spazi dell’idea di Geheimnis
nella società dei desideri
1. Le relazioni e i segreti
In tutti i rapporti differenziati l’intensità e la colorazione si sviluppano nella misura in cui
ogni parte si rivela all’altro attraverso le parole e la vita. Simmel con ciò affronta il tema
del segreto. Ciò che l’autore offre è una analisi “parziale” ed è accessibile solo quando si
prende una posizione. Simmel, quando osserva le società segrete, ricorda un problema
sociologico: come il segreto agisce sulle forme di associazione a partire dalla diversità dei
tratti e di quelli che sono in comune. Occorre comprendere come e dove si rivela il
nascosto: la società è condizionata dalla comunicazione, ma è anche modellata dalla
capacità di tacere.
Maffesoli ha affermato come il contemporaneo sia il tempo dell’Apocalisse, ciò che si
rivela. Simmel ricorda che il cromatismo della reciprocità può nascondere parte di sé e
della propria intersoggettività che necessita di una misura della reciprocità.
Foucault dice che in Simmel troviamo un collage di testi, excursus rientranti nella
semiologia sociale. L’autore solleva la questione dei legami sociali, in un mondo denso di
informazioni, in cui è difficile mantenere un sistema di relazioni preservando la propria
personalità. Entra in gioco la “forma” come strumento di comprensione di una
moltitudine di esseri in una nozione generale. Forma e vita contrastano, dialogano in un
insieme di stati incoerenti, in continua trasformazione.

2. Il segreto e il mistero
Simmel individua due livelli di osservazione sul “segreto”: il primo è sulla forma e il
secondo sulla corrispondenza. Il segreto si offre o si rifiuta, nella comunicazione infatti
l’etimo communis deriva da munus, il condividere, ma rimanda anche alla parola meo, che
indica il passaggio. Riccardo Orestano ha osservato che la semantica del segreto vive
nascosta al chiuso. Qui la distinzione tra il comunicabile e il non comunicabile diventa
sottile, anche tra profondità e oscurità. La comunicazione, per poter essere tenuta segreta,
non è necessario sia diretta ad una persona in particolare. Può configurarsi come qualcosa
che può essere utilizzata per comunicare. Nella sua essenza il segreto è un comunicabile
che non viene comunicato e rimane ignoto, per questo sottratto alla disponibilità del
pubblico. “Segreto” nasce dalla lingua tedesca, quando si coniano le parole Geheimnis e
geheim, usate per tradurre mysterium. Essa possiede lo stesso significato di secretum, un
qualcosa che è sottratto alla vista. Il termine “Mysterium” è composto da my (myèo), che
significa “chiudere”, collegato a quello espresso dall’altro senso del verbo, cioè “essere
iniziato”. Simmel parla della forza delle società segrete che intendono generare un ordine
forte fra gli iniziati in funzione del quale essi intervengono nell’ordine della società. Il
segreto include anche l’occulto, ma il segreto trascende l’occulto per 4 aspetti. In primis è
quel sapere che si realizza per gradi e, nella sua totalità, soltanto per qualcuno. Secondo:
produce soggezione. Tertio: alimenta la paura. Quarto: seduce. Il segreto implica una forma
di azione reciproca e l’autore suggerisce un’analisi fenomenologica di queste orientazioni
reciproche. Le scienze sociali si contraddistinguono per i loro contenuti, la sociologia
studia le forme pure della sociazione. Per Simmel la sociologia deve studiare le forme di
interazione tra gli individui, ovvero le forme elementari che sono alla base della vita
sociale. L’unità della società è la conseguenza della relazione reciproca delle persone che la
costituiscono e vi sono delle categorie che permettono la società.

3. La sociazione e il segreto
La necessità di utilizzare una sociologia qualitativa si pone in relazione ad una realtà
unica, ma con modi diversi di concepirla, ricordando che la corsa dello spirito va con
quella del mondo. Difficoltà, errori, complessità rimandano alla necessità di osservare
anche l’ombra, il lato oscuro, ma anche l’immaginazione che resta nascosta dall’attore
sociale. Simmel descrive la relazione sociale come un processo di “messa in opera” di un
sapere reciproco. Il problema si inserisce in un quadro operativo del segreto: si osserva e si
comprende una cosa non detta, che però si utilizza nello scambio. La questione è anche
quella del limite. Come posso conoscere interamente l’Altro, considerando il fatto che
l’Altro non mi conosce? Simmel sottolinea che in questi casi gli attori sociali procedono per
tipizzazione. Ma ciò non può esserci se manca la fiducia. I segreti nei media non nascono
dall’esterno del corpo sociale, ma dal suo interno. Se i media sono anche mondo, lo spazio
che occupano è soggettivo, perché è un a priori logico e percettivo.
4. La fiducia “tradita”?
Simmel è lo scienziato che ha reso la fiducia una categoria di analisi. Essa rappresenta uno
stato intermedio tra conoscenza e ignoranza relative all’uomo. la fiducia è un’ipotesi che
riguarda l’azione futura, che non può essere prevista nel presente: l’incertezza del futuro
deve essere ridotta attraverso un’aspettativa che ha lo scopo di creare uno stato di quasi
certezza. Si utilizza la teoria delle intersecazioni sociali per spiegare il processo di
differenziazione sociale, sostenendo che se il pensiero progredito differisce da quello più
rozzo per la capacità di formare concetti astratti, anche lo sviluppo della società seguirà
questa logica. Simmel sostiene che dove la società è poco differenziata, i rapporti sono
diretti e gli individui sono tenuti assieme da quella che Durkheim definiva solidarietà
meccanica, che per Simmel diviene fiducia personale. Man mano che i rapporti si
allargano, anche con la divisione del lavoro, occorre la solidarietà organica, ovvero la
fiducia non è più diretta tra le due parti, ma interviene un’intermediazione che Simmel
chiama “terza istanza”. Si tratta di istanze che trasmettono e mediano le azioni reciproche
degli elementi. L’analisi della fiducia, della menzogna, del discreto e della discrezione,
delle forme di rivelazione e delle forme più segrete, permette così di percorrere la vita
sociale nelle sue forme di sociazione. Senza segretezza non si possono creare le condizioni
di affermazione dell’individualità e senza individualità non vi è alcuna possibilità di
stabilire relazioni con l’Altro. Ma l’affermazione dell’individualità comporta lo sviluppo di
una autonomia, di un confine che possa separare l’Io dal Tu.

5. Consumi, identità e segreti


Si pensa spesso all’identità come un processo determinato e determinabile, mentre è una
costruzione, anzi una motivazione, esiste nella relazione sociale, si costruisce nel mondo
sociale. L’identità è qualcosa di precario, di fragile, ma anche una struttura di controllo che
cerca ogni giorno di tenere a freno tutte le altre latenti identità. Si passa, oggi, dall’identità
come essenza, all’identità come differenza e poi all’identità come riconoscimento.
L’identità post-post moderna è diventata una sorta di estensione, di estroversione, implica
soprattutto l’essere visibili: niente più segreti. Ma questo è un rischio poiché
l’immaginazione nasce dall’assenza, dal mistero, dalle maschere. La maschera è un mezzo
ambiguo, dietro il quale da un lato la verità si nasconde per salvaguardare la propria
profondità, il segreto appunto, ma che dall’altro diventa strumento necessario per sfuggire
o ripensare la realtà.

6. Sedotti dal segreto


C’è un bisogno di dire la verità e che questa verità sia una forma di manifestazione anche
del segreto stesso. Un segreto “noto” che seduce e la seduzione riconduce l’Altro nel
proprio spazio di significazione e comporta continue dislocazioni del proprio Sé, ora
frammentato, privo dell’illusione di costituire un’unità. La seduzione non sembra così
tanto essere un’attitudine pragmatica, un contenuto preciso, ma ha una sua tonalità
emotiva, è evidente e discreta, nota ma anche segreta, assume il vertice privilegiato nel
“sentire”, attraverso oggetti, simboli evidenti.
7. Le province finite di significato
La sovra-saturazione è visibile, anzi è percettibile, nei piccoli e grandi segreti quotidiani.
Umberto Eco l’ha sottolineato: un segno è veramente un segno se questo permette di
essere messo in segreto: la libertà, in fondo, si costituisce nella capacità di stabilire delle
convenzioni e di poter “giocare” con queste convenzioni. Il compito di un sociologo è
quello di porre domande tanto evidenti da essere dimenticate. Il segreto come “fatto”
sembra essere così uno strumento che può permettere il mantenimento della tensione e
dell’attenzione nella struttura comunicativa delle persone. Per poter riflettere
sull’indistinta molteplicità con cui il mondo si offre alla persona, è sempre necessario
scomporla, e considerarla soltanto come “processo”, oppure soltanto come “contenuto”,
separando ma non escludendo “ciò che si rivela alla nostra coscienza”.

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