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Economia regionale

Leconomia regionale si suddivide in due ambiti: la teoria della localizzazione e le teorie dello sviluppo o della crescita. Lo spazio agisce sul funzionamento di un sistema economico quale fonte di vantaggi o svantaggi. La prossimit spaziale riduce i costi di produzione, grazie ai potenti effetti di sinergia che genera, legando strettamente decisioni allocative e processi di sviluppo. Leconomia regionale non lo studio delleconomia a livello di regioni amministrative, ma quella branca delleconomia che inserisce nello studio del funzionamento del mercato la dimensione spazio come risorsa e fattore produttivo autonomo e come elemento fondamentale della competitivit. Il fondatore delleconomia regionale Walter Isard. Prima di lui, autori quali Marshall ritenevano il tempo pi rilevante dello spazio. Lintroduzione della variabile spazio richiede la rimozione delle ipotesi semplificatrici dei rendimenti costanti e di concorrenza perfetta. Come gi detto, esistono due grandi filoni nelleconomia regionale: 1) La teoria della localizzazione (che studia la distribuzione delle attivit nello spazio): ha un approccio microeconomico e statico, che considera agglomerazione e accessibilit, uno spazio fisico-metrico, con dotazione fattoriale data. 2) La teoria della crescita (e dello sviluppo, che studia la crescita economica e del reddito): ha un approccio macroeconomico e dinamico, che considera efficienza allocativa, meccanismi moltiplicativi intraregionali, prossimit relazionale, cumulativit dei processi di crescita e uno spazio uniforme-astratto, con attivit produttive e residenziali note. Localizzazione e spazio fisico-metrico La pi antica concezione di spazio quella geografica, sintetizzabile in termini di distanza e costi di trasporto. La teoria della localizzazione ha lobiettivo di mettere in luce i fattori che influenzano la localizzazione delle singole attivit, lallocazione di diverse porzioni del territorio tra produzioni alternative, la spartizione di un mercato tra produttori e la distribuzione funzionale delle attivit (come anticipato). Tutto questo analizzato eliminando ogni specificit geografica attraverso lipotesi dellesistenza di una pianura omogenea, con uguale fertilit (Von Thunen), per interpretare le scelte localizzative attraverso due fattori: 1) Costi di trasporto. 2) Economie di agglomerazione. Esistono teorie della localizzazione al costo minimo (Weber) e modelli, invece, il cui obiettivo individuare la suddivisione delle aree di mercato, orientate alla massimizzazione del profitto (Losch e Hotelling). Esistono inoltre modelli il cui obiettivo identificare le aree di produzione, opposte alle aree di mercato: in queste teorie il mercato puntiforme (il borgo o il centro citt), mentre lofferta si estende su tutto il territorio (Von Thunen). Infine, i meccanismi che regolano la dimensione delle agglomerazioni, la loro specializzazione e la loro distribuzione sono di Christaller e Losch. Crescita regionale e spazio uniforme-astratto Per crescita economica regionale si intende la capacit di trovare e ricreare un ruolo allinterno della divisione internazionale del lavoro attraverso luso efficiente e creativo delle risorse e labilit di una regione di produrre con un vantaggio. Le prime teorie della crescita regionale utilizzano una concezione di spazio uniforme-astratto, non pi fisico e continuo. Il vantaggio la possibilit di utilizzare modelli macroeconomici per i fenomeni di crescita locale. un approccio di breve periodo. Crescita locale e spazio diversificato-relazionale Lo spazio diversificato-relazionale permette di recuperare le economie di agglomerazione (anni 60/80) attraverso sinergie e retroazione cumulativa. una concezione di spazio pi immateriale, attraverso le relazioni economiche e sociali. Determinanti per lo sviluppo, in questi casi, sono le esternalit territoriali. Si tratta delle teorie delle sviluppo, finalizzate non tanto a spiegare un tasso di crescita aggregato del reddito o delloccupazione, ma ricercare elementi tangibili e non. Crescita regionale e spazio diversificato-stilizzato: verso una convergenza prospettica? Abbandonando lipotesi di rendimenti costanti e concorrenza perfetta, negli anni 90 si assiste allinserimento delle economie di agglomerazione con rendimenti crescenti. Lo spazio diviene diversificato-stilizzato in punti (ai quali negata la dimensione), nel quale n le caratteristiche geografiche n territoriali hanno un ruolo. La crescita endogena e nasce dai vantaggi della concentrazione. Prevale la visione di spazio quale mero contenitore dello sviluppo. Teorie della convergenza e della divergenza: una distinzione ormai superata I manuali di economia regionale hanno spesso presentato una dicotomia tra teorie delle disparit e modelli che, al contrario, spiegano il perpetuarsi di tali disparit. Il paradigma neoclassico interpreta lo sviluppo come un processo tendente ad un punto di equilibrio. Sul fronte della divergenza son invece collocate le teorie di origine keynesiana. In anni recenti, grazie al rafforzamento degli strumenti di analisi matematica e modellistica, si dimostrato che le

stesse teorie sono in grado di spiegare sia la divergenza sia la convergenza. Il modello neoclassico non adatto ad interpretare gli squilibri. Il modello keynesiano incapace di prevedere limiti di carattere territoriale allevoluzione. Gli elementi distintivi delle teorie Lo spazio pu essere considerato micro o macroeconomico. La crescita pu essere associata alloccupazione, al benessere individuale (salari, reddito) raggiungibili attraverso produttivit, specializzazione e competitivit.

Teorie della localizzazione


Agglomerazione, localizzazione e costi di trasporto La teoria della localizzazione quella branca delleconomia che si occupa dellorganizzazione delle attivit s ul territorio. La distribuzione disomogenea delle materie prime, dei fattori produttivi (capitale e lavoro), della domanda (mercati) impone alle imprese di scegliere la loro localizzazione. In termini cronologici, le prime riflessioni sullo spazio sono contenute nelle teorie delle attivit industriali, attraverso la considerazione di entrambe le grandi forze: 1) I costi di trasporto: tutti gli elementi di frizione spaziale (costo della distribuzione delle merci, di comunicazione, di informazioni etc.). 2) Le economie di agglomerazione: quei vantaggi di ordine economico che le imprese ottengono dalla prossimit alle altre. Agiscono in senso opposto ai costi di trasporto. Si riassumono in 3 grandi categorie: a. Le economie interne allimpresa, dette anche economie di scala. b. Le economie esterne allimpresa ma interne al settore, o economie di localizzazione. c. Le economie esterne allimpresa ed esterne al settore, o economie di urbanizzazione. L'agglomerazione, intesa nel senso di prossimit, diviene nelle teorie dello sviluppo la determinante endogena nella spiegazione dei processi di sviluppo economico, cumulativi e territorializzati. Le teorie della localizzazione si dividono in due gruppi, in base agli obiettivi che si pongono: 1) Massimizzazione del profitto. 2) Minimizzazione dei costi. Fa eccezione il contributo di Losch, sviluppato in unottica di equilibrio spaziale generale economico localizzativo. Economie di localizzazione e costi di trasporto Weber nel 1909 formula un modello, il triangolo localizzativo, in cui analizza 3 fattori: 1) Costi di trasporto. 2) Mercati delle materie prime. 3) Mercati del bene finale. Il prevalere di un elemento rispetto allaltro determina la localizzazione. Ipotesi semplificatrici: 1) Mercato del bene puntiforme. 2) Due mercati delle materie prime. 3) Perfetta concorrenza. 4) Domanda rigida al prezzo. 5) Costi di produzione costanti. La scelta localizzativa il risultato di due stadi: 1) Il 1 stadio evidenzia la localizzazione che garantisce costi di trasporto minimi. I costi di trasporto totali sono espressi come funzione del peso (x,y,z), della merce da trasportare e della distanza da coprire (a,b,c): CT = xa + yb + zc Dove xa, yb, zc sono le forze di attrazione che spingono limpresa, orientata verso le materie prime o al mercato, verso un vertice del triangolo. 2) Nel 2 stadio, limpresa mette a confronto la localizzazione a costo minimo con una localizzazione alternativa, nella quale pu godere di economie di localizzazione, quali la disponibilit di manodopera e/o di qualit. Weber evidenzia le isodapane (sulle quali ha lavorato anche Hoover), curve lungo le quali il costo di trasporto minimo rimane costante. La scelta di rilocalizzazione avverr se e solo se le isodapane di ogni impresa che misurano un costo aggiuntivo di trasporto pari al vantaggio agglomerativo si incrociano. Non altrettanto dicasi per limpresa, la cui isodapana non incontra quelle delle altre imprese, per la quale il vantaggio agglomerativo non supera il costo addizionale di trasporto. I limiti del modello dipendono dalla sua natura: 1) Statica (tralascia linnovazione e la variazione nelle condizioni di distribuzione). 2) Transport oriented ( sub ottimale rispetto ad un approccio basato sulla ricerca diretta, anzich in 2 fasi, di un punto di costo totale di produzione minimo).

3) Astratta: improbabile riuscire a calcolare lapporto del peso delle materie prime nel peso del bene finale. 4) Di modello di equilibrio parziale: manca qualsiasi allusione a interazioni nei comportamenti dimpresa. 5) Supply oriented: la critica pi frequente riguarda la domanda rigida e illimitata. Dimensioni del mercato e costi di trasporto Il modello di Weber nega lesistenza di luoghi di agglomerazione della popolazione: nega le economie di urbanizzazione. Melvin Greenhut introduce il ruolo della dimensione fisica del mercato nellipotesi di una domanda distribuita in modo disomogeneo sul territorio. La presenza di un mercato di vaste dimensioni pu compensare, infatti, il maggior costo di trasporto. Economie di scala e costi di trasporto: le aree di mercato I modelli finora presentati contrappongono le economie di localizzazione ai costi di trasporto. Un secondo gruppo di modelli abbandona lipotesi di una struttura di mercato puntiforme, per rifarsi a quella di una domanda distribuita omogeneamente sul territorio.

Ipotesi: 1) Domanda rigida. 2) Due produttori identici. 3) Localizzazione data. 4) Costo di trasporto costante (si legga: proporzionale alla distanza). 5) Costo di trasporto a carico del consumatore. Ne consegue che: Prezzo di vendita = costo della merce + costo di trasporto. I consumatori sceglieranno il produttore pi vicino. Il punto di indifferenza rappresenta la soglia delle due aree di mercato. Nuove ipotesi: 1) I produttori possono godere di economie di scala. 2) I costi di trasporto sono a carico del venditore. Risultati: 1) Il produttore che gode delle economie di scala delimita unarea di mercato maggiore. 2) I consumatori localizzati pi vicino ottengono un vantaggio economico. 3) Il produttore pu discriminare sul prezzo allinterno della sua area di mercato, nella quale opera in regime di monopolio, senza perdere quote di mercato. Il modello pu essere pertanto quello di concorrenza monopolistica ( la Chamberlin & Lancaster), nel quale la discriminazione sul prezzo si basa sulla distanza. 4) La distanza fisica svolge il ruolo di barriera allentrata. Accessibilit e localizzazione Accessibilit e costi di trasporto: valore e uso del suolo Secondo le teorie di natura neoclassica, le attivit che si localizzano pi vicino al centro sono quelle in grado di pagare per una rendita pi elevata. Nel capitolo precedente abbiamo visto come i costi di trasporto spingono alla diffusione e le economie di agglomerazione, al contrario, alla concentrazione, senza considerare elementi geografici. Le teorie che stiamo per presentare ribaltano le ipotesi sulla struttura spaziale della domanda e dellofferta: il luogo di produzione ad assumere una dimensione spaziale, mentre il mercato viene concepito puntiforme. Abbandoniamo cos lobiettivo di identificazione delle aree di mercato di ogni produttore per trovare la definizione di aree di produzione. Queste teorie rispondono ad un principio: laccessibilit (a mercati di sbocco, dei fattori produttivi e del centro degli affari) per minimizzare i costi del pendolarismo. In questa logica emerge un criterio univoco: il costo del suolo o rendita fondiaria. A differenza del modello di Weber, questo modello vale per attivit agricole, produttive e residenziali ed particolarmente adatto a studiare lo spazio urbano, nel quale facile ipotizzare lesistenza di un centro, stabilendo dove la singola impresa o il singolo individuo andr a localizzarsi. Il 1 modello formulato agli inizi dell800, per le attivit agricole, di Von Thunen (negli anni 60 Alonso riformula il modello in un contesto urbano) nel quale non pi la scelta della singola impresa o del singolo individuo ad interessare, ma la definizione della dimensione e della densit della citt e dei costi del suolo. La localizzazione delle attivit agricole: il modello di Von Thunen

Si tratta del primo modello di localizzazione urbana delle attivit economiche, seguendo le seguenti ipotesi: 1) Spazio omogeneo (isotropo), sia in termini di fertilit delle terre sia di infrastrutture di trasporto. 2) Unico centro: il borgo medievale. 3) Domanda illimitata. 4) Perfetta distribuzione dei fattori produttivi nello spazio. 5) Rendimenti di scala costanti. 6) Condizioni di concorrenza perfetta. 7) Costi di trasporto unitari costanti: il costo totale di trasporto dipende dalla distanza tra la produzione e il borgo. Il problema che affronta Von Thunen quello di individuare la suddivisione delle terre tra i coltivatori. Il prezzo al quale il coltivatore disposto a pagare la terra ottenuto in modo residuale, una volta sottratti ai ricavi i costi di trasporto e produzione. Una minor distanza unitaria dal centro genera un risparmio pari allincremento di rendita che richiedono le localizzazioni pi centrali. Il modello di Von Thunen riesce a individuare nella semplice distanza o accessibilit al borgo (costi di trasporto) la ragione della diversa rendita del suolo e a discostarsi dalla visione ricardiana che attribuiva alla diversa fertilit il differenziale di redditivit. Gerarchia, localizzazione e sistemi urbani La teoria delle localit centrali ha lobiettivo di individuare una regola che interpreti la gerarchia urbana e, dunque, la distribuzione geografica di tutti i centri. Inoltre il nuovo paradigma delle reti di citt stato formulato per superare i limiti di tale teoria. Finora si sono analizzate le scelte localizzativ e prescindendo dallesistenza di altre citt, altri soggetti e dalla possibilit di localizzazioni in centri urbani alternativi. Lequilibrio, infatti, presuppone che le citt siano tutte identiche. Lintroduzione della gerarchia urbana ha lobiettivo di spiegare: La dimensione e la frequenza dei centri urbani di ciascun livello gerarchico, e pertanto lidea di mercato di ognuno. La distanza tra un centro e un altro, dunque la distribuzione geografica. I padri fondatori di questa corrente di pensiero, che va sotto il nome di teoria delle localit centrali (central place theory), sono il geografo Walter Christaller e leconomista August Losch. Lapproccio geografico: il modello di Christaller Si basa sullassunzione che esista un centro urbano o localit centrale che offre beni e servizi su un territorio omogeneo e isotropo. Lobiettivo comprendere la gerarchia urbana. A differenza del modello di Von Thunen, lofferta puntiforme e la domanda omogeneamente distribuita nello spazio, secondo una logica simile a quella della suddivisione delle aree di mercato tra produttori. Christaller introduce i concetti di: Soglia (threshold): delimita unarea circolare nella quale compresa la quantit di popolazione minima sufficiente a garantire un livello di domanda tale per cui il servizio prodotto in modo efficiente. Portata (range): definisce la distanza massima oltre la quale il consumatore non disposto ad affrontare i costi di trasporto. Ogni servizio prodotto solo se la portata supera la soglia. Le aree di mercato hanno forma esagonale. Ipotesi: 1) Minimizzazione dei costi di trasporto: la localit centrale che la permette. 2) Equit distributiva: non esistono zone non servite. 3) Concorrenza tra produttori: le aree non sono sovrapposte. Si delinea cos una struttura a favo. I servizi di qualit superiore hanno una portata maggiore, che giustifica unarea di mercato pi grande. Christaller ipotizza che i produttori vadano a localizzarsi nel centro degli esagoni, in maniera da godere di economie di agglomerazione. Poich la portata del servizio inferiore per definizione minore di quella del servizio superiore, larea di mercato servita dalle unit di produzione localizzate nel centro inferiore allesagono stesso e lascia parte del territorio non coperto. Nuove unit di produzione saranno cos attratte dalla domanda inevasa. I principi organizzatori delle aree di mercato sono: 1) Principio del mercato: la minimizzazione del numero di centri in grado di coprire tutto il territorio (prevede 3 centri di ordine inferiore). 2) Principio del trasporto: minimizza i costi di trasporto (ne risultano 4 centri di ordine inferiore). 3) Principio amministrativo: cerca di evitare i conflitti di competenze (tutti i centri di ordine inferiore, 7, appartengono ad un unico centro di ordine superiore). Ogni centro maggiore produce i beni/servizi relativi al suo livello gerarchico e tutti quelli di ordine inferiore. I postulati economici che caratterizzano questo modello sono quindi: 1) Ottimalit nel comportamento dei consumatori, che minimizzano i costi di trasporto. 2) Spazio geografico omogeneo, in cui lagglomerazione nasce per ragioni economiche e non geografiche. 3) Costo di trasporto proporzionale alla distanza. 4) Economie di scala (implicite nel concetto di soglia).

5) Equit dellofferta (copertura di tutto il territorio). Analizzando la struttura della Germania meridionale, Christaller trova una corrispondenza impressionante con la realt. Lapproccio economico: il modello di Losch Nel 1940, Losch cerca di superare le ipotesi di proporzionalit costante lungo la gerarchia urbana, ottenendo anchegli una struttura esagonale, ma dovuta a motivi economici: La competizione che non permette lesistenza di aree di mercato non coperte. I consumatori si rivolgono al produttore in grado di offrire il bene a prezzi pi bassi, ossia al pi vicino. Lequilibrio spaziale del settore raggiunto facendo riferimento al mercato di concorrenza monopolistica di Chamberlin, raggiunto quando non esistono pi incentivi ad entrare nel mercato. A differenza di Christaller, Losch evidenzia diversi fattori di proporzionalit detti coefficienti di annidamento: egli suppone che ad ogni bene o servizio corrisponda una diversa dimensione di mercato. I coefficienti di Losch sono multipli geografici di quelli di Christaller (3,4,7). Labbandono dellipotesi del fattore di proporzionalit permette di considerare la diversa specializzazione dei centri delle stesse dimensioni: ogni centro pu ospitare anche una sola funzione e non tutte le altre. Il modo in cui Losch arriva alla strutturazione complessiva del territorio risponde ad un principio di efficienza del sistema di trasporto che ammette soluzioni pi realistiche di quelle di Christaller. Anche Losch riesce a dimostrare empiricamente la validit del suo modello, applicandolo al territorio dellIowa (USA). Il modello di Losch pi adatto a descrivere il settore industriale, quello di Christaller i sistemi basati sui servizi. Valutazione critica dei due modelli Sulla base dellesistenza delle forze che spiegano le scelte localizzative (economie di agglomerazione e costi di trasporto), lequilibrio emerge attraverso una logica di ottimizzazione del profitto per le imprese e di utilit per i consumatori. Fin qui tutto ok. Limiti: Domanda omogenea e immobile (si considera solo il lato della produzione). La mancanza di interindipendenza dei produttori: si ignorano le relazioni I-O che potrebbero favorire scelte localizzative dettate dalla prossimit con altri fornitori). La natura statica dei modelli. Sviluppi recenti Il modello di Beckmann & McPherson ipotizza un diverso fattore di proporzionalit a seconda del livello gerarchico e del servizio offerto: assume non pi un significato geografico, ma economico e indica il numero di residenti necessario per fornire il servizio a ciascun abitante di unarea. Beguin ha inserito nel modello di Beckmann & McPherson la produttivit del lavoro e la quantit del bene domandata, dimostrando che la gerarchia urbana dipende da: Rendimenti crescenti, decrescenti, costanti del fattore lavoro. Distribuzione della domanda. Elasticit rispetto al reddito. Long introduce in un modello christalleriano linterindipendenza tra i beni, ipotizzando che la quantit acquistata non diminuisca necessariamente con la distanza dal centro, perch pu aumentare a mano a mano che ci si avvicina ad altri centri. Inoltre afferma che la portata pu cambiare per la presenza di beni succedanei. Il modello di Long matematicamente troppo complesso. Parr analizza levoluzione dinamica della gerarchia urbana ipotizzando: La formazione di livelli successivi di gerarchia. Il mutamento nellallocazione delle funzioni economiche. Modificazioni nella struttura gerarchica. Il risultato che le aree si possono eventualmente trasformare in rettangoli o triangoli. Le reti di citt Definizione: insieme di rapporti, orizzontali e non gerarchici, fra centri complementari o similari, che realizzano la formazione di economie o esternalit di specializzazione, sinergia, cooperazione, innovazione. In anni recenti si assistito ad unevoluzione dei sistemi urbani nei paesi di medie dimensioni (40.000-200.000 abitanti), caratterizzata da: Forti interdipendenze tra centri dello stesso ordine. Specializzazione. Mancanza di rapporti gerarchici. Mix di funzioni incompleto in ogni citt. Funzioni di rango elevato in centri di ordine inferiore. Legami orizzontali e di sinergia. Il modello christalleriano tradizionale incapace di spiegare questi fenomeni. possibile identificare due tipi di reti:

1) Reti di complementarit (integrazione verticale e orizzontale): la specializzazione garantisce il raggiungimento di economie di scala e di agglomerazione anche in centri di dimensioni non rilevanti. 2) Reti di sinergia: piazze mondiali, mercati integrati grazie a telecomunicazioni avanzate. I vantaggi sono costituiti dalle cosiddette esternalit di rete (esempio: centri finanziari virtuali). 3) Reti di innovazione: su specifici progetti con rapporti su lunga distanza, tra citt a vocazione funzionale simile. Si abbandonano la minimizzazione dei costi di trasporto e la massimizzazione dellarea di mercato; i legami cooperativi sono alla base delle relazioni economiche. Teorie della crescita e dello sviluppo regionale: lo spazio uniforme-astratto Le teorie della crescita regionale, sviluppate negli anni 50 e 60, individuano lo sviluppo locale attraverso la crescita del prodotto o del reddito pro-capite, cercando di identificare gli elementi che possono dare ragione del sentiero di sviluppo sia in unottica di efficiente allocazione delle risorse locali (convergenza o divergenza nei tassi di crescita), sia in unottica di equit distributiva. Si occupano della capacit di un sistema locale di sviluppare attivit o attrarne di nuove attraverso luso efficiente e creativo delle risorse. Quando, invece, le teorie si occupano del benessere sociale, siamo di fronte a teorie dello sviluppo locale. Affronteremo 3 grandi filosofie: 1) Classici e neoclassici (700/800): interpretano il processo di crescita in chiave di efficienza produttiva. Lobiettivo risiede nellindividuazione delle determinanti che generano occupazione e reddito nel breve periodo. 2) Visione congiunturale di breve periodo: risorse date e inutilizzate. Linteresse quello di evidenziare i meccanismi che permettono di uscire dalla povert e di garantire un certo livello di benessere. a. Chiave moderna: crescita come problema di competitivit di lungo periodo, per la quale diviene essenziale linnovazione. In una concezione di breve periodo, un aumento delle esportazioni oppure dei processi migratori rappresenta un meccanismo di sviluppo, in unottica di benessere individuale, lo stesso fenomeno concepito come una sottrazione di beni al consumo finale. Un aumento del reddito di breve periodo raggiungibile attraverso una crescita della domanda attraverso effetti moltiplicativi di stampo keynesiano. In unottica attenta al benessere e alla competitivit di lungo periodo, il motore dello sviluppo deve necessariamente spostarsi su elementi di offerta (lavoro, capitale, imprenditorialit). In comune c sempre unottica dinamica. Concezioni di spazio Le prime teorie dello sviluppo regionale sono teorie della crescita, volte a spiegare landamento del reddito e delloccupazione. Per farlo, adottano una concezione di spazio uniforme-astratto con offerta e domanda ovunque identiche, ipotizzando un territorio uniforme, privo di sinergie e agglomerazione. Si tratta di teorie della crescita regionale, con linevitabile perdita di informazioni qualitative ma con il pregio di una modellizzazione analitica. Regioni deboli si contrappongono a regioni a forte dotazione di capitale, di tecnologie e di Know-how. Un secondo modo di interpretare lo spazio contenuto nella concezione di spazio diversificato-relazionale, che ipotizza rapporti tra individui, societ e territorio. Questa concezione richiede un approccio micro territoriale che rientra nelle teorie dello sviluppo (analisi delle multinazionali, innovazione, cause esogene di sviluppo). Questa interpretazione di spazio trova la sua massima espressione nelle teorie dei distretti industriali, con rendimenti crescenti che permettono un circolo virtuoso di sviluppo; ma lo sviluppo avviene in aree di efficienza dei processi produttivi. Lo spazio diviene fattore produttivo. La teoria degli stadi e le pre-condizioni dello sviluppo La semplicit della teoria degli stadi (cfr. Hoover & Fisher) al tempo stesso la sua forza e la sua debolezza: lo sviluppo regionale rappresentato come un susseguirsi di fasi, una successiva allaltra con capitali e lavoro crescenti. La sequenza prevede: 1) Fase di autarchia: economia di sussistenza. 2) Fase di specializzazione: si mette in moto grazie alla creazione di alcune infrastrutture di trasporto, che danno luogo a scambio di beni agricoli. 3) Fase di trasformazione da economia agricola a industriale. 4) Fase di diversificazione dellattivit manifatturiera. 5) Fase di terziarizzazione: la specializzazione diventa fonte di produttivit. Questa teoria sottolinea limportanza di una crescita contemporanea di diversi settori. Le forze motrici della crescita regionale sono: Esternalit derivanti da meccanismi di interindipendenza tra diversi settori. Esternalit nei meccanismi di interindipendenza tra domanda e offerta.

Esternalit che nascono dalla presenza di investimenti in infrastrutture differenti. Il sottosviluppo interpretato come la permanenza forzata allinterno di una fase. Qualora non esistesse sufficiente dimensione di mercato o investimenti in capitale o in infrastrutture. Il rischio che le dispersioni verso aree esterne pi avanzate siano talmente forti da limitare unespansione della domanda. Il suggerimento che nelle prime fasi dello sviluppo si debbano incanalare investimenti pubblici in pochi, grandi e diversificati settori forti. Tuttavia, risulta alquanto difficile poter accettare lidea che il processo di sviluppo possa avvenire seguendo fasi necessariamente identiche in tutte le regioni. Fasi di sviluppo e disparit Williamson sostiene che lo sviluppo si presenta concentrato e polarizzato nelle aree centrali e successivamente si diffonde alle periferie e ai settori pi deboli. La conseguenza che nelle prime fasi il divario regionale cresce. Motivi: Emigrazione. Flussi di capitali. Investimenti pubblici nelle aree forti. Limitati scambi interregionali, fino a che non entrano in gioco meccanismi opposti. Levidenza empirica d ragione di una crescita dei differenziali; non altrettanto si pu sostenere per gli effetti opposti. La domanda e la crescita regionale In unottica tipicamente keynesiana, che si pone come obiettivo quello di ovviare ad un elevato livello di disoccupazione, esaminiamo le teorie che, negli anni 50 e 60 individuano lo sviluppo attraverso la crescita del prodotto o del reddito pro-capite, con la necessaria assunzione di uno spazio uniforme-astratto e omogeneo. Anche qui le condizioni di offerta e di domanda sono ovunque identiche. Gli elementi che innestano un processo di sviluppo sono: 1) Espansione della domanda. 2) Crescita della capacit produttiva. 3) Maggiori risorse a disposizione. 4) Investimenti. Dallaumento della domanda dipende non solo loccupazione e il reddito del settore, ma anche, per effetto di meccanismi di interindipendenza a monte e a valle della produzione, dellintera area. La domanda dunque in questi modelli il motore dello sviluppo. Quanto si produce spesso va al di l delle esigenze della domanda locale. La domanda , infatti, spesso esterna e, in questottica, la crescita dipende dal grado di specializzazione. Ogni spesa addizionale si trasforma in reddito, il cui aumento a sua volta torna ad incrementare la spesa, ad ogni passaggio con incrementi via via pi limitati. Siamo nel breve periodo, quindi privo di considerazioni riguardo al benessere individuale e alla competitivit, che sono dati per scontati. La bilancia dei pagamenti regionali Le regioni si presentano come sistemi di piccole dimensioni che producono in eccesso il bene di specializzazione e non sono in grado di fornire unampia gamma di risorse, che devono essere acquistate dallesterno. La bilancia dei pagamenti rappresenta lo strumento contabile, a livello aggregato, di tutte le transazioni che un sistema regionale intrattiene con il resto del mondo in un periodo di tempo (annuale).

suddivisa in 3 parti: 1) Partite correnti: a. Bilancia dei servizi: ENTRATE USCITE Spese effettuate dai non residenti Spese dei residenti per servizi ottenuti allesterno b. Bilancia commerciale: ATTIVO PASSIVO Merci esportate Merci importate c. Trasferimenti unilaterali: ENTRATE USCITE Trasferimenti del Governo alla Regione Rimesse degli immigrati verso altre regioni La somma d luogo al saldo delle partite correnti, ossia il saldo di tutte le transazioni reali. 2) Movimenti di capitale: registra le transazioni finanziarie. 3) Movimenti monetari: entrate e uscite di moneta per transazioni di merci o capitali.

Il metodo quello della partita doppia, quindi il bilancio risulta sempre in pareggio. Nel conto delle risorse e degli impieghi sono registrati in attivo le risorse e in passivo i modi di impiego di esse (consumi, investimenti, esportazioni). Se la regione registra un saldo positivo nella bilancia commerciale e in quella dei servizi, significa che una parte della produzione interna effettuata per rispondere allesigenza di un mercato esterno. Il secondo quadro quello del reddito regionale e del suo utilizzo, utilizzato per consumi e risparmi. Il terzo quadro quello del conto della formazione del capitale: registra risparmi, contributi e investimenti non finanziari. Il saldo registra le risorse interne a disposizione o mancanti. Il saldo delle partite correnti uguaglia sempre il saldo del conto della formazione del capitale. Le condizioni macroeconomiche nelle relazioni interregionali La crescita pu essere il risultato di: Esportazioni elevate (positivo). Cospicui trasferimenti pubblici (negativo che indica ridotta competitivit, stagnazione e disoccupazione). Acquisti di beni patrimoniali (negativo: anche in questo caso pu celare disoccupazione e squilibrio). Movimenti di capitali in entrata per investimenti (positivo: stimola loccupazione e la capacit produttiva). Importazioni (crediti commerciali). Elemento neutro. La regione esportatrice: il modello della base desportazione Il modello di Hoyt degli anni 30 orientato allidentificazione del ruolo della domanda nei meccanismi di crescita e di sviluppo. Lidea di base che i sistemi di piccola entit non possono affidarsi esclusivamente alle capacit endogene di sviluppo: la crescita resta condizionata da elementi esterni. Hoyt distingue loccupazione del settore di base dalloccupazione del settore dei servizi. Loccupazione nel settore di base esogena. Allaumentare delloccupazione nel settore di base, loccupazione totale aumenta di una quantit pi che proporzionale (definita moltiplicatore urbano): 1 / (1 occupazione nei servizi) con 0 < a < 1. Il modello keynesiano export-led Negli anni cinquanta viene formulata una versione a livello regionale del modello della base desportazione di natura economica, che si basa su un modello tradizionale di domanda aggregata keynesiana: Y = C + I + G + (X M). La conclusione analoga al modello precedente: la domanda esterna, misurata in termini di esportazioni, genera sviluppo locale, attraverso gli effetti moltiplicativi che provoca sul reddito e sulloccupazione. Le regioni a pi rapido sviluppo sono quelle che riescono a mantenere nel tempo un surplus di esportazioni. Valutazioni critiche del modello Pregi: analizza il problema dello sviluppo dal punto di vista di un sistema di piccole dimensioni, in una logica keynesiana ed evidenzia il ruolo delle relazioni interregionali. Ricorda limportanza della specializzazione e riesce a mettere sullavviso circa il rischio di unaccentuata specializzazione nel lungo periodo: se diminuisce la domanda di un determinato bene e la regione specializzata nella sola produzione di quel bene, ci sar recessione. Si adatta a descrivere lo sviluppo nei cosiddetti ricardian goods, ossia beni connessi con la disponibilit di risorse naturali. Difetti: Non considera la struttura e la dinamica dellofferta locale. Non esiste distinzione tra attivit produttive e tra specializzazioni industriali differenti. Gli effetti moltiplicativi delle esportazioni sul reddito hanno sempre la stessa portata, indipendentemente dal settore. Non vi nessun ostacolo allampliamento dellofferta: il sistema ha le risorse per aumentare la produzione a costo nullo. Se cos non fosse, laumento della domanda si scaricherebbe nel breve in aumento dei prezzi. Stabilit dei moltiplicatori: nel lungo sono facilmente ipotizzabili processi di diversificazione produttiva. Non sono previsti cambiamenti produttivi. Ignora il settore residenziale e dei servizi. La stima della base economica Linteresse ad applicare il modello della base desportazione ha spinto allindividuazione di metodi per distinguere i settori. Il pi comune quello del quoziente di localizzazione, con il quale si distinguono i settori in base alla quota occupazionale del settore a livello regionale rispetto alla quota dello stesso settore a livello nazionale: il rapporto tra la percentuale di occupati della regione e la percentuale di occupati della nazione in un settore. Qualora il rapporto tra le quote sia maggiore di 1, si considera che la proporzione eccedente sia espressiva di un surplus di produzione rispetto alle esigenze della domanda locale e, quindi, di esportazioni nette. Stabilito in questo modo quali sono i settori che esportano, sommandone loccupazione si ottiene la stima delloccupazione nel settore di base.

Limiti: 1) Assume uguali preferenze dei consumatori nello spazio nazionale o regionale. 2) una logica di economia chiusa: si ipotizza che la nazione non esporti e che le esigenze siano al massimo rappresentate dalla domanda nazionale. 3) Ipotizza uguali livelli di produttivit nello spazio. Un altro metodo quello della tecnica dei requisiti minimi, che parte dal presupposto che la quota di occupati pi bassa sia la quota minima per soddisfare le necessit di una regione e che una quota pi elevata sia espressiva di una capacit produttiva eccessiva per la regione. La somma delloccupazione dei settori con una quota superiore alla minima determina loccupazione nel settore di base. Anche questo modello ha pi o meno gli stessi limiti. La stima del moltiplicatore regionale Esistono almeno due metodi in grado di stimare il moltiplicatore regionale: 1) Metodo di Archibald: stima la propensione ad acquistare beni localmente. 2) Metodo di Allen: considera come proxy linverso della quota di dispersione (leakages) sul PIL di una regione. Lanalisi I-O una tecnica che permette di considerare limpatto che la crescita di un settore genera sulla produzione di ogni altro settore delleconomia locale. basata sul modello delle interdipendenze settoriali di Wassily Leontief: una metodologia di previsione che si basa sulla costruzione di una matrice quadrata n x n nella quale vengono registrate le vendite sulle righe e gli acquisti sulle colonne. La matrice completata da una serie di colonne nelle quali si registrano consumi, investimenti ed esportazioni e da una serie di righe, nelle quali si inseriscono salari e profitti e acquisti dallesterno. La somma di ogni riga rappresenta i ricavi di ogni settore, mentre la somma di ogni riga i suoi costi. I valori per riga uguagliano i valori per colonna. La matrice inversa di Leontief o matrice dei moltiplicatori permette di calcolare il valore della produzione di ogni settore attivata direttamente e indirettamente da un euro di domanda finale che si rivolge a ciascun settore. Il moltiplicatore keynesiano disaggregato in settori. Limiti: 1) Rendimenti costanti. 2) Assenza di progresso tecnico. 3) Se la si utilizza a livello regionale la matrice deve essere suddivisa in flussi intra e interregionali. La dotazione fattoriale Le teorie neoclassiche di crescita locale e le teorie del commercio interregionale concepiscono lofferta come motore dello sviluppo e la dotazione fattoriale come fonte della competitivit. Introduciamo il lungo periodo. Per esportare si deve godere di qualche vantaggio competitivo: prezzi bassi, qualit elevata o beni nuovi. La crescita non pi intesa come aumento delloccupazione e del reddito ma come benessere individuale, raggiunto grazie ad incrementi della produttivit fattoriale o alla specializzazione. Ancora una volta, dunque, ci confrontiamo con approcci ala crescita regionale, attenti a concepire uno spazio uniforme-astratto, che garantisce condizioni economiche identiche ovunque. Crescita regionale e mobilit fattoriale: modello a un solo settore produttivo Formulato da Borts & Stein, questo modello presenta le tradizionali ipotesi di un modello di crescita neoclassico: perfetta concorrenza, piena occupazione, perfetta mobilit dei fattori produttivi, immobilit dei beni, sostituibilit tra capitale e lavoro. Attraverso la funzione Cobb-Douglas a rendimenti costanti, la possibilit per il reddito di crescere dipende dalla crescita del progresso tecnico e dalla crescita del capitale e del lavoro. In assenza di progresso tecnico, la produttivit del lavoro pu solo aumentare se la crescita del capitale la eccede. Lo stato stazionario garantito quando il tasso di crescita del capitale uguaglia quello del lavoro. Secondo i neoclassici, la crescita una questione di ottima allocazione delle risorse: data la perfetta mobilit dei fattori produttivi, essi si spostano dove pi elevata la loro produttivit, attratti da maggiori remunerazioni. Data una regione ricca (nord) e una povera (sud), il lavoro si sposter dalla regione povera a quella ricca e il capitale far il contrario, sino a far uguagliare la ricchezza delle due regioni: lequilibrio coincide con il punto in cui il tasso di crescita del rapporto capitale/lavoro nullo.

Il modello a due settori Levidenza empirica sembra non confermare la precedente conclusione. Si passa cos a ipotesi pi realistiche: Esistenza di due regioni, in ognuna delle quali sono presenti due settori: o Manifatturiero, ad alta produttivit che esporta. o Agricolo, a bassa produttivit che non esporta. Esistenza di squilibri nella bilancia commerciale. Concorrenza perfetta.

Rendimenti costanti. Remunerazione alla produttivit marginale. Massimizzazione del profitto. Partendo da una situazione di equilibrio iniziale, il modello mostra le variazioni nei tassi di crescita delle due regioni, qualora sia ipotizzato uno shock esogeno (ricorda la teoria della base desportazione: una domanda esterna fonte di crescita): Lo stock di capitale nel settore che produce per lesportazione aumenta. La domanda di lavoro aumenta e attrae lavoratori sia dal settore agricolo sia dallaltra regione. Il settore agricolo registra un aumento della domanda del bene e, di conseguenza, della produzione e delloccupazione. La crescita della produzione in questo modello appare dunque come il risultato di unallocazione delle risorse pi efficiente verso il settore manifatturiero, a maggior produttivit. Conclusioni: 1) La mobilit di entrambi i fattori produttivi avviene verso la stessa regione. 2) C divergenza nei tassi di crescita del reddito tra regioni. Considerazioni critiche sullapproccio neoclassico Le regioni ricche hanno forte capacit di attrarre lavoro, ma al contempo rischiano di perdere competitivit a causa dei rendimenti decrescenti che accompagnano un utilizzo intensivo delle risorse. Le regioni deboli hanno vantaggi localizzativi nel salario relativo e nel costo del lavoro. Tuttavia, la persistenza di forti squilibri lascia intendere che questi vantaggi non siano sufficienti: le aree forti trovano il modo di superare i rendimenti decrescenti. Lostacolo pi appariscente risiede nei costi economici e psicologici che accompagnano la mobilit delle risorse, ipotizzati nulli. Le economie di agglomerazione giustificano la tendenza delle imprese ad investire sempre nelle regioni ricche, gi dotate di capitale. Inoltre, la migrazione risulta spesso selettiva: coinvolge i lavoratori pi qualificati e ci priva larea debole delle risorse pi efficienti. Secondo Vera Lutz, aumenti salariali concentrati in aree forti, imposti dal sindacato, creano un dualismo salariale. Larea forte reagisce riducendo i lavoratori e facendo ricorso a tecnologie pi avanzate. La persistenza in fasi di sottosviluppo pu essere ben spiegata dalla presenza di elementi istituzionali e sociali che limitano la mobilit delle risorse. Infine, in presenza di tecnologie differenti, un uguale rapporto capitale/prodotto tra regioni non garanzia di un uguale livello di produzione. Specializzazione e vantaggio comparato: il modello classico di Ricardo Bisogna stare attenti a considerare la specializzazione quale determinante dello sviluppo di una regione, confrontando considerazioni a livello nazionale e regionale. Le regioni (e le nazioni) scambiano tra loro i beni sulla base di un vantaggio comparato e non di un vantaggio assoluto: una regione pu essere inefficiente nella produzione di tutti i beni rispetto al resto del Paese, ma pu comunque essere relativamente meno inefficiente nella produzione di un bene rispetto agli altri beni, specializzandosi in quella produzione. Questo risultato noto come il paradosso di Torrens-Ricardo, derivante dalle assunzioni del modello David-Ricardo: 2 regioni 2 beni. 1 solo fattore produttivo con produttivit differenti in differenti regioni. Assenza di rendimenti crescenti o decrescenti: costi marginali costanti. Perfetta mobilit interna, immobilit esterna. Baratto. Il Sud produce in maniera inefficiente. In una logica di vantaggio assoluto, non esisterebbe ragione per la quale il nord debba procedere a scambi di beni pi cari con il sud. Ricardo, per, confronta i costi comparati o costi opportunit e cos ogni regione portata a produrre un unico bene: quello nel quale gode di un vantaggio comparato. Il risultato che le regioni sono in grado, indipendentemente dalla loro reale capacit produttiva, di ottenere sempre un ruolo nel mercato. Si tratta, infatti, di un risultato paradossale e, come vedremo, le regioni competono sul vantaggio assoluto. Il risultato di Ricardo era talmente ridicolo che subito fu accettato e inserito tra le teorie regionali. La teoria delle dotazioni fattoriali: il modello neoclassico di Heckscher-Ohlin Nel 1933, Ohlin formula un modello sulla base dellimmobilit dei fattori produttivi (opposto al modello neoclassico), evidenziando le fonti delle diverse produttivit fattoriali delle regioni, date per esogene nel modello ricardiano. Il modello dimostra che ad ogni regione converr specializzarsi nelle produzioni che fanno pi intenso uso del fattore produttivo pi abbondante nellarea, perch generano costi inferiori. Ipotesi: 2 regioni 2 beni 2 soli fattori (capitale e lavoro).

Ogni bene richiede una diversa intensit fattoriale. I fattori produttivi sono qualitativamente identici, ma presenti in quantit differenti. Le funzioni di produzione sono uguali nelle 2 regioni (per evitare il paradosso di Ricardo). Concorrenza perfetta. Stesse condizioni di domanda. Immobilit dei fattori produttivi. Economia aperta e commercio libero. Al Nord manca il lavoro e abbonda il capitale (viceversa al Sud), quindi si produrr facendo pi ricorso al secondo. Al Sud conviene specializzarsi nella produzione del grano (labour intensive), al Nord nellacciaio (capital intensive). Si assiste cos ad un processo di aggiustamento e riallocazione dei fattori produttivi: il Nord sposter risorse dalla produzione del grano a quella dellacciaio (viceversa al Sud). Il risultato luguaglianza dei prezzi relativi dei beni. Ci viene confutato da Leontief (poi anche Moroney & Walker) negli anni 50, dimostrando che i settori di esportazione degli USA, Paese a maggior intensit di capitale, hanno in realt unelevata intensit di lavoro. Anche la realt empirica italiana degli anni 60-90 dimostra il contrario. Spiegazioni del paradosso: 1) La prima spiegazione dei paradossi di Ohlin risiede nel fatto che, come Leontief stesso fece notare, non si pu considerare il fattore lavoro come omogeneo (il lavoro qualificato giustifica la specializzazione). 2) Non considera il progresso tecnico: le innovazioni possono generare ampi vantaggi. 3) Infine, con riferimento al caso italiano, vanno ricordati gli investimenti pubblici al Sud. Il modello, concludendo, cos come formulato, anche se spiega il benessere derivante dalla specializzazione, non in grado di definire un processo di crescita regionale. Vantaggio assoluto e vantaggio comparato Nella regione con produttivit pi elevata logico attendersi che i salari siano pi elevati, generando un divario con laltra regione. Anche ipotizzando che il salario monetario sia mantenuto artificialmente alto al Sud, il Nord produrrebbe tutto e si troverebbe in pi che piena occupazione, mentre il Sud non produrrebbe niente, e avrebbe problemi di disoccupazione e un deficit continuo nella bilancia dei pagamenti. La conclusione che, in presenza di regioni pi efficienti in assoluto di altre, le condizioni di squilibrio sono destinate a perdurare nel tempo, in quanto i puri meccanismi riequilibratori macroeconomici, che a livello nazionale sembrano tutelare la competitivit relativa dei territori, a livello regionale o non esistono o non funzionano.

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