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La Parabola del padre misericordioso, popolarmente chiamata del figliol prodigo (cio "spendaccione"[1]) una parabola di Ges raccontata

a solamente nel Vangelo secondo Luca (15,1132). l'ultima di una trilogia, nella quale preceduta dalla parabola della pecorella smarrita (15,47) e dalla parabola della moneta smarrita (15,8-10). La parabola esprime bene la teologia di Luca dell'amore e della misericordia di Dio[2]. Il perdono del figlio minore non la risposta del padre ai suoi buoni propositi: il padre infatti lo accoglie ancor prima che egli abbia la possibilit di parlare e di esprimere il proprio pentimento; e come il padre uscito incontro a lui che ritornava, cos esce a supplicare il figlio maggiore che giudica inopportuna la benevolenza del padre verso il fratello. Il nome della parabola Il Vangelo riporta la parabola ma ovviamente non ne indica il nome. Il nome che si trova in quasi ogni edizioni della Bibbia posto dal curatore come sintesi del brano. Ogni scelta di un nome tradisce un punto di vista. La designazione tradizionale e popolare della parabola in riferimento al figlio prodigo non solo imprecisa e povera, ma errata, perch riduce l'immensa ricchezza della parabola a un solo aspetto, per altro marginale: la prodigalit spensierata del figlio lontano da casa. La prima edizione della Bibbia CEI del 1971 titola: Il figlio perduto e il figlio fedele: il "figlio prodigo", cercando di salvare e superare al tempo stesso il titolo tradizionale, ma travisando cos la figura del figlio maggiore, che non affatto un figlio fedele. La seconda edizione della stessa (1997) cambia il titolo nel pi comprensibile Parabola del padre misericordioso, mettendo in evidenza il cuore del racconto, ma lasciando in ombra l'elemento della giustizia, che essenziale nel pensiero lucano. L'edizione bilingue (greco-italiano) del Nuovo Testamento[3] titola: Parabola del figlio ritrovato, che parzialmente vera, ma non dice il cuore della parabola. Helmut Gollwitzer titola La gioia di Dio, e in questo modo sintetizza tutto il capitolo alla luce del tema della gioia (in greco char/chir) presente espressamente sei volte in tutto il capitolo 15 (vv. 5.6.7.9.10.32; cf anche v. 23). Grard Ross sceglie un titolo neutro, da scoprire: La parabola del padre e dei suoi due figli, senza alcuna implicazione preventiva. Altri[4] propone di chiamarla La parabola di Dio Padre giusto perch misericordioso, spiegando che un titolo lungo, ma che offre la chiave di lettura per entrare nel cuore di Dio, il cui mestiere il perdono. Contesto Contesto ampio La parabola inserita dall'evangelista Luca nella sezione 15,1-17,10 che tratta della giustizia di Dio, in contrapposizione alla giustizia degli uomini. Questi emettono sentenze e condanne secondo criteri di eguaglianza, per lo pi di convenienza; Dio al contrario esercita la giustizia di Padre e di Madre per recuperare sempre i figli del suo amore. In Lc 15,1 inizia il contesto di riferimento: Si avvicinavano poi a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo, mentre mormoravano [sott.: contro di lui] i farisei e gli scribi, dicendo. A conclusione della sezione, in Lc 17,1-10, leggiamo che bisogna perdonare il fratello che si pente (v. 3), sempre (v. 4)[5].

Dall'inizio alla fine, l'orizzonte dominato dai pubblicani, dai peccatori e dal perdono senza condizioni e senza misura. Perdonare soltanto amare a perdere, senza chiedere nulla in cambio. Secondo Ges un perdono che pone una condizione[6] non un perdono, perch manca la caratteristica della gratuit: il discepolo di Ges non perdona perch l'altro se lo merita, ma perch ha sperimentato la misericordia di Dio e la rende visibile, le da un corpo offrendo il perdono all'altro, e realizzando cos la preghiera del Padre nostro: Padre,... perdona a noi i nostri peccati affinch anche noi possiamo perdonare a ogni nostro debitore (Lc 11,4). Il perdono di Dio diventa fondamento del perdono reciproco degli uomini, e il perdono vicendevole degli uomini diventa il sacramento visibile della misericordia di Dio[7]. Stile Questa parabola considerata da sempre come la perla delle parabole, un "vangelo nel Vangelo"[8]. Lo stile accurato, e manifesta, oltre che un'arte raffinata anche una partecipazione intensa del redattore[9]. Senso generale La parabola ha due vertici: la prima parte (15,11-24) ha un senso completo in se stessa e illustra il tema della misericordia divina; la seconda parte (15,25-32) rappresenta la risposta di Ges alle mormorazioni dei farisei e contiene l'insegnamento principale nel contesto apologetico nel quale inserita. L'accento posto nel secondo vertice della parabola: Ges rimprovera i farisei che si comportano come il fratello maggiore, in contrasto con la bont e la volont di salvezza di Dio. La parabola si propone di dare un insegnamento ben preciso sul peccato e sulla sua natura[10]. La parabola vuole contrastare due concetti di peccato e due concetti di giustizia. Il figlio maggiore, pur senza rappresentare in senso stretto i farisei, ha un concetto di giustizia abbastanza simile al loro: fondato sull'idea di retribuzione (v. 29): si preoccupa soprattutto di salvaguardare l'ordine esteriore, piuttosto che di assicurare l'esistenza di relazioni personali tra l'uomo e Dio. Fa parte della famiglia, ma la sua visione piuttosto quella di un mercenario, non di un fratello n di un figlio. Per lui il peccato la violazione di una struttura esteriore, la disobbedienza ad un precetto, cio una "trasgressione" che si manifesta visibilmente. Il figlio minore esprime invece un diverso concetto di peccato, che ancora certamente un'offesa a Dio ("Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te"), anche se non facile capire dove stia l'offesa: per alcuni l'offesa sta nell'aver "divorato gli averi"; di quest'opinione anche il fratello maggiore (v. 30); in realt la parabola fa supporre che l'offesa consista nel rifiutare di essere figlio, quindi nel non voler stare sotto lo sguardo del suo amore, pretendendo, come Adamo nell'Eden, di essere padrone di s; questo peccato il figlio minore l'ha espresso abbandonando la casa paterna (v. 13), secondo il concetto biblico: il peccatore si allontata dal Padre celeste, se si converte ritorna a lui. Ed effettivamente ci che rende felice il padre semplicemente il ritorno del figlio, perch egli suo figlio, pi che il suo ritorno "sano e salvo", che l'interpretazione dei servi (v. 27). Attraverso il suo peccato, o piuttosto attraverso il perdono di suo padre modellato sul suo peccato, il figlio pentito scopre l'amore paterno, ritrova - o forse sperimenta per la prima volta - i sentimenti di figlio.

Il figlio maggiore, invece, si considera "giusto", per il fatto che non viola alcun precetto, quando in realt egli trasgredisce il principale dovere, quello d'essere figlio. Insensibile anche alla chiamata che suo padre anche a lui rivolge (v. 28), vive con il padre ma come un estraneo nella sua casa. La parabola suggerisce che vi possono essere due differenti immagini di Dio: l'immagine corretta di Dio quella di un Padre che, pur rispettando la libert del figlio minore che se ne va, non cessa nel suo cuore di attenderne il ritorno, e gioisce quando questo avviene; il figlio maggiore non riesce a concepire ci: per lui Dio uno con cui avere una relazione di dare/avere, uno a cui reclamare di non avergli dato abbastanza. Esegesi L'espressione che introduce la parabola, "e disse", senza che si riporti il soggetto (Ges), volutamente solenne e maestosa[11]. In Ges Dio che parla e annuncia la salvezza del perdono, ma non come proposito od obiettivo, ma come evento che si compie nel momento stesso in cui Lui "dice". Dio, quando parla, crea e realizza quello che dice[12]. Dio parla agendo e agisce parlando. "E disse", posto all'inizio assoluto della parabola, esige un atteggiamento di ascolto profondo, perch la parabola non un racconto edificante per suscitare pii desideri, ma la proclamazione della volont di Dio, che con una parabola annuncia "il vangelo del vangelo", definendo la sua natura di Dio. Nel momento in cui Dio "dice" la parabola Lui che sta davanti a noi e ci supplica, ci prega di essere presenti con l'ascolto delle orecchie del cuore. "E disse" provoca in noi l'eco di Dt 6,4: "Ascolta, Israele!", dove Dio stesso che "prega" il suo popolo. Prima parte L'uomo anonimo della parabola ha due figli, e dunque padre. Un altro padre e due figli troviamo in Mt 21,28-32, dove s'invertono risposta orale e comportamento pratico: quello che dice no fa la volont del padre, mentre quello che dice s, non la fa. La relazione padre-figlio non solo parentela carnale, ma condivisione di volont, di progetti, di sogni, di vita[13]. La legge ebraica assegnava al primogenito una parte doppia dell'eredit, che riceveva alla morte del padre[14]. Se egli aveva solo due figli, al secondo toccava un terzo dell'eredit, ma solo dei beni mobili[15]: il patrimonio immobiliare spettava integralmente al primogenito (Dt 21,17; Lev 25,2325) . Nella parabola il figlio minore riceve la sua parte, mentre la situazione del primogenito rimane invariata. Sappiamo (1Re 1-2; Sir 33,19-23) che un padre poteva abdicare prima della sua morte e dividere la sua propriet. Al suo ritorno, il pi giovane sar reintegrato nella casa come figlio, ma cercare di determinare ci che avvenne effettivamente andare oltre i dati e la finalit del racconto. La vita dissoluta del figlio minore espressa da un termine greco che significa sensualit e spreco sfrenati. Essa si aggrava con il fatto che egli andato a vivere tra i pagani, come fa capire l'accenno al paese lontano (v. 13) e il particolare dei porci in mezzo ai quali il figlio si ritrova a lavorare (v. 15.16). Per gli ebrei infatti i porci erano animali impuri (cfr. Dt 14,8; Lev 11,7), e custodirli o allevarli era un'occupazione "impura". Essere poi disposti a consumarne gli alimenti indicava una forma di degradazione imperdonabile. Le carrube sono i frutti della pianta del carrubo (ceratonia siliqua). La severit del padrone non consentiva al figlio minore neppure di sottrarne alcune qualcuna agli animali immondi per sfamarsi. La decisione del figlio minore di ritornare non dettata dal pentimento, ma dalla fame[16]. Essa espressa dal verbo ritorner, che richiama Os 2,9. Il figlio minore cambia rotta, inverte il corso della sua vita, che l'ha portato alla miseria e alla disperazione.

Cielo sta per Dio. Il figlio percepisce di aver mancato al padre della terra e al Dio dei cieli. La compassione del padre traspare dal tenore originario di Luca: "le sue viscere ne furono sconvolte", esplagchnsthe, splgchna" = "viscere". Il suo perdono espresso dal bacio (v. 20; cfr. 2Sam 14,33) precedono la confessione di pentimento del figlio (v. 21). La risposta d'amore del padre non permette al figlio di terminare la sua richiesta (v. 21-22). Il vestito donato al figlio ritornato quello di un figlio, non di un servitore. Le parole che vengono tradotte con "il vestito pi bello" (v. 22) dovrebbero essere lette, in modo pi vicino al testo greco, "il suo primo (o antico) vestito": il senso sarebbe quello che il suo recente passato di dissoluto dimenticato, e gli sono riconfermati i suoi antichi privilegi di figlio. L'anello, che recava di solito un sigillo personale, segno di autorit (cfr. 1Mac 6,14). Portare i sandali era un privilegio degli uomini liberi; portarle in casa era riservato al padrone di casa, non ai suoi ospiti; gli schiavi camminavano scalzi. Anello e vestito comparivano insieme nel conferimento dell'autorit del faraone a Giuseppe (Gen 41,42). Il vitello grasso (vv. 23.27.30) indica un animale nutrito in maniera speciale e riservato per un'occasione speciale. Il tema del "perduto e ritrovato" lega insieme non solo le due parti della parabola riferentesi ai due figli (v. 24.32), ma riprende anche le finali delle due parabole precedenti (v. 7.10). Seconda parte Nel v. 29 il figlio maggiore si rivolge al padre tralasciando il garbato saluto "padre" usato invece dal figlio minore (v. 21). Inoltre egli parla di suo fratello chiamandolo "questo tuo figlio" (v. 30), con disprezzo. Nella risposta del padre questi lo vuol far ritornare al giusto rapporto di fratellanza: "questo tuo fratello" (v. 32). Inoltre l'espressione teknon (letteralmente "[mio] piccolo") ha un tono molto tenero: con queste parole, come gi andandogli incontro e supplicandolo, il padre manifesta la sua bont anche verso il figlio maggiore. La frase "Tutto quello che mio tuo" (v. 31) vuole esprimere la fusione dei cuori, che il fratello maggiore non riesce a percepire. Le espressioni "Mio figlio era morto" (v. 24) e "tuo fratello era morto" (v. 32) riflettono il modo semitico di dire "come morto" o "non meglio che morto", suggerendo che il figlio minore aveva abbandonato la casa con l'intenzione di non tornarvi. improbabile che esse si riferiscano alla sua morte spirituale. La parabola termina in maniera aperta[17]: non si dice se il figlio maggiore accetter o meno l'invito accorato del padre. In questa maniera Ges suggerisce che anche per i farisei, ai quali rivolta la parabola, c' ancora tempo per la conversione.

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