Sei sulla pagina 1di 17

SECONDA PARTE – SISTEMA TRIBUTARIO

L’ELUSIONE
Secondo l’opinione comune l’elusione fiscale occupa uno spazio
intermedio tra risparmio legittimo d’imposta ed evasione. L’elusione è
diversa dall’evasione perché l’evasione è generalmente realizzata
occultando il presupposto dell’imposta. Evasione, in altre parole significa
violazione diretta, aperta di norme fiscali, punita con sanzioni
amministrative e/o penali.
L’elusione può essere definita come una forma di risparmio fiscale che è
conforme alla lettera ma non alla ratio delle norme tributarie: il
contribuente che elude evita di applicare la tassazione più onerosa
seguendo un percorso anomalo, abusivo. Il contribuente non applica il
regime fiscale appropriato ed applica abusivamente una normativa fiscale
più favorevole.
Secondo la definizione dettata dal nostro legislatore nell’art 37 bis del
D.P.R. 600/1973, vi è elusione quando sono posti in essere
comportamenti privi di valide ragioni economiche diretti ad aggirare
obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e a ottenere
riduzioni d’imposte o rimborsi altrimenti indebiti.
Un contratto con fini di elusione non è nullo ma valido ed efficace sul
piano civilistico come stabilisce l’art. 10 dello statuto.
L’art. 1344 c.c. prevede che è nullo per illiceità della causa il contratto che
costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa
ma questa disposizione non è applicabile ai contratti che eludono nome
fiscali perché le norme imperative alla quali si riferisce l’art 1344 sono le
norme proibitive, le norme cioè che vietano il comportamento di
determinati negozi.
ESEMPIO DI ELUSIONE: Il contribuente evita di pagare l’imposta
totalmente o parzialmente approfittando di ambiguità o lacune nel
sistema tributario italiano. In pratica, il contribuente aggira l’imposta ma
non è perseguibile (un imprenditore che anziché costituire una ditta
individuale, costituisce una società uni-personale per approfittare dei
vantaggi economici). Questo perché in caso di fallimento non vengono
coinvolti i beni personali e della famiglia, quindi cerca di ottenere
vantaggi economici.

ESEMPIO DI EVASIONE: il contribuente si sottrae al pagamento


dell’imposta parzialmente o totalmente ed è un reato (falsa dichiarazione
dei redditi, contabilità d’impresa irregolare).

LE CONSEGUENZE DELL’EVASIONE FISCALE


L’evasione può essere:
COLPOSA: il contribuente non paga per distrazione o ignoranza.
DOLOSA: il contribuente non paga consapevolmente e volontariamente.
Conseguenza per l’evasore:
Sanzione pecuniaria o penale poiché si tratta di un vero e proprio reato.
Conseguenza per la società:
Riduce le entrate dello Stato e danneggia la spesa pubblica.
I contribuenti più onesti sono sempre più scontenti e sfiduciati nelle
istituzioni.
Rende la distribuzione del reddito più ingiusta. (i ricchi che non pagano le
imposte diventano sempre più ricchi).
Secondo l’art 37 bis del D.P.R. 600/73 sono in opponibili
all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi anche collegati tra
loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o
divieti previsti dall’ordinamento tributario e a ottenere riduzioni
d’imposte o rimborsi altrimenti indebiti. Secondo la disposizione
l’elusione assume rilievo quando sussistono congiuntamente due
concezioni positive ed una concezione negativa.
Le due condizioni positive sono:
a) Che sia stato conseguito un vantaggio fiscale altrimenti indebito;
b) Che sia stato posto in essere l’aggiramento di un obbligo o divieto
fiscale.
La condizione negativa è che l’operazione effettuata sia priva di valide
ragioni economiche. Va notato che l’elusione non è il risultato di una
singola operazione ma di una serie di operazioni. Occorre dunque
valutare l’operazione nella sua globalità. In via prioritaria occorre
esaminare se sia stato conseguito un vantaggio fiscale.
Non vi è elusione se non si consegue un risparmio d’imposta. Per
accertare il vantaggio occorre porre a confronto lo schema realizzato e
un modello standard; ed occorre confrontare il regime fiscale cui è
soggetto il comportamento posto in essere ed il regime fiscale
connesso al trattamento evitato.
Occorre confrontare due comportamenti:
quello meno oneroso che è stato posto in essere dal contribuente e
quello ortodosso ma più oneroso che è stato evitato.
Altra forma netta di elusione si verifica quando l’operazione è del tutto
priva di valide ragioni economiche e lo scopo di risparmio fiscale è
l’unica ragione dell’operazione dalla quale non deriva alcun risultato
economico apprezzabile. Un altro esempio significativo di operazione
elusiva priva di assoluto di motivazione economica è dato dalle
cosiddette esportazioni a U, nelle quali al fine di usufruire della
restituzione dei dazi doganali per l’esportazione di prodotti agricoli, le
merci vengono consegnate al destinatario estero e immediatamente
restituite senza alcuna utilizzazione all’esportazione. In sintesi
un’operazione è elusiva se comporta un vantaggio fiscale indebito
ottenuto aggirando una specifica disposizione fiscale ed in assenza di
valide ragioni economiche.

L’art. 37 bis del D.P.R. 600/73 stabilisce che gli atti, i fatti e i negozi
elusivi sono in opponibili all’amministrazione finanziaria la quale
disconosce i vantaggi tributari conseguiti applicando le imposte
determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte
dovute per effetto del comportamento in opponibile
all’amministrazione.
Gli accertamenti dei comportamenti elusivi non sono normali atti
impositivi ma speciali avvisi di accertamento che applicano la norma
elusa. Applicano cioè la norma che il contribuente ha aggirato. A tale
avviso di accertamento il contribuente non può opporre di non dovere
l’imposta accertata dall’amministrazione finanziaria perché il
comportamento effettivamente tenuto è diverso da quello sul quale si
fonda la pretesa fiscale.
Poiché può essere dubbio se un comportamento sia elusivo, il
legislatore ha previsto un’apposita forma di interpello concernente i
comportamenti elusivi ed altre fattispecie di difficile interpretazione. Vi
è infatti un cosiddetto interpello speciale esperibile per l’applicazione
di talune specifiche disposizioni aventi quasi tutte finalità antielusiva
per il quale è competente la direzione generale dell’agenzia delle
entrate. La procedura di interpello è così articolata:
1) Il contribuente deve chiedere il preventivo parere alla direzione
generale dell’agenzia delle entrate fornendole tutti gli elementi
conoscitivi utili ai fini della corretta qualificazione tributaria della
fattispecie prospettata;
2) La direzione deve rispondere entro 120 giorni, trascorso questo
termine il contribuente può inviare una diffida ad adempiere;
3) La mancata risposta entro 60 giorni dalla diffida ha valore di
silenzio-assenso.
Le norme con ratio antielusiva sono norme che regolano un
determinato beneficio ma il legislatore, prevede un correttivo, detto
interpello antielusivo o rulling passivo che consiste nella facoltà del
contribuente di chiedere e nel parere dell’amministrazione di disporre
la disapplicazione di una norma antielusiva.
L’art 37 bis stabilisce infatti che possono essere disapplicate le norme
tributarie che allo scopo di contrastare comportamenti elusivi limitano
deduzioni, detrazioni crediti di imposta o altre posizioni soggettive
altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario nel caso in cui
possono verificarsi effetti elusivi. Il contribuente per ottenere la
disapplicazione deve presentare istanza al direttore regionale
dell’agenzia delle entrate; nell’istanza deve:
a) Descrivere compiutamente l’operazione;
b) Dimostrare che non possono verificarsi effetti elusivi;
c) Indicare le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione.

Motivazione rafforzata:
Con riferimento al principio del contraddittorio e all’attenta valutazione
delle ragioni dei soggetti sottoposti a verifica, nel citato articolo 10 bis è
previsto che, a pena di nullità, l’atto di accertamento sia preceduto dalla
notifica al contribuente di una motivata richiesta di chiarimenti, inoltre,
nella motivazione del successivo ed eventuale atto impositivo
l’amministrazione deve tenere conto dei chiarimenti forniti dal
contribuente.
La normativa dell’abuso o elusione fiscale, contenuta nel nuovo articolo
10 bis dello statuto dei diritti del contribuente abroga l’attuale art. 37 bis
del decreto n. 600/1973. Nel caso dell’indagine in corso, il soggetto deve
aver ricevuto l’avviso di accertamento, in caso contrario l’accertamento è
nullo (si fa riferimento all’art. 10 bis dello statuto).
Elusione fiscale, evasione fiscale e lecito risparmio
d’imposta: differenze
Per comprendere cosa sia l’elusione fiscale può essere utile evidenziarne
le differenze rispetto agli altri fenomeni che si pongono ai suoi margini
opposti: da un lato l’evasione fiscale, dall’altro il lecito risparmio
d’imposta.
Mentre nel fenomeno elusivo si assiste all’aggiramento del precetto
tributario, attraverso comportamenti che, pur non violando direttamente
alcuna norma, in realtà ne tradiscono comunque la ratio e la
funzione, nell’evasione fiscale si realizza una vera e propria violazione
degli obblighi tributari gravanti sul contribuente: quest’ultimo infatti si
sottrae fraudolentemente al pagamento di quanto dovuto, occultando il
fatto che darebbe luogo ad imposizione (ad esempio omettendo di
dichiarare un reddito imponibile oppure deducendo costi in realtà mai
sostenuti) o attribuendogli una qualificazione giuridica non
corrispondente alla realtà (ad esempio perché da tale qualificazione
deriva l’applicazione di una aliquota inferiore, con conseguente risparmio
d’imposta). L’accertamento dell’evasione comporta, oltre al recupero
delle imposte non versate e all’irrogazione di sanzioni amministrative
(provvedimenti comuni pure ai casi di accertata elusione), anche la
possibile esposizione a conseguenze di natura penale, qualora vengano
superate le soglie di punibilità previste dal D.Lgs. 74/2000.
Dalle ipotesi di elusione vanno poi tenuti distinti tutti i casi in cui è la
legge stessa a consentire al contribuente di scegliere tra diverse soluzioni
messe a sua disposizione dall’ordinamento tributario (ad esempio optare
per costituire una società secondo una determinata forma, in quanto
agevolata, sul piano fiscale, rispetto ad altre forme diverse): ciò che si
realizza è un lecito risparmio d’imposta, derivante dalla scelta del meno
oneroso fra strumenti e modelli fiscali alternativi appositamente
proposti dal legislatore all’interno di un sistema che riconosce i principi di
autonomia contrattuale e di libera iniziativa economica.
Normativa di riferimento.
Il ruolo della Costituzione italiana.
Si è già osservato come le condotte fiscalmente elusive, pur non
ponendosi in diretta e palese violazione di alcuna norma di legge,
contrastino tuttavia con i principi ispiratori del sistema tributario:
vengono in rilievo, in proposito, sia l’art. 53 Cost., secondo cui “tutti sono
tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva”, nell’ambito di un sistema ispirato al criterio di progressività
dell’imposizione, sia – a parere dello scrivente – il più generale principio
di solidarietà sociale recato dall’art. 2 Cost. .
Su tali basi – oltre che sulla scorta di alcune importanti sentenze della
giurisprudenza comunitaria (il riferimento va, in particolare, alla sentenza
“Halifax” resa dalla Corte di Giustizia UE, nella causa C-255/02 del
21.02.2006) – è stato possibile sostenere l’esistenza di un generale
principio antielusivo alla luce del quale “il contribuente non può trarre
indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con
alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un
risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che
giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio
fiscale” (così si è espressa Cass. Civ., SS.UU., n. 30055/2008).
La pronuncia appena richiamata ha peraltro opportunamente osservato
che “il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto
nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori
obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento
degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere
l’applicazione di norme fiscali”, non determinandosi perciò alcun
contrasto con la previsione di cui all’art. 23 Cost. .
3.2. Statuto dei diritti del contribuente (L. 212-2000)
A livello di legislazione ordinaria, il fenomeno dell’elusione fiscale è oggi
contemplato dall’art. 10-bis della L. 212-2000 (Statuto dei diritti del
contribuente), norma di carattere generale introdotta ad ottobre 2015
con il D. Lgs. 128/2015, a seguito delle indicazioni formulate dalla
Commissione Europea nell’ottica di contrastare aggressive strategie di
pianificazione fiscale in grado di alterare il corretto funzionamento dei
sistemi tributari degli Stati membri (raccomandazione n. 2012/772/Ue del
06.12.2012).
È interessante osservare come, secondo tale nuova disposizione, il
fenomeno elusivo venga espressamente ricondotto al concetto di abuso
del diritto: nozione di carattere ampio, a più riprese indagata da dottrina
e giurisprudenza, con cui viene indicato l’anomalo esercizio di un diritto
che, senza realizzare alcun valido e concreto interesse per il suo titolare,
provoca un danno o un pericolo di danno nei confronti di altri soggetti,
ponendosi quindi in radicale contrasto con lo scopo in vista del quale quel
diritto era stato attribuito dall’ordinamento.
Prima dell’introduzione del menzionato art. 10-bis, il fenomeno
dell’elusione fiscale era contemplato dall’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973,
nell’ambito delle disposizioni in tema di accertamento delle imposte sui
redditi. Per effetto della novella del 2015, tale disposizione è stata
abrogata ed ogni riferimento ad essa deve oggi intendersi rimandare al
vigente art. 10-bis L. 212-2000.
Secondo il comma 1 del nuovo art. 10-bis, “configurano abuso del
diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel
rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi
fiscali indebiti”.
Conseguenza del riconosciuto carattere abusivo di un’operazione è la
sua inopponibilità all’amministrazione finanziaria, legittimata quindi a
disconoscerne i vantaggi e perciò a determinare i tributi dovuti “sulla
base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal
contribuente per effetto di dette operazioni”.
La definizione fornita, piuttosto generica nei suoi contorni, viene meglio
specificata dal successivo comma 2, secondo cui si considerano:
“a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti,
anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi
dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in
particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni
con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità
dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato;
b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in
contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi
dell'ordinamento tributario”.
Un’ulteriore precisazione – questa volta in negativo – viene fornita
nell’ambito del terzo comma della disposizione, laddove si puntualizza
che “in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali,
non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che
rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale
dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente”.
Importante – al fine di delimitare quell’area grigia al cui interno si
collocano le condotte elusive, distinguendo da esse le ipotesi di lecito
risparmio d’imposta già esaminate – è poi l’espressa previsione recata al
comma 4, per cui “resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra
regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti
un diverso carico fiscale”.
Sul versante opposto – quello che guarda cioè a potenziali fattispecie di
evasione vera e propria – il comma 12 della disposizione in commento
stabilisce che “in sede di accertamento l'abuso del diritto può essere
configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti
contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie”.
Sanzioni per l’elusione fiscale.
Sotto il profilo sanzionatorio, il riscontro del carattere elusivo di una
determinata operazione comporta, oltre al recupero delle imposte
dovute e dei relativi interessi, anche la possibile irrogazione di sanzioni
amministrative da parte degli uffici accertatori dell’Agenzia delle Entrate.
Diversamente dal passato, allorché la giurisprudenza si era dimostrata
propensa a ravvisare nelle condotte elusive il reato di dichiarazione
infedele, alla luce della normativa attualmente in vigore l’elusione fiscale
non può invece più essere sanzionata sul piano penale: il comma 13
dell’art. 10-bis L. 212/2000 sancisce infatti a chiare lettere che “le
operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi
penali tributarie. Resta ferma l'applicazione delle sanzioni amministrative
tributarie”.
La scelta del legislatore deriva dalla necessità di tener distinte – anche sul
piano sanzionatorio – condotte che integrano una violazione diretta di
disposizioni normative e condotte che invece ne aggirano soltanto
la ratio: rispetto a queste ultime si è verificata dunque una vera e propria
ipotesi di abolitio criminis, dovendosi “ritenere non più penalmente
rilevanti le condotte fiscalmente elusive integranti mero abuso del diritto”,
anche se commesse prima dell’entrata in vigore del nuovo art. 10-bis (così
si è espressa, ad esempio, Cass. Pen., sez. III, n. 40272/2015).
Occorre tuttavia evidenziare che la relazione illustrativa del D.Lgs.
128/2015 e la giurisprudenza successiva hanno precisato che, anche in
ambito penale, la nozione di elusione fiscale ha portata residuale,
operando soltanto laddove non sia possibile contestare la diretta
violazione di specifiche norme di legge volte a reprimere comportamenti
fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all'utilizzo
di documentazione falsa, tutti suscettibili di rilevanza penale ai sensi del
D.Lgs. 74/2000 (cfr. Cass. Pen., sez. III, n. 38016/2017).
Le operazioni elusive non si configurano come fatti punibili ai sensi delle
leggi penali tributarie. Esse, tuttavia, sono punite con l'applicazione di
sanzioni amministrative tributarie, il cui ammontare dipende dall'obbligo
fiscale che con le stesse è stato eluso.

VARI ESEMPI.
Uno dei casi più diffusi è quello del lavoratore autonomo che
decide di operare non singolarmente ma come una società
unipersonale o con un unico socio al fine di avvantaggiarsi della
normativa fiscale di maggior favore rispetto a quella che gli
sarebbe altrimenti applicata.
Si tratta evidentemente di un comportamento che di per sé è
lecito ma che persegue uno scopo che in realtà non lo è.
Un altro esempio di scuola è quello del proprietario di un
immobile che decide di conferirlo in una società per azioni per poi
vendere le quote, con il fine di beneficiare dell'aliquota fiscale più
bassa prevista per la vendita di azioni rispetto a quella prevista
per la vendita di beni immobili.
Sempre in materia di compravendita, può infine citarsi il
comportamento di chi decide di stipulare un mandato a vendere
con procura irrevocabile piuttosto che un contratto di
compravendita se ciò risulta fiscalmente più vantaggioso.
I metodi dell'elusione fiscale sono tutti incentrati sullo stesso
meccanismo.
Si tenta di raggiungere un certo obiettivo di risparmio fiscale cercando
una strada diversa da quella che sarebbe correttamente percorribile e
immaginando un percorso alternativo rispetto a quello ordinario.
In altre parole, si tratta di rispettare formalmente le norme fiscali
realizzando dei vantaggi fiscali indebiti.
È per questo che tale comportamento è contrastato dalla legge.

EVASIONE FISCALE.
I contribuenti che pongono in essere l'evasione fiscale, quindi, non fanno
altro che nascondere l'imponibile effettivo sul quale dovrebbe essere
applicato un determinato contributo, diminuendolo o nascondendolo del
tutto.
In altri casi, con l'evasione è addirittura occultato il presupposto che
darebbe altrimenti luogo all'applicazione del contributo.
In Italia, l'evasione fiscale è un problema molto importante.
Secondo una ricerca condotta nel 2019 dalla società inglese Tax Research
LLP, infatti, il nostro paese è il primo in Europa per evasione fiscale e
l'ammontare delle tasse evase ammonta a circa 190 miliardi di euro. Il
rapporto tra il fisco evaso e le entrate fiscali è pari al 23,28% e quindi per
ogni euro che l'Italia riscuote come tassa si perdono oltre 23 centesimi.
LE SANZIONE RELATIVE ALL’EVASIONE FISCALE.
L'evasione fiscale, in alcuni casi, comporta la sola sanzione amministrativa
pecuniaria.
In particolare, si tratta delle violazioni relative ai versamenti diretti, alle
imposte sui redditi, all'Iva, all'imposta di registro, alle imposte ipotecarie
e catastali, all'imposta di bollo, alla dichiarazione sulle imposte dirette,
alle compensazioni di crediti inesistenti.
In altri casi, l'evasione fiscale è punita più severamente, con l'applicazione
di sanzioni di natura penale.
In particolare, tale fenomeno si configura come reato quando riguarda le
dichiarazioni fraudolente o infedeli, l'emissione di fatture false,
l'occultamento di documenti contabili e l'omessa dichiarazione e l'omesso
versamento di Iva e ritenute certificate.
Su questi presupposti, a determinare l'insorgere di conseguenze
amministrative o civili è l'ammontare della cifra evasa.
L’accertamento da parte dell'Agenzia delle entrate.
Anche l'Agenzia delle entrate ha dei termini ben precisi entro i quali può
accertare l'evasione fiscale, che sono cambiati dal 2016.
In particolare:
 per le evasioni commesse fino al 31 dicembre 2015, l'accertamento
deve avvenire al massimo entro il 31 dicembre del quarto anno
successivo alla presentazione della dichiarazione in cui è stata
omessa l'indicazione di un compenso o di un corrispettivo o entro il
31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui avrebbe
dovuto essere presentata la dichiarazione omessa o nulla;
 per le evasioni commesse dal 1° gennaio 2016, l'accertamento deve
avvenire al massimo entro il 31 dicembre del quinto anno successivo
alla presentazione della dichiarazione in cui è stata omessa
l'indicazione di un compenso o di un corrispettivo o entro il 31
dicembre del settimo anno successivo a quello in cui avrebbe
dovuto essere presentata la dichiarazione omessa o nulla.

LE SANZIONI AMMINISTRATIVE.
La violazione delle norme tributarie è costantemente accompagnata
da sanzioni. La tipologia degli illeciti è legata a quella delle sanzioni.
Vi sono dunque due tipi di reato (delitti e contravvenzioni),
sostanzialmente e formalmente diversi. Quando è prevista come
sanzione una multa o la reclusione siamo in presenza di un delitto;
invece quando la legge prevede come sanzione l’arresto o
l’ammenda si ha una contravvenzione. A proposito del c.d.
elemento psicologico del reato nel delitto occorre di regola il dolo,
mentre per le contravvenzioni dolo e colpa sono fungibili. Alle
sanzioni penali si contrappongono le sanzioni amministrative che
puniscono gli illeciti amministrativi.
La sanzione è commisurata al danno provocato e il principio
ispiratore della disciplina è quello di punire il trasgressore, perciò ha
rilievo l’elemento soggettivo. Sotto la rubrica del principio di legalità
l’art. 3 del D. Lgs 472/1997 contiene una molteplicità di principi
generali. Il comma 1 recita: nessuno può essere assoggettato a
sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della
commissione della violazione ed esclusivamente nei casi considerati
dalla legge. In questa proposizione sono contenuti tre principi:
a) che solo la legge può comminare sanzioni (principio di legalità).
b) Che deve trattarsi di legge entrata in vigore prima della violazione
(divieto di irretroattività).
c) Che la legge deve prevedere non solo le sanzioni ma anche i fatti
illeciti (principio di tassatività della previsione sanzionatoria).

Il secondo ed il terzo comma sono ispirati al principio del favor


rei. Se la sanzione è stata già irrogata con provvedimento
definitivo il debito residuo si estingue ma non è ammessa
ripetizione di indebito. Ispirato al principio dell’applicazione della
legge più favorevole al trasgressore è anche il terzo comma
secondo cui se la legge in vigore al momento in cui è stata
commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni
di entità diversa, si applica la legge più favorevole salvo che il
provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo.

Perché vi sia un illecito devono ricorrere due elementi:


1) Un comportamento che violi una norma;
2) Un elemento psicologico costituito da un particolare
atteggiamento psicologico.
Dal punto di vista dell’elemento soggettivo si richiede che ricorrono
l’imputabilità e la colpevolezza. L’imputabilità è data dalla capacità di
intendere e di volere; per colpevolezza si intende un particolare elemento
psicologico (colpa o dolo). Per quanto riguarda la colpevolezza gli illeciti
amministrativi tributari sono disciplinati in maniera identica alle
contravvenzioni: ai fini della colpevolezza occorre la colpa o il dolo. Non è
sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato ma è
richiesta anche la colpevolezza del trasgressore.
Il principale tipo di sanzione amministrativa si concreta nell’obbligo di
pagare una somma di denaro cui si aggiungono sanzioni accessorie con
contenuto interdittivo. La misura della sanzione pecuniaria:
a) Può variare tra un minimo ed un massimo;
b) Può essere pari ad una frazione o ad un multiplo del tributo cui si
riferisce la violazione;
c) Può essere stabilita in misura fissa.
Le sanzioni accessorie sono:
a) L’interdizione dalla carica di amministratore, sindaco o revisore di
società di capitali;
b) L’interdizione dalla partecipazione a gare pubbliche;
c) L’interdizione dal conseguimento di licenze, concessioni e
autorizzazioni;
d) La sospensione per un massimo di sei mesi dall’esercizio di attività
di lavoro autonomo o di impresa.
Come nel codice penale in materia di sanzioni amministrative tributarie
vige il principio generale del cumulo materiale delle pene, ossia la somma
di tante sanzioni quante sono le violazioni commesse che però è derogato
dal c.d. cumulo giuridico che comporta una sola sanzione ma maggiorata.
L’art. 12 D. lgs 472/1997 prevede tre ipotesi di cumulo giuridico:
1) Il concorso formale;
2) Il concorso materiale;
3) L’illecito continuato.
Gli elementi dell’illecito continuato sono:
a) Una molteplicità di violazioni commesse in tempi diversi;
b) L’unitarietà di tali violazioni data dalla loro progressione e dall’unico
fine. Si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo.
Un soggetto è punibile quando contribuisca alla commissione dell’illecito
sia a livello materiale sia a livello psicologico. L’autore materiale
dell’illecito non è punito quando ricorre la figura dell’autore mediato:
ossia quando l’autore materiale dell’illecito è stato determinato a
compiere la violazione con violenza o minaccia o perché indotto
incolpevolmente in errore. Sono state prospettate due ipotesi di autore
mediato:
1) Quella del soggetto che viene indotto senza sua colpa a commettere
un illecito dal parere di un professionista;
2) Quella del socio di una società di persone che non essendo
amministratore e non avendo potuto esaminare la documentazione
delle società riporta nella sua dichiarazione il reddito che gli è
imputabile in base a quanto risulta dalla dichiarazione della società.
Nel D. lgs 472/1997 sono previste alcune cause di esclusione della
punibilità:
1) l’errore incolpevole sul fatto;
2) l’errore di diritto derivante da ignoranza inevitabile dalla legge
tributaria;
3) l’incerta portata della legge tributaria;
4) l’imputabilità ad un terzo del mancato pagamento del tributo;
5) la forza maggiore.

Potrebbero piacerti anche