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Anno accademico 2023-24 Fabiana Aruta II annualità

STORIA DELLA MUSICA PER LA DIDATTICA DELLA


MUSICA

ID CFA 4

DOCENTE: PAOLO CATTELAN


Anno accademico 2023-24 Fabiana Aruta II annualità

21-28 novembre

ACCIAIO 1934
Genesi:

Acciaio: un lm del 1934 il cui titolo originale era GiocaPietro, della


storia il primo lm sonoro prodotto sia in Italia che a livello Europeo.
L’industria CINES (Italiana) aveva prodotto questo lm cercando di
sottolineare le eccezionalità dell’opera e della letteratura, in questo
speci co caso Italiana.
Erano coinvolti personaggi molto famosi, Emilio Cecchi collaborò al
passaggio da soggetto a sceneggiatura, Luigi Pirandello fu autore del
soggetto.
Il rapporto di Pirandello con il cinema fu davvero complesso ma anche
variegato e costante, a dimostrazione di un interesse vivo, un desiderio
sentito di intervenire con le sue idee, i suoi progetti, le sue innovazioni,
dare il suo personale contributo allo sviluppo del cinema sul versante
«artistico». Pirandello ebbe «una certa idea del cinema», innovativa,
originale, in perfetta sintonia con la sua personalità eclettica, che
spaziò in tutti i campi dell’arte.
Inoltre, Pirandello elabora la teoria del rapporto tra cinema e musica,
cercando di indirizzare verso un territorio più astratto il cinema,
temendo anche per le sorti del teatro.
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Da integrare all’aspetto letterario dunque si cercava un compositore di


valore che potesse collaborare alla realizzazione del lm con la propria
musica.

Venne scelto Gian Francesco Malipiero per ricoprire tale ruolo nel lm, il
quale accettò l’incarico.

Generazione dell’ottanta (Pizzetti, Casella, Respighi)


1882-1973

Questa produzione venne realizzata durate la dittatura fascista.


Mussolini vuole mettere il proprio marchio su questa produzione di
avanguardia.
Secondo il dittatore il lm doveva avere anche lo scopo
propagandistico, non esplicitamente politico, ed il soggetto di
Pirandello si prestava a questa visione di propaganda superiore a
quella prettamente politica.
Nell’ottica nazionalista del momento la propaganda stava nel celebrare
l’industria italiana.
Nell’ottica artistica il futurismo stava nel fatto che si metteva in relazione
l’uomo e la macchina.
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L’uomo sarà sempre meno il soggetto della rappresentazione artistica


cedendo il posto alla macchina e alle seguenti innovazioni
tecnologiche.

Il regista del lm fu Walter Ruttmann, voluto in particolar modo da


Cecchi, il quale lo scelse in quanto uno dei nomi più risonanti per le
pellicole del tempo,(Berlino sinfonia di una grande città, lm muto)
considerato un regista autore di ”sinfonie visive”. L’aspetto in cui era
inesperto Ruttmann era quello narrativo ed Acciaio aveva la pretesa di
essere un lm in cui oltre celebrare il nuovo corso industriale italiano
bisognava introdurre una narrazione, un racconto di ciò che era
previsto nelle scene. Uno degli aspetti più importanti del modo di
operare di Ruttmann, invece, fu l’approccio quasi maniacale con cui
trattava la relazione tra immagini e musica. Egli colorò la pellicola a
mano.
Il lm fu ambientato nell’acciaieria di Terni.

Trama:

Mario, bersagliere ciclista, viene congedato e torna al suo lavoro di


operaio alle acciaierie di Terni con dando di ritrovare e sposare Gina,
che era la sua danzata. Ma la ragazza, intanto, si è legata a Pietro,
anche lui operaio ed i due confessano apertamente a Mario la loro
relazione. A causa di ciò Mario e Pietro, un tempo grandi amici, litigano,
ma il lavoro li costringe a stare vicini. Un giorno un'incomprensione tra i
due durante una colata causa un grave incidente nel quale Pietro viene
investito da un lingotto incandescente.
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Benché Pietro, moribondo, abbia il tempo di dire che il responsabile


dell'incidente non è Mario, costui, a causa del noto contrasto che li
divideva, è considerato dalla comunità responsabile dell'atroce morte
del collega. Isolato e disprezzato da tutti, Mario pensa di mettere a
frutto la sua esperienza militare e di darsi al ciclismo professionistico,
lasciando il lavoro della fonderia. Quando sembra che questa
prospettiva sia ormai a portata di mano, Mario, ancora innamorato di
Gina con cui spera di poter riallacciare il rapporto, decide di tornare in
fabbrica a fare l'operaio, dove sarà a anco del padre di Pietro, che ha
sempre creduto alla sua innocenza.

Personaggi:
Gina era Isa Pola

Mario era Piero Pastore, non attore professionista ma campione


sportivo

Vittorio era Pietro Bendaccini.

Scene in cui la musica ha un particolare rilievo:

• Nella scena dell’arrivo di Mario a Terni c’è una lunga inquadratura in


cui immagini e musica sono sincronizzate.

• Malipiero ha pensato per la scena dell’arrivo di Mario a casa di Gina


un canto vocalizzato a voce sola che la donna canta da dentro casa.
Non è Gina ad intonare il canto ma una donna che è solita
improvvisare vocalizzando.
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• Durante la scena in cui Mario e la donna senza nome si lasciano


all’interno di mura domestiche, la musica esce dal grammofono,
sembra un commento della situazione. Sulle parole di questa
donna che chiede a Mario come si chiama la sua danzata c’è una
prima dissolvenza incrociata. Sulla parola Gina vediamo inquadrato il
volto di lei.

Non fu semplice il compito di Malipiero, il quanto il regista premeva sul


fatto che le musiche fossero totalmente subordinate alle immagini e che
dunque il compositore doveva proporre la musica solo una volta
terminato il lm.

Malipiero non accettò questa imposizione di Ruttmann e scrisse le


musiche prima. Sostenne anni dopo la produzione «io scrissi la musica
per conto mio e gli altri fecero il lm per conto loro; Ruttmann volle fare
in quella produzione il despota».

Malipiero arrivò a domandarsi chi fosse per lui il vero artista, forse per
la complessa relazione con Ruttmann, il compositore sostenne che non
è il regista l’artista bensì la musica, la vera protagonista.

I titoli di testa del lm vengono aperti da una musica di Malipiero,


questa non fu mai pubblicata da lui ne nelle 7 canzoni ne nelle 8
invenzioni, solo negli abbozzi che si conservano a Venezia possiamo
trovare queste musiche.
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19 Dicembre 2023

LA FAVOLA DEL FIGLIO CAMBIATO


La favola del glio cambiato ripresa
dalla novella il glio cambiato, è
un’opera letteraria del 1902,
speci camente un Unicum, il solo
libretto di Pirandello. Quest’opera vede
la collaborazione del musicista
Malipiero, il quale musicò il libretto. La prima assoluta della favola
avvenne nel gennaio 1934 in una cittadina tedesca, mentre la prima
rappresentazione Italiana avvenne nel marzo dello stesso anno presso
il teatro Reale dell’opera di Roma. Era un’opera in tre anni in cinque
quadri.

Malipiero lavorò molto per il teatro e nella sua produzione in questo


campo, La favola del glio cambiato fu molto importante in quanto
segnò l'inizio di una nuova esperienza.
Si concentrò da quest’opera in avanti sulla riassunzione di un 'recitar
cantando', che troverà sviluppi nelle successive opere teatrali.
La realizzazione musicale ha uno stile serrato, ma al tempo stesso
arioso. I canti e i lamenti della madre (vedremo poi il suo ruolo nella
trama) sono l'anima dell'azione musicale, così autentica e intensa che
la staticità drammatica passa inavvertita.
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Malipiero scrisse le musiche a stesura compiuta del libretto. Fece lo


stesso con “sogno di un tramonto d’autunno” del poeta D’Annunzio.
Mese in musica il poema compiendo un lavoro di riduzione del testo.
Questo non è propriamente un libretto, lo riduce in modo che potesse
essere usato per un’opera.

Per la stesura del racconto Pirandello si ispirò ad alcune credenze


popolari che si tramandavano al tempo.

Trama:

Le Donne, streghe dell’aria, che vanno in giro di notte a sostituire


bambini belli e sani con altri deformi e malaticci, hanno attuato
questo scambio maligno ai danni di una madre. Il suo paffuto e
roseo glioletto è stato trafugato e, al suo posto, la madre ha trovato
un bambino misero e malato. La fattucchiera paesana, Vanna
Scoma, alla quale la madre si rivolge, le dà un consiglio pieno di
grande saggezza. Il glio trafugato, che è stato portato alla corte di
un re, potrà star bene solo se la madre alleverà con affetto e cure
l’altro bimbo.

Il vero glio, però, nonostante gli onori, è infelice e, per


riacquistare la salute, ritorna nel paese dove si trova la madre;
improvvisamente la sua malinconia si scioglie e il glio si sente
felice: «Dico che mi godo/ questo tepore che dà/ un’ebbrezza,
un’ebbrezza/ che ne vorrei morire. / Questo veramente si chiama/
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sentirsi felice». Il glio, alla ne, rinunciando a tutti gli onori, decide
di rimanere presso la madre ritrovata.

Personaggi

La madre (soprano); il coro delle madri (soprani); l'uomo saputo


(tenore); voci interne (coro misto); Vanna Scoma (contralto); primo
contadino (baritono); secondo contadino (baritono); la sciantosa
(mezzosoprano); l'avventore (baritono); la padrona dei caffè
(soprano); tre sgualdrinelle (soprano); la regina e il suonatore di
pianoforte (personaggi muti); il coro dei monelli; Figlio di re
(tenore); i marinaretti; il principe (tenore); primo ministro (baritono);
secondo ministro (baritono); il podestà (tenore); le donne (soprani);
la folla.

16 gennaio

Il Canone

Che cos’è il canone?

Nella musica classica è una


composizione contrappuntistica che
si basa sul principio della ripetizione o
imitazione. Vi è una melodia che viene
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proposta da una prima voce (anche detta antecedente o dux) seguita


da altre voci (conseguenti o comites).
Appare strutturata in maniera rigida apparentemente e di base vi sono
principi fondati su regole stabilite dagli autori, ad esempio con quale
intervallo di tempo deve avvenire la ripetizione. C’è dunque una
previsione calcolata di quello che deve avvenire.
I canoni nel classicismo potevano essere a due voci, tre, no a 6.
Vi sono numerose tipologie di canoni: inverso, retrogrado, enigmatico,
duplex…

Nella storia della musica furono diversi i compositori che si cimentarono


nella composizione di canoni, le prime testimonianze risalgono
all’epoca tardo rinascimentale, tempo delle cacce per poi proseguire
con questa composizione decenni dopo la morte di J. S. Bach, uno dei
pionieri (1750).
Anche durante il XX secolo i compositori si sono dedicati a questa
forma - tecnica in modo assiduo, tra questi A. Schonberg ad esempio.

Per Bach il canone era talmente importante da divenire simbolo.


Nel 1746 venne ritratto da Haussmann con un pentagramma sul quale
era trascritto un canone triplex a 6 voci, BWV 1076.
Esibendo questo spartito, Bach dimostrerà le sue abilità compositive ed
entrerà a far parte della Società per corrispondenza di scienze
musicali, una setta di loso - musicisti - scienziati a cui ogni membro
doveva donare un proprio ritratto. (Fecero parte di questa setta anche
Telemann e Haendel).
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Canone triplo perché strutturato sulla ripetizione di tre linee melodiche,


poi diventa un unico grande canone triplo.

Un altro compositore che si dedicò alla composizione di canoni fu W. A.


Mozart. Scrisse 30 canoni, dieci di questi vennero inseriti nel suo
catalogo autografo che teneva a Vienna, sono poliglotti, tra italiano,
Tedesco bavarese, francese…

Ascolti tratti dai canoni del catalogo:

• Bona nox
• Caro bell’idol mio
• E nel tuo e nel mio bicchiero
• Nascosto è il mio sol
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Caro bell’idol mio


Canone in La maggiore per tre voci k562
Testo di Caldara musiche di Mozart
Anno di composizione settembre 1768

Bona nox
Canone vocale in La maggiore, K561, Vienna 1788
Questo testo fu scritto molto probabilmente da Mozart stesso, a
differenza del canone sopra riportato. Grazie a testimonianze di lettere
indirizzate alla madre ed al padre del compositore possiamo notare forti
somiglianze con il testo del canone.

E nel tuo nel mio bicchiero


Anche questo un canone vocale, che appartiene al dramma giocoso in
due atti K588 Così fan tutte, su libretto di L. Da ponte. L’opera fu
composta tra il 1789-1790 a Vienna.
Nella sedicesima scena è presente l’aria E nel tuo nel mio bicchiero, in
mi♭ maggiore, personaggi Fiordiligi, Dorabella, Ferrando, Guglielmo.

È un larghetto per 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi.

Nascosto è il mio sol


K 577
Canone in fa minore per quattro voci, Adagio 1788, Vienna.
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Malipiero
Le Sette Canzoni

Questa raccolta è considerata una delle più importanti dell’inizio del


Novecento.
Ciò che spicca dalle composizioni non è solo l’aspetto musicale, da
protagonista fungono i testi e l’attenzione che pone il compositore
riguardo ognuno di essi. Sono riconducibili tutti ad esperienze vissute
nel corso della vita di Malipiero e sceglie dunque di raccontare la sua
quotidianità con personaggi semplici.
A sostegno dell’opera Malipiero scelse di utilizzare poesie e testi
appartenenti alla letteratura italiana.

I vagabondi

O morte dispietata,
Tu m’hai fatto gran torto:
Tu m’hai tolto mia donna
Ch’era lo mio conforto
La notte con lo die
Fin all’alba del giorno.
Già mai non vidi donna
Di cotanto valore
Quanto era la Catrina
Che mi donò il suo amore.
La mi tenne la staffa,
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Et io montai in arcione:
La mi porse la lancia
Et io imbracciai la targa:
La mi porse la spada,
La mi calzò la fronte,
La mi mise l’elmetto:
Io gli parlai d’amore.
Addio, la bella sora;
Ch’io me ne vo a Vignone
E da Vignone in Francia
Per acquistare onore.
S’io fo colpo di lancia,
Farò per vostro amore:
S’io moro alla battaglia,
Moro per vostr’onore.
Diran le maritate
– Morto è il nostro amadore – :
Diran le pulzellette
– Morto è per nostro amore – :
Diran le vedovelle
– Vuolsegli fare onore.
Dove il sotterreremo?
’N Santa Maria del ore.
Di che lo coprirremo?
Di rose e di vïole.

Testo tratto da un’antologia di poesie di Giosuè Carducci. Il


compositore Veneziano scrisse i versi a partire dall’undicesimo.
Per il testo di questo primo episodio, ambientato a Venezia con
protagonisti un violinista zoppo, un chitarrista cieco e la donna di
quest’ultimo. Il brano si conclude con il cieco che realizza di essere
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stato abbandonato da Maria, la sua amata. La sezione conclusiva si


apre con un’invocazione al personaggio femminile, Maria appunto.

Il ritorno

O morte dispietata,
Tu m’hai fatto gran torto:
Tu m’hai tolto mia donna
Ch’era lo mio conforto
[...]
Già mai non vidi donna
Di cotanto valore
Quanto era la Catrina
Che mi donò il suo amore.

Questi sopra riportati sono versi appartenenti alla stessa poesia di Carducci
sopra citata, ma versi che Malipiero decise di modi care dal momento in cui
cambia il soggetto. “La mia donna” diventa per Malipiero “mio glio”, più
avanti nei versi il termine donna viene sostituito da giovane etc…

30 gennaio

La protagonista di questo racconto è una donna che Malipiero spesso


vedeva piangere e disperarsi per la perdita del proprio glio morto in
guerra. In questa canzone vuole dare un ruolo anche a sua madre, una
donna ricca di lacerazione, questo tema una delle principali fonte
d’ispirazione delle opere a seguire. L’idea del vero vissuto di Malipiero
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viene fuori anche sulla base del movimento letterario e artistico che si
stava diffondendo, il verismo.
Vi sono momenti di contrapposizione melodica e tematica. La parte
iniziale in cui la donna è ancora lucida vede la madre intonare una
dolce ninna nanna, canto di ricordo. Il testo è preso dalla tradizione
toscana che risale al 1902.

Il tema della lacerazione viene ripreso per esempio da Donizetti, 1835,


Napoli.

Opera di Donizetti: Lucia di Lammermoor

Una delle opere in cui compare il tema sopra citato è Lucia di


Lammermoor. Il compositore Bergamasco (1797.1848) si avvale di
trasposizioni librettistiche della letteratura romantica, in particolare
compone quest’opera rifacendosi al libretto di Walter Scott, The bride of
Lammermoor. Racconta una faida tra due famiglie ambientata in
Inghilterra, un amore impossibile osteggiato al punto che a Lucia viene
imposto un altro marito e non Edgardo, l’uomo del suo desiderio, colui
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che lei ama. Lucia concepita come la donna amante, come molto
spesso capita nella storia dell’opera.

Lucia una giovane molto fragile, almeno apparentemente, sull’età non


ci sono indicatori precisi, probabilmente ha 16 anni, ma è anche uno
dei personaggi più forti della letteratura e dell’opera romantica. Si
oppone all’imposizione del fratello ed è talmente profonda e
determinata che riesce ad ammazzare Arturo, lo sposo che il fratello
Enrico le aveva imposto.

La gura patriarcale del padre non c’è nell’opera ma viene ricoperto


tale ruolo dal fratello.

Caratteristica della la lacerazione psichica ricondotta alla scena della


pazzia di Lucia, scena in cui si macchia dell’omicidio commesso.

La donna è soggetto principale ma non esclusivo delle lacerazioni.


Malipiero pone il tema al vertice cronologico di una lunga tradizione
(dice che i pazzi cantano, invece di parlare come tutti fanno, cantano).

Anche in Lucia, nella scena in cui ha gli abiti ancora colmi di sangue,
Lucia canta con i fantasmi.

Lucia è una sposa mancata e rientra in un quadro in cui la donna è


l’amante, oggetto del desiderio ma anche con i suoi desideri. Nel caso
di Malipiero il personaggio è la madre, un prototipo nuovo in quanto
nella storia del melodramma il ruolo della madre non è molto trattato, è
sempre il soggetto femminile colpito dalla lacerazione psichica che
genera il canto.
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La parte di Lucia la parte di una prima donna, ma il suo ruolo è


soffocato dalla presenza di tutti uomini oltre lei (e Alisa che ha però un
ruolo molto secondario).

Ascolto “scena della pazzia” di Lucia

Scena rappresentata con alternanza di sezioni con ripresa ciclica del


tema.

Nella scena il regista crea un collegamento tra orchestra e scena. Vi è


un tavolo pieno di bicchieri di vetro, nell’orchestra venivano suonati,
suonano i vetro, ricordano qualcosa di lacerato.

Donizetti aveva predisposto la parte con armonica a bicchieri, nelle


successive rappresentazioni ha cancellato questo parte. La armonica a
bicchieri venne inventata da B. Franklin e poi utilizzata e diffusa in
primo luogo da medici (Mesmer ad esempio che era anche
appassionato di musica), furono proprio i medici a diffondere questo
strumento per le sue funzioni terapeutiche. In questa scena l’armonica
faceva parte dell’orchestra la quale doveva adattarsi al suo volume in
quanto inferiore rispetto agli altri strumenti.
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Dove c’è scritto armonico è la parte che viene successivamente


assegnata al auto, viene trascritta la parte modi candola per lo
strumento. Nell’autografo non possiamo leggere la parte scritta
successivamente alla modi ca.

Un altro compositore che utilizzo la Glass armonica o armonica a


bicchiere fu Cimarosa, il quale lo considerava un organo angelico, non
vi sono partiture speci che per armonica ma vi sono autogra che
confermano opere in cui decise di inserirla.

Il ruolo delle donne

Se la gura della madre è rara e poco ricorrente, nella Storia del


melodramma la gura del padre è sempre stata molto presente (in
Verdi per esempio). Paradossalmente, nell’opera Il Trovatore di Verdi vi
è una matrigna, Azucena.
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Il confronto dei temi della madre, della donna, la lacerazione etc


ripercorre secoli di storia della musica anche distanti tra loro, con
riprese e confronti tra opere possibili anche se distanti per epoche.

L’operista di successo corrispondente al momento in cui operava


Malipiero però fu Giacomo Puccini.

Puccini non scrisse tantissime opere,


tuttavia ha avuto enorme successo in
Europa e nel nuovo mondo.

Aveva capito che bisognava sdoganare personaggi che nel


melodramma erano rimasti indietro.

Nella sua celebre opera Madame Butter y Cio


Cio San è la protagonista. E’ donna e madre,

Cio Cio San, ha un ruolo diverso nonostante


donna e madre anche lei. Vorrebbe farsi una
famiglia con l’uomo che ama.

Un’altra opera incentrata su in personaggio


femminile appartiene al trittico di Puccini in cui vi sono Tabarro, Gianni
Schicchi e Suor Angelica.

Suor Angelica era madre ma diventa simbolo della deprivazione della


maternità. Opera composta solo da donne, non c’è neanche una voce
maschile, tra le poche opere ad avere soli personaggi femminili.

La storia è ambientata in un monastero, luogo in cui Suor Angelica


viveva da 7 anni forzatamente in quanto doveva scontare un peccato
d’amore. Suor Angelica era madre, ma da quando entrata nel
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monastero non ebbe più notizie del glio il quale le fu tolto subito dopo
la nascita.

Dietro l’assenza dei maschi c’è la peculiarità del ruolo della donna che
diventa nalmente la protagonista.

13 febbraio

L’anima che guarisce, S. Zweig. Egli scrisse quest’opera nel 1931, una
raccolta di saggi che Zweig incominciò a scrivere durante il suo
soggiorno in Italia.

Nell’opera sono presenti le biogra e di S. Freud, F. A. Mesmer e M. B.


Eddy, tre personaggi di rilievo della psicologia i quali in particolare
affrontarono il tema della guarigione psichica delle malattie.
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27 febbraio - 5 marzo

Il Mottetto

Una composizione polifonica prevalentemente sacra, diffusasi a partire


dal XII secolo in Italia. Era una composizione originariamente solo
vocale, poi divenne vocale-strumentale.

Vi sono alcuni esempi tra le opere di Vivaldi o


di Giovanni Battista Ferrandini, ad esempio,
che possiamo collocare nel genere del
mottetto. La maggior parte delle composizioni
prevedeva la struttura RARA, alternanza di
recitativi ed arie.

La cantata spirituale di Vivaldi intitolata Nulla in


mundo pax sincera, composta nel XVIII, è un
mottetto sacro il cui tema è l’imperfezione del mondo e dov il
compositore chiede a Gesù la salvezza. La struttura in questo caso
prevede A R A + alleluia.

Un altro importante mottetto fu composto da Ferrandini,

Il pianto di Maria, HWV 234. Questa cantata


prevede una struttura più estera ma dove vie è
sempre solo la ripetizione di recitativi ed arie.
R A R A R A R A R.

Il canto vocale di Maria è accompagnato da


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un organico di archi e strumenti a ato, spesse parti raddoppiate in


modo che più strumenti facessero la stessa linea rafforzandola.

- Si apre la sequenza dei recitativi ed arie con il recitativo è giunta l’ora


fatal. Cantata Sacra per voce sola di Soprano da eseguirsi davanti al
Santo Sepolcro con Archi e Continuo.

- Aria Se di un Dio fui fatta madre, diversi studiosi la classi cano come
cavatina, in realtà è anacronistico chiamarla così prima di tutto per
l’epoca a cui risale la stesura del brano, verrà usata come
espediente musicale solo nell’Ottocento. (Cavatina è precisamente il
momento in cui il personaggio nell’opera esce dalle quinte e si
presenta, signi ca aria di presentazione del personaggio).

- Recitativo Ah me infelice! Recitativo accompagnato in stile


declaratorio, strumenti in risposta alla voce cantata

- Aria con da capo Se d’un Dio fui fatta madre

- Recitativo Ahimè ch’Egli già esclama ad alta voce parte in cui muore
Gesù

- Aria Sventurati miei sospiri struttura tripartita con da capo a ne

- Recitativo Si disse la gran madre recitativo accompagnato che


descrive la sofferenza di Maria

- Aria Pari all’amor immenso su due strofe di sei versi sempre tripartite
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Quest’opera non viene composta costruendo una vera e propria scena,


vi è una sottile drammatizzazione dei brani seguendo i temi di ognuno
di essi.

Va precisato che ci furono studiosi che attribuirono questa


composizione ad Handel, Mario Fabbri inventò una datazione per
confermare l’attribuzione e disse che Handel scrisse questa cantata
durante il suo soggiorno in Italia (data anche la lingua in cui è scritto),
1740. Vi sono diversi fattori che fanno crollare questa convinzione, uno
su tutti il fatto che Handel non scrisse mai cantate così complesse ed
articolate. La partitura di questa cantata fu consegnata al convento di
Genova e da quel momento non ci furono più tracce di essa. Il
musicologo Fortunato Santini tentò una copia della cantata ma rimase
incompleta

Una volta accertata la reale proprietà della cantata , Ferrandini, si riuscì


ad avere chiarezza sulla datazione, che sicuramente sarà successiva
rispetto a quella data dalla falsa attribuzione ad Handel.

Tornando alla carriera ed allo


stile di Handel, scrisse
numerose cantate, il catalogo
prevede 25 cantate con
strumenti, 7 drammatiche, 69
solo per basso continuo…
Possiamo riconoscere come il periodo più importante quello di Londra,
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scrisse molti oratori in inglese, tra questi ci fu Teodora, il suo ultimo


oratorio, 1748.

Lo stile delle cantate profane di Handel prevede la brevità formale, lo


schema strutturale prevede la classica alternanza di arie e recitativi.

Tra le sue cantate vi è Agrippina condotta a morire, datata 1707-1708 e


scritta a Roma, HWV 110. È una cantata ed in quanto tale prevede
come già detto l’alternanza di arie e recitativi, 17 brani in totale.
L’organico previsto dal compositore era per soprano, 2 violini e basso
continuo.

Questa è una delle cantate più apprezzate del periodo romano, un mini
dramma, prefazione di grandi scene operistiche del periodo più maturo
del compositore.

Agrippina, protagonista che esterna i sentimenti di amore materno


verso Nerone ma al tempo stesso di vendetta in quanto egli la
condannò a morte. Una cantata dif cile dal punto di vista tecnico
puramente vocale ma anche molto articolata per ricerca timbrica ed
interpretazione.

Nelle arie iniziali e nelle due conclusive vi è un’esaltazione testuale e


musicale dell’affetto. Seguono poi momenti di drammaticità a momenti
so sticati, vi è un usso continuo dato dal susseguirsi di arie e recitativi.

La forma è ABCDA, A è un adagio elegiaco mentre BCD brevi ariosi


contrastanti tra loro.
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1. Dunque sarà pur vero


Recitativo per soprano e basso continuo
2. Orrida, oscura, l'etra si renda (si bemolle maggiore)
Aria per soprano, 2 violini e basso continuo
3. Ma pria che d'empia morte
Recitativo per soprano e basso continuo
4. Renda cenere il tiranno un tuo fulmine crudel - Allegro (sol
maggiore)
Aria per soprano, 2 violini e basso continuo
5. Si del gran tiranno
Recitativo per soprano e basso continuo
6. Come, o Dio! bramo la morte - Adagio (sol minore)
Arioso e recitativo per soprano, 2 violini e basso continuo
7. Forsennata che parli?
Recitativo per soprano e basso continuo
8. Si, s'uccida, la sdegno grida (si bemolle maggiore)
Arioso per soprano, 2 violini e basso continuo
9. A me sol giunga la morte (fa minore)
Arioso per soprano, 2 violini e basso continuo
10. Incauta e che mai dissi?
Recitativo per soprano e basso continuo
11. Cada lacero e svenato - Allegro (mi bemolle maggiore)
Arioso per soprano, 2 violini e basso continuo
12. Sparga quel sangue istesso
Recitativo per soprano e basso continuo
13. Come, o Dio! bramo la morte (sol minore)
Arioso per soprano, 2 violini e basso continuo
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14. Se infelice al mondo vissi - ... Allegro. Andante (re minore)


Aria per soprano, 2 violini e basso continuo
15. Trema l'ingrato glio
Recitativo per soprano e basso continuo
16. Su lacerate il seno (fa maggiore)
Aria per soprano, 2 violini e basso continuo
17. Ecco a morte già corro
Recitativo per soprano e basso continuo

Approfondimento

Napoli sulla scena musicale tra l’ottocento ed il novecento.


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Le origini
È con le lavandaie del tempo che si avvia lo sviluppo e le prime
espressioni culturali napoletane. Con i loro canti popolari iniziano a
diffondere melodie tradizionali in lingua, nascendo così la cultura alta
che arriverà no all’università partenopea fondata nel XII da Federico II
di Svevia.
I canti venivano chiaramente tramandati oralmente, fu così per molte
generazioni, a partire dal 1200-1300, Jesce Sole, preghiera al sole è un
emblematico esempio di questi canti.

La Lingua Napoletana
Nel XV secolo, con l’ascesa al trono di Alfonso d’Aragona, la lingua
napoletana diventa la lingua uf ciale del regno. Questo periodo vede la
nascita di generi musicali come la villanella, un componimento rustico
basato sull’intonazione di tre voci a cappella che diventa rapidamente
popolare in Europa.
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Il repertorio classico napoletano


Tra il ‘600 e il ‘700, la tarantella e l’opera buffa guadagnano popolarità a
Napoli. Nell’800, l’apertura dei primi negozi musicali e l’attività dei
“posteggiatori” contribuiscono alla diffusione della canzone napoletana.
Nel ‘900, la canzone napoletana diventa in ne un vero e proprio genere
de nito, grazie anche alla “sceneggiata”, uno spettacolo teatrale
basato su canzoni .

Escludendo Villanelle e canti popolari precedenti al 1800, i quali ancora


non avevano la struttura melodica e lirica tipica della canzone
napoletana propriamente detta, molte fonti collocano la nascita della
classica universalmente conosciuta al 1839 e al brano Te voglio bene
assaje, conosciuta poi come Caruso.

Napoli riuscì ad imporsi per prestigio e splendore anche superando


Venezia, uno dei centri musicali più importanti da sempre.
Il teatro San Carlo di Napoli era il più grande d’Europa, dimensioni
imponenti che facevano soggezione a cantati professionisti provenenti
da tutta Europa.

Passarono per Napoli ma soprattutto nacquero a Napoli importantissimi


compositori che hanno fatto la storia della musica.
Scarlatti, Cimarosa ma anche, Pergolesi, Donizetti…
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Alessandro scarlatti (1660-1725)


fu considerato il fondatore della scuola musicale
napoletana, gran parte della sua produzione fu
rilasciata durante il suo soggiorno in quella terra.
Riconoscibile per il suo stile, che per quanto cercò
di mantenne il contrappunto in voga in quell’epoca,
ampliò la sua visione af dando più spesso parti
strumentali piuttosto che al basso continuo. Per i cantanti che
selezionava o che avrebbero dovuto eseguire le sue opere, non era
importante su tutto la tecnica quanto l’espressività, il virtuosismo
doveva essere espressivo ponendo particolare attenzione al signi cato
del testo. Il suo stile elaborato e ricercato fu posto ben presto a
contrasto con lo stile in voga nei teatri veneziani e del nord Italia,
quando gli arrivarono numerose commissioni per i teatri di questi
territori.

Domenico Cimarosa (1749-1801), fu un altro


compositore che contribuì alla diffusione della
tradizione napoletana. Anch’egli come Scarlatti
considerato tra i maggiori esponenti della scuola
musicale napoletana. Dedicò la sua produzione
musicale ad opere più di qualsiasi altro genere, ne
scrisse circa 70, oltre a brani vocali e strumentali.
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Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736) fu uno


dei compositori maggiori dell’epoca barocca
nonostante la sua vita breve. Considerato come i
due precedentemente citati uno dei maggiori
esponenti della scuola musicale napoletana.
Studiò presso il conservatorio dei poveri di Gesù
Cristo dove spiccò per le sue doti da
compositore e violinista. In questo periodo scrisse il dramma sacro La
conversione di San Guglielmo d’Aquitania, nello stesso anno debuttò
con l’opera Salustia e successivamente con un opera buffa Lo frate
‘nammorato (1732). L’anno successivo, presso il teatro San Bartolomeo
di Napoli replicò l’opera buffa e nello stesso anno, dato il successo di
questa debuttò con la nuova opera il prigionier superbo, i cui
intermezzi da la serva padrona ottenere un successo trionfante a tal
punto da diventare questa un’opera a se stante. Fu questa l’opera a
designare la fama di Pergolesi, si diffuse quasi in tutta Europa,
portando così l’opera buffa al di fuori del teatro musicale italiano e
napoletano.

Gaetano Donizetti (1797-1848)

Il legame con Napoli fu molto importante per la


sua carriera, egli divenne direttore artistico del
Teatro San Carlo di Napoli.
Nel periodo Napoletano affrontò numerose
farse, La lettera anonima (1822) fu una di
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questa da una di attirò l’attenzione della critica musicale del tempo che
apprezzò particolarmente il modo in cui Donizetti affrontò l’opera buffa
di cui era predecessore Pergolesi sopra citato.
Vi è una raccolta intitolata “Donizetti, Napoli l’Europa” a cura di Franco
Carmelo Greco e Renato di Benedetto che raccolsero studi del periodo
napoletano del maestro, tre lustri abbondanti (1822-1838) che coprono
quasi due terzi della sua vertiginosa attività. Vi sono due sezioni da
considerare, una parte approfondisce e sviluppa tematiche di ricerca
speci camente drammaturgico-musicali (questioni di genere, di forma,
di stile, di vocalità ), con particolare attenzione ai rapporti, ancora poco
studiati, dell'opera romantica italiana con il mondo teatrale francese (di
cui Napoli era in Italia, anche per le note vicende politiche, un
osservatorio privilegiato); dall'altra illumina aspetti, talvolta del tutto
inediti, del contesto culturale e sociale napoletano.
Curiosità: il brano Te voglio bene assaje citato all’inizio
dell’approfondimento come la più celebre ed una delle prime melodie
napoletane, pare essere connessa alla città di Bergamo, in particolare
modo a Donizetti, nulla di certo ma studiosi ipotizzano questo legame.

Charles de Brosses, noto magistrato nonché losofo umanista e storico


francese scrisse a proposito di Napoli: “Napoli è la capitale musicale
d’Europa, che vale a dire, del mondo intero.” (Lettere familiari scritte
dall’Italia, 1739-1740).
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