a cura di
Filomena Di Renzo
Matteo Summa
EDITORE
Tutto spera, e tutto crede
nelle stelle e nella Luna;
ma alla fin si pentirà
chi lunatico sarà.
(Carlo Goldoni, Il mondo della Luna)
Prefazione
Quando si nomina Pierrot si pensa subito alla Francia, paese dove questa maschera ha
avuto importanti sviluppi. Tuttavia le sue origini non sono francesi: è uno Zanni nato in
Italia verso la fine del Cinquecento nell’ambito della Commedia dell’Arte. Pedrolino è il suo
nome. È un migrante speciale. Portato in Francia, entrò a far parte dei repertori delle
compagnie d’oltralpe, acquisendo una nuova nazionalità e mutando il suo nome in Pierrot.
Fondamentale l’impulso dato nel Settecento da una famiglia di comici italiani: gli Sticotti. È
fatta. Pierrot entra nell’immaginario collettivo. La sua storia si intreccia con quella di
Arlecchino e di Colombina di cui si innamora, ma senza speranze. Nulla può contro
Arlecchino. Pierrot, infatti, è noto per i suoi amori impossibili, struggenti come quello per la
luna. La sua nuova identità è ben colta dai pittori francesi Jean Antoine Watteau e Nicolas
Lancret, una malinconia che veste gli abiti del teatro in un palcoscenico in cui assume
pose plastiche, espressioni languide e compassate ma non per questo meno incisive.
Pierrot è contestualizzato in un’ambientazione di connotazione bucolica, nella quale la
variegata vegetazione dai toni sfumati non solo fa da sfondo ma accoglie e integra il
protagonista insieme ai personaggi della Commedia dell’Arte. E che dire del suo
abbigliamento. Indossa larghi pantaloni di seta bianca, ampia goletta, lunga casacca e
caratteristici copricapi di colore bianco o nero. Sì, è Pierrot, è proprio lui, il mimo
malinconico innamorato della luna. La luna dei poeti e degli artisti. L’attore francese Jean-
Gaspard Debureau lo impersonò nell’Ottocento al Théâtre des Funambules di Parigi
definendone l’iconografia, bottoni e copricapo neri e viso imbiancato, e sviluppandone nel
contempo speciali doti ginniche. Il pittore Honoré Daumier, nel dipinto Pierrot cantore,
realizzato intorno al 1869, lo raffigura ancora come il poeta malinconico che intona
serenate alla luna. In questo caso l’immagine, priva di una consueta e accademica
rappresentazione grafica, si confronta con una tecnica coloristica di grande efficacia che
raggiunge l’acme nelle gradazioni gestite da toni caldi, intensi e soprattutto dinamici. Lo
strumento preferito di Pierrot è il mandolino o meglio la mandola. Diciamocelo, è un artista.
Amedeo Modigliani, nell’autoritratto in costume Pierrot (1915), lo presenta con la papalina
scura, consunto e malinconico, afflitto da tormenti interiori. Lo sguardo “monco”, perché
privo di una delle due “sfere oculari”, sembra solo in apparenza non poter rappresentare
appieno l’espressività del volto e suggerisce un senso di mistero e di incompiuto all’intera
immagine. La tematica del saltimbanco, retaggio di un vissuto teatrale, ritorna invece nel
Pierrot (1918) di Pablo Picasso. Un Pierrot che risente delle atmosfere musicali del balletto
Parade (1917) di Erik Satie, stanco e disorientato, con lo sguardo nel vuoto. Le
avanguardie artistiche e letterarie del primo Novecento svolgono un ruolo importante
nell’interpretazione di Pierrot. L’espressionismo lo deforma rendendolo grottesco e
caricaturale; il cubismo lo scompone in piani molteplici come il caso del Pierrot (1919) di
Juan Gris. Un Pierrot il cui criterio compositivo risulta dominato da rispondenze
geometriche volute in un gioco di contrapposizioni date dall’utilizzo di colori piatti e privi di
nuances. Con le fasi della luna e all’interno di problematiche che risentono dei caratteri
dell’astrattismo è il Pierrot Lunaire (1924) di Paul Klee. La sfera lunare di Klee ha una sua
logica ispiratrice nell’opera omonima di Schönberg e ne incarna i principi di novità creativa
e di “manipolazione genetica” della forma privata di ovvi riferimenti. Rimandi di natura
onirica rendono il senso di un’immagine sapientemente supportata da caldi e avvolgenti
cromatismi. Se la pittura guarda con interesse Pierrot, non si tira di certo indietro la poesia
con il poeta simbolista Albert Giraud. Il suo Pierrot lunaire (1884) vive di sfumature surreali
e ironiche al punto da renderlo cinico e spietato. Un contributo estremamente significativo
viene dalla musica, dal maggiore compositore dell’espressionismo musicale: Arnold
Schönberg. Tutto un mondo viene meno. La tonalità, e con essa i caratteri di un
“eliocentrismo” musicale che aveva caratterizzato la storia della musica da Zarlino sino ai
primi anni del Novecento, viene meno. Un nuovo mondo si presenta. Un mondo senza
segnaletiche, in cui mancano precisi riferimenti “gravitazionali” e concettuali, in cui Pierrot
vive la sua colpa, il suo smarrimento. Nel Pierrot lunaire di Schönberg il tutto è all’insegna
della consapevolezza e della provocazione sul piano creativo e formale, in un mondo che
presagisce gli orrori della guerra e della incomprensione. Arte degenerata avrebbe
sentenziato il nazismo. Schönberg compose Pierrot lunaire, uno dei più grandi “scandali”
della storia della musica, nel 1912. Si tratta di una Cantata per voce recitante e cinque
strumentisti costituita da un ciclo di ventuno poesie divise in tre sezioni di sette liriche
ciascuna. Le poesie sono quelle di Albert Giraud nella versione tedesca di Otto Erich
Hartleben. Siamo nel mondo della atonalità, un universo in espansione nella sua folle
corsa verso l’ignoto. Come l’espressionismo pittorico celebra Kandinskij, allo stesso modo
l’espressionismo musicale celebra Schönberg. E per raggiungere ciò Pierrot si riveste di
una nuova sensibilità, intona un nuovo canto, lo Sprechgesang (“canto parlato”), che
manda in frantumi secoli di vocalità. Le conquiste del positivismo crollano così come crolla
la fiducia nel progresso. Pierrot vive momenti di angoscia, la luna si oscura, si ammala,
diventa rossa con il suo carico di croci e di cinici sussulti. Nonostante ciò Pierrot non
infrange i suoi sogni e pensa alla sua infanzia, torna in patria, a Bergamo, remando con un
raggio di luna. Inizia un nuovo ciclo. Pierrot non demorde. Assimila la grande lezione
dell’espressionismo, ma guarda avanti. Ha bisogno di essere ascoltato, di dichiarare al
mondo che è cambiato. Di lì a poco supera le due Grandi Guerre, con il loro carico di
morte, di disperazione, ma non perde la sua malinconia, una malinconia resa visibile da
quella lacrima sulla guancia che caratterizza la sua espressione triste, la sua vocazione a
un mondo migliore. E ripensa al grande amore, a quello per la luna che non lo ha mai
abbandonato. La luna che rinasce dalle ceneri della guerra e dell’arroganza. Povero
Pierrot. Egli non è uno stupido, è cosciente che non può limitarsi a essere una maschera,
una marionetta senz’anima anche se gli altri ancora non lo sanno. Entra in conflitto col il
mondo e con se stesso. Sulla scia delle teorie di Freud, nel Novecento, l’ombra di Pierrot
diventa l’inconscio. Le cose si complicano, e guardare nell’ombra significa guardare nel
proprio Io. E come la luna ha una faccia nascosta che resta nell’ombra, anche Pierrot è
inseguito dalla sua ombra, metafora della coscienza da cui vorrebbe liberarsi ma che non
può farlo, proprio per non perdere la sua umanità così faticosamente conquistata sulla
scena e oltre la scena. Fa riflettere Pierrot. Interpreta la società, cogliendone pulsioni e
pensieri. In tempi moderni non disdegna il colore nero, dialoga con la morte così come nel
passato aveva fatto Shakespeare col suo Amleto. Il problema dell’essere richiede una
riflessione seria. Una riflessione che chiede aiuto alla psicoanalisi di Freud (e non solo a
lui), al mondo delle pulsioni, del conflitto. Pierrot sogna di essere uno spettro che azzanna
se stesso, ma questo spettro lo ha vivificato con nuovi contenuti, con nuovi entusiasmi.
Qualcosa è mutato in lui. Vive il mondo dell’arte e nell’arte trova il linguaggio delle sue
emozioni, delle sue esigenze di uomo. L’enigma della maschera diventa l’enigma
dell’uomo e l’arte si affianca alla scienza nella ricerca di una verità vera, una verità che
sfugge il concetto dell’adeguamento dell’individuo a ciò che è fuori di sé e che guarda
invece, quasi fosse un Socrate redivivo, a ciò che è dentro di sé, per trovare nella propria
soggettività le ragioni di una oggettività che è di tutti. Ritorna la calma dopo la tempesta. Il
mondo ti vuole. Coraggio Pierrot.
1
Dalla silloge poetica edita da Locorotondo Editore, Mesagne 2013
Mi spieghi come fai a parlare con la luna?
Senti Pierrot, me lo fai un favore?
Ah, mi lusinghi… mi lusinghi, amico mio…
Mi piaci così come sei.
Sei strano, ma mi piaci.
Innamorato della luna… ma quando…
La lacrima sulla guancia…
Sei un birbone malinconico.
Sei un birbone, Pierrot.
Sono un sentimentale, diciamolo.
La mia bella mi capisce.
Mi piacciono le serenate, quelle al chiaro di luna,
con la mandola.
E poi non sono un servo, o un sonnambulo.
Non sei un perdente, non lo sei affatto!
Non far finta di non capire… il tuo sentire è vita.
Tu non sei uno qualunque, sei l’amico della luna.
Pierrot, o mio Pierrot…
ARTE
Opinioni a confronto
Elaborato 1
L’opera di Honoré Daumier, pittore della metà dell’Ottocento, un pittore realista che
tratterà anche le caricature. Diventerà infatti un caricaturista ufficiale. Nel dipinto di
Daumier, che tratta Pierrot e la luna, viene dipinto un Pierrot cantore che ha in mano una
mandola e canta sotto la luce della luna. La luna è infatti la compagna di Pierrot,
compagna intesa come amore, lui infatti si innamora della luna ed è per questo che viene
ritratto con essa. In questo dipinto le forme non sono ben definite, i colori sono caldi e
sono presenti effetti chiaroscurali. Di primo impatto può sembrare uno schizzo, un disegno
sintetico nei suoi tratti essenziali (Antonio Potenza).
Elaborato 2
In ambito pittorico troviamo diverse opere dedicate alla luna come il Pierrot, che nel corso
dei secoli cambia stile ed atteggiamento. Pierrot che canta alla luna viene rappresentato a
volte sognatore, felice, disperato, impazzito, spensierato, spaventato. Come nell’opera di
Honoré Daumier “Pierrot cantore” il dipinto è creato da pennellate fluide, libere e
imprecise. Pierrot viene raffigurato attraverso una prospettiva intuitiva e percettiva, mentre
il colore è steso attraverso scelte cromatiche molteplici generando effetti chiaroscurali
(Davide Massa).
Elaborato 3
Pensiero 1
Nell’opera Pierrot cantore di Daumier “il soggetto è rappresentato senza una prospettiva
accademica, infatti il busto, il braccio, la testa sono rivolti tutti in punti diversi. Si dà poca
importanza alle proporzioni e ai particolari, mentre si incentra tutto sullo strumento e
sull’espressione di Pierrot” (Ludovica Piras).
Pensiero 2
Pierrot cantore presenta un atteggiamento “tormentato” mentre suona la sua mandola;
“pennellate grosse e veloci danno volume” e creano diversi scorci prospettici in sintonia
con l’aspetto musicale”. In Watteau, invece, Pierrot si immerge nella natura e si relaziona
con altri soggetti che, posti in secondo piano, lo mettono in risalto. Emerge “l’aspetto
teatrale e poetico” (Luisa Mattoccio).
Pensiero 3
In Pierrot cantore affiorano “le emozioni del protagonista che ha un volto malinconico e
suona un mandolino al chiaro di luna”, mentre in Watteau “Pierrot sembra quasi apatico”.
In entrambi, tuttavia, viene “rappresentato davanti a un cielo illuminato dalla luna”.
(Giuliano Christian).
Pensiero 4
Nel dipinto di Daumier “i colori caldi prevalgono e la loro miscela crea un’atmosfera di
intimità, accentuata anche dalla presenza della sua mandola” (Lorenzo Galastro).
Pensiero 5
Si può notare “del sentimento caldo, una ribellione” per ciò che concerne gli “stili
rappresentativi. L’opera è disegnata senza uno schema, come se l’immagine fosse
volubile al tempo e allo spazio, mentre canta alla sua Luna. Invece Watteau è molto più
convenzionale e rappresenta Pierrot in modo statico e senza sentimenti” (Alessandro
Bedendo).
Artemisia Gentileschi è una delle più incisive e rivoluzionarie pittrici di tutti i tempi, precorre
temi e modalità stilistiche ed espressive come pochi grandi artisti sanno fare. Il dipinto in
questione risale all’anno 1610 quando Artemisia aveva solo 17 anni e alla luce di quanto le
accadrà negli anni avvenire, quest’opera appare una sorta di amara premonizione.
La Gentileschi riproporrà il medesimo soggetto in ben due occasioni: uno datato 1622 che
appartiene oggi a una collezione privata di Stamford, in Inghilterra, e quello che rimanda
all’ultimo periodo della sua carriera artistica, datato 1649 e conservato alla Galleria
Moravska a Brno.
La scena è tratta dal Libro di Daniele. Susanna è moglie di Joachim, un ricco ebreo, un
giorno, nella casa di Joachim, giungono invitati due anziani appena nominati giudici.
Questi scorgono Susanna fare il bagno nel suo giardino e coinvolti emotivamente si
lasciano andare ad un ricatto: minacciano la donna di riferire al marito che l’hanno vista in
compagnia di un amante se lei non si donerà a loro. Susanna rifiuta la proposta e questi
l’accusano in pubblico di adulterio. Susanna viene portata in tribunale, giudicata colpevole
e condannata a morte. Ma con l’intervento di Daniele emergerà l’inganno.
Sull'attribuzione della paternità del quadro ci sono ipotesi discordanti: alcuni hanno
ritenuto che sia opera del padre Orazio e firmata con il nome di Artemisia a scopo
divulgativo, in realtà l’opera è la prova delle elevate qualità artistiche di Artemisia, che
sperimenta una sua identità stilistica, pur rimanendo seguace al naturalismo e all’incisiva
tempra cromatica e luministica di Caravaggio.
La Gentileschi ritrae la scena nel momento culminante dell’episodio, quando gli anziani
colgono Susanna nuda al bagno e azzardano delle avance. La donna è ritratta sul bordo
della vasca nuda, la testa chinata e intenta a sfuggire alle provocazioni dei due anziani,
mentre le mani cercano di scostare le due ambigue figure. I due uomini, in un atto di
complicità, concordano il da farsi. Non vi sono figure ed elementi secondari: la scena è
gestita solamente dai tre personaggi, all’interno di una composizione piramidale che esalta
il senso di dominio dei due vecchi rispetto alla giovane disarmata. La Susanna di Artemisia
non è affatto una donna dall’aspetto seducente o ammiccante come potrebbe trovarsi in
diverse opere di artisti come: Giovan Francesco Barbieri il Guercino, Giulio Cesare
Procaccini, Guido Reni, Ludovico Carracci, Mattia Preti, Tintoretto, Rubens, ma è una
donna che rifugge la provocazione e disdegna la sensualità, intenta solo a preservare la
dignità di persona irreprensibile.
OPINIONI DEGLI ALLIEVI A CONFRONTO. UNITÀ DIDATTICA 2
Nel dipinto Pierrot di Modigliani “gli occhi esprimono quello che siamo” (D’Eramo Matteo
Luca, Di Deo Erika, Ranieri Raffaella). La forma del viso del ritratto, con gli effetti di ombra,
richiamerebbe l’immagine di una semiluna (tutti) mentre “la goletta ha le sembianze di una
nuvola” (Ylenia Ciccocioppo). Gli occhi, uno aperto e l’altro chiuso, rimandano alle due
facce della luna: quella visibile e quella nascosta” (tutti). Particolare importanza inoltre
rivestono gli elementi geometrici: “il naso triangolare e il corpo trapezoidale” (tutti). I colori
utilizzati sono “spenti e inceneriti” (Baccile Arianna). Nonostante ci sia oltre un secolo di
differenza tra Modigliani e Beethoven, del quale abbiamo ascoltato la Sonata “al chiaro di
luna”, essi hanno in comune alcuni elementi: “Modigliani spesso ritrae i protagonisti dei
suoi quadri con le pupille mancanti, come se non vedessero, mentre Beethoven vive una
situazione paradossale per un musicista: la mancanza dell’udito” (tutti). Discutendo su
l’opera Il mondo della luna di Haydn viene fuori l’elemento di un anziano genitore che
immagina di trovare sulla luna belle ragazze, gentili e disponibili. Pur partendo dall’opera
buffa, e quindi dal mondo della risata, viene spontaneo un parallelo con una situazione dai
tratti simili (la presenza di due anziani e una ragazza) ma ricca di risvolti drammatici che
richiede ben altre riflessioni. Ci riferiamo al dipinto Susanna e i vecchioni di Artemisia
Gentileschi che sembra presagire alcuni avvenimenti della sua vita. L’artista, infatti, subì
da giovane uno stupro da parte del pittore Agostino Tassi cui seguì un tormentato
processo che si concluderà con la condanna dell’uomo. L’impostazione compositiva del
dipinto Susanna e i vecchioni è di taglio piramidale (Francesco Bosco): “gli uomini
dominano sulla figura femminile e i colori forti e cupi utilizzati dall’artista rendono bene
questa situazione” (Arianna Baccile, Giacomo Pio Di Campli, Valentino Fanale). Susanna,
al contrario, presenta un incarnato chiaro simbolo di purezza interiore” (tutti).
OPINIONI A CONFRONTO. UNITÀ DIDATTICA 2
Elaborati grafici