Sei sulla pagina 1di 4

Crush syndrome e rabdomiolisi

Cingolani Emiliano, Nardi Giuseppe, Frattarelli Eufrasia, Savignano Salvatore, Cavaciocchi


Ermelinda, Sangiovanni Milena.
Unità Operativa Shock e Trauma, Azienda Ospedaliera S. Camillo-Forlanini Roma

Introduzione
La crush syndrome o rabdomiolisi traumatica interessa pazienti che sono stati intrappolati in modo prolungato
con compressione di uno o più arti. Oltre che degli arti colpiti determina nelle sue forme più gravi il
coinvolgimento cardiovascolare e renale. E’ associata con maggior frequenza a crolli di edifici per terremoti,
scoppio di gas, eventi bellici o terroristici, ed interessa spesso molti individui contemporaneamente (3-20% dei
sopravvissuti estratti dalle macerie nei terremoti) costituendo un problema organizzativo rilevante all’interno
della gestione sanitaria di una catastrofe. Più raramente si può presentare nell’ ambito di incidenti stradali per
intrappolamento al di sotto di veicoli o macchinari.

Cenni storici ed epidemiologia


La crush syndrome o rabdomiolisi traumatica interessa pazienti che sono stati intrappolati in modo prolungato
con compressione di uno o più arti. Si presenta in genere nell’ambito di crolli di edifici per terremoti, scoppio di
gas, eventi bellici o terroristici, e coinvolge spesso molti individui contemporaneamente (3-20% dei
sopravvissuti estratti dalle macerie nei terremoti) costituendo un problema organizzativo rilevante all’interno
della gestione sanitaria di una catastrofe. Più raramente si può presentare nell’ ambito di incidenti stradali per
intrappolamento al di sotto di veicoli o macchinari.
La prima comparsa della crush syndrome in letteratura medica risale all’inizio del ventesimo secolo quando
viene descritta una sindrome associata a prolungato intrappolamento al di sotto di macerie, caratterizzata da
danno muscolare, insufficienza renale e morte. Nel 1910 viene descritta una triade letale caratterizzata da
dolori muscolari, debolezza e urine scure. Tale sindrome viene poi riscontrate in molti soldati della prima guerra
mondiale estratti da trincee crollate. E’ però all’inizio del secondo conflitto mondiale che nella letteratura inglese
compare il termine crush injury, e viene associata la sindrome alla rabdomiolisi. Molti cittadini londinesi estratti
dalle macerie degli edifici sviluppavano il complesso di sintomi: shock, edema degli arti e urine scure. La
sindrome che esitava in insufficienza renale oligoanurica era quasi sempre letale entro una settimana, la biopsia
renale evidenziava necrosi tubulare e pigmento brunastro diffusamente precipitato. Nel 1943 questo pigmento
scuro venne identificato come mioglobina proveniente dalla rabdomiolisi degli arti, già allora venne indicato
come trattamento l’uso di un riempimento volemico generoso associato a diuretici. Nella guerra di corea la
mortalità della sindrome era ancora del 84%, l’introduzione della dialisi determinò un drastico calo della
mortalità che rimase comunque al 50% (guerra del Vietnam). Dal 1980 in poi la storia della patologia interessa
per lo più vittime coinvolte in crolli di edifici nell’ambito di terremoti. Nel 1988 nel terremoto in Armenia che
uccise 50000 persone vi furono 600 pazienti con insufficienza renale che richiesero emodialisi. Nel 1999 a
seguito del terremoto in Turchia nella zona del mar di Marmara si verificarono 462 casi di insufficienza renale
con una mortalità ancora elevata del 19%, Il grosso problema organizzativo delle catastrofi dei nostri giorni è
riuscire ad ottenere una immediata e ampia disponibilità di macchine emodialitiche per trattare i pazienti
estrinsecati che nonostante il trattamento vanno incontro ad insufficienza renale, e questo aspetto costituisce
un aspetto rilevante nell’ambito della moderna medicina delle catastrofi.

Fisiopatologia
La crush syndrome è caratterizzata da rabdomiolisi traumatica, mioglobinuria ed insufficienza renale acuta, ed è
fisiopatologicamente determinata dalla compressione prolungata (generalmente 4-6 ore) di masse muscolari,
con compromissione della circolazione locale. In realtà il tempo totale di intrappolamento può non riflettere la
reale severità del danno e la potenzialità delle complicazioni renali e cardiovascolari, anche masse muscolari
molto estese compresse per brevi periodi (< 1 ora) possono determinare una crush syndrome grave.
Il trauma della microvascolarizzazione determinato dall’applicazione prolungata di una forza compressiva
determina ipoperfusione cellulare, ischemia e se mantenuto morte cellulare. L’ipossia cellulare diminuisce
progressivamente le riserve di adenosina trifosfato (ATP) del citosol. Fino all’indisponibilità di substrati
energetici per il funzionamento dei meccanismi di integrità cellulare, ciò conduce al blocco delle pompe di
membrana Na/K ATP dipendenti, aumento del calcio intracellulare edema dei miociti fino alla lisi con rilascio
nello spazio interstiziale di tutto il contenuto intramembrana, in particolare di potassio, creatinfosfochinasi e
mioglobina. Al danno primario provocato direttamente dalle forze traumatiche compressi segue il danno
secondario originato prevalentemente della aumento della pressione compartimentale che determina, ulteriore
compressione vasale che a sua volta conduce ad aggravamento dell’ ischemia cellulare ed estensione della
massa necrotica in un vortice fisiopatologico che si autoalimenta..
All’aumento della pressione compartimentale concorrono sia le micro e macro emorragie dai vasi lesi all’interno
del compartimento muscolare, sia soprattutto l’edema locale scatenato dall’attivazione della cascata
infiammatoria ad opera del rilascio di mediatori da parte della lisi cellulare responsabili dell’attivazione
neutrofila e dell’aumento della permeabilità vascolare. L’aggregazione piastrinica, parte anch’essa
dell’attivazione infiammatoria determina trombosi intravascolare ed aggravamento della compromissione della
microcircolazione. Se non trattata l’aumento della pressione compartimentale può determinare ischemia
muscolare irreversibile e perdita dell’arto. Nell’arto leso possono essere sequestrati fino a 12 litri di fluidi in 48
ore.
Quando l‘arto è liberato dalle forze complessive, ed è quindi ristabilito il flusso ematico locale, la riperfusione
provoca il trasporto nella circolazione sistemica dei prodotti della necrosi cellulare intrappolati localmente dalla
stasi ematica, soprattutto di potassio mioglobina, cpk, acido lattico e fosforo, in questa fase il danno traumatico
locale diviene sistemico e la crush syndrome si manifesta nella sua gravità. Alla riperfusione segue infatti
inizialmente iperpotassemia, acidosi metabolica, mioglobinuria (responsabile delle urine pigmentate “a lavatura
di carne”), e successivamente shock ipovolemico da intrappolamento di enormi quantità di liquidi nelle masse
tissutali lese, e più tardivamente insufficienza renale la cui genesi è duplice:

1) pre-renale da ipovolemia e ipotensione,

2) necrosi tubulare acuta da ostruzione tubulare ad opera della mioglobina che precipita all’interno dei tubuli
(precipitazione favorita dal ph acido) La mioglobina è responsabile oltre che di un danno indiretto per ostruzione
tubulare meccanico anche di uno diretto ad opera dei complessi eme sulle cellule tubulari. All’insufficienza
renale segue oligoanuria, uremia e iperpotassemia che in assenza di trattamento come accadeva fino a meno di
un secolo fa, conduce a morte in 3-7 giorni.

Clinica
La possibilità di insorgenza della crush syndrome deve essere sospettata sulla base della dinamica dell’evento
traumatico, ancora prima che la sindrome divenga manifesta clinicamente. E’ probabile che una compressione
muscolare maggiore di un’ora o ancora meno se la compressione interessa masse estese, possa sviluppare
rabdomiolisi traumatica. In assenza di informazioni sull’evento la compressione deve essere sospettata in
presenza di segni clinici locali quali esteso danno epiteliale, edema, ecchimosi, eritema. L’assenza di polso
distale associato ad edema teso, dolore, debolezza, pallore, ipotermia ed anestesia dell’arto può indicare una
sindrome compartimentale già in atto. Il quadro laboratoristico tipico della sindrome è caratterizzato da
iperkaliemia, iperfosfatemia, ipocalcemia, iperuricemia, cpk elevato, ematuria e mioglobinuria. Più tardivamente
aumento di azotemia e creatinina.
Il livello di cpk è il valore di laboratorio più sensibile ai fini dell’estensione della massa muscolare coinvolta. Il
superamento del valore di 20000 U/L indica normalmente una rabdomiolisi severa.
Gli effetti cardiovascolari della sindrome sono caratterizzati dallo Shock ipovolemico determinato dal sequestro
di liquidi del compartimento leso, (ipotensione e tachicardia) e dall’effetto aritmico dell’iperpotassemia (se
6mg/dl) aggravato dalla spesso presente acidosi metabolica. In alcuni casi se le masse muscolari coinvolte ella
compressione sono ampie, l’iperpotassemia può essere di entità tale da condurre il paziente ad arresto cardiaco
entro un’ora dalla riperfusione. Altre anomalie elettrolitiche associate sono l’ipocalcemia e l’ipofosfatemia.
L’ipocalcemia determinata dal sequestro di calcio nelle cellule lese è usualmente asintomatica. L’iperfosfatemia
può aggravare l’ipocalcemia. Va tenuto conto che in caso di severa iperpotassemia associato ad iperfosfatemia il
calcio somministrato come antiaritmico è inefficace a basse dosi.
In alcuni casi l’attivazione infiammatoria che segue il danno primario e la riperfusione, può essere tale da
interessare l’intero organismo, con sviluppo di ards polmonare da danno dell’epitelio alveolare e dell’endotelio
capillare perialveolare.

Trattamento
Il primo ovvio provvedimento terapeutico è la rimozione delle forze compressive, ma spesso non è facile ne’
immediato, basti pensare al tempo necessario per estrarre un paziente intrappolato sotto una casa crollata per
un terremoto.
Il cardine del trattamento medico è l’idratazione precoce ed aggressiva.
1) Precoce: l’acceso venoso deve essere posizionato non appena il paziente è accessibile al team di soccorso, e
l’idratazione iniziata appena possibile. L’estrinsecazione in molti casi richiede ore, il percorso fisiopatologico che
conduce all’ipovolemia inizia immediatamente al momento del trauma, il ritardo dell’inizio della fluidoterapia
aumenta il rischio di insufficienza renale acuta. Addirittura se iniziata dopo 6-12 ore dal trauma può essere
completamente inefficace nella prevenzione dell’insufficienza renale stessa.. Nel lavoro di Better 1997, è
evidenziato come la fluidoterapia precoce può addirittura azzerare la percentuale di insufficienze renali. Va
tenuto inoltre presente che il momento stesso dell’estricazione è critico per il venir meno improvviso delle forze
compressive, con conseguente rischio di gravi ipotensioni e sincopi che devono essere prevenute con il
riempimento.
2) Aggressiva: è necessaria una quantità rilevante di infusioni per prevenite danni sistemici e soprattutto renali
della rabdomiolisi traumatica, si consiglia pre e durante l’estricazione almeno 1,5 L/h di sol fisiologica. Il
tradizionale crush injury coktail prevede anche 20 mEq di bicarbonato e 10 g di mannitolo ogni litro infuso. Ma
se l’evidenza dell’utilità del riempimento precoce è forte, non lo è ugualmente quella di dover già iniziare sul
terreno alcalinizzazione e diuresi forzata. Dopo l’estricazione somministrare almeno 500ml/h di cristalloidi, con
eventuale aggiunta di mannitolo e bicarbonato (20Meq / litro). Nelle ore successive la velocità infusionale deve
essere titolata per mantenere un flusso urinario tra 200- 300ml/h, tale flusso urinario può richiedere anche 10 –
12 l/di cristalloidi nelle prime 24 ore.
Quali soluzioni: I dati che abbiamo riportato si riferiscono unicamente a cristalloidi. Il dibattito tra collodi e
cristalloidi rimane aperto ed irrisolto. Se dalla parte i colloidi hanno il vantaggio di rimanere più a lungo nel
circolo, rischiano però di aumentare la disidratazione intracellulare, ed almeno per destrani ed amido
idrossietilico peggiorare la funzionalità renale. I cristalloidi sono economici, sicuri, e si distribuiscono anche allo
spazio extravascolare. Almeno in una prima fase comunque l’uso misto può essere ragionevole. Tra i cristalloidi
in fase preestricazione è consigliata sol fisiologica perché priva di potassio, in fase intraospedaliera vanno
aggiunti elettroliti (potassio) secondo il monitoraggio serico e glucosio per l’apporto calorico.
Altri provvedimenti terapeutici consigliai sono:

a) l’alcalinizzazione delle urine per prevenire la precipitazione di mioglobina attraverso bicarbonato


aggiunto alle infusioni ed acetazolamide (se ph ematico >7,5) per favorirne l’escrezione nelle urine.
b) Diuresi forzata da furosemide 40/120 mg/die ev o mannitolo (1,5 – 2gr ev in dosi ripetute). Il ph
ematico deve rimanere < 7,5 e quello urinario tra 6 e 7.
La somministrazione di calcio è raramente indicata, si consiglia solo in presenza di significativi
cambiamenti elettrocardiografici relativi ad ipo o iperpotassemia, tenendo presente che spesso causa
iperfosfatemia le dosi normali sono inefficaci.
Se compare oliguria e segni laboratoristici di peggioramento della funzionalità renale è indicato il
trattamento renale sostitutivo, con emodialisi tradizionale o con ultrafiltrazione continua. In terapia
intensiva la preferenza è sicuramente accordata all’ultrafiltrazione, tecnica più tollerata dal paziente
critico.

Sindrome compartimentale e fasciotomia


La pressione nel compartimento muscolare all’interno della fascia anelastica aumenta per presenza di sangue
ed edema intra ed extracellulare. Se la pressione è molto elevata può determinare blocco completo circolazione
con collasso dei vasi e conseguente ischemia tissutale (muscolare e nervosa), e rischio di perdita dell’intero
arto. E stato suggerito il limite di differenziale di 30 mmHg tra la Pa diastolica e la pressione interstiziale (indice
di pressione di perfusione) come diagnosi di sindrome compartimentale grave. La pressione può essere
misurata tramite un ago infisso nel compartimento interessato collegato ad un trasduttore per pressione
cruenta. I sintomi che fanno sospettare una sindrome compartimentale sono dolore sproporzionato al danno
iniziale, pallore, paralisi progressiva, parestesie, ed assenza di polso periferico. Diagnosticata la sindrome
compartimentale il trattamento è la fasciotomia chirurgica. In estremi casi ma rari è necessaria l’amputazione.

Conclusioni
La rabdomiolisi traumatica è un evento che si associa preferenzialmente a scenari catastrofici, bellici o
terroristici, mentre è piuttosto raro negli usuali contesti traumatici di maggior frequenza.
Le gravi conseguenze renali e cardiovascolari possono essere in buona parte prevenute da una terapia fluidica
aggressiva e precoce e dal mantenimento successivo di un buon volume circolante ed una abbondante diuresi.

Bibliografia
1)Pepe E, Mosseso VN, Falk JL: Prehospital fluid resuscitation of patient with major trauma. Prehosp Emerg
Care 2002; 6:81 – 91.
2)Better OS : Management of shock and acute renal failure in casualties suffering from the crush syndrome.
Ren Fail 1997; 19:647 – 653.
3)Donmez, Osman et al. Crush syndrome of children in the marmara earthquake, Turkey. Pediatric Int 2001;
36:368-372
4)Gonzalez D. Crush syndrome Crit care med 2005; 33: S34 –S41.
5)Malinoski DJ, Slater MS, Mullins RJ. Crush syndrome and rhabdomyolysis. Crit care clin 2004; 20: 171-192.
6)Vanholder R, Sever MS, Erek E, Lameire N. Rhabdomyolysis. Journal of the American Society of Nephrology.
2000; 11: 8
7)Sever MS, Erek E, Vanholder R, Akoglu E et al. The Marmara heartquake: epidemiological analysis of the
victim with neprhological problem. Kidney Int. 2001;60 (3): 1114 –23
8)Holt SG, Moore KP. Pathogenesis and treatment of renal dysfunction in rhabdomyiolysis. Int Care Med 2001;
27 (5) :803-11.

Potrebbero piacerti anche